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Appunti Museologia dalle origini al XXI secolo, Appunti di Museologia

54 pagine di appunti sulla storia della museologia presi durante le lezioni della Professoressa Baldriga alla Sapienza di Roma TRIENNALE. Temi:accenni all’antichità e al medioevo; la nascita dello studiolo; le wunderkammern; le gallerie nobiliari; la nascita del museo moderno in relazione alle trasformazioni politiche e culturali del XIX secolo, particolarmente in Italia, Francia, Inghilterra, Germania; i musei statunitensi; i musei italiani nel secondo dopoguerra; Poulot; la contemporaneità.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 01/12/2020

SimonaVaccaro
SimonaVaccaro 🇮🇹

3.8

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Scarica Appunti Museologia dalle origini al XXI secolo e più Appunti in PDF di Museologia solo su Docsity! Continuazione lezione precedente (collezionismo mediceo) L’esperienza di Cosimo il Vecchio: Abbiamo già parlato della sua passione per la glittica che si esprime in particolar modo nel “Sigillo di Nerone”, conservato oggi a Napoli e riprodotto da Botticelli. Vale la pena confrontare due testimonianze, quella di Ghiberti composta nei suoi commentari e quella di Vasari all’interno delle Vite (1568) rispetto al Sigillo: Seconda parte Piero il Gottoso de’ Medici (1416-1469) È un personaggio che viene introdotto immediatamente nelle attività commerciali della casa Medici. Lui sarà il committente di diverse importanti opere d’arte che coinvolsero i maggiori artisti fiorentini dell’epoca. Ricordiamo Benozzo Gozzoli al quale si deve l’affresco nella Cappella dei Magi nel palazzo nuovo dei Medici, realizzato come celebrazione della famiglia fra il 1459-1460 All’interno del suo appartamento venne costruito, intorno al 1455, lo Scrittoio di Piero Gottoso: una piccola stanza di 20 mq, con una volta a botte e totalmente priva di finestre. Pavimento e soffitto erano decorati in terracotta invetriata, opera di Luca della Robbia. Una ulteriore decorazione di Luca della Robbia, con i Dodici Mesi, completava l’ambiente. La rappresentazione ci riporta alla funzione di possesso del mondo e della conoscenza che si voleva dare allo studiolo. Lorenzo il Magnifico Nasce a Firenze nel 1449, figlio di Piero dei Medici e Lucrezia Tornabuoni. Riceve educazione umanistica, sotto la guida di Gentile Becchi. Studia il latino, la filosofia, ma presto si appassiona alla musica e alla letteratura in lingua volgare. Da giovanissimo viaggia per l’Italia (Venezia, Milano, Ferrara, Roma, Napoli), già proiettato per la politica. Nel 1468 sposa Clarice Orsini e dopo la morte del padre assume il comando della casata. Lorenzo nel 1471 compie un viaggio a Roma dove incontra il nuovo pontefice Sisto IV della Rovere che gli riconsegna la depositeria pontificia che il suo predecessore aveva tolto alla famiglia Medici, e inoltre dona lui degli oggetti preziosi: due busti antichi e gemme preziose, oggetti già appartenuti a Papa Paolo II, altro collezionista importante della Roma di primo ‘400. VASARI Ammirazione per la qualità esecutiva dell’oggetto antico Maggiore competenza e cautela (da vero conoscitore) rispetto all’autore Precisa individuazione del soggetto rappresentato Emerge una mentalità rinascimentale GHIBERTI Ambizione di conciliare l’antico e il gusto moderno Ammirazione per la qualità tecnica Imprecisione delle notizie sull’autore e incapacità di riconoscere l’iconografia Permane un approccio tardo medievale Questa amicizia finirà presto e degenererà in conflitti durissimi: la congiura dei Pazzi del 1478, in accordo col Papa insieme a Federico da Montefeltro e il re il Re di Napoli. La medaglia di Bertoldo di Giovanni ricorda proprio la morte di Giuliano avvenuta durante la congiura die Pazzi. Lorenzo non smette di coltivare la sua passione per l’arte e il collezionismo, che era iniziata da giovanissimo. In particolare, Lorenzo ricorda nei suoi scritti quando nel 1471 venne eletto ambasciatore a Roma durante l’incoronazione di papa Sisto IV. Per l’occasione portò in dono: due teste di marmo antiche con le immagini di Augusto e Agrippa, la “scudella” di calcedonio della famiglia e la tazza Farnese, con altri cammei e medaglie. Alla morte di Lorenzo, 1492, venne redatto un inventario dei suoi beni: è un documento molto importante composto da 64 carte, 15 delle quali dedicate allo SCRITTOIO. Al suo interno si descrivono 358 oggetti specifici, alcuni dei quali erano stati ereditati da Lorenzo, dopo la morte di Cosimo e di Piero (un capitolo è dedicato allo scrittoio di Piero). SI elencano recipienti di lusso, gemme, pietre preziose, tavole, oggetti scari in oro e argento, tre reliquiari, tavole a mosaico, libri, rosari, collane, carte geografiche, 200 monete, 285 medaglie d’argento, 1847 medaglie in bronzo (ritratti di uomini illustri es. Petrarca; fondamentali per riconoscere l’identità dello studiolo mediceo). Inoltre, nel documento sono anche menzionati quattro opere: una Deposizione di Giotto, una Giuditta con testa di Oloferne dello Squarcione, un San Girolamo di Van Eyck e un ritratto di “dama franzese” di Petrus Christus). (Leggere il documento dell’inventario di Lorenzo, pdf nella google classroom). L’inventario del 1492 elenca anche delle presenze particolari: Naturalia e Mirabilia ovvero ossa di animali e oggetti straordinari come il presunto corno di unicorno stimato 6000 fiorini. In generale la collezione è concepita sin dall’inizio e nella sua evoluzione come una collezione da esporre, come uno spazio identitario da mostrare agli altri. Testimonianza di ciò è una nota di Lorenzo del 1490 in occasione della visita del dotto veneziano Ermolao Varvaro in un momento in cui Lorenzo è assente, dunque lui raccomanda il figlio Cosimo di mostrare all’ospite la collezione di famiglia (oggetti preziosi e antichi dello scrittoio, le sculture del giardino). Una caratteristica identitaria della collezione medicea, soprattutto del ‘400, è la passione per la glittica ovvero l’arte dell’intaglio e dell’incisione di gemme o pietre dure. Le pietre dure, a cui spesso veniva anche dato un valore magico, sono minerali e rocce (porfido, calcedonio, diaspro, agata, giada ecc.) caratterizzati da elevata durezza ma ben levigabili; usate spesso a scopo decorativo per realizzare oggetti di grandi dimensioni (statue, sarcofaghi) oppure vasi, coppe, ornamenti, amuleti. In determinate epoche le pietre dure venivano ritenute dotate di proprietà magiche. I cammei sono gemme lavorate sia a tutto tondo (in genere monocroma) o a rilievo. Per questa ultima tipologia vengono normalmente utilizzati l’agata, la sardonica, l’onice ottenendo effetti coloristici di vari strati o livelli (Tazza Farnese). ALCUNE CONSIDERAZIONI Il collezionismo dei Medici è il primo episodio di collezionismo dinastico rinascimentale. Nel passaggio tra le generazioni, il collezionismo si evolve dalla raccolta ancora dilettantistica di Cosino alla collezione colta di Lorenzo. Il modello mediceo presenta una evidente derivazione dal collezionismo francese (Jean d Berry). Lo studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino Considerato uno dei simboli della cultura rinascimentale, era per Federico uno spazio di ritiro e isolamento ma anche un luogo di costruzione di valori. Abbiamo diverse descrizioni di contemporanei che anche dopo la morte di Federico si fermarono a descrivere il palazzo, una celebre è la descrizione di Baldassare Castiglione ne Il libro del Cortegiano dove sottolinea l’importanza della biblioteca e considera il palazzo fra i più belli d’Italia. Federico nasce a Gubbio nel 1422 e muore Ferrara nel 1482, figlio naturale di Guidantonio. Ancora adolescente viene mandato a Venezia dove rimarrà per 15 mesi: questo soggiorno sarà di impatto forte sulla personalità di Federico. Altri soggiorni sono stati fatti a Mantova dove riceve una formazione che poi sarà caratterizzante nella sua esperienza, infatti è qui che inizierà ad amare le arti presso i Gonzaga. Nel 1437 sposa Gentile Brancaleoni, ma subito dopo inizierà la carriera di condottiero e lo sarà fino alla morte. Nello stesso inizia il servizio di mercenario press i Visconti di Milano. Negli anni successivi proseguono le imprese militari da mercenario. Nel 1440 espugna la rocca di San Leo, sino ad allora ritenuta imprendibile. Nel 1444, a seguito della congiura che aveva portato all’assassinio del fratello Oddantonio, Federico diviene signore di Urbino. Per sempre graverà su di lui il sospetto del fratricidio. In seguito, sarà Federico stesso ad essere nel bersaglio di alcuni nemici, ma riuscirà a scampare l’attacco uscendone rafforzato. L’attività di uomo d’armi si svolge negli anni seguenti tra imprese, alleanze e inimicizie soprattutto con Sigismondo Malatesta, signore di Rimini. Due episodi segnarono Federico: la ferita ad un occhio e la morte del figlio prediletto, Buoncuore. Nel 1460, Federico, che era rimasto vedovo, sposta Battista, figlia del signore di Pesaro, Alessandro Sforza. Sarà lei la moglie più cara. A seguito di una serie di vittorie (1463) contro i Malatesta, Federico prende il controllo della Romagna Meridionale che provvede a far fortificare impiegando Francesco Giorgio Martini La città e il palazzo di Urbino La città di Urbino ai tempi di Federico è sotto il suo governo, quindi, attenta anche agli affari e alle attività delle proprie terre. Contava 7000 abitanti, ed era significativa la presenza di una corte attiva, si contano 700-800 cortigiani. Le attività militari di Federico avevano un impatto importante sulla città, infatti in tempo di guerra Federico poteva garantire alla città un guadagno complessivo di 45 mila ducati d’oro (25 mila in tempi di pace). I cortigiani erano uomini colti di cui Federico amava circondarsi. Vespasiano da Bisticci è l’unico contemporaneo a parlarci delle attività architettoniche di Federico e del suo studiolo: ci racconta di imprese architettoniche di grande competenza e grande attenzione in cui Federico forniva direttive e consigli precisi che alla fine si rilevavano fondamentali affinché le fortezze risultassero resistenti. Il palazzo di Urbino, infatti conferma tutto ciò: i lavori per la costruzione iniziarono nel 1450 per protrarsi per un tempo abbastanza lungo con fasi successive (Luciano Laurana 1465-72; Francesco di Giorgio Martini dal 1472). La forma del palazzo era abbastanza irregolare proprio perché richiesta la necessità di adattarsi al terreno: al centro c’era il cortile progettato dal Laurana, considerato uno dei simboli dell’armonia dell’architettura del’400; e poi un’altra zona è quella in basso con la facciata fittizia fiancheggiata da due torri. In prossimità vi era lo studiolo e la loggia che dava sull’esterno. Il palazzo si sviluppava principalmente su due piani, il piano terreno era occupato da due zone (cortile e la biblioteca, uno dei luoghi più amati e curati dal duca Federico che divenne anche famoso in tutta Italia per la grande quantità di volumi, soprattutto miniati), mentre nel piano nobile c’erano ben cinque appartamenti privati. La biblioteca Era di eccezionale ampiezza, contava circa 900 codici di cui 600 latini e volgari, 168 greci, 82 ebraici e 2 arabi. Il duca prediligeva manoscritti miniati e, ci dice Giovanni Santi, questo era un luogo da condividere con illustri ospiti, cosa che abbiamo visto con i Medici e che diverrà un’abitudine. Lo studiolo Cuore del palazzo, luogo strategico da un punto di vista simbolico e della rappresentazione. È l’esempio più alto di studiolo, considerato importante per la storia della museologia. Era un luogo raffinato e ricercato dal punto di vista architettonico: risale al 1476 circa (fine dei lavori – presunta), la conservazione è quasi integrale. Le fonti che ce ne parlano sono quelle di Vespasiano da Bisticci e Bernardino Baldi. Erano presenti due porte e una finestra – forma irregolare con dimensioni ridotte anche se l’altezza era insolita (quasi 5m). La decorazione è un rivestimento ligneo a tarsie, un’area parietale due fasce sovrapposte con tavole dipinte con uomini illustri e infine una volta a cassettoni. Gli artisti sono stati Giuliano e Benedetto da Magnano (soffitto) e il fiammingo Giusto di Gand e lo spagnolo Pedro Berruguete (ritratti). Il tema prevalente è la vita attiva e contemplativa (arma et litterae). Vespasiano ci racconta che Federico era un intenditore di pittura e che per trovare l’artista che avrebbero dovuto lavorare al suo studiolo lo cercò nelle Fiandre per farlo venire ad Urbino. Importante testimonianza per le influenze che avrà la pittura di Giusto di Gand sulla pittura urbinate. Al centro c’era il ritratto di Federico, ai lati nella parte superiore ci sono nei due loggiati sovrapposti le rappresentazioni di uomini illustri, presi di tre quarti come se stessero dialogando fra di loro: dettaglio importante per la funzione di questi ritratti che dovevano ispirare e animare una ipotetica conversazione fra gli uomini del passato del presente. È la galleria non ideale degli uomini illustri, ma la galleria privata degli uomini illustri scelti da Federico capaci di incarnare quella concezione di cultura che era importante per Federico. Da un punto di vista architettonico in origine i ritratti erano divisi da colonnine e, nella parte superiore avevano una sorta di ambientazione con copertura a travi, nella parte inferiore delle volte che simulano ambienti forse di contesto più prestigioso. La parte inferiore è rivestita da tarsie in legno attribuite ad artisti fiorentini, come avevamo detto in precedenza. Le tarsie Sono rappresentate dei finti armadi e delle panche sulle quali ci sono degli oggetti sparsi, come se il duca avesse finito di farne uso (elemento dell’illusionismo importante). Ci sono 30 codici, animali, strumenti musicali, clessidre, un elmo ecc. Si parla sempre di queste tarsie come uno degli esempi più alti del ‘400, si veda come le immagini siano state concepite come se chi osserva si trovi in mezzo all’ambiente. Ambienti con paesaggi che si espandono illusionisticamente nella parete di legno. La presenza degli oggetti è centrale, sono i protagonisti e sono prelevati da vari campi. Federico è rappresentato come un portatore di virtù, infatti si caratterizza dalla presenza di un tendaggio che lo distingue dalla monumentalizzazione delle altre rappresentazioni intorno con la Fede, Speranza e la Carità. Gli uomini illustri I personaggi rappresentati sono vari, ci sono scienziati, filosofi, scrittori, padri della chiesa, ma anche personaggi del tempo allora moderno, ad esempio, Vittorino da Feltro che aveva reso Federico sensibile all’arte. Inoltre, c’è anche Dante e anche, molto importante, Petrarca. Nella scelta degli uomini illustri Federico utilizza un modello culturale già ben radicato, che incoraggiava il “dialogo” con personaggi autorevoli. Innovativa la scelta di uomini del suo tempo. Inoltre, la lettura dello studiolo di Urbino è diventata una “palestra” per gli studi iconologici, esso spesso veniva messo a confronto con altri studioli o apparati decorativi ad esempio lo studiolo di Gubbio con i suoi pannelli decorativi. Un fratello gemello dello studiolo di Urbino è lo studiolo di Gubbio, realizzato sempre da Federico per impreziosire l’altro suo palazzo legato alla sua città natale. Costruito fra il 1478-1482, i resti sono stati trasferiti al Metropolitan Museum di NY (le tarsie) Accessi: porta sul lato occidentale + nicchia per finestra Dimensioni: pianta trapezoidale di ridotte dimensioni con forma irregolare, simile a Urbino anche l’altezza (4 metri e mezzo) Decorazioni: rivestimento ligneo a tarsie sul modello di Urbino (mancano le virtù e il paesaggio con lo scoiattolo+ ciclo di tavole dipinte con le Sette Arti Liberali) Artisti: Benedetto e Giuliano da Maiano, varie attribuzioni queste radici Isabella porta nuova ispirazione e intraprendenza di mecenate, unendosi a Francesco. Lui anche fu committente di notevole importanza, a lui si devono i famosissimi Trionfi del Mantegna nel palazzo San Sebastiano a Mantova (1486-1501), o anche la Madonna della Vittoria, quadro realizzato per celebrare la battagli di Fornovo del 1495 e collocato in una chiesa. In questo dipinto abbiamo inoltre il ritratto di Francesco messo in ginocchio di profilo. Isabella appena arrivata in città comincia a immaginare lo spazio del suo studiolo: il progetto dobbiamo immaginarlo come il progetto di una giovane Isabella, infatti risale al 1492; poi verrà modificato nel corso del tempo fino al 1519, anno della morte di Francesco. Lo studiolo di cui parliamo è quello della prima stagione: è un piccolo ambiente che si trova ina zona isolata del castello, in una torre minore proteso verso la veduta del paesaggio (torre sudorientale al secondo piano); le misure erano 5,28x2,72m / altezza 5m / una finestra e poi un balcone. La decorazione ritorna sul solito standard con tarsie in legno, inizialmente un fregio con armi e divise (di Gianluca Lombeni) e interni di armadi; dipinti di artisti celebri come Mantegna, Perugino e Costa; tarsi, maioliche a terra e infissi in marmo. Il tema era un confronto fra vizi e virtù / prudentia-voluptas. Probabilmente Isabella era rimasta colpita dall’esempio della dimora della madre a Ferrara e anche dal belvedere Vaticano: quest’ultimo è un modello che arriva più tardi, ma probabilmente la influenzò nella scelta e disposizione degli oggetti. La grotta, che si trovava al di sotto dello studiolo, invece aveva come dimensioni 5,28x2,32 / altezza 2,72m / una piccola finestra con decorazioni di Antonio e Paolo Mola (tarsie); stipite in marmo da Venezia e soffitto ligneo. Le informazioni che abbiamo sugli oggetti contenuti all’interno dello studiolo le abbiamo grazie all’Inventario Gonzaga redatto dopo la morte di Isabella nel 1542, conservato all’archivio Gonzaga. All’interno della collezione vi erano dipinti, antichità, gioielli, corniole, busti antichi, naturalia (corno di unicorno e denti di pesce), orologi, conchiglie, bronzetti, monete. L’antichità è in genere la categoria che più sembra avere interessato la collezione di Isabella. Il famoso Cammeo Gonzaga con coppia imperiale è di età ellenistica del III secolo a.C., era fra gli oggetti più pregiati della collezione, oggi all’Ermitage. Siamo a conoscenza anche della smodata indole di Isabella nell’appropriarsi di oggetti, ad esempio il busto antico che sottrasse a Mantegna in punto di morte e il cupido dormiente di Michelangelo: quest’ultimo era un falso di arte antica, ma divenuto prezioso e ambito dai collezionisti, appartenente a Cesare Borgia e poi sottrattogli da Isabella, ormai andato perso. Certamente l’interesse suscitato dallo studiolo è legato alla realizzazione dei dipinti che con tanta determinazione Isabella volle per il suo spazio. Sono dipinti di cui sappiamo la bramosia con cui vennero realizzati: erano stati composti espressamente per comporre un programma iconografico aderente allo spazio e alla personalità della committente. Secondo la ricostruzione di Verheyen nel lato nord vi erano Marte e Venere, e Minerva del Mantegna, a Ovest. L’incoronazione di Isabella di Costa e a sud la Lotta tra castità e lussuria di Perugino, e Il regno di Como di Costa. Questi dipinti sono conosciuti ampiamente dalle lettere di Isabella, in cui lei fornisce indicazioni precise dei tempi e modalità di lavoro degli artisti. 1. La Minerva che scaccia i vizi dal giardino delle virtù di Mantegna del 1502 è stato oggetto di diversi studi iconografici e iconologici: questo quadro è stato oggetto di diverse letture. La scena si svolge in una cornice naturalistica ed è dominata dalla figura di Minerva che porta con se una lancia spezzata; nel cartiglio avvolto all’albero di alloro c’è scritto “venite divini compagni delle virtù che stanno tornando a noi dai cieli, bandite questo patto di mostri dalle nostre sedi” riferito appunto alle creature mostruose che popolano il dipinto; in alto le virtù che sono state escluse dal giardino Giustizia, Forza e Temperanza che appaiono nelle nubi in alto in attesa di potere tornare. Le interpretazioni vanno da quella che tende a vedere il dipinto come Minerva che riprende possesso del luogo e lo restituisce alle legittime occupanti, a interpretazioni più articolate come quella che vede la liberazione della mater virtutim, che è citata nel cartiglio, da parte di Minerva che la richiede ai personaggi che occupano il giardino (e non combatte); inoltre questo è il motivo per cui la venere carnale sarebbe rappresentata in una posa quasi di dominio del giardino e al di sopra del centauro. La Minerva è quasi la quarta virtù cardinale, come se stesse interpretando la Prudenza, ed è in virtù di questa sua profilatura che la storia anticiperebbe un esito positivo, senza però darlo per scontato (interpretazione di Feraien). 2. Il secondo dipinto di Mantegna, Marte e Venere rappresenta l’unione fra le due divinità e celebra l’amore. Prevale la venere celeste rispetto la venere intesa come simbolo del vizio. E questo legame fra Marte e Venere sta a indicare il fiorire delle arti e delle scienze, ostacolate però dall’immagine di Vulcano atteggiato in tono minaccioso che potrebbe alludere ad un’insidia. 3. La lotta fra castità e lussuria viene rappresentato secondo una elaborazione iconografica di più semplice lettura e secondo la tradizione: è di fatto una rappresentazione del trionfo di Venere e Minerva su Cupido. Più volte è stato detto che il dipinto è stato ispirato dalla letteratura cavalleresca francese che interessava molto Isabella. 4. L’incoronazione di Isabella d’Este: il personaggio al centro, in una iconografia che ricorda l’incoronazione della Vergine, potrebbe essere una rappresentazione simbolica di Isabella. È datato al 1506/7, alcuni lo datano al 1511. Ci sono diverse letture: il professor Romano vede l’incoronazione di Isabella, da parte di Antéros, come regina all’interno di un giardino dominato dall’armonia. Sarebbe un giardino allegorico della corte Gonzaga, animata dalla passione di Isabella. I personaggi in primo piano sarebbero Diana, personificazione della castità, e Cadmo, protettore delle arti; a terra due fanciulle, la Perseveranza e dell’Innocenza che incorona un agnello. Campbell invece vede nella rappresentazione un elogio della poesia, dunque, sarebbe più strettamente legata alla passione di Isabella per la lirica; i personaggi sarebbero i poeti antichi. 5. Il regno di Como è una tela che va rappresentata come una sorta di competizione fra l’amore celeste, dunque la Venere che incarna le virtù di cui Isabella è portatrice, e la Voluptas. Qui c’è sulla sinistra un personaggio maschile, Como, rappresentato come un demone e simboleggia il piacere terreno. Sul lato destro si avvicina Apollo che vuole entrare nello spazio ma è fermato dalla Venere terrena. Il tema sarebbe quello della Voluptas che ostacola l’unione tra Virtù e Sapienza ovvero Apollo e la Venere celeste. In fondo ci sono Giano e Mercurio che scacciano i vizi. Lo studiolo era dunque una celebrazione delle virtù, della cultura e delle arti, di cui Isabella si proponeva come protettrice e ispiratrice. Sulla disposizione dei dipinti abbiamo un disegno di tardo ‘500 che può farci immaginare come potessero essere incorniciai i dipinti. Alla morte di Francesco avviene una svolta importante: isabella sposta il suo appartamento alla Corte Vecchia nel vecchio palazzo della corte di Mantova, siamo al di là del 1519 quando salì al potere il figlio. Oltre a trasferire studiolo e grotta nella nuova residenza, si occupa anche di rinnovare questi spazi sino alla morte avvenuta nel 1539. Lo studiolo della Corte Vecchia è un po’ più piccolo con dimensioni 6,7x3,5m / 3,90 di altezza, le decorazioni erano un rivestimento ligneo, dipinti del precedente studiolo con l’aggiunta di due dipinti perduti, le due allegorie di Correggio e un monocromo di Mantegna. La grotta aveva un rivestimento ligneo del maestro Sebastiano con strumenti e vedute architettoniche, nicchie e armadi. Il modello dello studiolo abbiamo detto essere stato il Belvedere Vaticano e il tema dell’iconografia rimane il confronto tra vizi e virtù. L’inventario del 1542 (inventari Stivini) è quello a cui facciamo riferimento per avere informazioni. L’appartamento della grotta prevedeva un ambiente molto ampio, in successione, collegato da un corridoio, lo studiolo da cui solo si poteva accedere alla grotta tramite una porta. Poi vi erano tre camerini minori, spazi intimi e riservati al raccoglimento; da qui si accedeva al giardino segreto. Il portale che collegava gli ambienti era stato fatto portare da Isabella dal precedente appartamento ed era stato modificato dallo scultore Tullio Lombardo tra 1522-24. Il giardino segreto è modellato sui modelli visti a Roma da Isabella che combinavano elementi vegetali e antichità. Questo era presente al Palazzo Vaticano ma anche di residenze private ad esempio il palazzo della Valle Capranica, che somiglia molto al giardino della Corte Vecchia. I dipinti di Correggio per il nuovo studiolo rappresentano le allegorie del Vizio e della Virtù (1528- 30): abbiamo a che fare con due allegorie che vanno a completare l’iconografia già presente all’interno dello studiolo. La decorazione comprende poi anche una serie di motti e imprese legate a Isabella: compare il famoso motto “Nec spe nec metu”, né con speranza né con timore; poi una famosa decorazione musicale che viene descritta come tempi e pause e che gli studiosi hanno interpretato come un’allegoria del tempo e del silenzio che sono necessarie all’uomo contemplativo. ALCUNE CONSIDERAZIONI Con il progetto del suo studiolo Isabella realizza in uno stesso insieme spaziale sia una dimensione “pubblica” di rappresentanza, sia un contesto intimo, riservato alla riflessione personale e al raccoglimento. Isabella imposta la propria collezione di dipinti sul principio della comparazione stilistica. È possibile riconoscere nel suo studiolo il prototipo delle future collezioni e dei futuri musei d’arte. cammei, libri, strumenti scientifici. Con questa ripetitività capiamo che si afferma un gusto che diventa un comportamento sociale. Un ulteriore fonte è i Ricordi di Sabba da Castiglione, Venezia, 1554. Trattato sul perfetto uomo di corte. Si riserva ampio spazio al collezionismo e alle opere da collezionare. Sabba ha un interesse diretto per le opere d’arte. Come Cavaliere gerolimitano era stato a Rodi tra 1505-08 operando anche per conto di Isabella al fine di procacciare antichità destinate allo studiolo. Camere e studi sono descritte come i luoghi più adatti ad accogliere opere d’arte: la parola studio diventa sinonimo del concetto stesso di collezione. Altro personaggio importante in questo passaggio di svolta fra studiolo medievale a collezione rinascimentale è Pietro Bembo che si inserisce in questa stagione inaugurata da Isabella con la sua collezione. Il suo studiolo diventa il modello del collezionismo del pieno rinascimento, svincolandosi progressivamente dal concetto di luogo di studio. A Venezia, il collezionismo si afferma in forme di maggiore autonomia. Qui la parola studiolo indica presto l’intera raccolta non uno specifico ambiente (Giovanni, Grimani, Federico Contarini). Bembo esprime la sua passione collezionistica in due stagioni diverse della sua vita: il camerino allestito a Roma durante il suo soggiorno e poi nella sua collezione a Padova. Appare interessante come Alessandro Maggi utilizzi la parola MUSEUM, intesa come idea di collezione che si manifesta anche in uno sviluppo architettonico che interessa un intero palazzo. Una fine di questo percorso la troviamo nei numerosi studioli allestisti all’interno del Palazzo Vecchio, quando Cosimo I assume il titolo di Dica nel 1537 e nel 1540 trasferisce lì la famiglia. A partire dal 1555 i lavori di adeguamento del Palazzo vengono affidati a Giorgio Vasari, che si occupa tra l’altro di allestire la parte sudorientale del palazzo cin nuovi appartamenti: il quartiere di Leone X e il quartiere degli Elementi. Per ciascuno è previsto uno studiolo. È interessante che Cosimo fa allestire diversi studioli di diversi allestimenti, uno dei più interessanti è quello che si trovava nel mezzanino di palazzo vecchio che presentava una volta a botte, sedili a muro accanto a una finestra. Tra gli oggetti posseduti da Cosimo I teste precolombiane di vari animali, piume di uccelli, conchiglie, un coccodrillo, una mandibola di elefante, una testa di vitello ecc. Le decorazioni dello studiolo avevano come tema la rappresentazione di animali e vegetazione. L’interesse di Cosimo per le scienze naturali è ricordato da Vasari. Al primo piano del palazzo, nel quartiere di Leone X, abbiamo uno studiolo cui rimane la decorazione: abbiamo un dipinto nella volta con Cesare nel suo studio. Al secondo piano, nel quartiere degli elementi, abbiamo lo studiolo allestito da Vasari in cui si conservavano oggetti in miniatura: statuette, miniature rare, ritratti dipinti da Giulio Clovio, gemme; Inoltre, un rilievo di Donatello, una testa di Nicola Pisano e una scultura etrusca. La figura che Vasari dipinge è Calliope che riunisce, secondo lui, le altre otto muse. Rivolge lo sguardo al cielo per implorare clemenza e illuminazione per le sue sorelle. L’orologio ai suoi piedi allude al fatto che attraverso gli studi si risparmia tempo. Il paesaggio che si intravede sullo sfondo allude alla solitudine e i due putti alludono all’amore scaro e profano. Altro studiolo è il cosiddetto Tesoretto di Cosimo I che presenta la volta con le arti e le scienze, gli evangelisti. La volta va intesa come un cosmogramma, celebrazione di Cosimo quale demiurgo e protettore delle arti e delle scienze. Ultimo studiolo è il cosiddetto scrittoio del terrazzo. Lo studiolo di Francesco I È uno spazio adiacente al tesoretto, privo di finestre, concepito come uno scrigno chiuso. Viene ricavato da una camera da letto posta accanto al Tesoretto, e di questo spazio abbiamo dei dati: innanzitutto, oggi abbiamo un allestimento di una ricostruzione del 1910; le dimensioni sono grandi 8,4x3,3 metri altezza 5,6m; progetto coordinato da Vasari; progetto iconografico di Vincenzo Borghini riguardo all’equiparazione delle creazioni fatte dall’uomo e dalla natura, Microcosmo e Macrocosmo vengono comparato coinvolgendo i quattro elementi, i temperamenti e le età dell’uomo. La funzione è principalmente simbolica; lo studio non più unico spazio di raccolta, ma elemento di spicco di un insieme espositivo più esteso. Lo scopo della decorazione è descritto anche dallo stesso artista in fonti che ci sono pervenute. Musei, gallerie, camere delle meraviglie. Il collezionismo tra XVI e XVII secolo Il collezionismo in Italia è uno dei fenomeni più importanti, soprattutto nella città di Roma, ma non solo. Il collezionismo rinascimentale antiquario inizia nel ‘400 ed esplode nel XVI secolo: si ricercavano oggetti antichi tramite scavi, vi erano mercati dell’antichità e al tempo stesso si affermano esigenze di tutela. Si stabilisce un rapporto fortissimo fra collezionismo - raccolta di oggetti, esposizione, spiegazione – ed esigenze di tutela. Tre sono gli episodi fondamentali che nella prima metà del ‘500 caratterizzano l’affermazione di questa sensibilità: 1. La donazione, o meglio restituzione, di Sisto IV nel 1471 dei bronzi conservati presso l’area del Laterano alla città di Roma. Questo è l’atto fondativo delle collezioni capitoline (istituiti però nel 1734). È un atto di natura politica che tende ad affermare la superiorità del potere pontificio sull’intera città di Roma; è anche un atto simbolico di appropriazione del patrimonio antico. Fra i pezzi ci sono lo Spinario, la lupa capitolina, il colosso di Costantino e l’atto in cui si allude alla restituzione di papa Sisto IV a Roma 2. L’allestimento del cortile del Belvedere in Vaticano: il cortile delle statue viene realizzato nell’ambito del progetto di Bramante per collegare i palazzi vaticani al casino del Belvedere. Nel ricavare questo cortile si stabilisce un modello per il collezionismo di antichità. Il cortile era arricchito dai grandi capolavori delle collezioni antiquarie vaticane: il Torso, l’Apollo, la Cleopatra, la Venus Felix, l’Ercole e Anteo, il Laocoonte, le statue del Tevere e del Nilo. Alberi di arancio evocavano il giardino delle Esperidi. 3. La lettera di Raffaello a Leone X: documento fondamentale per la storia della tutela del patrimonio. Nel 1516 Raffaello è nominato ispettore generale delle Belle Arti. Esiste un documento molto importante del 1550 di Ulisse Aldrovandi che durante il viaggio a Roma prende nota e descrive le statue antiche che si vedono per la città. La prima che andiamo a citare è la casa di Jacopo Galli, personaggio poco noto se non per i suoi rapporti con Michelangelo. Fu lui il banchiere che il cardinale Riario manda a Firenze per scoprire chi fosse stato l’artista ad averlo ingannato con una statua finto antica (un cupido dormiente). Nella sua casa, Galli aveva un giardino all’interno del quale aveva raccolto antichità dove si trovava anche il Bacco di Michelangelo. Capiamo che il collezionismo è cambiato: siamo usciti dallo studiolo e iniziamo a esplorare luoghi diversi che contengono oggetti da collezione. Risponde alla categoria di questi collezionisti raffinati, il cardinale Andrea Della Valle, descritto da Vasari come uno dei primi ad occuparsi del restauro degli oggetti di antichità. La collezione si estende a un intero palazzo (superamento del concetto dello studiolo): nel primo livello vi sono statue dentro nicchie, nel secondo livello dei bassorilievi e poi una cornice marcapiano dove si sviluppa un terzo livello con statue ridotte all’interno di nicchie alternate da bassorilievi; si afferma il principio del “godimento pubblico” perché si prevede anche un’ideale pubblico che possa accedere alle rarità della collezione (Cardinale Cesarini, Della Valle, ecc.). Altro esempio di importante raccolta è il Cortile di Casa Sassi e il Giardino di Palazzo Cesi. La collezione del cardinale Federico Cesi è fra le più importanti del ‘500: lui aveva ereditato dal fratello maggiore un palazzo e un giardino di antichità a cui vi si dedica soprattutto a partire dal 1540, curandone aspetti architettonici ed espositivi e definendone il mantenimento con i vincoli ereditari. Infatti, al momento della morte vincola le sue proprietà, imponendo ai propri eredi di lasciare gli averi nello stesso stato in cui li ha lasciati. Il fedecommesso sarà uno degli strumenti che permetteranno la conservazione di tante collezioni nella storia dell’arte. Evoluzione delle raccolte tra XV e XVI secolo Si parte dallo studiolo, poi si allarga con una moltiplicazione degli ambienti espositivi (es. Giovio) fino ad arrivare alla galleria. Verso il museo: è uno spazio diverso che doveva essere fortemente legato alla personalità del proprietario ma concepito anche per l’esposizione, e che iniziava ad avere una propria logica espositiva di natura estetica/critica/storiografica. Alcuni fenomeni segnanti in tal senso furono:  Il museo di Paolo Giovi sul lago di Como Villa ispirata ai modelli antichi (villa di Plinio il Giovane), definita “iocundissimus museo”, 1536-43 che comprendeva una galleria di ritratti di uomoni illustri (Tempio della Fama); dialogo De viris illustribus sugli artisti (rapporto tra storiografia e collezionismo);  Il medico olandese Samuel Quiccheberg scrive il primo trattato di museografia (1565) Documenta il criterio di ordinamento della collezione di Alberto V di Baviers. Organizzazione i 5 categorie (storia sacra e la genealogia familiare; prodotti artistici; naturalia; strumenti musicali e oggetti esotici; dipinti; Incisioni e stampe)  Apertura degli Uffizi al pubblico (1584) Galleria e Tribuna Seconda collezione privata aperta al pubblico (dopo la donazione di Sisto IV); si definiscono già i compiti e spazi fondamentali del museo. La Tribuna degli Uffizi è un grande spazio a pianta ottagonale realizzato da Bernardo Buontalenti fra 1581 e 1583 con l’intenzione di contenere gli oggetti della collezione del duca Francesco I de Medici. Era una sorta di scrigno prezioso con all’interno oggetti di natura diversa, con una struttura che alludeva gli edifici dell’antichità classica e dell’età cristiana. La sua architettura è ricca di riferimenti simbolici. La cupola, richiamo alla volta celeste, esternamente presenta una lanterna sormontata da una banderuola di ferro legata ad una lancetta che ne riproduce gli spostamenti su una rosa dei venti all’interno. Francesco I aveva concepito la Tribuna come un luogo che rappresentasse i quattro elementi del mondo naturale. Sappiamo che quegli anni. Dal 1904, con la nomina di Pierpmont Morgan a presidente, si apre una nuova stagione di slancio e di ampliamento delle collezioni. Durante i primi 50 anni di attività il MET si concentra sull’arricchimento delle collezioni e sull’impegno educativo. La prima acquisizione è un sarcofago romano di età severa donato nel 1870; si succedono poi delle acquisizioni come quella fatta di Blodget durante il suo viaggio in Europa: dipinti di “antichi maestri”, soprattutto olandesi e fiamminghi (Van Dijck ecc.), in omaggio alle origini nederlandesi della città di N.Y. La prima scultura è una scultura di Benjamin Franklin acquisita nel 1872. Luigi Palma di Cesnola fu il primo direttore del MET, fu un militare, diplomatico, archeologo italiano. Nacque nel 1832 vicino Torino. Combatte nella prima guerra d’indipendenza, poi in Crimea per poi trasferirsi nel 1860 in America dove combatte nell’esercito nordista durante la guerra civile. Nell’ottobre 1861 gli viene offerto il grado di maggiore dell’11 reggimento cavalleria New York, che aveva il compito di scortare Lincoln. Dopo varie vicissitudini militari, nel 1865 Palma viene nominato console degli Stati Uniti a Cipro, allora sotto il dominio ottomano. Qui si dedica con molto impegno agli scavi archeologi per quasi undici anni. I suoi ritrovamenti fornirono molte testimonianze delle antiche civiltà del Mediterraneo. Riportò alla luce più di 35mila reperti. Arriverà a vendere 22 mila reperti al MET, sarà poi riconosciuto come uno dei massimi fiduciari del museo (1877) per poi essere nominato come primo direttore dello stesso. Morirà nel 1904. L’epoca dell’assestamento (1880/90) Alcuni collezionisti privati di importanza all’interno della società borghese dell’epoca, come Catharine Lorillard Wolfe, Erwin Davis e Henry Marquand inizieranno in questi anni a donare i pezzi d’arte al museo. Altro importante donatore fu sicuramente John Rockefeller, Jr. grazie al quale il MET acquisì le sculture assire del Palazzo di Nimrud nel 1932 che di fatto costituisce uno dei nuclei fondamentali del museo. Fin dall’inizio la missione pedagogica e educativa è al centro degli obiettivi del MET, in questo passaggio fu fondamentale il modello tedesco che era all’epoca all’avanguardia nel settore museale. La chiave di volta per lo sviluppo del MET fu l’arrivo a New York di Valentiner, allievo di Bode che aveva concepito l’assetto “contestuale” del Kaiser Friedrich Museum di Berlino (pioniere delle “period rooms”). Già nel 1880 il MET aveva aperto una scuola di arte focalizzata sulla produzione industriale per educare alla visione estetica; nel 1890 avvia le aperture domenicali e nel 1941 apre il dipartimento educativo. Questo ci porta alla democratizzazione dell’esperienza museale (study rooms prenotabili dai visitatori). Le period rooms diventeranno famosissime e inizialmente avevano anche lo scopo di sollecitare un certo spirito americano. La particolare esperienza del Dipartimento delle Stampe del MET È dal 1916 che il MET decide di avviare il modo sistematico la costituzione di un dipartimento delle stampe davvero significativo, Il compito viene affidato al giovane William Ivins, grande conoscitore, particolarmente interessato all’opera di Durer. Ivins sottolinea dall’inizio il potenziale educativo dello studio delle stampe e ritiene strategico che il proprio dipartimento favorisca il più possibile l’incontro tra il pubblico e le opere. Il compito del curatore del dipartimento è per Ivins quello di enfatizzare l’aspetto umano del materiale con cui si cimenta, nonché i vari usi e scopi che lo hanno interessato non soltanto nel passato, ma quelli esso può essere ancora impiegato nel tempo presente. “Mostrare e non dire” -Ivins Tesori dal mondo Oltre ai donatori, dal 1906 il MET finanzia degli scavi in Egitto (1906-1936) e nel Medio Oriente (1926 in Palestina / 1932-47 in Iraq). Dagli anni ‘20 si manifesta una nuova attenzione per l’arte americana e per le arti popolari (le civiltà). Impegno personale del MET per la salvaguardia delle opere d’arte in Europa durante il secondo conflitto mondiale. Dagli anni ’70 nuova stagione di acquisti. Il mecenatismo privato Lousine e Henry Havemeyer furono una coppia di donatori del MET che ebbe una influenza decisiva nella sua storia e anche nel gusto stesso del museo (apertura all’Impressionismo e al post- Impressionismo, alle arti dell’Asia e alle arti minori). Nel 1929, 1967 oggetti di loro proprietà entrano al MET, sono tutte opere di primaria importanza storico-culturale. La stessa Lousine raccontava del momento decisivo che ebbe il viaggio fatto da ragazza a Napoli, dunque sottolineava la forza che dà ai giovani l’incontro con la cultura. ______________________________________________________________________________ Il collezionismo a Venezia nel ‘500 - Emulazione tra le famiglie aristocratiche nell’utilizzo del patrimonio per glorificare il prestigio delle proprie origini; - Comprensione del valore politico e comunicativo delle collezioni d’arte; - Pratica del collezionismo come investimento economico e culturale; - Accanto alla passione per la scultura e la glittica, si registra una particolare attenzione alla pittura contemporanea e a genere del ritratto. Andrea Odoni La collezione di Odoni riflette un gusto dell’alta borghesia e documenta criteri espositivi del primo ‘500. Distribuzione: Studio al primo piano con oggetti di piccole dimensioni. Portego o loggia chiusa (prototipo delle gallerie) ospita la collezione di dipinti. Camera da letto con gli oggetti sacri e profani. Abbiamo il suo ritratto del 1527 realizzato da Lorenzo Lotto. La descrizione di casa Odoni ci è fornita dal Michiel (1521-34) che ci parla anche della generosità e ospitalità dell’Odoni. Gabriele Vendramin (1484-1552) Era uno dei personaggi citati da Michiel che ci dice di un cospicuo numero di dipinti di Giorgione all’interno della sua collezione, fra cui la tempesta. La sua è una raccolta di altissimo profilo, descritta dal Doni né I marmi. Domenico Grimani (1461-1523) Collezione che nasce a Roma, con pezzi provenienti dal Quirinale, dove il cardinale stava edificando il suo palazzo. Nel 1523, alla morte del Cardinale, la collezione contava 170 pezzi, tra marmi antichi, bronzi e dipinti moderni (Raffaello, Bosch, Quenti Metsys, cammei, medaglie, libri pregiati). Biblioteca di 15 mila volumi che aveva acquisito la raccolta DI Pico della Mirandola. Domenico Grimani era un uomo colto: si era dottorato a Padova in arti il 23 ottobre nel 1487 e non aveva mia smesso di coltivare gli studi. Tra gli oggetti di maggior pregio c’era il famoso breviario Grimani: esso era composto da una prima parte rappresentante i mesi e i mestieri, nella parte successiva vi erano soggetti religiosi e biblici. Il Grimani lascia alla Repubblica di Venezia la propria collezione allo scopo di costruire un museo pubblico. La prima collocazione è Palazzo Ducale: questo è un atto importantissimo da affiancare alla famosa donazione fatta a Roma dal papa. Abbiamo anche un’effige che celebra questa donazione privata ad un ente pubblico. La nascita dello Statuario Pubblico, frutto dall’unione tra la raccolta di D. Grimani e quella del nipote Giovanni, patriarca di Aquileia. La collezione statuaria lasciò il Palazzo Grimani di Santa Maria Formosa nel 1594 dopo la morte di Giovanni, il quale aveva donato la sua preziosa raccolta alla Serenissima Repubblica di Venezia. Sede della collezione divenne l’antisala della Biblioteca di San Marco. Condizioni stabilite da Giovanni Grimani per la costituzione dello Statuario: a) Trovare un luogo pubblico adeguato; b) Riunire la sua donazione con quella dello zio, ospitata nella Sala delle Teste ritenuta inadeguata; c) Garantire un’illuminazione dall’alto, quindi del tutto simile a quella della sua Tribuna. Della sistemazione dell’anticamera della Libreria Marciana fu incaricato l’architetto Scamozzi, il quale creò “una sorta di foro antico, in cui si accostavano con mirabile effetto, in un affollamento studiatissimo, torsi, busti, statue, frammenti, iscrizioni. (USO DI NICCHI E BASAMENTI LUNGO LE PARETI INCORNICIATE DA PARTITURE CORINZIE). È un esempio del modello di museo “evergetico” ovvero quello dovuto dalla generosità di un singolo benefattore. Lo statuario venne aperto al pubblico nel 1596. La donazione Grimani è il terzo episodio di una raccolta artistica donata “al pubblico”: - 1523 Testamento di Domenico Grimani MUSEO PUBBLICO Palazzo Ducale - 1587 Donazione di Giovanni Grimani STATUARIO Libreria di San Marco - 1596 Apertura dello STATUARIO con la sistemazione dello Scamozzi. Dalle wunderkammern ai musei scientifici L’evoluzione delle raccolte naturalistiche:  Le wunderkammern e le raccolte di meraviglie si qualificano come raccolte di corte e congiungono artificialità e naturalità.  Le raccolte scientifiche si sviluppano invece in modo progressivo, con forti commistioni con la bizzarria, la meraviglia, la magia. Trovano la loro evoluzione in ambienti protoscientifici (filosofia della natura) e inoltre sono luoghi di studio e di ricerca. Queste raccolte poteranno allo sviluppo dei musei scientifici. All’interno della raccolta milanese, come in quella di Kircher, vi erano degli automi (il demonio automa, oggi al Castello Sforzesco): questo era ovviamente un fattore di meraviglia che aumentava di certo l’attrattività di questi luoghi. Un passo indietro nel tempo: Federico Borromeo e la Pinacoteca Ambrosiana di Milano Nel 1607 fonda la Biblioteca, aperta al pubblico nel 1609. Nel 16818 viene fondata la Pinacoteca e in essa confluisce la quadreria personale del Cardinale. Nel 1625 il Cardinale pubblica un catalogo del museo ambrosiano che oggi è importante per capire la concezione di museo nel primo ‘600: intanto viene data importanza al testo descrittivo, infatti viene narrata la genesi dell’opera letteraria. Questo spiega poi la presenza delle descrizioni accanto alle opere nel museo. Oltre a ciò, importanti sono anche le repliche dei pezzi originali delle opere considerate strumento di trasmissione delle opere più celebri e rinomate. La pinacoteca si caratterizza anche per la modernità del gusto manifestato dal Borromeo: nature morte e paesaggio erano fra le scelte principali del collezionista, soprattutto di artisti fiamminghi. È presente anche il tema della “battaglia tra le opere” nella cultura del collezionista e del conoscitore (il confronto tra le scuole pittoriche nell’esercizio del gusto), che diverrà caratteristica del collezionismo 600esco. Giulio Mancini farà appunto delle Considerazioni a riguardo. Il Seicento è anche il secolo dell’esplosione di un’altra tipologia espositiva ovvero la Galleria È uno spazio architettonicamente molto importante e ha una concezione espositiva diversa da quella dello studiolo che era fatto per una fruizione a colpo d’occhio, con una forte centralità del proprietario e uno stretto legame fra proprietario e lo spazio; lo spazio della galleria è più ampio e che presuppone un movimento significativo, si proietta verso una dimensione altra e aperta all’idea della visita. Una fonte importante dedica uno spazio importante alla rilevanza delle gallerie: Vincenzo Scamorzi (1615) ci dice che si usano molto a Roma e Genova, dove sono state introdotte ad imitazione di un modello francese con finalità di far passeggiare i membri della corte e concepite anche per la rappresentanza. È bene che si trovi a un piano sopraelevato e che guardi a uno spazio ameno, e che abbia una corretta illuminazione. Una galleria importante era quella di Carlo Alberto di Savoia di cui abbiamo un documento che ne testimonia le caratteristiche: Zuccari dipinse delle vedute naturalistiche e rappresentazioni con animali; c’era la figura della cosmografia, gli imperatori ecc. Insomma, il visitatore aveva l’impressione di entrare in un microcosmo di forte impatto, pensato per colpire l’immaginazione. Le gallerie a Roma nel ‘600 - Modello francese - Commistione di antichità e pittura - Nuovi criteri di allestimento - Funzioni celebrative e narrative - Gusto per l’assetto scenografico Ne vennero realizzate molte, da ricordare sicuramente è la residenza di Villa Borghese concepita come teatro del mondo, contenitrice di opere d’arte. L’ispirazione è antiquaria, ha un carattere “pubblico” (apertura esterna, esposizione di statue in facciata); eclettismo (natura e arte), teatro dell’universo. Espressione del collezionismo del cardinale Scipione Borghese, frutto di commissioni importanti e di operazioni spregiudicate (1607 confisca delle opere della bottega del Cavalier d’Arpino, acquisizione della Deposizione Baglioni di Raffaello, acquisizione della Caccia di Diana del Domenichino). L’allestimento originario non era sistematico, né sotto il profilo dei materiali e delle tecniche, né delle scuole o delle iconografie. Esistevano però delle aggregazioni di natura tematica o stilistica, utili ad esercitare l’occhio dell’osservatore su determinati soggetti. La collezione Giustiniani fu un’altra collezione romana fra le più celebrate. Costituita da Benedetto e Vincenzo Giustiniani presso San Luigi de’ Francesi (1638 – 600 dipinti e 1800 sculture). La galleria doveva ospitare una parte della grande collezione della famiglia che conteneva, fra le altre, la famosa Atena Giustiniani. Durante il ‘600 la galleria diventa lo spazio espositivo per eccellenza, ambiente di rappresentanza della classe nobiliare, con apparati decorativi magniloquenti che hanno due funzioni: Celebrare la famiglia del proprietario e fornire il giusto contesto espositivo alle collezioni di dipinti e soprattutto di antichità. Giulio Mancini nel 1620 circa scrive un saggio sulla pittura che parla anche del fenomeno del collezionismo e in cui vengono definite una serie di regole per comprare, collocare e conservare le pitture. In generale sembra prediligere:  Un allestimento per scuole e cronologia, coerenza fra temi e spazi di esposizione;  galleria: disposizione “secondo le materie, il modo del colorito, il tempo nel quale sono state fatte e della scuola”. Nascita di una nuova concezione dell’arte Sviluppo di un gusto “moderno”, caratterizzato da eclettismo (ricerca della verità) ed un fenomeno di “laicizzazione”, nel senso di capacità di disgiungere il significato iconografico (e il conseguente valore iconico) della “qualità” esecutiva dell’opera. Emerge il concetto di autonomia del bello (casi delle opere rifiutate e acquistate dal collezionismo privato/ Morte della Vergine di Caravaggio). “La storia del collezionismo a Roma nel ‘600 deve essere studiata come storia di questo processo: ossia l’emergere, faticoso e spesso contraddittorio, di una concezione e di una pratica moderna dell’arte fondata sul riconoscimento autonomo dell’opera” (L. Spezzaferro). Palazzo Farnese Durante il periodo del cardinale Odoardo, morto nel 1626, (docum. Inventario del 1644), vengono allestite “camere dei quadri” ambienti destinati alla conservazione e alla CONTEMPLAZIONE delle opere. Nasce un valore intrinseco dell’opera d’arte – a questo si aggancia anche il rinnovato interesse per i disegni; stesso fenomeno si riscontra nella Collezione Giustiniani con la Stanza Grande dei Quadri Antichi (spazi organizzati per collezionare dipinti in cui si attribuiva un valore autonomo) LA NASCITA DEL MUSEO MODERNO Dovremo aspettare fino al Diciottesimo secolo per la sua nascita. I comportamenti e i fenomeni pregressi di cui tenere conto sono: 1) L’apertura delle collezioni private al pubblico 2) L’evoluzione degli approcci espositivi e di comunicazione delle collezioni (organizzazione, allestimento, cataloghi) 3) La cessione di beni alla comunità (donazioni di Sisto IV, Uffizi, Statuario Grimani, Pinacoteca Ambrosiana, Aldrovandi) 4) Sviluppo di una sensibilità volta alla diffusione della conoscenza (Lincei e tradizione filosofico-scientifica dei musei) Il museo nel ‘700 Fattori che contribuiscono alla nascita del museo del ‘700: - L’esigenza di tutela (particolarmente in Italia, nello stato della chiesa per contenere il fenomeno della dispersione) ad es. col fedecommesso - Il valore del bene pubblico e della condivisione del patrimonio sulla scia del pensiero illuminista e poi della Rivoluzione francese. La fondazione dei Musei Capitolini – 1734  1734 – Papa Clemente XII cede la collezione Albani alla collezione Capitolina e fonda la prima collezione pubblica di antichità, che si unisce alla donazione di Sisto IV;  Ordine per nuclei tematici e allestimento volto a dare evidenza ai capolavori;  1741-1745 - pubblicazione dei primi cataloghi rivolti al pubblico;  1734 - Viene fondata anche l’Accademia del nudo, in diretta relazione con le raccolte antiquarie (precedente: Accademia del disegno fondata dal Borromeo a Milano);  1748 – Benedetto XIV acquista le raccolte da Pio da Carpi, dando origine alla Pinacoteca Capitolina. Editto del Cardinale Annibale Albani - 1733 L’editto Albani del 1733 è di cruciale importanza nella storia della tutela non solo perché blocca la vendita della collezione di Alessandro Albani, ma perché fra i motivi di protezione del patrimonio artistico indica, oltre al “pubblico decoro di quest’alma città di Roma”, anche “il gran vantaggio del pubblico e del privato”, e cioè la nozione di UTILITAS. È il principio illuminista del patrimonio come bene comune, alla base della costituzione dei musei settecenteschi e successivi. Va collegato a questo desiderio di diffusione della conoscenza, sia la donazione delle collezioni granducali alla città di Firenze (1737) sia l’apertura degli Uffizi al pubblico (1769). Un progetto illuminista: il Musei Lapidario di Scipione Maffei a Verona Un progetto pre-illuminista che sarà modello di riferimento successivamente. Sistema dell’arte affidato all’Academie Royale de Peintures et de Sculptures – SALONS A metà ‘700 emerge la richiesta di maggiori condizioni di accessibilità e di protezione delle opere 1750 – apertura del Palais du Luxemburg (per iniziativa del Marchese di Marigny), due volte a settimana per tre ore – Raccolta di pitture 1755 – Si incoraggia per iniziativa del Conte Charles D’Angiviller la trasformazione del Louvre in palazzo delle arti (proposta coerente con le idee di Diderot in merito al progresso delle arti e delle scienze). Queste iniziative non arriveranno a iniziative concrete fino allo scoppio della rivoluzione. Un forte interesse per il tema del Museo è testimoniato in Francia dai concorsi dell’Academie d’Architecture per il Prix de Rome 1753: il tema era la realizzazione di una galleria associata ad un palazzo, con rotonda a cupola con lacunari, fiancheggiata da gallerie 1778: progettazione di un museo distinto in varie sezioni espositive (arte, storia naturale, numismatica ecc.). Ne emerge un modello di museo a pianta quadrata con quattro cortili a croce greca (influenza di Etienne-Louis Boullé, autore di un progetto di museo ideale, 1783). La Villa Albani a Roma Villa suburbana del cardinale Alessandro Albani concepita per accogliere una raccolta di antichità non aperta al pubblico. Architetto Marchioni; fondamentale apporto di Winckelmann, allora bibliotecario del cardinale. Approccio tematico e innovativo rapporto tra opere e spazio. Si manifesta il desiderio di dare evidenza alle opere. Influenza sul futuro Pio-Clementino in Vaticano. La nascita dei Musei Vaticani 1763- Winckelmann viene nominato commissario alle antichità di Roma. Già Clemente XI Albani avanza l’idea di un museo pontificio. Nel 1757 Benedetto XIV Lambertini fonda il museo di antichità cristiane (Museo Sacro). 1761 – Clemente XIII fonda con l’assistenza di Winckelmann il Museo Profano (approccio scientifico moderno; mostra non soltanto interesse per i capolavori, ma anche a suppellettili e oggetti minori). Due pontefici per il museo Pio Clementino, ovvero CLEMENTE XIV GANGANELLI pontefice dal 1769 al 1774 e PIO VI BRASCHI pontefice dal 1775 al 1799. 1770 – Chirografo di PAPA CLEMENTE XIV: Acquisto della collezione Mattei di antichità “per collocarle a pubblico decoro”. Vengono disposti lavori di adeguamento dei palazzi vaticani, dove sono individuati gli spazi del Cortile del Belvedere e la palazzina di Innocenzo VIII 1770-72 – Progetto di Alessandro DORI: impostazione scenografica, con realizzazione di una vasta galleria, decorazione abbondante con stucchi. Progetto di Michelangelo SIMONETTI (fino al 1787, a lui dobbiamo l’assetto più importante): collega la galleria delle statue al cortile dove realizza un cortile porticato ionico e progetto l’accesso al museo attraverso una sequenza di ambienti tra cui spicca il Vestibolo Rotondo. Precedentemente progettato da Thomas Harrison per trasformare il cortile di Bramante in un museo coperto da una cupola, sul modello del Pantheon (1770). Il cortile delle statue di Simonetti di ispira agli atri delle case romane (conosciute dagli scavi archeologici a Ercolano e Pompei). L’uso di “gabinetti” (o piccoli templi) favorisce una fruizione contemplativa ed esalta la centralità dei capolavori, isolandoli (ruolo dell’illuminazione attraverso oculi). Forte influenza del pensiero di Winckelmann. 1774 - PIO VI BRASCHI riprende il progetto del predecessore Clemente XIV e lo amplia modificandolo: prolungando la galleria delle statue; sequenza delle sale romane; atrio dei quattro cancelli e sala della biga (demolizione della cappella di Mantegna risparmiata da Clemente XIV) L’intervento di PIO VI porta una svolta neoclassica decisa, con ambienti ispirati ai grandi monumenti della Roma imperiale (il tempio di Minerva Medica, il Pantheon, la basilica, le terme): Sala degli Animali, sala delle Muse, sala rotonda, sala a croce greca, scalone di Simonetti. Cuore del museo diventa ora la Rotonda modellata sul Pantheon e motivo ispiratore della museografia ottocentesca. Seguono il Gabinetto delle Maschere e la sala dei candelabri. Bernardino Nocchi – Allegoria del museo Pio Clementino: le arti introdotte all’interno del museo con una magniloquenza architettonica che riproduce quello che era il gusto in quegli anni. Il museo realizzato da Simonetti è caratterizzato da una forte sensibilità per la luce ed il colore. Si concentra sull’esaltazione degli spazi interni e presenta una forte capacità evocativa. La varietà è il suo tratto peculiare. Evidenti sono anche le influenze dell’architettura neoclassica inglese (Robert Adam, William Kent). Giovanni Battista Visconti (1722- 1784) Succeduto al Winckelmann come commissario alle antichità. 1782 – pubblicazione del catalogo delle collezioni (con il figlio Ennio Quirino). Il museo P.C. esercitò una fondamentale influenza sulla nascita del museo dell’intera Europa Elementi attrattivi e di grande novità:  Celebrazione della cultura antica con forti legami con il presente  Allestimento curato e aggiornato rispetto all’epoca  Varietà delle collezioni (non solo antichità classica, ma anche reperti etruschi, egizi, oggetti d’uso quotidiano, pittura moderna, stampe)  Attenzione all’aspetto didattico e educativo. La nascita del Museo del Louvre Ciò che contraddistingue la nascita del Louvre è soprattutto il suo corto circuito storico-culturale, frutto non del gesto di un sovrano, ma prodotto di uno stravolgimento epocale, la Rivoluzione. Il museo diventa il simbolo del passaggio del patrimonio identitario, estetico, culturale di una nazione dalle mani della monarchia a quelle della Repubblica. 26 luglio 1791 – L’assemblea nazionale costituente decreta l’esproprio dei beni della Corona 27 settembre 1792 – Istituzione del Musée Revolutionnaire nel palazzo del Louvre, successivamente rinominato Musée Central des Arts (1797) 1793 – Inaugurazione del Museo Al momento dell’apertura il museo raccoglieva 537 dipinti, 124 sculture in marmo, bronzo, tavoli, orologi, porcellane, assemblati in modo alquanto caotico e senza un criterio di organizzazione e selezione. La riorganizzazione per scuole e l’ordine cronologico aveva anche lo scopo di occultare l’origine di molte acquisizioni (confische) e il significato delle opere religiose (necessità di prevenire ogni forma di nostalgia prerivoluzionaria) RETORICA DELLE OPERE RESTITUITE ALLA LIBERTA’ fattore simbolico fondamentale che legava il Louvre alla sua nascita e in generale alla vicenda rivoluzionaria. Fra i personaggi che si susseguono e che discutono le questioni legate al Museo c’è il pittore David che svolse un ruolo fondamentale per le arti in quel periodo e in un documento lui si pone il problema di chi avrebbe dovuto prendere le redini del Museo e in che modo. Il museo disse, deve funzionare come una grande scuola e serve a salvare il popolo dall’ignoranza grazie alla salvaguardia del patrimonio. Lui sottolineava anche la questione della tutela delle opere perché sennò sarebbero andate perse. La fase più importante del Louvre cade sotto le campagne napoleoniche grazie a cui il museo aumentò il numero delle opere all’interno della collezione. Fra le campagne vi sono: 1794/95 Paesi Bassi 1796 – Italia (partono per la Francia il cartone della Scuola di Atene dell’Ambrosiana, la Madonna della Vitoria di Mantegna, i dipinti dello studiolo di Isabella d’Este, il Codice Atlantico di Leonardo, la pala di San Zeno, la Santa Cecilia di Raffaello) 1797 TRATTATO DI TOLENTINO: la Francia impone la cessione di una serie di dipinti con la scusante di portare i capolavori nella terra della libertà 1797 – TRATTATO DI CAMPOFORMIO (Venezia viene ceduta all’Austria e i francesi prelevano i cavalli di San Marco, le nozze di Cana del Veronese, altre opere di Tiziano e Tintoretto) 1798 – I Francesi entrano a Roma e depongono Papa Pio VI proclamando la Repubblica. I marmi più preziosi del Pio-Clementino e delle collezioni romane partono per Parigi È interessante il fatto che con le campagne napoleoniche il tema delle requisizioni passa dal valore rivoluzionario (il dono al popolo, la conquista della libertà) al trofeo di guerra (= valore patriottico; risarcimento dei sacrifici e delle vite dei soldati). A partire dal 1802, piena età napoleonica, appare nella scena del Louvre Dominique Vivant Denon, diplomatico, incisore, scrittore. Dopo la campagna d’Egitto conquista la fiducia di preferita alla bellezza; Von Klenze era invece dell’idea di costruire spazi evocativi con decorazioni, ed è questo il tipo di allestimento che di fatto venne scelto. Infine, Ludovido di Baviera commissione anche allo stesso Von Klenze un secondo palazzo museale destinato alla raccolta dei dipinti, l’Alte Pinakothek. Si sceglie uno stile rinascimentale che recupera l’ambientazione della galleria. IL carattere più innovativo è conferito dalle tre fasce parallele di sale comunicanti: 1. Fascia centrale come galleria di dipinti 2. Prima fascia laterale contente cabinets con opere minori 3. Seconda fascia laterale decorata con affreschi da Cornelius con scene della vita degli artisti Prevale una impostazione di tipo cronologico Lo stesso architetto venne poi chiamato a San Pietroburgo per realizzare il Palazzo dell’Ermitage. Berlino: l’avventura appassionante dell’ALTES MUSEUM PROTAGONISTI: - FEDERICO GUGLIELMO III - ALOYS HIRT (Archeologo, docente di teoria delle belle arti a Berlino) - KARL FRIEDRICH SCHINKEL (Architetto) - GUSTAV FRIEDRICH WAAGEN (Storico dell’arte e futuro direttore del museo) - HEGEL (Filosofo e docente di estetica a Berlino) - WILHELM VON HUMBOLDT (Fondatore dell’università di Berlino, presidente della commissione per il museo) - KARL FRIEDRICH VON RUMHOR (Storico dell’arte) Il progetto era stato affidato a Karl Friedrich Schinkel, che già nel 1817 aveva realizzato la Neue Wache, di forte ispirazione classica e ad imitazione del Pantheon. L’Altes Museum viene concepito come edificio posto al cuore della città, come spazio di forte rilevanza simbolica. Edificato nel 1825-1830, ha una pianta rettangolare, due cortili interni, un portico ionico che evoca la stoà greca. L’edificio trova il suo fulcro nella ROTONDA, definita da Schinkel come il SANTUARIO DEL MUSEO. Già nel 1796, Hirt propone a Federico Gugliemo II di aprire un museo di antichità al pubblico. Sensibile alle idee dell’illuminismo, sostiene un’idea di museo didattico, luogo di studio, una scuola per la Nazione. Ispirati al pensiero di Hegel, Schinkel e Waagen sostengono una idea di museo come tempio della bellezza, luogo di contemplazione estetica (contrario quindi alla celebrazione della Ragione di matrice illuminista). La rotonda dell’Altes Museum, influenza dei progetti di Boullée, del Pio Clementino, di Simonetti e naturalmente dell’architettura romana, Pantheon. L’allestimento era molto raffinato, con balaustre in ferro battuto e decorazioni evocative. I capolavori venivano valorizzati attraverso una esposizione centrata e possibilmente isolata. Le opere minore venivano poste in spazi meno visibili. Venne escluso il ricorso alle copie, suggerito da Von Humboldt, nel rispetto della massima valorizzazione degli originali. Nasce una nuova scienza, la storia dell’arte, che si esprime attraverso lo studio diretto dei capolavori nello spazio privilegiato del museo. La MUSEUMSINSEL di Berlino L'Isola dei musei (in tedesco Museumsinsel) è la parte settentrionale dell'isola della Sprea, al centro di Berlino. Il nome "Isola dei musei" è dovuto al gran numero di musei di importanza internazionale che si trovano nell'area. Fra 1830-1930 vengono costruiti cinque musei: ALTES MUSEUM, NEUES MUSEUM, ALTE NATIONALGALERIE, BODE MUSEUM, PERGAMON MUSEUM. Nel 1841 Guglielmo IV incarica AUGUST STULER di costruire il NEUES MUSEUM (collezioni archeologiche) e di consacrare l’intera area circostante ad un luogo di celebrazione della bellezza. Questo venne fortemente danneggiato durante la Seconda guerra mondiale ed è stato di recente restaurato da David Chipperfield. Lo stesso Stuler venne incaricato di costruire la Nationalgalerie destinata alla sola arte tedesca e per la quale nuovamente venne scelta una veste di stile classico. Il Kaiser Friedrich Museum sorge sulla punta estrema della Museumsinsel. È opera di Ernst Von Inhe ed è oggi noto come Bode Museum, dal nome del suo primo direttore Wilhem Von Bode. Allievo di Waagen, grande conoscitore della pittura italiana, di Rembrandt e dell’arte fiamminga e olandese in generale. Contribuì in modo decisivo allo sviluppo della museologia moderna. Bode si fece promotore di un approccio didattico del museo, in cui le opere venissero non solo valorizzate singolarmente, ma anche contestualizzate in ambienti tematici e stilisticamente coerenti. (Pioniere delle Period Rooms che tanta fortuna avrebbero avuto in ambito anglosassone). I musei inglesi di fine Ottocento Siamo in una fase di grande sviluppo, anche detta rivoluzione industriale che avrà un effetto determinante nella rivoluzione dei musei. Il museo inglese e americano sono stati fortemente ispirati dai valori della rivoluzione industriale. South Kensington Museum (1857), Londra La fondazione del S.K.M., futuro Victoria and Albert Museum, è legata al cruciale evento della Great Exhibition di Londra del 1851. Il principe Alberto volle che la mostra, dedicata all’industria e al design, avesse una dimensione internazionale. In 6 mesi, ci furono 6 milioni di visitatori da tutto il mondo. Considerato il grande successo dell’evento, Albert volle che i proventi investiti nella realizzazione di un quartiere dedicato al progresso dell’arte e della scienza. Il primo edificio che venne costruito fu il South Kensington Museum. La primissima stagione del S.K.M si svolse nella piccola sede del museo della manifattura, affidata al direttore Sir Henry Cole con il preciso intento di educare il popolo al buon gusto nel design. Al Museo venne anche associata la Government School of Design che era stata fondata nel 1837. Per tale fine educativo Cole organizzò l’allestimento esponendo solo esempi di BUON GUSTO, ma anche esempi di CATTIVO GUSTO come le imitazioni (chamber of horrors). Divenuta non più sufficiete ad accogliere le collezioni, la prima sede del museo venne trasferita su richiesta di Cole e con l’appoggio di Albert presso il quartiere di South Kengsinton, anche conosciuto come Albertopolis. Inizialmente ci si accontentò di uno spazio costruito in acciaio (iron museum). Presto una nuova struttura venne aggiunta una nuova struttura denominata Sheepshanks Gallery, per ospitare una donazione di dipinti proveniente da Leeds. Il nuovo edificio era dotato di un impianto di illuminazione a gas che permetteva l’apertura serale e dunque la visita dei lavoratori. L’ingegnere militare Captain Francis Fowke fu incaricato da Cole di progettare i lavori di ampliamento del museo, che negli anni successivi modificò ampliamente il suo aspetto. Assistito da Godfrey Sykes e da una schiera di artisti e collaboratori, fra cui Morris, Fawke si occupò anche dell’allestimento e della decorazione degli ambienti interni, che giunsero però ad una sistemazione coerente soltanto con l’intervento dell’architetto Aston Webb. L’educazione del grande pubblico all’arte e alla bellezza ispirò la nascita delle Cast Courts, due magnifiche sale contenenti gessi dei più grandi capolavori d’arte classica, rinascimentale e barocca, realizzati fra il 1867-1873. La raccolta di questi pezzi cominciò già nella prima fase della storia del Museo, come componente insostituibile della formazione degli artisti. Riproducono a grandezza naturale alcune delle più importanti opere scultoree italiane (David, colonna di Traiano ecc). Nel 1899 il Museo venne dedicato dalla Regina Vittoria all’ormai defunto marito Albert. Il museo ora rinnovato venne dedicato, come era nella sua vocazione, alla manifattura e al design. L’organizzazione interna venne definita per “materiali”. Anche il Museo di Storia Naturale di Londra fa parte dell’operato di Albert e venne creato come una cattedrale della natura dall’architetto Alfred Waterhouse. Il modello americano Alcune curiosità sulle origini del museo americano: 1786 – Charles Wilson Peale apre il Philadelphia Museum sotto forma di società commerciale, con un intento didattico che integrava scienza e natura. Venne adottato il sistema di Linneo per la classificazione. Vennero in seguito aperte sezioni a NY e a Baltimora. In seguito, parte del museo viene acquistato da Phineas Taylor Barnum, fondatore del circo Barnum. Nel 1841, Barnum apre l’American Museum a NY, Broadway con 6000 oggetti di ogni genere che comprendevano anche reperti di reale interesse naturalistico. Il museo fu distrutto da un incendio nel 1865. Nella storia del museo americano influirono tre fattori: 1. Approccio evocativo e di contesto del modello Bode a Berlino 2. Nascita dei musei di arte decorativa e design, modello S.K.M. 3. Mecenatismo e collezionismo privato statunitense MODELLO DEL MUSEO AMERICANO dell’800:  Approccio educativo  Costruzione di un patrimonio identitario ispirato alla “vecchia Europa” Altro fondamentale personaggio dell’Office è Henri Focillon, direttore del Museo di Belle Arti di Lione e docente universitario. Focillon matura un’idea di museo come luogo di confronto, spazio di condivisione che possa accogliere con gli stessi diritti studiosi e amatori, specialisti e dilettanti. È questo il senso del principio di “paradoxe surprenant” elaborato da Focillon, la capacità che il museo possiede di rispondere alle domande dell’esperto e alle curiosità dei nuovi pubblici. Tale approccio comporta un rinnovamento radicale dell’immagine di museo, non più spazio scaro e inarrivabile, bensì “milleux vivant”, una dimensione aperta e vitale dove i visitatori possano riconoscersi e cercare “un certain mode d’information, mais aussi un monde heroique”. In una serie di interventi, Focillon proporrà nuove forme di allestimento, più snelle e godibili, un alleggerimento delle collezioni esposte. Funzionali a tali obiettivi saranno i vari accordi internazionali, l’impegno a sviluppare pratiche didattiche sul modello americano e la fondazione di una rivista dedicata alla museografia. NASCE MOUSEION (1927-1946) Mouseion diviene rapidamente lo spazio del dibattito internazionale sul rinnovamento dei musei, sulla necessità di adeguarne spazi e servizi alle esigenze della modernità. La rivista contribuì sensibilmente alla preparazione dei lavori della Conferenza di Madrid del 1934, momento cruciale nella storia della museografia. Si afferma la convinzione di dover adottare criteri di selezione delle opere da esporre, ampliare gli spazi espositivi, curarne l’assetto di illuminazione, accoglienza, climatizzazione, ridurre al minimo gli elementi decorativi distraenti. Proposte per il Museo di Domani MUSEO COMPRENSIVO E MUSEO SELETTIVO 1933 CARENCE S. STEIN Making Museum Functions Propone di distinguere due percorsi di visita: uno per gli studiosi (study series) ed uno per i visitatori del grande pubblico (exhibition series). Propone un grattacielo organizzato con planimetria ottagonale, dove gli otto bracci interni sono riservati al pubblico generico e la galleria esterna agli studiosi. EMERGE ANCHE LA NECESSITA’ DI UNA FLESSIBILITA’ DEL MUSEO (PARETI MOBILI). Le Corbusier e il Museo del Sapere Universale di Ginevra Per il suo museo mondiale, Le Corbusier progetta un edificio piramidale con una pianta che prevede tre navate sviluppate partendo dall’alto attraverso un andamento a spirale che va ampliandosi man mano che scende verso la base. Nasce così l’idea di un MUSEO A CRESCITA ILLIMITATA sviluppato come una spirale quadrata e contrapposto al museo tradizionale di matrice ottocentesca. Si tratta di una macchina per esporre, flessibile, poco costosa, non magniloquente, organizzata in base a una moltiplicazione di moduli quadrati combinati in base alle necessità. Un impegno per la tutela Sulle pagine di Mouseion molto attivo fu anche il dibattito sui temi del restauro e della conservazione. L’impegno della rivista favorì l’elaborazione di autentiche pietre miliari della storia della tutela, a partire dalla Carta del restauro di Atene del 1931, promossa della Società delle Nazioni e poi pubblicata in un volume apposito; nel 1932 la Carta Italiana del restauro e infine la più cosciuta Carta di Atene del 1933. Nella carta del 1931 la conoscenza del patrimonio nazionale e universale è considerata quale valore fondante, elemento decisivo nella coesione tra i popoli e garanzie di pace e civiltà. Tornando negli Stati Uniti Un museo per l’arte moderna: il MOMA Il Museum of Modern Art di New York nasce dalla volontà di tre personaggi: Miss Lillie P. Bliss, Mrs. Mary Quinn Sullivan e Abby Aldrich D. Rockfeller (moglie di John Rockfeller Jr), desiderosi di scardinare l’assetto del museo tradizionale. Il Museo viene concepito inizialmente come sede di esposizione non permanente, dedicato all’espressione artistica contemporanea. Il MOMA conseguirà una sua collezione permanente soltanto nel 1952. La prima sede del MOMA viene individuata in un ufficio posto al dodicesimo piano dello Heckscher Building, nella Fifth Avenue (molto distante dal Metropolitan Museum). Il primo presidente del Museo fu Conger Goodyear mecenate e uomo d’affari, appassionato collezionista. Alfred Barr al MOMA Nel 1929 Barr è nominato primo direttore del MOMA. Barr concepisce il nuovo museo come UN LABORATORIO AI CUI ESPERIMENTI IL PUBBLICO E’ INVITATO A PARTECIPARE. Il museo era concepito per accogliere qualsiasi forma espressiva della contemporaneità: non soltanto la pittura e la scultura, ma anche la cinematografia, la fotografia, il disegno industriale ecc. Nel 1937 Barr apre la prima sezione didattica del MOMA, che viene affidata a Victor D’Amico. In questo senso, il MOMA si pose da subito come polo di avanguardia nel campo della mediazione museale. Particolare cura venne riservata alla pubblicazione dei cataloghi. VICTOR D’AMICO 1937 – apre la Galleria dei Giovani al MOMA che offriva lezioni di arte e spazi espositivi per studenti della scuola secondaria 1942 – inventa il Carnevale dell’Arte dei Bambini con un ambiente molto articolato che comprendeva giochi, spazi di lavoro, materiali, dove i bambini potevano giocare e creare dipinti 1942 – fonda il Comitato per l’arte nell’educazione e nella società americana, destinato inizialmente a promuovere le arti durante il periodo di guerra 1949 – 1969 – dirige il People’s Art Center, con corsi di arte rivolti a persone di tutte le età 1955 – comincia ad insegnare corsi estivi di arte presso il MOMA, riutilizzando una chiatta della marina situata a Long Island (Art Barge). L’influenza del Bauhaus su Barr Barr rimase profondamente colpito dall’incontro con la dimensione organizzativa, concettuale e pedagogica del Bauhaus; ne fece tesoro e la riservò nel suo progetto per il MOMA. L’idea di un’unità di stile in tutte le arti, compreso il design, lo colpì profondamente nella formulazione di un’idea di modernità. Altrettanto importante per lui fu la prospettiva internazionale del progetto Gropius. Le mostre itineranti del MOMA Il MOMA dispone sin dalla sua prima stagione di un ufficio responsabile per le mostre itineranti. Nei suoi primi dieci anni di vita il MOMA portò le sue 91 mostre in 1400 località degli Stati Uniti. L’operazione di Barr si estese alla promozione dell’immagine del museo, forte dell’interesse che il pubblico prestava all’arte moderna. Nel 1931 il MOMA era in grado di accogliere 3000 visitatori al giorno (sesto museo più visitato al mondo). Dopo una seconda sede provvisoria il MOMA si trasferì in un edificio appositamente costruito in 53rd Street, progettato dagli architetti Googdwin e Stone. GERTRUD STEIN (1874-1946) disse rispetto la politica di modernizzazione di Barr: “SI PUO’ ESSERE MODERNI OPPURE ESSERE UN MUSEO, MA NON ENTRAMBE LE COSE CONTEMPORANEAMENTE” Barr ipotizzò che la composizione della collezione fosse destinata a cambiare, mantenendo fermi i principi su cui essa era costruita. Dopo essere rimaste per un certo tempo nella collezione del MOMA, le opere sarebbero state spostate in altri musei. Per spiegare questo suo concetto, Barr inventò un concetto, cioè propose una immagine della torpedine come rappresentazione della collezione: la testa è il presente che incessantemente avanza (anni ’50 con l’arte del muralismo che il MOMA aveva accolto), la coda è il passato che perennemente si allontana (‘800 con Gauguin, Cezanne ecc.). La difficoltà di essere moderni Nel 1948 il testamento di Abby Aldrich Rockfeller lascia al MOMA la sua intera collezione ma impone al MOMA stesso di cedere le opere al Met dopo 50 anni. Dopo mezzo secolo quelle opere sarebbero state più “moderne”. Ancora nel 1947-48 viene sottoscritto un patto tra il Met, il MOMA e il Whitney Museum. I tre musei avrebbero dovuto ripartirsi le aree di competenza, evitando delle sovrapposizioni. Il Met avrebbe dovuto acquistare dal MOMA le opere ritenute non più moderne. Venne stabilito l’anno 1910 come spartiacque. Promuove l’arte moderna: l’impegno didattico di Barr Barr comunque cercò in modo incessante in questa sua elaborazione. Cerca di elaborare delle proposte come un pannello didattico scritto con una macchina da scrivere in cui lui domanda all’ipotetico visitatore temi legati all’arte moderna, proponendo un confronto fra un’opera di Picasso e una di Siqueiros. “Quale delle due opere è a vostro giudizio la più moderna?”, scrive, per capire quale fosse l’attività di partecipazione nei confronti del museo. Lui stesso si fece promotore di movimenti artistici, infatti il MOMA è ricordato per avere avuto un ruolo determinante nella promozione dell’espressionismo astratto (articolo pubblicato su Life nel ’49 su Jackson Pollock che ne consolidò il successo). Il Museo Guggenheim a New York I primi progetti risalgono al 1943-44. Apertura 1959. EQULIBRIO SQUILIBRIO  EQUILIBRIO Scarpa e la tecnica narrativa della prolessi Prolessi: anticipazione di figure che si trovano fisicamente in punti più avanzati del racconto- percorso. La prolessi è una tecnica narrativa molto utilizzata da Scarpa al fine di determinare “attese e rituali”. Nella mostra di Mondrian a Roma: “Il vano rettangolare aperto all’inizio del corridoio di accesso alla mostra di Mondrian a Roma anticipa all’inizio un percorso cronologico, la vista del quadri Broadway Boogie Woogie presente nell’ultima sala in quanto punto d’arrivo dello sviluppo dell’artista”. Ci sono anche pannelli che valorizzano al amassimo le opere in esposizione. A Castelvecchio la prolessi scarpiana raggiunge forse il suo apice attraverso la visione sincronica, in un’unica cornice (il primo arco), non solo della parte terminale del percorso ma di tutte le figure, determinando la sovrapposizione di tutte le tensioni latenti. Solo analizzando questa densità si segni si può capire la forza dello spazio incorniciato che accoglie il soggetto-visitatore all’ingresso. La metonimia narrativa nella collocazione della Santa Cecilia posta di spalle, una strategia che permette a Scarpa di chiedere una nostra reazione emotiva e fisica. In questo modo il percorso di arricchisce e non è troppo lineare. Nella sala centrale c’è un restringimento del percorso. Da una parte c’è un pannello di colore rosso che domina sul colore neutro del resto dell’allestimento, dall’altro lato ci sono dei pannelli neri con una finestra che da sul giardino. Questi elementi distraggono e fanno spostare lo spettatore rispetto a un percorso lineare che sarebbe più semplice seguire. Altro elemento importante è la luce che viene anche studiata per la realizzazione del percorso, per creare un dialogo fra luce architettura e opere Di nuovo in Europa: il rilancio di Parigi Il Guggenheim è il prototipo di una nuova generazione di musei, in cui l’architettura trasforma si trasforma in linguaggio dirompente. Il Guggenheim è un meraviglioso oggetto posto in relazione con il contesto urbano e Parigi risponderà a questo progetto con la proposta rivoluzionaria del Museo Pompidou a Parigi (1977). Voluto all’indomani della crisi del 1968 dal presidente Georges Pompidou. Va considerato come una risposta politica alla contestazione giovanile e anche come un progetto colto a rilanciare la città di Parigi nello scenario internazionale di quegli anni. L’elemento della trasparenza e dell’apertura caratterizza il progetto di Renzo Piano e di Richard Rogers, superando la barriera tra interno ed esterno, offrendo il museo come “piazza”. Il Centro propone una idea di museo interdisciplinare, una commistione di linguaggi e culture. Per questo comprende un centro di documentazione, sale di attività e di partecipazione per il pubblico. La scelta dell’area di costruzione, un quartiere al tempo degradato della città di Parigi, risponde al desiderio di apertura che ne ispira la nascita. Il sociologo Jean Baudrillard ha criticato il progetto del Centro del Beaubourg considerandolo una mistificazione, un momento di dissuasione culturale colto esclusivamente a celebrare il rito della moltitudine. Parla di una architettura del disincanto culturale. “Un effetto che pone tutto in superficie che ha come ideologia la visibilità totale e che, di conseguenza, liquida la tradizionale lentezza della formazione culturale, fatta di riti, passaggi iniziatici e cerimonie” (F. Tarquini). Le sue parole: VERSO IL XXI SECOLO. IL MUSEO DOPO IL POMPIDOU Da questo momento il museo cambia il suo andamento: dalla linearità alla trasversalità, o meglio dire andamento policentrico. Dopo l’esperienza del centro Pompidou si apre una nuova era per la museologia. Il museo può ora perseguire una pluralità di prospettive e di orientamenti, consapevole della complessità del dialogo con i pubblici e pronto ad assumere una molteplicità di servizi e di missioni. La centralità del pubblico Dagli anni ’80 il museo cambia il proprio volto, si apre alla società e modifica le modalità di interazione con i pubblici. Ciò a fronte di una indubbia criticità delle politiche nazionali in tema di accesso al patrimonio. Da un lato cambiamento della cultura del patrimonio, maggiore apertura e democratizzazione delle istituzioni, ma dall’altro ci sono anche le difficoltà economiche e di gestione (quindi ricerca di nuove fonti di finanziamento). Attenzione alle apparenze Thomas Hoving è stato direttore del MET dal 1967 al 1977, distinguendosi per operazioni spesso plateali, al limite dell’eccesso e persino del pacchiano. La sua gestione ha molto contribuito al cambiamento del volto dei musei, trasformando spesso le loro iniziative in semplici attività di intrattenimento. A proposito delle esposizioni temporanee, Hoving affermava: “Le approvavo quasi sempre, di qualsiasi genere fossero, senza troppo riflettere”, purché il risultato fosse “sfavillante, fastoso, imponente”, purché avessero una “marcia in più”. Per Hoving si trattava di trasformare il museo in uno spettacolo visivo. New York: MET MOMA Monaco Berlino BARR Parigi: Museo del Louvre WAAGEN / SCHINKEL BODE Londra: British Museum VIVANT DENON Roma: Musei Capitolini Pio- Clementino VISCONTI vennero trasformati in un Art Center e centro multimediale, mentre i restanti ambienti diventarono sede di uffici, magazzini e laboratori. Interessante è rileggere le informazioni date dal MIBACT sul progetto: Vi è una distinzione fra progetto museologico e progetto museografico. Si parla di ridare vita alla centrale ma anche dare la possibilità al pubblico di vedere le sculture dei Musei Capitolini. Vi sono tre ambienti: sala macchine, sala caldaie e la sala colonne con i reperti dell’età Repubblicani. La mostra è sviluppata per temi, vi sono pannelli che segnalano gli ambienti e facilitano la lettura dei reperti. Il museo Guggeheim a Bilbao – 1991/1997 Edificio costruito da Frank O. Gehry con lastre di titanio sulle acque del fiume Nerviòn. Questo caso è notissimo proprio perché considerato l’esempio massimo di “museo blockbuster” ovvero l’effetto del museo attrattore, polo irresistibile per i visitatori, è divenuto un fenomeno di rilancio socioculturale ed economico di una città in forte declino, e che grazie a questo ed altri interventi ha visto una riconfigurazione del paesaggio urbano. Questo fenomeno di rinascita incentrata sulla polarizzazione dell’attività culturale ha suscitato la curiosità di studiosi delle più disparate categorie. Il museo ebraico di Berlino Progettato fra il 1989-1998 da Daniel Libeskind a forma di stella spezzata. Si è detto che il museo era talmente forte nella sua concezione spaziale e architettonica da bastare a sé stesso perché la funzione del museo è quella di indurre il visitatore a riflettere sulla storia e sui valori, ma con la potenza del valore della memoria. L’elemento della esposizione costituisce quasi un elemento di disturbo per il tipo di esperienza. Il museo MAXXI di Zaha Hadid a Roma (2010) Anche questo usa la forza degli spazi intesi come percorsi di esperienza. Si è posto anche nella sua titolazione, ovvero essere il museo del XXI secolo, un obiettivo importante che incarna anche l’idea del museo polifunzionale, capace di essere luogo di aggregazione. Città delle culture di David Chipperfield a Milano (ex complesso Officine Ansaldo) Anche qui si pensa il museo come luogo di incontro e anche di pacificazione delle culture. Il museo è espressione di un intento valoriale: il museo si impone anche come valore etico, e in questo senso il museo ha un valore politico. Questo è diventato un tratto caratteristico della post- modernità. Questioni di metodo Musei e museologia di Poulot Le questioni che tratta sono: - Centralità dell’esperienza francese,a partire dalla nascita del Louvre fino a oggi. Con una prospettiva anche autocritica; - Rapporto fra musei e ricerca: questione internazionale che evidenzia la necessità di una maggiore collaborazione e incontro. La ricerca del museo dovrebbe dialogare con la ricerca pura-accademica, dice Poulot, per aiutare il museo ad uscire da una dimensione autoreferenziale; - Esperienza espositiva dei musei e democratizzazione, che se non gestita bene rischia possibili “derive commerciali”; - Le tipologie dei musei “storici”: cerca di analizzarne le caratteristiche, mettendole in relazione con gli sviluppi del contesto; - Nell’analisi del paesaggio museale contemporaneo Poulot individua diverse prospettive interessanti - Rapporto fra locale e globale: da una parte la disseminazione territoriale geografica del museo, dall’altra la valorizzazione quasi ossessiva del dettaglio disperso sul territorio; - La perdita del “discorso” nella questione museale, inteso come ricerca. Le caratteristiche fondamentali del museo secondo Poulot e Michael Conforti “La riflessione sul passato permette di prendere coscienza del vecchio obiettivo. Della fondazione, dell’evoluzione, delle missioni, dell’eventuale scadimento delle collezioni, di ciò che può essere dimenticato e di ciò che deve essere mantenuto. L’obiettivo consiste sempre nel mantenere vivo un contributo alla fisionomia culturale del paese, anziché iscriverlo in un’archeologia del collezionismo”.  MISSIONE: espressa all’atto fondativo del museo  STRUTTURA AMMINISTRATIVA E PROFESSIONALE: cosa può fare un museo e come  NATURA DELLA COLLEZIONE CON I CONSEGUENTI VALORI  EDIFICIO (CHE ESPRIME ANCHE UN INTENTO E UN MESSAGGIO) Una evoluzione per tipologie Poulot ripercorre la storia dei musei di storia, soprattutto durante l’Ottocento, evidenziandone le caratteristiche “tipologiche” come espressioni di contesti, valori e circostante.  Il museo di storia nazionale: la Francia ne detiene uno dei primi esempi, il museo dei Monumenti Francesi nato nel 1795 e chiuso nel 1815 per raccogliere le opere vandalizzate durante i moti rivoluzionari, che si poneva anche come un museo della storia di Francia. In questo è un innesto dell’elemento storico su quello antiquario, dice Poulot.  Il museo romantico: è il museo di atmosfera, di questo un esempio è il museo di Cluny a Parigi che propone una forma di auto narrazione del passato molto immersiva e coinvolgente, romantica.  Il museo come laboratorio della scienza: inteso come la ricerca. È un museo dedicato alla comprensione del passato più che alla sua estetica. Un esempio è il museo di Norimberga (1852-1853)  Il museo delle scienze sociali: nel XX secolo la storia economica e sociale e la storia delle mentalità sono entrate a far parte dei nuovi musei di storia. I musei di storia del presente Poulot vi si concentra, sono i musei memoriali che guardano alla ricostruzione di particolari fenomeni storici. Poulot scrive: “vi è una grande richiesta di commemorare un passato destoricizzato, rappresentato in forma di esperienza condivisa. In tal senso il museo deve al tempo stesso conservare gli elementi del passato e darne coscienza, vale a dire costruire un racconto, senza ridurre i propri visitatori al silenzio, ma anche senza cedere ai pericoli di una rappresentazione troppo empatica, che richiede risposte affettive. Il rischio consiste nel rappresentare la storia in maniera ‘verista’, come nel caso dell’Imperial War Museum di Londra che ricostruisce le trincee della Prima guerra mondiale e i blitz della seconda”. Secondo Poulot, musei dell’Olocausto hanno suscitato diverse interpretazioni rispetto al nostro rapporto con la storicità. Si manifestano almeno tre orientamenti: - Dialettica della monumentalizzazione e del traumatico (rischio voyerismo ovvero trasformare la celebrazione di un fatto drammatico in una possibilità di curiosare del visitatore in modo non rispettoso); - Teatro della Memoria (Museo Ebraico a Berlino), un contesto dove sia possibile ragionare sulla storia; - Approccio della riconciliazione (Museo dell’Apartheid a Johannesburg) ovvero il museo che racconta il dramma ma propone anche una spinta di positività, una possibile via di riflessione e di recupero delle coscienze; Museo dell’ Apartheid a Johannesburg Per l’architetto Joe Noero, il Museo dell’A. intende “ricordare il passato in modo che sia familiare e spaventoso al tempo stesso”. Le dodici scatole della memoria si cui si compone il museo servono a coinvolgere il visitatore in una riflessione sul proprio atteggiamento di fronte ai grandi temi del razzismo, dell’eguaglianza, della democrazia. Per Poulot questo museo intende evitare sia l’irenismo sia il voyerismo. “Nel suo duplice obbiettivo, commemorativo e celebrativo, il museo è rivelatore di una nuova generazione di istituzione” È superata a distinzione tra museo-tempio e museo-forum, emerge la funzione civico-politica del museo. Il paesaggio museale contemporaneo Nella società contemporanea “ogni fenomeno sociale sembra suscettibile di collezionismo” Da una parte il fenomeno della localizzazione (boom comunicazionale contro perdita del “discorso”), dall’altra parte il fenomeno delle grandi istituzioni della postmodernità (del discorso colto e disciplinare all’avvento del “genere vago”) Il museo contemporaneo come fenomeno di “storicismo crescente” della postmodernità Per Hermann Lubbe la moltiplicazione dei musei esprime il ribaltamento del nostro rapporto con il tempo. La “musealizzazione risponde a uno storicismo sempre crescente della cultura contemporanea quale reazione alla minaccia di amnesia o di obsolescenza accelerata: si tratterebbe di compensare l’instabilità e l’ansietà alimentata dalla rapidità delle mutazioni del tempo e dello spazio. In tal senso la visita ai musei sarebbe da interpretare in termini di una ricerca, se non di una perduta età dell’oro, almeno di radici familiari capaci di rassicurarci” (Poulot, p.84)
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