Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti Metodologia della Ricerca Archeologica - Enrico Giorgi, Appunti di Archeologia

Appunti delle lezioni di Metodologia della Ricerca Archeologica tenute dal Prof. Giorgi e dalla Prof.ssa Mattioli.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 12/05/2020

Chiara_vince6
Chiara_vince6 🇮🇹

4.5

(18)

13 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti Metodologia della Ricerca Archeologica - Enrico Giorgi e più Appunti in PDF di Archeologia solo su Docsity! METODOLOGIA DELLA RICERCA ARCHEOLOGICA La disciplina moderna si fonda sul metodo di acquisizione delle conoscenze. Si possono utilizzare determinate tecniche per studiare contesti a prescindere dall’elemento cronologico. La metodologia è un modo di ricostruire il rapporto tra l’Uomo e l’ambiente. ARCHEOLOGIA TEORICA – Quali sono i principi che hanno ispirato la ricerca: ARCHEOLOGIA INCONSAPEVOLE: Si definisce “archeologia inconsapevole” il recupero di oggetti dal sottosuolo, per il loro valore intrinseco o mitico-religioso. Questo tipo di archeologia incentrata su aspetti rituali e mitologici è attestato fin dall’antichità. Esempi:  Naboedo, re di Babilonia, nel VI sec. a.C., fece costruire un nuovo tempio sui resti disseppelliti di un edificio più antico per unire passato e presente e legittimare la continuità dinastica.  Gli Atzechi ponevano maschere cerimoniali che ritenevano tolteche (prese a Teotihuàn) nelle fondazioni del loro Grande Tempio per collegarsi alla loro ascendenza. ARCHEOLOGIA DELL’ARCHEOLOGIA: Di solito si individua come uno dei padri dell’archeologia Thomas Jefferson (futuro 3° presidente degli USA), che nel 1784 effettuò in Virgina il primo scavo scientifico di un tumulo sepolcrale (mound). Allo scopo di verificare un’ipotesi, sezionò un tumulo con una trincea e verifico gli strati che coprivano le inumazioni conservate nella parte inferiore. Sulla base di ciò che aveva trovato mise in crisi l’idea di una razza scomparsa e attribuì i resti agli Indiani d’America applicando un metodo deduttivo. Un altro importante evento nella storia dell’archeologia è la scoperta di Pompei, luogo importante anche per la quantità di dati ricavati. Gli scavi ebbero inizio con la scoperta di Pompei nel 1748 (più o meno nello stesso periodo in cui si scoprì Ercolano), sotto metri di ceneri vulcaniche. In realtà in un primo momento questi scavi non si possono far rientrare all’interno dell’archeologia, in quanto erano effettuati al solo scopo di ritrovare oggetti preziosi. Progressivamente però si iniziarono ad abbandonare gli scavi di ricerca di oggetti preziosi e si affermò una nuova archeologia. Il momento di svolta per il sito di Pompei non fu quindi la sua scoperta, bensì l’Unità d’Italia e il particolare il 1860, quando sotto la Direzione di Giuseppe Fiorelli si iniziò a prestare sempre maggiore attenzione alla documentazione. La 1a fase della riflessione teorica è influenzata dalla visione biblica e dalla lettura dei testi sacri. Infatti, le Verità Rivelate (i testi sacri della religione cattolica) ostacolarono a lungo lo sviluppo di un approccio scientifico. Sono infatti presenti casi importanti che vedono sacerdoti riseppellire reperti perché questi avrebbero potuto mettere in crisi l’idea della Creazione. Dal punto di vista della religione cattolica, infatti, la Creazione e il Diluvio si collocano nel Giardino dell’Eden in Vicino Oriente; San Tommaso colloca nell’Eden la società primitiva di cacciatori-raccoglitori e, nella sua concezione, solo i più dotati, con l’aiuto di Dio, avrebbero sviluppato l’agricoltura e la civiltà. Un passo avanti nella storia dell’archeologia si compie con il Naturalismo Rinascimentale. Nel Rinascimento, infatti, l’osservazione dei fenomeni naturali porta a rivalutare l’interpretazione di alcuni fenomeni. Leonardo Da Vinci riconobbe per primo alcuni fossili come resti di animali; tramite questo pensiero (all’epoca rivoluzionario) si spiegarono in maniera ragionevole i rinvenimenti di selci e altri manufatti, ora non più considerati come cresciuti nel sottosuolo. Altro grande passaggio è quello della Reazione Illuminista. L’Illuminismo riaffermava una concezione laica della storia umana basata sul progresso e sull’uguaglianza tra gli Uomini come era già in parte avvenuto con l’Umanesimo nel Rinascimento. Nel 1611 il Rettore di Cambridge in una Bibbia Anglicana datò la Creazione alle ore 9.00 del 26 ottobre del 4004 a.C. sulla base della Genealogia di Adamo (giorno corrispondente all’inizio dell’anno accademico). Nel 1656 il francese Isaac Lapeyrère fu processato per eresia e dovette ritrattare perché aveva scritto un libro che considerava l’esistenza di Epoche Preadamitiche precedenti la cronologia biblica. L’annus mirabilis per la nascita della Disciplina archeologica è il 1797, anno in cui l’inglese John Frere data alcune asce in selce in epoca precedente all’età storica e apre la strada al riconoscimento degli utensili preistorici e delle specie estinte. Nel 1816 si ha il vero momento di svolta, quando Christian Jurgensen Thomsen riafferma il criterio delle 3 età (della pietra, del bronzo e del ferro) per catalogare i reperti della Reale Commissione Danese per la Salvaguardia delle Antichità con lo scopo di creare il Museo Nazionale di Copenaghen. Probabilmente conoscendo Lucrezio e sapendo che la Bibbia fa precedere l’età della pietra a quella dei metalli, lo studioso stabilisce un criterio di seriazione cronologica fondato sull’analisi tecnologica, funzionale e stilistica (aveva esperienza di classificazione numismatica). Nonostante la diffusione dell’Illuminismo, Thomsen spiegò l’evoluzione tecnica in senso diffusionista, attribuendo le evoluzioni al contatto con il Medio Oriente. Contemporaneamente Jean Jacob Worasee ne verifica l’attendibilità stratigrafica e afferma il 1° sistema di cronologie relative: alle 3 età corrispondevano ambienti differenti. Questo fu il contesto che portò lo scozzese Daniel Wilson a rivedere lo schema delle 3 età in chiave evoluzionista e a coniare poi il termine “Preistoria”. IL PARADIGMA DELLE 3 ETA’: Il criterio della successione delle 3 età della pietra, del bronzo e del ferro sviluppa l’idea illuminista di evoluzione e di progresso dell’umanità, e questa spiegazione trova terreno fertile agli albori della rivoluzione industriale. Il sistema delle 3 età era stato ipotizzato in precedenza ma solo con Thomsen viene riferito a periodi storici precisi e trova il terreno giusto per maturare ed affermarsi. Molti ironizzarono sulla mancanza del legno e credevano che dipendesse solo dalla diversa disponibilità di materiale nelle differenti aree geografiche ma in epoche contemporanee. LA GEOLOGIA STRATIGRAFICA E IL METODO COMPARATIVO: Il racconto biblico del Diluvio Universale condizionava Geologia e Archeologia ancora agli inizi dell’800. Nel 1830-1833 l’inglese Charles Lyell pubblica “Principi di Geologia, ossia un tentativo di spiegare gli antichi cambiamenti della superficie della Terra facendo riferimento a cause ancora in azione”. Con questa pubblicazione si afferma il metodo comparativo tra fenomeni presenti a passati. Si supera la visione catastrofista e si afferma la geologia stratigrafica:  Principio di sovrapposizione;  Stratigrafia relativa;  Stratigrafia assoluta. Il metodo comparativo si basa sul presupposto che studiando il Presente si possa comprendere il Passato, in quanto i mutamenti della geografia del passato possono essere comparati a quelli presenti perché causati da fenomeni analoghi. È importante considerate che in alcuni contesti può essere presente una mancata attestazione di alcuni periodi nella sequenza stratigrafica. Esempio: L’eruzione del Vesuvio ai giorni nostri coprirebbe sia la Pompei attuale sia quella romana e, pur mancando la stratigrafia che separa le 2 epoche, dovremmo comunque supporre una fase intermedia a causa della diversità tra i 2 contesti, CLASSIFICAZIONE – Genere e Specie: Nel 1758 lo scienziato svedese Carlo Linneo crea un Museo organizzato secondo il metodo classificatorio. Nel 1735 introduce, nella classificazione di animali, piante e minerali, la Nomenclatura Binominale basata sul modello aristotelico di definizione del genere prossimo e della differenza specifica attraverso 2 nomi latini che definiscono il genere o (nomen genericum) uguale per tutte le specie con medesimi caratteri principali e la Specie (nome triviale o nome specifico) EREDITARIETA’ (Lamarckismo) E SELEZIONE NATURALE (Darwinismo): Jean Baptiste de Lamarck nel 1794 teorizzò che gli organismi viventi fossero il risultato di un processo graduale di modificazione secondo 2 concetti collegati:  Legge dell’uso e del disuso → un organo si sviluppa quanto più è utilizzato e regredisce quanto meno e sollecitato;  Legge dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti → il carattere acquisito dall’animale durante la sua vita viene trasmesso alla progenie. Le sue teorie vennero superate ma ebbe il merito di aprire la strada dell’Evoluzionismo. Nel 1859 Charles Darwin pubblica l’”Origine della specie per mezzo della selezione naturale” che sintetizza le ipotesi messe a punto dallo studioso nell’arco della sua esperienza di naturalista maturata grazie a innumerevoli osservazioni sul campo, tra cui il noto viaggio sulla nave Beagle. DA DARWIN ALLA TIPOLOGIA DEI MANUFATTI: Charles Darwin mostra l’evoluzione umana come effetto di molteplici casualità nella trasmissione dei geni ereditari. Il principio dell’evoluzione afferma che a fronte di molteplici varianti sopravvivevano non i più forti ma gli individui più adatti all’ambiente perché in grado di riprodursi con maggiore successo. Secondo E. Giannichedda, il Metodo Tipologico di seriazione dei manufatti è l’applicazione del Darwinismo agli oggetti e presuppone che sopravvivano nell’uso i manufatti più adatti e vi siano varianti destinate ad estinguersi. EVOLUTIONARY ARCHAEOLOGY: Una tendenza recente dell’archeologia (Evolutionary Archaeology) si propone addirittura la sistematica applicazione del Darwinismo, non solo dando importanza all’adattamento ambientale ma considerando anche l’evoluzione dei comportamenti a seguito della trasmissione di conoscenze da una generazione alla successiva anche valutando gli effetti del successo riproduttivo dei diversi gruppi umani. ARCHEOLOGIA MARXISTA: Anche la storia in senso ampio ci fornisce un’idea di come viene intesa l’archeologia. L’analisi delle società antiche da parte di Karl Marx è approssimativa ma è interessante il criterio adottato per riorganizzare lo schema evoluzionistico. Marx attua una distinzione tra:  Struttura → economia come base reale della vita.  Sovrastruttura → politica, arte, religione, filosofia come aspetti sociali ed ideologici dipendenti dalla Struttura. La Struttura è la base nascosta della società e coincide con la Vita reale. Protagonisti sono le forze della produzione (condizioni oggettive determinate dal rapporto tra risorse materiali e tecnologia disponibile) e rapporti di produzione (organizzazione del lavoro e degli scambi) che fondano la società e sono necessari, determinati e indipendenti dalla volontà umana. La Sovrastruttura (politica, arte, religione, filosofia, organizzazione sociale e familiare) sono funzionali alla perpetuazione di un certo modello di produzione ma sono comunque un riflesso condizionato della vita economica. Ad una società primitiva, tribale e senza classi segue la società schiavista antica, feudale, borghese e moderna. Ciascuna società ha propri contrasti interni (padrone-schiavo, contadino-signore, proletario-borghese) e da questi contrasti derivano le trasformazioni. LE FONTI DELL’ARCHEOLOGO – Quali fonti si utilizzano: La ricerca archeologica si fonda oggi sull’utilizzo di una pluralità di fonti senza stabilire una gerarchia interna aprioristica. Nella maggioranza dei casi sarà proprio la lettura integrata di informazioni di natura differente a permettere di formulare un’ipotesi ricostruttiva del quadro d’insieme. Lo specifico caso di studio potrà eventualmente portare a privilegiare una fonte rispetto all’altra a causa di circostanze specifiche. Molto spesso il punto di arrivo della ricerca non è che una fase della ricerca stessa perché vengono formulate ipotesi che poi dovranno essere sottoposte a verifica con il prosieguo della ricerca. È quindi fondamentale dichiarare onestamente i dati e quindi le fonti su cui ci si basa e quali sono stati i meccanismi del ragionamento effettuato. Fonti e metodo devono essere in ogni caso chiari e verificabili da altri o da noi stessi in futuro. Le fonti vanno innanzitutto divise in:  Fonti dirette (es. resti archeologici);  Fonti indirette (es. fonti letterarie). I RESTI ARCHEOLOGICI COME FONTI DIRETTE: I resti archeologici sono fonti dirette. I resti della cultura materiale vengono quindi spesso considerati fonte privilegiata e intrinsecamente oggettivi. In realtà però a volte i resti vengono deposti intenzionalmente e ritualmente e possono custodire significati complessi e non essere cronologicamente omogenei; in una stessa tomba quindi ci può essere un valore intrinseco determinato anche da oggetti che vengono riutilizzati anche a distanza di diversi secoli. Acquista un significato ben preciso anche il modo in cui gli oggetti vengono deposti. È importante ricordare che il rinvenimento dei resti archeologici è casuale e perciò:  La quantità originaria non è ricostruibile;  I reperti rinvenuti non possono essere i soli elementi rappresentativi della tipologia e della cronologia del sito. Chi fa ricognizione intensiva e si concentra sul rinvenimento di cocci è tenuto a contarli tutti, ma è evidente che il ragionamento compiuto in questo caso non è plausibile. Se invece oltre ai soli cocci si prendono in considerazione anche altri elementi il dato va ad integrarsi con altri, ottenendo così un quadro di insieme più chiaro. LE FONTI LETTERARIE COME FONTI INDIRETTE: Fonti indirette sono invece le fonti letterarie. La tradizione scritta, infatti, media il passato; essa può fornire un racconto con altre finalità che non può essere usato come una semplice cronaca. A queste vanno poi aggiunte fonti orali e iconografiche dirette per l’età contemporanea. Riassumendo, ogni indizio è utile per completare l’indagine. IL RAPPORTO TRA FONTI E ARCHEOLOGIA – PHOINIKE: Nella tradizione storiografica, Phoinike (situata in Albania meridionale) è ricordata come la capitale dell’Epiro che fiorisce nella metà del III sec. a.C. (Polibio) su una collina dove tornerà solo nel VI sec. d.C. (Procopio). La città viene menzionata già tra IV e III sec. a.C., quando comincia ad emergere tra altri siti d’altura come centro egemone. L’area venne scavata dall’archeologo Ugolini, il quale aveva un approccio moderno; nonostante tutto venisse documentato con grande attenzione la matrice filologica continuava ad essere presente. Questo atteggiamento si protrasse nelle prime fasi ed era ancora presente negli scavi del 2000. Scavando si scoprì che il circuito murario venne realizzato tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. ma portato a termine almeno alla metà del III sec. a.C. I reperti rinvenuti si datano tutti quanti almeno alla 2° metà del III sec. a.C.; anche l’organizzazione urbanistica è omogenea e si data allo stesso periodo. Questo dato cronologico non coincide con il racconto della “grande” Phoinike riportato da Polibio; ciò non significa che la città non possa avere avuto un ruolo importante come affermato dalla fonte, ma la versione polibiana non esclude che il sito possa aver avuto un ruolo importante anche nei decenni successivi. In una lettura storica più ampia, l’impatto di Roma in quei luoghi ha portato ad un incremento della ricchezza. Ancora una volta tutto si riesce a comprendere mettendo in dubbio i vari dati. IL RAPPORTO TRA FONTI E ARCHEOLOGIA – LA SCOPERTA DI TROIA: Secondo il racconto omerico la città di Troia sorgeva alla foce del fiume Scamandro. Tuttavia, attualmente la collina di Hissarlik, dove sorgeva Ilion, domina una fertile pianura frutto di apporti alluvionali recenti. I carotaggi effettuati in zona hanno permesso di individuare l’antica linea di costa protratta verso il mare dai sedimenti apportati dai fiumi Scamandro (Kara Menderes) e Simoenta (Dumrek Su). Considerando gli apporti dei fiumi è evidente che al tempo di Omero il mare si trovasse vicino alla città. In aggiunta a questo dato va presa in considerazione l’esperienza di Schliemann, l’archeologo che per primo ha effettuato scavi a Troia. Il sito si compone di 9 città sovrapposte che vanno da Troia I (villaggio neolitico del 3000 a.C.) a Troia IX (abitato romano). Schliemann, che aveva letto la fonte omerica, punta subito a Troia II, mentre la fase omerica è in realtà Troia VII (1300-1700 a.C.). L’archeologo scambiò quindi l’acropoli per la città intera che invece si estendeva ai suoi piedi. La scoperta di Troia dimostra che le fonti scritte vanno lette in maniera critica e che gli episodi della storia antica vanno collocati in paesaggi che possono aver subito delle variazioni. ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO E FONTI SCRITTE – SPINA: Se si analizzano in ordine cronologico si evince che:  IV sec. a.C. → Spina è a 3,5 km dal mare (Pseudo Scylace);  II sec. a.C. → i Romani subiscono imboscate vicino a Reggio (Polibio);  I sec. a.C. → Spina è a 16,5 km dal mare. Risulta quindi evidente che l’avanzamento della foce dipende dall’aumentato apporto di detriti e si collega alla centuriazione della Pianura Padana che rivoluziona il paesaggio un tempo boscoso. AGIOGRAFIA – SAN DONNINO E FIDENZA: In relazione a questi siti importanti sono le fonti agiografiche, che raccontano qualcosa di fantastico ma che si svolge in ambienti “reali”. Fidentia è un municipio romano noto a Plinio, posto lungo la Via Emilia, abbandonato alla fine dell’antichità. Se si legge l’agiografia di San Donnino, si apprende che nel 303 d.C., durante la persecuzione dei Cristiani, Donnino abbandonò la corte di Treviri e fuggì in Italia presso Fidenza. Inseguito dai sicari Donnino venne raggiunto e decapitato, ma il santo raccolse la testa e attraversò lo Stirone, andando a morire a “un tiro di sasso” da dove era stato decapitato e qui venne sepolto dagli abitanti del luogo. Sulla tomba del martire si sviluppò un bosco. Poiché dal luogo della sepoltura emanava una luce (topos delle agiografie), gli abitanti del luogo si rivolsero al vescovo di Parma, che disboscò e trovò il corpo di Donnino. Sulla tomba il vescovo di Parma fece costruire una chiesa: l’attuale duomo attorno al quale si sviluppa il “castrum vetus” della Fidenza medievale (Borgo San Donnino). Il primo elemento che si ricava dalla lettura della Passio è che il fiume ha cambiato corso nel tempo. Infatti, il ponte romano è situato davanti al duomo sotto la porta medievale. Le fonti agiografiche quindi non vanno sottovalutate perché possono essere utili per la ricostruzione del paesaggio antico. Se si tiene conto dei rispettivi limiti, il dialogo tra dati archeologici e tradizione storiografica è fondamentale per le culture che hanno utilizzato la scrittura. In questi casi i lavori dello storico e dell’archeologo si rafforzano vicendevolmente. NB. Nell’Età del Ferro alcune culture conoscono la scrittura, ma si tratta quasi sempre di epigrafi (fonti primarie) e non di testi letterari (fonti secondarie). I CONTESTI DELL’ARCHEOLOGIA – A quale scala si opera: L’Archeologia è la disciplina che studia le culture umane e le relazioni con l’ambiente attraverso le testimonianze materiali e immateriali (es. archeologiche, orali, scritte, iconografiche) considerate nei contesti di provenienza (es. paesaggi, manufatti, resti biologici) in qualunque epoca (preistoria, antichità, età moderna). Il fine della ricerca archeologica è la ricostruzione storia del rapporto tra Uomo e ambiente attraverso l’analisi dei segni materiali di ogni epoca nei loro contesti originari. Tracce materiali In superficie Contesto ambientale Sottoterra Contesto di scavo Sottacqua Resti materiali Reperti mobili (con-/de-contestualizzati) IL CONTESTO: Il contesto è la parola chiave dell’archeologia contemporanea; è un termine complesso e polisemantico. Esistono diversi tipi di contesto:  Contesto territoriale → un contesto come il territorio porta inevitabilmente allo studio del paesaggio;  Contesto urbano → esistono in particolare dei contesti urbani pluristratificati, come ad esempio aree archeologiche scavate da molto tempo che generano un nuovo contesto (es. Pompei).  Contesto architettonico stratificato → sono resti architettonici stratificati ad esempio le stratificazioni delle mura;  Sito  Scavo  Unità stratigrafica → dal contesto stratigrafico provengono resti sepolti e reperti contestualizzanti. Talvolta, però, è possibile trovare dei reperti decontestualizzati, cioè resti archeologici privati del loro contesto, che perdono il significato archeologico ma sono oggetto di studio per gli storici dell’arte antica. Discorso diverso è quello che riguarda i reperti archeologici in posto, che trovandosi all’interno di un determinato contesto rivestono un grande significato. L’ANALISI DEL CONTESTO A GRANDE SCALA – DAL SITO ALLO STRATO: L’archeologo studia i contesti in scale differenti:  Paesaggio (macrocontesto) → prodotto del rapporto storico tra Uomo e ambiente;  Sito (microcontesto) → contesto stratigrafico, unità stratigrafica;  Manufatto → reperti mobili prodotti dall’Uomo rappresentativi della cultura materiale. IL PAESAGGIO: Il paesaggio (macrocontesto) è il prodotto dato dal rapporto storico tra Uomo e territorio. I paesaggi si possono suddividere in diverse categorie:  Paesaggi naturali (es. Glen Canyon, Utha, USA);  Paesaggi antropizzati (es. Monument Valley, Utha, USA; Villadose, Rovigo; Appignano, Ascoli Piceno)  Paesaggi urbani (es. Ercolano). I paesaggi naturali, cioè non antropizzati, sono piuttosto rari. Tuttavia, rimangono ancora alcuni di essi le cui condizioni rendono l’idea di un paesaggio plasmato da agenti atmosferici piuttosto che dall’Uomo (es. Glen Canyon, Utha, USA). I paesaggi antropizzati sono invece più frequenti e possono nascondere delle letture complesse. Un esempio di paesaggio antropizzato è un terreno coltivato, che mediante la suddivisione dei campi può rendere l’idea di un’area strutturata dall’Uomo (es. Villadose, Rovigo; Appignano, Ascoli Piceno). I paesaggi urbani costituiscono la tipologia di paesaggio più complicata in quanto le città sono la sintesi del paesaggio antropizzato. Il paesaggio urbano è di fatto un contesto pluristratificato. Le città cambiano molto e di frequente e quando si occupa nuovamente lo stesso luogo, non sempre vengono rispettate le stesse logiche urbanistiche. Il fatto che spesso le nuove città rispondano a logiche urbanistiche così differenti dalle città sulle quali sono state costruite porta talvolta a chiedersi se si tratti realmente della stessa città (es. Crypta Balbi, Roma). CONTESTO URBANO – CRYPTA BALBI (ROMA): L’archeologia moderna va oltre l’analisi del singolo edificio e considera il contesto urbano nel suo complesso e nel suo sviluppo storico senza privilegiare una fase rispetto ad un’altra. Esempio pratico di questa operazione è quello della Crypta Balbi, un complesso collegato all’antico Teatro di Balbo a Roma. Il complesso è costituito da un intero isolato racchiuso tra via delle Botteghe Oscure, via dei Polacchi, via dei Delfini e via Caetani, che nei secoli ha visto diversi usi e insediamenti:  Età imperiale romana → l’urbanizzazione era costituita dalla Crypta Balbi, dalle case retrostanti e dal lato meridionale della Porticus Minucia;  Età alto-medioevale → nel sito si insediò la chiesa-convento di Santa Maria Domine Rose, con il suo orto e gli annessi;  Età medioevale → risalgono le case di via dei Delfini;  Età rinascimentale → vi si installò un convento di Santa Caterina con annesso Conservatorio (cioè orfanotrofio). La specificità della Crypta Balbi è di essere un museo di archeologia urbana, che ricerca e documenta l’evoluzione di quello spazio, dei suoi insediamenti e delle sue destinazioni d’uso lungo i secoli. LA TUTELA DEL PAESAGGIO: Da un punto di vista metodologico è necessario valutare come cambia il paesaggio in relazione al rapporto Uomo-ambiente. Il compito dell’archeologo è quello di cercare di governare i cambiamenti, facendoli avvenire con la consapevolezza del passato. Inoltre, un archeologo dovrebbe aiutare nella pianificazione piuttosto che impedirla. Il paesaggio è frutto dell’interazione tra Uomo e ambiente. Se questa interazione viene meno il paesaggio muore. Il paesaggio può essere tutelato e il suo sviluppo può essere governato, ma è destinato a cambiare. L’abbandono delle campagne produce l’incolto, quello dei centri storici il degrado urbano. Esempio:  Craco, Basilicata → dopo il terremoto del 1980 Craco vecchia venne completamente abbandonata. La città è però rimasta intatta, trasformandosi in un paese fantasma.  Kolmanskop, Namibia meridionale → nel 1908, un operaio tedesco trovò un diamante mentre lavorava in questa zona e lo mostrò al suo supervisore. Dopo aver appreso che questa zona era ricca di diamanti, molti minatori tedeschi vi si stabilirono e subito dopo che il governo tedesco dichiarò la grande superficie “zona riservata”, cominciarono a sfruttare i campi di diamanti. Spinti dall’enorme ricchezza dei primi cercatori di diamanti, gli abitanti del villaggio costruirono la città in stile architettonico tedesco, dotandola di servizi. La città si è spopolata dopo la Prima guerra mondiale, con la diminuzione dell’attività estrattiva dei diamanti, e venne definitivamente abbandonata nel 1954. Da quel momento le dune di sabbia hanno invaso le abitazioni.  Varosha, Cipro → tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70, era il luogo turistico per eccellenza di Cipro e attirava molti turisti. Vennero costruiti molti alberghi di lusso a molti piani sul mare. Nell’agosto del 1974 l’isola di Cipro fu invasa dall’esercito turco. Poche ore prima che la città venisse attaccata dall’esercito turco, temendo un massacro, gli abitanti e i turisti di Varosha scapparono. L’esercito turco chiuse Varosia in un recinto spinato per vietare l’accesso e tutt’oggi questo quartiere è abbandonato.  L’Aquila, Abruzzo (1254-2009);  Alcune zone dell’Emilia (dopo il sisma del 2012). Uno studio così complesso quale quello di un paesaggio non può essere eseguito solo da un archeologo. Per questo motivo l’Archeologo del paesaggio lavora insieme allo studioso delle fonti scritte, della geografia (geologia, geomorfologia, sedimentologia) dell’ambiente (paleobotanica). Questo vale sia a livello di territorio che a livello di sito. Infatti, allo studio di un sito (in cui si trovano resti più o meno complessi della cultura umana) collaborano archeologi attenti a differenti aspetti della medesima ricerca, come: la stratigrafia, l’analisi dei reperti, la paleobotanica (semi e pollini), i resti antropologici, i resti archeozoologici e le tecniche edilizie. La finalità dell’archeologia del paesaggio è quindi lo studio del rapporto tra Uomo e ambiente per ricostruire l’evoluzione storica del paesaggio stesso. La disciplina si pone quindi come obiettivi:  Ricostruzione scientifica;  Tutela del patrimonio. Tra questi 2 elementi si pone il problema di comunicare ciò che si sta facendo. Quando si effettua un studio di ricerca archeologica di paesaggio è necessario essere trasparenti circa le operazioni che si stanno svolgendo. LE CARTE ARCHEOLOGICHE – Come si costruisce una Carta Archeologica: Una Carta Archeologia si costruisce seguendo diversi passaggi: 1. Analisi delle Fonti Antiche comprese quelle tecniche (itinerari e gromatici); 2. Analisi di Toponomastica, Cartografia e foto aeree storiche; 3. Ricerca bibliografica e d’archivio a partire dalla Soprintendenza; 4. Ricognizioni di superficie; 5. Nuove indagini non invasive (remote sensing: foto aeree e geognostica). Ad esempio la regione Marche produce carte 1:25.000 con taglio ampio circa come 4 tavolette IGM e Ortofotocarte (curve di livello e toponimi sovraimpressi) in scala 1:10.000. Le curve di livello o isoipse sono linee che uniscono i punti posti alla medesima quota. A differenza del tratto a sfumo della vecchia cartografia permettono di desumere la quota s.l.m. di un punto. CARTOGRAFIA STORICA E ATTUALE: Dal confronto tra cartografie di età diverse possiamo ricavare molteplici informazioni relative ai cambiamenti del paesaggio, come le variazioni di uso dei suoli (es. Cavanago d’Adda, Lombardia) e di corso dei fiumi (es. Fiume Tagliamento, Friuli). I cambiamenti non interessano solo il percorso dei fiumi, ma anche il modo in cui i fiumi stessi possono scorrere – intrecciati o ad alveo unico –. Questo confronto attualmente può essere effettuato anche tramite mezzi informatici (es. GIS). Le foto aeree permettono di fare confronti riguardanti anche i cambiamenti di quota (es. Fiume Cesano, Senigallia); si tratta di un lavoro non banale che può essere effettuato mettendo a confronto le foto aeree della RAF – Royal Air Force – con le fotografie aeree della situazione attuale). L’analisi della cartografia prevede anche la lettura delle foto aeree, considerate non solo come banale analisi di cosa è diverso tra 2 carte, e un’analisi approfondita di repertori fotografici. CARTOGRAFIA STORICA E TOPONOMASTICA: Lo studio della toponomastica presenta diverse insidie, per questo motivo viene compiuto quando un linguista vi ha già lavorato e vi sono strumenti a cui si può fare riferimento (es. dizionari di toponomastica, talvolta calibrati per i luoghi). I nomi dei luoghi (toponimi) presenti nella cartografia storica possono essere un elemento fondamentale per la ricostruzione del paesaggio antico. Alcuni “fossili toponomastici” possono fornire informazioni riguardanti: Diffusione areale Certi fossili toponomastici possono dare idea della distribuzione di un fenomeno storico.  Toponimo “-polis” nel Mediterraneo ellenistico;  Nomi delle città romane fondate in Età Repubblicana con valore augurale che possono essere indice di una 1° romanizzazione (es. Placentia, Faventia, Fidentia, Florentia);  Toponimi commemorativi di età augustea (es. Augusta Turinorum, Caesar Augusta). Stratigrafia Certi fossili toponomastici possono dare idea della stratificazione di fenomeni succeduti nel tempo nella medesima area o nei medesimi luoghi.  Es. Aposa, Felsina, Bononia;  Toponimi prediali romani rispetto a quelli riferibili alle distribuzioni fondiarie bizantine e longobarde (es. massa, corte, fara). Altri toponimi sono:  Toponimi prediali → si riferiscono alla presenza di un praedium (appezzamento) appartenuto ad esempio a un cittadino romano. Di solito la prima parte del nome dovrebbe riferirsi alla gens che lo possedeva (gentilizio), ma è comunque necessario controllare il nome della famiglia. Esistono repertori cui fare riferimento per verificare che un prediale sia effettivamente tale. Le desinenze possono cambiare a seconda delle aree:  “-ano” → area latina; es. Alviano = praedium di Albius.  “-ascum” → area ligure;  “-acum” → area gallica;  “-enum” → area picena.  Toponimi itinerari → si riferiscono alle miglia es. Quintodecimo, Ottavo, Cagli, Flabenga, Callalta, Levada;  Toponimi descrittivi → descrivono un luogo. Questi toponimi sono ampiamente diffusi. Al di là di quello che significano, i toponimi descrittivi forniscono informazioni sulle dinamiche dell’insediamento stesso e in epoche talvolta anche molto precise. es. Rovereto, Farneto o Loreto (da “Lauretum”) → in relazione alla vegetazione (fitotoponimi); Vidobona (città bianca); Panormo (tutta porto); Drepanon (Roncola); Zancle (falce); Ankon (gomito). I toponimi possono essere divisi quindi per categorie semantiche:  Geografia fisica (oronimi e idronimi);  Popolamento (poleonimi);  Paesaggio rurale (prediali e agrimensori);  Viabilità (itinerari);  Religiosi (teonimi). COME SI COSTRUISCE UNA CARTA ARCHEOLOGICA – LO STUDIO BIBLIOGRAFICO: Per costruire una carta archeologica è necessario compiere una ricerca bibliografica e d’archivio a partire dalla Soprintendenza; è infatti fondamentale sapere tutto ciò che già si conosce sul territorio in questione. In biblioteca è possibile trovare tutto ciò che è stato scritto su un determinato luogo, quindi tutti gli studi editi, mentre negli archivi della Soprintendenza è possibile consultare tutti i dati inediti. Lo studio bibliografico e di archivio comprende la verifica di un’eventuale carta archeologica preesistente del terreno in esame. Se quest’ultima è stata realizzata recentemente è probabile che non ci sia lavoro da fare, ma se non c’è o è stata fatta molto tempo prima è necessario aggiornarla. Le Carte Archeologiche sono dati sensibili per cui è comprensibile il motivo per cui esse non siano reperibili sul web. In realtà le carte archeologiche più moderne possono trovarsi anche in rete ma con gradi di lettura differenziati (es. carte archeologiche per i percorsi turistici), inserendo ad esempio dei privilegi di accesso. Le carte archeologiche registrano le aree che hanno restituito materiali, infrastrutture e resti archeologici. In Italia ci sono Carte Archeologiche nazionali e regionali. Per quanto riguarda le Carte Archeologiche nazionali ci sono 2 collane che coprono l’intero territorio italiano:  Forma Italiae → progettata tra il 1885 e il 1891 da Cozza, Gamurrini, Mencarelli e Pasqui, riprogettata da Lanciani nel 1919 e iniziata dal Lugli nel 1926;  Carta Archeologica d’Italia → progettata da Marinelli e Bianchi Bandinelli nel 1926, iniziata nel 1927 da Bianchi Bandinelli con il Foglio di Arezzo. LA FORMA ITALIAE: La Forma Italiae è composta da diversi libri che contengono la carta topografica d’Italia (l’apparato topografico usa come base i siti dell’IGM) in scala 1:50.000 o 1:25.000. I siti sono distinti da numeri ai quali fanno riferimento delle schede. Le schede sono ampie e comprendono foto e disegni, e in alcuni casi anche i reperti –. I pallini fanno riferimento a determinati areali di distribuzione. In ogni caso i simboli convenzionali utilizzati non sono numerosi. L’estensione del territorio preso in esame è quello della città antica, quindi è rappresentata la cartografia che descrive il territorio antico, mantenendo così un taglio archeologico. LA CARTA ARCHEOLOGICA D’ITALIA: A differenza della Forma Italiae, la Carta Archeologica d’Italia mantiene un taglio più topografico; ciò si scorge da alcuni elementi:  Scala 1:100.000;  Non conta se l’estensione del territorio antico corrisponde al foglio della carta;  Simbologia complessa;  Schede schematiche con taglio topografico;  Ad ogni foglio corrisponde un fascicolo nel quale sono elencati i siti con i numeri e una breve descrizione. La Carta Archeologica d’Italia è utile per apprezzare un quadro di insieme o per avere un punto di partenza in una ricerca. CARTE ARCHEOLOGICHE REGIONALI: Una via di mezzo è costituita dalle Carte Archeologiche Regionali. Queste hanno scale di riduzione più analitiche rispetto alla Carta Archeologica d’Italia e schede meno dettagliate di quelle della Forma Italiae. I DATI ARCHEOLOGICI – Ricognizioni: Se si vogliono conoscere ulteriori dati oltre all’edito e all’inedito, ricercando personalmente elementi nuovi del territorio di interesse, è utile compiere alcune operazioni preliminari. Una di queste può essere la ricognizione di superficie, cioè l’analisi del suolo camminandoci sopra e guardando ciò che è visibile nel proprio raggio di azione. LE RICOGNIZIONI DI SUPERFICIE: Una tecnica abbasta diffusa per effettuare ricognizioni di superficie è quella che prevede squadre disposte a pettine con ricognitori posti a distanze prestabilite (fieldwalkers). Questo tipo di indagine può fornire dati sufficienti se posto in collegamento con altre circostanze. L’introduzione dell’agricoltura meccanizzata infatti ha determinato un’enorme diffusione dell’archeologia di ricognizione, ma la continua aratura non è sempre efficace: l’aratura ripetuta del sito provoca un degrado dello stesso e i frammenti presenti nell’area diventano sempre più piccoli e si spargono sempre di più. Questo è uno dei principali motivi per cui molti archeologi preferiscono non utilizzare più questo metodo di ricognizione. In effetti in ampie zone del nostro paese il paesaggio e i siti sono stati intaccati a tal punto che non avrebbe più senso utilizzare questo metodo; tuttavia, il sistema è comunque applicabile in alcune aree in cui l’agricoltura meccanizzata ancora non si è diffusa a sufficienza. Un esempio come questo aiuta a comprendere come dietro una ricognizione di superficie debba comunque esserci una riflessione e la scelta di una tecnica precisa. Si possono seguire approcci diversi alla ricognizione di superficie, arrivandoci con presupposti diversi: alcune scuole partono dalla ricognizione sfruttandola come elemento primario, mentre altre la utilizzano come strumento di controllo finale. Le ricognizioni di superficie sono collegate alla New Archaelogy, cioè all’idea di studiare il paesaggio attraverso metodi applicabili; è evidente che un approccio simile comporti una conoscenza degli oggetti dell’antichità in maniera concreta. Se si utilizza questo tipo di approccio, bisogna tenere in considerazione il fatto che ci sia una gerarchia tra le fonti; in questa scala gerarchica l’archeologia è la più importante. Resta il discorso astratto sul fatto che la ricognizione sia un metodo opportuno o meno; questo dibattito rimane però aperto perché non tutti i territori forniscono le stesse risposte a questo tipo di indagine (es. i risultati ottenuti in Emilia-Romagna non coincideranno con quelli ottenuti nelle campagne laziali). Per evitare questo problema, oggi molte università anglosassoni tendono a non limitarsi alle ricognizioni ma a puntare su altre tecnologie (es. fotografia aerea). Va anche ricordato, infine, che molti territori in cui sono state eseguite le ricognizioni di superficie (che talvolta hanno anche fornito dati importanti) ormai non si presentano più come quando erano stati indagati, per cui i risultati ottenuti in passato non hanno più senso perché i materiali sono ora più rarefatti e deformati. Nei luoghi in cui non sia possibile bloccare l’avvento incondizionato dell’agricoltura meccanizzata è utile cercare di documentare ciò che ormai resta dell’antichità. Bisogna tenere conto del fatto che nell’interazione tra Uomo e ambiente, l’ambiente fornisce più informazioni rispetto all’Uomo stesso. Quando si parla di ricognizione di superficie gli elementi fondamentali sono:  Intensità proporzionale all’ampiezza del contesto → l’intensità è l’energia che viene applicata nelle ricognizioni. La distanza fra i ricognitori è variabile: normalmente si procede scegliendo quello che sembra il giusto livello di intensità. Non si tratta di una scelta banale perché va ad incidere sui costi della ricerca e sul numero di persone coinvolte. L’intensità è quindi proporzionale all’ampiezza del contesto: se il contesto è molto ampio si può ad esempio utilizzare un’intensità standard che è possibile variare a seconda delle situazioni (es. nelle zone in cui diminuisce la visibilità si può aumentare l’intensità; nelle zone di interesse è utile aumentare l’intensità).  Minore distanza tra i ricognitori (maggiore intensità);  Problema della visibilità → la visibilità è determinata dalle condizioni del terreno ed è legata alla copertura (es. boschi e pascoli presentano una scarsa visibilità). È quindi necessario prestare attenzione e conoscere bene il territorio, senza lavorare in astratto.  Ricognizioni ripetute (aumento di intensità);  Campionatura → la prima cosa da fare quando si pianifica una ricognizione di superficie è individuare e campionare il sito da indagare. Le tecniche che si possono adottare sono diverse. Una di queste prevede la partenza con la ricognizione topografica da palmare segnalando le zone di interesse e poi tornare con un GPS topografico di precisione. Quando si fa ricognizione è importante avere con sé anche carte topografiche cartacee, sia nel caso in cui i mezzi tecnologici dovessero scaricarsi, sia perché usando la carta topografica percorrendo il territorio si finisce per conoscerlo. INDIVIDUAZIONE DEI SITI E RACCOLTA DEI REPERTI ENTRO QUADRETTATURA: I reperti, dopo essere stati localizzati, devono essere disposti all’interno di una quadrettatura. È infatti fondamentale saper collocare gli oggetti laddove sono stati trovati, proprio a causa della loro importanza in funzione del contesto di rinvenimento. Una volta effettuato il posizionamento dei reperti si effettua la quadrettatura e si scheda il sito. Cos’è il sito? In archeologia un sito si definisce sulla base della densità dei reperti rivenuti. Nei casi in cui si trovino pochi reperti in una determinata area, talmente pochi da non poterla classificare come “sito”, vanno comunque presi in considerazione in quanto sono indice di una presenza dell’uomo, anche se più rarefatta. Questa circostanza viene definita “rumore di fondo”. Vengono considerati “rumori di fondo” anche siti non facenti parte di un aggregato di strutture ed abitazioni. Nei casi in cui viene trovato un unico reperto, quest’ultimo viene definito “rinvenimento sporadico”, cioè “non-sito”. SCHEDATURA DI UN SITO: La schedatura avviene attraverso un modello già pronto (reperibile dal sito web ICCD). Spesso per ogni ricerca si crea un proprio modello personale, rischiando però di omettere dei dati importanti. Per questo motivo sul sito web ICCD è presente un elenco di voci indispensabili per costruire una scheda. È importante infatti che al momento della costruzione della scheda MODI venga limitato al massimo il numero di campi necessario per essere aderenti alle necessità progettuali del Committente non archeologo. In una scheda vanno inseriti i seguenti elementi:  Tipo di scheda;  Dati per la localizzazione;  Toponomastica (es. anagrafe di un luogo – comune, provincia, … –). In un sistema di schedatura le 2 cose coincidono e spesso vengono elaborati dei codici alfanumerici. Vanno poi aggiunti anche altri riferimenti, come ad esempio quelli bibliografici. Le schede di sito possono essere utili anche per schedare elementi che non sono più visibili in superficie. La necessità di preservare l’apparente omogeneità della documentazione archeologica comporta difficoltà nella classificazione delle emergenze (site, off site, non site):  Sito → area di concentrazione di reperti archeologici che spicca rispetto al paesaggio circostante;  Extra-sito → dispersione rarefatta di reperti su un’area ampia (non addensata in un sito ristretto) assimilabile ad un rumore di fondo (background noise);  Non sito → rinvenimento sporadico. TIPI DI RICOGNIZIONI (SURVEY): Se il survey è circoscritto rispetto alle risorse disponibili e se rispetto alle risorse il sito non è troppo esteso si possono effettuare ricognizioni sulla base della ricerca di una massima omogeneità. I dati ottenuti devono quindi essere omogenei, ottenibili con ricognizioni estensive svolte in maniera sistematica. Se invece il territorio è più esteso delle risorse a disposizione, è necessario compiere una scelta (fattibile sulla base delle fonti) che potrebbe in ogni caso essere soggetta a critiche. La ricerca non deve mai essere finalizzata: bisogna fare una selezione astratta e geometrica dell’area territoriale da analizzare e solo successivamente si estendono i dati a tutto il territorio. I principali tipi di ricognizioni sono:  Survey sistematico estensivo → Ricognizione estensiva di tutto il territorio senza alcuna forma di selezione (territorio non troppo ampio, grande disponibilità di tempo e di risorse). Vantaggi:  Non comporta la delimitazione di un contesto e mira alla conoscenza integrale del territorio esaminato;  Viene valorizzata la comprensione di un territorio ampio al cui interno si possono percepire meglio anche i resti delle infrastrutture (es. viabilità, centuriazione) e non solo i siti. Svantaggi:  I dati raccolti vengono comunque utilizzati per ricostruire modelli del popolamento, rischiosi se non si tiene conto dell’incompletezza dei dati archeologici e della geografia fisica.  Viabilità e centuriazione si studiano sulle rappresentazioni del territorio (specialmente sulla cartografia storica), tenendo conto della geografia fisica (geomorfologia) e non sul terreno. IMMAGINI MULTISPETTRALI: Oltre alle fotografie vi è anche il mondo del multispettrale, ma non è detto che le 2 cose debbano essere separate, possono essere usate anche insieme. Le immagini multispettrali permettono l’analisi di un territorio confrontando le risposte a diversi intervalli di lunghezza d’onda, ciascuno dei quali può dare risposte diverse e un certo tipo di onda elettromagnetica può caratterizzare uno specifico corpo (firma spettrale). Si può infatti pensare che la diversa risposta della superficie possa essere legata alla presenza o meno di oggetti sepolti, per cui si cerca di confrontare la lunghezza d’onda con ciò che si trova sottoterra (firma spettrale). Un territorio può dare risposte differenti in momenti diversi e per questo è importante osservare immagini multispettrale e multitemporali (immagini a diversa lunghezza d’onda in momenti diversi). Si possono poi usare enfatizzazioni a falsi colori, cioè enfatizzando le risposte con diversi colori possono essere evidenziate delle anomalie. Normalmente questo tipo di operazione, in particolare l’infrarosso termico, è poco usato in archeologia perché può servire ad evidenziare zone umide dovute alla presenza di strutture che trattengono l’acqua indipendentemente dal fatto che queste siano archeologiche. SATELLITI: I satelliti sfruttano l’energia elettromagnetica emessa dal sole; infatti, il sole emette energia elettromagnetica e la superficie terrestre ne viene attraversata, la assorbe e la riflette sul sensore. Dal sensore non viene captata solo l’energia solare ma anche le radiazioni riflesse prodotte dai radar. Il telerilevamento cerca di capire di quale tipo di radiazione di tratti in base al tipo di riflesso ottenuto; in sostanza studia il rapporto tra quantità e qualità dell’energia riflessa e natura delle superfici. I satelliti non scattano foto. Una serie di sensori emette onde riflesse dalla superficie terrestre; la superficie colpita produce un’alterazione registrata da un software che rielabora immagini chiamate “fotografie satellitari”. Si possono distinguere diverse tipologie di satelliti:  Satelliti scientifici → utilizzati per pure ricerca;  Satelliti applicativi → militari, commerciali civili e per le telecomunicazioni. Di questo gruppo fanno parte anche i satelliti per il telerilevamento. I satelliti per il telerilevamento sono muniti di strumentazione passiva (telecamere) e attiva (radar). Non sono geostazionari e si spostano lungo orbite inclinate ad altitudini basse o medie coprendo così l’intera superficie terrestre in un certo numero di orbite intorno alla Terra (risoluzione temporale). I primi usati a fini cartografici sono stati i Landsat, seguiti da IKONOS, GeoEye-1 e QuickBird. Più recentemente sono stati creati WorldView-1, WorldView-2 e COSMO-SkyMed. IMMAGINI OTTICHE CORONA: Le immagini ottiche corona costituiscono le prime fasi dell’utilizzo delle immagini satellitari a livello archeologico. Il loro progetto fu promosso da Eisenhower nel 1958 durante la Guerra Fredda per colmare il divario con l’Unione Sovietica (che aveva già messo in orbita il primo satellite Sputnik 1 nel 1957) e rimase attivo dal 1960 al 1972. Questo progetto ha prodotto 800.000 foto ottiche stereoscopiche pancromatiche con una risoluzione finale di 2-3 m al suolo, sviluppate da pellicole lanciate periodicamente in una capsula e decodificate dalla CIA. Le prime immagini presentavano una sfocatura sui bordi causata da cariche elettrostatiche (effetto corona). Nel 1995 Clinton declassificò 610 km di pellicole che testimoniano il territorio prima del grande sviluppo edilizio degli anni seguenti. IMMAGINI MULTISPETTRALI LANDSAT: Il passo successivo è quello delle immagini multispettrali. I Satelliti Landsat superano le immagini ottiche con sensori multispettrali che producono immagini digitali con risoluzione geometrica al suolo di 30 cm. Dal 1999 sono disponibili immagini Landsat-7 con immagini di 185 x 185 km a risoluzione 15 m e banda pancromatica che include il visibile e copra fino all’infrarosso vicino. Dal 2013 vengono prodotte immagini Landsat-8. Si tratta di immagini che possono essere parzialmente comprate. IKONOS, QUICKBIRD, WORLDVIEW, GEOEYE:  Dal 2000 sono disponibili le immagini IKONOS con una risoluzione tra 1 e 4 m. Può offrire sia immagini in pancromatico sia in multispettrale.  Nel 2001 è stato lanciato QuickBird con pancromatico a 60-70 cm e multispettrale a 2-3 cm.  Nel 2007 è stato lanciato WorldView-1 con immagini stereoscopiche a 50 cm utili per DEM.  Nel 2008 è stato lanciato GeoEye-1 e nel 2013 GeoEye-2, satelliti commerciali con immagini pancromatiche a 41 cm e multispettrali commerciali con immagini pancromatiche a 41 cm e multispettrali a 1,65 m (solo per Governo USA) mentre la risoluzione commerciale è 60 cm. IL SISTEMA SRTM: Esiste poi il mondo delle immagini prodotte dallo Shuttle nel corso di una missione, che è in grado di restituire una scansione dell’intera superficie terrestre utilizzabile anche in campo archeologico. Lo Shuttle Radar Topography Mission è un sensore Radar attivo che attraversa l’atmosfera e le nuvole ma presenta anche un coefficiente di penetrazione della copertura vegetale e può esaltare la morfologia del territorio. Promosso dalla NASA negli 11 giorni del 2000 di missione dello Space Shuttle Endeavur ha prodotto il più completo rilievo digitale del mondo. IL L.I.D.A.R.: Il L.I.D.A.R. è una via di mezzo tra il mondo dei satelliti e le foto che si possono scattare da velivoli a basso raggio. Si tratta di un Sensore Aviotrasportato con Laser Scanner 3D (Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging) che usa onde ultraviolette nel visibile o vicino infrarosso, permettendo di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie utilizzando un impulso laser. Come per il radar, che al posto della luce utilizza onde radio, la distanza dell’oggetto è determinata misurando il tempo trascorso fra l’emissione dell’impulso e la ricezione del segnale retrodiffuso. La sorgente di un sistema LIDAR è un laser, ovvero un fascio coerente di luce a una precisa lunghezza d’onda, inviato verso il sistema da osservare. Uno dei vantaggi del L.I.D.A.R. è che, a differenza delle foto aeree, la scansione riesce a penetrare anche le zone con maggiore vegetazione ed è utile perché permette di rilevare eventuali tracce di persistenza di qualcosa presente sotto la superficie. Questo sistema non è molto utilizzato in Italia per 2 motivi principali:  L’archeologia pratica utilizzata in Italia non lascia molto spazio alla riflessione teorica;  Problema legato ai finanziamenti e scetticismo nei confronti di certi mezzi scientifici. A questi 2 problemi si aggiunge il fatto che fino al 2000 in Italia non si potessero fare foto aeree, mentre in Inghilterra si lavora a questi strumenti da anni. L’Inghilterra infatti è meno propensa alle ricognizioni di superficie sia per questioni storiche che per il tipo di strutture presenti sul territorio: si tratta di terreni e tipi di emergente archeologiche composte da materiali poveri. Per tali motivi nei progetti di archeologia del paesaggio anglosassoni il L.I.D.A.R. è un sistema molto utilizzato. ARCHEOLOGIA E AEROFOTOGRAFIA: Nel 1899 Giacomo Boni inizia una collaborazione con la Brigata Specialisti del Genio Militare per scattare foto nel Foro Romano (1900), a Pompei (1910) e a Venezia (1913). I Conflitti Mondiali, tuttavia, provocarono una stasi della ricerca archeologica in Italia ma determinarono anche un forte sviluppo delle fotografie aeree per scopi militari e, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, si creano archivi imponenti che poi saranno alla base della ripresa dell’interesse anche da parte degli archeologi. Questi grandi repertori hanno aperto la strada non tanto all’utilizzo di foto aeree per l’archeologia, ma allo studio e all’analisi del repertorio fotografico ottenuto per studi bellici. I principali repertori di fotografia aerea sono:  IGM → fornisce una copertura nazione con foto aeree verticali (23 x 23) scattate tra le 2 Guerre. Preziose per l’archeologia le foto del periodo della Seconda guerra mondiale con lastre di vetro (13 x 18) e pellicole (33 x 33). Fondamentale è il volo base storico del 1954-1955;  Aerofototeca → nata nel 1958 diretta da Dinu Adamasteanu, dal 1973 parte dell’Istituto Centrale Per il Catalogo. Contiene collezioni importanti come quella RAF depositata dal 1974 dalla BSR;  Archivi locali (regionali, provinciali, comunali);  Archivi enti pubblici (A.N.A.S.);  Società private (Compagnia Generale Riprese Aeree di Parma);  Enti di ricerca (CNR Roma, Università di Lecce – l’Università di Lecce è dotata di uno tra i più importanti laboratori di archeologia –). L’aerofotografia si lega all’Università di Bologna al momento della scoperta di Spina: dal 1956, infatti, Nereo Alfieri e Vitale Valvassori iniziarono a volare su delta del Po per individuare la città di Spina. Il vero e proprio sviluppo dell’aerofotografia in Italia si ha a partire dal 2000. Fino a quel momento, infatti, non era consentito effettuare riprese aeree ma poi il DPR del 29 settembre 2000 n. 367 permise la possibilità di effettuare foto aeree, rilanciando così la ricerca archeologica. LA FOTOGRAFIA AEREA: Si definisce “fotografia aerea” qualunque fotografia scattata dall’alto da un apparecchio di ripresa senza contatto con il suolo. La fotografia aerea è uno strumento utile per rilevare caratteristiche del terreno non facilmente percepibili al livello del suolo. Si tratta di una tecnica che permette di documentare i risultati della ricognizione aerea. La fotografia aerea può avere molteplici applicazioni archeologiche:  Ricerca di nuove emergenze;  Documentazione e presentazione di siti archeologici;  Restituzione grafica;  Conservazione dei siti archeologici;  Monitoraggio per motivi di tutela → in Italia i Carabinieri hanno un corpo addetto a monitorare la tutela dei beni culturali e fanno campagne di monitoraggio sia a fine archeologico che ambientale, controllando il territorio soprattutto per mezzo di elicotteri. Le finalità della ricerca sono quindi varie, così come diverse sono le applicazioni che questa può avere; per tali motivi la fotografia aerea dovrebbe andare di pari passo con le ricognizioni di superficie. Le fotografie aeree si classificano in 2 tipologie:  Fotografie aeree verticali → sono scattate mantenendo l’asse della macchina fotografica perpendicolare al piano del terreno e vengono acquisite con strumentazioni sofisticate e velivoli specializzati. Devono avere un sistema di copertura ben preciso, con piano di volo con blocchi di strisciate (strip, run) con overlap longitudinale del 60% e laterale del 20-30%. Vengono di norma utilizzate per fare cartografia e si classificano come tale quando hanno una tolleranza di 5° rispetto al terreno; perché queste possano essere utilizzate in cartografia è necessario che ci sia una sovrapposizione longitudinale e laterale. La lettura e l’interpretazione può essere fatta anche con stereoscopio da tasca e da tavolo. Vantaggi:  Copertura totale della superficie di terreno visibile;  Scala uniforme in tutto il fotogramma;  Permette la visione tridimensionale;  Consente la restituzione cartografica Svantaggi:  Presenza casuale di evidenze archeologiche;  L’acquisizione necessita di aerei adatti, camere fotografiche calibrate e velocità e altezza di volo prescritte e costanti;  Difficile e costosa per scopi puramente archeologici;  Non sempre nei periodi migliori dell’anno;  Non sempre nelle ore migliori del giorno.  Fotografie aeree oblique → sono scattate con una marcata angolazione del piano della pellicola (da 5° a 85°) rispetto al piano del terreno e vengono acquisite in volo direttamente dall’archeologo. Necessitano dell’utilizzo di aerei da turismo e una strumentazione fotografica elementare. Vantaggi:  Nasce dalla combinazione: archeologo + aereo + momento giusto;  Ideale per l’esplorazione archeologica;  Facile ed economica da organizzare;  Non richiede aerei specializzati;  Non richiede apparecchiature fotografiche specializzate. Svantaggi:  Documentazione parziale;  Acquisizione selettiva delle evidenze. LE TRACCE NELLA RICERCA FOTOGRAFICA AEREA: Durante la ricerca archeologica aerofotografica possono rilevarsi diverse tipologie di tracce:  Cropmarks → sono variazioni di colore e crescita delle colture agricole dovute alla presenza di elementi archeologici nel sottosuolo. Possono essere:  Positivi = colture più rigogliose sul suolo umido e ricco di humus di fossati o buche. Sono anomalie verdi in fase di maturazione tendenti al giallo;  Negativi = crescita stentata e maturazione prematura sul suolo sottile al di sopra di strutture impermeabili. Sono anomalie gialle nelle colture ancora verdi. La differenza di crescita si accentua con la luce radente ed entrano in gioco non solo le stagioni, ma anche gli orari del giorno in cui si cerca di individuare le anomalie.  Soilmarks → sono variazioni di colore sul suolo nudo per la diversa composizione del terreno, che incidono sulla tessitura, sulla capacità di trattenere o rilasciare umidità, sulla riflessione della luce.  Earthworks → sono tracce da microrilievo che possono essere causate dalla presenza nel sottosuolo di elementi di natura antropica (es. fossati, terrapieni, cave, strutture). Il fenomeno viene enfatizzato nelle giuste condizioni di luce radente o di neve, ghiaccio o brina (shadowmarks). Per questo i periodi più adatti alla visibilità di tali tracce sono quelli invernali. Nei siti orientali lo stesso risultato si può ottenere anche con la sabbia.  Tracce da sopravvivenza → gli elementi dal paesaggio moderno talvolta ricalcano scelte passate e gli elementi archeologi per la sopravvivenza, totale o parziale, della loro funzione. Si tratta quindi di persistenze, ovvero strutture presenti oggi costruite su quelle antiche e che per questo ne ricalcano e rivelano la forma (es. anfiteatro di Firenze; tessuto urbano di Napoli; anfiteatro di Lucca). A volte queste tracce possono non essere presenti in superficie, ma al di sotto di essa (es. Atri – città abruzzese – nella quale Azzena, un topografo, si accorse che la sopravvivenza delle strutture di età romana era visibile dalle planimetrie delle cantine). Spesso le tracce da persistenza non indicano delle persistenze vere e proprie: nel caso di una centuriazione, ad esempio, può trattarsi di una rigenerazione di strutture presenti nello stesso luogo. La centuriazione è un’infrastruttura che non funziona da sola e che resta in funzione solo quando ha un senso; in molti casi viene rigenerata con l’inizio del Medioevo, non tanto per dividere dal punto di vista catastale le proprietà, ma funziona dal punto di vista del drenaggio per sistemare dei canali. Nelle aree di fondo valle il fenomeno di deposito continua anche dopo l’età romana e grossi tratti della centuriazione finiscono sottoterra, ma quando si provvede alla rimessa a coltura le parti alte della valle sono rimaste in uso, si riconnettono i canali e viene ripreso quello romano ad un’altezza maggiore. LE PROSPEZIONI GEOFISICHE: Consistono in una ricognizione del sottosuolo misurando le variazioni di alcune proprietà fisiche dei suoli e delle rocce sulla superficie terrestre (anomalie). Tramite questo studio si può ricostruire la natura, le dimensioni e la profondità delle formazioni sepolte. Si tratta di un altro livello di studio del paesaggio che mira, come altri, a cercare anomalie. Tali anomalie non sono visibili, ma dipendono da differenze di misure fisiche. I terreni hanno proprietà fisiche che possono essere misurate: la misura di queste proprietà può evidenziare delle discontinuità, ovvero delle differenze di misura dette “anomalie”. La presenza di tali anomalie può essere legata all’esistenza di resti situati sotto di esse. Ciò che viene analizzato sono delle linee individuate attraverso misure eseguite percorrendo, ad esempio, un campo. Tutti i metodi di prospezione geofisica si basano sulla valutazione di contrasti tra le proprietà fisiche dei resti archeologici sepolti e quelle del terreno circostante. L’efficacia dipende dall’entità del contrasto dei corrispondenti parametri fisici: il metodo è più efficace se c’è molto contrasto, più questo è forte più è probabile che funzioni. Ciascun metodo geofisico è sensibile al contrasto in particolari parametri fisici (es. densità, suscettività magnetica, resistività, costante dialettica, costanti elastiche) dell’oggetto da investigare rispetto all’ambiente circostante. È possibile quindi che all’interno di certe misure fisiche il contrasto sia più evidente mentre in altre meno visibile; per questo motivo i risultati migliori si ottengono dall’integrazione di metodologie diverse. Anche nel settore costiero c’è la ricerca di zone alte, al riparo da fenomeni di dissesto. Vengono in particolare ricercati i cd. cordoni litoranei, zone di insediamento delle popolazioni (es. zone adriatiche). Queste aeree sono particolarmente adatte all’insediamento perché prossime alla foce, tra il fiume e il mare. Esempio:  Senigallia → Sena Gallica (284 a.C.) sorge su alto morfologico in una zona endolagunare. L’ORGANIZZAZIONE DEI DATI: DALLA CARTA ARCHEOLOGICA ALLA CARTA DEL “POTENZIALE ARCHEOLOGICO”: La carta archeologica si limita a segnalare l’esistente, registrando ciò che è già noto perché e stato trovato. Nella pianificazione territoriale c’è però bisogno anche di carte di previsione, utili per evitare di collocare nuovi insediamenti in aree che si rivelano poi di interesse archeologico. Le carte di previsione sono anche dette “carte del potenziale archeologico”. Queste si basano fondamentalmente sulla capacità predittiva di chi le redige; infatti, anche se è in un determinato territorio non sono state trovate tracce, a parità di condizioni con situazioni simili in cui sono stati rinvenuti materiali, è possibile che si trovi qualcosa di interessante. LA CARTA DEL RISCHIO ARCHEOLOGICO: Disegnare la carta del rischio archeologico significa individuare quelle aree che pur non avendo per ora restituito materiali sulla base di una serie di considerazioni sono suscettibili di essere state insediate in antico. Perciò è necessario procedere ad una lettura integrata del territorio, vale a dire storico-topografica e geomorfologica. IL CONTESTO STRATIGRAFICO: “L’archeologo cerca di ricostruire il sentiero percorso dagli uomini del passato riconoscendo le tracce materiali della loro esistenza.” (Daniele Manarcorda, cit. March Bloch). Il contesto stratigrafico è un deposito in continua evoluzione creato dall’azione separata o combinata dell’Uomo e della natura. Questo deposito viene creato tramite:  Azioni positive → accumulo (US+);  Azioni negative → sottrazione (US-). Un caso che potrebbe spiegare questa circostanza è quello dei depositi alluvionali, creati quindi da un’azione naturale sia di accumulo (US+) che di sottrazione (US-). Esempio:  Alaska (foto su slide) → si vedono fasi di deposito con barre fluviali e di meandro e di erosione con canali intrecciati e meandri in un paesaggio fluviale privo di vegetazione. IL CONTESTO STRATIGRAFICO ANTROPICO: La stratigrafia non è fatta solo di terra, ma anche di mura (USM = Unità Stratigrafiche Murarie). Esistono poi dei contesti stratigrafici intermedi, sorti da un’azione più complessa frutto di processi naturali e antropici. Esempio:  Miralbello, Suasa → Miralbello si trova su un deposito fluviale che ha creato il pianoro. Su tale pianoro venne costruito l’abitato dell’Età del Ferro; i bordi del pianoro vennero poi tagliati non solo dal fiume, ma anche dall’Uomo allo scopo di creare un fossato.  Wimakariri River, Nuova Zelanda → la foto mostra il Wimakariri River con la Christ Church sullo sfondo. Si osserva una pianura alluvionale antropizzata ai lati generata dal fiume centrale. I depositi naturali, quindi, si combinano con cause di natura antropica. I CONTESTI ARCHEOLOGICI: I contesti archeologici possono essere classificati in 2 tipologie:  Contesti archeologici chiusi → è un contesto privo di disturbi secondari che possano comprometterne l’integrità. Esempio:  Tomba 22, Phoinike = una tomba, se non è mai stata riaperta, è considerabile un contesto archeologico chiuso. Tuttavia, non è conveniente determinare la cronologia di una tomba sulla base dei reperti rinvenuti al suo interno, ma è consigliabile scavarla in maniera accurata.  Nave, Fiume Stella, Friuli-Venezia Giulia = contesti archeologici chiusi per eccellenza sono i relitti rinvenuti in mare.  Pompei ed Ercolano.  Contesti archeologici aperti → è un contesto in cui sono presenti disturbi attribuibili ad un periodo successivo alla sua formazione. Esempio:  Discariche = sono luoghi in cui per molto tempo vengono gettati oggetti (es. anfore). Un elemento in cantiere che può aiutare nella datazione è il crollo (giacitura primaria). I crolli sono importanti perché, qualora vengano ritrovati materiali (talvolta anche interi), è possibile comprendere se ci sia stato un abbandono improvviso o graduale.  Abbandono improvviso → può avvenire, ad esempio, a seguito di un evento catastrofico. Non si nota una selezione dei materiali e per questo motivo può essere rinvenuto qualunque tipo di reperto, compresi gli oggetti preziosi;  Abbandono graduale → si nota una selezione di materiali, vengono ritrovati elementi di scarso valore ed eventualmente spoliazioni. Durante un crollo i materiali non cadono tutti nello stesso momento, ma si tratta di un’operazione graduale. Capire le dinamiche di un crollo (es. di un tetto) aiuta a comprendere quali strutture sono cadute; se un edificio è stato abbandonato è possibile che sia visibile l’intervento dell’Uomo nel tentativo di recuperare, ad esempio, i materali. I crolli dei tetti (e dei pavimenti) sono importanti anche perché forniscono una cronologia precisa. La spoliazione di un edificio potrebbe non permettere il riconoscimento delle planimetrie, pertanto sono le fosse di spoliazione e i resti a fornirci informazioni in proposito. È importante anche imparare a riconoscere tracce di muri realizzati con materiali non sempre presi in considerazione (es. muri costruiti con terra – molto diffusi in antico –, muri in argilla cruda). Quando durante uno scavo si rinviene uno strato argilloso o terroso e quando l’argilla cruda è interrata, è importante saper riconoscere se si tratti di un muro o di una fossa di spoliazione, elementi che talvolta possono essere confusi nonostante l’eventuale presenza di intonaco. NB. Un muro di argilla normalmente si riconosce perché costituisce uno strato di scioglimento di argilla abbastanza pulita. Si definisce “giacitura secondaria” quasi tutto ciò che viene rinvenuto nei vari strati. In uno strato di norma si riconoscono 3 tipologie di reperti:  Reperti caratteristici di quello strato;  Reperti residuali → residui della fase precedente;  Residui infiltrati → residui più recenti (molto importanti). LA FORMAZIONE DEL DEPOSITO STRATIGRAFICO: Un deposito stratigrafico si compone di diversi livelli: 1. Interro superficiale → sono i livelli più superficiali, quelli della campagna attuale, composti quindi da humus o coltivo/arativo, o il piano d’uso attuale in un centro a continuità di vita; 2. Crollo/distruzione → si trova sotto l’interro superficiale. È quindi prevalentemente composto da travi e copertura, intonaco, muratura, sequenze di intonaco e di tetto; 3. Abbandono → è la fase di abbandono che stratigraficamente si trova sotto al crollo, a meno che questo non sia stato repentino. Sono gli strati che sigillano le fasi di vita di un sito. Possono esserci concause ambientali (alluvioni). Si dividono in:  Abbandono per eventi improvvisi = reperti numerosi e poco selezionati (es. Ercolano);  Abbandono graduale = pochi reperti di scarso valore, eventuali spoliazioni. 4. Frequentazione sporadica → prima dell’abbandono c’è l’ultima frequentazione sporadica. Si troveranno quindi focolari, bivacchi e riparti momentanei approntati con materiale di riuso. Saranno anche presenti ambienti riutilizzati come magazzini per l’accumulo di materiale spogliato in vita del reimpiego. Saranno visibili la pulizia dei percorsi con un accumulo di materiale ai lati e la creazione di scorciatoie anche con asportazioni di strutture. 5. Spogliazioni e sbancamenti → insieme agli strati di frequentazione sporadica si possono trovare tracce di:  Spogliazioni → si tratta di asportazioni eseguite in base a criteri di economia. Sono visibili una rasatura degli elevati sino al p.d.c. (piano di calpestio) e fosse di spogliazioni sino alle fondazioni, con un andamento che segue quello della planimetria;  Sbancamenti → ampie asportazioni areali che lasciano solo lacune. Si possono intercettare i tagli sui margini verticali. 6. Strati di frequentazione → al di sotto dei livelli precedenti si trovano gli strati di vita dell’edificio e quindi gli strati di frequentazione del sito. Si possono rinvenire edifici, focolari, scarichi di rifiuto, pozzi neri, buche/accumuli, fosse agricole e dark layers, recinti per animali e tombe. 7. Livelli geologici (terreno vergine) → è il livello più profondo, il terreno mai calpestato dall’Uomo. LA RICOSTRUZIONE DELLE AZIONI: Prima di rimuovere uno strato è necessario comprendere e ricostruire la sequenza di azioni che li ha interessati. Tendenzialmente la sequenza è: 1. Piano di campagna attuale; 2. Azione umana di asporto di materiale → scavo di 2 fosse di fondazione (UUSS-); 3. Azioni umane di accumulo di materiale → muri con fondazioni costruiti nelle fosse che vengono riempite e il terreno livellato; vengono costruiti il pavimento e il tetto (UUSS+); 4. Evento naturale → crollo dell’edificio con materiale edilizio che si accumula al suolo (UUSS+); 5. Deposito alluvionale (US+). Ogni evento e ogni azione intaccano, alterano o obliterano i depositi stratigrafici precedenti. I momenti di equilibrio nella formazione del deposito stratigrafico normalmente rappresentano una fase. L’archeologo ricostruisce la sequenza delle azioni procedendo a ritroso nella rimozione degli strati. Lo scavo stratigrafico è il procedimento mediante il quale i depositi archeologici vengono rimossi seguendo le loro stesse forme, con i loro contorni o rilievi individuali. IL RICONOSCIMENTO DEGLI STRATI: Per riconoscere gli strati si può utilizzare un metodo induttivo, basandosi sull’analisi del colore, della consistenza e della composizione del terreno (regola delle “3 C”). Questo metodo permette di individuare uno strato e la comprensione del suo modo di formazione permette di interpretarlo. Esempio:  Livello rubefatto, compatto, composto da terreno argilloso concottato con frustuli carboniosi e lenti di cenere può essere dovuto alla ripetuta esposizione del suolo al fuoco e si interpreta come focolare o forno. Sempre ai fini del riconoscimento è anche possibile utilizzare un metodo deduttivo; ad esempio la traccia della spogliazione di una soglia comporta la presenza di un muro. Esempio:  Il crollo di un tetto comporta la presenza di un livello di calpestio sul quale insiste necessariamente il crollo e comporta la presenza di strutture che sostenessero la copertura. Per comprendere la disposizione degli strati e i rapporti stratigrafici che intercorrono tra essi, talvolta è utile utilizzare il metodo del Matrix messo a punto da Harris: si tratta di un diagramma disegnato da un archeologo che aiuta a comprendere la disposizione degli strati. Negli ultimi anni questi schemi non vengono più utilizzati perché i rapporti vengono digitalizzati da un programma. LA SCHEDA DI US DELL’ICCD: Una volta individuato uno strato, i dati devono essere inseriti all’interno di una scheda US (scheda di Unità Stratigrafica). La scheda US è molto analitica e poco adatta al lavoro sul campo. Molti campi possono essere infatti compilati sono dopo lo studio dell’intero contesto. La scheda è composta da una prima parte anagrafica, un riferimento agli altri elaborati in cui si trova ciò che si sta scavando, e una descrizione. Ad esclusione del campo dedicato alla descrizione, nel resto della scheda va utilizzato un vocabolario predefinito. La parte più importante di tutta la scheda è quella riguardante i rapporti stratigrafici. L’ultima parte della scheda è quella dedicata all’interpretazione. Molti progetti elaborano schede proprie più funzionali, mantenendo omogeneità solo sui campi principali. LO SCAVO ARCHEOLOGICO – METODI E STRATEGIE: Nell’ambito di uno scavo archeologico si devono definire:  Metodo → è la procedura di scavo; può essere arbitrario o stratigrafico;  Strategia → è il modo di condurre lo scavo; può avvalersi di trincee, quadrati e grandi aree. Metodo e strategia sono indipendenti: una data strategia non implica un metodo e un metodo può essere usato nell’ambito di diverse strategie. STRATEGIE DI SCAVO: Non è detto che ad ogni caso possano essere applicate nel modo corretto tutte le strategie:  Scavo per trincea → viene utilizzato per accertare la stratigrafia prima di cominciare con lo scavo estensivo allo scopo di ridurre tempi e costi. Privilegia l’analisi stratigrafica verticale e viene usato anche per motivi pratici (es. durante la realizzazione di condotti si fa una trincea, se si intercetta qualcosa gli scavi possono essere ampliati);  Scavo stratigrafico → si comincia ad affermare negli anni ’30 del ‘900; a partire da questo periodo, infatti, strati e interfacce vengono trattati come oggetti distinti e i manufatti vengono assegnati agli strati. Tra gli anni ’60 e ’70 si giunge alla sistematizzazione ad opera di Harris e vengono redatti i manuali principali. Il concetto che sta alla base dello scavo è quello di individuare gli strati e rimuoverli secondo il loro andamento, riconoscendo l’interfaccia (quando si passa da uno strato all’altro) ed interpretando il reperto in base al contesto del suo strato di rinvenimento. In quest’ottica si accetta anche il fatto che la forma dei manufatti cambi nel tempo e che la stratigrafia rispetti il cambiamento. A questa idea si collegano i principi della stratigrafia:  Principio di sovrapposizione → le US superiori sono più recenti di quelle inferiori;  Principio di orizzontalità originaria → ogni deposito archeologico non consolidato tenderà a disporsi in modo orizzontale;  Principio di continuità originaria → ogni strato ha la stessa età lungo tutto il suo sviluppo;  Principio di successione faunistica → gli strati possono essere datati sulla base dei fossili che contengono. Ciò comporta che gli strati spostati o capovolti sono datati piuttosto dai fossili che racchiudono che dalla loro sovrapposizione nella stratificazione;  Principio di successione stratigrafica (aggiunto da Harris 1979) → ogni unità stratigrafica si posiziona nella sequenza stratigrafica tra lo strato che la ricopre immediatamente e quello su cui poggia direttamente, essendo gli altri rapporti ridondanti.  Scavo per quadrati → cerca di soddisfare la necessità di analisi sia verticale sia orizzontale, conservando risparmi di terreno (testimoni) che infine possono anche essere rimossi. Può essere applicato sia come una sorta di trincea che in maniera areale. Viene anche detto “Metodo Wheeler”, perché venne sviluppato da Mortimer Wheeler. Elemento essenziale è la sezione, dove vengono numerati progressivamente a partire dall’alto tutti gli strati correlati tra loro in tutto il sito attraverso i loro profili verticali. La tecnica fu messa a punto da Mortimer e Tessa Wheeler a Verulamium negli anni ’30 del ‘900. A Maiden Castle (1934) Wheeler affinò il metodo espresso in Archaeology from the Earth (1954) eseguendo il 1° scavo stratigrafico. Negli scavi di Gerico Kathleen Kenyon (Beginning in Archaeology 1961) perfezionò la tecnica di scavo per quadrati utilizzando il metodo stratigrafico: DOCUMENTARE LA POSIZIONE: Documentare la posizione è uno dei passaggi principali e si compone di diverse operazioni: 1. Localizzare → la localizzazione è il 1° passo necessario e indispensabile; può avvenire per vari gradi di approssimazione e con diverse tecniche; 2. Posizionare → inserire il sito all’interno di un contesto topografico locale anche solo con metodi tradizionali; 3. Georeferire → posizionare il contesto in maniera più rigorosa possibile sul globo terrestre collocandolo all’interno di un preciso sistema di coordinate geografiche; 4. Cartografare → collocare i rinvenimenti sulla carta topografica proiettandoli in un determinato sistema cartografico; Il posizionamento topografico consiste nel determinare la posizione di un punto rispetto ad un sistema di riferimento noto. La triangolazione e l’intersezione in avanti sono i metodi utilizzati per costruire le reti di riferimento, per raffittirle e quindi anche per determinare la posizione di un punto rispetto a 2 vertici noti. INTRODUZIONE AL RILIEVO PER L’ARCHEOLOGIA: Nonostante il notevole apporto di metodologie innovative, il lavoro di documentazione che deve essere svolto quotidianamente da un archeologo può essere ancora oggi legato alle tecniche più tradizionali. Questo non significa che tante operazioni di rilevamento non vengano effettuate con l’ausilio di mezzi più moderni (es. stazione totale, fotogrammetria, GPS, laser scanner). Spesso le tecniche più adatte all’archeologia utilizzano metodi ibridi, che si avvalgono sia dei vecchi sia dei nuovi sistemi. Rilevare significa analizzare, sintetizzare e tradurre la realtà in geometria. ALCUNE CARATTERISTICHE DEL RILIEVO TOPOGRAFICO: Il rilievo topografico di un sito archeologico è un’operazione cognitiva che spesso comporta acquisizioni di dati utili alla comprensione non meno di quanto avvenga con lo scavo archeologico. Tuttavia, mentre lo scavo archeologico è un esperimento irripetibile e sopravvive solo nella documentazione, il risultato di un rilievo può generalmente essere verificato. Sarebbe opportuno procedere subito alla verifica della corrispondenza tra disegno e oggetto del rilievo. Il processo di analisi non può essere privo di soggettività; questo coefficiente di soggettività, legato alla cultura storica oltre che all’interpretazione dell’individuo, determina lo “stile”, perciò non può esistere mai una corrispondenza perfetta e univoca e tanti disegnatori produrranno tanti rilievi differenti di uno stesso edificio. La traduzione della realtà in un grafico comporta la scelta di un linguaggio tecnico determinato, che si avvale di tecniche per la riduzione geometrica e di rappresentazioni simboliche convenzionali. Di norma si adotta un sistema di rappresentazione della realtà simbolica (uso di simboli che possono essere spiegati in una legenda), convenzionale (utilizza convenzioni grafiche prestabilite) e ridotto (disegnato più piccolo del vero in base ad una scala di riduzione espressa in cifre o graficamente). Il sistema di rappresentazione normalmente utilizzato per elaborare i rilievi topografici è quello della geometria descrittiva (es. proiezioni ortogonali prodotte per raggi paralleli). A disposizione dei topografi ci sono strumenti sempre più sofisticati e automatizzati, che prescindono dall’intervento dell’uomo almeno nella fase di acquisizione delle misure. Questi strumenti (es. scanner tridimensionali) puntano a riprodurre la realtà con la massima esattezza e quindi si differenziano dai disegni tradizionali perché non sono soggetti allo stile dell’autore o alla tendenza, insita in ciascuno, a riprodurre secondo schemi personali. Il disegno computerizzato permette di utilizzare una “tavola da disegno” virtuale e di disegnare direttamente in maniera tridimensionale. LA SCALA DI RIDUZIONE: Le strutture e gli strati archeologici vengono sempre disegnati sulla carta ad una grandezza inferiore rispetto al reale. Questo significa che le misure dell’oggetto non sono utilizzabili direttamente, ma devono essere ridotte in base ad un coefficiente: la scala di riduzione. Essa è espressa con un rapporto numerico nel quale il 1° numero (numeratore) corrisponde all’unità di misura nella realtà, mentre il 2° (denominatore) indica quante volte l’unita di misura reale deve essere divisa per ottenere la misura della scala utilizzata dal disegno. La scelta della scala di riduzione è preliminare alla stesura del disegno e può essere condizionata da variabili molto diverse (es. grandezza dell’oggetto, dimensioni del foglio, scopo del rilievo). La scala è il rapporto di riduzione tra la lunghezza misurata sulla rappresentazione e la lunghezza isurata sul terreno. Esistono alcuni problemi ricorrenti legati alla scala di riduzione. Le scale più utilizzate sono normalmente le seguenti:  1:1 → oggetti piccoli, apografi, dettagli della decorazione architettonica, pittorica o musiva, campionatura della tecnica edilizia;  1:10 → frammenti architettonici, epigrafi, sepolture, scheletri, piante e sezioni particolari;  1:20 → standard della documentazione di ambienti piccoli e medi, strutture, piante e sezioni di strati;  1:50 → ambienti, porzioni di edifici, aree di scavo, planimetrie e sezioni generali di edifici e aree di scavo;  1:100 → complessi edilizi;  1:500 → aree urbane, settori di abitato, piccole porzioni di territorio;  1:1000 – 5000 → inquadramento topografico di abitati e porzioni di territorio, piante di centri urbani e mappe delle campagne;  1:10.000 – 100.000 → carte topografiche;  1:1.000.000 → carte geografiche. La scelta della scala condiziona il rilievo. Il grado di dettaglio della caratterizzazione, il livello di raffinatezza delle misure e gli strumenti da utilizzare dipendono dalla scala prescelta. Quando si disegna è buona norma riportare sul foglio, oltre alla scala espressa in numeri, anche la scala grafica, ossia un segmento graduato che indichi la riproduzione in scala dell’unità di misura, con l’indicazione scritta della sua lunghezza corrispondente nella realtà normalmente sul segmento in questione vengono riportate anche le misure intermedie. Questo accorgimento permette di evitare numerosi problemi che potrebbero derivare da una scorretta archiviazione del disegno stesso. I LIMITI DEL RILIEVO: GLI ERRORI E LA TOLLERANZA: Per quanto riguarda l’accuratezza delle misure, ogni topografo deve fare i conti con un inevitabile margine di errore che, entro certi limiti, deve essere accettato. Questi limiti di precisione sono soprattutto conseguenza della scelta della scala di riduzione e degli strumenti di misura e di disegno; a ciò si aggiunge la componente umana. Il rilievo in archeologia è un rilievo tematico, ossia un rilievo topografico nel quale viene evidenziato il tema di carattere archeologico. Per questo motivo, la qualità di un disegno dipende dalla bontà delle misure ma anche dalla qualità dell’interpretazione archeologica. Mentre i limiti del rilievo dal punto di vista topografico (e quindi l’eventuale presenza di errori) possono essere definiti con maggiore chiarezza, la valutazione dell’aspetto archeologico, invece, è discrezionale. Di conseguenza possono essere utili ai fini archeologici anche disegni o tecniche di rilievo topograficamente poco precise ma archeologicamente molto significative. Gli errori possono essere divisi in 2 classi principali: 1. Errori di misura → ci si incorre quando si acquisiscono o si registrano le misure sul campo. È impossibile disporre di precisioni assolute, ma solo di maggiore o minore approssimazione. Normalmente si considera il valore che deriva dalla media aritmetica di una serie di misure ripetute con lo stesso strumento. Il margine di errore entro cui può essere accettata una misura viene definito tolleranza. La tolleranza è un valore noto, che varia a seconda del sistema di rilievo e della scala di riduzione e ci permette di stabilire entro quali limiti può essere accettato un errore di misura. 2. Errori grafici → subentrano al momento del disegno a causa dei limiti sia degli strumenti sia dell’occhio stesso. Essi derivano dai limiti degli strumenti da disegno. Questo margine di errore dovuto all’apprezzamento ottico può essere per eccesso o per difetto, ma è costante, quindi prescinde dalla lunghezza complessiva. Se moltiplichiamo il valore di questo coefficiente di errore per il denominatore della scala otteniamo il valore corrispondente nelle misure dal vero. L’errore grafico subentra sia nella fase di disegno sia in quella di apprezzamento delle misure dal disegno stesso. L’errore grafico viene meno qualora si disegni con un applicativo di disegno vettoriale CAD: in questa modalità di disegno computerizzato, infatti, le linee e gli altri elementi geometrici (es. punti e piani) non sono reali e quindi non hanno spessore e le funzioni di ingrandimento rendono i limiti della vista e quelli della scala irrilevanti dal punto di vista grafico ma non topografico. Possiamo classificare gli errori come:  Grossolani → sono dovuti a distrazioni che producono difformità vistose; sono eliminabili;  Sistematici → di solito sono causati da difetti strumentali e si ripetono sempre allo stesso modo; possono essere corretti;  Accidentali → sono casuali e legati alla perizia e alla precisione dell’operatore, perciò non sono controllabili e praticamente risultano rintracciabili e non eliminabili. Essi, tuttavia, hanno segni alterni, positivi e negativi, e nel complesso tengono ad annullarsi tra loro. Questi margini di errore possono essere limitati con alcune tecniche di raffinamento delle misure (es. media ottenuta da misure reiterate). TIPI DI RAPPRESENTAZIONI GRAFICHE: Il tipo di disegno più utilizzato per documentare gli strati e le strutture archeologiche è il disegno tecnico, al quale si aggiungono altri metodi, quali gli schizzi misurati e commentati (= eidotipi). Gli eidotipi sono disegni dal vero, che possono essere stesi su un semplice foglio di carta delineando i contorni più significativi degli oggetti a mano libera per poi annotarne le misure principali con l’aggiunta di alcune note significative. Scopi analoghi si possono perseguire anche con l’ausilio di fotografie, disegnando direttamente sopra la stampa dell’immagine. Altri tipi di rappresentazioni sono possibili con l’ausilio di tecnologie più innovative. Nel disegno tradizione si pone il problema della rappresentazione grafica su un supporto bidimensionale di oggetti hanno 3 dimensioni. Cioè è possibile attraverso una costruzione geometrica che consiste nella proiezione dei profili degli oggetti sul foglio di carta da disegno. Per descrivere con completezza le 3 dimensioni degli oggetti del rilievo, non è normalmente sufficiente una sola proiezione, ma sarà necessario prendere in considerazione almeno 3 piani di riferimento tra loro ortogonali. Di solito, considerando i piani di proiezione definiti da 3 assi ortogonali, si utilizzano rappresentazioni bidimensionali che utilizzano solo una coppia di questi assi. I termini utilizzati (pianta, planimetria, sezione e prospetto) sono proiezioni ortogonali su piani orizzontali o verticali.  Planimetria → veduta zenitale che si ottiene con un piano di proiezione orizzontale. Si differenzia dalla pianta perché adotta una scala di riduzione minore (tra 1:50 – 1:500). La planimetria è adattissima per trasmettere la visione d’insieme di un edificio, per comprendere lo sviluppo di un’area urbana o di un’estesa area di scavo, ma non consente le analisi di dettaglio.  Sezione integrata → proiezione ortogonale su piani verticali; è il disegno delle strutture intercettate dal piano di sezione verticale, integrato con la proiezione di tutto ciò che compare dal taglio in avanti.  Prospetto → proiezioni ortogonali frontali su piani verticali; è il disegno della proiezione della facciata della parete su un piano ad essa parallelo;  Pianta integrata → sezione orizzontale che taglia i muri in elevato per mezzo di un piano secante ad una quota stabilita. Su questo piano di proiezione vengono riportati anche tutti gli elementi posti dal piano di sezione verso il basso; è una sezione orizzontale integrata della veduta zenitale. La pianta è abbastanza particolareggiata, perché viene disegnata senza eccessive riduzioni in scala (scala 1 : 10 – 1 : 20). Questi coefficienti di riduzione consentono un livello di dettaglio sufficiente a registrare i rapporti stratigrafici, utilizzando un tipo di rappresentazione naturalistica che non fa eccessivo ricorso ai simboli. La caratterizzazione di una struttura o di uno strato delineato in questo modo prevede il disegno misurato dal vero dei materiali edilizi del muro o degli oggetti presenti nel terreno. Spesso nel rilievo di strutture archeologiche la quota a cui deve passare il piano di sezione orizzontale non è determinante; nei casi però nei quali gli elevati sono più significativi o addirittura integri è necessario riflettere sulla quota alla quale effettuare il taglio, in maniera da acquisire la maggior quantità di informazioni possibili (talvolta può essere necessaria l’adozione di quote anomale o di diverse sezioni orizzontali). Tra i tipi di rappresentazione grafica bisogna inserire anche i rilievi tridimensionali disegnati direttamente al computer utilizzando appositi applicativi per il disegno tecnico (es. CAD, software di modellazione 3D). LE FASI DEL RILIEVO E IL DISEGNO TRADIZIONALE: Un rilievo comporta 2 fasi principali di lavoro:  Acquisizione delle misure → fase analitica, che non può prescindere da una ricognizione preliminare e dalla comprensione globale di ciò che si deve misurare;  Disegno → operazione di sintesi grafica che può avvenire sia sul cantiere sia in laboratorio. Il sistema più tradizionale prevede che venga effettuato sul posto il disegno a matita su carta millimetrata. Nel disegno a matita è bene ricordare che si tratta di un grafico tecnico e non artistico, perciò è fondamentale salvaguardare precisione e comprensione, evitando linee incerte e poco chiare o effetti chiaroscurali, anche per non complicare la fase di lucidatura. Successivamente il disegno viene copiato per mezzo di un ricalco a china su un foglio lucido trasparente. Il disegno risponde ad una serie di convenzioni grafiche, in parte comuni alle regole generali del disegno tecnico, in parte specifiche del rilievo archeologico. Lo spessore delle linee utilizzate ha un significa (es. linea più spessa delimita le strutture e gli strati, linea meno spessa rende le caratterizzazioni interne). Anche la tipologia delle linee è significativa. Le campiture hanno precisi significati tecnici che possono fare riferimento a convenzioni archeologiche più generali oppure alle convenzioni grafiche specifiche di un singolo progetto, chiarite un una legenda allegata. L’inquadramento topografico e la conoscenza della cartografia disponibile rappresentano un aspetto fondamentale del lavoro preliminare. Normalmente, se si deve ottenere una documentazione completa, non è sufficiente un solo metodo, ma occorre fare uso di una molteplicità di strumenti tra loro complementari. I 2 metodi principali sono:  Rilievo diretto → utilizza strumenti tradizionali;  Rilievo indiretto → fa uso di strumenti ottici e altri strumenti topografici più complessi. GLI STRUMENTI DEL RILIEVO DIRETTO: I metodi del rilievo diretto sono:  Schizzo misurato → steso sul posto e poi ridisegnato in laboratorio;  Disegno in scala → effettuato direttamente sul campo. La stesura dei disegni sul campo ha il vantaggio di consentire una lettura autoptica. Inoltre, questo tipo di documentazione viene completata in cantiere e quindi può essere subito verificata sul campo. I principali metodi di acquisizione di misure nel rilievo diretto sono:  Trilaterazione → permette di posizionare un punto rispetto ad altri 2 noti che giacciono sullo stesso piano, misurando le distanze di questo dagli altri 2, come se si trattasse dei lati di un triangolo. Perché le misure siano corrette i punti devono essere alla stessa quota; inoltre i lati del triangolo non devono presentare tra loro forti differenze di misura.  Ascisse e ordinate → consiste nell’adottare come riferimento 2 linee di base tra loro ortogonali e di posizione nota. Gli altri punti del rilievo verranno posizionati misurando le distanze ortogonali rispetto alle 2 linee di riferimento, come se si trattasse di coordinate di un sistema di assi cartesiani. Anche in questo caso i punti devono essere misurati alla stessa quota con l’ausilio di fili a piombo e aste verticali. I punti significativi del disegno potranno essere acquisiti misurando la loro proiezione ortogonale sulla base di riferimento e la distanza ortogonale rispetto alla medesima base. Nella pratica le difficoltà maggiori derivano dalla necessità di linee rette, quindi le fettucce devono essere perfettamente tese; la difficoltà sta nell’ottenere uno squadro topografico, ossia nel materializzare sul terreno allineamenti ortogonali. La tecnica più comune in cantiere è quella di tracciare sul terreno un triangolo rettangolo con base di 3m, altezza di 4m e ipotenusa di 5m (o altre misure che rispettino lo stesso rapporto). Il cateto più lungo fornirà l’orientamento dell’allineamento ortogonale alla linea di base. Un’altra tecnica è quella di misurare un triangolo isoscele, con 2 lati lunghi uguali e la base come lato minore. L’allineamento ortogonale sarà dato dalla linea passante tra il vertice e la metà della base. Un ultimo metodo è quello di fare ricorso a strumenti ottici muniti di goniometri sul piano orizzontale (es. livello ottico meccanico) che permettano di traguardare allineamenti ortogonali rispetto al punto occupato per mezzo di rotazioni pari all’angolo retto. Per recuperare il valore della quota, nelle piante disegnate, si procede scrivendolo in cifre nei punti significativi. La misurazione di queste quote avviene per mezzo di un livello, con la tecnica della livellazione. Essa consiste nel misurare le differenze di quota, rispetto ad una quota nota, per mezzo del livello e della stadia. GLI STRUMENTI E I METODI DI RILIEVO INDIRETTO: Gli strumenti di rilievo indiretto più usati dagli archeologi sono:  Stazione totale → permette di misurare la posizione dei punti notevoli necessari per la descrizione topografica di un sito. Le misure vengono memorizzate dallo strumento e distinte da un numero progressivo. I punti che devono essere misurati, vengono evidenziati su uno schizzo con il numero progressivo corrispondente. Questo tipo di rilievo è adatto soprattutto per la redazione di planimetrie e altri rilievi d’insieme, e non per disegnare con il dettaglio caratteristico del rilievo diretto. La stazione totale permette di acquisire e memorizzare la posizione di un punto rispetto al punto di stazione dello strumento stesso. Ciò significa che occorre fare riferimento ad una base conosciuta. Perciò, oltre al punto di stazione, occorre conoscere anche la posizione di un altro punto del rilievo, in modo da costituire un segmento rispetto al quale verrà posizionato il resto del rilievo. Per utilizzare anche le quote occorrerà anche un 3° punto di orientamento. La presenza di ulteriori punti può essere utile per affinare il posizionamento. Occorre che ogni rilievo contenga 3 o più punti noti anche per la quota, tali da disegnare i vertici di un poligono (poligonale) a cui si riferirà il rilievo. Normalmente questa poligonale racchiude il rilievo di dettaglio. Le misure dei vertici della poligonale vengono ripetute e viene fatta la media, mentre quelle del rilievo di dettaglio vengono acquisite per irraggiamento: a partire dal punto di stazione, lo strumento acquisisce la posizione degli altri punti, memorizzando tanti vettori che partono dal suo centro e terminano sui punti misurati alla stregua di tanti raggi. Per posizionare un punto all’interno di un sistema di riferimento locale si possono utilizzare 2 sistemi di coordinate: Tutti i reperti, cioè il risultato di una serie di attività umane, sono fonti dirette; l’essere fonte è una qualità che l’archeologo deve imporre all’oggetto se no resta un testimone sepolto di un sistema socioculturale ormai non più esistente. LA TIPOLOGIA: La tipologia consente di radunare tutte le forme, seriazioni di forme e si decide a priori come chiamare forme e parti del vaso (es. ceramiche etrusche di area padana), si può rendere anche lo sviluppo cronologico di una forma e questo sviluppo si può seguire a livello cronologico. Marell, ad esempio, fa una tipologia ad albero delle ceramiche a vernice nera, parte dalla forma generica e poi scende man mano nel dettaglio. Lo studio dei materiali è importante anche per chi si occupa dello scavo e sono i vari elementi e produzioni che aiutano a dare un range cronologico a chi è sul cantiere. I reperti ceramici sono poi quelli che si trovano sempre e questo perché la ceramica ha caratteristiche intrinseche tali, che nel tempo rimane stabile sul terreno e ciò fa sì che essa ci sia sempre, a differenza di resti organici che col tempo deperiscono; anche il clima influisce sulla conservazione del reperto (es. conservazioni a Verucchio grazie all’acqua). I PROCESSI DI FORMAZIONE: Nello studio dei reperti particolare importanza ha lo studio riferito ai processi di formazione. I processi culturali di formazione indicano le attività deliberate o accidentali compiute da esseri umani mentre producono o utilizzano manufatti, costruiscono o abbandonano edifici e così via. La tafonomia studia i processi di formazione che possono aver influenzato sia il modo in cui i reperti hanno finito per essere sepolti sia ciò che è accaduto loro dopo il seppellimento. I processi di formazione possono essere suddivisi a grandi linee in 2 categorie:  quelli che rispecchiano il comportamento e l’attività originaria dell’uomo prima che un reperto e/o un sito venissero sepolti;  quelli (es. aratura, saccheggio) successivi al seppellimento ovvero i processi naturali o non culturali di formazione. Possono essere anche eventi naturali che governano sia il seppellimento sia la conservazione del record archeologico. Il comportamento dell’uomo si può rispecchiare in almeno 4 attività principali. Ad esempio, nel caso di uno strumento queste possono essere:  Acquisizione del materiale grezzo (materia prima);  Lavorazione manuale (manifattura);  Utilizzazione;  Smaltimento o scarto (quando lo strumento è rotto o usurato) Queste distinzioni possono apparire di scarso interesse ma in realtà sono essenziali per una ricostruzione accurata delle attività umane del passato. Dal punto di vista dell’archeologo i resti possono entrare a far parte dei record archeologico in una qualsiasi di queste fasi. Per ricostruire accuratamente l’attività originaria è perciò d’importanza cruciale tentare di comprendere quali delle fasi si stia considerando. LA MANIFATTURA DELLA CERAMICA: Per la manifattura della ceramica la componente di base è l’argilla, una roccia sedimentaria a granulometria fine costituita principalmente da materiali argillosi, nella quale possono essere presenti, oppure essere aggiunti deliberatamente, diversi componenti più grossolani (es. frammenti di rocce, sabbie). L’argilla è frequentemente diffusa nel territorio e quindi per la manifattura della ceramica si utilizzano nella maggior parte dei casi le materie prime (argille e rocce) localizzate in prossimità dei luoghi di produzione. Una corretta correlazione tra composizione dei manufatti e provenienza delle materie prime deve considerare innanzi tutto quali rocce (litotipi) affiorano nella zona immediatamente circostante il sito di rinvenimento delle ceramiche. Il passo successivo sarà ampliare la ricerca e il tentativo di correlazione, spaziando su aree via via più vaste. Le materie prime locali costituiscono quindi i gruppi di riferimento da confrontare con le ceramiche. I gruppi di riferimento vengono definiti sulla base di analisi archeometriche di argille e rocce appositamente selezionate basandosi sulla cartografia e sulla conoscenza diretta del territorio. Il paragone tra la composizione dell’impasto ceramico e le rocce affioranti nella zona di rinvenimento piò dare delle buone indicazioni di provenienza. I dati relativi alle materie prime sono essenzialmente contenuti nelle carte geologiche. Le carte geologiche sono disponibili a varie scale e riportano i limiti delle formazioni sedimentarie, dei corpi vulcanici e dei complessi di rocce intrusive e/o metamorfiche (corpi continui, di ugual significato geologico e solo generalmente uniformi dal punto di vista litologico e petrografico). Esempio di carta specificatamente adatta all’individuazione delle materie prime utilizzate e quindi essenzialmente litologiche recentemente proposte è la Carta Geologica d’Italia 1:500.000 (Servizio Geologico d’Italia). Essa ha una risoluzione che permette di bilanciare le osservazioni a grande scala con quelle a piccola scala, ovvero le situazioni locali con quelle regionali. LE PROPRIETA’ DELL’ARGILLA: L’argilla è la componente di base dell’impasto ceramico. Essa è una roccia sedimentaria a granulometria finissima costituita principalmente da minerali argillosi che generano plasticità, da alcuni minerali non argillosi quali quarzo, carbonati, feldspati, composti di ferro e da vari materiali accidentali tra cui sostanze organiche. Tutti i minerali sono contraddistinti da un particolare reticolo cristallino ovvero un’impalcatura di atomi omogenea e periodicamente ripetuta. I minerali delle argille sono dei fillosilicati con struttura cristallina composta dalla sovrapposizione di starti continui tetraedri e ottaedri. I principali gruppi di minerali delle argille sono:  Caolinite;  Illite;  Montmorillonite;  Clorite. Ciascun groppo ha un reticolo cristallino caratteristico. La struttura lamellare del reticolo permette alle finissime particelle di argilla di slittare le une sulle altre determinandone le proprietà tecnologiche. Dal punto di vista tecnologico l’argilla è una sostanza naturale, inorganica, naturale, non metallica, dotata di plasticità quando mescolata con acqua in quantità appropriate, da modellare a freddo e consolidare a caldo. Le proprietà fondamentali dell’argilla sono:  Plasticità a bagnato che ne consente la modellazione;  Stabilizzazione irreversibile in cottura che comporta trasformazioni del colore e ritiro volumetrico;  Refrattarietà → proprietà per cui l’argilla può essere sottoposta ad alte temperature (circa 800/1000 C°) senza deformarsi. L’IMPASTO CERAMICO: Per impasto ceramico si intende l’insieme delle materie prime (argille + materiali più grossolani) che costituisce il corpo ceramico ovvero la porzione strutturale del vasellame. Esso è composto da:  Matrice → è la parte più fine corrispondente ad argilla e limo;  Clasti → è la parte più grossolana corrispondente alla sabbia. [Termini usati in alternativa a clasti = inclusi, scheletro, correttivi, degrassanti o sgrassanti, dimagranti, smagranti, leganti fondenti, inerte, tempra]. Il tipo di materia prima utilizzata è uno dei criteri fondamentali utilizzati dagli archeologi per definire le classi ceramiche, cioè produzioni con caratteristiche tecniche e stilistiche specifiche tipiche di un’area geografica in un determinato periodo. Esempi:  Ceramica preistorica e protostorica → si divide in:  Ceramiche d’impasto le produzioni più grossolane;  Ceramiche figuline le produzioni più fini.  Ceramiche d’epoca storica → si dividono in:  Ceramiche comuni o grezze le produzioni più grossolane;  Ceramiche depurate le produzioni più fini. Nella preparazione dell’impasto ceramico sono necessari un periodo di stagionatura dell’argilla necessario per aumentarne la plasticità e alcuni ulteriori accorgimenti che ne modificano la composizione. La quantità di elementi plastici e non plastici in un impasto ceramico va quindi accuratamente dosata per ottenere una lavorabilità ottimale, tenendo conto della forma e della dimensione del vaso da realizzare e della tecnica di foggiatura. Nella composizione ceramica non è detto che vi sia coerenza genetica tra le diverse componenti. Un impasto, ad esempio, può essere realizzato miscelando 2 tipi di sabbie locali di litologia diversa (derivanti da rocce metamorfiche e sedimentarie diverse) e un’argilla non locale. Tutto questo ha grandi implicazioni per determinare il luogo di produzione. A seconda dei casi quindi la preparazione può contenere:  La miscelazione di argille diverse (più o meno plastiche);  L’eliminazione (depurazione) o l’aggiunta di componenti più grossolani. L’impasto ceramico deve essere miscelato a lungo, molto accuratamente e con l’aggiunta di acqua. Più un impasto è elaborato (depurato e/o corretto) maggiore è la difficoltà tecnica nel preparalo. Il modo più efficace per determinare se i clasti sono naturalmente presenti nell’argilla o se sono aggiunti dal vasaio è l’analisi petrografica in sezione sottile. Le analisi composizionali che possono essere effettuate sono:  Analisi petrografica → identifica le rocce. È adatta soprattutto per la ceramica grossolana ricca di clasti;  Analisi mineralogica petrografica → identifica i minerali. È un tipo di analisi intermedio perché identifica sia i minerali delle argille che quelli dei clasti;  Analisi chimica → identifica gli elementi chimici dell’impasto. È adatta soprattutto per la ceramica fine con prevalenza di matrice. LE TECNICHE DI FOGGIATURA: Le principali tecniche di foggiatura sono:  Incavo o spizzicatura → si parte da una masserella di argilla svuotandola e assottigliandola con le sole mani (per vasi di piccole dimensioni);  Stampo o matrice → la forma è ottenuta per calco premendo con le mani l’argilla contro uno stampo in ceramica, legno o cuoio.  Cercini o colombino, lucignolo, ad anelli → la forma è ottenuta per avvolgimento a spirale di cordoni di argilla (cordoli o colombini) che vengono sovrapposti gli uni agli altri e saldati assieme operando una pressione manuale;  Sfoglia, lastre, masserelle → il vaso viene modellato a partire da una sfoglia o da varie lastre o blocchetti di argilla saldandone i bordi a mano;  Percussore e incudine → tecnica di assottigliamento delle pareti di un vaso con una pietra tenuta dal vasaio all’interno dell’oggetto mentre la superficie esterna è battuta con uno strumento rigido o viceversa. Si assottiglia così lo spessore e si innalzano le pareti;  Tornio → è costituito da un disco che può ruotare, infulcrato centralmente, messo in movimento dal vasaio stesso o da un aiutante. L’opposizione fra la forza centrifuga e le pressioni delle mani fa salire la parete del vaso. Le varie tecniche possono anche essere combinate fra loro. L’aggiunta alla forma principale degli elementi di presa deve essere considerata un’estensione della fase precedente. Per completare i vasi vengono di solito applicate sul corpo o sull’orlo di anse e prese. L’applicazione di questi elementi avviene di solito quando il vaso non si è ancora troppo essiccato. IL TRATTAMENTO DELLE SUPERFICI: Il trattamento delle superfici influenza fortemente l'aspetto del vaso e ha implicazioni sia funzionali che estetiche. Esso comprende:  Rifinitura → si effettua strofinando la superficie con semplici strumenti in modo da ottenere un effetto di lisciatura e lucidatura. Gli strumenti utilizzati sono ciottoli, spatole in legno e osso. In base all’effetto prodotto si possono distinguere due modalità di rifinitura:  Lisciatura o levigatura = si effettua generalmente con strumenti morbidi a essicamento appena iniziato. La superficie risulta regolarizzata, liscia e opaca;  Lucidatura = si effettua con strumenti rigidi tipo osso, pietra, legno a essicamento più avanzato. Si ottiene una parziale impermeabilità, una maggior coesione per eventuali rivestimenti o decorazioni e un miglior effetto estetico. La lucentezza è dovuta all’allinearsi e serrarsi delle particelle argillose. La lucidatura della superficie esterna ha una valenza soprattutto estetica. La lucidatura della superficie interna ha anche una valenza funzionale, favorendo una parziale impermeabilizzazione.  Rivestimento → i rivestimenti in genere ricoprono l’intera superficie del vaso e possono essere:  Argillosi (es. ingobbio, vernice nera, vernice rossa) = i colori chiari si ottengono da argille caoliniche o illitiche senza impurità. Le materie prime dei rivestimenti argillosi vengono accuratamente depurate mediante setacciatura o decantazione in acqua. Così si ottiene una sospensione argillosa fine, la barbottina.  Vetrosi (es. vetrina, smalto) = sono composti da quarzo, ossidi di piombo e stagno e si ottengono con una lavorazione piuttosto complessa che prevede calcinazione, fusione, macinazione e miscelazione dei componenti con acqua. Il rivestimento può essere applicato per:  Immersione = tecnica preferita per i manufatti di piccole dimensioni, da immergere rapidamente e più o meno completamente dentro il rivestimento. È impiegata per la vernice nera e la vernice rossa. Lo spessore dello strato dipende dalla capacità di assorbimento del manufatto dalla densità della miscela e dal tempo di immersione.  Aspersione = tecnica adatta a manufatti di grandi dimensioni difficili da spostare per peso e volume. È valida per ingobbio e vetrina in mono- cottura mentre non è appropriata per vernice nera e rossa a causa della scarsa precisione dei risultati;  Pennellatura = tecnica applicata per i manufatti di pregio, decorati e non dove la precisione è la regola assoluta. Trova nel mondo classico la sua maggior espressione nella ceramica attica a figure nere e figure rosse. La tecnica è riconoscibile per il netto confine fra zone rivestite e non e per assenza di colature.  Decorazione → la decorazione è un intervento a finalità estetica non influente sulla forma dell’oggetto. Può attuarsi in qualunque fase del processo produttivo ma è soprattutto nelle fasi successive alla foggiatura che si procede alla decorazione. Le tecniche della decorazione possono essere:  In negativo = asportazione del materiale, taglio o deformazione della superficie;  In positivo = applicazione di materiale vario. PRINCIPALI RIVESTIMENTI: I principali rivestimenti sono:  Ingobbio → è il rivestimento argilloso più semplice. Le sue caratteristiche tecniche sono opacità, porosità e permeabilità. Viene applicato a crudo quando il manufatto ha raggiunto il giusto grado di essiccamento. Da materie prime di simile composizione possono essere ricavati:  Ingobbio con funzione di rivestimento parziale o totale;  Ingobbio-pigmento pittorico (es. ingobbio rosso e/o ingobbio bianco).  Vernice nera → la miscela argillosa che in cottura densifica in vernice nera può essere ricavata da ocre argillose rosse ricche di ossidi e idrossidi di ferro con valori minimi di carbonati. Sottoposte ad opportuni trattamenti e accurata depurazione in acqua le ocre formano una miscela argillosa caratterizzate da granulometrie molto fini. Tale miscela viene utilizzata per dipingere i vasi. Il manufatto viene posto poi a una sola cottura alternando atmosfera ossidante/riducente provocata dall’immissione in fornace di sostanze fumogene. La miscela argillosa diventa nera per la trasformazione dell’ossido ferrico (ematite, rossa) in ossido ferroso (nero) e ossido ferroso-ferrico (magnetite nera). Sull’intensità del grado di nero influiscono potenza ed efficacia del processo di riduzione e la durata della temperatura massima. Le principali classi ceramiche sono:  Ceramica a figure nere → la tecnica a figure nere viene adottata senza riserve solo intorno alla metà del VII secolo a.C. Si sviluppa pienamente nell’ultimo quarto e raggiunge il suo apogeo nel secolo successivo. A partire dal 530 a.C., fu gradualmente sostituita dalla tecnica a figure rosse. Le figure dipinte con la vernice acquistano in cottura colore nero, mentre lo sfondo è rosso in argilla risparmiata;  Ceramica a figure rosse → le figure rosse sono in argilla risparmiata e si stagliano contro lo sfondo nero ricoperto di vernice;  Ceramica a vernice nera → la superficie del manufatto è ricoperta dal rivestimento più o meno completamente e assume in cottura il colore nero. Le caratteristiche di lucentezza e compattezza sono dovute alla sinterizzazione, cioè alla semi-vetrificazione di un rivestimento argilloso molto fine e omogeneo, ricco di ossidi e idrossidi di ferro sottoposto a temperatura elevata: i componenti vengono consolidati e il rivestimento risulta compatto, lucente e poco poroso. DECORAZIONE DI UNA FORMA VASCOLARE: La decorazione è un intervento a finalità estetica non influente sulla forma dell’oggetto. Può attuarsi in qualunque fase del processo produttivo ma è soprattutto nelle fasi successive alla foggiatura che si procede alla decorazione. Le tecniche della decorazione possono essere: Si trova quindi in linea con il pensiero della New Archaeology. Con il termine New Archaeology si designa un movimento culturale affermatosi negli anni ‘60 nei campus americani in contrapposizione all’archeologia tradizionale. Il suo principale esponente è stato Lewis R. Binford. L’archeometria quindi si è sviluppata sostanzialmente solo nell’ultimo dopoguerra probabilmente come conseguenza di quello stabilirsi di contatti sempre più stretti tra archeologi, fisici e chimici causata dall’invenzione del metodo di datazione basato sul radiocarbonio. Tre sono i principali settori di studio dell’archeometria:  Metodi di prospezione → impiego di sonde o di radar che sfruttano la conduttività elettrica o magnetica del suolo o di metodi chimici (es. analisi dei fosfati) che possono indicare tracce d’insediamenti o sepolture antiche;  Metodi di datazione → derivano dalla fisica e dalla chimica;  Metodi di caratterizzazione → fondamentali per comprendere le componenti e la struttura interna dei manufatti trovati dall’archeologo (si pensi all’analisi degli impasti ceramici necessaria sia per classificare tipi diversi di produzione che per comprendere se un reperto ceramico è stato prodotto in loco o se si tratta d’importazione). DEFINIZIONI DI ARCHEOMETRIA: Non esiste una definizione univoca di questa disciplina e talora il termine archeometria viene sostituito con “scienze in archeologia” (mediato dall’inglese) o “scienze o metodologie scientifiche per i beni culturali”. Altre definizioni sono:  “Qualsiasi studio di reperti e di dati archeologici con strumenti e metodi che siano propri delle discipline scientifiche” (Mannoni);  “Intervento e applicazione delle scienze sperimentali, naturali e tecnologiche alla conoscenza e alla caratterizzazione dei materiali delle opere del patrimonio culturale e dei loro contesti ambientali di ritrovamento, nel quadro di un’iterazione con gli archeologi, gli storici dell’arte e della cultura materiale e con i gestori del patrimonio culturale”;  “Le ricerche scientifiche applicate all’archeologia e più genericamente ai beni culturali, basate su metodi di tipo quantitativo”;  “Spazio di applicazione delle scienze sperimentali e naturali alla conoscenza materiale dei beni culturali a fini storici e conservativi” (Aiar – Associazione Italiana di Archeometria). AIAr: L’Associazione Italiana di Archeometria (AIAr), istituita nel 1993, è la principale associazione italiana di studiosi e ricercatori attivi nel campo delle applicazioni scientifiche ai Beni Culturali. Come stabilito dallo Statuto, si prefigge di: “promuovere e sviluppare le attività di ricerca, didattiche e professionali per lo studio e la salvaguardia del Patrimonio Culturale utilizzando metodologie scientifiche. Essa promuove contatti tra ricercatori delle discipline scientifiche e quelli delle discipline umanistiche per affrontare problematiche riguardanti lo studio, il restauro e la conservazione dei Beni Culturali”. All’AIAr afferiscono:  Docenti e ricercatori universitari e di enti pubblici di ricerca di area fisica, chimica, geologica, biologica, oltre che di ingegneria e architettura;  Archeologi, storici dell’arte e restauratori impegnati nell’attività di studio, tutela, conservazione e salvaguardia del patrimonio archeologico ed artistico;  Professionisti dediti ad attività di diagnostica, ricerca archeologica, archeologia preventiva e di emergenza, restauro, progettazione territoriale e urbanistica. L’attività dei giovani che si interessano all’Archeometria viene particolarmente favorita, sia sostenendone l’attività con premi o borse di studio, sia con percorsi di formazione per l’inserimento nel mondo del lavoro. Il Congresso Nazionale AIAr, celebrato con scadenza biennale, rappresenta ormai un importante appuntamento per la comunità italiana dell’archeometria. I FINI DELL’ARCHEOMETRIA: L’attenzione dell’archeometria è rivolta principalmente ai manufatti ceramici intesi come “produzione finale” delle fasi di lavorazione. Gli archeologi:  Sanno leggere i materiali nella loro caratterizzazione morfologica e stilistica con metodi propri delle loro discipline;  Sanno collocarli nello spazio e nel tempo anche in assenza di documentazione storica scritta;  Sanno darne una prima approssimativa definizione materiale. Ma bisogna essere consapevoli dei limiti dei metodi dell’archeologia relativamente alla caratterizzazione dei materiali quanto a provenienza, età storica dell’opera, tecnologia costruttiva, confronti, ecc. Per questo i più attenti hanno scoperto e sanno come l’archeometria aiuti, talora offrendo novità alle problematiche sopra citate. Si ribadisce, quindi, il carattere interdisciplinare dell’archeometria, volto a rompere le tradizionali barriere, tanto accademiche quanto metodologiche, fra discipline umanistiche e scientifiche. Fini principali dell’attività archeometria sono:  Definizione della provenienza dei materiali e quindi dei relativi flussi materiali di commercio/scambio in un determinato periodo;  Misura dell’età dei materiali o dei livelli stratigrafici di rinvenimento;  Scoperta e interpretazione delle antiche tecnologie;  Certificazione di autenticità. Gli interessi principali dell’Archeometria possono essere riassunti sotto le 3 tradizionali domande delle scienze storico-archeologiche: Come, Dove e Quando un determinato evento storico si è prodotto? Il Perché non può essere ritenuto strictu sensu come una domanda propriamente pertinente alle tematiche archeometriche in quanto riguarda uno stadio successivo, quello della interpretazione dei dati, che sfugge ad ogni classificazione, essendo strettamente connessa alle condizioni ed alle considerazioni “soggettive” del ricercatore o dei ricercatori.  Come? → corrispondono i campi di indagine della caratterizzazione dei materiali;  Dove? → corrispondono i campi della prospezione;  Quando? → corrispondono i campi della datazione dei reperti archeologici che costituiscono le classi di riferimento dell’indagine archeometrica. L’ARCHEOMETRIA COME SCIENZA: L’ingresso delle scienze in archeologia ha consentito:  Relazioni forti con gli ambiti disciplinari scientifici, tradizionalmente lontani dalla ricerca storica;  Di poter accedere a tutta una serie di informazioni di carattere naturalistico ma di rilevanza storica, prima di allora inarrivabili con i metodi classici e tipici di un’archeologia esclusivamente umanista. L’archeometria è una materia interdisciplinare e deve fornire:  Agli archeologi un bagaglio di nozioni per “raggiungere” la coscienza dell’esistenza di una notevole serie di metodologie scientifiche che possono essere utili per risolvere e/o dirimere quesiti tipici delle scienze storiche;  Un definitivo inserimento in ambito accademico dell’archeometria come disciplina pienamente inserita nell’ambito delle facoltà umanistiche; Avvicinando archeologi e scienziati, inoltre, li costringerà a confrontarsi con domande e dati tipici di ciascuno ambito disciplinare, costruendo una rete di modelli, ipotesi e ricostruzioni delle complesse linee di sviluppo delle diverse civiltà umane che costituisce una ricchezza di inestimabile valore per la ricerca. Allo stato attuale delle cose è indispensabile l'iterazione tra l'operatore scientifico e operatore umanistico. LE TECNICHE DELL’ARCHEOMETRIA: Le tecniche analitiche che l’archeometria utilizza sono proprie delle scienze chimiche, fisiche, naturali e da tali scienze esse traggono principi e regole. Queste scienze diverse hanno però un denominatore comune: la capacità di dare risposte autonome non influenzate dal contesto archeologico del reperto e di essere completamente indipendenti dagli aspetti morfologici, tipologici, stilistici che definiscono il reperto ceramico in archeologia. Le metodiche vanno dalle più semplici alle più complesse, richiedono campionature di entità diverse, tempi di esecuzione variabili, strumentazione spesso molto sofisticata e costi differenziati. Permettono di determinare:  Struttura;  Composizione mineralogica del campione;  Composizione chimica a livello quantitativo e qualitativo. Le metodologie archeometriche da applicare al campione sono definite:  Tecniche non distruttive → in archeologia indicano che non è richiesto nessun prelievo del reperto, mentre in chimica e fisica una tecnica si definisce “non distruttiva” quando il campione viene macinato e manipolato in vari modi e potrà essere riutilizzato per altre eventuali analisi;  Tecniche distruttive → in archeologia indicano che è richiesto il prelievo del reperto, mentre in chimica e fisica una tecnica è distruttiva solo nel caso in cui il campione sia attaccato con acidi e reagenti che lo portano in soluzione per cui non è più recuperabile. Già da queste affermazioni capiamo, quindi, che in archeometria la scelta del campione è cosa fondamentale. I campioni devono essere rappresentativi:  Sia sotto il profilo archeologico rispettando la classe ceramica cui appartengono;  Sia sotto il profilo delle caratteristiche tecniche. Inoltre, per le analisi archeometriche sono richiesti un numero sufficiente di campioni nel caso in cui sia necessario ripetere le analisi. TIPOLOGIE DI ANALISI ARCHEOMETRICHE: Esistono diverse tipologie ti analisi archeometriche:  Analisi mineralogiche-petrografiche → permettono di indagare le caratteristiche del reperto ceramico composto essenzialmente da minerali. A tale scopo vengono utilizzati:  Microscopio stereoscopico a luce riflessa = non richiede nessun prelievo dal campione e può essere effettuato su tutte le superfici del reperto anche in frattura;  Microscopio a luce polarizzata a luce trasmessa = richiede un prelievo del campione preparato in sezione sottile. La trasmissione della luce polarizzata permette l’identificazione dei minerali che hanno proprietà ottiche caratteristiche quando sono attraversati dalla luce polarizzata ed anche delle rocce. Le sezioni sottili si ottengono montando su vetrini campioni di circa 1-2 cm² e assottigliandoli fino allo spessore di 30µm. Questi 2 tipi di indagine sono indipendenti e i risultati si completano a vicenda. Possono caratterizzare il manufatto dal punto di vista mineralogico e possono fornire indicazioni per una sua descrizione dettagliata per accertarne:  Le tecniche di lavorazione;  L’identificazione dell’area di provenienza intesa come “luogo di produzione”;  L’analisi degli eventuali rivestimenti e decorazioni dipinte. Non è possibile accertare quei componenti nell’argilla che hanno subito trasformazioni radicali durante la cottura (es. sostanze organiche che ad alte temperature bruciano). La microscopia ottica focalizza l’attenzione verso i componenti rimasti inalterati (es. degrassante).  Diffratometria a Raggi X – XRD, X RAY Difraction → permette di identificare la componente mineralogica di un manufatto ceramico anche quando i componenti cristallini abbiano dimensioni submicroscopiche dal momento che lo spettro di diffrazione consente di risalire ai componenti del campione in esame poiché le radiazioni X vengono difratte dai reticoli cristallini in modo caratteristico per ogni specie. Viene impiegata per la determinazione della composizione mineralogica dei reperti a livello quantitativo e semi quantitativo. È in grado di distinguere sia i minerali argillosi sia il degrassante sia altri componenti. Viene rilevata anche la presenza di quei componenti che non sono stati trasformati dalle temperature di cottura.  Analisi termiche → quando un manufatto ceramico è sottoposto ad un trattamento termico a temperatura elevata si manifestano reazioni chimiche e fenomeni di trasformazione che sono accompagnati da:  Assorbimento di calore (reazione endotermica);  Emissione di calore (reazione esotermica). Dal momento che ogni minerale argilloso ha un suo comportamento caratteristico, le analisi termiche permettono di ricavare informazioni utili per differenziarli. Questo tipo di analisi viene anche utilizzata per accertare la temperatura di cottura del reperto. È una tecnica distruttiva e per essere dettagliati vi sono 2 tipi di analisi termiche:  Analisi termica differenziale DTA;  Analisi termogravimetrica TGA; Esse sono considerate complementari e possono essere eseguite in simultanea utilizzando lo stesso campione. Sono anche semplici ed economiche.  Analisi chimico-fisiche → permettono di identificare la composizione di un manufatto ceramico a diversi livelli:  A livello quantitativo misurando la concentrazione di micro e macro-elementi;  A livello qualitativo individuando gli elementi chimici presenti senza però accertarne il valore percentuale. Alcune tipologie di analisi chimico fisiche sono:  Spettrometria di assorbimento atomico;  Spettrometria di fluorescenza a Raggi X;  Spettrometria al plasma prodotto al laser. La spettrometria è una tecnica che identifica gli elementi chimici sulla base della natura e della quantità delle onde elettromagnetiche che la sostanza emette o assorbe quando le radiazioni eccitano gli atomi. Uno dei punti cruciali per interpretare le analisi chimiche è la scelta degli elementi significativi per individuare la zona di produzione, distinguendoli da quelli influenzati dai procedimenti tecnologici e dagli inquinamenti dovuti all’uso e al seppellimento. Generalmente i risultati di questa tipologia di analisi vengono trattati con elaborazioni statistiche multivariate con appositi programmi. La statistica comprende una serie di metodi statistici per raccogliere e presentare i dati che riguardano un’intera “popolazione” o “collettivo”, cioè l’insieme posto sotto osservazione, caratterizzato da una certa variabilità. Tali metodi statistici possono essere suddivisi in:  Tecniche di tipo descrittivo = mirano a sintetizzare le osservazioni che riguardano uno o più caratteri comuni alle unità di popolazione;  Tecniche di tipo induttivo = si prefiggono di individuare le modalità per una corretta selezione di un sottoinsieme della popolazione e per descriverlo attraverso un campione. Esempi di statistiche sono:  Cluster analysis (“cluster” = “gruppo”) = la rappresentazione grafica della cluster analysis è un dendrogramma ovvero un diagramma ad albero.  Analisi fattoriale = è un tipo di analisi delle componenti principali che rende visibili i risultati attraverso una nuvola di punti multidimensionali che rappresentano le relazioni significative fra i campioni.  Microanalisi → 2 tecniche che possono fornire analisi puntiformi e immagini a fortissimo ingrandimento che sono:  Microscopio elettronico a scansione (SEM EDS);  Microsonda elettronica (EP MA). In entrambe i fasci di elettroni accelerati e focalizzati da lenti magnetiche sono inviati sopra un singolo punto di un campione allo stato solido. Poiché l’area del bombardamento del fascio elettronico è minima la strumentazione non è adatta per l’analisi chimica di un materiale nel suo complesso e pertanto può analizzare solo parti molto piccole come ad esempio specifiche zone della superficie o singoli granuli del degrassante. Ne deriva perciò il nome di analisi puntiformi  Analisi fisiche → servono a indagare la porosità e la durezza del manufatto. La porosità è il rapporto percentuale tra il volume degli spazi vuoti e il volume complessivo del manufatto. Vengono chiamati “pori” gli spazi vuoti molto piccoli e “vacuoli” i vuoti più grandi visibili a occhio nudo. Principali cause della porosità sono: l’argilla utilizzata dal vasaio, la granulometria, la forma del degrassante, la presenza di sostanze organiche, le modalità di cottura, le bolle d’aria formate durante la depurazione dell’argilla.  Radiografia a Raggi X → rileva discontinuità, grado di compattezza e altre particolarità nella struttura del manufatto e permette d’individuare specifiche caratteristiche della tecnica di produzione (es. individuare se il vaso è fatto al tornio o a colombino).  Analisi di datazione assoluta → sono chiamate “assolute” le datazioni che indicano l’età in anni di calendario B.F. (Before Present) essendo il Presente fissato per convenzione internazionale nel 1950. Questo è il caso della dendrocronologia, del radiocarbonio e degli isotopi radioattivi. Nel caso dei manufatti ceramici si può ricorrere alla Termoluminescenza (TL). Questa analisi si fonda sulla caratteristica della ceramica di contenere alcuni minerali cristallini come il quarzo, la calcite e i feldspati capaci di accumulare energia quando ricevono radiazioni ionizzanti dalle impurezze radioattive contenute nella stessa ceramica e nell’ambiente circostante. In condizioni appropriate tale energia può essere restituita sotto forma di emissione luminosa che grazie a misurazioni e calcoli opportuni consente di risalire all’età del reperto. Tale analisi viene utilizzata anche per l’autenticità dei reperti di provenienza ignota e può essere applicata solo a materiale inorganico a differenza del C14 che invece è applicata solo su materiale organico. La termoluminescenza è un’analisi di tipo distruttivo.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved