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Marketing e Branding: Amuchina e Strategie di Successo - Prof. Conz, Appunti di Marketing

Su amuchina, un brand di pulizia e sicurezza domestica, e le sue differenze rispetto agli altri. Vengono presentate tendenze sociali come il make-up genderless e l'importanza di conoscere il target e l'utilizzo degli strumenti di comunicazione. Inoltre, vengono esplorate le strategie di marketing come cross selling, brand extension, brand dilution, amicizia, libertà e socialità, international branding, branding, rebranding, brand activism, intensiva, selettiva e esclusiva distribuzione, prodotti correlati e stagionali. Informazioni utili per studenti universitari di marketing e comunicazione.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 28/02/2024

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Scarica Marketing e Branding: Amuchina e Strategie di Successo - Prof. Conz e più Appunti in PDF di Marketing solo su Docsity! Marketing L’obiettivo del corso è sviluppare le conoscenze del marketing a livello pratico e teorico. Il marketing è ovunque intorno a noi. Ogni volta che si effettua un acquisto online si riceve una mail in cui viene richiesta la nostra opinione sul prodotto o servizio acquistato. Si tratta di un’attività che le aziende Customer Centric Organization (CCO, che mettono al centro il consumatore) fanno per raggiungere un obiettivo di advocacy, cioè farsi portavoce di messaggi. È fondamentale nel post acquisto che i consumatori si facciano portatori di messaggi per l’azienda e che lascino un feedback perché leggendoli altri consumatori sono più invogliati all’acquisto. Ricerche di marketing affermano che ci fidiamo enormemente di più di chi lascia delle opinioni riguardo all’oggetto. È importante leggere le recensioni. ESEMPI DI TECNICHE DI MARKETING Amazon è la regina delle Customer Centric Organization , infatti richiede sempre di lasciare una recensione. Email marketing: è una tecnica di marketing molto utilizzata che consiste nell’inviare email ai clienti, molte delle quali però finiscono nello spam, per questo è importante avere delle mailing list che permettono alle aziende di contattare il cliente. È un processo invasivo che richiede il permesso del cliente. Ad oggi siamo infatti nell’era del permesso e si parla di permission marketing, perché per mandare un qualsiasi messaggio si deve richiedere il permesso. Esempio Italo: una volta iscritti al programma fedeltà si può approfittare di sconti per raggiungere l’obiettivo della conversione (far sì che attraverso la spinta dello sconto il cliente acceleri i suoi acquisti) e quello della fedeltà, perché sono sconti dedicati a chi è già fidelizzato per premiare la fedeltà e far sentire importante il cliente. Stesso esempio anche per Esselunga, che con l’iscrizione alla newsletter permette di ricevere sconti specifici tentando di generare engagement e coinvolgere il cliente nella community. Ultimo esempio è quello di Alessi, che non invia codici sconto, ma comunica creazioni di nuove collezioni puntando all’ obiettivo di awarness, cioè rendere il cliente consapevole delle novità. Oppure, se la collezione è già presente sul mercato ma le vendite non stanno andando come si desidera, si può fare una campagna per vendere di più con l’obiettivo della conversione. NON ESISTE UNA CAMPAGNA DI MARKETING CHE NON ABBIA UN OBIETTIVO SPECIFICO E TUTTO DIPENDE DAL BUDGET CHE SI HA A DISPOSIZIONE E CHE SI VUOLE INVESTIRE SULLA CAMPAGNA. A seconda dell’obiettivo che si vuole ottenere, si seguiranno delle tecniche di marketing specifiche. Crisis Management Marketing: Campagna Open to Meraviglia Tutto quello che ci circonda può essere usato per fare marketing. Questo esempio è stato un caso fallimentare di marketing perchè sono stati usati video girati in Slovenia e Croazia e non italiani, in cui si stereotipava un concetto di Italia sbagliato. Il marketing è anche cercare di mantenere la reputazione di un brand anche di fronte a una grande crisi. Real Time Marketing: Taffo Si tratta di un’agenzia di pompe funebri che fa post ironici e ha fatto l’ironia come sua chiave di comunicazione. Fare questo tipo di marketing significa prendere un episodio che è appena avvenuto con un forte eco mediatico e usarlo a suo vantaggio per comunicare i propri valori. In seguito alla polemica del taglio sul toast, Taffo ha fatto un post ironico che è diventato virale. È un tipo di marketing che si fa anche sugli eventi, come la morte della Regina Elisabetta. Co-Branding: Adidas e Prada/ Alessi e Barilla Nel fashion soprattutto, molti brand si mettono insieme per lanciare nuovi prodotti e nuove edizioni Limited Edition. Sono strategie che si fanno in occasione di eventi speciali, come Fashion Week, Design week, festività natalizie o in vista dell’estate (gelati). Pubblicità Out Of Home OOH Il marketing è presente anche nell’ambiente urbano e quando è al di fuori di dispositivi digitali si chiama pubblicità Out Of Home OOH. Può essere statica (cartellone o Billboard in metro) o dinamica (sul mezzo di trasporto come i tram di Milano che sono completamente brandizzati da Vodafone). L’obiettivo è diffondere la conoscenza del brand e aumentare la brand awarness, cioè rendere consapevoli i consumatori delle ultime novità del brand come il lancio di un nuovo telefono. Digital Out Of Home: lancio del disco “FLOP” di Salmo- Louis Vuitton e Yayoi Kusama In questo tipo di marketing si usando tecnologie digitali o in 3D. È una pratica nuova ma molto diffusa in Giappone, USA e UK. Campagne pubblicitarie di questo tipo richiedono budget enormi. Altro esempio in cui si unisce arte e marketing è la campana di Louis Vuitton e Yayoi Kusama per il lancio di una special edition che prevedeva decorazioni a pois. A Parigi, il palazzo di Louis Vuitton è stato decorato con una gigantografia dell’artista che disegna pois sul palazzo. È una tecnica di comunicazione che punta all’effetto wow o sorpresa, che viole cambiare i connotati dell’ambiente urbano generando stupore e con l’obiettivo di generare brand awarness e rendere consapevole il consumatore di questa nuova campagna. Retro Marketing: Soldino del Mulino Bianco- Borsa Jackie di Gucci Questa tecnica consiste nel rimettere sul mercato prodotti che vengono richiesti da parte dei consumatori e facendo leva sull’effetto nostalgia affinché le aziende rimettano i prodotti sul mercato. Si fa riferimento all’infanzia del target di riferimento. Si applica anche nel mondo del fashion, con borse o capi iconici che vengono riproposti oggi in chiave contemporanea. Personal branding: Linkedin Il marketing si può riferire anche a noi stessi. Il modo in cui comunichiamo sui nostri profili è un modo in cui facciamo marketing di noi stessi comunicando la nostra immagine e il mood in cui vogliamo essere percepiti. Corporate Branding: profili Instagram del dipartimento universitario di scienze politiche unipv Quando non si fa personal branding si promuovono i valori di un’azienda. Social media marketing: Instagram e Tik Tok I social sono fondamentali per raggiungere obiettivi di marketing perché permettono ai brand di comunicare. ESEMPI PROPOSTE DI VALORE BASATE SU ESPERIENZE Coca Cola: l’obiettivo non è offrire una semplice bevanda, ma una bevanda che permetta di vivere un momento di magia tra amici. Pan di stelle: è un brand a sé creato dalla Mulino Bianco- Barilla. Ad oggi ci sono i biscocrema, che ricordano i nutella biscuits- Ferrero, infatti hanno gli stessi prodotti perché sono i due main competitor per eccellenza. La proposta di valore si basa sull’esperienza di vivere un momento magico (vedi sito e packaging) sia per bambini che adulti. Si è fatto rebranding cambiando il target di riferimento, estendendolo non solo più ai bambini ma anche ad altre generazioni e pensando a una proposta di valore che abbracciasse tuti i target associando il prodotto a momenti magici e a una pausa deliziosa. Anche le campagne social riprendono le proposte di valore che caratterizzano il brand e che sottolineano la condivisione del prodotto (in famiglia o con gli amici). La proposta di valore non è mai statica ma si deve basare sul contesto e l’analisi dei dati. Starbucks: Si differenzia dagli altri bar perché non è solo una catena di caffè, ma offre uno spazio dove si possono incontrare colleghi o amici o usarlo come luogo di lavoro. È la prima catena al mondo che ha offerto il wi-fi gratuito e che non cacciava le persone dopo che hanno terminato la consumazione. Le proposte di valore si evolvono così come le aziende evolvono la loro comunicazione e a volte si passa da benefici a esperienze o viceversa. Un esempio è quello di Bla Bla Car, un sistema per cercare o offrire passaggi. Prima del Covid si basava sull’esperienza, con l’idea di far nuove conoscenze e nuove esperienze di viaggio condiviso. Dopo il Covid le proposte di valore si sono evolute, abbandonando l’esperienza del viaggio condiviso per passare ai benefici come il risparmio. La proposta si è quindi evoluta in base al contesto perché determinate cose non potevano più funzionare, come il contatto fisico con estranei. Le aziende devono essere flessibili e agili per potersi adattare, altrimenti in un mercato competitivo si muore perché l’ambiente esterno è in evoluzione. La proposta di valore si basa sul what for whom- cosa per chi. Cosa si offre come beneficio o esperienza e a chi si offre, cioè il target di riferimento o la buyer persona, cioè la persona che compra. La proposta deve rispondere alle esigenze della persona affinché abbia il più alto grado di benessere. I consumatori accettano la proposta di valore quando il valore è costituto da benefici che superano i sacrifici che si devono fare, quando da consumatore potenziale divento cliente. Nel 1954 Maslow teorizza la piramide di Maslow in cui classifica i bisogni dell’uomo partendo alla base con i bisogni primari fino a salire ai bisogni più alti come stima o autorealizzazione. Questa si è evoluta nella piramide dei lavori, permettendo di differenziare i brand nell’arena competitiva ed associare dei valori per capire quali sono i valori che il cliente considera importanti. Le regole del marketing Ciò che viene pubblicato in una campagna, che sia adv su Instagram, cartellone o pubblicità sul giornale deve corrispondere al vero altrimenti si viene sanzionati. Esempi di sanzioni dell’antitrust sono le multe a Dixan e FIAT nel 2015 che per il lancio di una nuova linea aveva fatto pubblicità ingannevole. Se il messaggio è ingannevole, l’azienda è sanzionabile. I rischi sono danni economici e reputazionali. Nel fare marketing si deve essere onesti. Dal 2018 l’UE con il GDPR del 25 maggio obbliga a rendere esplicito il fatto che in rete c’è un’attività di tracciamento dati, i cookies. Questa norma impone alle aziende e a tutti i contenuti online di rendere noto all’utente che in quel momento si è tracciati e di poter scegliere se accettare tutto o scegliere fra diverse opzioni di tracciamento dei dati per rendere il consumatore consapevole che le sue attività sono tracciate. Ad oggi è un argomento molto dibattuto perché si è costantemente manipolati e manipolabili sul web. I dati raccolti sono di prima parte (first party data- sono i dati che le aziende raccolgono autonomamente, quelli che noi stessi lasciamo alle aziende) o seconda parte (second party data- sono quelli che si comprano per studi di profilazione, perché ad oggi il marketing è al 99% Data Driven, cioè guidato dai dati.). Il fatto che siamo tracciati dal 25 maggio 2018 si deve accettare e ne siamo consapevoli. Un esempio di pubblicità ingannevole che viene sanzionato costantemente per pubblicità ingannevole è Poltronesofà, perché usa tecniche di nudge marketing, cioè si spinge all’acquisto tramite offerte che sembra stiano per finire. Nel 2022 la compagnia viene multata in Francia per lo slogan “gli artigiani della qualità”; ma la pubblicità continua perché i guadagni da questo tipo di comunicazione valgono il rischio di dover pagare multe molto alte e la reputazione non viene intaccata. Per l’azienda l’importante è vendere. Esistono associazioni di categoria come Altro Consumo e Feder consumatori che svolgono l’attività di controllare se ciò che viene dichiarato dalle aziende è vero e tutelano il consumatore (esempio presenza o no di olio di palma). I riferimenti culturali del marketer Il marketer è colui che fa marketing. Nel marketing lavorano persone con background diversi: sociali, medici, informatici o giuridici; perché la toolbox, cioè gli strumenti che il marketer usa sono molti e le conoscenze richieste sono molto varie come la sociologia, psicologia o informatica. Nelle grandi aziende ci sono dei team con figure diverse con competenze diverse; mentre nelle piccole aziende c’è una persona che fa tutto. Le discipline a cui il marketing attinge sono le scienze sociali come sociologia, antropologia, filosofia, psicologia, etica, economia, neuroscienze, ingegneria, informatica… Osservando i fenomeni sociali si riesce a capire quali sono i bisogni di oggi. Il successo di un brand sta nell’intercettare questi bisogni per primi per diventare leader del mercato (esempio di Uber). FENOMENI SOCIALI CHE INFLUENZANO IL MARKETING L’essere attenti nel mercato permette a un’azienda di sopravvivere e creare nuovi prodotti in base alle tendenze. Un esempio è quello di Alessi, leader di prodotti casalinghi di alta qualità e che si è dovuto adattare ai nuovi trend. Ad oggi, infatti, non si fanno più liste nozze, ma si da l’IBAN; quindi un brand iconico e che viveva di liste nozze si è trovato a capire che il prodotto non funzionava più e ha rischiato di fallire perché i Millenials si sposano meno e non si fanno più liste nozze. L’azienda ha dunque cambiato la proposta di valore diminuendo le collezioni e puntando su collaborazioni per creare oggetti iconici da collezione piuttosto che servizi di piatti e pentole acquistati in vista dei matrimoni. Un altro esempio è quello del settore food, nel quale sono esplose le vendite dei prodotti monoporzione perché secondo i dati sempre più italiani vivono soli. Un altro fenomeno sociale è quello per il quale la generazione Z si sta avvicinando allo slow living, con visualizzazioni di video su YouTube in cui si vedono animali, inquadrature rilassanti con al centro la natura o documentari come cucina o arredamento con toni chiari e uno stile di vita sano. Le nuove generazioni hanno bisogno di ritrovare serenità e pace in un contesto di guerre e incertezze che generano ansia e stress. Altro fenomeno sociale in linea con la ricerca di relax è la crescita esponenziale di visualizzazioni dei video ASMR su YouTube, cioè i video in cui non c’è la voce di una persona ma quelli in cui si cucina e si fanno attività in maniera molo lenta, creando contenuti che rilassano e calmano. È una mossa vincente vista l’attenzione al benessere psicofisico, allo stile di vita e al monitoraggio dei parametri di salute (esempio dei dispositivi wearable che controllano pressione, passi, qualità del sonno, calorie- il mercato degli smartwatch è in costante crescita). Negli ultimi anni è raddoppiata la spesa per le mobile app dedicate al benessere e alla salute mentale, con lo scopo di migliorare il nostro benessere (esempio business dello sleeping). Altro fenomeno sociale è la ricerca di accesso e non più possesso, perché ad oggi i beni sono fruibili in sharing (car-sharing, house-sharing). Una tendenza degli ultimi anni è come gli italiani siano preoccupati per il cambiamento climatico che porta ansia e preoccupazione. Le imprese si devono dare retta del problema e sono poche quelle che possono permettersi di non inserire il problema dell’ambiente nella loro proposta di valore. Molte, invece, centrano la loro proposta di valore sulla tutela dell’ambiente: esempi sono le collezioni con cotone e plastica riciclati. Si parla si upcycling quando si mantiene la forma originale dell’oggetto che si ricicla (borsa fatta con cinture di sicurezza); di recycling quando si prende e rilavora il materiale dandogli una nuova forma come fa l’Adidas che ricicla la plastica degli oceani per fare le scarpe. Al contrario si parla di green washing quando le aziende fanno finta di tutelare l’ambiente per fini di mercato, esempio di H&M che dice di usare cotone riciclato quando in realtà non è vero. Altro fenomeno sociale riguarda le famiglie e i loro cambiamenti, perché esistono famiglie in cui ci sono più componenti adulti, figli di genitori diversi, coppie omosessuali o LGBTQ+. Le aziende si evolvono e adattano la comunicazione a questa nuova forma di famiglia, esempio pubblicità di Eataly, Ikea soprattutto nel mese di giugno (pride) in cui tutto il mondo ci sono campagne che supportano i valori di queste comunità. Si può parlare anche del fenomeno dell’evoluzione di genere che passa attraverso il genderless e genderfluid, cioè l’affermazione di un identità di genere non binaria. Nel marketing si traduce con cambiamenti e nuove opportunità di marketing. È un fenomeno evidente nella skincare, nel make-up e nel beauty. Esempio della campagna provocatoria di Gucci che per promuovere una nuova linea di rossetti aveva messo un uomo, concetto impensabile fino a pochi anni fa. L’affermarsi di un’identità fluida permette alle aziende del make-up di aprirsi al mondo maschile. Continuano a nascere brand di make-up genderless, come le Domaine di Brad Pitt, con prodotti di make-up rivolti ad entrambi i sessi in seguito all’analisi delle tendenze sociali. Si parla di no gender make-up, in cui anche packaging e adv social sono in linea con la La comunicazione: tutte le tecniche di comunicazione formano un bagaglio che i marketer usano per far parlare i brand. Si parla di human branding perché i brand diventano esseri umani con un tono di voce affettuoso e ottimista e una personalità chiara e definita. La presenza di bambini e animali nelle pubblicità sono contenuti che stimolano reazioni positive e inducono all’acquisto del prodotto. I brand ci parlano per stimolare la nostra attenzione e il modello AIDA genera consapevolezza con un tono di voce che deve rispecchiare l’identità del brand. Una tecnica molto usata è quella del Real time marketing, in cui si sfrutta un evento e con ironia si propone la value preposition del brand in questione. Si deve rispondere in maniera molto veloce agli stimoli del mondo esterno ma è difficile farlo perchè si deve rispettare l’identità del brand perché non tutti possono fare ironia e soprattutto i clienti devono capire l’ironia che c’è dietro. Un esempio di Real time marketing è quando si ha un evento e si programmano dei contenuti (Sanremo). Esempi di Real time marketing reattivo e non programmato sono il lockdown del Covid, la Megxit o gli Europei di Calcio, ovvero quando nessuno si aspetta un certo evento. Un esempio di marketing proattivo e programmato è Taffo, con la bara rosa in seguito all’exploit del film di Barbie questa estate. Con l’intelligenza artificiale si possono costruire intere collezioni perchè dai big data si raccolgono nuove informazioni e questo impatta anche la nostra relazione con i brand perché gli assistenti digitali e le chatbot fanno da filtro tra noi e il brand. È un modo diverso di parlare con i consumatori e se funziona bene può dare buone risposte; ma è ancora un sistema in evoluzione. Gli assistenti virtuali come Siri, Alexa, Cortana e Google Home sono sempre disponibili e servono alle aziende per relazionarsi con il consumatore interagendo e influenzando le scelte di acquisto perché ci suggeriscono. La digitalizzazione influenza anche il prodotto finale, per esempio si possono programmare le lavatrici con lo smartphone, accendere/ spegnere le luci o regolare la temperatura. Altri esempi sono inquadrare i codici QR, la realtà aumentata usata da IKEA che fa vedere come i mobili stanno in casa o Sephora in cui si prova il make up sul vico. Esistono anche influencer virtuali, che collaborano con brand e raccontano una vita normale. Non sono persone ma avatar che si plasmano facendogli dire quello che si vuole ed è una patica molto diffusa in Cina, Giappone e Corea. Quando l’influencer parla di un brand segue un copione e non c’è libertà, perché le storie vengono pima validate dal brand nelle collaborazioni pagate. Orientamenti delle imprese Gli orientamenti delle imprese studiano come il marketing si inserisce nell’organizzazione dell’impresa e ci deve essere coerenza tra le azioni e il marketing dell’impresa. L’orientamento è la direzione in cui l’azienda guarda; è il modo in cui risponde agli stimoli esterni dell’ambiente in cui opera. I 6 tipi di orientamenti sono: alla produzione, al prodotto, alle vendite, al mercato, al cliente e alla sostenibilità. Ad oggi il 90% delle aziende B2C sono orientate al cliente o alla sostenibilità. Più gli orientamenti e le aziende si evolvono, più la funzione del marketing diventa importante. Gli orientamenti non sono mai statici ma devono evolvere a seconda delle condizioni richieste dal mercato. È importante sapere come evolve il comportamento del consumatore ed è fondamentale per le aziende perché capire i trend e come cambiano le abitudini di consumo per poter offrire delle proposte di valore nuove per non rimanere indietro. Sono poche le aziende che non hanno competitors e bisogna saper orientare il proprio comportamento all’interno dei mercati e dell’impresa per guidare le azioni di marketing. Questi orientamenti si dividono in 2 gruppi: orientamenti delle imprese inward (che guardano al loro interno e sono indifferenti a quello che succede intorno a loro) e orientamenti outward o al cliente (più evolute che guardano all’esterno e sono Customer Centric perché mettono al centro il consumatore). Questi orientamenti si evolvono nel tempo in base all’evolversi delle condizioni dell’ambiente in cui operano. La maggior parte delle aziende falliscono perché rimangono statiche, non evolvono i loro orientamenti e non si adattano all’ambiente esterno. Gli orientamenti inward sono due: orientamento al prodotto e alla produzione. Le aziende con orientamento al prodotto credono di essere le migliori, creando prodotti che piacciono all’azienda e non considerando quello che il mercato vuole, per questo si rischia di fare danni. Si tratta delle attività centenarie e di famiglia in cui il consumatore sceglie un prodotto di alta qualità che si differenzia dalla concorrenza perché è superiore. Un errore è creare un prodotto sofisticato che rischia di non essere compreso o capito. L’orientamento al prodotto non è solo la produzione di oggetti iperspecializzati, ma possono essere anche fallimentari, esempio di Magic Leap di Google che ha investito nella produzione di visori moto cari. Ne sono stati venduti solo 6 mila pezzi a fronte di un investimento enorme e di una grande campagna di marketing per il lancio. A discapito delle grandi aspettative, sono stati ritirati e si parla di fallimento perché non erano ergonomici e non erano compatibili con i dispositivi portatili. Le aziende con orientamento alla produzione effettuano una produzione di massa: producono tantissimo e sono competitive non sulla qualità del prodotto ma sul prezzo. Può funzionare quando si va sul basso costo e si scala la produzione ammortizzando i costi fissi rendendoli minimi per unità di prodotto e si ricerca un’economia di scala. Esempi di aziende orientate alla produzione sono Lenovo e Haier, brand cinesi di prodotti di primo prezzo in informatica ed elettrodomestici e con prodotti a basso costo. Un altro esempio è Shein, che produce tantissimo, rinnova le collezioni e la chiave è la produzione di massa a bassissimo costo. Gli orientamenti outward sono l’orientamento alle vendite, l’orientamento al mercato e l’orientamento al cliente. Le aziende con orientamento alle vendite si rivolgono verso l’esterno. Usano strategie di vendita dove le promozioni sono molto aggressive, esempio di Mondial Casa o Poltronesofà, con promozioni aggressive per vendere grandi quantità di cose. L’obiettivo è vendere tanto, puntando sul fatto che più si compra più si risparmia, esempio ALDI, Eurospin, MD o Kasanova. Le aziende con orientamento al mercato ascoltano le esigenze del mercato, analizzano i trend e capiscono le esigenze del momento e finiscono per creare prodotti innovativi, come il Bimby della Worwek o delle Pringles. Si parte dall’analisi di un segmento di riferimento, cioè un gruppo di persone accomunate da caratteristiche comuni. I segmenti di mercato sono omogenei ed eterogenei e devono essere ben delimitati. Per trovare questi segmenti si svolgono attività di segmentazione partendo da analisi dei dati dei consumatori di riferimento. Con una segmentazione accurata si va nel dettaglio suddividendo in base a criteri come genere, età o etnia. Si deve capire chi colpire e a quale segmento appartiene il consumatore. La segmentazione varia a seconda del prodotto e significa dividere la popolazione di riferimento in base a come si approccia al prodotto, per poi scegliere in fase di vendita uno o più segmenti specifici. Le aziende con orientamento al cliente sono molto più specifiche perché si dividono la popolazione in segmenti omogenei e si studiano le abitudini di consumo del singolo consumatore e quindi ci si orienta a un cliente ancora più specifico all’interno di quel segmento. Sono le Customer Centric Organization, cioè le aziende che mettono al centro il consumatore e non si offre solo un prodotto ma si creano servizi che permettono di mettere al centro il consumatore per capire le sue preferenze e portando benefici sia al consumatore che all’azienda. Un esempio è l’app Calm, dedicata a migliorare il nostro sonno nata studiando il singolo consumatore cercando di capire le esigenze delle persone. Anche Nike, che dichiara essere il consumatore un’ossessione o Amazon con Amazon Prime, nato perchè i costi delle spese di spedizione e i ridotti metodi di pagamento davano fastidio. Per primo Amazon si è accorto che la cosa che abbassava tantissimo i tassi di conversione era il fatto che i costi di spedizione influenzano nella scelta del prodotto; dunque Jeff Bezos ha pensato di togliere queste spese quantificandole in una cifra annuale attraverso Prime. Sono stati introdotti servizi accessori che premiano la fedeltà come Prime Music e Video. L’orientamento al cliente è molto più mirato rispetto a un generico orientamento al mercato perché si sanno molte più cose specifiche del cliente, cioè la buyer persona. Sono persone che hanno un volto e si sanno i loro dati personali che portano a determinare il loro comportamento d’acquisto, sapendo la relazione che ha con un prodotto o un brand, le caratteristiche che predilige oppure ciò che non acquista mai. Questo porta a definire lo stile di vita della buyer persona. Avere orientamento alla buyer persona vuol dire che si deve esattamente sapere chi va ad acquistare il prodotto. Si deve intercettare la persona e più si è specifici, più è facile fare una campagna e una proposta di valore e più è facile trovare la buyer persona, aumentando tantissimo le possibilità di vendite. Esempi di segmenti di buyer persona sono le BMW Serie 3, Serie 5 e 7 che descrivono le caratteristiche generali. La buyer persona della BMW è il profilo del possibile acquirente. Nel caso della buyer persona si parla di Customer Driven Marketing o Reverse Marketing estremo, perché sono i consumatori a dire alle aziende cosa vogliono e vengono interpellati in processi di co-creazione di valore per capire cosa realmente il consumatore vuole. Si parla di co-creazione perché le aziende creano qualcosa con i consumatori, esempio di Lego con Lego Ideas, che chiede ai fan di sviluppare dei set che se raggiungono molti voti l’azienda considera se produrli. Un altro esempio è Ikea o il lancio in limited edition di Philadelphia Milka, brand di proprietà della stessa multinazionale spagnola. Il prodotto era stato ritirato dal mercato, ma dopo le richieste dei fan l’azienda lo ha rimesso sul mercato fino a dicembre 2023, evidenziando che fosse stata una richiesta del pubblico e l’azienda lo ha accontentato. 1- AWARNESS L’awarness o consapevolezza di un brand si raggiunge quando per prima volta si parla di un brand con pubblicità come pubblicità OOH o Transit OOH, con sponsorizzazioni, su mass media o quotidiani o anche nel digitale dove ad oggi il 69% delle aziende investe in attività di social media marketing, influencer marketing o email marketing per individuare il target di riferimento. Si può fare awarness anche con il Guerrilla marketing, street marketing o ambient marketing, ma sono soluzioni molto costose e si deve tenere in considerazione anche il budget a disposizione. Un modo per generare awarness è il product placement, inserendo il prodotto in programmi televisivi, film o reality come Grande Fratello, ma l’identità del brand può essere boicottata e associato alla persona, quindi nelle scelte si deve tenere in considerazione la coerenza tra i valori del brand e l’influencer o il programma che si sceglie. Altro modo per generare awarness è il summer marketing, un esempio è quello di Coca Cola e la canzone Mille. Sono tantissime le hit estive scelte per pubblicizzare prodotti e realizzare campagne pubblicitarie per il periodo estivo. Altri esempi sono Pringles, Esta The o Cornetto per creare nuovi punti di contatto tra il brand e il consumatore. Ci sono infinite soluzioni per generare awarness, ma si deve tenere conto della coerenza, del modo in cui lo si fa e della scelta del media che si va a usare. Se non si sta attenti a questi elementi si hanno disastri perché ad oggi un contenuto realizzato per generare awarness può diventare immediatamente virale, ma la viralità digitale alimentata dal passaparola (WOM) può generare effetti positivi o negativi che grazie ai social media hanno una crescita esponenziale. Si parla di marketing virale specialmente con il Word of Mouth e l’ultimo caso di campagna virale è quella della pesca dell’Esselunga. È un marketing efficace diventato virale che si è tradotto in Real time marketing e in meme che sono diventati virali nel web. Il primo caso di Marketing virale nasce nel 2014 con l’Ice Bucket Challenge, nata per raccogliere fondi sulla SLA e che è diventata una challenge virale ponendo l’attenzione sulla raccolta fondi per la SLA. La viralità porta a effetti positivi e se il modo in cui si parla del brand è positivo, il consumatore diventa promotore, ma se la viralità del brand prende una piega negativa, il contenuto virale è associato ad aspetti negativi difficili da gestire e portando a vere e proprie crisi reputazionali. È negativa quando ci sono errori di comunicazione. Un esempio di epic fail è stato quello di Dolce e Gabbana nel 2018 in Cina, con una campagna virale costata 500milioni in cui il brand voleva celebrare l’ingresso nel mercato cinese con la realizzazione di uno spot in cui un’influencer cinese mangiava la pizza con le bacchette. Si tratta di un errore clamoroso di marketing perché il popolo cinese è molto permaloso e senza senso dell’umorismo, è offeso e si ha un boicottaggio del brand con #notme e si imbrattano negozi di D&G. Si genera una campagna di odio verso il brand nonostante le scuse non autentiche. Altro esempio è quello di Balenciaga. Gli influencer che l’azienda sceglie possono generare anche shit storm e si deve stare attenti a chi si sceglie per evitare una crisi reputazionale del brand. L’autenticità permette di dare contenuti che sono credibili per non sprofondare in queste crisi. Le campagne ben fatte generano awarness come per il lancio di nuovi prodotti esempi di Zingarelli che ogni anno, per il lancio del nuovo prodotto, promuove installazioni di vocabolari giganti nelle piazze o i Kinderini, con un lancio in grande stile, coerente ed omnicanale cioè sia su canali fisici che digitali. È fondamentale conoscere il target di riferimento, il destinatario del messaggio, le teorie della comunicazione ed usare gli strumenti che possono raggiungere il target di riferimento. Ad oggi lo strumento principale usato dal 91% delle aziende sono i video corti con contenuti accattivanti e che raccontano storie (storytelling) per essere pubblicati su Instagram, che è il social preferito nel 2022 dalla generazione Z. Per quanto riguarda l’influencer marketing si può fare awarness con l’adv, chiedendo a un influencer di pubblicare nelle storie contenuti riguardo a un brand. È importante capire quali sono gli influencer più credibili perché i creators hanno poco margine di creatività quando lavorano con un brand perchè seguono un copione fornito dall’azienda. Un altro modo ad oggi meno diffuso è l’unboxing. I creators seguiti da milioni di followers costano molto, ma non sempre conviene scegliere l’influencer con 1 milione di followers, perché si può dare maggior visibilità ma i contenuti di chi ha tanti followers non son visti da tutti e viene meno l’autenticità dell’influencer. Per questo si crede di più ai micro influencer che hanno meno followers, perché la cosa fondamentale per generare awarness e per emergere è essere autentici. Esempio della campagna massiccia di Foodspring in cui le campagne degli influencer non sono autentiche. È fondamentale scegliere i creator in base all’autenticità e alla connessione che crea con la community e deve essere responsbaile perché gli influencer sono persone che sostengono cause e si espongono, che dimostrano passione, variano i contenuti e che si sanno adattare al contesto in cui sono. 2- ENGAGEMENT Engagement significa coinvolgere i potenziali clienti di un brand con strumenti come sondaggi e box Q&A nel digitale, mentre nel fisico i negozi sono digitalizzati, per esempio si possono inquadrare i qr code (si definisce quindi multicanale perché coinvolge sia lo spazio fisico che digitale). Per esempio i Guerrilla marketing prima generano awarness e poi engagement, perché sono installazioni scenografiche fatte per essere fotografate e ricondivise, quindi il cliente diventa un mezzo per il brand per raggiungere l’engagement e il consumatore, da passivo nell’awarness, diventa attivo perché diventa messaggero della proposta di valore del brand. Esempio di Spotify e dell’installazione della macchina di Salmo in Stazione Centrale. Per quanto riguarda il digitale ci sono infiniti modi di generare engagement. L’engagement rate si misura nell’arco di un tempo definito facendo la somma di interazioni tra like e commenti a un post fratto il numero totale di visualizzazioni x 100. Questo valore si alza con delle proposte di interazione come sondaggi, quiz, Q&A, swipe up o storie in evidenza, che dicono quanto l’influencer è in grado di influenzare i comportamenti di acquisto dei propri followers. Le storie in evidenza sono un ottimo modo per tenere alti livelli di engagement. Il periodo Covid ha dato un enorme spinta al digitale come con gli e-sport, esempio di Virgin che ha lasciato la possibilità di comprare abbonamenti digitali e che prima dell’acquisto coinvolge gratuitamente i potenziali clienti mostrando nelle storie degli allenamenti. Questo genera engagement tenendo il consumatore attivo. Altro strumento esploso in periodo di pandemia e ancora usato sono le dirette, come quelle di Jovanotti, Jova House Party. Si tratta di tecniche che tengono alto l’engagement esplose nel periodo pandemico per chi svolgeva professioni di relazione con il pubblico. Tik tok è un social in crescita ed è molto efficace per alzare i livelli di engagement, usato per il lancio del nuovo gioco di Clementoni per imparare l’italiano e che ha avuto molto successo. Un’altra campagna è quella di Pringles Fun, Play, Eat lanciata in Germania, Italia e Francia con l’obiettivo di generare awarness e engagement, lanciando una sfida agli utenti per creare un contenuto generato dagli utenti (user generated content) si coinvolgendoli per generar video originali per essere poi ripresi dal brand sui canali social. Si parla di branded hashtag challenge, uno strumento diffuso per generare engagement lanciando una sfida ai brand attraverso un hashtag. Il punto a favore degli user generated content è che sono gratis e generano engagement e advocacy, perchè l’azienda ottiene gratuitamente dei contenuti da parte dei consumatori. È uno strumento molto efficace nel marketing internazionale per avere campagne a costo zero senza doverle doppiare quindi il brand risparmia. Dal 2022 la creazione di contenuti da parte dei creator è pagata per partecipare alle brand mission e chi produce contenuti viene pagato in base al numero di visualizzazioni. Si chiama brand mission e l’obiettivo è generare una collaborazione tra brand e creator e aumentare l’engagement per entrambi, perché il brand ottiene contenuti da parte del creator e il creatori si relaziona con un brand importante. Brand che usano questo tipo brand mission sono Chupa Chups o MD, un brand di discount che ha creato una campagna per generare awarness, migliorare la brand reputation e generare engagement cambiando lo stereotipo che si ha del discount. È stata una campagna omnicanale con l’obiettivo di cambiare la reputazione di MD girando spot molto divertenti e invitando i consumatori a interagire creando contenuti che prendessero in giro il fatto che sempre si vogliono i prodotti di marca. L’engagement più alto lo hanno i microinfluncer, da 1 a 10mila followers. Si tratta di un grande vantaggio per le aziende perché il microinfluncer gode di maggior fiducia da parte del suo pubblico; mentre i grandi influencer difficilmente riescono ad avere alto engagement perché è chi ha meno followers ad avere più possibilità di interazioni. I microinfluncer sono molto appetibili per i brand perché costano meno, sono più disponibili con le aziende, non sono star e si occupano di cose specifiche come sport, cucina o viaggi. Godono di maggior autenticità, fiducia e sono più credibili perché la fan base è più piccola e riescono ad interagire con i followers rispondendo a commenti o messaggi, permettendo strategie di multi market reach perché l’azienda permette di lavorare con più influencer affacciandosi su più mercati e più target ed arrivare ai consumatori di nicchia. Permette una targhettizzazione estrema raggiungendo uno specifico segmento di mercato. Un esempio è Aperol Spritz che per entrare nel mercato USA ha preso dei microinfluncer per creare awarness e engagement. Ci sono anche errori di comunicazione nell’engagement, esempio di Pandora nel 2017 che aveva messo nelle metro una campagna per poi riformulare il messaggio perché accusato di essere maschilista, ma questo ha evidenziato ancora di più l’errore e Taffo ha risposto con sua interpretazione che sdrammatizza la crisi di comunicazione avuta da Pandora, che è stata sfruttata anche da atri competitors come Ceres, Swarovski o Pornhub. Si deve fare attenzione agli errori di comunicazione perché pubblicità troppo provocatorie portano disastri e fallimenti. Attenzione all’effetto boomerang. È importante acquisire clienti, ma costruire tutto il percorso costa tanto per le aziende e se un cliente è già fedele, non si deve più spendere per attirare la sua attenzione e quindi quel cliente non costa più. Principio di Pareto: l’80% degli effetti è causato dal 20% delle cause. Nel marketing significa che l’80% del fatturato è generato da 20% dei clienti. I clienti fedeli generano oltre la metà del fatturato e quando una persona è fedele significa che tornerà ad acquistare dallo stesso brand. Altri strumenti sono le wishlist, che raccolgono i dati e danno un’offerta del prodotto che il cliente desidera a un prezzo scontato rafforzando la loyalty. Nel periodo Covid le aziende si sono adeguate al nuovo stile di vita e sono cambiate le abitudini di consumo, con i consumatori da casa, e le aziende hanno creato dei servizi che ancora ad oggi si sono mantenuti. È fondamentale, per mantenere la fedeltà, trovare delle soluzioni che vengono incontro alle nostre esigenze di consumo. Si devono costruire delle proposte di consumo adatte all’at-home lifestyle, investendo sull’emarketing e rispondendo h24 7/7, dando la possibilità di avere più opzioni di pagamento e di consegna, non solo a casa ma anche con i punti di ritiro. Si devono ridurre i Customer Jobs e quindi far lavorare il cliente il meno possibile, rendendogli l’esperienza d’acquisto unica e il più semplice possibile. I loyalty programs sono la chiave per mantenere la fedeltà del consumatore in un’epoca post pandemica con conflitti e inflazione, che porta all’aumento dei costi di qualsiasi cosa. 7- ADVOCACY Si diventa advocate quando il cliente è soddisfatto e fedele a un brand. Sono le persone che parlano molto bene di un brand ed è fondatale il passaparola positivo perché almeno il 50% dei consumatori consultano amici o familiari quando devono fare un acquisto e più l’acquisto è importante, più ci informiamo e chiediamo informazioni riguardo al prodotto. Il passaparola positivo genera moltissima pubblicità gratuita, mentre l’awarness si paga. Ma l’advocacy negativa può fare danno. Gli advocate, oltre ad essere fedeli, spendono molto di più rispetto a una persona che è semplicemente fedele, si chiamano strong advocate. I social media permettono di fare passaparola, e un esempio di advocacy è sono le storie ig di un piatto di un ristorante mettendo il tag. Sarebbe molto più semplice se il percorso fosse lineare da awarness a advocacy, ma i dati dicono che tra awarness e conversion c’è il messy middle, un casino nel mezzo, una fase che può andare anche avanti all’infinito molto difficile da capire e il cui obiettivo è stimolare le diverse fasi finché il consumatore esca da quel loop infinito e acquisti. Anche la successione degli obiettivi non è consecutiva, si può partire dall’awarness per fare un salto alla conversion. Ogni brand deve sapere qual è la customer journey dei suoi consumatori e accelerare le persone all’acquisto. KPI È fondamentale fissarsi un obiettivo di customer journey per sapere se le azioni di marketing hanno funzionato o meno. Gli obiettivi devono essere misurati con un indicatore per capire se le azioni di marketing stanno funzionando, dalla scelta degli influencer, dei creator e della pubblicità. Per misurare il raggiungimento degli obiettivi si parla di metriche e KPI (Key Performance Indicator). La metrica è una misura, è il tempo di visualizzazione di un post o storia, il numero di persone che visitano un sito. Il KPI è un indicatore collegato al raggiungimento di un risultato di performance che dice come sta andando l’attività e se si raggiungono gli obiettivi o no. I KPI devono essere oggettivi (chiunque legge il dato deve intenderlo nello stesso modo), completo (correlato all’obiettivo), sensibile (esprime se ci sono stati cambiamenti in positivo o negativo) e con un chiaro collegamento con la produzione di valore economico. Lead: persona che mostra interesse e quindi ingaggiato Prospect: persona di cui l’azienda ha i dati Win: sono gli utenti convertiti Campaign: è la campagna di marketing Goal: è l’obiettivo della campagna di marketing. Esistono piattaforme specifiche come Hootsuite che permettono di monitorare in tempo reale l’andamento di una campagna o di un contenuto sui social, mostrando tutte le interazioni. Obiettivi di awarness L’awarness è la colpevolezza che il brand esiste e si misura per capire quanto i brand sono conosciuti. Uno studioso inglese ha teorizzato la piramide della brand awarness, che definisce i diversi livelli di consapevolezza di un brand. Alla base ci sono i brand sconosciuti (unaware of a brand), poi l’awarness sollecitata (brand recognition, quando un consumatore riconosce un brand fra molti) e infine ci sono i brand top of mind (che tutti conoscono). Nel digitale l’awarness si misura con la variabile del site traffic, con cui si misura il traffico del sito e a seconda dell’indicatore si capisce quanto il sito ha performato, calcolando le sessioni, quante vote un user ha vistato il sito, i visitatori unici, il tempo speso sulla pagina, il numero di visualizzazioni delle pagine e quante vote il visitatore ha visto una pagina. Si ha quindi la possibilità di fare classifiche di quali sono i siti più visitati nel mondo. Le variabili più usate per misurare l’awarness sono i reach (numero totale di account che hanno visto un contenuto senza però tenere conto che uno stesso contenuto può essere visto dalla stessa persona su device diversi) e le impression (quante volte il contenuto è stato visto). Obiettivi di engagement Engagement rate: si calcola con la somma di interazioni, like, condivisioni e commenti fratto il numero totale di persone raggiunte x 100. Più il valore è alto, meglio è e si calcola in relazione a un post, a una pagina, o a un video in un determinato arco temporale. L’engagement rate dei microinfluncer è più alto rispetto a quello dei classici influencer ma solo per Instagram e Tik Tok ad oggi ha un engagement rate impressionante con valori molto alti. Con l’account business di Instagram si possono vedere i dati di engagement, che è il più importante criterio nella valutazione della scelta di un influencer. Obiettivi di consideration Nello spazio fisico si contano le persone che entrano in un negozio o quante provano un vestito, nel digitale si usano altri quattro indicatori. Bounce rate (tasso di abbandono): dice quante persone, sul totale di quelle che visitano il sito, abbandonano una pagina senza navigare il sito o visualizzano il contenuto per un tempo inferiore a un dato tempo. È il numero di utenti che hanno abbandonato la pagina fratto il numero totale di utenti che hanno visitato la pagina x 100. Si ha un valore positivo quando la percentuale ottenuta è bassa, quindi con pochi user che abbandonano la pagina prima del tempo prestabilito. Cost per lead: dice quanto costa generare un prospect e si calcola dal rapporto tra la spesa totale della campagna fratto il numero totale dei lead. Più il numero dei lead è alto, più basso è il cost per lead. Cost per mille- CPM: è usato nelle contrattazioni con editori e si applica quando l’azienda paga il gestore ogni volta che l’annuncio viene visualizzato 1000 volte. Si calcola con il costo totale della campagna fratto il numero di impressioni x 1000. Click to rate- CTR: dice quante persone hanno fatto clic sull’annuncio e si calcola con il numero di click sul contenuto fratto il numero totale di visualizzazioni x 100. Obiettivi di conversion Conversion rate- CR: è dato dal rapporto tra il numero di persone che hanno fatto qualcosa rispettando l’obiettivo della campagna (acquistato un articolo) fratto il numero totale di persone che sono state messe nella condizione di farlo x 100. Cost per action- CTA: è dato dal costo totale della campagna fratto il numero totale di azioni completate nell’arco temporale ben definito. ARPU (average revenue per unit): dice quanto l’utente genera in un determinato periodo per l’azienda. Indica quanto gli utenti possono permettere di guadagnare all’azienda e si calcola con il fatturato totale generato da una campagna nel tempo fratto il numero di utenti convertiti. Obiettivi di satisfaction La soddisfazione si misura con i questionari cercando di rilevare l’esperienza di acquisto di un consumatore. Esistono anche tecniche indirette come la sentiment analysis del web, una tecnica di indagine che tramite algoritmi permette di capire quali sono le parole positive e negative associate al brand per capire come si parla del brand sul web, oppure analizzando specifiche recensioni di un acquisto che parlano del brand. Analisi dati Nella fase analitica si deve capire cosa il consumatore pensa e come si comporta nel momento in cui deve fare una scelta e accettare la proposta di valore. Si devono fare degli sudi di consumer behaviour, cioè degli studi sul comportamento del consumatore. Si raccolgono non dati sulle aziende ma sul consumatore, ed è la branca del marketing che si occupa specificatamente di studiare i modelli comportamentali dei consumatori, in cui si vuole capire come il consumatore tipo si comporta e quale è il suo comportamento d’acquisto o i fattori che influenzano le sue decisioni di acquisto. Questi comportamenti cambiano a seconda del prodotto o del target di riferimento del consumatore. Le contaminazioni culturali sono molte come sociologia, psicologia, antropologia o neuromarketing e ad oggi i big data permettono di comprendere i modelli comportamentali degli utenti e capire come si comportano. La consumer behaviour risponde alla domanda perché un soggetto compra un bene?. Le 3 domande fondamentali che ci si deve porre per la comprensione del comportamento di acquisto sono il chi, il cosa e il perché. Il chi è il consumatore di riferimento e possono essere i B2C o i B2B, che può avere la sottocategoria del B2S- Business to Shop, un’attività rivolta a chi acquista beni e servizi (detto shopper) per qualcun altro e cioè quando consumatore ed acquirente non coincidono. Altro tipo di consumatori sono i negozi B2T- Business to Trade, in cui le aziende vendono ai consumatori in modo indiretto attraverso intermediari commerciali come supermercati o GDO- Grande Distribuzione Organizzata. Il cosa è cosa si cerca e quale bisogno si cerca di soddisfare attraverso la proposta di valore. I soddisfacimenti dei bisogni sono classificati nella piramide di Maslow del 1954, in cui si parte alla base con i bisogni primari e quindi fisiologici, per poi passare a bisogni sempre più alti come sociali o la realizzazione. Un brand è più competitivo associando proposte di valore a veri valori quindi a qualcosa di intangibile e che aiuta a migliorare nella sfera funzionale. Il perché è fondamentale per capire perchè si compra un determinato bene. Ci sono infinite motivazioni al perché si effettua un acquisto. I processi decisionali possono dividersi in 2 categorie: se si soddisfa un bisogno utilitaristico o edonistico. Un esempio è quello degli orologi Casio e Rolex, in cui la funzionalità è la stessa ma con prezzi diversi. Nella scelta di un Casio un soggetto razionale valuta le informazioni e sceglie in base a un bisogno utilitaristico. È la teoria della Consumer Processing Theory- CPT, in cui un soggetto razionale raccoglie informazioni, valuta alternative e sceglie relazionandosi ai bisogni utilitaristici o per sopravvivenza. C’è poi invece chi nell’orologio ricerca uno status symbol e l’acquisto non è guidato da un bisogno utilitaristico ma edonistico, quindi da piacere e appagamento edonistico. La teoria sottostante a questo modello comportamentale d’acquisto è la Hedonic Theory. Nel mezzo ci sono infinite sfumature che cambiano in base al target o alla generazione. Ci sono diversi modelli comportamentali. ABC Model of Attitudes è un modello che in maniera raffinata descrive i diversi processi di acquisto e modelli comportamentali. L’attitudine è come ci poniamo verso l’oggetto. A sta per Affect (sentimenti o emozioni ci genera l’oggetto), B per Behaviour (la nostra intenzione comportamentale verso l’oggetto) e C per Cognition (la componente razionale). Questo porta a 3 diversi processi di acquisto:  Si parte dalla Cognition per passare all’Affect e concludere con il Behaviour. È un processo di acquisto che tende al bisogno utilitaristico- CPT (vedo una giacca, la provo e la compro). La Consumer Processing Theory dipende da quante informazioni si consultano e permette di distinguere il processo di acquisto in Limited Problem Solving- LPS (si consultano quantità di informazioni limitate) o Extended Problem Solving- EPS (si consultano molte informazioni). Si parte quindi da un bisogno vero, si cercano si valutano informazioni per poi prendere una scelta e più l’acquisto è importante in termini di sacrifici, più si tende a un approccio Extended Problem Solving, cercando informazioni a lungo. Invece, in un acquisto razionale in cui il sacrifico è minore, si consultano meno informazioni ed è Limited Problem Solving. Tutto dipende dal sacrifico che è totalmente soggettivo. La pubblicità comparativa con dei dati è uno strumento di marketing che stimola un approccio cognitivo all’acquisto perché fornendo informazioni comparative si accelera il processo di conversione, esempio Acqua Lete o le riviste di settore come Quattro Ruote in cui si hanno informazioni molto tecniche sul mercato delle auto, permettendo di avere molte informazioni ed accelerare il processo di conversione.  Si parte dalla Cognition per passare al Behaviour e solo dopo all’Affect. La teoria sottostante è quella dell’apprendimento perché si ragiona sul prodotto solo dopo averlo acquistato ed è un processo a basso coinvolgimento decisionale basato sull’abitudine (vedo una giacca, la compro e poi la provo). I brand che fanno leva su questo tipo di modello di acquisto sono quelli conosciuti da tuti e con una storia lunghissima come Cedrata Tassoni o Amaro Montenegro, che la chiave su cui ha costruito il rebranding è il fatto che la ricetta è sempre uguale ed è segreta, facendo leva sull’Heritage, il patrimonio che il brand ha accumulato negli anni. Il marketing fa leva sul fatto di dare informazioni rasserenanti e rassicuranti seguendo sempre la stessa ricetta. Un esempio abitudinario è Barilla.  Si compra un prodotto guidati dall’Affect per poi passare al Behaviour ed infine alla Cognition per realizzare che il capo è eccessivamente caro (affascinato da un prodotto lo compro per poi maturare un giudizio sulla sua qualità). Si tratta di un processo irrazionale basato sulla Hedonic Theory, in cui si soddisfa un bisogno edonico totalmente basato sull’impulso. L’approccio è basato sul condizionamento stimolo risposta e si distinguono due tipologie di condizionamento: classico e operante. Il classico lavora sul brand, sulle cose che lo caratterizzano e l’idea che si ha del prodotto sfruttando le caratteristiche associate al brand, il colore o i valori, esempio Coca Cola è associata al Natale, Tiffany al fidanzamento, Coccodrillo alla Lacoste o Mela alla Apple. La brand extension sfrutta il condizionamento classico. Si prende un brand molto famoso e lo si mette su un altro prodotto, esempio di Nutella che crea i Nutella Biscuits o la Virgin che fonda le palestre. Le persone acquistano perché si fidano. L’operante rafforza le proposte di valore, esempio dell’aggiunta della sorpresa dentro all’uovo Kinder, promozioni 3x2 o tutto quello che viene usato nel loyalty marketing. Quando si esagera e si vende troppo si rischia l’effetto saturazione. Altri fattori che condizionano il nostro comportamento di acquisto sono le influenze sociali (cultura, classe sociale), di marketing, situazionali (momento o luogo in cui ci troviamo), così come i cinque sensi nell’ambiente fisico, esempio di LUSH che offre un’esperienza multisensoriale. Siamo anche influenzati da quello che ci viene detto su un prodotto oppure dal periodo dell’anno, esempio del periodo natalizio o estivo. Si deve anche capire la definizione del compito di un prodotto e cioè se viene acquistato per sé o se è un regalo, esempio di Pandora che nasce per occasioni di regalo. Anche le condizioni influenzano, se si è felici o meno, la disponibilità di denaro in quel momento, così come la conoscenza del prodotto. Per un brand è fondamentale dare quante più informazioni possibili affinché il cliente conosca il prodotto, perché il product knwoledge accelera il processo decisionale. Più informazioni ci sono su un prodotto, più il processo di acquisto è veloce. Le informazioni devono riflettere la proposta di valore e un altro fattori che influenza il processo decisionale è la product involvement, il coinvolgimento sul prodotto in base all’interesse personale. Fase strategica del processo di marketing Si devono raccogliere dati per costruire delle strategie. La fase di strategia si occupa della segmentazione del pubblico di riferimento, identificazione del targeting (i destinatari della proposta di valore) e il posizionamento rispetto a un mercato che presenta molti prodotti simili, quindi quello che differenzia un prodotto dai competitors. In questa fase strategica si elabora l’idea di marketing. Una volta raccolti tutti i dati, che devono già essere puliti, si devono interpretare per decidere come segmentare, il target e il posizionamento. Ad oggi senza questi aspetti è difficile essere competitivi. I tre blocchi fondamentali che definiscono la strategia di marketing sono dunque segmentazione, targeting e posizionamento. Nell’approccio contemporaneo, in base all’analisi dei dati si definiscono le buyer persona, consumatori tipo di cui si sa tutto in relazione al prodotto che si vuole posizionare sul mercato. Segmentazione: significa dividere in gruppi omogenei ed eterogenei fra loro una popolazione di riferimento, quindi le persone sono tute simili tra loro, mentre persone che appartengono a gruppi diversi sono diverse tra loro in base a criteri scelti a priori. Si segmenta partendo dai dati raccolti in fase analitica e permette di capire come suddividere la popolazione per trovare il consumatore di riferimento. I criteri di segmentazione sono variabili. I principali sono basati su variabili geografiche e demografiche, comportamentali (riguarda la nostra attitudine rispetto al prodotto) o psicografiche (riguardano il carattere e lo stile di vita delle persone). Il marketing internazionale studia come le differenze culturali impattano sulla percezione dei prodotti. Esempio di segmentazione demografica basata sulla religione, è l’app Kosher Near Me che offre cibo Kosher o la collezione di Dolce e Gabbana per le donne musulmane. Esempi di segmentazione demografica basata sul criterio del ciclo di vita della famiglia è il Singles Day. Esempi di segmentazione demografica basata sul criterio del genere sono le riviste Vogue o Grazia. Esempi di segmentazione per reddito sono le proposte di crociere di lusso. Esempi di segmentazione basata sulla variabile dell’età (detta variabile generazionale): Traditionals, Baby Boomers, Generazione X, Generazione Y o Millenials e Generazione Z. È importante per capire quali sono le aspirazioni delle diverse generazioni e l’attitudine con la tecnologia. Segmentazione comportamentale: si basa su come usiamo il prodotto in questione. Esempio di segmentazione in base a densità di utilizzo è Uber. Esempio di segmentazione in base ai benefici ricercati sono i dentifrici, come denti bianchi, protezione, gusto o solo funzione di base. Altri esempi dello stesso tipo sono yogurt o vino. Altro tipo di segmentazione comportamentale è la segmentazione tribale, in cui ciò che accomuna molte persone è la passione per uno stesso prodotto come i Vespisti o gli sciatori. Segmentazione psicografica: permette di definire la persona, il suo stile di vita e i suoi hobbies. Un esempio di segmentazione che unisce le variabili geografiche e psicografiche è Sport England, che descrive come le persone si relazionano con lo sport e che riempiva i negozi in base agli interessi della popolazione che viveva nei dintorni dei negozi. La segmentazione social demografica capisce le diverse generazioni ed etnie sui social, per esempio Snapchat e Tik Tok sono usati in maggioranza da donne tra i 18 e 29 anni o in base al reddito. Targeting: si fa la selezione del segmento al quale si sceglie di rivolgersi. Ci sono varie tipologie di targeting che devono essere sempre coerenti con la scelta dell’azienda: mono targeting, multi targeting o marketing one to one; una via di mezzo che unisce il multi marketing a un’esperienza personalizzata; quando si può personalizzare un prodotto offerto a tutti i segmenti, esempio della Mini. Si devono poi identificare le persone nel segmento che si è scelto e descrivere quindi la buyer persona in relazione a un determinato mercato di riferimento. Ci sono stati anche disastri e fallimenti, per esempio quando la Bic aveva iniziato a fare collant da donna o Colgate aveva iniziato a produrre piatti pronti con accanto del dentifricio. Il brand diluition è il caso estremo di brand extension, esempio di Chiara Ferragni che sta mettendo il nome ovunque e il brand non mantiene più l’esclusività. Un’estensione è di successo quando c’è concordanza e coerenza tra la categoria di partenza e di estensione. Un’estensione di brand si può fare offrendo prodotti della stessa categoria, esempio di Mentadent con linee di dentifrici diversi. Quando si crea una nuova linea di prodotti si chiama estensione di linea (lancio di una nuova linea di dentifrici). Quando invece si mette il brand su una nuova categoria merceologica si chiama estensione di categoria (Dolce e Gabbana che produce occhiali, scarpe e profumi, Gucci che produce candele o Barilla con la pasta all’uovo, integrale, ai 5 cereali). Si parla di flanker brand si offre un prodotto della stessa categoria merceologica ma si crea un nuovo brand, esempio di Big Babol che è di proprietà di Brooklyn. Sono due brand della stessa azienda che offrono lo stesso prodotto (gomme da masticare) ma hanno due nomi completamente diversi. Big Babol è flanker di Brooklyn. Altro esempio sono i Pan di Stelle che sono flanker di Mulino Bianco. Si parla di fighter brand quando si immette sul mercato un prodotto che appartiene alla stessa categoria merceologica del brand che si riferisce a un target diverso e si posiziona più sotto offrendo prodotti basic, esempi sono le compagnie aeree che per coprire delle fette di mercato si creano le low cost, esempio di Qantas che ha creato Jetstar, la sua versione low cost. Altro esempio sono Vodafone e HO, creato per mantenere una fetta di mercato dove stavano entrando molti altri competitors. Si parla di brand love nei casi di attaccamento estremo al brand, in cui il brand diventa parte dell’identità di una persona, esempio quando si tatua o diventa parte dell’aspetto di una persona. In questo caso si ha attaccamento e passione per il brand e la persona diventa un advocate estremamente positivo. La brand architecture si ha quando grandi aziende hanno più brand ed è il modo in cui i brand sono organizzati dall’azienda. Le architetture di brand sono in continua evoluzione e se ne distinguono 3:  Monolitica : qualsiasi estensione di linea o di categoria riporta il brand nello stesso modo. Esempi sono FedEx, BMW o Intel.  Endorsed : il brand madre è ancora presente ma si fa un po’ da parte per far sì che i nuovi servizi e prodotti lanciati sul mercato siano riconoscibili. Si traslano i valori del brand madre nei nuovi prodotti e servizi ma viene dato spazio alla creazione di brand diversi che sviluppano una loro autonomia, esempio di Google (si dice Drive e non Google Drive, Gmail e Chrome- anche se il nome di Google c’è sempre). Sono estensioni di Google e anche nei loghi vengono ripresi i colori di Google, la parola stessa o la G. Altri esempi sono le catene di alberghi Marriott, che offre diverse categorie di hotel ma sempre con il nome Marriott, Kellogs, tutto il mondo Kinder (sorpresa, cereali, bueno) o anche la Virgin (radio, palestre, hotel).  Branded : è l’architettura più estrema in cui il nome del brand madre non compare e se non si legge non ci si può immaginare che il prodotto è parte di un gruppo. È una tecnica molto usata dalle multinazionali in cui ogni prodotto ha una vita autonoma ma fano parte dello stesso gruppo. Per esempio Mr Muscolo, Duracell, Patene, Tampax, Boss, Oral B, Lacoste o Pampers sono tutti brand della stessa azienda P&G ma ognuno ha un suo brand e non c’è storia tra un prodotto e un altro. Altro esempio è Johnson and Johnson, che contiene tani brand top of mind che vivono autonomamente. Esistono anche aziende ad architettura mista, in cui i brand sono endorsed e altri branded. Esempio di Lindt, che ha prodotti come coniglietti, Lindor o barrette di cioccolato che sono endorsed (hanno nome proprio ma si associano al brand madre), però ha anche tanti altri brand che non fanno riferimento a Lindt (branded). Per esempio Pan di stelle è nato endorsed e poi è diventato branded. Elementi che caratterizzano il brand: nome, logotipo, pittogramma, colore, payoff o tagline e un eventuale suono. Le lettere scritte con un font particolare sono il logotipo; mentre il disegno è il pittogramma. Alcuni hanno anche una tag line o pay off sotto al logotipo. Anche i colori sono fondmentali:  Bianco e nero: eleganza esclusività, tecnologia, neutralità  Giallo: spensieratezza, divertimento, felicità, gioia  Verde: natura, salute, rilassatezza, freschezza (prodotti bio, Whatsapp o We Chat)  Rosso: forza, passione, energia  Blu: sicurezza, fiducia, onestà. Molte banche ed assicurazioni utilizzano il blu, così come molti prodotti per la cura della persona  Arancione: amicizia, libertà, socialità (Banca ING ha il blu per la fiducia e l’arancione per l’amicizia) International Branding: bisogna stare attenti a quali colori si utilizzano nei mercati esteri, per esempio il viola in Italia porta male e non ci sono brand con logotipo viola, mentre nei paesi arabi il viola è simbolo di buona fortuna. Brand evolution: i brand non sono sempre uguali, ma evolvono graficamente i pittogrammi, i colori o i valori che rappresentano, perché si deve andare incontro alle evoluzioni della società e ai nuovi trend mantenendo i caratteri fondamentali che definiscono la storia del brand. In alcuni casi è parziale (cambiano pittogramma o logotipo, quindi il lettering, o il font, esempio di Barilla) o si ha un rivoluzionamento che coinvolge non solo l’aspetto grafico ma porta anche a un riposizionamento dei punti di differenza che definiscono la value preposition di un brand che si adegua alle nuove tendenze artistiche, esempio Juventus. Casi estremi di brand evolution in cui non solo si ha un cambiamento del lettering, ma un vero e proprio cambiamento del nome sono Twitter con X e Facebook con Meta. Anche i colori seguono un trend. Ogni anno Pantone, nel giorno del Ringraziamento, svela il colore dell’anno successivo, che viene deciso in base alle tendenze che si osservano e associano il colore a un significato. Nel 2023 il colore è stato il Magenta e c’erano molti prodotti di quel colore, esempio di Apple Watch o del brand Chiara Ferragni. Air B&B ha evoluto il proprio lettering e il logo, essendo protetto dal trademark, viene registrato con il colore del brand, quindi i competitors non lo possono utilizzare nella stessa categoria merceologica di riferimento. I colori fanno parte del brand e sono protetti dal trademark del marchio, esempio rosso coca-cola, blue Tiffany, marrone Ups. I brand sono registrati per essere riconosciuti e volte si hanno problemi perché nascono le brand wars quando alcun brand creano loghi molto simili, per esempio Pandora nel 2017 ha creato un logo molto simile a quello di Pay Pal. La questione si è risolta con Pandora che ha cambiato logo con una P rosa. Il brand management è la branca del marketing che gestisce gli aspetti legati al brand e sviluppa strategie. All’interno del brand management, il branding è il processo che carica il brand di significato e studia come caratterizzare il brand con valori e definire le associazioni del brand. La Brand strategy è la strategia di brand che serve per sviluppare il brand per un lungo periodo e farne aumentare il valore economico. La brand equity è il valore economico di un brand. Si calcola con 2 dimensioni principali che determinano il valore economico di un brand: awarness del brand (conoscenza del brand) e brand image. Ci sono algoritmi che ne calcolano il valore sulla base di quanto il brand è conosciuto. L’immagine del brand cerca di capire quanto i consumatori sono fedeli e quindi quanto sono buoni advocate. Anche la brand knowledge determina il valore economico di un brand. È quanto un brand è conosciuto, perchè più un brand è conosciuto e più informazioni ci sono, più la brand knwoledge aumenta, più aumenta il valore economico del band e maggiore è la velocità del processo di acquisto. Le componenti di un brand che determinano il suo valore economico: Il brand è come una persona, con una propria identità (brand identity), immagine (brand image), reputazione (brand reputation) e posizionamento (brand positioning). Si parla di human brand perché i brand parlano, hanno caratteristiche e toni di voce che prendono una posizione, hanno dei valori e una loro identità. Brand identity: è definita da quello che un brand vuole essere. Risponde alla domanda chi sono io come brand? Brand Image: descrive come il brand vuole essere percepito, come viene visto dagli altri. L’obiettivo è che l’immagine del brand coincida con quello che l’azienda vuole comunicare. Una buona immagine si costruisce partendo da un’identità solida che permette a brand di distinguersi con dei POD nell’arena competitiva. L’azienda ha un controllo sull’identità e sull’immagine perché è l’azienda stessa che definisce come vuole che il brand sia e decide come comunicarlo attraverso attività di marketing. Brand reputation: il brand e l’azienda non hanno alcun tipo di controllo. È la somma dei giudizi che le comunità digitali e l’opinione pubblica hanno di un brand. Per avere una reputazione positiva si deve lavorare sull’immagine e controllare quello che viene detto sul brand con attività di PR e controllo con strumenti digitali come sentiment analysis. Se c’è discordanza tra reputazione e immagine c’è un problema e sta a chi lavora nel team di marketing capire cosa non funziona. I brand evolvono e il cambiamento può passare dalla modifica della grafica a un rebranding, ripensando a tutte le associazioni di valori sul brand oppure si ha un riposizionamento di brand, in cui si cambia il posizionamento o se ne aggiungono di nuovi a quelli già esistenti. Esempio del Nutella B-ready, in cui Nutella ha fatto il riposizionamento di un prodotto aggiungendo all’occasione della merenda quella della colazione. Si è ripensato il prodotto per una nuova destinazione d’uso cambiando i criteri di posizionamento. Altro esempio è Desigual. I lifestyle brands sono brand che diventano uno stile di vita delle persone che li indossano e che definiscono il modo di vivere di chi le indossa, esempio di Vespa, Vans, Dr Martens, North Face, Nike, Abercrombie, Stan Smith, Pandora, Ray Ban. L’Italian Lifestyle Brand è una strategia molto diffusa all’estero, esempio di Fiat, Peroni, Illy Caffè o Aperol in cui qualsiasi prodotto italiano all’estero costa 10 volte tanto perché è posizionato sull’idea della dolce vita. Il Rebranding si ha quando un brand ha una rivoluzione in termini di associazioni di valori sia un restyling totale del lettering, logo e pittogramma, ad esempio Juventus, dopo il nuovo stadio e l’affermazione tra i club internazionali ad alti livelli, ha dato al brand un effetto di Italian lifestyle e quindi è stato ridisegnato, con una serie di prodotti brand extension che hanno ripreso il nuovo logo. Alcuni brand sono associati ad attributi di sostenibilità. Infatti, alcuni brand definiscono la loro proposta di valore sul parametro della sostenibilità e i loro prodotti sono sostenibili e realizzati dal riciclo di materiali. Patagonia, ad esempio, centra la sua comunicazione sulla sostenibilità, creando prodotti con poliestere riciclato. Il packaging viene pensato dall’azienda oppure si dà il servizio di ideazione grafica del packaging ad agenzie che elaborano proposte e poi le fa scegliere al brand. I materiali vengono sempre acquistati all’esterno, ad esempio Pavia è leader nella produzione di imballi in plastica e polistirolo (quindi packaging terziario perchè serve per i trasporti). Il packaging deve non solo comunicare la proposta di valore, ma ha anche un valore funzionale perchè deve soddisfare le esigenze d’uso del consumatore, ma allo stesso tempo si deve tenere in considerazione l’esigenza di distribuzione e i costi di produzione del packaging, che hanno voci di costo enormi per le aziende. Deve essere facile da trasportare per far arrivare il prodotto integro, ma anche facile da esporre e che conservi bene il prodotto, soprattutto nei generi alimentari. L’obiettivo del packaging è attirare il consumatore, rendere riconoscibile il brand, comunicare correttamente le caratteristiche del prodotto, i valori del brand, la proposta di valore e favorire la logistica e il trasporto. Uno dei problemi principali è ridurre l’uso della plastica; infatti i prodotti che hanno un packaging di carta costano molto di più, esempio dello Yomo con lo yogurt nel barattolino di carta. Si sta incentivando a un packaging sempre più green nonostante gli elevati costi. Il packaging deve riprendere i colori del brand, il logotipo, il pittogramma, ma deve soprattutto essere differenziante, unico e rendere il prodotto originale. Quando si immette un prodotto sul mercato si deve sapere che tipo di prodotto è . Il ciclo di vita di un prodotto è la curva delle sue vendite nel tempo a seconda delle stagioni o degli eventi. Si distinguono diversi tipi di cicli di vita di un prodotto: curve stagionali, con un picco che poi gradualmente scende e risale nella stagione successiva (esempio dei gelati, abbigliamento estivo, zuppe, pandori o panettoni), curve di moda, con un picco notevole e poi scende assestandosi con un equilibrio, curve flop, in cui si ha subito un picco e poi crolla vertiginosamente e finisce lì, la curva evergreen, che sale e si stabilizza, con i clienti che continuano ad acquistare il prodotto. Un esempio di prodotto moda a livello mondiale negli anni 90 è stato il tamagotchi, che ha avuto un boom pazzesco e poi è diventato un flop. Quando un prodotto arriva al picco di vendite si deve riuscire a mantenere quel livello per mantenere lo status quo e si può fare introducendo nuove caratteristiche o nuovi utilizzi o nuovi mercati; ma è molto difficile. I profitti arrivano quando c’è crescita, perché se le vendite non vanno come previsto non si riescono a coprire i costi e si ha un fallimento. È importante capire il ciclo di vita di un prodotto e saper cambiare le strategie per raggiungere gli obiettivi; per esempio nell’introduzione si lavora sull’awarness e crescita dell’engagement, nella fase di considerazione si deve lavorare sulle conversioni e nella fase di declino si deve lavorare su soddisfazione, loyalty e advocacy. È molto dispendioso in termini di energie ed economico ideare un nuovo prodotto e nello sviluppo di un nuovo prodotto si possono introdurre novità assolute (passaggio da VHS a DVD), nuove categorie, estendere una linea (Kinderini), migliorare il prodotto o riposizionarlo. Più aumenta il livello di innovazione, più i costi sono alti in termini di ricerca e sviluppo. Quando si innova un nuovo prodotto o si migliora si ha una fase di ideazione e valutazione dell’idea, si sceglie il target e si ha un successiva fase di sviluppo con valutazioni economiche e finanziarie e poi si prosegue con il lancio del prodotto. La cosa più importante è saper gestire il prodotto dopo il lancio. Esempi di prodotto flop è Pokemon Go perché a causa della meccanica ripetitiva perché i consumatori si erano annoiati o la Kodak, fallita perché con l’avvento delle macchinette digitali non ha investito nelle novità. Miopia di marketing: si pensa che il prodotto sia top e si vende bene ma non ci si rende conto di cosa sta succedendo nel mercato esterno. PLACEMENT: è la distribuzione del prodotto. Se ne occupano i canali distributivi, che sono il mezzo attraverso cui il prodotto arriva al consumatore. Devono essere efficienti sia in termini di tempistiche che di costi, perché il prodotto va consegnato rapidamente al cliente ma con costi sostenibili. Raramente l’azienda consegna in maniera diretta il prodotto al consumatore finale. Si parla di distribuzione a canale diretto quando non ci sono intermediari e si mette in comunicazione il produttore con il consumatore finale, esempio delle compagnie telefoniche; mentre quando ci sono intermediari i canali si allungano e ad ogni intermediario il costo della distribuzione aumenta perché ogni passaggio implica quote aggiuntive che si sommano al prezzo finale che l’acquirente paga sul prodotto e si rallentano i tempi di consegna. Gli intermediari si inseriscono tra l’azienda che produce il prodotto e il consumatore finale. Ci sono diversi tipi di intermediari e possono essere operatori commerciali dipendenti o indipendenti dalle aziende di distribuzione.  I grossisti sono intermediari che acquistano grandi quantità di merce e la rivendono al dettaglio. Sono importanti perché l’acquirente finale non compra moltissimi pezzi del prodotto e ha bisogno di un intermediario che compra all’ingrosso, immagazzina e rivende al dettaglio con una maggiorazione. Mettono in contatto i produttori con i negozianti, esempio delle cartolerie che comprano penne e matite all’ingrosso e le rivendono.  Gli agenti possono acquistare loro la merce e rivenderla o svolgere attività per altre aziende, acquistando molti prodotto e rivendendoli a piccole dimensioni. I nuovi modelli digitali comportano una rivoluzione anche nella distribuzione, infatti l’e-commerce ha rivoluzionato il mercato: il canale di distribuzione è diventato diretto e si dimezzano gli intermediari, esempio di Amazon che è un intermediario marketplace virtuale. Un esempio di azienda che ha eliminato ogni intermediario è Ausker, azienda italiana di coltelli che unisce produttore e consumatore finale abbattendo i costi e mettendo in vendita sul loro sito web set di coltelli a prezzi competitivi. La riduzione al minimo degli intermediari offre un prodotto di qualità a un prezzo competitivo. La distribuzione non solo consegna il prodotto ma ha anche altre funzioni come quella commerciale (si porta prodotto al consumatore finale); logistica (è molto complessa ) e di facilitazione perchè molte volte gli ultimi intermediari si occupano della vendita finale permettendo di pagare a rate, esempio di Media World che compra la merce e mette in contatto Samsung con il cliente finale. Un brand deve scegliere la sua copertura distributiva, cioè scegliere se stare su territorio nazionale o entrare in altri mercati. Nel mercato nazionale si deve pensare al posizionamento e all’orientamento dell’impresa, distinguendo diverse distribuzioni:  Intensiva : il produttore si avvale del maggior numero di intermediari per avere copertura su tutto il territorio nazionale per rendere l’acquisto pratico ed essere presente in quanti più punti vendita possibili, esempio dei beni alimentari o di largo consumo  Selettiva : il produttore utilizza un numero ristretto di intermediari selezionati e quindi non presenti in ogni punto vendita, esempio di prodotti di uso non quotidiano o che richiedono sacrifici, come elettrodomestici o abbigliamento di marca.  Esclusiva : si ha un target esclusivo e il produttore sceglie un gruppo molto ristretto di distributori e si hanno vincoli che fanno sì che il prodotto si possa trovare in pochissimi posti selezionati, esempio dei prodotti di lusso. Un esempio di trade marketing è la GDO (Grande Distribuzione Organizzata, esempio dei supermercati). I punti chiave del trade marketing sono:  contrattare i listini, il prezzo di uscita del prodotto  contrattare il prezzo di entrata sullo scaffale (si paga una fee a seconda degli accordi contrattuali)  contrattare sulle attività promozionali e discutere sugli sconti, quando si acquista un prodotto in sconto la GDO o il brand paga la differenza  contrattare la collocazione dei prodotti nello scaffale e capire come gestire in maniera efficace la merce all’interno dello store. È la category management, che studia una gestione efficace del prodotto nello store e ne progetta l’architettura per incentivare le conversioni. Oppure, si pensano gli spazi vendita in base a come si vuole organizzare il flusso all’interno garantendo la visione dei prodotti e agevolando il raggiungimento della merce. L’obiettivo finale è ottimizzare le performance in termini di profitti. Layout a griglia o a scacchiera sono tipici dei supermercati; altro modello è quello a forma libera con una distribuzione libera della merce e isole tematiche; dove si ha più libertà ma non si ha il controllo sul percorso de consumatore. Display management: studia la miglior collocazione del prodotto sullo scaffale. Non lo sceglie il brand, ma si paga una fee in base al punto in cui i prodotti sono posizionati, perché la collocazione del prodotto sullo scaffale è fondamentale per le conversioni, soprattutto per i prodotti di largo consumo. Elementi chiave da considerare per un corretto posizionamento sono:  Il livello degli occhi: è quello e costa di più, perché sono i prodotti che si vedono per primi o si vendono di più  Prodotti di punta, sono i prodotti popolari o di cui si vogliono aumentare le vendite e si crea un corner specifico o un’isola di prodotti.  Flusso di traffico, sono i prodotti di prima necessità come acqua, sale o zucchero posizionati lungo i percorsi di traffico principali e si deve distribuirli in maniera corretta.  Prodotti correlati: si mettono vicino prodotti simili e complementari per aumentare le vendite, come le salse sopra al banco della carne o le patatine nella stessa corsia delle bibite gassate.  Prodotti stagionali: si riempiono gli scaffali con prodotti stagionali o promozioni (Halloween, Natale e Befana). Le aziende inviano planigrammi agli store per il visual merchandising. Esistono particolari tipi di distribuzione come il franchising, in cui l’intermediario finale non acquista solo la merce ma diventa affiliato della casa madre e un privato compra il diritto di vendere in esclusiva quella merce, come Calzedonia, Mc Donald o Intimissimi. Ci sono dei costi di franchising, di apertura del negozio, di allestimenti interni, della merce e si tengono i guadagni una volta pagati i diritti di franchising. Tutti i negozi hanno stessi prezzi, stesse vetrine, shopper targate e seguono le regole del brand. Visual merchandising: studia come si progetta la componente vision del punto vendita soprattutto in catene come Zara e H&M, in cui vetrine e distribuzione dei prodotti sono uguali in tutti gli store. Nello store retailing le tipologie di store cambiano a seconda delle dimensioni e del tipo di assortimento. del brand e sulla sua reputazione per avere un’immagine coerente, creare engagement ed accelerare le conversioni e infine lavorare sul mantenere i clienti con il consolidamento di loyalty ed advocacy. Si deve pensare all’obiettivo che si vuole raggiungere e poi elaborare una strategia di comunicazione dividendo l’attività di marketing in tre blocchi: storytelling o narrazione (cosa si vuole raccontare, come si traduce la proposta di valore in un messaggio efficace), poi si deve pensare a come costruire il contenuto (content marketing) e infine si sceglie la frequenza attraverso cui si vuole comunicare, creando un piano di comunicazione scegliendo i mezzi. Storytelling: è una strategia di comunicazione che permette di raccontare una storia che è pensata per una buyer persona specifica inserendo il brand nella storia. Significa chiedersi come raccontare un prodotto e cosa si vuole raccontare. Si può fare in molti modi come tv, radio o social adattandola al media che si va ad utilizzare; oppure anche su Instagram che è un social visuale in cui si usano immagini e didascalie per raccontare delle storie. È importante saper trovare la storia che rimanga nella testa del consumatore di riferimento, creando connessioni affinché il brand venga ricordato e si crei un forte legame emotivo con un senso di appartenenza, per esempio raccontando una storia con rimandi a un momento della vita di ognuno di noi identificandoci con il protagonista della storia. Uno dei modelli più usati è il viaggio dell’eroe, con un inizio florido e poi periodi di crisi che sono un rafforzamento del legame tra brand e consumatore. Si instaura una self brand connection tra consumatore e brand. La storia deve raccontare un messaggio rilevante per il target di riferimento e la storia deve essere coerente con l’identità del brand. Gli strumenti dello storytelling sono i superpoteri: l’emozione (i brand fanno leva sulle emozioni e storie emozionanti che colpiscono) e l’azione (è conseguenza del coinvolgimento emotivo, come usare bambini o animali). Si cambia il valore percepito del brand quando si vuole riposizionare o cambiarne i valori ad esso associati ed infine si lavora molto sulla memoria, infatti molti brand fanno leva sull’infanzia o sul passato, prendendo dei momenti importanti nella memoria del consumatore. Un esempio è il nostalgia effect. Tono di voce (ToV): è il modo in cui un brand parla. Deve rispettare il brand e la cultura aziendale, rendere il brand umano, creare e mantenere il rapporto con i clienti e rendere il brand unico e distinguibile nell’arena competitiva. Esempi sono la Birra Ceres, con un ToV che rispecchia la cultura aziendale, Aldi con un ToV che punta sulla comunicazione giovane, dinamica e semplice e Amaro Montenegro, che ha avuto un riposizionamento e un rebranding grazie a un ToV molto amichevole ed affettuoso raccontando storie di amicizia. Un messaggio rilevante si costruisce con la ruota delle paure, una ruota in cui si sceglie la paura del target di riferimento e si cerca l’elemento che si sa essere attivante e l’obiettivo è stimolarlo per ottenere l’attenzione e sulle paure di costruiscono delle storie. Il brand è l’aiutante che aiuta a superare queste paure e il macro tema è il filo conduttore di tutta la storia, è l’elemento attorno al quale si costruisce la storia dove il brand aiuta a superare la paura.  Storie di fatti : il macro tema sono i fatti. La paura è l’impotenza o di non avere il controllo riguardo tematiche del cambiamento climatico. Per aiutarci a superare la paura, il brand accentua la paura sottolineando il problema, con un ToV molto informativo con numeri e spiegazioni di come si contribuisce alla salvaguardia dell’ambiente. Esempi sono WWF, Unicef, Telethon e Humble.co, brand di prodotto igiene orale con materiali biodegradabili.  Storie di salvezza : la paura è quella della morte, del male o delle tragedie. Un esempio di brand che costruisce le sue storie su queste paure è Nike Ispiring Communities, che aiuta le persone a superare momenti difficili. Nike finanzia impianti sportivi nelle parti del mondo povere o colpite da disastri naturali per far riunire nello stesso posto persone sfortunate e che queste possano trovare attraverso lo sport una via di salvezza. Il ToV è ispirazionale e si raccontano storie di riscatto potenti e il testimonial scelto deve aderire al 100% alla campagna del brand e alla narrazione.  Storie di trasformazione : la paura è legata alla trasformazione, all’immobilismo e all’inerzia. Esempio è Dior, che negli ultimi anni ha reso più reale il brand, che da ispirazionale è diventato un brand reale, scegliendo scelto Bebe Vio come donna immagine e con collezioni centrate sulla scherma. Grazie a quest’abito la donna si sente bene, non resta indietro ma si sente bella e supera la paura di non farcela.  Storie di legame : la paura è quella della solitudine e dell’isolamento con la ricerca dell’identità. Esempio è Pasta Garofalo, che diventa un brano umano e vuole entrare nelle case delle persone raccontando come ci può aiutare a sentirci meno soli perché è l’elemento di legame in tavola.  Storie di valore : la paura è del vuoto, della mancanza o della ricerca di un perché. Esempio di Dolce e Gabbana con una narrazione legata ai valori dell’italianità e ha creato la linea Devotion che riprende gli ex voto dei santuari, racchiudendo valori di sacro e profano tipici della cultura italiana.  Storie di cura : è la paura dell’abbandono e della povertà. È molto usato dalle banche che sfruttano queste paure per costruire queste narrazioni, esempio di Intesa San Paolo che racconta come è possibile realizzare i sogni sconfiggendo la povertà. La storia suprema è una storia in cui tutte storie si uniscono e sono quelle più potenti e sono raccontate da persone che diventano loro stesse un brand (personal branding), esempio di Chiara Ferragni, Maradona e Cristiano Ronaldo, che guadagnano di più brandizzando loro stessi che dalla loro attività. L’esempio di CR7 è che da un inizio disastroso diventa il calciatore più forte di tutti i tempi. Si uniscono la storia di fatti (palloni d’oro, Champions vinte), di salvezza (graie al calcio riesce a sopravvivere), di trasformazione (diventa sex symbol), di valore (engagement, interazioni), di legame di cura. COMUNICAZIONE: è la fase in cui si rendono operative le decisioni prese in fase strategica. Content marketing: è la branca del marketing che permette di costruire dei contenuti partendo dagli obiettivi del piano marketing. Si deve pensare a come costruire il contenuto, come adattarlo e diffonderlo, monitorando i KPI per capire se il contenuto di comunicazione funziona. Il Content Marketer e lo storyteller possono anche essere stessa persona, ma la maggior parte delle volte sono persone distinte: lo storyteller scrive la storia, il content creator la crea. Step by step media content marketing:  Goal setting : stabilire un obiettivo, che può essere vendita, creare awarness, engagement o conversione.  Audience mapping : si fa una mappatura dell’audience e si definisce la buyer persona sulla base dei dati raccolti.  Content ideation e planning : si costruisce la narrazione e lo storytelling in base all’audience di riferimento, alla proposta di valore e all’obiettivo che si vuole raggiungere.  Content creation : è la fase di creazione del contenuto ed è la fase più dispendiosa a livello di budget. Il contenuto deve essere di qualità, originale, ricco e professionale; ma è anche la fase in cui si rischia di tradurre il processo in un epic fail e si creano crisi di comunicazione. Questo è il punto in cui è fallita la campagna di Open to Meraviglia. Un esempio di content creation è la user generated content (UGC), uno dei metodi più diffusi per creare contenuti social. È gratis e i contenuti sono muti, quindi possono essere ricondivisi su piattaforme a livello internazionale. È esploso durante la pandemia ed alcuni brand che usano la UGC sono Pringles, KFC e Oreo. Il social per eccellenza della UGC è Tik Tok.  Content distribution : è la distribuzione del contenuto con lo scopo di far memorizzare il messaggio al target di riferimento, ad esempio ripetendolo varie volte affinché rimanga nella memoria del consumatore, perché ripetendo le informazioni in modo diverso si stimola l’attenzione. I contenuti devono essere propri del canale e si distinguono diversi tipi di media: Owned media: sono i media che il brand possiede e su cui ha un controllo esclusivo, esempio i canali social ufficiali del brand (Instagram, Facebook, Tik Tok, sito web) Paid media: sono i media a pagamento, dove il brand paga per pubblicare un proprio contenuto, come giornali, riviste, blog di altri, forum o inserzioni pubblicitarie. Si ha un minor controllo e si sono i media che si sfruttano per generare awarness e reindirizzare il traffico sui media dove si ha controllo assoluto e dove si possono dare più informazioni. Esempi sono le pagine degli influencer. Earned media: sono i media attraverso cui si fa advocacy nello spazio fisico e digitale, è il passaparola (Word of Mouth). Sono media importanti perché permettono di fare advocacy positiva ed è la conversazione sun brand, esempio di gruppi che discutono di brand specifici. Il brand non ha controllo e non si pagano. L’agenzia americana McKinsey ha aggiunto altre 2 forme di media: Hijacked media: sono movimenti sociali e temi caldi come il maltrattamento degli animali negli allevamenti intensivi. Queste community si appropriano dell’unità del brand e ne parlano talmente negativamente che il brand sfugge dal controllo dell’azienda e viene usato con un’accezione negativa e polemica. È il media attraverso cui la community prende possesso del brand, la sua reputazione scappa di mano e l’azienda non ha più il controllo. Sold media: sono marketplace digitali come eBay, Amazon o Booking in cui si vende uno spazio per la promozione del proprio brand. Si paga per mettere un annuncio. Un modo per distinguere i media è Media Above The Line (ATL) e Behind The Lane (BTL). Si ha una linea in cui sopra ci sono i mass media come tv, radio, cartelloni pubblicitari, con una comunicazione impersonale con messaggi che colpiscono grandi pubblici. Sotto ci sono i media 1 a 1 come i social media o con un pubblico estremamente targettizzato come fiere, eventi di settore o messaggi personalizzati. Una comunicazione è throught the line quando si uniscono i media sopra e sotto la linea in modo integrato ed omnicanale. Altro modo per distinguere i media è dividerli in media per l’interruption marketing (esempio della pubblicità nei programmi televisivi, in cui si interrompe il contenuto per mandare la pubblicità) e per il permission marketing (esempio delle newsletter che chiedono il permesso all’utente, le carte fedeltà o l’email marketing).  Content Amplification : il contenuto si amplifica passando per canali seguiti da molti utenti e nel digitale è attraverso creator, influencer e opinion leaders. Più il pubblico è ampio, più diminuisce l’influenza, quindi si deve fare attenzione ai canali che si scelgono. Il messaggi si diffonde dal brand al target di riferimento con gli owned media in maniera diretta, con i paid media passa attraverso l’opinion leader o gli influencer e si deve stare attenti a come il messaggio passa, perché più media ci sono meno controllo si ha sul messaggio. L’influencer marketing è il marketing che passa attraverso degli opinion leaders, persone che hanno la capacità di influenzare le scelte del loro pubblico. Un influencer è più credibile perché crea un legame molto a seconda del rapporto tra benefici e sacrifici che una persona gli attribuisce. I benefici che si hanno dall’acquisto di un prodotto devono essere sempre maggiori rispetto ai sacrifici che si fanno per comprarlo. I benefici sono i valori aggiunti che si ritiene soggettamente di ottenere quando si acquista un prodotto, i sacrifici possono essere economici, di tempo o emotivi. La difficoltà nel scegliere un prezzo è capire qual è la soglia massima di sopportazione che un consumatore è disposto a pagare per avere un bene o servizio. Se il prezzo va oltre quella soglia, il consumatore percepisce il prezzo come troppo alto e quindi si deve trovare un prezzo che permette di avere un profitto che copre tutti i costi che si devono sostenere per portare il bene sul mercato e deve essere anche una spesa sostenibile per il consumatore di riferimento. Il prezzo oggettivo è la quantità di denaro che un soggetto è disposto a pagare per avere un bene; il prezzo soggettivo o percepito è quello che il singolo consumatore percepisce soggettivamente e ritiene sia giusto, troppo alto o troppo basso. I processi di pricing sono le azioni che si svolgono per determinare il prezzo iniziale di un bene. Le principali problematiche legate al pricing sono: 1. Determinazione del prezzo iniziale 2. Manovre del prezzo 3. Modifiche o discriminazioni di prezzo 1. Determinazione del prezzo iniziale: quando si determina un prezzo iniziale si pensa al fatto che l’azienda deve essere sostenibile, generare profitto per coprire i costi e avere un guadagno. Si possono avere diversi obiettivi che seguono l’orientamento dell’impresa:  scrematura di mercato : si mette un prezzo molto alto in modo tale che solo i clienti premium possono accedere ai prodotti e quindi si vende poco ma a prezzi alti. Esempi di brand che applicano questa tecnica per avere solo clienti premium sono IPhone, Gucci e brand di lusso in cui il consumatore è disposto a pagare e quindi si alza il prezzo perché il consumatore acquista per il nome del brand. Il markup è il prezzo che si paga per il nome del brand e la willingness to pay è la volontà di pagare del consumatore, cioè quanto è disposto a pagare, e si individua attraverso analisi di mercato per capire qual è la soglia massima che il consumatore vuole e può pagare. I prodotti hanno effetti di valutazione molto rapidi, esempio dei prezzi degli IPhone quando se ne lancia un nuovo: i modelli precedenti si svalutano e i prezzi scendono rapidamente.  penetrazione di mercato : si ha una vendita di volumi molto elevati a prezzi molto bassi. È il modello di business dei brand fast fashion come H&M e Primark. Shein è definito come ultra fast fashion perché i prezzi sono decisamente bassi e la strategia è vendere elevati volumi sollecitando i consumatori proponendo collezioni nuove e aggiungendo a catalogo nuovi prodotti con qualità non molto elevate, quindi il prodotto si consuma facilmente e induce il consumatore a comprare ancora.  sopravvivenza in un momento di crisi. Si deve ragionare anche sulla proposta di valore perchè se il prodotto è esclusivo offrendo esperienze si usa la tecnica della scrematura mettendo prezzi molto alti. Nella determinazione del prezzo altri fattori che influiscono sono i fattori legati all’ambiente come la concorrenza, lo stato in cui si opera e le tassazioni dei singoli stati, la domanda, le capacità di spesa del consumatore e un’analisi delle sue capacità di spesa. Si devono analizzare i costi di produzione per coprire le spese sostenute per la produzione e la distribuzione del prodotto. Si distinguono 3 strategie di determinazione del prezzo:  Cost based pricing , che considera i costi di produzione con una serie di formule che considerano i costi variabili e fissi. Il vantaggio di questa politica è che si sa in modo preciso quanto volume si deve vendere e a quanto si vende il singolo prodotto. Esempio è il bus per Livigno in cui il pricing è basato sui costi per sostenere il servizio.  Competition based pricing , in cui le aziende hanno come modello di business l’essere leader nella loro categoria merceologica ma riescono ad avere i prezzi più bassi. Sono i category killer, i brand che non hanno troppa concorrenza come MediaWorld, Euronics ed Unieuro che riescono ad essere leader perché vendono più di tutti e hanno potere contrattuale con i brand che vendono per abbassare i prezzi così tanto. Questo funziona quando l’azienda è leader di mercato, ci sono pochi competitors o nei supermercati discount come MD o Eurospin. Il predatory pricing si ha quando si vendono quantità enormi di prodotto ad un prezzo unitario bassissimo. Esempio di Competition based pricing sono i bus per gli aeroporti.  Customer based pricing , che analizza il comportamento del consumatore e la domanda del prodotto in un determinato luogo, stato o periodo dell’anno. La funzione di domanda più generale è quella in cui al diminuire della quantità del prodotto aumenta il prezzo, in cui si vendono poche unità a un prezzo elevato. In base alla domanda si determina il prezzo a cui si può vendere il prodotto. Si tende a fare una grande campagna di marketing per avere una forte richiesta e vendere tanto e subito. Esempi sono le aziende che vendono in base al principio di scarsità e sollecitano all’acquisto con le limited edition o con promozioni valide per un certo periodo di tempo per generare awarness sul brand e vendere tanto e subito. Esempi sono le scarpe della Lidl o i Nutella Biscuit. Quando si fa leva su questi meccanismi si induce nel consumatore la paura di non arrivare in tempo ad ottenere il prodotto. 2. Manovre di prezzo: è il momento in cui per influenzare le vendite si aumenta o diminuisce il prezzo.  Riduzione del prezzo : un’azienda riduce il prezzo unitario del prodotto perchè c’è un eccesso di capacità produttiva, ad esempio nell’ulta fast fashion in cui si vende molto a prezzi molto bassi per indurre il consumator a un acquisto costante. Si sollecita con nuove offerte, prodotti sempre in saldo e proposte di valore che soddisfano i bisogni dei consumatori per avere qualcosa di nuovo ed essere alla moda. Brand che applicano la politica di riduzione costante del prezzo sono Shein e Temu.  Aumento del prezzo : un’azienda aumenta i prezzi perché ha un eccesso di domanda o quando sa che il cliente è comunque disposto ad acquistare il prodotto. Il problema è l’inflazione. 3. Modifiche o discriminazione del prezzo: può essere legata a molti fattori, come geografici a livello nazionale (al nord le cose costano di più che al sud) e internazionale a causa del made in effect (i prodotti italiani sono più cari all’estero), della tipologia di acquirente (nel B2B i prodotti costano meno rispetto al B2C), dei volumi di acquisto (comprare tanto a volume riduce il prezzo unitario), del tempo (prodotti stagionali, esempio delle fragole carissime fuori stagione), del target d riferimento o del rapporto cliente brand (sconti se si è fidelizzati). Esempi di discriminazione di prezzo sono i prezzi dinamici per gli acquisti online, in cui i prezzi variano al variare della frequenza delle ricerche o del momento dell’acquisto. Un esempio pratico è il settore di viaggi e trasporti, in cui più c’è domanda più i prezzi sono alti. Tecnica dell’hidden city ticketing: si compra un biglietto inserendo la città nascosta (voli in coincidenza ma se ne prende solo 1 per risparmiare), ad esempio quando la capitale è molto più richiesta. Altri esempi sono la fedeltà clienti per volume di acquisti (più si comprano volumi elevati più diminuisce il prezzo unitario) o per immagine, in cui brand come Prada e Miu Miu producono nello stesso posto le stesse cose ma alla fine mettono un altro logo a prezzi più elevati (Armani e Armani Jeans, Dolce e gabbana D&G). Oppure anche per tempo (quando si prenota un volo il prezzo aumenta più ci si avvicina alla data di partenza), mentre una delle più forti è l’appetività di quel bene in un contesto culturale, un esempio sono le Havaianas in Brasile che costano molto meno; mentre l’effetto del made in Italy all’estero ha costi molto più elevati. Anche in Italia i prezzi variano in base al costo e alla qualità della vita o della densità: in città le cose costano di più, perché si deve tenere in considerazione da dove parte e dove arriva il prodotto, esempio della Birra Ichnusa che in Sardegna costa molto meno perché viene prodotta lì. Anche gli sconti sono una tecnica di discriminazione di prezzo per spingere all’acquisto basate sullo studio del consumatore e come reagisce agli stimoli di prezzo:  Ending price (9,99/ 10,99) è la tecnica base che fa percepire di pagare meno un prodotto (49.99 si crede di pagare il prodotto 40euro e non 50)  3x2 in cui si propone un guadagno al cliente avendo un prodotto gratis per spingere il consumatore a compare di più rispetto alla sua intenzione iniziale.  HL Hi- Low Pricing in cui si alzano i prezzi e dopo si riabbassano per stimolare la ricerca da parte del consumatore del prezzo più basso. Quando si trova il prezzo più basso il consumatore compra di più e fa le scorte, quindi si incentiva l’acquisto e si fa credere al consumatore di aver trovato il prodotto con il prezzo più basso. Non è però una tecnica che porta alla fedeltà, perché il consumatore gira diversi punti vendita alla ricerca del prezzo più basso. Un esempio è Esselunga che ha prodotti a prezzo pieno e a volte li sconta.  EDPL Every Day Low Prices è una politica per avere sempre prezzi bassissimi per avere così un consumatore più fedele anche se compra prodotti a prezzi molto bassi. Esempi sono MD o supermercati che hanno sempre offerte e prodotti al prezzo più basso.  Bundle Product in cui si fa leva su fattori psicologici e si fa uno sconto se si comprano due cose insieme (Sky+ Netflix) che singolarmente costano di più. Alti esempi sono i trucchi, le creme, i cesti natalizi o i city pass turistici.  Hook pricing in cui i prodotti di base costano pochissimo, ma i ricambi costano molto di più, esempio delle stampanti e dei toner o delle lamette Gillette. Outbound Marketing vs Inbound Marketing
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