Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti Medicina interna, Appunti di Medicina Interna

Appunti dell'esame "Basi biomolecolari delle patologie d'organo I (C.I.) - Medicina interna, CFU . Docente: Stanghellini Vincenzo Appunti al computer. Superamento dell'esame con 30.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 04/06/2020

gabriele-matteoli
gabriele-matteoli 🇮🇹

5

(2)

23 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti Medicina interna e più Appunti in PDF di Medicina Interna solo su Docsity! MEDICINA INTERNA Secondo l’ipotesi della cripta, gli enterociti in via di formazione a livello delle cripte della mucosa intestinale entrano in diretto contatto con il flusso ematico, in particolare la regolazione della maturazione enterocitaria è permessa dalla presenza nella porzione baso- laterale del recettore per la transferrina satura HFE-TfR1 (Human Hemochromatosis Protein-Transferrin Receptor 1), il quale è in grado di percepire la quantità di ferro circolante legato alla transferrina per regolare l’espressione delle proteine citocromo B duodenale (DcytB1) e del trasportatore di ioni metallici divalenti (DMT1): in presenza di elevate quantità di ferro legate alla transferrina, il recettore HFE-TfR1 è in grado di inviare dei segnali al nucleo che permettono di indurre la maturazione di un enterocita con una bassa espressione nella membrana apicale del citocromo B duodenale e del trasportatore divalente di ioni metallici (in quanto si suppone che nell’immediato futuro non sia necessaria un’elevata captazione del ferro dal lume intestinale); la maturazione enterocitaria ha una durata di qualche giorno. I macrofagi reticoloendoteliali hanno la funzione di riconoscere i globuli rossi senescenti tramite una valutazione delle alterazioni nella morfologia della cellula del sangue e di fagocitarli per indurne la degradazione, in particolare la fagocitosi degli eritrociti è permessa dalla presenza, nella zona di invaginazione della membrana, del trasportatore DMT1. In seguito alla formazione dell’autofagosoma si verifica una diminuzione del pH interno alla vescicola grazie alla presenza di pompe protoniche che inducono la liberazione di idrogenioni (H+) in modo da indurre la lisi del globulo rosso, la degradazione dell’emoglobina e la liberazione del gruppo eme, il quale diventa substrato dell’enzima eme-reduttasi permettendo l’espulsione del ferro ferroso contenuto in essa, il quale può essere immagazzinato nei depositi di ferritina intracellulari oppure essere riversato in circolo attraverso il sistema ferroportina-efestina (è presente in una porzione di membrana cellulare che non partecipa alla formazione del fagolisosoma). [I globuli rossi senescenti presentano delle alterazioni della membrana e della forma che ne permette il riconoscimento da parte dei macrofagi reticoloendoteliali] Gli epatociti sono in grado di assorbire dal torrente ematico qualsiasi fonte di ferro bivalente grazie alla presenza di trasportatori specifici per il gruppo eme, l’emoglobina e la ferritina in modo che, in seguito alla degradazione della molecola, il Fe2+ possa essere immagazzinato all’interno della cellula legato alla ferritina oppure essere espulso nel circolo ematico attraverso il sistema ferroportina-efestina. Le cellule epatiche esprimono anche tutte le tipologie di recettori per la transferrina satura come il HFE-TfR1, il TfR2 e l’emo-juvelina (HJV), i quali fungono da sensori del ferro circolante per la stimolazione dell’espressione del gene HAMP che produce l’ormone proteico epcidina, il quale è in grado di legarsi alle proteine ferroportina presenti negli enterociti, nei macrofagi reticoloendoteliali e nel fegato stesso inducendone l’internalizzazione e la distruzione in modo da regolare l’immissione di ferro all’interno del plasma (l’internalizzazione della ferroportina blocca irreversibilmente il rilascio di ferro dalla cellula in modo che esso possa essere eliminato dall’organismo). [L’epcidina è prodotta per via enzimatica come proormone, in particolare l’mRNA del gene HAMP codifica per il precursore pre-proepcidina che è clivato in pro-epcidina in seguito al taglio del peptide segnale ed infine in epcidina matura] N.B. Il recettore TfR1 è un recettore di membrana per la transferrina satura associato sempre alla proteina transmembrana HFE che ne permette il supporto e la stabilizzazione in membrana, mentre il recettore TfR2 non necessita di alcun supporto di stabilizzazione. [HFE-TfR1 è presente sia negli epatociti che negli enterociti con funzioni diverse, mentre il TfR2 è espresso solo a livello epatocitario] Quindi, in caso di ipersideremia si verifica una riduzione dell’espressione di citocromo B duodenale e del trasportatore metallico divalente a livello enterocitario ed un aumento dell’espressione di HFE-TfR1, di TfR2 e di emo-juvelina a livello epatocitario che comportano rispettivamente una minore entrata di ferro per assorbimento intestinale ed una maggiore espressione del gene HAMP con conseguente maggiore produzione di epcidina, la quale si lega alle molecole di ferroportina presenti sugli epatociti, sui macrofagi reticoloendoteliali e sugli enterociti inducendone l’internalizzazione in modo da bloccare la liberazione di ferro all’interno del circolo ematico. L’EMOCROMATOSI L’emocromatosi è una un disordine del metabolismo del ferro caratterizzato da un progressivo accumulo intraparenchimale dello ione e la possibilità di sviluppare danni multiorgano (solitamente, i tessuti possono raggiungere quantità di ferro superiori di 5-10 volte il valore normale ed arrivare fino a 30-40 g totali); la malattia compare in concomitanza all’accumulo di ferro per lunghi periodi a causa di una predisposizione genetica dell’individuo e a fattori ambientali che comportano un sovraccarico metabolico dello ione che permette la manifestazione dei sintomi clinici che se non vengono curati possono determinare la comparsa di danni all’organo. Le principali manifestazioni cliniche della patologia sono a carico di: • Fegato in cui si sviluppa un’epatomegalia associata a fibrosi reversibile che può sfociare in una cirrosi (che è caratterizzata dal sovvertimento fibrotico del tessuto epatico e da un parziale rimodellamento di nuovi lobuli) oppure in un carcinoma epatocellulare; la condizione di cirrosi epatica è assente nei pazienti con un livello di ferritina inferiore a 1000 μg/L. • Articolazioni in cui si evidenziano dolori osteoarticolari ed artropatie. • Pancreas in cui si verifica il sovvertimento della struttura endocrina che provoca la distruzione delle cellule delle isole pancreatiche (o di Langherans) con conseguente comparsa del diabete mellito. N.B. Il pancreas è un organo sovrastrutturato quindi l'insufficienza pancreatica esocrina si verifica solo in caso di un danno esteso al 90% dell’organo, mentre i danni alle β-cellule sono frequenti in quanto sono localizzate principalmente nella coda dell’organo. • Cute in cui si manifesta come iperpigmentazione con un colorito variabile fra il rosso ed il marrone. • Cuore in cui si sviluppa una cardiomiopatia da accumulo di ferro che può aggravarsi in uno scompenso cardiaco nel caso in cui siano colpiti principalmente i cardiomiociti di lavoro oppure in un’aritmia nel caso in cui siano colpite principalmente le cellule pacemaker. • Adenoipofisi provocando un ipogonadismo ipogonadotropo con conseguente sviluppo di una condizione di infertilità e di impotenza. • Manifestazioni sistemiche come l’astenia (è una stanchezza che non permette il movimento del corpo). È possibile distingue tra una forma ereditaria di emocromatosi dovuta alla mutazione di uno o più geni coinvolti nel metabolismo del ferro oppure una forma secondaria ad una patologia organica, sistemica, metabolica o iatrogena che determina un sovraccarico di ferro. Le emocromatosi secondarie possono essere dovute a: ➢ Insufficiente emopoiesi che comporta una riduzione del ferro ed un suo conseguente accumulo; questa condizione si verifica in caso di talassemia, di anemia falciforme o di anemia sideroblastica. ➢ Aumentata emopoiesi nell’anemia emolitica cronica o nella policitemia. ➢ Sindrome metabolica caratterizzata da obesità, insulino-resistenza, diabete, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia ed ipertensione. ➢ Epatopatie croniche come l’epatite alcolica (dovuta al consumo cronico di alcool) e la steatoepatite non alcolica o NASH che possono sfociare in una cirrosi epatica. ➢ Ripetute trasfusione di sangue o somministrazione esogena di ferro nella cura dell’anemia. [Sono presenti altre forme di emocromatosi dovute alla sindrome da iperferritinemia, al deficit di eme-ossigenasi, all’accumulo neonatale di ferro ed alla carenza congenita di ceruplasmina o di transferrina] Le emocromatosi ereditarie possono essere suddivise in: ➢ Emocromatosi con HFE mutato in cui la maggioranza dei pazienti possiede la mutazione C282Y in omozigosi (95%). ➢ Emocromatosi con HFE non mutato dovute alla presenza di altre proteine aberranti coinvolte nel metabolismo del ferro come l’emo-juvelina, l’epcidina, il TfR2 e la ferroportina. N.B. La cura generalmente utilizzata per queste patologie è il salasso o emodiluizione che consiste nel prelievo di cospicue quantità di sangue per permettere una riduzione della quantità di ferro circolante (sia ad opera della sottrazione effettiva sia a causa della stimolazione del midollo osseo all’eritropoiesi) oppure l’attuazione di terapie chelanti; questa terapia presenta una buona risposta in tutte le tipologie di emocromatosi ad eccezione del tipo IV. N.B. Riassumendo, nei pazienti affetti da emocromatosi si verifica un aumento dell’assorbimento intestinale del ferro in quantità di 3-5 mg/die ed una sua eliminazione limitata nell’ordine dei 2-3 mg/die quindi nel lungo periodo determina un accumulo di ferro a livello dei tessuti fino al raggiungimento di un deposito corporeo totale di circa 25- 30 g. Inoltre, generalmente le emocromatosi sono caratterizzate da livelli elevati di ferritina e di transferrina e da una buona risposta al salasso, mentre i pazienti affetti da emocromatosi ereditaria di tipo IV presentano livelli di transferrina nella norma o ridotti e livelli di ferritina altissimi ed una scarsa responsività alla salassoterapia. IL CARCINOMA DEL COLON RETTO Il carcinoma del colon retto presenta una componente familiare in quanto se un fratello presenta un adenoma prima dei 50 anni di età il rischio per il probando aumenta di circa 5 volte, se lo sviluppa tra i 50 ed i 59 anni il rischio aumenta di circa 3 volte, ma se lo sviluppa dopo i 60 anni il rischio è assimilabile a quello della popolazione generale (perché dopo i 60 anni è un tipo di cancro comune anche nei pazienti senza familiarità). Inoltre, se il numero di parenti di primo grado (genitori o fratelli) che presentano un cancro è 1 il rischio di sviluppare un carcinoma del colon retto per il probando si raddoppia, ma se il numero di parenti affetti supera un’unità il rischio aumenta di 8 volte. La trasformazione neoplastica da un colon normale ad un carcinoma è dovuta all’accumulo di mutazioni, di eventi molecolari, epigenetici e genetici, in particolare la cascata di eventi prevede varie fasi: 1) Epitelio normale del colon in cui nelle sindromi ereditarie sono già presenti delle anormalità nei geni APC, MSH2 e MLH1. 2) Epitelio proliferativo sano che è irrorato dai vasi presenti nella sottomucosa intestinale; il passaggio ad un epitelio proliferativo è generalmente causato da alterazioni della metilazione del DNA, dalla mutazione del gene APC e dall’inattivazione dei sistemi di riparazione del mismatch. 3) Adenoma è una struttura papillare sostenuta da una propria vascolarizzazione e presenta delle alterazioni nucleari lievi associato a caratteristiche di displasia; il passaggio ad adenoma è generalmente causato dalla mutazione di K-Ras e dalla delezione dei geni DCC e p53. 4) Carcinoma è caratterizzato da una crescita anormale e dalla tendenza a dare metastasi; la trasformazione a carcinoma è permessa dall’accumulo di numerose alterazioni geniche. N.B. La sommatoria degli eventi genetici, epigenetici ed ambientali provoca le modificazioni istologiche dell’epitelio intestinale, ma non è verificato che le alterazioni sequenziali del DNA siano rispettate in tutti i casi in quanto, sperimentalmente, è solo possibile notare la presenza di alcune mutazioni ricorrenti in alcune fasi di trasformazione neoplastica rispetto ad altre. [La mutazione di un solo allele degli oncogeni è sufficiente per indurre modificazioni funzionali, mentre gli oncosoppressori necessitano della mutazione di entrambi gli alleli secondo la teoria del “doppio hit” di Knudson] Le principali alterazioni geniche coinvolte nella trasformazione neoplastica del carcinoma del colon retto sono: • APC (Adenomatous Polyposis Coli) è un gene oncosoppressore scoperto nel 1991 grazie a degli studi di analisi di linkage effettuati in pazienti affetti dall’adenopoliposi familiare (FAP) che hanno messo in evidenza una delezione interstiziale del braccio lungo del cromosoma 5 (5q); alcuni studi successivi hanno evidenziato il fatto che APC sia fondamentale anche nella formazione del carcinoma del colon retto sporadico in quanto è presente in oltre il 70% dei casi. In condizioni fisiologiche, la proteina APC permette il trasporto di numerose proteine del citoscheletro (quali la β-catenina, la γ-catenina, GSK-3β, l’axina, la tubulina, GB1 e hDLG) in modo che possano essere portate a livello dei lisosomi per essere degradate; oltre il 90% delle mutazioni a carico di APC determinano la comparsa di un codone di stop prematuro che provoca la formazione di una proteina troncata ed inefficace, quindi la perdita della funzione di APC determina un accumulo citoplasmatico delle proteine del citoscheletro che possono avere effetti tossici per la cellula, ad esempio l’accumulo di β-catenina oltre una certa soglia determina la sua migrazione a livello nucleare dove si unisce al fattore TCF (T-Cell Trascriptional Factor) determinando l’attivazione di vari oncogeni fra cui COX-2, C-Myc, ciclina D1 e PPAR-δ. N.B. L’alterazione della via APC/β-catenina ha un ruolo precoce nella tumorigenesi del carcinoma del colon retto in quanto è presente nei polipi adenomatosi benigni anche di piccole dimensioni. • β-catenina è una proteina deputata all’aggregazione intercellulare che, in condizioni fisiologiche, è legata al complesso di distruzione formato da APC, dall’axina e da GSK-3 in modo che possa essere degradata all’interno del proteasoma. La mutazione di questo gene determina l’assenza di legame di β-catenina con il complesso di distruzione con un suo conseguente accumulo citoplasmatico che porta alla formazione di polipi anche in presenza della proteina APC normale (in quanto la β-catenina espleta la sua funzione a valle rispetto ad APC). • PPAR-δ (Peroxisome Proliferator-Activating Receptor δ) è un recettore nucleare deputato alla regolazione della trascrizione delle proteine che controllano il metabolismo dei lipidi e la crescita cellulare; la mutazione attivante di questo gene determina una riduzione della crescita cellulare ma un aumento della differenziazione in cellule neoplastiche. • WNT (Wingless) è il ligando naturale del recettore Frizzled (recettori di membrana associato a proteina G) che attiva le proteine Dishevelled che regolano la polarità e la differenziazione cellulare. La mutazione di WNT determina un’eccessiva attivazione del recettore Frizzled e delle proteine Dishevelled che provocano la dislocazione del legame fra APC e β-catenina, la quale si accumula a livello citoplasmatico determinando l’attivazione TCF-mediata di vari oncogeni. [La mutazione recessiva di WNT in Drosophila melanogaster determina l’assenza delle ali] ➢ Metilazione del DNA è un fattore epigenetico fondamentale che consiste nella modificazione chimica del DNA senza modificarne la sequenza tramite l’aggiunta di un gruppo metile a livello della citosina che causa una ridotta affinità per le proteine trascrizionali ed una conseguente riduzione dell’espressione genica. La metilazione del DNA è ereditata dai genitori ed è successivamente rimossa nello zigote per il recupero della totipotenza e permette il meccanismo dell’imprinting, l’inattivazione del cromosoma X femminile e la soppressione di elementi genici ripetuti, ma è coinvolta anche nella cancerogenesi dove si registra ipometilazione precoce che provoca instabilità genomica e perdita dell’imprinting ed ipermetilazione dei promotori dei geni oncosoppressori che ne determina il silenziamento. [La metilazione del DNA è un possibile residuo di antiche infezioni virali] ➢ K-Ras è un oncogene codificante per una proteina G trimerica che agisce come interruttore unidirezionale per la trasmissione di stimoli extracellulari di accrescimento cellulare in quanto, in condizioni fisiologiche, K-Ras oscilla tra una forma attiva legante GTP ed una forma inattiva legante GDP. Alcune mutazioni puntiformi di K-Ras frequentemente coinvolte nella trasformazione neoplastica del carcinoma del colon retto determinano una resistenza all’attività GTP-asica e la fissazione della proteina nella forma attivata legante GTP che determina un continuo stimolo proliferativo. N.B. La mutazione di K-Ras è evidente nel 50% dei casi di carcinoma del colon retto sporadico e di adenoma con dimensioni superiori a 1 cm (è raramente presente nei piccoli adenomi); inoltre essa è presente nella sua forma mutata anche nelle feci per cui è possibile creare un test di screening per l’identificazione del carcinoma del colon retto in fase precoce. ➢ p53 è un gene oncosoppressore frequentemente mutato in numerose neoplasie maligne dell’uomo e raramente nelle forme benigne, quindi rappresenta un indice prognostico sfavorevole; in condizioni fisiologiche, la proteina p53 è un attivatore di oltre 20 geni deputati all’inibizione della crescita in condizioni di stress quali il danneggiamento del DNA, le elevate temperature, la presenza di radicali liberi, la presenza di metaboliti glicati oppure l’ipossia permettendo di facilitare la riparazione dei danni al DNA e di indurre l’apoptosi nel caso in cui i danni siano estesi o non riparabili in modo da prevenire la propagazione di cellule potenzialmente dannose per l’organismo (funzione di “guardiano del genoma”). Il carcinoma sporadico del colon retto presenta una fase di trasformazione neoplastica iniziale da epitelio normale ad adenoma di circa 30-50 anni ed una successiva progressione tumorale di 10-20 anni associata ad un rischio di evoluzione in carcinoma del 6% ad un’età media di 68 anni. Lo screening del carcinoma del colon retto è un servizio di salute pubblica offerto ad una popolazione per identificare i soggetti ad alto rischio per lo sviluppo della malattia in modo da ridurre l’incidenza della malattia (non garantisce la protezione); esso si basa sulla raccolta dell’anamnesi familiare e personale del paziente, sulla ricerca del sangue occulto nelle feci, sulla colonscopia o sull’utilizzo di una colonscopia virtuale mediante TAC. In particolare, il test più utilizzato è quello della ricerca del sangue occulto nelle feci anche La diagnosi della HNPCC all’interno di una famiglia si basa sui criteri di Amsterdam che prevedono la presenza di: ➢ Coinvolgimento di tre o più membri della famiglia affetti da carcinoma del colon. ➢ Coinvolgimento di almeno due generazioni. ➢ Uno dei membri affetti deve essere parenti di primo grado degli altri due. ➢ In uno o più membri la diagnosi di carcinoma del colon retto deve essere stata eseguita ad un’età inferiore a 50 anni. ➢ Deve essere stata preventivamente esclusa la diagnosi della poliposi adenomatosa familiare. [I criteri di Amsterdam sono detti anche “legge del 3-2-1-1-0”, presentano molte eccezioni e sono stati sorpassati dai criteri di Bethesda] AMILOIDOSI Il folding delle proteine di nuova sintesi è un processo spontaneo e reversibile che comprende la formazione di ponti disolfuro grazie all’azione dell’enzima disolfuro isomerasi e la formazione di legami prolil-peptidici; tale meccanismo di ripiegamento è facilitato dalla presenza delle proteine chaperon che si legano alla catena polipeptidica nascente per facilitarne il ripiegamento e per inibire l’aggregazione di proteine con folding parziale in quanto possono indurre l’ubiquitinazione e la degradazione proteasoma-mediata delle proteine con errato ripiegamento tridimensionale. L’amiloidosi è un gruppo di malattie ad espressione clinica sistemica o localizzate caratterizzate da un disordine del ripiegamento tridimensionale delle proteine che diventano insolubili e precipitano formando degli aggregati proteici extracellulari detti fibrille che provocano delle alterazioni funzionali e strutturali degli organi coinvolti. N.B. La deposizione di sostanza amorfa in sedi non convenzionali prevede l’iniziale formazione di semi che poi degenerano in fibrille ben organizzate. Questa patologia presenta con un’incidenza di 8 casi per milione all’anno similare tra i due sessi ad un’età di 50-70 anni e coinvolge i reni, il cuore, il fegato, il sistema nervoso autonomo ed in minima percentuale il tratto gastrointestinale, il sistema nervoso centrale, il sistema nervoso periferico, le articolazioni, il pancreas, la milza e la cute. Le principali manifestazioni cliniche sono rappresentate da alterazioni sensoriali, neuropatie dolorose, termiche e sensoriali-motorie, sindrome del tunnel carpale, disfunzioni vescicali, sindromi da malassorbimento, impotenza e gammopatia monoclonale che si manifestano perché gli aggregati proteici determinano la compressione dell’organo e forniscono un ostacolo agli scambi di gas e nutrienti fra i capillari ed il liquido interstiziale (danno ischemico) provocando l’atrofia dell’organo che può degenerare in una sclerosi che conduce inevitabilmente ad un’insufficienza d’organo. N.B. La prognosi è infausta a 12 anni dalla diagnosi nell’80% dei pazienti. L’amiloidosi è sospettata in tutti i pazienti affetti da una malattia sistemica multiorgano senza una causa apparente e la diagnosi è effettuata mediante la colorazione Rosso Congo effettuata su una biopsia dell’organo affetto, del grasso periombelicale o della mucosa rettale (le fibre appaiono di colore azzurro-verdino al microscopio a luce polarizzata) e confermata dall’analisi genetica per le forme ereditarie. [Le amiloidosi entrano in diagnosi differenziale con le patologie vascolari] Le amiloidosi possono essere classificate in funzione di: ✓ Posizione anatomica in amiloidosi sistemiche e localizzate. ✓ Causa eziologica in amiloidosi primarie e secondarie. ✓ Coinvolgimento genetico in amiloidosi sporadiche ed ereditarie. ✓ Difetto biochimico in amiloidosi proteina-specifiche. Le amiloidosi sistemiche rappresentano l’80-90% dei casi e ne sono esempio: • Discrasie immunocitiche B o amiloidosi AL è dovuta a cause ancora ignote che provocano la proliferazione dei linfociti B che si trasformano in plasmacellule ed iniziano a produrre un’eccessiva quantità di catene leggere κ e λ delle immunoglobuline formando delle placche amiloidotiche (come nel plasmacitoma); i principali organi interessati sono il rene, l’intestino, il cuore, la milza, la cute, le articolazioni e le vie aeree (ha un’incidenza di 0.8 per 100.000 abitanti/anno). N.B. La catene leggere prodotte non sono complete ma sono formate dalla regione variabile e da una porzione della regione costante. • Amiloidosi reattiva sistemica o amiloidosi AA è dovuta all’instaurazione di un processo infiammatorio cronico che provoca l’attivazione dei macrofagi, i quali producono le citochine pro-infiammatorie IL-1 e IL-6 che permettono un’eccessiva produzione di proteine della fase acuta da parte del fegato che nel loro insieme sono definite siero amiloide acuta (SAA); i principali organi colpiti sono il rene, il fegato, la milza ed il surrene. N.B. I principali quadro di infiammazione cronica che provocano l’amiloidosi reattiva sono la malattia reumatica, le infezioni croniche, le febbri periodiche ereditarie e le neoplasie. Le amiloidosi localizzate rappresentano il 10-20% dei casi di amiloidosi e ne sono esempio: • Carcinoma midollare tiroideo produce elevate quantità di calcitonina. • Insulinoma o il diabete di tipo II determina un’eccedente produzione di amilina. • Malattia di Alzheimer è dovuto alla produzione di proteina β-amiloide a livello della neocorteccia, dell’ippocampo e dell’amigdala. • Encefalopatia spongiforme è dovuta alla produzione di β-amiloide, di proteina prionica e di cistatina C che si accumula nei neuroni cerebellari e nelle arterie cerebrali. Le amiloidosi ereditarie sono un gruppo di patologie ad ereditarietà autosomica dominante e con penetranza variabile fra i soggetti ed i tessuti dovute a mutazioni a carico di proteine specifiche a distribuzione sistemica che tendono a depositarsi in tessuti preferenziali; ne sono esempio: • Amiloidosi ATTR o amiloidosi da transtiretina che è una proteina plasmatica formata da 4 subunità formate da 127 amminoacidi sintetizzata dal fegato che permette il trasporto della proteina legante il retinolo e di circa un quarto della tiroxina sierica. Attualmente, sono conosciute oltre 80 mutazioni amiloidosiche del gene della transtiretina TTR (presente sul cromosoma 18) che accelerano la spontanea tendenza della transtiretina a depositarsi in organi predisposti quali i plessi corioidei del cervello e l’epitelio pigmentoso della retina provocando una polineuropatia amiloide familiare progressiva caratterizzata da parestesie (formicolii) seguite da disturbi sensoriali e disturbi motori a progressione centripeta principalmente a carico degli arti inferiori, disfunzioni gastrointestinali e vescicali, ipotensione ortostatica ed impotenza (sono rare le deposizioni a livello meningeo e cerebrovascolare). Le irritazioni dei nervi nella polineuropatia amiloide familiare progressiva sono causate da: ➢ Aggregazione die semi amiloidotici ai fosfolipidi della membrana determinando l’attivazione e l’apertura di canali al Ca2+ voltaggio-dipendenti che sono composti da 7 subunità (di cui quattro domini con sei eliche transmembrana formano il poro) con la conseguente comparsa delle parestesie. ➢ Interazione dei semi amiloidotici con il reticolo endoplasmatico (dopo la loro entrata all’interno della cellula) inducendo il rilascio di Ca2+ che causa l’attivazione dell’impulso e la comparsa delle parestesie. ➢ Interazione con i recettori neuronali RAGE (Advanced Glycation Endoproducts Receptor) che sono deputati al riconoscimento dei prodotti glicati, ma che riconoscono anche i semi amiloidotici inducendo l’attivazione del neurone, lo stress del reticolo endoteliale, l’attivazione delle MAP chinasi con conseguente fuoriuscita di Ca2+ dai depositi intracellulari con conseguente attivazione del meccanismo apoptotico. N.B. La transtiretina normale tende ad accumularsi anche in condizioni fisiologiche in organi predisposti alla precipitazione (è possibile riscontrare la co-presenza di transtiretina mutata e wild-type nelle fibrille amiloidotiche). N.B. L’unica terapia nota per la cura dell’amiloidosi da transtiretina è il trapianto di fegato (sono presenti rari casi di progressione della malattia in seguito al trapianto). • Amiloidosi APOA1 o amiloidosi da apolipoproteina A1 che è una proteina formata da una catena polipeptidica di 243 amminoacidi che permette il trasporto delle HDL. Attualmente, sono conosciute 12 mutazioni missenso a carico del gene APOA1 (presente sul cromosoma 11) che causano la deposizione di frammenti 83- 93 sotto forma di fibrille, in particolare le mutazioni del dominio C-terminale favoriscono le deposizioni a livello del rene provocando la sindrome nefrosica, del fegato e del cuore, mentre le mutazioni del dominio N-terminale favoriscono le deposizioni a livello della cute e della laringe. La diagnosi possibile o probabile della malattia di Alzheimer può essere effettuata sui pazienti in vita basandosi su: ❖ Caratteristiche cliniche di deterioramento progressivo. ❖ Alterazioni precoci del metabolismo della corteccia parietale rilevabile mediante l’utilizzo di una PET e caratterizzata da riduzione del flusso ematico e da un anomalo utilizzo del glucosio. ❖ Atrofia ippocampale rilevabile mediante l’utilizzo della risonanza magnetica nucleare nelle fasi più avanzate della patologia e caratterizzata da assottigliamento dei tessuti e dalla riduzione della massa dell’organo. La forma sporadica della malattia di Alzheimer comprende circa il 75% dei casi ed è dovuta all’interazione di fattori genetici e non genetici potenzialmente modificabili quali: ▪ Fattori di rischio vascolari quali ipertensione sistolica (pressione sistolica superiore a 160 mmHg) e l’ipercolesterolemia. ▪ Fattori di rischio associati allo stile di vita quali l’abitudine al fumo, la scarsa attività fisica, l’assenza o l’eccessivo consumo di alcolici ed i traumatismi cranici. ▪ Fattori di rischio socio-demografici come l’età avanzata, il sesso femminile, un periodo di istruzione inferiore a 15 anni e l’esposizione a tossine ambientali (ad esempio i metalli pesanti). ▪ Fattori eventuali come le infezioni virali, la depressione, l’ipertiroidismo e la familiarità per la sindrome di Down. N.B. La forma sporadica della malattia di Alzheimer tende a comparire ad un’età superiore ai 65 anni. La forma familiare della malattia di Alzheimer comprende circa il 25% dei casi ed è dovuta alla mutazione di specifici geni che permettono di classificare le varie forme della patologia in: ▪ Alzheimer familiare di tipo I dovuto alla mutazione del gene APP presente sul cromosoma 21 che codifica per il precursore della proteina amiloide che è un recettore transmembrana associato a proteina G che è coinvolto nell’adesione neuronale, nella crescita sinaptica e nella riparazione neurale. La mutazione determina l’incapacità di formare una proteina APP intera che provoca la formazione di frammenti corti che si accumulano e depositano a livello extracellulare formando le placche senili che possono coinvolgere anche i vasi determinando la comparsa di un’amiloidosi vascolare che può comportare danni ai vasi ed emorragie; questa rara tipologia di Alzheimer presenta un’insorgenza precoce ad un’età di 35-50 anni (è presente solo in 20 famiglie nel mondo). N.B. I pazienti affetti da trisomia 21 presentano una doppia copia del cromosoma che porta la mutazione del gene APP quindi sviluppano la malattia di Alzheimer entro i 40 anni. ▪ Alzheimer familiare di tipo II dovuto alla mutazione del gene APOE presente sul cromosoma 19 che codifica per una proteina plasmatica di 299 amminoacidi coinvolta nel trasporto del colesterolo e che è capace di legare la proteina β-amiloide; questa tipologia di Alzheimer presenta un’insorgenza tardiva ad un’età superiore ai 65 anni. N.B. L’isoforma ε2 di APOE è associata ad una diminuzione del rischio di Alzhimer, mentre l’isoforma ε4 è associata ad un aumentato rischio di una forma di Alzheimer ad insorgenza più precoce a causa della sua maggiore affinità con la proteina β-amiloide che provoca una riduzione della sua clearance (non è chiaro se questo allele sia sufficiente per lo sviluppo della patologia). ▪ Alzheimer familiare di tipo III (forma precoce) dovuto alla mutazione del gene PSEN1 presente sul cromosoma 14 che codifica per la presenilina 1 o S182 che una proteina transmembrana coinvolta nella formazione dell’enzima γ-secretasi. La sua mutazione determina un aumento dell’attività della γ-secretasi che facilita la formazione della proteina β-amiloide; questa tipologia di Alzheimer presenta un’insorgenza precoce ad un’età di 28-60 anni ed è associata ad un fenotipo grave. ▪ Alzheimer familiare di tipo IV (forma precoce) dovuto alla mutazione del gene PSEN2 presente sul cromosoma 1 che codifica per la presenilina 2 o STM2 che una proteina transmembrana coinvolta nella formazione dell’enzima γ-secretasi. La sua mutazione determina un aumento dell’attività della γ-secretasi che facilita la formazione della proteina β-amiloide; questa tipologia di Alzheimer presenta un’insorgenza meno precoce ed è associata ad un fenotipo meno grave. L’AUTOIMMUNITÀ Si definisce patologia autoimmune una condizione cronica caratterizzata dalla rottura della tolleranza e dall’attivazione dei meccanismi effettori immunologici in seguito al riconoscimento di antigeni self come estranei; quando la risposta autoimmune si perpetua nel tempo provoca dei danni a livello tissutale (patologie organo-specifiche) e a livello sistemico (patologie non organo-specifiche). N.B. La cronicità della condizione sottintende che non vi sia possibilità di guarigione e che la patologia può essere caratterizzata da periodi di miglioramento ma che inevitabilmente comporta una progressione verso una manifestazione peggiore. La tolleranza immunologica è la mancata responsività dei linfociti ad un antigene che viene attuata mediante dei meccanismi di modificazione della specificità dei recettori per un antigene o mediante l’induzione dell’apoptosi. È possibile riconoscere due diversi livelli di tolleranza: • Tolleranza centrale è indotta nei linfociti immaturi autoreattivi nei confronti degli antigeni presenti negli organi linfoidi primari che sono rappresentati dal midollo osseo per i linfociti B e dal timo per i linfociti T; questo processo è permesso da un meccanismo di delezione del clone autoreattivo per apoptosi e, nel caso dei linfociti B, anche da un meccanismo di editing recettoriale per azzerarne l’autoreattività. • Tolleranza periferica è indotta nei linfociti maturi autoreattivi nei confronti degli antigeni presenti negli organi linfoidi secondari (milza, linfonodi, tessuto linfoide associato alla cute e alle mucose) e nei tessuti periferici dove i cloni autoreattivi sono eliminati per apoptosi, sono resi inattivi secondo un meccanismo noto come anergia (a causa dell’assenza di segnali co-stimolatori) oppure sono inibiti dai linfociti T regolatori. La progressione di una patologia autoimmune può essere suddivisa in tre diverse fasi: 1) Fase di iniziazione in cui la patologia autoimmune rimane subclinica (non si ha manifestazione dei sintomi) e il cui esordio è dovuto alla predisposizione genetica dell’individuo, a fattori ambientali scatenanti ed alla presenza di una difettiva regolazione da parte dei linfociti T regolatori che non sono efficienti nel blocco periferico delle cellule T autoreattive determinando, conseguentemente, l’attivazione e la proliferazione del clone autoreattivo. I fattori che influenzano maggiormente la predisposizione genetica sono i polimorfismi del complesso maggiore di istocompatibilità HLA, alcuni pathways di citochine e alcuni geni specifici di autoimmunità (come il gene AIRE); l’ereditarietà di questi fattori non è di tipo mendeliano anche se è possibile ricostruire all’interno di una famiglia con soggetti affetti la percentuale di vicinanza genetica. I principali fattori ambientali scatenanti sono le infezioni pregresse particolarmente difficili da debellare, la suscettibilità dovuta alle componenti della flora batterica intestinale, i raggi UV, alcune tipologie di farmaci e gli insulti traumatici (soprattutto a carico dei distretti anatomici salvaguardati come l’occhio ed i testicoli). 2) Fase di propagazione in cui la patologia autoimmune diventa conclamata a causa della manifestazione dei sintomi e del danno tissutale rilevabile ed è caratterizzata dalla produzione di citochine, dalla condivisione di epitopi e dalla rottura dell’equilibrio presente fra i linfociti T effettori e regolatori. L’aumento della produzione di citochine può essere dovuto a numerosi fattori diversi, quali ad esempio: ➢ Danno tissutale provoca la liberazione e la disponibilità di acidi nucleici, di DAMPs (Damage-Associated Molecular Patterns) e di PAMPs (Pathogen-Associated Molecular Patterns) che possono essere presentati a linfociti non tollerogenici determinando l’induzione della risposta infiammatoria. ➢ Disbiosi del microbiota possono causare una traslocazione dei batteri commensali residenti dal lume intestinale all’interno della mucosa dove inducono dei danni alla barriera, l’induzione di una risposta infiammatoria e la riduzione della concentrazione di numerosi fattori antinfiammatori (come gli acidi grassi a corta catena, i ligandi del recettore dell’aril-idro-carbone ed il polisaccaride A). ➢ Anormalità dell’attività degli RNA regolatori. ➢ Aumento degli ormoni femminili dovuta ad un errato meccanismo di inattivazione del cromosoma X. La porpora trombocitopenica autoimmune è una patologia autoimmune della coagulazione caratterizzata da un basso numero di piastrine, emorragie muco-cutanee e viscerali ed è dovuta alla presenza di anticorpi diretti contro l’integrina IIb-IIIa della membrana delle piastrine causando l’opsonizzazione e la fagocitosi (in condizioni fisiologiche, l’integrina IIa-IIIb è una glicoproteina deputata all’attivazione piastrinica in seguito al legame con il fibrinogeno o del fattore di von Willebrand). Il pemfigo volgare è una patologia autoimmune della cute e delle mucose caratterizzata dall’alterazione dei meccanismi di adesione cellulare dell’epidermide che causano la comparsa di lesioni bollose ed è dovuta alla presenza di anticorpi diretti contro le caderine (proteine della giunzione intercellulare delle cellule epidermiche) che attivano le proteasi ed annullano l’adesione intercellulare. La sindrome di Goodpasture è una patologia autoimmune caratterizzata da glomerulonefrite e da emorragie polmonari a rapida evoluzione ed è dovuta alla presenza di anticorpi diretti contro la catena α3 del collagene di tipo IV della membrana basale dei glomeruli renali e degli alveoli polmonari che provocano un’infiammazione complemento-mediata (deposizione lineare a fumo di sigaretta degli autoanticorpi). La febbre reumatica acuta è una patologia autoimmune caratterizzata da febbre, affaticamento, perdita di appetito, pallore, dolori addominali ed infiammazione a carico delle articolazioni, del cuore, del cervello e della pelle ed è dovuta alla presenza di anticorpi diretti contro degli antigeni della parete dello Streptococco β-emofilico di gruppo A che hanno reazioni di cross-reattività con antigeni self. L’anemia emolitica autoimmune è una patologia dovuta alla presenza di anticorpi diretti contro gli antigeni Rh (Rhesus) della membrana eritrocitaria che causano l’opsonizzazione e la fagocitosi degli eritrociti; questa malattia è caratterizzata da una ridotta produzione e da una ridotta sopravvivenza dei globuli rossi che comporta affaticamento, debolezza, tachicardia, dispnea da sforzo, ittero, urine scure e splenomegalia. Gli anticorpi causanti possono essere di due tipologie: le IgG sono dette anticorpi caldi in quanto si attivano a temperature di 37-40°C, mentre le IgM sono dette anticorpi freddi in quanto si attivano a temperature inferiori a 30°C (entrambe le tipologie possono essere primitive oppure secondarie ad un’infezione soprattutto ad opera di micoplasmi, a patologie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico e ad un episodio di linfoproliferazione). In realtà, è possibile distinguere tre diverse tipologie di anemia emolitica: ➢ Anemia di tipo “penicillina” è dovuta alla formazione di anticorpi anti-farmaco che sono in grado di legare farmaci come la penicillina che poi si depositano sulla membrana degli eritrociti determinando la fagocitosi a livello della milza. ➢ Anemia di tipo “stibofen” è dovuta alla deposizione di immunocomplessi sulla membrana eritrocitaria che ne determinano la fagocitosi a livello della milza. ➢ Anemia di tipo “α-metildopa” è dovuta alla formazione di anticorpi anti-emazie che si legano all’antigene Rh determinando la fagocitosi degli eritrociti a livello splenico. La diagnosi dell’anemia emolitica autoimmune può essere effettuata mediante il test di Coombs, di cui sono presenti due varianti: • Test di Coombs diretto permette di rilevare la presenza di anticorpi fissati alla superficie dei globuli rossi, in particolare la tecnica prevede che il campione di sangue di un paziente con sospetta anemia emolitica sia posto in contatto con il siero di Coombs (è un siero di coniglio contenente anticorpi diretti contro gli autoanticorpi umani) in modo che in caso di presenza di anticorpi anti-emazie legati alla superficie eritrocitaria si formino dei legami a ponte fra i globuli rossi grazie alla presenza degli anticorpi anti- autoanticorpi che sono macroscopicamente visibili come un’emo-agglutinazione. • Test di Coombs indiretto permette di rilevare la presenza di anticorpi anti-emazie liberi nel siero, in particolare questa tecnica prevede il siero del paziente sia posto a contatto con degli eritrociti di controllo e poi sia aggiunto il siero di Coombs che indurrà emo-agglutinazione in caso di presenza di anticorpi anti-emazie. L’epidermolisi bollosa è una patologia autoimmune della cute e delle mucose caratterizzata da vescicole rotondeggianti che possono ulcerare ed è dovuta alla presenza di anticorpi diretti contro il collagene di tipo VII. La malattia di Graves è una patologia autoimmune della tiroide dovuta alla produzione di anticorpi diretti contro il recettore per il TSH che ne inducono la stimolazione anche in assenza del naturale ligando comportando la comparsa del gozzo, di ipertiroidismo e di esoftalmo (fuoriuscita dei bulbi oculari dalle orbite); la malattia ha un picco di incidenza fra i 20 ed i 40 anni ed è presente maggiormente nel sesso femminile (5F:1M). Il diabete insulino-resistente è una patologia autoimmune dovuta alla produzione di anticorpi diretti contro il recettore dell’insulina determinando l’inibizione del legame dell’ormone e la comparsa dell’iperglicemia. La miastenia grave è una patologia autoimmune dovuta alla produzione di anticorpi diretti contro il recettore dell’acetilcolina determinando l’inibizione del legame del neurotrasmettitore ed un conseguente disordine della trasmissione neuromuscolare e faticabilità dei muscoli scheletrici; la malattia è presente in tutte le etnie ed in tutte le età con una maggiore prevalenza nel sesso femminile (6F:4M), con una prevalenza di 5-9 malati su 100.000 persone ed un’incidenza di 2-4 milioni. La presenza dell’anticorpo legato al recettore dell’acetilcolina determina l’attivazione della cascata del complemento e la formazione di immunocomplessi che causano la distruzione della membrana post-sinaptica oppure l’internalizzazione del recettore con una conseguente attivazione deficitaria o bloccata della contrazione muscolare. Gli organi più colpiti sono i muscoli dell’occhio e delle palpebre dove si verifica visione doppia e ptosi oculare, ma la condizione coinvolge tutti i muscoli scheletrici provocando disfagia, alterazione della fonazione e faticabilità fino alla comparsa di un’insufficienza respiratoria dovuta alla paralisi dei muscoli respiratori. La terapia utilizzata per la cura della miastenia grave è il farmaco prostigmina che è un inibitore dell’idrolisi dell’acetilcolina. L’anemia perniciosa è una patologia autoimmune dovuta alla produzione di anticorpi diretti contro il fattore intrinseco prodotto dalle cellule parietali dello stomaco determinando la neutralizzazione del fattore intrinseco ed una conseguente diminuzione dell’assorbimento della vitamina B12, anemia megaloblastica, debolezza, dispnea e parestesia (aumentata percezione del dolore); la malattia si manifesta solitamente dopo i 60 anni con un’incidenza maggiore nel sesso femminile rispetto al sesso maschile (3F:2M). L’anemia perniciosa è spesso associata ad una gastrite di tipo A che è caratterizzata da un’infiammazione del fondo e del corpo dello stomaco a causa della produzione di anticorpi diretti contro le cellule parietali gastriche determinando un’atrofia cellulare che provoca una ridotta produzione di acido cloridrico e di fattore intrinseco (aumenta di 3 volte il rischio di carcinoma gastrico). [L’anemia megaloblastica è caratterizzata da un ridotto numero di globuli rossi circolanti che presentano dimensioni superiori alla norma in quanto la vitamina B12 è indispensabile per la corretta maturazione eritrocitaria, inoltre nello striscio di sangue è possibile valutare una condizione di una variabilità di dimensioni e colorabilità dei globuli rossi nota come anisopoichilocitosi e la presenza di granulociti polimorfonucleati con un nucleo a spot indice di apoptosi] N.B. Il fattore intrinseco è prodotto dalle cellule parietali dello stomaco con la funzione di trasporto della vitamina B12 che è assorbita a livello ileale grazie alla presenza di un recettore per il fattore intrinseco, quindi la stessa condizione patologica può essere causata da anticorpi diretti contro il sito di legame del fattore intrinseco per la vitamina B12 (mancato trasporto della vitamina) oppure diretti contro il recettore ileale del fattore intrinseco (mancato assorbimento della vitamina). La sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi è dovuta alla produzione di anticorpi diretti contro i fosfolipidi ed è caratterizzata da trombosi venosa profonda, embolia polmonare, trombosi arteriosa, danni cerebro-vascolari (ictus, demenza), infarto del miocardio, trombocitopenia ed aborti ricorrenti in quanto gli anticorpi interferiscono con la cascata coagulativa, in particolare con gli inibitori del fattore V e VII (cioè il sistema delle proteine C ed S), con l’attività del fibrinogeno, con le proteine anticoagulanti (come l’annessina V), con le cellule endoteliali e con i monociti. Gli anticorpi antifosfolipidi sono prodotti in seguito ad alterazioni intrinseche, all’infezione di virus oppure ai raggi UV che determinano un aumento dell'apoptosi in concomitanza di un deficit della fagocitosi causando una maggiore persistenza in circolo dei corpi apoptotici e rendendo maggiormente disponibili i fosfolipidi alle cellule del sistema immunitario favorendo, di conseguenza, l’opsonizzazione delle cellule apoptotiche, la produzione di citochine infiammatorie e la liberazione dei nucleosomi che, essendo circolanti, determinano l’attivazione policlonale dei linfociti B che producono autoanticorpi diretti contro il DNA dell’organismo. linea di carcinoma epidermoide della laringe che sono resistenti alle temperature, non sono suscettibili alla variazioni nutrizionali ed ambientali e presentano dei nuclei in diverse fasi del ciclo cellulare; grazie a questa tecnica è possibile differenziare numerose configurazioni possibili degli anti-ANA fra cui le più rilevanti sono il pattern diffuso omogeneo, il pattern punteggiato (identificativo della presenza di anticorpi diretti contro antigeni nucleari estraibili come Sm, SSA e SSB), il pattern periferico (identificativo della presenza di anticorpi anti-dsDNA), il pattern nucleolare ed il pattern centromerico. N.B. Se il titolo anticorpale degli ANA è inferiore a 1:180 non si effettuano ulteriori test e si effettua un controllo dopo 3-6 mesi, mentre se il titolo anticorpale è superiore a 1:160 è necessario valutare gli anticorpi anti-ENA (antigeni nucleari estraibili) e anti-dsDNA e se questi risultano con un titolo superiore a 1:320 è necessario effettuare la valutazione degli anticorpi diretti contro la membrana mitocondriale. Per la valutazione della presenza di anticorpi anti-dsDNA è possibile utilizzare un protozoo emoflagellato dotato di cinetoplasto con DNA circolare (assimilabile ad un mitocondrio gigante) detto Crithidia Luciliae che risulta essere fluorescente in caso di negatività per gli anticorpi anti-dsDNA. La forma neonatale di lupus eritematoso sistemico si manifesta nei figli delle madri positive agli anticorpi anti-SSA ed anti-SSB e si manifesta con rash cutanei ed un blocco cardiaco congenito che richiede l’impianto di un pacemaker (spesso in periodo neonatale). La sindrome crioglobulinemica è una patologia dovuta alla presenza di immunoglobuline che precipitano a freddo, in particolare nel tipo I sono presenti immunoglobuline monoclonali, nel tipo II sono presenti IgM reattive contro le IgG e delle immunoglobuline policlonali e nel tipo III sono presenti immunoglobuline policlonali. Nel 90% dei casi le crioglobuline miste sono correlate all’infezione del virus dell’epatite C (HCV) anche se la sindrome si manifesta in una percentuale dei pazienti inferiore al 20%. La malattia è caratterizzata da porpora palpabile (elementi eruttivi cutanei che non impallidiscono alla palpazione), glomerulonefrite, neuropatia periferica e artromialgie. LE MALATTIE AUTOIMMUNI DA IPERSENSIBILITÀ MEDIATA DA LINFOCITI T Le malattie immuni del tipo IV sono dovute all’attivazione delle cellule T, in particolare i linfociti T helper CD4+ sono in grado di attivare i macrofagi e l’infiammazione attraverso la produzione di citochine mentre i linfociti T citotossici CD8+ sono in grado di uccidere direttamente le cellule bersaglio e di indurre l’infiammazione grazie alla produzione di citochine; in entrambi i casi, in seguito all’eccessiva e patologica attivazione dei linfociti si determinano dei danni a livello tissutale. La sclerosi multipla è una patologia autoimmune cronica in cui le cellule T riconoscono la proteina basica della mielina e la proteina proteolipidica determinando la degenerazione della mielina ed una conseguente alterazione della conduttività elettrica a carico dei motoneuroni che causa deficit cognitivi, affaticamento, neuropatie periferiche, parestesia, disfagia, atassia, incontinenza fecale ed urinaria e neurite ottica. La tiroidite di Hashimoto è una patologia autoimmune in cui sono coinvolti i linfociti T helper 1 CD4+ ed i linfociti T CD8+ che riconoscono la tireoglobulina e la perossidasi tiroidea che determinano una riduzione della funzionalità della tiroide. La sindrome di Sjogren è una patologia autoimmune cronica in cui sono coinvolte entrambe le tipologie di linfociti T che riconoscono un antigene delle ghiandole tubulo- acinose che sono prevalentemente presenti a livello delle ghiandole salivari (bocca), delle ghiandole lacrimali (occhio) ed a livello della vagina; la malattia presenta un’incidenza dello 0.5-1% con un picco intorno ai 40-55 anni con una predominanza nel sesso femminile (9F:1M), ha un’eziologia sconosciuta e ha una progressione lenta ed insidiosa. La patologia si manifesta con: • Sindrome secca in quanto si verifica secchezza a livello oculare (xeroftalmia che può peggiorare in una cheratocongiuntivite, cioè un’infiammazione della cornea e della congiuntiva), a livello della bocca (xerostomia che può generare atrofia della mucosa boccale e mancanza di papille) e a livello della vagina. • Allargamento delle paratiroidi. • Malessere generale associato a febbre ed affaticamento. • Manifestazioni gastrointestinali come dismotilità esofagea, reflusso, atrofia gastrica, pancreatite, costipazione cronica e malattie epatiche. • Manifestazioni ematologiche come l’anemia, la leucopenia, la linfopenia, la crioglobulinemia ed il linfoma. • Manifestazioni polmonari come fibrosi, bronchiectasia (dilatazione patologica dei bronchi) e ricorrenti bronchiti. • Manifestazioni neurologiche come neuropatie periferiche e craniali, disfunzioni cognitive e miositi. • Nefrite ed acidosi dei tubuli renali. • Artromialgie. • Fenomeno di Raynaud. • Porpora palpabile o orticaria dovute ad episodi vasculitici. I principali anticorpi riscontrabili nel siero nei pazienti affetti da questa patologia sono gli anticorpi anti-SSA/Ro (50-70% associato a fenotipo severo) e gli anticorpi anti-SSB/La (25-40%) che sono considerati marcatori di malattia sebbene siano presenti anche nei soggetti con lupus eritematoso sistemico, ma possono essere presenti altri anticorpi come il fattore reumatoide (36-74%). La valutazione della xeroftalmia è eseguita mediante il test di Schirmer che prevede che la misurazione della quantità di lacrime prodotte inserendo due striscioline di carta assorbente millimetrate all’interno del fornice congiuntivale: dopo 5 minuti si valuta il livello di imbibizione che in condizioni fisiologiche raggiunge i 20 mm, mentre nel lupus eritematoso, nella sindrome di Sjogren e nell’artrite reumatoide non supera i 10 mm. Inoltre, è possibile utilizzare il test al Rosa Bengala in cui si inietta un colorante vitale in concentrazione 1-2% a livello dell’occhio in modo che le cellule lievemente danneggiate della cornea e della congiuntiva si colorano di rosso-bluastro, mentre le cellule severamente degenerate o morte si colorano di rosso intenso. Per la valutazione della xerostomia è possibile misurare il flusso salivare non stimolato o stimolato con limone, acido citrico o un chewing gum sugar-free (risulta normale quando è superiore a 1.5 ml/15 min), fare una scialografia parotidea mediante incannulamento del dotto di Stenone (è il dotto della ghiandola salivare parotide che sfocia a livello del secondo molare superiore) che prevede l’introduzione di un liquido di contrasto iodato oppure fare una biopsia della ghiandole salivari minori a livello del labbro inferiore. La sindrome di Sjogren è trattata mediante gli steroidi ed un monitoraggio continuo della presenza di osteoporosi o di linfomi, adiuvato dall’utilizzo di lacrime artificiali con la raccomandazione dell’utilizzo di liquidi non dolcificati, di agenti colinergici e di antiflogistici non steroidei e di mantenere una corretta igiene orale. L’artrite reumatoide è una patologia autoimmune cronica in cui sono coinvolti i linfociti T che riconoscono degli antigeni ancora sconosciuti della sinovia articolare quindi colpisce le articolazioni diartroidali racchiuse da una capsula fibro-legamentosa; la patologia si configura come una poliartrite a carattere erosivo ad andamento progressivo che può evolvere nella dislocazione e nella distruzione dei capi articolari fino alla manifestazione di anchilosi (è la limitazione grave o l'annullamento completo e permanente dei movimenti di un'articolazione) e può essere presente a qualsiasi età (anche se si registra un picco oltre i 50 anni di età) con una prevalenza nel sesso femminile (4F:1M) per la probabile implicazione degli estrogeni. [Le persone affette da tale patologia perdono la capacità di compiere le attività quotidiane casalinghe come l’apertura di un barattolo, la pulizia della casa ed il cucinare] N.B. Attualmente non sono riconosciute chiare e consistenti associazioni della malattia a fattori ambientali, ma presenta una frequenza 6 volte superiore nei fratelli dei pazienti (la concordanza fra gemelli monozigoti è del 20-30%). L’ipotesi immunopatogenetica dell’artrite reumatoide prevede che un’infezione in un individuo geneticamente predisposto possa indurre un mimetismo molecolare soprattutto a carico delle HSP- 70 che sono riconosciute come autoantigeni dalle cellule T cha hanno perso il meccanismo della tolleranza determinando un riconoscimento persistente dell’autoantigene che è in grado di indurre l’attivazione della risposta immunitaria classica coinvolgendo le cellule T CD4+ e le cellule B; in questo modo si verifica la formazione di immunocomplessi, l’attivazione del complemento e la produzione di citochine che sono in grado di attivare i macrofagi residenti a livello della membrana sinoviale in modo da scatenare un processo infiammatorio in loco che porta alla modificazione della membrana sinoviale (che in condizioni fisiologiche non è generalmente vascolarizzata). Nell’artrite reumatoide si verifica una progressiva vascolarizzazione della sinovia a causa della produzione di VEGF che determina la migrazione delle cellule infiammatorie dal circolo con una conseguente esacerbazione del processo infiammatorio cosicché si manifestano dolore, gonfiore, edema da essudato sinoviale, arrossamento e calore. Con la progressione della patologia e del processo infiammatorio si verifica anche la produzione di enzimi degradativi della cartilagine (soprattutto di collagenasi della famiglia delle metalloproteasi che riconoscono il collagene) che comportano la distruzione progressiva della cartilagine con conseguente esposizione dell'osso subcondrale che va incontro ad un progressivo processo di riassorbimento (attivazione di RANK e RANK-L associato ad una deplezione di osteoprotegerina) e la membrana sinoviale inizia a proliferare invadendo lo spazio interno alla capsula articolare determinando la formazione di una struttura detta panno. Il riflesso della peristalsi è un riflesso enterico che permette l’avanzamento del bolo alimentare all’interno dell’intestino in senso aborale ed è controllato da alcuni neuroni sensoriali dotati di meccanocettori che permettono di valutare il grado di distensione delle pareti intestinali al passaggio del cibo e che fanno sinapsi in senso orale con un interneurone che è in connessione con un motoneurone eccitatorio (liberazione di acetilcolina e tachichinina) ed in senso aborale con un interneurone che è in connessione con un motoneurone inibitorio (liberazione di ossido nitrico). Una piccola percentuale delle patologie intestinali interessa le alterazioni dei neuroni del sistema nervoso enterico o delle cellule muscolari che possono comportare la manifestazione di pseudo-ostruzioni (occlusioni non dovute ad eventi meccanici) associate a stati infiammatori gravi e all’alterazione della permeabilità della barriera intestinale (a causa di danni alle proteine che costituiscono le gap junctions). La sindrome di Hirschprung è una malattia congenita caratterizzata dall’assenza dello sviluppo completo del sistema nervoso enterico e quindi dell’assenza di motilità intestinale. La MNGIE è una malattia dovuta alla mutazione dell’enzima timidina fosforilasi che determina un accumulo di desossiuridina che provoca un danneggiamento del DNA mitocondriale ed un precoce interessamento dei muscoli e dei nervi dell’apparato gastrointestinale manifestandosi con l’incapacità di mangiare e di formare delle ostruzioni intestinali; questa patologia può essere curata mediante un trapianto di fegato che è in grado di produrre l’enzima mancante. N.B. La superficie di assorbimento del canale alimentare è circa 200 m2 grazie alla presenza di villi e di cripte e presenta una barriera che, insieme alla produzione di antibiotici da parte delle cellule di Paneth delle cripte, permette la protezione dai batteri della flora intestinale ed il passaggio selettivo dei nutrienti e delle vitamine. L’INTESTINO IRRITABILE L’intestino irritabile è una patologia caratterizzata da un’elevata prevalenza (coinvolge l’11% della popolazione globale) e dalla negatività delle analisi strumentali utilizzate per la diagnosi e si manifesta con dolore addominale severo, gonfiore addominale, diarrea, feci molli, lieve aumento della cellularità, lieve edema, aumento dei mastociti evidenziabile con tecniche di immunofluorescenza e incrementato rilascio di mediatori flogistici (instamina, triptasi e PgE2); tale patologia è influenzata anche dalla condizione di stress del soggetto ad indicare la presenza di fattori psicologici, ormoni e neurologici che permettono una connessione bidirezionale fra il cervello ed il sistema gastrointestinale. In condizioni fisiologiche, la barriera intestinale permette la divisione dei batteri e del cibo presenti nel lume intestinale dall'organismo grazie a meccanismi di trasporto selettivo delle sostanze ed il sistema immunitario associato alle mucose espleta un meccanismo di tolleranza nei confronti degli antigeni necessari alle funzioni vitali come l'alimentazione. La patologia è caratterizzata da alterazioni del lume intestinale che determinano un aumento della permeabilità della barriera intestinale che provocano il passaggio in eccesso di antigeni che stimolano il sistema immunitario della mucosa alla produzione di sostanze che segnalano un’alterazione dell’omeostasi al cervello sotto forma di dolore, gonfiore e disagio. N.B. La permeabilità della barriera intestinale avviene per via transcellulare (andamento lento associato ad eventi di pinocitosi attiva attraverso le cellule) e per via paracellullare (andamento molto veloce associato allo scambio di ioni e sostanze attraverso gli spazi fra cellule tramite una regolazione delle giunzioni strette). N.B. Il sistema immunitario del canale alimentare è il più vasto organo linfoide. N.B. La ricerca ha tentato di identificare delle alterazioni biochimiche, microbiche o strutturali misurabili come biomarcatori in modo da distinguere i soggetti affetti da intestino irritabile dalla popolazione sana e dalla popolazione con altre patologie organiche (quali) ed in modo da consentire di identificare dei sottogruppi di soggetti in funzione della risposta al trattamento. Il microbiota è l’insieme dei microrganismi presenti all’interno dell’intestino ed è stata identificata un suo coinvolgimento con la sindrome dell’intestino irritabile in quanto la gastroenterite infettiva dovuta all’infezione di una Salmonella enteritidis nel 1994 (presente nella salsa tonnata) ha scatenato a distanza di 20 anni la comparsa dell’intestino irritabile nei soggetti esposti. Inoltre, quest’ipotesi dell’interazione microbiota-intestino irritabile è sostenuta anche dall’efficacia dei probiotici nei soggetti affetti da tale sindrome (soprattutto è utilizzato il probiotico Lactobacillus paracasei). La disbiosi è l’alterazione dell’equilibrio presente fra i microrganismi ospiti ed i microrganismi opportunisti ed è associata a disturbi gastrointestinale ed extra-intestinali. Alcuni studi hanno messo in evidenza il coinvolgimento, nella sindrome dell’intestino irritabile, della zonulina che è una proteina modulatrice endogena delle giunzioni strette delle cellule epiteliali che è rilasciata durante le infezioni e l’intolleranza al glutine e che permette l’apertura reversibile delle giunzioni strette determinando un allontanamento degli enterociti ed un aumento della permeabilità della barriera intestinale; infatti, in questa sindrome, come nel diabete di tipo I e nell’intolleranza al glutine non celiaca, si registra un aumento del rilascio della zonulina. [Le gastriti da Helycobater pylori erano state scambiate inizialmente come malattie indotte dallo stress] Approfondimenti utili e curiosità ➢ La gastrina è secreta dalle cellule G localizzate a livello dell’antro dello stomaco quando la quantità di idrogenioni è insufficiente e permette un aumento della produzione di acido da parte delle cellule parietali del fondo dello stomaco (in caso di iperacidità la quantità di gastrina si riduce). ➢ Gli inibitori del re-uptake della serotonina sono farmaci antidepressivi che modificano la quantità di serotonina nel cervello (il 5% della serotonina è contenuta nel cervello, mentre il 95% è contenuta nell’intestino). ➢ Gli studi di efficacia di un farmaco devo essere eseguiti su gruppi paralleli di pazienti randomizzati in modo che ad un gruppo sia somministrato il farmaco da testare e all’altro sia somministrato un placebo o un farmaco di efficacia assicurata. Negli studi di efficacia per crossover entrambi i gruppi randomizzati sono sottoposti alla somministrazione del farmaco da testare e del placebo (o del farmaco di efficacia assicurata) in tempi alternati divisi da una fase di wash-out prima della somministrazione successiva in modo da valutare gli effetti del farmaco in seguito alla sospensione del farmaco (carry-over effect). Questi studi devono essere eseguiti in doppio cieco, cioè né il medico né il paziente conosce la natura della sostanza iniettata. ➢ I trapianti isolati di intestino tenue presentano un tasso di riuscita del 50% a causa della morte dei nervi. ➢ I farmaci inibitori COX-2 selettivi sono stati tolti dal mercato perché inducevano un aumento dell’aggregazione piastrinica e la formazione di trombi. ➢ Il sistema nervoso centrale e le emozioni influenzano la funzione del sistema immunitario. ➢ Le particelle del bolo che arrivano al duodeno hanno un diametro massimo di 1 mm.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved