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Appunti lezioni STORIA DELLA SCIENZA ANTICA, Appunti di Filosofia

Appunti (sbobine) lezioni di Storia della scienza antica (2023/2024, dal 18/09/2023 al 25/10/2023) sulla Scienza e tecnologia dei colori nell'antichità. Argomenti trattati: Empedocle e Democrito (alla luce di Teofrasto, Aezio, Diogene Laerzio); I colori nel Timeo di Platone, I colori in Aristotele, la nascita dell’alchimia greco-egiziana e la trasmutazione della materia: lo Pseudo-Democrito e Zosimo di Panopoli; l’alchimia tardo-antica nel contesto delle scuole filosofiche alessandrine.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 28/11/2023

rebb.santellani
rebb.santellani 🇮🇹

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Scarica Appunti lezioni STORIA DELLA SCIENZA ANTICA e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! SCIENZA E TECNOLOGIA DEI COLORI NELL’ANTICHITA’ Che cosa significa che un oggetto sia colorato? Come i colori sia dal punto di vista ontologico sia dal punto di vista epistemologico sono stati concepiti, spiegati e discussi all’interno di testi di scienza antica?  LA TEORIA ARISTOTELICA DEI COLORI TRA FISICA E FISIOLOGIA (Alberto Jori, Medicina nei secoli 32 (2020) Questo articolo, pubblicato nella rivista Medicina nei secoli, si sofferma su Aristotele ma offre una ricostruzione della riflessione antica sulla natura del colore prima di Aristotele, in particolare con attenzione ai presocratici e a Platone. «La riflessione sul colore e sulla percezione attraversa il pensiero dei presocratici per approdare a una complessa visione d’insieme in Platone e Aristotele. La testimonianza di Calcidio sulla dissezione alcmeonica (Alcmeone di Crotone, VI-V secolo a.C. uno dei primi medici legati all’Italia meridionale soprattutto della scuola pitagorica; pare che avesse fatto dissezioni su animali) del bulbo oculare attesta come già in ambienti medici vicini alla scuola pitagorica l’interesse nei confronti dell’anatomia e della fisiologia dell’occhio, in una prospettiva spiccatamente encefalocentrica, associ la percezione della “luce e di tutte le cose luminose” alla natura e alla funzione delle quattro membrane che costituiscono l’involucro dell’occhio. Rispetto a questa prospettiva essenzialmente medico-anatomica, i presocratici, Platone e Aristotele estendono la loro trattazione alle proprietà dei corpi e alla psicologia della percezione fino a formulare più generali teorie della visione» Uno degli aspetti interessanti dello studio dei colori nell’antichità è l’analisi di quelli che sono i tre attori principali della storia che si andrà a raccontare: Gli oggetti, essi sono colorati; ognuno è caratterizzato da una serie di caratteristiche cromatiche la percezione, l’organo di senso il medium, l’ elemento che può essere – più o meno a seconda delle teorie - considerato una sorta di collegamento tra oggetto e organo di senso, ciò che mi permette di mettere in relazione questi due elementi. Una qualsiasi riflessione sulla teoria dei colori prende in esame o uno di questi tre componenti o tutti cercando di unirli in modi differenti. Dal saggio di Jori sembrerebbe che le prime riflessioni siano di carattere anatomico, in particolar modo legate alle caratteristiche dell’occhio, messo in relazione alla percezione del colore, che si lega a sua volta alla vista in una visione molto moderna: oggi lo studio dei colori si lega molto alla psicologia e alla fisica. L’idea che la sensazione venisse processata dal cervello (prospettiva encefalocentrica=mette il cervello al centro del processo percettivo), non è scontata nell’antichità: lo stesso Aristotele credeva che il centro delle percezioni fosse il cuore.  LE TEORIE DELLA PERCEZIONE IN DEMOCRITO (M.M. Sassi,1978) Sassi insegna storia della filosofia a Pisa. Tratta principalmente le teorie della percezione della filosofia presocratica; in particolar modo le percezioni da Alcmeone fino a Democrito; l’analisi degli oggetti di percezione e l’analisi sui colori nel tentativo di dare un quadro complessivo degli strumenti tramite cui si percepisce ciò che viene percepito. Nel mondo antico molto spesso le medesime teorie spiegavano diversi tipi di percezione, con una forte predilezione per la vista (il mondo greco si basa tanto sulla vista come primo elemento per poter conoscere e interpretare il mondo esterno, molto più del tatto o dell’udito o del gusto). I colori sono oggetto di riflessione da parte di filosofi antichi, soprattutto quelli che si collocano tra il V e il IV secolo a.C. in pena età classica. Autori principali sono Empedocle, Democrito, Platone (Timeo) e Aristotele (i primi libri della Meteorologia, e il Trattato psudo-aristotelico, in particolar modo Sui Colori). Bisogna ricordare che di Empedocle e Democrito non abbiamo nessuno scritto giunto per intero, non abbiamo direttamente accesso al loro pensiero in modo completo; per entrambi abbiamo testimonianze di terzi (cosiddetta dossografia=raccolta di doxai, di opinioni, che sono le fonti principali grazie alle quali possiamo costruire il pensiero di autori antichi di cui non ci sono giunte opere originali). Le due fonti principali – per Empedocle e per Democrito – sono Teofrasto (allievo di Aristotele che prende in mano il Peripato dopo la morte di Aristotele), con un’opera spuria e Aezio (I-II secolo d.C.), con la sua dossografia la dossografia: avrebbe scritto una raccolta di opinioni di forma epitomata ad opera di autori a lui successivi. Riflessione di carattere epistemiologico e metafisico. Aristotele, Empedocle e Platone si muovevano in un mondo colorato. L’immagine che possediamo noi dell’antichità classica è fatta di bianco e nero, di statue di marmo o di metallo (bronzi di Riace); data da un forte stampo neoclassico sostenuto da una matrice tedesca dell’inizio ‘9oo, con Vinkelmann. In realtà il l mondo dell’arte antica deve era un mondo estremamente colorato. In questo senso sono state tentate tante ricostruzioni di quella che doveva essere una statua o un tempio nell’antichità. Negli ultimi 40 anni, il museo tedesco Liebeghaus, grazie alla coppia Brinkmann e grazie ai loro studi sulla policromia nel mondo antico si è potuto vedere effettivamente i colori originali delle statue. Il rapporto tra la riflessione filosofica e tecnologia, tra che cosa sia il colore e la capacità dello scultore e artigiano nel produrre determinati manufatti colorati sono due aspetti su cui bisogna focalizzarsi, bisogna capire fino a che punto possono essere messi assieme. Si tratta di una questione generale che riguarda il rapporto tra filosofia, riflessione teorica e tecnologia, il mondo dove viviamo. UNO SGUARDO ALL’EGITTO…. L’aspetto di policromia, di colori piuttosto vivi che caratterizzavano l’arte greca, permette di fare un confronto e sottolineare le somiglianze con l’arte egiziana che, per ragioni di pura preservazione archeologica, è molto più colorata rispetto a quella greca (per le determinate condizioni climatiche i colori sono mantenuti più vivi). La policromia greca oggi si intende associare molto di più a quella che era l’arte egiziana. Il termine con cui si dice “colore” in egiziano è jwn (si legge Yun) che significa anche “pelle”, “colorito”, “natura”. Il colore dell’oggetto per un egiziano dava informazioni importanti anche sulla sua natura, si tratta di una proprietà intrinseca all’oggetto stesso e non qualcosa che veniva solamente percepito dall’osservatore. Inoltre, è interessante notare che nella lingua egiziana ci sono parole per indicare determinati colori ma non tutti i colori. Non è banale che una lingua abbia parole per indicare tutto lo spettro cromatico, ciascuna lingua – pur avendo una certa sovrapponibilità – può variare. Nell’egiziano antico, oltre al bianco (Hedj) e al nero (Kem), ci sono parole per dire 4 colori differenti (Rosso, Verde, Giallo, Blu). Che cos’è un colore? Le radiazioni elettromagnetiche, la cui lunghezza d’onda è compresa tra 400 nm circa e 750 nm circa, danno luogo stanno sempre di più entrando nel vocabolario corrente. Gli atomi principalmente si sono formati con la nucleosintesi stellare: quando una stella muore si producono la maggior parte degli elementi chimici che noi abbiamo oggi. La CHIMICA MODERNA si esprime attraverso un linguaggio specifico, quello della formula chimica: In questo caso formula chimica del mercurio (nei testi alchemici è argento liquido), unico metallo liquido allo stato naturale che ha esercitato una fascinazione agli occhi degli alchimisti molto forte, tanto che diventa uno degli elementi fondamentali su cui si basa sia la trasformazione metallica – perché si crede che il mercurio potesse essere uno dei materiali che trasforma i metalli oltre ad esserne un componente –; diventa addirittura un elemento fondamentale per la ricerca della verità. Il mercurio esiste in piccole percentuali allo stadio nativo ma nella maggior parte dei casi si scalda il solfuro di mercurio(cinabrio), facendo reagire l’elemento chimico con l’ossigeno, faccio una ossidoriduzione e ottengo mercurio + ossido di zolfo (nella medicina aristotelica era un’esalazione). Ovviamente dietro le formule ci sono oggetti e lo stesso fenomeno potrebbe essere descritto in modo diverso. Il meccanismo chimico che sta alle spalle di un procedimento non cambia nel corso del tempo – e in questo caso chimica e alchimia si equivalgono – ma d’altro lato se si leggono i testi, la distanza del linguaggio è tale da rendere difficile l’effettiva identificazione. Quello che è interessante è che da un punto di vista puramente etimologico chimica e alchimia sono la stessa parola. Questo ci mostra di come stiamo parlando di due oggetti che paradossalmente sono stati lo stesso oggetto chiamato con lo stesso nome per secoli. L’unica cosa che cambia è l’articolo arabo “al”, che è come se fosse “la” chimica (=alchimia). In realtà abbiamo una data di nascita dell’alchimia medioevale. Il primo testo in cui il termine alchymia compare è un testo del 1144 (nascita alchimia latina). In questo anno abbiamo la prima traduzione di un testo di alchimia araba in latino. Il testo arabo è attribuito al figlio del califfo della dinastia omayyade (primo califfato islamico che si sviluppa subito dopo la morte di Maometto). Questo Khalid ibn Yazind (668-704) avrebbe composto un dialogo sull’alchimia che, tradotta in latino da Roberto di Chester (metà XII secolo) introduce il termine alchimia. Qualche secolo dopo, nel 1556 Jeorg Agricola – un importante umanista e filologo rinascimentale tedesco, fondatore dello studio delle miniere De re metallica – si rende conto che il termine alchymia è un termine classico a cui se si toglie il prefisso -al resta una parola classica: In realtà la parola non è solamente di influenza araba(al-kimiya), in realtà deriva a sua volta derivata dal siriaco (kumiya) che a sua volta viene ripresa da un termine greco (khymeia). Noi non sappiamo effettivamente quale sia l’etimologia del termine khymeia ma ci sono diverse ipotesi: Qualcuno sistiene che sia di fatto una parola di origine greca. Se si sostiene questo si potrebbe far risalire al termine cheo che significa “fondere” e quindi l’alchimia avrebbe una connessione con la fusione dei metalli (soprattutto nelle sue fasi iniziali legata alla metallurgia) Qualcuno sostiene che sia una parola di origine egiziana. Se così fosse essa è in connessione con la parola kem(e) che significa nero/ terra nera d’egitto e avrebbe in qualche modo a che fare con i colori e quindi si tratta di una scienza che avrebbe a che fare con il colore nero. Il motivo è vario, sono state proposte varie proposte: si parla dell’arte nera, di una tecnica egiziana; qualcun altro ha messo in relazione questa idea del nero al fatto che la trasformazione alchemica si codifica in una serie di passaggi cromatici e il primo è il nero (la prima cosa che l’alchimista può fare è rendere l’oggetto nero. Non abbiamo molte attestazioni del termine chymeia ma un passo di Plutarco, tratto da un’opera dedicata allamitologia egizia dal titolo “Iside e Osiride e Dialoghi delfici” è uno dei pochi passi che ci da qualche notizia su questo termine Chemè. Si tratta di un termine che si può ritrovare nei testi alchemici anche se non è frequentissimo, un termine comune che gli alchemici utilizzavano per riferirsi alla propria arte era chiamandola “Arte sacra e divina”. Anche Plutarco utilizza questo termine e lo collega al nome proprio dell’Egitto. Ovviamente con lui siamo in un contesto più biologico piuttosto che alchemico nel momento in cui ci dà queste informazioni. L’etimologia del termine Alchima è in tutto e per tutto il nome del colore nero. In genere il nero è associato all’acqua (fredda e umida). La connessione tra il nero e l’alchimia si può giustificare soprattutto pensando all’origine dell’alchimia nell’egitto greco-romano. Il motivo più probabile per cui l’alchima è legata al colore nero è perché nero era l’Egitto e in esso nasce l’alchimia. Uno dei primi che ha proposto l’alchimia come arte nera è Andrè Jean Festugiere. STORIA DELLA SCIENZA ANTICA (3) 20 settembre 2023 EMPEDOCLE DI AGRIGENTO (V secolo a.C.) Questo autore fa parte della tradizione presocratica; in particolare fa parte della scuola bizantina che contribuisce allo sviluppo del pensiero greco in area balcanica, in particolar modo in Sicilia (attivo nella provincia di Agrigento). In questa stessa città era presente anche l’influenza di una scuola pitagorica con cui molto probabilmente Empedocle ha avuto a che fare. L’altra scuola presocratica che si sviluppa nell’Italia meridionale è la scuola eleatica, che si raggruppa intorno a figure come Parmenide e Melisso ma si concentra più propriamente in area campana. Non abbiamo molte notizie biografiche; la maggior parte ci perviene dalla testimonianza di Diogene Laerzio, autore di età imperiale che scrive le varie biografie dei filosofi includendo tanti dei quali vissuti prima di Socrate. Le tradizioni biografiche antiche lo tratteggiano come un filosofo-scienziato, un filosofo naturale, molto simile a un mago o a un guaritore. La storiografia più moderna che si è occupata di Empedocle ha enfatizzato a volte più un aspetto o un altro tanto che, per molti anni gli studiosi hanno pensato che l’opera di Empedocle - un poema Sulla Natura (Peri-physeos) – fosse in realtà divisa in due opere separate. Secondo altri autori esisteva effettivamente un’altra opera Le Purificazioni che però oggi la critica tende a considerare come una sorta di “seconda parte” dell’opera originale, di carattere più propriamente religioso-rituale con annesse parti di medicina. È un autore che continua a scrivere in versi, come la maggior parte della filosofia di quel periodo. Si suppone che l’estensione complessiva dell’opera fosse intorno ai 2000 versi di cui ci sono giunti solamente 1/5 circa o attraverso citazioni di autori successivi (nella maggior parte dei casi: 350 versi) e circa 75 versi tramandati per tradizione diretta dal Papiro di Strasburgo (I secolo d.C.) composto da diversi frammenti, ma ritrovati circa 74 esametri (versi); complessivamente si ha poco meno di 450 recuperati su poco più di 2000, circa 1/5 dell’estensione totale. LA TEORIA DEI QUATTRO ELEMENTI È argomento ancora dibattuto ma si ritiene che Empedocle (secondo alcuni Ippocrate) sia stato il primo ad aver introdotto la teoria dei 4 elementi (o radici), ovvero l’idea che tutto il mondo naturale sia composto da 4 elementi principali: Acqua, Terra, Fuoco e Aria. Abbiamo superato il monismo ionico che tendeva a identificare l’elemento principale del cosmo con un elemento unico. Empedocle non usa mai il termine “elemento”; la prima attestazione del termine in ambito di storia naturale è nel Demiurgo di Platone; con Empedocle non si parla di elementi in senso classico bensì di radici. Esse sono mosse da due forze cosmiche che sono amore e odio, molto spesso personificate con Afrodite e Ares. Empedocle tenta di dare un’ottica alla teoria dei colori da un punto di vista oggettivo. Cosa sono nei termini di un oggetto non legato alla teoria della sua percezione; si guarderà che cos’è il colore. Frammento B71 (Simplicio, Sul Cielo, 529,28) Frammento che ci racconta come Empedocle concepisce gli elementi e quale ruolo hanno i colori in questo. Si tratta di un frammento arrivato per tradizione indiretta: il commentatore e filosofo neoplatonico Simplicio, nel suo trattato Sul Cielo, che non è altro se non un commentario ad Aristotele scrive: “Ma se intorno a questi argomenti il tuo convincimento vacilla ancora come da mescolanza di acqua, terra, etere e sole nacquero tante forme e colori di essere mortali quanti adesso ne esistono, in armonia per opera di Afrodite […]” Evidente richiamo ad Afrodite e quindi all’Amore che mescola gli elementi. In greco è il participio di un verbo che significa mescolare dei liquidi (lo stesso di cratere). Particolare il richiamo a Etere e Sole che starebbero per Aria e Fuoco ma non sono i nomi classici proprio perché solo all’inizio di questa teoria e quindi la terminologia non è ancora stabile Empedocle vede i colori come una proprietà intrinseca delle sostanze o solamente come qualcosa di percepito dal soggetto? Potrebbe essere considerata una proprietà intrinseca soprattutto in riferimento all’eidos, il quale si richiama a una tradizione filosofica risalente a Platone ma bisogna ricordare che siamo però in un contesto che potrebbe dare maggiore attenzione alla percezione in quanto eidos è ciò che si vede. Non è chiarissimo ma aldilà del fatto che siano intrinseche o secondarie, sono comunque frutto del movimento e del dinamismo degli elementi costitutivi. È evidente una certa quantità di elementi: alberi, uomini e donne, fiere, uccelli, pesci ecc.  forte attenzione alla biologia più che al mondo animale in senso lato (interesse di Empedocle nei confronti della medicina e del mondo degli esseri viventi). Non è detto in modo esplicito quanti sono i colori. Intuitivamente potremmo credere che il numero di colori che il pittore sovrappone corrisponda ai 4 elementi o alle possibilità di mescolare i 4 elementi? Non viene nemmeno menzionato in che modo i colori si mischino. L’analogia è interessante ma veramente intuitiva: ciò che ci circonda è un mondo colorato, abbiamo tanti colori ed Empedocle dice che un bravo pittore è capace di utilizzare e mischiare pochi colori di rappresentare questa molteplicità; allo stesso modo queste forze cosmiche, questi dèi (Afrodite e Ares), amore e odio, sono capaci attraverso solamente 4 elementi di creare tutta la realtà che ci circonda. Non viene detta la meccanica secondo cui avviene l’unione che viene presentata in modo meccanicistico (molto simile a Democrito= non si tratta di una combinazione qualitativa bensì quantitativa) Un passo di Aristotele [31 A 43 D-K (ARIST. De gen. et corr. B 7. 334a 26)] ci aiuta a capire meglio alcuni degli aspetti su cui ci stiamo interrogando… Si tratta di un passo tratto da De generatione et corrutione, un testo che discute di come gli elementi si uniscano e si separino (stesso tipo di fisica che c’è in Empedocle). All’interno dell’opera c’è una lunga parte in cui Aristotele discute tra krasis e mixis come due tipi diversi di combinazione degli elementi tra di loro e all’interno della discussione rientra anche Empedocle in cui Aristotele teta una spiegazione in linea con Galeno: Aristotele fa un esempio tratto dal mondo delle costruzioni, dall’architettura antica: è come costruire un muro in cui si mette uno vicino all’altro dei mattoni o delle pietre, essi non cambiano la loro natura ma la loro unione/combinazione si ha la composizione della realtà; analogamente si crea la carne e ciascuna delle altre cose (analogia con il mondo biologico, nel mondo dei viventi). L’analogia ci aiuta a capire che si tratta di elementi immutabili che si giustappongono.  Questa idea ci pone anche un’altra domanda: «La differenza tra i vari elementi che compongono la realtà è data dalla loro quantità? Ciò che distingue una cosa dall’altra è solamente legata a un discorso quantitativo?» Se si leggono alcuni frammenti di Empedocle si ha proprio questa idea per cui, in vari passi dell’opera empedoclea, c’è un riferimento esplicito alla composizione di vari elementi biologici, in particolar modo dei componenti degli esseri viventi (carne e sangue, ossa e tendini). Abbiamo questa idea in cui c’è un riferimento esplicito alla composizione di elementi biologici, in particolare degli esseri viventi (uomini e animali). Aristotele e Simplicio citano direttamente i versi di Empedocle: In questo frammento Simplicio cita Empedocle in riferimento al fatto che egli chiami i 4 elementi non con i nomi classici bensì con nomi evocativi: il fuoco è spesso chiamato Efesto, o sole o fiamma; l’acqua è chiamata pioggia; l’aria viene chiamata etere. Non c’è ancora quella standardizzazione della nomenclatura filosofica che si ha di fatto a partire soprattutto con Platone ma anche con Democrito, in cui gli elementi sono sempre chiamati con lo stesso nome. In questo frammento di Empedocle abbiamo un riferimento alla composizione della carne e del sangue. Carne e sangue implicano la presenza di tutti gli elementi in proporzioni uguali [questa informazione è data da come gli stessi commentatori antichi cercavano di spiegare questo frammento]. Leggendo il frammento ritroviamo i 4 elementi indicati con il nome di Efesto, terra, pioggia e etere. Il termine che viene utilizzato per parlare di “terra” è cton quindi in riferimento alla terra ctonia, quella più profonda [famoso frammento di Ferecide di Samo in cui ci parla della dea terra ctonia dopo che Zeus le offre questo manto con intessuta sopra la rappresentazione del mondo]. Dalla mescolanza degli elementi che avviene nelle dimore/nei porti di Afrodite nasce il sangue e altre specie di carni. Secondo Simplicio, Nesti indicherebbe sia l’acqua sia l’aria ma oggi la maggior parte degli interpreti sono concordi nel fatto che si tratti di una interpretazione tarda di Empedocle. Nesti è solitamente una Naiade. Viene fatta una proporzione tra gli elementi (terra, fuoco e acqua): non viene detto in modo esplicito le due parti di terra ma viene esplicitato che per la composizione delle ossa servono due parti d’acqua (se si interpreta Nesti come sia acqua sia aria allora si avrà una parte di acqua e una di aria; esattamente come interpreta Simplicio alla luce del fatto che -secondo lui- tutte le cose devono essere formate da tutti gli elementi anche in minima parte) e quattro di fuoco. Simplicio ci dà un colore in questo frammento. Abbiamo già visto che Afrodite è come un pittore che mischia i colori per creare la rappresentazione delle cose. In questo caso ci dice che la rappresentazione di una cosa bianca (le ossa) la proporzione è quella sovrascritta. A partire da questo presupposto possiamo chiederci...  per Empedocle qualcosa di bianco è un qualcosa in cui prevale il fuoco nella composizione degli elementi?  Empedocle unisce o associa a ciascuno dei 4 elementi un colore? Alcuni studiosi hanno supposto e ipotizzato che - proprio partendo dal frammento inziale di Empedocle (quello sui pittori e sulla composizione originale dell’universo) - hanno immaginato che l’analogia tecnica risiedesse nel fatto che i colori venissero sovrapposti e giustapposti l’uno all’altro (come erano le tecniche di pittura fino all’inizio del IV secolo a.C.) ma addirittura hanno supposto, sulla base delle testimonianze del Brutus di Cicerone (18.20) e sulla Naturalis Historia di Plinio Il Vecchio (35.50) hanno supposto che ci fossero 4 colori alla base della pittura di quel periodo che siamo in qualche modo legittimati ad associarli ai 4 elementi empedoclei. Questi 4 colori, secondo le testimonianze sarebbero Bianco, Nero, Giallo e Rosso. Abbiamo pochissime testimonianze archeologiche del V-VI secolo a.C. che possono attestare un utilizzo dei colori (Pompei, Tombe macedoniPerò sono di inizio III secolo a.C.) TEOFRASTO di Ereso (Isola di Lesbo; 371-287 a.C.) L’opera di Teofrasto Sulle Sensazioni, insieme all’opera di Aezio sono tra le fonti principali che noi abbiamo per ricostruire le fonti di questi autori posteriori. La maggior parte dei frammenti di Empedocle e di Democrito vengono proprio tratti dall’opera di Teofrasto, quindi, è importante avere un’idea della natura di questo testo e quali sono le questioni che sono state sollevate dalla critica nel rapporto tra quest’opera teofrastea con il resto della sua produzione. Teofrasto è il primo allievo di Aristotele, che sarà a capo del Peripato (il Liceo) dopo la morte del maestro (322 a.C.). L’opera che ci interessa di Teofrasto è un’opera Sulla sensazione (De sensu / Perì aistheseon) oppure Sulle sensazioni (De sensibus / Perì aistheseon) tramandata sia al singolare che al plurale. Per quanto riguarda Teofrasto abbiamo oggi una serie di studi molto importanti (usciti alla fine degli anni 90) ad opera di Fortenbaugh e di altri studiosi che hanno raccolto tutte le testimonianze che abbiamo su Teofrasto all’interno di una serie di volumi (attualmente sono usciti 9 volumi, alcuni in più parti) che ci permettono di capire che cosa questo autore ha scritto, che cosa ci è rimasto e che cosa è andato perduto (la maggior parte delle opere). Tra le opere rinvenute rimaste intere è l’Historia Plantarum, composta in 9 libri (l’opera più grande di teofrasto che ci è rimasta), il più importante trattato di botanica antico. Teofrasto scrive delle opere di carattere dossografico che riportano le opinioni che altri autori hanno avuto su determinate questioni. All’interno del primo volume ad opera di Fortenbaugh vengono elencate una serie di opere (di carattere fisico) dossografiche fra cui: un’opera in 16 libri Sulle opinioni dei filosofi naturali/ Sulle opinioni sulle cose naturali. un sommario in 2 libri Sui filosofi naturali o delle cose naturali. 1 libro In risposta/contro i filosofi naturali. All’interno delle opere di psicologia (raccolte nel volume 2 del libro di Fortenbaugh) abbiamo: Sulle sensazioni/ Sulla sensazione (1 libro). Sulla sensazione e il sensibile (4 libri); la traduzione araba di quest’opera non è mai stata trovata, molto probabilmente si tratta del titolo originale In questo caso intendiamo il modo su cui funziona il meccanismo con cui noi percepiamo. Secondo alcuni il De sesnsu fa parte dell’opera Sulle opinioni dei filosofi naturali. L’unica versione dell’opera del De sensu è inclusa in una raccolta di Diels (1879) che risale a 150 anni fa, la prima traduzione nel 1961 ad opera di Luigi Torraca. Il De sensu è edito a pp. 497-527 dell’opera di Diels. Secondo lo stesso autore si tratterebbe non di un’opera completa bensì di un’opera frammentaria, come se fosse una parte dell’opera Sulle opinioni delle cose naturali; si tratta di 91 capitoli; nient’altro di un lungo frammento di un’opera più ampia divisa in 18 libri intitolata Opinioni dei fisici. Vediamo cosa possiamo dire in definitiva sulla teoria dei colori in Empedocle e in che rapporto essa sta con la sua teoria della percezione. Per fare questo bisogna partire dai capitoli di Teofrasto con cui inizia la parte legata allo studio degli oggetti sensibili e che si sofferma principalmente su Democrito e Platone ma che però inizia facendo riferimento ad altri autori che Teofrasto aveva già discusso in precedenza parlando della teoria delle sensazioni e che adesso reintroduce velocemente dandoci alcune informazioni interessanti soprattutto per quanto riguarda Empedocle. Cinquantanovesimo e Sessantesimo capitolo Viene sottolineato il colore bianco del fuoco e di conseguenza il colore nero dell’acqua. Ci si era chiesti se la teoria empedoclea potesse essere influenzata dalle tecniche pittoriche coeve ma qui non c’è perché l’autore dice che esistono – per Empedocle - due colori (bianco e nero) che sono associati a due elementi (fuoco e acqua), ma non ci parla degli altri. Ci dice anche Empedocle si occupò dei colori mentre gli altri autori che lui studia ci porta a vedere che gli unici due colori riconosciuti come colori primari fossero il bianco e il nero e tutti gli altri nascessero dall’unione di questi due colori. [Quando inizia a parlare di Democrito, Teofrasto espliciterà che si tratta del primo autore che dice che esistono quattro colori primari]. RIPRENDIAMO EMPEDOCLE… Leggiamo una testimonianza tratta da un famoso passo del Menone di Platone in cui viene fatto un riassunto di quale sarebbe – secondo quanto riporta Socrate - la teoria empedoclea… Degli effluvi ci ha parlato anche Teofrasto quindi possiamo immaginare che ci siano degli oggetti che emananano delle specie di flussi di elementi (di fuoco, terra, acqua e aria). Affinchè questi effluvi siano percepibili c’è bisogno di qualcos’altro: i pori [elemento nuovo] entro cui questi effluvi possono entrare. Affinchè questo meccanismo funzioni ci deve essere una proporzionalità questi due elementi, tra effluvio e poro. Si tratta di una spiegazione fortemente meccanicistica, simile alle teorie atomistiche o epicuree che riprendono Democrito. A volte questa viene spiegata come una reazione al monismo parmenideo che tentava di prendere alcune caratteristiche della monade e trasferirle a una pluralità di elementi la monade di parmenide è il paradosso del fatto che non esiste la molteplicità ma esiste solo l’essere, è qualcosa di immutabile che non si trasforma. Analogamente i 4 elementi empedoclei sono un qualcosa che non si trasformano, sono immutabili ma al tempo stesso si uniscono e si separano; quindi, si tratta di un tentativo di rispondere a Parmenide, mantenendo alcune caratteristiche della monade ma arrivando a giustificare la molteplicità che altrimenti nella filosofia eleatica si perdeva. Se immaginiamo che le cose rilascino questi effluvi, queste emanazioni e che queste incontrano dei pori nei nostri organi di senso che ci permettono di riconoscere queste emanazioni allora esse sono i colori stessi e quindi potremmo dire che la prima cosa che noi percepiamo delle cose sono i colori [acquistano un ruolo centrale nella spiegazione del mondo di Empedocle]. I colori sono un’emanazione importante degli oggetti e sono l’emanazione su cui Empedocle si sofferma con maggiore attenzione. Sembra che Empedocle abbia però immaginato che ci fosse un’azione attiva anche da parte dell’organo di senso, cioè che non basti che l’organo di senso sia colpito dall’effluvio affinchè ci sia la sensazione ma anche l’organo di senso deve in qualche modo protrarsi verso l’effluvio e catturalo, in modo che la percezione possa avvenire. Proprio questo movimento è stato interpretato da alcuni studiosi come un primo tentativo di concettualizzare la coscienza (ma è troppo presto per attribuire ad Empedocle una teoria così sofisticata). Il punto di vista che Teofrasto sviluppa è opposto a quello platonico, quest’ultimo insiste di più sulle nostre emanazioni che si staccano dagli oggetti, nella descrizione di Teofrasto le emanazioni vengono citate solamente alla fine mentre insiste maggiormente sulla struttura dell’organo di senso e sul modo in cui esso funziona nel momento in cui percepisce e accoglie le emanazioni. All’interno dell’occhio Teofrasto vengono citati espressamente i pori del fuoco e dell’acqua, associati al bianco e al nero [siamo all’interno dell’opposizione tra bianco vs nero che è la stessa che Teofrasto menziona anche quando parla della teoria di colori di Empedocle]. Si può dire che il poro del fuoco e il poro dell’acqua sono simmetrici rispettivamente con l’effluvio delle cose bianche e l’effluvio delle cose nere. Il ruolo degli altri elementi non emerge in modo evidente dal passo, è difficile collocarli dal punto di vista anatomico all’interno dell’occhio. [Alcmeone di Crotone – legato alla scuola pitagorica – è stato uno dei primi a portare una descrizione dell’occhio sulla base dell’anatomia animale Alcuni sostengono che dietro la visione dell’occhio di Empedocle ci sia questa visione di Alcmeone]. Quello che ci dice Empedocle sull’occhio è che: è formato dai 4 elementi il fuoco si trova al centro, molto probabilmente può corrispondere all’iride, secondo altri alla parte “curva” dell’occhio Il fuoco dell’occhio tende a uscire come la luce di una lanterna (immagine che si basa su un frammento di Empedocle). Dove collocare questi pori rimane in dubbio perché potremmo immaginare che siano collocati nella parte esterna dell’occhio ma questo non è esplicitato. Nonostante questo, chiarisce che ci sono dei pori che sono sensibili al fuoco/bianco e quelli preposti all’acqua/nero.  In che rapporto stanno questi pori con la struttura anatomica dell’occhio?  Come da due colori (bianco e nero) possono formarsi tutti glia altri colori? La questione della lanterna ha creato non pochi interrogativi. Aristotele nei Parvia Naturalia cita un lungo frammento di Empedocle discutendo della teoria della sensazione empedoclea in cui questa metafora della lanterna emerge in modo più compiuto, dandoci delle spiegazioni nuovi rispetto a quanto detto finora sulla conformazione dell’occhio ma dà anche informazioni che sono più difficili da capire, non perfettamente in linea con quanto detto… Gli studiosi hanno cercato di mettere questi versi in relazione con quanto si sapeva fino allora, a quanto ci dice Teofrasto e a quanto dice Platone. Viene evidenziata l’azione attiva dell’occhio: sembra che il fuoco che si protrae fuori dall’occhio (fino a dove?) brilla sulla soglia (di che cosa?). Aristotele dice che questa teoria non sta in piedi perché la metafora della lanterna significa che la luce va molto lontano ma cosa serve il fatto che vada lontano se ho già un’emanazione delle cose che deve arrivare al mio occhio per cui io lo possa percepire? [teoria contraddittoria]. L’interpretazione di Aristotele potrebbe non essere l’unica lettura possibile, secondo altri la lanterna potrebbe essere utile per spiegarci che abbiamo un fuoco all’interno dell’occhio (che ci permette di vedere) però abbiamo anche un qualcosa che lo deve proteggere affinchè il fuoco non si spenga. tra Roma e l’Egitto. I gruppi di Tetralogie (4 libri) sono suddivisi a seconda delle tematiche che Democrito avrebbe affrontato [Gli Scritti di Etica (in tutto 8); gli Scritti di Fisica; i Libri non classificati; gli Scritti di Matematica; i Libri di musica; gli Scritti Tecnici]. Nella parte degli Scritti tecnici c’è anche uno scritto Sulla Pittura (seconda tetralogia). Ci si può chiedere se le informazioni che andremo a leggere sulla teoria dei colori che Democrito sviluppa in modo così articolato possa in qualche modo essere collegato al suo interesse nei confronti delle tecniche pittoriche del tempo. Altri studiosi hanno pensato che queste informazioni che Democrito ci dà sui colori facessero parte dell’opera Sulla sensazione che farebbe parte degli Scritti di fisica; dipende se si fa riferimento all’atto percettivo o se si occupano di più dell’oggetto sensibile. Per quanto riguarda la nostra fonte principale, ovvero il frammento sul De Sensibus di Teofrasto, vedremo alcune sezioni specifiche che si occupano di Democrito, una appartenete alla prima parte dell’opera in cui Teofrasto indaga i processi percettivi e una appartenete alla seconda parte dell’opera dedicata alla teoria dei colori in Democrito. Prima di leggere i passi del De Sensibus e soffermarci sulla fonte principale vediamo l’introduzione della teoria sulla percezione di Democrito a partire da un passo di Aristotele. Questo passo è interessante perché tutte le sensazioni, sia le sensazioni sia la vista si basano sul contatto (dimensione materialista della percezione visiva) per questo motivo, se dobbiamo immaginare che ci debba essere un contatto tra corpi fisici allora alla fine spieghiamo tutti i sensi come se fossero il tatto. QUESTIONE DEGLI EIDOLA Si tratta di una questione centrale nella teoria della conoscenza di Democrito; è ciò che permette di spiegare la conoscenza sensibile dando per scontato che Democrito parta da una teoria atomistica. Nella visione del mondo democritea la realtà fenomenica di oggetti e quella psicologica hanno una composizione materiale di atomi che sono elementi minimi in cui la realtà può essere scomposta e questi atomi hanno delle caratteristiche quantitative, non hanno qualità (solo la forma, dell’atomo e dell’oggetto che si forma dall’aggregazione degli atomi). A questa idea si lega l’idea dell’EIDOLON: noi siamo fatti di atomi che si compongono e disgregano, anche i 4 elementi. Da tutti i corpi questi atomi – per una sorta di tendenza naturale di come funziona la realtà – tendono a staccarsi e a colpire gli organi di senso e quindi sarebbero questi atomi che si staccano dal nostro corpo che rendono possibili le sensazioni perché da ogni oggetto vengono emanati atomi che vanno a colpire gli organi di senso. Non basta però che gli atomi si distacchino dal corpo perché altrimenti non ci sarebbe corrispondenza tra l’oggetto in sé e la percezione. Queste emanazioni che escono dai corpi sono atomi e si devono configurare in modo analogo all’oggetto da cui si distaccano per poter permettere questa corrispondenza. Per questo sono eidola, immagini delle cose, come se fossero delle pellicole, degli strati molto sottili, che hanno tutte le stesse caratteristiche da cui si distaccano perché vengono espulsi dall’oggetto. Leggiamo due testimonianze su Democrito per vedere in che senso e come l’autore spiega l’arrivo degli eidola, di queste proiezioni che si staccano da ogni oggetto fisico e di come – secondo lui – arrivano all’oggetto fisico attraverso la vista. Uno dei problemi su cui la critica ha insistito particolarmente è proprio il fatto se Democrito avesse sviluppato una o due teorie distinte sulla percezione visiva in quanto abbiamo due frammenti che sembrano dare due prospettive diverse(?). La critica si è anche concentrata su che ruolo ha l’aria all’interno del processo di percezione visiva(?) Questi sono i due problemi principali su cui la critica si è anche divisa nelle interpretazioni proposte nella teoria della visione di Democrito, che a noi serve per spiegare la teoria dei colori che è strettamente connessa alla spiegazione  Frammento 29 (Leucippo) Si tratta di due notizie analoghe riportate una da Aezio, un dossografo di età imperiale, e una da Alessandro di Afrodisia nel commento al De Sensu e Parvia Naturalia di Aristotele. La teoria che i due propongono è da Aezio riferita non soltanto a Democrito ma anche a Leucippo ed Epicuro (i tre filosofi atomisti per eccellenza nell’antichità in ordine cronologico) mentre la seconda si riferisce soltanto a Democrito. Queste testimonianze ci permettono di ricostruire la teoria condivisa da Leucippo – maestro di Democrito -, Democrito stesso ed Epicuro. Il vedere viene presentato come un qualcosa di passivo come di un patire, è un qualcosa a cui l’organo è semplicemente sottoposto (espressamente detto con il termine Pathos = subire qualcosa). Alessandro D’Afrodisia insiste maggiormente spiegando il fenomeno dal punto di vista dell’oggetto e sottolinea che l’occhio riceve un qualcosa che viene da fuori. La maggior parte dell’attenzione da parte dell’autore sta nello spiegare che cos’è che colpisce l’occhio, qual è l’elemento da cui l’occhio subisce una sorta di impressione/riflesso: gli eidola. Questi vengono descritti nel frammento come un qualcosa dotato di una forma che corrisponde a quella dell’oggetto da cui si stacca, non si tratta di atomi che escono all’esterno come singoli schegge che vanno a colpire l’organo di senso ma hanno una forma, un eidos, che è simile all’oggetto da cui si stacca. Il passo spiega che l’impressione che abbiamo, la percezione visiva non è un frame di un attimo, come una singola immagine che arriva, si imprime nell’occhio e scompare bensì noi continuiamo ad avere una percezione costante proprio perché si ha questo continuo flusso di eidola dai corpi. Abbiamo un primo momento di interesse: il luogo ultimo dove questi eidola si staccano e arrivano andandosi a depositare è la pupilla. Questo perché è una superficie trasparente (idea di un oggetto in cui noi vediamo l’immagine riflessa). Abbiamo visto la teoria sulla visione di Democrito: per lui abbiamo un doppio eidolon che si muove e che comprime l’aria su due direzioni differenti. Abbiamo visto il passo di Teofrasto in cui si parla della composizione dei colori: secondo Democrito ci sono 4 colori semplici (Bianco, Nero, Rosso e Verde/Giallo) e a ciascuno di questi colori Democrito associa una determinata struttura atomica. Quando si parla di questa sorta di microstruttura si intende sia la tipologia di atomi che compongono l’oggetto sia la configurazione secondo cui questi atomi sono collocati l’uno rispetto all’altro. Abbiamo visto che, rispetto al bianco, Democrito distingue tra bianco duro – associato all’interno di una conchiglia = superficie lisca che caratterizza gli oggetti bianchi, corrisponde anche a una certa lucentezza/brillantezza - e bianco friabile. Vediamo come Democrito descrive gli altri tre colori primari e analizziamo il primo gruppo di colori misti secondari, quelli composti dall’unione di due o tre colori semplici.  Capitolo 74 – Sul Nero La descrizione del nero è un po’ più concisa rispetto a quella del bianco. La descrizione del colore nero è strettamente speculare rispetto a quella del bianco: se il bianco era liscio, l’emanazione era chiara e veloce, i fori erano dritti e trasparenti ecc. il nero invece è ruvido e l’emanazione è lenta e confusa. Sembrerebbe (punto che Teofrasto critica in Democrito) che, se per il bianco ci sono due generi per il nero sembra solo uno. L’elemento che sembrerebbe avere in mente Democrito per descrivere il nero come opposto al bianco è il nero puro, soprattutto con l’enfasi sui pori non rettilinei tali da proiettare un’ombra (dovuta alle superfici più ruvide, difformi e scalene che creano dei paini che si dispongono su diversi livelli e che di conseguenza proiettano delle ombre). Effetto perturbativo dell’aria rispetto all’eidolon che si stacca dal vuoto e viaggia in uno stato colmo di altri atomi. Nella seconda parte si ha un richiamo esplicito agli effluvi, Teofrasto non parla di eidola ma parla di emanazioni (che chiaramente sono gli eidola). Le emanazioni sono più lente e meno nitide rispetto a quelle del bianco perché all’interno di esse si mischiano porzioni di aria (effetto perturbativo dell’aria rispetto all’eidolon che si stacca dal vuoto e viaggia in uno strato colmo di altri atomi). Teofrasto spiega come questo eventuale disturbo che l’aria può portare in un determinato genere di percezione si attua sul piano fisico: abbiamo delle particelle d’aria che si mischiano, e rendono più confusa la configurazione dell’eidolon che si muove dall’oggetto all’organo che percepisce. L’eidolon dell’oggetto bianco è molto più preciso, con fori rettilinei e quindi possiamo immaginare che quando si muove l’aria passa attraverso facilmente e quindi ostacola meno il movimento di un eidolon bianco rispetto a un eidolon nero che ha canali più difficilmente percorribili. Democrito immaginava che in questa doppia compressione venissero compressi sia gli eidola sia altre particelle d’aria insieme per andare poi a comporre l’immagine che si riflette nell’occhio e che costituisce la percezione dell’oggetto e del colore. Gli studiosi hanno fatto notare come il colore – all’interno di questa teoria meccanicistica – è una delle caratteristiche principali dell’oggetto che viene percepito in quanto è l’elemento primo che l’occhio riconosce.  Capitolo 75 – Sul Rosso e sul Verde Rosso e verde vengono presentati insieme in modo molto sproporzionato: grande spazio per il rosso, due righe per il verde. L’elemento essenziale è il calore e c’è un rapporto inversamente proporzionale: tanto più un elemento è caldo tanto meno un elemento sarà rosso. Democrito insiste su un elemento interessante che permette di capire che cosa avesse in mente quando parlava di atomi e di schemata (quindi di dimensioni e strutture atomiche): sembra che tanto più questi composti di atomi siano grandi tanto più sono rossi, tanto più sono sottili tanto meno sono rossi ma più lucenti. Sembra che la struttura atomica del rosso, lucente e del caldo sono uguali ma ciò che conta è quanto macroscopico è il livello nel quale noi ci muoviamo (osservazione che ci fa capire come viene percepito il singolo atomo e come viene percepita l’aggregazione degli atomi.) Nel momento in cui vengono considerati come possibili “ingredienti” di combinazioni, possono dare origine a 4 mescolanze primaie date dall’unione di 2 o 3 colori primari: bianco + rosso + verde = colore dell’oro bianco + rosso = colore bronzeo rosso + bianco + nero = purpureo nero + verde = Blu (guado) Nel momento in cui vengono considerati come possibili “ingredienti” di combinazioni, possono dare origine a 4 mescolanze primaie date dall’unione di 2 o 3 colori primari: Da un punto d vista di evoluzione artistica possiamo immaginare che già una fase in cui i colori si mischiano per dipingere si sia già sviluppata. Nulla di strano nel pensare che Democrito avesse l’idea dei pittori che mischiano gli elementi quando propone queste quattro mescolanze primarie.  Capitolo 76 - Sui colori La spiegazione che Democrito dà della mescolanza dei 4 colori è interessante: sembra che l’oro (il colore più bello) sia un caso specifico del colore bronzeo. Democrito presenta prima il colore dell’oro, del bronzo e ogni altro colore di tal genere (ecc.) e se poi si aggiunge il verde/giallo si ha il colore più bello (oro). Ogni colore metallico che ha una tinta analoga a quella del bronzo e dell’oro sono formati dall’unione di bianco e rosso; se si aggiunge il verde si ottiene il colore dorato. PLATONE Teofrasto descrive anche la Teoria dei colori di Platone ma nel suo caso abbiamo anche la teoria descritta nel Timeo, scritto da cui Teofrasto trae informazioni. Il Timeo è un dialogo, nonostante solo la prima parte del trattato sia in forma dialogica; la maggior parte dello scritto è un monologo da parte di Timeo. I personaggi più evidenti nel dialogo sono: Socrate Timeo (originario di Locri, per beni e nascita non inferiore a nessuno dei suoi concittadini) Ermocrate (generale siracusano morto nel 407 a.C.) Crizia (nel Timeo racconta di come il suo bisnonno, Dropide, era grande amico di Solone che gli avrebbe raccontato una storia appresa da un sacerdote egiziano relativa alle gloriose vicende dell’antica Atene in guerra contro la mitica Atlantide) La data in cui questa discussione tra Socrate, Timeo e Crizia sarebbe tra il 435 e il 425 a.C. Dopo questa prima introduzione in cui si parla delle forme di governo il discorso volge a come il mondo sarebbe stato ordinato e da lì in avanti Timeo prende la parola e inizia una lunga esposizione che perdura fino alla fine del dialogo. Quando è stato composto il dialogo?  Per alcuni studiosi il dialogo sarebbe stato composto nella fase della maturità di Platone.  Secondo altri studiosi il dialogo sarebbe stato composto nell’ultima fase della vita di Platone. La critica più recente sembra essere in linea con coloro che sostenevano che il Timeo fosse un dialogo della maturità piuttosto che della vecchiaia. Ci sono varie ragioni per cui gli studiosi sono inclini a una o all’altra traduzione. Gli argomenti principali riguardano le teorie astronomiche, si tratta di teorie rudimentali che non richiederebbero le conoscenze di astronomia dell’accademia platonica prima dell’arrivo ad Atene di Eudosso di Cnido. Il tema di come Platone si inserisce all’interno della problematica della relazione tra il mondo delle idee e il mondo fenomenico, in che modo i fenomeni partecipano delle idee. Abbiamo visto che c’è un problema legato alla datazione: il Timeo fa parte dei dialoghi della maturità o della vecchiaia? Gli studiosi si dividono nella collocazione di questo scritto tra le opere che Platone avrebbe scritto in una fase di maturità oppure verso la fine. Platone sembrerebbe intendere che la forma di organizzazione della materia sia una forma che il Demiurgo impone alla materia guardando al mondo delle idee. Altri studiosi ritengono che la caratteristica di organizzarsi secondo determinati modelli sia un aspetto proprio della Chora e che quindi sia intrinseca ad essa. Platone è il primo autore a utilizzare il termine stoikeion (=elemento) con il significato di elemento fisico, è il primo a dire che terra, aria, acqua e fuoco sono i 4 elementi. Empedocle non usa mai questo termine. Esso ha come primo significato lettera (dell’alfabeto). Platone utilizza questo termine non a caso giocando sul significato di lettera la maggior parte delle persone immagina che terra, aria, acqua e fuoco siano i 4 stoikeia, le quattro lettere fondamentali che compongono la realtà ma in realtà non sono né lettere né frasi perché l’elemento in sé possono essere ulterioremente scomposti in elementi più piccoli che sono i triangoli. Platone introduce i 4 elementi come fondamentali dalla cui unione si forma tutto il mondo fenomenico ma non come gli ultimi costituenti della realtà fenomenica; questi ultimi sono delle figure geometriche che lui scompone dapprima in figure solide e poi ciascuno di essi può essere scomposto nuovamente in figure piane. Sono due le figure piane che devono essere considerate (due tipi di triangoli): triangolo scaleno (tre lati diseguali e tre angoli diseguali) e il triangolo isoscele (due lati uguali e due angoli uguali). Dall’unione di questi due triangoli Platone passa ad altre due figure geometriche che sono il triangolo equilatero e il quadrato e da questo alle figure solide. (Due gradi di complessità rispetto all’elemento).  Il fuoco (l’elemento più semplice) è un Tetraedro, un solido composto da 4 triangoli equilateri. Il triangolo equilatero a sua volta può essere diviso in due triangoli scaleni rettangoli o 6 triangoli scaleni. Elemento tridimensionale  elemento bidimensionale (triangolo scaleno) Tutte le figure geometriche possono essere iscritte in una sfera. Questi triangoli equilateri si formano 3 solidi differenti, con 3 ordini di complessità crescenti:  L’aria è un ottaedro, un solido composto da 8 triangoli equilateri.  L’acqua (l’elemento più complesso) è un icosaedro, un solido composto da 20 triangoli equilateri.  La terra secondo Platone si forma da un triangolo isoscele, la cui unione dei 4 fa un quadrato e difatti la terra corrisponde a un cubo. L’aspetto per cui la teoria dei 4 elementi di Platone si distingue da tutte e 4 le teorie degli elementi presenti nel mondo antico ma anche nel mondo pre-moderno è il fatto che la terra non si può trasformare negli altri elementi mentre è possibile una trasformazione tra fuoco-aria-acqua (come avviene anche in Aristotele anche se in lui si basa sulle qualità). Sorta di distinzione ontologica tra un elemento (terra) e gli altri tre elementi (fuoco, acqua e aria). Il passaggio e la trasformazione non possono avvenire in quanto gli elementi costituenti ultimi della terra non sono analoghi a quelli dell’acqua, dell’aria e del fuoco (perché la prima è un triangolo isoscele, gli altri un triangolo scaleno). Come si formano questi solidi? Essendo in un mondo in continuo divenire, questi solidi – battendo l’uno contro l’altro - si urtano fra di loro (come gli atomi), come se fossero perennemente in guerra tra di loro, e gli elementi più piccoli (come il fuoco) tendono a penetrare più facilmente e rompere i legami che ci sono tra le varie superfici e quindi i solidi si rompono. LA STRUTTURA GEOMETRICA DEI 4 ELEMENTI Sembrerebbe dire che l’infinito è qualcosa che va contro l’idea di ordine in quanto non può essere in qualche modo circoscritto. Questa spiegazione geometrica consta in due parti: 1) il triangolo è la superficie minima e, nel momento in cui decidiamo di dividerlo diventa un triangolo scaleno o isoscele; 2) tra i triangoli scaleni, quello migliore è quello che raddoppiato crea un triangolo equilatero (ovvero il triangolo scaleno rettangolo) Passo interessante sia per quanto riguarda la teoria di come – secondo Platone – nascono i metalli, sia per la definizione che da dell’oro e del suo colore che avrà una ricaduta abbastanza importante all’interno della tradizione alchemica successiva. Sembrerebbe che Platone stia descrivendo dei passaggi di stato della materia ovvero lo scioglimento o la fusione. Sente la necessità di distinguere tra due generi di acqua: liquido e fusibile. Se immaginiamo l’acqua come sostanza essa si presenta in modo naturale allo stato liquido ma se si presenta sottoforma di ghiaccio allora può far riferimento a un altro stato. Non soltanto l’acqua fonde; l’altra grande categoria di sostanze che fondono sono i metalli e Platone ha in mente sicuramente questa categoria quando parla di genere liquido e genere fusibile. Abbiamo visto la teoria platonica dei 4 poliedri e di come ogni figura geometrica solida corrisponda a uno specifico dei 4 elementi e di come ci sia una sorta di incommensurabilità di tre elementi da un lato e un elemento da un altro. Acqua aria e fuoco si possono trasformare l’uno con l’altro in quanto riconducibili a una forma specifica di triangolo (scaleno, che successivamente si combina ad un triangolo equilatero che forma le facce dei poliedri) e dall’altro lato la terra che corrisponde a un cubo e che può essere scomposto e ricondotto in ultima analisi a un triangolo isoscele. Questi sono i due tipi di triangoli che, secondo Platone, stanno alla base di tutta l’azione prima della chora, ad opera del Demiurgo. Secondo alcuni studiosi la prima forma di organizzazione geometrica dello spazio sarebbe in qualche modo già insita alla chora stessa. Abbiamo letto questa parte in cui Platone descrive diversi generi dell’acqua. Abbiamo detto che ognuno dei 4 elementi ha generi differenti. Nello specifico ci siamo occupati dei due generi che Platone distingue per quanto riguarda l’elemento acqua (il più complesso all’interno dei tre elementi riconducibili ai triangoli equilateri icosaedro, solido composto da 20 triangoli equilateri). Discutendo sui generi dell’acqua abbiamo detto che il genere fusibile (2) poteva essere verosimilmente identificato da Platone con lo stato solido dell’acqua mentre il genere liquido (1) sarebbe lo stato naturale. Se si dovesse proseguire in questa linea per arrivare allo stato gassoso non avremmo un passaggio da un genere all’altro di acqua ma da un elemento all’altro, cioè dall’acqua all’aria. Se per quanto riguarda il genere liquido, intuitivamente lo colleghiamo all’acqua come sostanza naturale che si trova sulla terra, per quanto riguarda il genere fusibile potrebbe essere il ghiaccio ma anche altre sostanze che effettivamente sono fusibili come i metalli (?). Nella parte successiva Platone introduce il discorso sui metalli nei termini che saranno particolarmente importanti sia per il confronto con Aristotele sia per la successiva storia dell’alchimia. Il modo in cui vengono definiti i metalli da Platone nel Timeo e poi da Aristotele nel III libro della Meteorologia rappresentano le definizioni classiche che saranno riprese dagli alchimisti ma che avranno anche una certa influenza in tutta la tradizione di filosofia naturale tardo-antica e medievale. Con questo paragrafo si conclude la sezione che Platone dedica all’acqua e ai suoi generi. I metalli sono un genos una specie di acqua fusibile. Sulla composizione dell’oro è opportuno soffermarsi in quanto avrà una rilevanza storica, su questo punto si baseranno varie critiche filosofiche alla possibilità della trasmutazione (di trasformare dei metalli vili in oro = grande utopia dell’alchimia) ma anche dal punto di vista della definizione perché rientra all’interno del framework concettuale che Platone sta cercando di costruire. Noi consideriamo l’oro come genos mono eidos cioè nei termini di una sostanza composta da tutti tetrangoli uguali tre loro oppure come una sostanza composta unicamente da acqua fusibile. Si tratta di un altro modo in cui alcuni filosofi – neoplatonici – leggono questo passo. Proclo in particolare gioca una critica alla possibilità di trasmutazione proprio combinando il concetto di mono eidos a una teoria prettamente aristotelica che è quella della fissità delle specie. Platone aggiunge un terzo elemento, cioè, che l’acqua fusibile è tinta congiuntamente di colore giallo e colore lucente/brillante. Ci si potrebbe chiedere da dove venga questa caratteristica brillante associata al colore giallo e che cosa siano in rapporto all’acqua (?) Questa caratteristica si spiega considerando la teoria dei colori platonici. Al contrario il rame ha come caratteristica quella di avere una percentuale di terra che si lega all’acqua. Anche alcune caratteristiche del rame stesso sono descritte in quanto differenti dall’oro e sono spiegate ricorrendo alla struttura geometrica dei poliedri che componevano il rame (sempre icosaedri però in forme differenti e forse combinati in modi differenti, molto probabilmente i poliedri del rame erano più piccoli di quelli dell’oro). L’altro elemento importante per capire la TEORIA DEI COLORI DI PLATONE e la sua teoria della visione, è il fuoco. Quando si parla di colori e di visione l’elemento che si considera maggiormente è il fuoco e i suoi diversi generi. Con il fuoco si passa al tetraedro, la forma di struttura geometrica più semplice. Anche qui, come nella teoria della materia dei solidi, c’è un’idea abbastanza meccanicista che sta alla base del modo in cui Platone spiega la teoria della vista. I generi del fuoco e la vista (58-61c2; 45b-d) Platone propone una spiegazione non semplicistica ma che cerca di combinare vari aspetti. Il fuoco e la luce sono gli elementi maggiormente sottolineati nel passo. Vengono evidenziati due tipi di fuochi, uno interno e uno esterno (stesso tipo di ragionamento fatto per tutti gli altri elementi); fuoco e luce sono la stessa cosa chiamata con due termini diversi. In un caso si intende fuoco come elemento e dall’altra come una sostanza naturale. Questi vari generi di fuoco sono distinti con alcune caratteristiche proprie: la luce non brucia bensì riscalda. Sembra ci sia una luce più pura quella che, secondo Platone, gli dèi nel plasmare l’occhio degli uomini, hanno fatto plasmare questa forma più pura nella parte centrale dell’occhio, di compattarla nella pupilla. Questa luce, essendo tale, tende a fuoriuscire in forma di fioco che incontra la luce esterna. Tra questi due fuochi avviene un’unione esterna dal quale nasce un corpo (una sorta di raggio materiale) visivo che è ciò che, incontrando i vari colori ne esce modificato e quindi permette di portare a noi la percezione (percezione come modificazione del corpo visivo che è il medium che permette il collegamento tra l’occhio e l’oggetto esterno). Platone spiega anche perché non si vede al buio: Platone insiste su questa sorta di impossibilità epistemica di poter conoscere una determinata proporzione (aspetto importante soprattutto in un contesto di studio alchemico dove mischiare i colori era un elemento essenziale per produrre una determinata tintura alchemica). Il primo colore composto che Platone menziona è il giallo, come una composizione di 3 dei 4 colori semplici ovvero lo splendente, il rosso e il bianco. In che misura essi possono essere presenti nella mescolanza non si è in grado di dirlo. Sembra che questo tipo di conoscenza appartenga solo agli dèi. Cosa significa che l’uomo non può conoscere le quantità di questa mescolanza né per necessità, né sulla base di un ragionamento verosimile? Perché l’uomo non può raggiungere questo grado di conoscenza? Potremmo immaginare che, se i colori riflettono una realtà ideale (c’è un’idea di bianco, di rosso, di brillante per eccellenza come ci sono le idee dei colori composti) è il Demiurgo che può avvicinarsi maggiormente a queste idee, in quanto è colui che modella la materia avendo una visione diretta dell’iperuranio. Al contrario questo l’uomo non lo può fare; la sua capacità sarà sempre minore (critica alle arti e alle tecniche insita nella natura stessa dell’uomo). La cosa prodotta è ontologicamente diversa dalla cosa prodotta dal Demiurgo perché lo stato ontologico in quanto essere umano è inferiore perché l’umano ha una compenetrazione rispetto a diversi tipi di anima e il demiurgo ha un accesso diretto al mondo delle idee (critica delle arti di Platone). Platone vuole dire che nemmeno immaginando un discorso come quello che stiamo facendo possiamo arrivare a un grado di maggiore precisione, sembrerebbe andare contro alla possibilità di una quantificazione. Platone non è interessato a dare delle spiegazioni pratiche su come è fatto un colore però sembrerebbe dire che è impossibile darle in modo tale che si possa ottenere la stessa cosa situazione contraddittoria per cui da un lato abbiamo il tentativo di geometrizzare la realtà; dall’altro quando si tratta di introdurre dei numeri non lo fa. Noi non possiamo conoscere la grandezza dei triangoli che compongono i tetrangoli dei nostri corpi; se si vuole ricondurre tutto in un carattere geometrico dovremmo dire che il demiurgo sa esattamente il colore bianco a che dimensione corrisponde nel tetragono. Il mondo fenomenico è talmente vario e le grandezze sono così numerose che è impossibile che un umano possa conoscerle (incapacità quantitativa e qualitativa). Dalla combinazione dei 4 colori semplici nascono tutti gli altri Platone fa 9 esempi di colori secondari; alcuni sono composti soltanto dall’unione di colori semplici mentre altri sono composti dall’unione di colori semplici e colori complessi. : ARISTOTELE La TEORIA DEI COLORI in Aristotele è piuttosto complicata: è l’autore che richiede maggiore attenzione perché alcuni concetti che vengono evidenziati non presentano un’immediata corrispondenza con un ragionamento intuitivo, che con le altre teorie era più immediato. Parlare dei colori in Aristotele è un argomento ampio: le fonti principali sulle quali il discorso sui colori della filosofia aristotelica si basa: in particolare il De Anima (3 libri); De sensu et sensibilibus; la Meteorologia (4 libri) e De coloribus (trattato pseudo aristotelico che fa parte degli scritti composti all’interno del peripato ma non è probabilmente opera di Aristotele stesso in quanto stilisticamente è meno sofisticato di altri trattati aristotelici e anche a livello delle teorie che sviluppa ci sono discrepanze rispetto alla teoria dei colori classica di Aristotele). Il De Anima rappresenta il punto di partenza fondamentale per capire che cosa Aristotele ha in mente quando parla dei colori. Si tratta di una teoria che si discosta molto – soprattutto da un punto di vista dell’impianto teorico che presuppone – dalle teorie che abbiamo visto finora che, pur nella loro diversità l’una dall’altra avevano alcuni caratteri di somiglianza (soprattutto per questa teoria relativa agli effluvi che, seppure di natura diversa, sono emanati dai corpi sensibili; sia per l’idea degli effluvi che escono dagli occhi). Aristotele si vuole discostare in modo evidente dal Timeo di Platone e quindi presenta una teoria che si allontana definitivamente da una descrizione corporea dei colori e della percezione. Nei casi considerati finora conoscere la teoria della percezione era fondamentale per capire come venivano spiegati i colori (per tutti gli autori questi due aspetti erano in parallelo, senza uno non si poteva capire l’altro); per Aristotele questo (la percezione in sé) non è importante perché il colore è una proprietà dei corpi, a prescindere dal fatto che sia o non sia percepito esso esiste come una proprietà o una caratteristica dei corpi sensibili. Nel caso di Aristotele si parte dalla definizione che Aristotele dà di che cos’è la trasparenza e che cos’è la luce. Il concetto fondamentale da cui partire è che per Aristotele, la luce è una proprietà di una sostanza trasparente, come l’aria o l’acqua. La luce, nella definizione aristotelica, è la proprietà di una sostanza trasparente vedremo che questa non ha una natura corpuscolare, fisica – come invece era nella maggior parte delle teorie precedenti – ma diventa, proprio nel tentativo di sottrarre la caratteristica fisica o corporea della luce, sfruttando la distinzione tra potenza e atto, una proprietà di un corpo o di una sostanza trasparente. Questa discussione sulla natura della luce compare nel II libro del De Anima (originariamente composto da 3 libri). Aristotele dà qui una definizione di che cosa intende con trasparente o trasparenza. C’è il concetto di medium, di una sostanza intermedia tra l’osservatore e l’oggetto osservato (già presenta nelle precedenti teorie) ma in questo caso, il modo in cui viene trattato questo medium è particolare: è da un lato un oggetto fisico (quando parla di aria, acqua e “ciò che si trova in alto”, cioè l’etere) e alcuni di questi elementi (aria e acqua) sono trasparenti. L’idea della trasparenza implica il fatto che ci sia qualcosa che possa passare attraverso e questo qualcosa, secondo Aristotele, è la luce. La cosa che distingue questa teoria dalle altre precedentemente trattate è il fatto che questo qualcosa che ci permette di vedere attraverso non è la luce stessa, essa non è infatti qualcosa che ha una proprietà in sé fisica e corporea (non è un oggetto o un corpo che in qualche misura riempie lo spazio) bensì è una proprietà dell’aria stessa. Ciò che riempie lo spazio è l’aria e la luce viene presentata come una proprietà dell’aria proprio perché quest’ultima è trasparente (se non lo fosse non avremmo la luce quindi trasparente è ciò che è visibile e la luce è una proprietà della sostanza trasparente). Questa TEORIA DELLA LUCE ARISTOTELICA si discosta molto dalla nostra idea intuitiva e deterministica di luce, per noi infatti è un oggetto fisico, è un qualcosa che viene emanata da un corpo e come tale si diffonde nell’ambiente come un oggetto fisico. Quando si cerca di capire questo punto di vista differente è come quando ci si trova all’interno di una stanza oscura e improvvisamente venga accesa la luce. L’istantaneità del momento – di cui non percepiamo una temporalità - permette di percepire la luce non come qualcosa che si muove nello spazio e lo va a riempire ma come qualcosa che è una proprietà stessa della sostanza trasparenza che è attraversata dalla luce. Essendo una proprietà della sostanza trasparente si può manifestare ed esprimersi in atto o in potenza. Quando è in atto abbiamo la trasparenza che ci permette di vederci e percepire i colori mentre quando è un potenza questa capacità non c’è.  Il passaggio da una trasparenza in potenza a una trasparenza in atto è provocato dalla presenza di una fonte di luce (sole, astri o fuoco). La sorgente di luce è ciò che permette alla proprietà del medium trasparente di passare da una trasparenza in potenza a una trasparenza in atto. Per Aristotele non c’è un movimento dei corpi che devono attraversare uno spazio e andare a colpire gli organi di senso; per lui ognuno dei 5 sensi è come se fosse – nella sua visione teleologica – programmato per percepire determinate cose della realtà. Il colore o la luce sono degli aspetti che possono essere percepiti solo dalla vista ma quello che quest’ultima percepisce è una forma senza sostanza. Affinchè questo possa succedere deve esserci un medium attraverso cui la forma si propaga in modo non corpuscolare/fisico. Non c’è nulla che esce dall’occhio e nemmeno c’è nulla di corporeo che dall’oggetto esce e colpisce l’occhio. Nella classificazione aristotelica abbiamo due tipi di corpi trasparenti che lui distingue tra corpi indeterminati (aria e acqua), che non hanno dei limiti e che hanno la funzione di media, ciò attraverso cui qualcosa avviene oppure dei corpi trasparenti determinati, veri e propri corpi dotati di confini e limiti (vetro). Abbiamo la definizione classica che viene attribuita da Aristotele: il colore per Aristotele è il limite del diafano (del trasparente) in un corpo determinato. Il passaggio fondamentale è che finora, parlando di luce in relazione alla trasparenza si parlava di media, corpi attraverso cui si vede. Quando si parla di colori si parla di caratteristiche di corpi specifici, determinati. L’aria è ciò che permette di vederci. La prima cosa che percepiamo quando ci relazioniamo tra di noi sono i colori, i quali sono caratteristiche dei singoli corpi indeterminati. Ogni singolo oggetto che noi vediamo ko vediamo perché siamo in un medium trasparente in atto e ogni singolo oggetto è di per sé colorato quindi il colore è comunque una proprietà dell’oggetto e, in un certo senso è la parte più esterna, non perché non caratterizza tutta la sostanza dell’oggetto ma nelle parti interne è sempre in potenza, non si attualizza mai, mentre nella parte esterna sarà in atto e sarà attualizzata dalla fonte luminosa che attiva la trasparenza del medium. Aristotele si richiama spesso ai pitagorici e c’è questa idea secondo cui il colore è la superficie dei corpi, per Aristotele questo non può essere in quanto la trasparenza è una caratteristica di tutta la sostanza che compone il corpo ma solo nella parte esterna, nel limite, la luce fa passare la trasparenza da potenza all’atto. I due colori su cui Aristotele si sofferma maggiormente – e per mezzo dei quali si generano tutti gli altri colori - sono il bianco e il nero, il luminoso e l’oscuro. 1. La trasparenza è presente in ogni parte di un corpo, sia interna che esterna. All’interno, tuttavia, sarà sempre in potenza. 2. Ognuno dei 4 elementi è dotato di un particolare grado di trasparenza: fuoco: massimo della trasparenza – il colore tende al bianco. aria acqua terra: minimo della trasparenza – il colore tende al nero. Il fuoco produce il “chiaro” (o luminoso) nel diafano di un corpo indeterminato, mentre ingenera il ‘bianco’ nel diafano di un corpo determinato. L’assenza di luce produce lo ‘scuro’ nel diafano di un corpo indeterminato, mentre ingenera il ‘nero’ nel diafano di un corpo determinato. Mentre i corpi determinati sono colorati in senso proprio, i media sono colorati in quanto illuminati. 3. Il colore è il limite del diafano (trasparente) in un corpo determinato. Infatti, in un corpo determinato, solo la parte esterna può essere trasparente in atto (e non solo in potenza) Ci concentriamo sul De Sensu. Abbiamo visto che il colore – ovvero la proprietà di un corpo determinato che ha a che fare con la trasparenza -, nella definizione classica di Aristotele, sarebbe il limite della sua trasparenza, nel momento in cui l’essere trasparente è presentato nel De Sensu come una caratteristica tipica di tutti i colori. Come si creano questi colori? Per ora il discorso della trasparenza si legava soprattutto al bianco o al nero o – più nel dettaglio – all’essere illuminato o lucente e l’essere buio. Come si formano gli altri colori? In che rapporto sta la formazione di questi colori con la teoria dei 4 elementi? Si parte dal presupposto che nella fisica aristotelica ogni corpo sensibile – e quindi colorato – è formato dai 4 elementi. Aristotele discute tre modi differenti secondo cui i colori si possono formare nei corpi con la mescolanza di bianco e nero. In questo senso la teoria Aristotelica è in linea con quanto abbiamo visto nella teoria empedoclea. Con Empedocle i due colori primari, dalla cui unione nascevano tutti gli altri colori, erano il bianco e il nero con la grossa differenza che, mentre Empedocle diceva che gli elementi avevano colori (il fuoco è bianco e la terra è nera), per Aristotele non è così (la terra è l’elemento meno trasparente mentre il fiuoc o è l’elemento più trasparente). Per il filosofo peripatetico quindi gli elementi determinano il grado di trasparenza di un corpo e il colore è il limite di questa trasparenza. E’ chiaramente l’unione degli elementi che crea il differente grado di trasparenza di un corpo però in base alla trasparenza si determina il colore stesso. Dall’unione di luminosità e di oscurità – o in termini cromatici dall’unione di bianco e nero – si crea il colore che noi percepiamo di un corpo. La domanda che Aristotele si fa è come dall’unione del bianco e del nero si possono creare gli altri colori? Egli parla di tre possibilità secondo cui bianco e nero si possono combinare:  Giustapposizione:  Sovrapposizione  Combinazione o Mescolanza Di queste tre teorie che lui analizza quella propriamente aristotelica è la Mescolanza mentre le prime due sono ipotesi che Aristotele prende da altri autori (probabilmente una di queste ricorda la teoria Empedoclea). È arrivato a porre il punto secondo cui la presenza di una fonte luminosa crea il chiaro e il luminoso in un corpo indeterminato mentre crea il bianco in un corpo determinato; l’assenza della fonte di luce crea l’oscuro in un corpo indeterminato e il nero in un corpo determinato. Sulla base di questo, visto che bianco e nero sono i due colori appena definiti ora si chiede come è possibile che da questi due colori si generano gli altri colori. stesso sia un corpo trasparente e che ci deve essere perfetta coincidenza tra il medium e l’occhio affinchè la trasparenza dell’oggetto (quello che determina il colore) si possa imprimere al medium (aria) e successivamente all’occhio. Ciò che si muove è semplicemente una forma che modifica il medium e lo stesso occhio (esempio di un sigillo che si imprime sulla cera). Jori spiega: E’ come se l’apparizione del colore, che è una trasparenza in atto del corpo determinato, provocasse un’immediata trasformazione del medium e dell’occhio stesso in quanto questa forma si propaga immediatamente attraverso lo spazio negli occhi (elemento di immediatezza del colore come della luce). Il colore nei confronti dell’occhio si comporta come la luce si comporta nei confronti degli oggetti. Quando la fonte luminosa rende il medium trasparente e attualizza i colori di ogni oggetto di questo medium allora ciascuno di questi corpi è come se attualizzasse la potenza dell’occhio e quindi permettesse all’occhio di prendere la forma del colore che si percepisce, senza che ci sia da parte dell’oggetto l’emanazione di nessuna impronta (sistema che elimina la fisicità della luce).  COLORE PER MESCOLANZA Per Aristotele il colore si forma per unione di bianco e nero che però non è per giustapposizione o sovrapposizione ma per mescolanza. Si tratta di una mescolanza dei 4 elementi che, mescolandosi tra di loro, determinano come facoltà emergente il grado di trasparenza di ciascun corpo e sulla base di questo si ha il colore di quel corpo – cioè, il limite della trasparenza del corpo stesso. Si tratta di un’idea innovativa perché uno dei primi problemi trattati riguardava la teoria empedoclea e abbiamo visto che il modo in cui si giustificava la teoria dei 4 elementi di Empedocle era parlando del problema di come questi potevano mischiarsi tra di loro, se dalla loro mescolanza creasse qualcosa di nuovo. Alcuni – come Galeno – pensavano la mescolanza come di oggetti fisici che si giustappongono l’uno dall’altro e quindi un qualcosa che non si mescola mai veramente. Aristotele cerca di superare questo problema dicendo che dobbiamo immaginare l’unione dei 4 elementi non come oggetti fisici ma si mescolano e creano dei corpi che hanno differenti grado di trasparenza- che non è di per sé qualcosa che si deve immaginare nell’elemento stesso. L’ALCHIMIA L’alchimia nelle sue forme più antiche, basilari e costitutive è una scienza di colori, che ha come principale interesse le tinture. In che rapporto stia questo approccio degli alchimisti al mondo colorato e la riflessione che i filosofi antichi hanno avuto su che cosa sia il colore e che cosa implichi dal punto di vista percettivo è una domanda che ha animato la curiosità moderna. I testi di alchimia che si studiano sono testi che si collocano tra il I e il VI secolo d.C. Si tratta di testi composti per la maggior parte nell’Egitto greco-romano. Ci sono due definizioni che sono state proposte su che cosa sia l’alchimia da due importanti studiosi della filosofia della scienza. Andrè Jean Festugiere, uno studioso che ha scritto tantissimo su Plotino e ha lavorato tanto sugli scritti di Ermete Tristegisto. In una delle sue opere più importanti La Rivelazione di Ermete Tristegisto – un’opera in 3 volumi il cui primo è Sulle Scienze Occulte – nel volume dedica una parte cospicua all’alchimia e ne propone una definizione: L’alchimia greco-egiziana da cui tutte le altre derivano è nata dall’incontro di un fatto e di una teoria. Il fatto è la pratica tradizionale in Egitto delle arti dell’oreficeria, la dottrina è un miscuglio di filosofia greca ispirata a Platone e Aristotele e fantasie mistiche. Nel modo in cui Festugiere presenta la definizione dei testi antichi si rifà all’alchimia greco-egiziana dotata di due elementi fondamentali: uno pratico che si lega all’arte metallurgica e della lavorazione dei metalli preziosi e delle dottrine teoriche che derivano da filosofi. Joseph Needham, uno studioso del mondo cinese ma anche un biochimico e biologo. Egli scrive in vari anni 7 volumi dell’opera Science and Civilisation in China. Needham scompone in Aurifiction, Aurifaction e Macrobiotics – legati all’ambito della fabbricazione dell’oro e all’immortalità dell’anima - e, secondo lui, sono tutti presenti nella tradizione cinese. Nella tradizione greco-egiziana soltanto i primi due elementi sono evidenti, non tanto quello legato all’immortalità dell’anima. Needham si chiede che cosa significa trasformare un metallo in oro? Secondo lui è possibile distinguere questi due approcci con cui già gli antichi percepivano e concettualizzavano questa pratica. L’elemento centrale nella fiction è l’imitazione, cioè la contraffazione. Il buon artigiano, tramite delle tecniche apposite era in grado di imitare il tutto ma era consapevole che sta facendo una copia di una qualcosa di autentico. La questione di partenza si lega all’idea che ha Lidan per cui l’alchimista è un filosofo che si auto-inganna, è di fatto una persona che non è, come l’esperto artigiano, consapevole di star costruendo un’imitazione ma anzi è una persona che ha una certa competenza tecnica e, interpretando il procedimento di bottega con determinate teorie filosofiche in mente, è convinto di ottenere una trasformazione che in realtà non c’è. Lidan, nella definizione di Aurifiction partiva da questa idea che l’imitazione dell’oro è falsa, una volta che viene messa alla prova del laboratorio ma questa falsificazione non vale per l’alchimista-filosofo in quanto si auto-inganna da solo con le proprie teorie. Si tratta di un ragionamento moderno secondo cui ogni esperimento in realtà non è mai una prova completamente scevra di un presupposto teorico e quindi quando si testa una teoria già si sa quello che si vorrebbe ottenere e questa idea ha poi un’influenza e una ricaduta sui risultati dell’esperimento stesso. L’alchimista si presenta quindi come colui che tramite la sua pratica sperimentale, cambiando il colore del metallo – facendo passare il metallo dal colore argento al colore oro - è convinto di trasformare la materia perché arriva già con la convinzione che questo sia possibileha già una sorta di bagaglio concettuale che gli permette di dire che quello è possibile. AURIFACTION Si deve cercare di capire se questa forte dicotomia che emerge dall’approccio di Lidan sia effettivamente quello che si ritrova ad una lettura analitica sulle fonti a disposizione. Lidan era uno scienziato che aveva un’esperienza sul campo e sapeva che cosa significava stare dentro un laboratorio scientifico e le problematiche relative. Egli parla di un filosofo protochimico (il nome di come venivano indicati gli alchimisti in questo periodo). Gli alchimisti sono i filosofi e non a caso l’oro che veniva da loro prodotto si chiamava per l’appunto «l’oro dei filosofi». Le fonti alchemiche che si possiedono sono diverse:  Due papiri: Papiro di Leida Papiro di Stoccolma  Quattro libri sulla tintura appartenenti allo Pseudo-Democrito: Sulla fabbricazione dell’oro Sulla fabbricazione dell’argento Sulle pietre preziose Sulla porpora  24 (o 28) libri alchemici appartenenti a Zosimo di Panopoli e inseriti nella tradizione greca e siriaca. Secondo la classificazione proposta da Lidan c’è una dicotomia, da una parte c’è l’Aurifiction e dall’altra l’Aurifaction; per Lidan i papiri di Leida e di Stoccolma fanno parte dell’ Aurifiction, cioè sarebbero il prodotto di esperti che erano consapevoli del fatto di produrre un’imitazione mentre i 4 libri dello Psudo- Democrito fanno parte di questi filosofi proto-chimici che credevano effettivamente nella trasformazione dell’oro e quindi si auto-ingannavano. Lidan applica questa dicotomia, queste due categorie che usa in contrapposizione anche per classificare la cultura alchemica greco-romana (I-II secolo d.C.) «the papyri were the works of technicians who intended to decieve, while the writings of the Corpus (alchemicum) were set down by chemical philosophers who believed that gold in some sense had really been produced in their operations» I papiri di Leida e di Stoccolma sono dei veri e propri ricettacoli, e complessivamente i due papiri tramandano quasi 200 ricette che variano dall’ambito metallurgico (legato alla formazione di leghe e alla lavorazione di metalli), a quello della fabbricazione di pietre preziose (o imitazione) e alla finitura dei tessuti in corpo.  PAPIRO DI LEIDA – Ricetta 3 Sulla fabbricazione dell’argento Sulla fabbricazione delle pietre Sulla tintura in porpora Democrito nell’antichità era noto anche come studioso della natura, delle proprietà naturali: TESTIMONIANZA DI PETRONIO. L’opera di Democrito in 4 libri, tramandata da vari manoscritti medievali in realtà non abbiamo tutti e quattro i libri ma solo due: Sulla fabbricazione della porpora e dell’oro. Sulla fabbricazione dell’argento. Si hanno quindi due scritti, il primo è in realtà un’unione del quarto libro sulla porpora e del primo libro sull’oro. La prima parte del libro Sulla fabbricazione della porpora e dell’oro riguarda più propriamente la porpora: 1) Ricetta tintura in porpora 2) Lista di sostanze coloranti 3) Racconto sulla iniziazione di Democrito La seconda parte si concentra sulla fabbricazione dell’oro: 1) Paragrafo introduttivo 2) Tredici ricette sulla fabbricazione dell’oro Democrito descrive e cerca di spiegare all’interno dei suoi scritti le trasformazioni che queste ricette producono. Si tratta di trasformazioni principalmente prodotte o dall’utilizzo di sostanze tintorie solide o dall’utilizzo di sostanze tintorie liquide, esattamente con lo stesso tipo di tecnologia descritta nel papiro di Leida. Proprio nel libro sulla fabbricazione dell’oro, le ricette sulla fabbricazione dell’oro sono divise in due parti da una sezione centrale, teorica in cui Democrito spiega che cosa immagina che possa succedere: o nature….molte specie C’è questa idea della natura che, attraverso le sue trasformazioni, è come se esplicitasse le sue potenze generatrici e produttive e queste trasformazioni avvengono attraverso il procedimento della tintura. Non a caso le sostanze, una volta dissolte hanno una capacità di esplicitare la propria proprietà (idea molto antica, anche con Aristotele e solo nel ‘900 si inizierà a pensare che una reazione possa avvenire anche tra sostanze solide). Democrito ragiona su questa tintura che penetra più o meno in profondità, che è più o meno fuggevole. Rimane la credenza di poter arrivare a un punto in cui l’uomo è capace in tutto e per tutto di imitare una natura e riprodurre l’oro. È questa forza propulsiva che permette il proseguire dell’alchimia: l’idea che la natura sia riproducibile e che l’uomo possa arrivare a un punto tale per cui ci si può avvicinare sempre di più. C’è una grande fiducia nella capacità produttiva e trasformativa della natura stessa che l’alchimista cerca di conoscere, governare e l’attraverso l’utilizzo di vari parametri per capire quanto si avvicina continua a mantenere la speranza che questo processo naturale sia riproducibile.  RICETTA 9 – Sulla fabbricazione dell’argento. Si descrive l’utilizzo di una sostanza liquida che possiamo assimilare a un’acqua divina nonostante gli ingredienti che rientrano nella composizione di questa acqua divina siano più numerosi rispetto a quelli presenti nel papiro di Leida (erano solo calce e zolfo). Anche qui si crea una sostanza liquida all’interno della quale si immerge un foglio di metallo con l’idea di produrre l’argento (da rame ad argento), non più di trasformare l’argento in oro. Prendi un’oncia di orpimento (solfuro di assenzio), mezza oncia di nitron (domina la natura) due once di tenere scorze di tenere foglie di tersea, mezza oncia di sale, un’oncia di succo di more selvatiche, la stessa quantità; tintura in aceto o urina, o calce filtrata finché non diventino un liquore, immergici al fuoco le foglie metalliche ombrose (…). La natura domina la natura. Tutte le ricette di Democrito si concludono in questo modo: la natura domina la natura, la natura vince la natura o la natura si compiace o si rallegra della natura. Si tratta quasi di una firma pseudo-democritea. L’elemento interessante è il modo in cui Democrito descrive lo sbiancamento del metallo. Quando Democrito parla delle “foglie metalliche ombrose” che cosa intende? Una delle prime ipotesi che sono venute in mente è che l’ombra sia una sorta di ruggine e che quindi sia una sorta di rame ossidato. La seconda ipotesi è che questo rame ombroso che fa ombra indichi in qualche modo una trasformazione cromatica del colore stesso del metallo. Mettendo una foglia di rame non ossidato nelle due soluzioni, in quella di aceto non succede nulla mentre in quella di calce il foglio di rame cambia colore velocemente ed è possibile arrivare a un colore del rame molto simile a quello dell’argento. Il modo in cui lo pseudo-Democrito descrive questo cambiamento all’interno della ricetta è come un qualcosa che passa da un colore ombroso a un colore che è invece lucente. Il fatto di indicare che il colore come quello dell’argento si possa descrivere come un colore sensorio, privo di ombra, è un qualcosa che abbiamo già ritrovato nei passi che Teofrasto riporta per descrivere il colore bianco secondo la teoria dei colori di Democrito. È interessante vedere come già nel Democrito autentico ci sia già l’idea di un colore bianco che si lega a qualcosa di liscio e che non ha ombra e per questa ragione è lucente. L’idea di rendere qualcosa da un colore un po’ più scuro inteso come ombroso a un colore bianco inteso come senza ombra è un’idea che compare già. Questo aspetto ci dà un ulteriore elemento anche per capire come mai i primi testi alchemici siano attribuiti a Democrito, proprio perché – nel modo in cui venivano descritte alcune trasformazioni cromatiche – vengono categorizzate come Democrito (proposta da studiosi degli anni ’60 ma non è mai stata messa in evidenza). ZOSIMO di Panopoli (III-IV d.C.) Si tratta della figura un po’ più nota e un po’ meno oscura tra gli alchimisti greco-egiziani. È uno dei primi autori di cui abbiamo il nome, non abbiamo semplicemente l’attribuzione delle opere pseudo-epigrafe come per altri autori ma abbiamo il nome e qualche notizia biografica che si legano a un personaggio storico realmente esistito. Siamo 200/250 anni dopo gli scritti pseudo-democritei tanto che Zosimo guarda a Democrito come un maestro. La maggior parte delle fonti biografiche cha abbiamo sono in parte tramandate dai suoi scritti (a volte di Zosimo stesso ci dà qualche informazione sulla sua vita); dopodiché un’altra fonte importante è il lessico bizantino: il Lessico Suda, questa sorta di enciclopedia bizantina dove si hanno nomi di tante arti e tanti autori, tra i quali anche Zosimo. Zosimo, un filosofo di Alessandria. chemeutika a sua sorella Teusebia. Secondo le lettere dell’alfabeto inventò (..)secondo alcuni intitolato cheirokmeta. Una vita di Platone. Ci sono diversi elementi di interesse:  Zosimo non viene detto di Panopoli ma viene detto di Alessandria (prima discrepanza). Noi sappiamo che è di Panopoli perché lo stesso Zosimo si presenta come un autore di Panopoli in tutti i suoi scritti medievali che sono tramandati. Panopoli è una zona sud dell’Egitto, corrisponde all’odierna Acmieun mentre Alessandria è nel basso Egitto (nord), vicino alla foce del Nilo. Questa discrepanza si può spiegare probabilmente dicendo che Panopoli fosse la città dove Zosimo è nato ma sappiamo che egli viaggiò e si recò ad Alessandria. Nei suoi scritti fa riferimento alle biblioteche nelle quali si reca per consultare vari scritti (in particolare la Biblioteca di Sarapeion).  Avrebbe scritto quest’opera in molti libri (28 secondo il Lessico Suda) a cui vengono attribuiti due titoli; da un lato chemeutika e dall’altro cheirokmeta. Si pensa che chemeutika indichi il soggetto degli scritti di Zosimo e che cheirokmeta sia il nome dell’opera ma non abbiamo un riscontro nella tradizione del titolo. Si potrebbe tradurre come scritti di alchimia ma comunque in entrambi i casi si fa riferimento all’alchimia.  Teusebia è la donna a cui sono dedicati gli scritti. Si tratta secondo le tradizioni di una donna vedova, forse romana che si è trasferita in Egitto, molto ricca, forse Zosimo le era maestra e probabilmente ella supportava economicamente Zosimo. Teosebia figura importantesi narra che Zosimo si arrabbia con lei perché essa comincia a seguire le lezioni di alchimia di un altro medico egiziano.  L’opera della Vita di Paltone non ci è rimasta ma è un’indicazione preziosa in quanto indica l’interesse nei confronti della tradizione precedente e soprattutto della tradizione platonica e neoplatonica.  Quando Zosimo parla dei 28 libri secondo le lettere dell’alfabeto non si capisce bene di cosa parli perché le lettere dell’alfabeto greche sono 24. La spiegazione più semplice è quella che il 28 sia un errore. L’altra possibilità che qualche studioso ha supposto è che questi 28 libri siano in realtà legati alla lingua in cui erano scritti i testi di Zosimo che era la lingua kotta a cui si aggiungono 4 lettere per veicolare i suoni che in egiziano esistono ma in greco no. È stata ritrovata nel 1945 una importantissima biblioteca gnostica di testi kotti molto vicina a Nag Hammadi, che contiene molti testi (non alchemici) di ermetismo- che ha qualche punto di contatto con l’alchimia di Zosimo. Ci rimangono 4 gruppi di scritti che sono attribuiti a Zosimo che sono estratti da questi 28 libri riarrangiati in 4 piccole combinazioni, fortemente epitomata rispetto ai 4 libri che dovevano esserci. Buona parte delle opere sono state tradotte in siriaco e in arabo. Memorie autentiche Si tratta di un titolo che non è dato da Zosimo. Il fatto stesso che si parla di autenticità è un sintomo che qualcun altro ha tratto questa antologia che tratta delle opere di Zosimo e le ha presentate come autentiche. Si tratta di una serie di 12/13 scritti (nell’ultimo si dibatte sull’autenticità) che trattano di temi differenti, si tratta di selezioni che il compilatore ha tratto dalle opere di Zosimo su temi che lo continuano ad interessare particolarmente: ci sono alcuni scritti di natura teorica (la prima di queste memorie autentiche è una discussione sulla forma e sul valore simbolico della lettera omega e come essa possa simboleggiare alcuni aspetti del pensiero alchemico e prosegue con una lunga discussione su che cosa siano le tinture opportune). abbiamo alcuni scritti tecnici in cui Zosimo descrive gli strumenti che venivano utilizzati. abbiamo alcune memorie, le ultime, che trattano dei sogni che Zosimo ha fatto, in cui sogna determinati procedimenti alchemici. Questi sogni alchemici sono i testi che hanno catturato l’attenzione di Jung e sono i primi testi alchemici che mostrano in modo più evidente questo aspetto più spirituale dell’alchimia. Questi testi descrivono un processo di purificazione o introspezione del praticante stesso  MEMORIA 5 Parla dell’acqua divina in termini molto tecnici, non si tratta di una ricetta. Questo è il divino e grande mistero, l’oggetto della ricerca, infatti esso è pitto, due nature una sola essenza, l’una attira l’altra e l’una domina l’altra; questa è l’acqua d’argento ermafrodito, ciò che fugge sempre, ciò che si affretta verso le realtà proprie, l’acqua divina che tutti hanno ignorato, motivo per il quale la sua natura è difficile da conoscersi. Infatti, non è nel metallo né acqua sempre in movimento, né un corpo poiché non si può afferrare, e infatti possiede vita e spirito e ha un poter. Colui che la comprende consegue sia ombra sia luce. Nei testi di Zosimo, la maggior parte hanno un carattere criptico e una prosa molto densa. Il fatto che queste arti tintorie abbiano una capacità trasformativa è stato interpretato come se questa capacità ci sia dietro un riferimento a una pratica di trasformazione della materia (presenza del fuoco come elemento che viene esplicitamente menzionato in questo rituale). Interessante che un’operazione alchemica venga rappresentata come un rituale e viceversa; si tratta di un’idea che noi oggi tendiamo a dare per scontata nel modo in cui pensiamo a dei procedimenti di laboratorio (ancora ha un aspetto sclerotizzato: si tende a ripetere una serie di azioni nel modo più ripetitivo possibile in modo da ottenere sempre lo stesso risultato – problema della replicabilità di qualsiasi esperimento scientifico). No, idea di esperimento scientifico per come lo intendiamo noi ma nel concetto di rituale oltre alla dimensione religiosa/trascendente che viene ricondotta nel contesto operativo, c’è anche un’idea di una ripetizione che si lega all’aspetto più propriamente pratico. L’esito di questo rituale: nel momento in cui le sostanze sono antropomorfizzate, diventano figure vive, semiumane che subiscono violenza è chiaro che rendano il rapporto tra materia e praticante, tra oggetto e soggetto molto più labile e tendono a rendere un’identificazione tra oggetto e soggetto molto più evidente soprattutto nella dinamica del sogno stesso. Si tratta di un punto spesso sottolineato quando si tende a dare una lettura spirituale: la trasformazione della materia da corpo a spirito nella sua polisemia è interpretato in modo diverso. Nel momento in cui Zosimo si sveglia egli fa un riferimento sperimentale: le acque sono probabilmente quelle divine, il riposo delle acque potrebbe indicare come la descrizione di varie sostanze che vengono messe dentro un liquido all’interno di una fiala e semplicemente mischiate, bollite per produrre un’acqua alchemica e il riposo delle acque corrisponde al momento in cui questa acqua alchemica viene lasciata sedimentare. Jung sull’interpretazione che Zosimo dà di tutto ciò che ha visto in modo quasi del tutto semplicistico, sostiene che l’alchimia sia descritta in questo modo sia una pratica di purificazione spirituale e di una progressiva autodeterminazione, del modo per cui riusciamo a identificare meglio e a purificare il nostro inconscio. Proprio perché l’alchimista non è perfettamente conscio di tutto il valore psicologico che tutta l’azione alchemica ha su di lui che possiamo immaginare che l’alchimista nel momento in cui opera nel laboratorio in realtà operi sul proprio inconscio perché esso per potersi trasformare lo deve fare in modo non del tutto consapevole all’inizio e questa inconsapevolezza nascerebbe dal fatto che Zosimo stesso non si rende conto del vero valore e quindi ne dà una interpretazione piuttosto frettolosa.  Secondo Jung questo è indice del fatto che questo sogno non è una costruzione letteraria, non è qualcosa che Zosimo si inventa, proprio perché – come capita spesso nei sogni - quando ci si sveglia si dà un’interpretazione banale di quello che si è sognato e questo indica il fatto che tutto questo valore della partica alchemica ce l’ha in modo non conscio “è come se la pratica del laboratorio fosse un scehrmo in cui l’alchimista proietta il proprio inconscio per riscoprirlo e dominarlo e purificarlo” ovviamente in questo senso la pratica alchemica ci deve essere altrimenti mancherebbe lo schermo su cui proiettare l’inconscio ma la vera azione dell’alchimista sarebbe poi sull’inconscio stesso. Riferimento chiaro all’atromorfizzazione degli elementi: uomo di rame che tiene in mano una tavoletta di piombo sembrerebbe gettarsi all’interno dell’altare fiala dove si trova questa massa di elementi che sono in ebollizione e sono stati mischiati insieme. Il rifermento all’uomo di rame che tiene una tavoletta di piombo è un riferimento a una lega rame-piombo che, a livello operativo, veniva molto spesso utilizzata nelle pratiche alchemiche come elemento di base che si tentava di trasmutare proprio perché sono i due metalli vili più frequenti. Riferimento a un rituale che si svolge in un tempio: c’è un riferimento a un luogo preciso di macerazione, che può essere un termine tecnico ma con un chiaro riferimento alla procedura di staccare uno spirito dal corpo che da un lato si presta benissimo a una lettura chimica (in questo senso potrebbe essere un vapore); dall’altro lato abbiamo una lettura più legata alla praticanza, tramite la quale si ha una purificazione dello spirito. Quando tingo un qualcosa (rame in oro) l’oggetto tinto ha a sua volta proprietà tintorie: l’oro alchemico è si frutto di una trasformazione cromatica ma a sua volta ha la capacità di trasformare ciò con cui entra a contatto e questo è legato al fatto che molti di questi procedimenti erano alla fine delle tecniche per fare delle leghe metalliche quindi si tendeva ad andare ad aggiungere per creare qualcosa di nuovo. posizione di tutte le cose e la connessione dell'insieme, senza metodo, non si produrrebbero. Il metodo naturale consiste nel rarefarsi e condensarsi del soffio, nel con- servare le regole, nell'accrescéte e nel porre fine. Così tutte le cose, per dirla in breve, accordandosi nella sepa- razione e nell'unione, senza mai abbandonare il metodo, rivolgono in circolo la natura. Infatti, la natura, volgen- dosi, si rivolge su se stessa. Tale è la natura dell’eccellen- za di runto l'universo e il suo nesso. È per non scriverti troppo a fungo, carissima, costrui- sci per te un tempio fatto di una sola pietra, di cerussa o di alabastro, oppure di marmo di Proconneso, che non abbia né inizio né fine nella costruzione”! e che contenga dentro una sorgente di acqua purissima e una splenden- te luce solare. Devi avere grande cura nell'osservare do- ve sia l'entrata del tempio; prendi nelle tue mani una spada e cerca così l’entrata. Infatti, il luogo in cui c'è l'apertura dell'ingresso ha un’imboccatura stretta e un serpente si irova all'entrata per custodire il tempio. Quando lo avrai sottomesso, comincia il suo sacrificio e, dopo averlo spellato, scorticato e aver preso le sue carni insieme alle sue ossa, separale membro per membro; do. po aver riunito una a una le membra presso l'entrata del tempio, costruisciti un piedistallo, montaci sopra, entra e vi troverai la cosa ricercata. Infatti il sacerdote, l'uomo di rame che vedi seduto presso la sorgente e che riunifi- ci la cosi, nos lo veli pi ccme vi vomo di seme «ali a mutato u suo colore naturale eq e divenuto un uomo d'argento; € qualora tu lo voglia, dopo un po’ di tempo, diventerà un vomo d'oro. Questa introduzione è per te la chiave per svelare il fior fiore dei discorsi che si trovano qui sotto: ricerche di virtù, di sapienza e di saggezza, dogmi dell'intelligen- za, metodi efficaci e rivelazioni di parole nascoste, che diventano chiare; e il tempo dell'eccellenza realizza tut- to secondo il metodo. E in che cosa la natura è, essa stes- sa, vittoriosa sulle nature? Essa si perfeziona, è presa da vertigine e, costretta alla ricerca, si confonde nel volto comune di tutte le cose, poiché l’opera è oggetto d'amo- re, e divora la materia particolare della specie. E poi, de- caduta così dalla sua forma precedente, pensa di morire e, ogni volta che, parlando in lingua barbara, imita con- trovoglia l'accento ebraico,® allora, punendo se stessa, l'infelice si fa più leggera, contenendo una miscela delle proprie membra e l'umidità insieme al fuoco; ed è così Costa copioni In tale "iecorione di spirito, dopo aver rrasmutaro con sicurezza la natura, concèntrati e osserva che essa, che sembra costituita da molte materie, è fatta in realtà di una sola materia. Non riferire chiaramente a nessuno questo sapere eccellente, ma resta salda in te, affinché, parlandone, tu non ti rovini. Infatti è il silenzio che inse- gna l'eccellenza. Ed è bello vedere le trasformazioni dei quattro metalli, piombo, rame, argento e stagno, finché non diventino oro Prendi del sale e inumidisci lo zolfo, quello che brilla © che ha il colore di un raggio di miele. Lega la forza del- l'uno e dell'altro, mescolavi del vetriolo e fai da essi del- l'aceto, primo fermento dell'opera, e vetriolo. Proceden- do gradualmente nel lavoro su queste sostanze, domerai necessariamente il rame di aspetto bianco; e dopo il quinto procedimento troverai che, sotto l'azione dei tre vapori, si forma come risultato ciò che è chiamato oro. Osserva dunque come, domando la materia unica, ottie- ni la specie unica, proveniente da molte specie.
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