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Appunti poesia 900 (tema viaggio)+contesto storico e letterario, Appunti di Letteratura Italiana

Pascoli: Ultimo viaggio (XXIII Il vero) Rebora: Frammento XI Ungaretti: Pellegrinaggio, Allegria di naufragi Montale: Casa sul mare, Incontro Saba: Ulisse Caproni: Stanze della funicolare, Congedo del viaggiatore cerimonioso, Sospensione Sereni: Autostrada della Cisa Luzi: Lied-Aubade

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 31/08/2022

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andrea-buzzini 🇮🇹

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Scarica Appunti poesia 900 (tema viaggio)+contesto storico e letterario e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 24/2/22 Altro viaggio→primo canto dell’Inferno dantesco→strada più lunga che implica la presa di coscienza del male e quindi il distacco dal male lungo un cammino penitenziale. Questo altro viaggio significa anche che il cammino umano verso la felicità, il compimento ha bisogno di altro dall’uomo stesso→con solo gli strumenti umani l’uomo è destinato al fallimento. Attraverso la metafora del viaggio e il suo corredo di immagini, linguaggio e simboli, i poeti novecenteschi si interrogano sul cammino dell’esistenza. SECONDO OTTOCENTO Il 900 è definito il secolo della crisi (rottura che ha a che fare con un passaggio)→ha investito un sistema di valori che era resistito ben saldo. L’inizio del 900 è caratterizzato dal contraccolpo derivante dalla perdita di questo sistema di valori. L’intero secondo 800 e in particolare gli ultimi decenni in Italia costituiscono l’età umbertina o post-unitaria (1861-1900→regicidio di Umberto I). Con il termine fin de siècle si intende qualcosa di letterale ma dentro c’è l’idea di fine intesa proprio come fine di un’epoca, di una civiltà, di un sistema di valori→decadentismo. Secondo 800⇒seconda rivoluzione industriale+trionfo della scienza, della tecnica e del progresso. Si determina in particolare uno spirito di fiducia assoluta nella scienza e quindi nella capacità dell’uomo di progredire sempre→progresso illimitato che conduce ad un mondo perfetto. Si afferma quello che è stato definito uno spirito prometeico→uomo caratterizzato da smania di conoscenza, progresso, dominio assoluto sulla natura, idea di un uomo libero dalle catene della metafisica e della religione perché nuova religione diventa la scienza. Sul piano del pensiero questa fiducia nella scienza promuove una visione positivistica della realtà⇒si afferma il primato di ciò che è un fatto verificabile con il metodo scientifico e della ragione. Si tratta di una filosofia che prevede il primato della materia sullo spirito→la dimensione materiale, misurabile e dimostrabile, è l’unica vera. Il grande punto del positivismo è il fatto che la validità del metodo scientifico viene estesa anche alle scienze umane→anche l’essere dell’uomo e il suo agire è spiegabile in termini di materia, è tutto ricondotto a spiegazioni di tipo genetico, biologico ecc. ogni aspetto dell’umano viene spiegato come dipendente da cause sempre di tipo materiale. Tipica del positivismo è una visione di tipo deterministico della realtà in generale e della realtà umana⇒ogni particolare della realtà naturale, fisica e umana è visto come appartenente a un tutto che ha sempre all’origine una causa di tipo scientifico, materiale. Dunque tutta la realtà è vista come una catena di cause ed effetti→la condotta dell’uomo dipende da cause naturali. La conseguenza maggiore di tutto questo è una riduzione del libero arbitrio. 1 Quasi contestualmente però si fanno sentire reazioni anche tumultuose a questa cultura che a poco a poco cambiano il clima culturale e soprattutto negli ultimi anni dell’800 si diffonde questo sentimento di crisi incipiente⇒decadentismo. Con decadentismo si intende questo sentimento culturale che pervade l’ultimo scorcio dell’800 e che si specifica per questo avvertimento della fine, la fine della civiltà umanistica soppiantata dalla civiltà della materia, dell’omologazione, della massificazione ecc. Alla base di questa reazione decadentista c’è una reazione individualista. Il decadentismo si manifesta in tre filoni: 1. Estetismo→culto idolatrico della bellezza, avvertimento di un dialogare del mediocre, bellezza come valore supremo che si oppone al dilagare del mediocre. Valore assoluto dell’arte, vita come opera d’arte. Si tratta di una visione elitaria. Si esprime soprattutto nella forma del romanzo: Il ritratto di Dorian Gray, À Rebours, Il Piacere. 2. Spiritualismo→rilancia i valori metafisici, spirituali e religiosi in varie declinazioni e forme. In particolare il romanzo russo con Doestoevskij e Tolstoj→ripongono ogni speranza di progresso negli ideali evangelici di fratellanza, solidarietà, pace, perdono, giustizia sociale. In Italia la figura più rappresentativa è Antonio Fogazzaro. 3. Simbolismo→la culla del simbolismo è la poesia francese. Il simbolismo muove dalla visione della realtà come pervasa dal mistero, inattingibilità del senso profondo delle cose. Questo senso è avvicinabile dalla poesia: il poeta è in grado di penetrare con il suo sguardo e con forme di illuminazioni gli abissi dell’ignoto→intuizioni liriche che avvicinano lo sguardo del poeta a questo segreto insondabile. Il poeta restituisce questo attraverso un linguaggio enigmatico, oracolare→idea di poeta veggente. Il linguaggio dell’arte ha questa possibilità perché è altro rispetto al linguaggio della logica, attinge al segreto della natura soprattutto alla musicalità del linguaggio. La musica con la sua capacità evocativa è l’unica a cogliere questi segreti. Il simbolo è un’immagine densa, che contiene più significati che rimangono indecifrabili, sono intuibili non concettualmente decodificabili. Il simbolo contiene dentro di sé un segreto che neppure al poeta è concesso violare→il simbolo ci fa avvicinare alla realtà che rimane nascosta. In Italia D’Annunzio sente di questa matrice simbolista, ma anche la poesia di Pascoli, che avvia una sperimentazione più duratura dal punto di vista del linguaggio poetico. GIOVANNI PASCOLI Pascoli si avvicina al simbolismo per la potenza evocativa dei suoi versi→dà voce alla natura attraverso un linguaggio pre-grammaticale, ricco di onomatopee e fonosimbolismi, e un uso strepitoso di figure fonetiche. In più in tutta la sua poesia domina il senso del mistero, che pascoli vive con un senso di vertigine, smarrimento→bisogno di trovare rifugio nelle piccole cose e in particolare nel nido famigliare. C’è quindi questa declinazione tutta italiana dei grandi fenomeni culturali europei. La poetica del fanciullino per Pascoli è il modo di parlare del poeta vate. 2 Terza sequenza Ulisse ripensa a Circe e ricorda come lei gli invidiasse ciò che solamente può dirsi bello, cioè la conoscenza. Invidiare etimologicamente vuol dire guardare male ma anche impedire→gli animali di Circe non cercano la conoscenza mentre l’uomo “eretto” (≠rematori curvi+animali) che ha come dono divino la ragione deve ascoltare le sirene anche a costo della morte. Funi ignave→ad essere pusillanimi non sono le funi, ma l’eroe. Ora Ulisse vuole ascoltare le sirene senza essere legato→uomo libero≠rematori curvi. L’unico bene, il solo valore rimasto è il Vero. I rematori si mettono a remare velocemente perché vogliono sapere quello che avviene in terra→vogliono sapere se la vigna aveva dato frutto, se la mucca aveva partorito, se il vicino aveva raccolto più o meno orzo di loro o cosa stava facendo in quel momento la moglie. Questo è l’orizzonte del sapere degli uomini curvi che si contrappone all’uomo eretto. Abbiamo qui anche un netto abbassamento di registro. Questo canto è tutto costruito sulla opposizione tra la figura di Ulisse, che ha questo desiderio vincente su tutto di attingere a quell’unico bene rimasto ovvero il Vero, la conoscenza ultima, e gli uomini curvi che non guardano oltre sé, non hanno un orizzonte ampio e il cui desiderio si risolve nell’andamento delle piccole cose della loro vita. L’uomo invece per appagarsi ha bisogno di andare oltre. CANTO XXIII Nel canto XXII la nave costeggia altre isole dove Ulisse aveva vissuto altre avventure. Nel XXIII ci si avvicina al prato fiorito dove aveva visto le sirene. Giunto in prossimità del prato fiorito Ulisse pone alle sirene una serie di domande incalzanti senza ottenere risposta in quanto le due sirene altro non sono che due scogli contro cui la nave si infrange: naufragio dell’Ulisse di Pascoli↔naufragio Ulisse dantesco. Dal punto di vista della costruzione del testo notiamo che ogni porzione di testo si chiude sempre con lo stesso distico→ritornello che scandisce. Prime due→8 endecasillabi+ discorso diretto di 4 endecasillabi+ distico finale terza→ 6+4+2 Quarta→4+4+2 Quinta→2+2+1 ↳c’è una sorta di avvicinamento progressivo ma ineluttabile perché è fatto dalla natura non dall’uomo. Avvicinamento progressivo verso la morte, che è l’unico destino dell’uomo. 3/3/22 CANTO XXIV-CALYPSO L'Ulisse omerico era stato presso la grotta nascosta di Calipso, la dea che offriva l’immortalità in cambio della permanenza presso di lei. Lo stesso era capitato a Ulisse che però aveva rifiutato perché troppo preso dal sentimento di nostalgia per la patria e gli 5 affetti famigliari. Ora ritorna ormai morto alla grotta di Calipso. Qui Calipso c’è perché rappresenta la coscienza di ciò che è avvenuto, è l’immagine del destino ultimo dell’uomo secondo Pascoli cioè la certezza di dover morire. A lei viene affidato il compito di gridare la verità di cui Ulisse era in cerca. L’isola è come il cuore dell’eterno mare, della condizione umana. L’isola è deserta, nessuno può sentire l’ululare della dea. Ultimi versi⇒il non esistere è meno peggio dell’esistere destinati alla morte, il non essere mai esistiti è un nulla più grande della morte ma meno doloroso che dover morire, non essere più. Se la morte è l’unico destino, allora sarebbe meglio non essere esistiti del tutto. Oltre la morte non è previsto altro se non il nulla e l’esistere dunque non ha nessun senso⇒è meglio non essere esistiti del tutto. Eco leopardiana molto forte⇒Canto notturno di un pastore errante dell’Asia→domande ultime che sono le stesse dell’Ulisse pascolavano: “ed io che sono?”+ “è funesto a chi nasce il dì natale”. L’uomo novecentesco sulla scia leopardiana riprende questa messa al centro inquieta e angosciante del problema dell’esistenza e della morte. Prevalere di una domanda ansiosa rispetto al senso in un momento che da Nietzsche è stato definito “la morte di Dio”. PRIMO 900 (1900-1918) L’inizio del 900 fu accolto come l’inizio di un’epoca felice e ricca di aspettativa e i primi anni del secolo sembrano confermare questa ipotesi (anni della Belle Époque). Ci fu la diffusione capillare delle ultime invenzioni, in particolare relative ai mezzi di trasporto→idea di una società in movimento, ampliamento della città con inizio della società di massa, cinema, radio. Tutto questo slancio positivo si infrange drammaticamente con lo scoppio della Prima guerra mondiale. Tuttavia dobbiamo pensare che quando scoppiò la guerra era comunque comune la convinzione che si sarebbe trattato di una guerra lampo che avrebbe posto fine a tutte le guerre assicurando poi una pace definitiva. Il 900 viene definito l’età della crisi: 1. Crisi della scienza stessa→la scienza comincia a porre quasi più domande che risposte e questo avviene per due motivi: - La teoria della relatività→metteva in crisi i concetti classici di spazio, tempo e materia come valori assoluti→diventano relativi al concetto più vasto di energia. La scoperta propriamente scientifica di Einstein venne applicata ai procedimento conoscitivi alla base dell’attività umana: diventa un nuovo modello di conoscenza diffondendo una visione di carattere relativistico che mette in crisi tutti i valori assoluti. - Messa in discussione dell’efficacia conoscitiva dei metodi scientifici→crisi epistemologica. Si afferma una visione che nega che la scienza possa pervenire a risultati inoppugnabili, è una visione per cui a nessuna scienza è dato spingersi più in là della semplice congettura. 6 È una negazione dello stesso positivismo. Colui che elaborò questa crisi epistemologica è Karl Popper. 2. Scoperta dell’inconscio→messa a punto da parte di Freud del metodo di indagine interiore per la cura delle malattie psichiche. La fondazione della psicanalisi avvenne nel 1900 con la pubblicazione di uno dei libri più importanti della cultura del 900: L’interpretazione dei sogni. Il dato alla base della teoria psicanalitica freudiana c’è il principio del piacere, principio per il quale ogni individuo è portato a soddisfare la propria libido e che si scontra con il principio di realtà, cioè l’interiorizzazione di un “dover essere” cioè quella serie di norme che fanno parte del vivere comune. È una teoria che mette in dubbio il primato della volontà e della ragione sugli istinti→incrina la visione unitaria e umanistica di sé e della storia. Il dramma della libertà era tra la voluptas (il piacere) e la virtus (ciò che è giusto e appare congruente con il proprio essere e la realtà di cui si fa parte). Anche in questo caso, tutto ciò non rimase confinato all’interno di una disciplina ma si espande come visione che riguarda tutta la realtà umana. Per esempio la psicanalisi ha influenzato moltissimo la letteratura, anzi c’è stata una mutua influenza→la letteratura è la rappresentazione della realtà umana. Ora l’indagine degli scrittori si spinge nella rappresentazione più intime della psicologia umana con una predilezione per gli aspetti più morbosi, nascosti, irriverenti, che più andavano contro la mentalità comune. Il romanzo europeo subisce uno sviluppo grandissimo in questo periodo: viene meno la visione realista tipica dell’800→sviluppo del romanzo psicologico. Non è più tanto il racconto di storie ma la messa a fuoco sull’interiorità più profonda. Si tratta di un cambiamento epocale nella cultura occidentale. Il testo letterario che fonda le grandi categorie letterarie è Aristotele→uno dei concetti fondanti è il primato dell’azione, della trama. Ora con il romanzo novecentesco avviene un sovvertimento: passa in primo piano l’aspetto della psicologia, del carattere. Sul piano narratologico vengono meno i capisaldi della narrazione come l’ordine cronologico (il tempo non è più quello della storia ma dell’io). 3. La progressiva scomparsa di una prospettiva religiosa come fondamento dell’agire morale e come sbocco della vita e della storia umana→inizia a compiersi ciò che era stato preconizzato da Nietzsche cioè la morte di Dio. Questo crea una condizione di smarrimento, di orfanezza, l’uomo è in balia di se stesso senza punti di riferimento. ↳si apre lo spazio dell’inconoscibile LETTERATURA DEL 900 1. Crisi della concezione e della funzione dell’uomo di lettere e del poeta→fino a questo punto i poeti e gli uomini di cultura godono di una posizione di prestigio. I letterati sono guida dei popoli, assurgono a sacerdoti del vero (poeta vate), il Risorgimento è stato fatto dagli uomini di lettere e ancora nell’età post-unitaria i letterati hanno formato e guidato la popolazione. Avevano contribuito in modo fondamentale a creare l’identità italiana, erano coloro che avevano parole da ascoltare, parole per guidare. In 7 vagone merci. Questo ci può far pensare che questo vagone merci diventi emblema di qualcos’altro⇒è un personaggio allegorico. “Ecco”→l’io poetante è testimone di una scena→la realtà di una stazione dove dei carri merci vengono caricati e agganciati a una locomotiva che parte per il viaggio. Questo deittico ci dice che l’io poetante sta guardando questa operazione. I fatti narrati occupano i primi 8 versi, poi abbiamo la descrizione del movimento del treno merci, si dice di che natura sia quel viaggio e si manifesta la dimensione allegorica del componimento, si parla di cielo, di noia, di amore, di terra, di passione⇒nell’ultima parte si specifica la natura allegorica. L’ultima parte è quella più densamente filosofica, con un linguaggio anche più scuro, e apertamente allegorica. Lo stesso Rebora inviando questo testo a un amico dice che è nato da una sua osservazione in un una ferrovia di smistamento a Milano. Parafrasi O vagone merci vuoto sul tronco di smistamento ecco che vieni caricato di merce in modo brutale cosicché le merci urtano le tue pareti producendo tonfi. ↳rude d’urti=ipallage (unisce l’astratto al concreto)→ad essere rudi sono gli urti ma anche il modo. Carico (gravido→personificazione del vagone) ora pesi sulle rotaie ↳il binario ha una direzione precisa, nel testo si utilizza invece il termine “telai”→il telaio non ha una direzione precisa Macchina→metonimia→sta per locomotiva Ma viene la locomotiva avvolta dal vapore emettendo rumori ad aggiogarti. Il muso della locomotiva si sporge verso di te come fiutandoti (motivo frequente: ferrovia come mostro) ↳Aggiogarti→da giogo→segno di servitù e fatica, semantica zoomorfa, il carro è un animale da lavoro che viene aggiogato. Fascino orribile→ossimoro→attrazione per questo “mostro” Tu vieni portato via da quel raccoglimento in cui eri e sei gettato in mezzo agli aspri rullii delle ruote d’acciaio, allo stridore dei freni che fanno sobbalzare il vagone, tu procedi agganciato insieme agli altri vagoni per la legge immutabile del continuo cammino aperto. ↳Spazio assorto→ipallage: assorto può essere chi abita quello spazio, non lo spazio stesso Trabalzante stridere→sinestesia: unione della sensazione tattile con la situazione acustica aspra dello stridere dei freni. Gregge=treno merci, vagone “incatenato” al gregge→incatenato e aggiogarti rimandano al campo semantico della servitù. 10 Aperto=non ha mai fine+potrebbe andare in tutte le direzioni→viaggio nel divenire storico Tu vagone sei trascinato ed essendo trascinato a tua volta trascini quelli dietro di te(tramandi=trasmetti il movimento) e frenato a tua volta trattieni i vagoni dietro di te/tu che contieni dentro di te potenzialità inespresse (chiuse forze inespresse) su ruote vicine e rotaie parallele e oppresse (dal peso dei vagoni). ↳gregge-legge+inespresse-oppresse→idea di chiusura I vagoni hanno un contenuto, ma uscendo da questo valore referenziale possiamo interpretare, tornato al “gravido”, l’idea di uno stato prenatale che viene immesso nell’esistenza incatenata, che non permette all’uomo di nascere completamente, di esprimere oppure il carico dei vagoni è metafora del carico di vitalità, potenzialità che l’uomo ha dentro di sé e che non può e non riesce a esprimere in questa esistenza incatenata. Sotto il cielo (il divino) che imprevedibile/mutevole nel cammino tortuoso della vita/ disorientamento dei giorni, nel mutamento delle stagioni che pone un’incertezza rispetto a una direzione, libera l’eterno contro il tedio (dimensione dell’infinito) contro il tedio del vivere) e apre una fessura (“pertugia”) nella terra verso l’amore. ↳Nell’ultima parte della poesia si perde la semantica della ferrovia, è come se fosse venuta fuori completamente quella dimensione di significato contenuta e allusa nella parte precedente di testo. Si fa via via più densa, argomentativi e filosofica→si svela qui l’allegoria. Labirinto→immagine del disorientamento Guinzaglio→legaccio come la catena e il giogo. Linguaggio aspro. Bivio→idea di incertezza, rimanda alla semantica di labirinto Noia→da tedium→angoscia del vivere 10/3/22 Questo passare dalla dimensione referenziale a quella metaforica coincide con l’alzare lo sguardo da quel treno che si muove con pesantezza sulla terra→irrompe il cielo. Il cielo fa irrompere la dimensione metafisica. Il soggetto di tutta l’ultima parte è il cielo. Mentre ciò che è terreno chiede al cielo il suo verbo mentre comunque (nonostante come l’ha descritta prima) appassionata della vita nella dura volontà di vivere chiedendo una parola di salvezza sconta fino alla morte con le sue forze la sua fede. ↓ “Chiede il suo verbo” immette in un registro religioso. La terra chiede al cielo un segno di salvezza, il verbo. Gli uomini comunque appassionati in questa volontà di vivere e di chiedere il significato del vivere paga questa sua fede fino alla morte. 11 “E non muore e vorrebbe, e non vive e vorrebbe”→il cielo fa balenare squarci di infinito (e quindi di risposte) e non muore anche se vorrebbe morire e neppure vive anche se vorrebbe vivere→rimando alla tradizione petrarchesca basata sul linguaggio ossimorico e antitetico, interiorità tirata da spinte contrarie. Oltre a “verbo” anche la parola “fede” immette nella dimensione religiosa. Possiamo quindi ipotizzare che questo verso abbaia a che fare con la dimensione religiosa→il cielo vorrebbe morire nel senso di confondersi con la terra ma non riesce e nello stesso tempo non vive in quanto cielo ma vorrebbe→non dà la risposta, è come un’aspirazione bloccata come il viaggio del treno incatenato. Nell’ambito del linguaggio religioso non può non venire in mente la figura di Cristo (Verbo che si fa carne)+parabola evangelica del seme che se muore dà molto frutto, cioè dà risposte. Se il seme non muore, cioè non entra nella terra e smette di essere seme, non può essere pienamente se stesso e svolgere la sua funzione. L’emergere del linguaggio religioso autorizza questa ipotesi interpretativa. Di fondo è la domanda di un senso che vada oltre quel meccanicismo oppresso. Sul piano semantico: • Ambito semantico referenziale del treno e della ferrovia • Ambito semantico zoomorfo→locomotiva, gregge, giogo • Ambito semantico della violenza+pesantezza e sofferenza • A m b i t o s e m a n t i c o d e l l a p r i g i o n i a , d e l l a s c h i a v i t ù , dell’oppressione→aggiogare+incatenato ⇒Riconosciamo il patimento per una visione della vita meccanicistica, determinista→il treno non è libero, segue i binari. Visione di una vita come determinata in cui manca lo sbocco verso la libertà che viene invece chiesta. La visione reboriana riflette una temperie culturale di chi viveva in modo problematico l’affermazione della cultura positivista ma dentro a questo mette una continua ricerca di una volontà d’impegno dell’uomo, la fede nell’agire, la tensione morale dell’impegno→visione che si riscontra negli autori vicini alla rivista fiorentina “la Voce”. Ciò che caratterizza l’ambito vociano è l’impegno sul piano dell’esistenza, questo valore di impegno morale di chi si prende in carico il suo essere nel mondo e nella storia. Rebora in particolare si forma nell’ambiente lombardo e si imbeve dell’humus che caratterizza la cultura dell’illuminismo lombardo, la stessa in cui era cresciuto Manzoni→accento sull’agire concreto dell’uomo e dell’impegno morale e civile. Vive con grande passione e sofferenza l’insufficienza di questa fiducia nell’agire e di questa tensione morale→bisogno di senso→nella sua poesia dei Frammenti lirici c’è questo spazio terreno dell’esistenza vissuto con grande impegno e fiducia ma che allo stesso tempo è percepito come limitato e cerca di aprirsi a una dimensione altra. 12 • Vv. 21-22→gli allettamenti del mondo scivolano via con le forme del paesaggio, mentre il treno prosegue la sua corsa. Soprattutto fa ancora capolino quella lontananza, per ribadire il vero e conclusivo punto di fuga verso il quale sono attratte la corsa del terno e la tensione del desiderio. È la vita stessa che induce il poeta alla ricerca del senso. • V. 23→e nulla è mio al passaggio=“nulla del mondo che ci circondava pareva corrispondere alla nostra esigenza spirituale […] perché queste negazioni non erano in noi, ma fuori di noi” (Malaguzzi) 11/3/22 GIUSEPPE UNGARETTI Pellegrinaggio Il 27 agosto 1916 Ungaretti invia all’amico Giovanni Papini alcune poesie scritte nei giorni precedenti. Tra queste ci sono Soldato e Rischiaro. Il poeta ha ripreso questi due testi fondendoli in Pellegrinaggio. Il primo testo corrisponde alle prime due strofe del testo definitivo+ultimi tre versi spariscono nella versione finale. NB ogni variante è portatrice di un significato Il poeta trascina il suo corpo ridotto ad una carcassa per ore e ore. Sempre immagine di un’umanità calpestata, ridotta, violentata nella sua integrità. Mancano però la dimensione del fango, la specificazione del modo (“in agguato”), le due similitudini: suola+seme di spinalba. Non c’è agguato e non c’è “budella di macerie”. Parete vs budella→budella è una metafora, parete è referenziale→budella è un termine più forte, c’è una componente un po’ negativa, maggiore espressionismo, senso della distruzione dell’umano, idea di una strettoia maggiore, corpo ridotto a carcassa dentro un corpo ridotto a macerie. Affardellata→trascinata dietro come si fa con un fardello→nella versione finale sostituita con la metafora della suola “usata”. L’io poetante si autodefinisce, esprime una sua identità che è quella dell’uomo di pena→è l’uomo della sofferenza, del patimento→homo patiens+homme de peine (uomo di fatica). La prima versione è più ragionativa→introduce il concetto legato alla poesia→Ungaretti è un uomo di pena poeta e ciò che gli dà coraggio è l’illusione della poesia, è un’illusione positiva, una speranza. In Rischiaro “cielo torbido” è un corrispettivo di “nebbia”+il mare è un elemento positivo per Ungaretti. ⇒ciò che aiuta a trasformare la realtà e a infondere coraggio è la parola poetica, che ancora viene definita “illusione”. Successivamente Ungaretti vedrà la poesia come qualcosa che davvero ricrea. Fondamentale è anche l’elemento del coraggio+poeta come una suola calpestata che però riesce a vedere il mare nella nebbia. 15 Seme di spinalba=seme di biancospino ↳la carcassa del poeta è usata come il seme di spinalba. Il seme fa pensare a una germinazione, una rinascita, il seme non finisce in se stesso→immagine di speranza, di nascita di qualcosa. In più per fruttare il seme deve essere sotterrato→parabola evangelica→il seme deve morire per dare frutto (allegoria di Cristo). La tragicità non ha l’ultima parola→vissuto di chi è schiacciato ma sente che c’è una qualche misterioso promessa: quella del seme, della nebbia che diventa mare. Il pellegrino è chi compie un percorso devozionale per sciogliere un voto, ma nella nostra tradizione letteraria il pellegrinaggio è quello dell’uomo esule sulla terra che pellegrina verso il recupero della terra promessa→qui la guerra diventa un pellegrinaggio paradossale, il seme deve morire, dentro quell’esperienza si può generare il pellegrinaggio verso l’accettazione del proprio destino con l’illusione, la speranza di qualcosa. Qui poi Ungaretti recupera e mette a fuoco la sua identità (si chiama per nome). NB Ungaretti era stato un interventista, poi cambia completamente posizione→bisogno della poesia+nascere dentro di sé l’esigenza di espiare dentro l’esperienza della guerra quella che avverte come la propria colpa. Allegria di naufragi (14/2/1917) Il naufragio è l’idea del 900 del viaggio per mare. Il titolo è un ossimoro spiazzante. 17/3/22 È il testo che apre la sezione intitolata “naufragi” che nella raccolta segue “porto sepolto”. È una poesia di 6 versi (tutti diversi, tendenzialmente molto brevi:settenario, quinario, quinario, bisillabo, quinario, quinario). C’è di nuovo un’ambientazione marina→lupo di mare scampato a un naufragio, è un superstite. Scampa al naufragio, che sembra essere la fine di ogni viaggio per mare, ma non si ferma. Osservare la struttura fonetica ci aiuta a indirizzare l’analisi: non ci sono rime ma si può notare il contatto tra “viaggio” e “naufragio”→rima imperfetta che mette a tema la vita come viaggio il cui destino sembra essere avverso (naufragio). Se il viaggio per mare è una grande metafora per il viaggio dell’esistenza il naufragio ne è l’esito tragico MA questa tragedia in questo caso non è il punto definitivo. Dal punto di vista grammaticale da notare è l’attacco con la congiunzione “e”→c’è un’idea di continuità del tema della vita come viaggio, che però non si ferma al naufragio. È una continuità anche nella poesia perché questo testo è subito successivo a “porto sepolto”. L’ultimo testo di porto sepolto si intitola “Commiato” che viene dedicata a Ettore Serra, colui che aveva spinto Ungaretti alla poesia. Questo termina con il termine “abisso” →continuità dall’abisso. 16 Titolo→sul piano retorico “allegria di naufragi” è un ossimoro→Ungaretti dice che la radice dell’allegria sta nel sentimento di una morte da scongiurare: chi era in guerra conosceva bene l’estrema precarietà, il vivere in presenza della morte. Questa imminenza di naufragio paradossalmente affeziona alla vita, Ungaretti dice che il soldato apprezza più di ogni altro uomo il valore della vita. Dunque l’allegoria scaturisce dalla reazione degli impulsi vitali che chiedono di continuare il viaggio, di non soccombere. Il poeta come il lupo di mare continua il viaggio. Ma l’allegria scaturisce anche dall’illusione del pellegrinaggio→continua ricerca di un approdo che coincide con la rifioritura. L’unico altro testo della raccolta in cui Ungaretti usa la parola naufragio è “Preghiera”, il testo conclusivo della raccolta. Il poeta chiede al Signore il naufragio→qui è in un’accezione diversa da quello della prima poesia. Promiscuità→varietà di rapporti che l’uomo vive dentro la contingenza storica Barbaglio→effetto luminoso della promiscuità che quasi acceca “Al primo grido di quel giovane giorno concedimi oh Signore il naufragio” ↳qui il naufragio è chiesto⇒è il ritrovamento della vera vita in questa dimensione nuova, limpida, aerea. Non è la morte che inghiotte la vita, ma il paradiso che la riscatta restituendola alla purezza delle origini→memoria leopardiana→naufragio nel mare dell’essere=annegamento nell’infinito. Qui dunque il naufragio ha funzione di redenzione eterna dell’uomo liberato dai lacci della morte. Il titolo della raccolta dunque non è più ossimorico→c’è un percorso. UMBERTO SABA (1883-1957) Ulisse Appartiene alla sezione Mediterranee della raccolta Il Canzoniere. Si tratta di un gruppo di 27 componimenti scritti tra il 1945 e il 1946. È interessare notare che un poeta del 900 raccoglie le sue opere in un unico libro che intitola Il Canzoniere (rimando a Petrarca)→fa una scelta a favore della tradizione→Saba è stato definito l’antinovecentista. L’ideale di Saba è un ideale di totale chiarezza, di comunicatività con la sua poesia, usa le parole della lingua comune e della tradizione. L’altro grande caposaldo della sua poetica esposto in “Cosa resta da fare ai poeti” 1911, inviato alla rivista La Voce→non accettato in quanto considerato troppo semplice→ai poeti resta da fare la poesia onesta, introduce una forte preoccupazione etica nel campo dell’estetica. Scrivere versi non è un capriccio, un’esibizione, ma è un atto morale che deve obbedire a un criterio di onestà, cioè significa avere un’esigenza di onestà, di verità. Il poeta onesto deve mirare all’autenticità dell’espressione. Il testo “Ulisse” è l’ultimo della sezione Mediterranee. Si tratta di un blocco unico di 13 versi endecasillabi sciolti→si avvicina alla forma del sonetto. Non ci sono rime ma suoni che si ripetono (identità vocalica nella parte finale della parola→assonanza). 17 Soprattutto gli anni 20-30 sono anni in cui le vicende italiani si distaccano dalle vicende europee come non accadeva dall’età dell’illuminismo. Quello europeo è un contesto in cui si prolunga l’esperienza delle avanguardie, ad esempio nel 1916 in Svizzera nasce il dadaismo (casualità, libertà anarchica, negazione), nel 1924 un gruppo di dadaisti fonda il surrealismo, in Germania si sviluppa l’espressionismo (spiccato soggettivismo, la realtà esterna è una proiezione del vissuto interiore). In Italia subito dopo la guerra si avvertì l’esigenza di una sorta di ritorno all’ordine cioè si avvertì il bisogno di un recupero di valori tradizionali che erano stati sconvolti o negati dalla generazione precedente. NB non poteva trattarsi di una totale inversione di rotta. Si tenta di armonizzare la modernità con un retaggio del passato che si torna ad avvertire come vitale. In Europa ebbe luogo un filone di rinnovamento della poesia che a posteriore ha preso il nome di modernismo. È un’esperienza erede del simbolismo ma da un lato si rivolge al recupero della tradizione, dall’altro alla ricerca di forme nuove. Fu promosso a Londra a opera di T.S.Eliot e poi si diffuse nelle altre capitali europee. Il modernismo si realizza in una poesia complessa in ragione del suo carattere molto denso concettualmente e per la sua scrittura molto allusiva. È una poesia che risponde a una rigorosa tendenza conoscitiva. Non mira alla frammentazione ma alla costruzione di grandi forme: • La terra desolata, T.S.Eliot 1922 • Incantesimi, Paul Valery 1922 (più grande discepolo di Mallarmé) • Elegie duinesi, R.M.Rilke 1922 • Cantos, E. Pound 1919-1968 • Sentimento del tempo, Ungaretti, 1933 La pubblicazione di Ossi di seppia avviene a Torino nel 1925 per opera di Gobetti→aveva riunito intorno a sé l’intelligenza settentrionale che si batteva culturalmente contro il fascismo. Obiettivi progettuali: recupero e rinnovamento degli esempi della tradizione (da Dante a Leopardi) per continuare a concepire la poesia come un’interrogazione sul destino dell’uomo e sul mistero dell’esistenza. →Temi degli Ossi di seppia 20 Miracolo→ricerca di un anello rotto della catena, un varco nel muro che apre lo spazio della libertà, della propria vita compiuta, il fatto di non essere un ingranaggio nella macchina (determinismo). Il realismo metafisico Nella poesia Riviere il poeta ripensa a se stesso nel periodo dell’adolescenza→il fanciullo sta appoggiato a una balaustra arrugginita, sta salutando la giovinezza. Qualunque lettore non può non avere in mente Stasera di Ungaretti (balaustrata di brezza ecc.)→sempre un saluto a qualcosa che sta morendo. MA nella lirica di Ungaretti il poeta appoggia il suo stato d’animo malinconico a una balaustra fatta di brezza→immagine astratta che rappresenta in modo figurato un concetto. Nella lirica di Montale invece il fanciullo si appoggia realmente a una ringhiera di una terrazza (è quella della casa di Montale a Monterosso). ⇒In Montale tutto parte dalla realtà concreta che si fa simbolo di qualcosa→correlativo- oggettivo=un oggetto della realtà, un momento storico, un particolare si carica dei sentimenti dell’autore. È il reificarsi di una domanda, di una spinta indagativa. Questo è ciò che si definisce realismo metafisico. CASA SUL MARE (1924) È l’ultimo testo che si rivolge alla figura di Paola Nicoli. È uno dei testi più alti degli Ossi a cui Montale conferiva il valore di testo simbolo. 4 strofe, prima di 7 versi per lo più endecasillabi (polimetria), la seconda di 8, la terza di 18, l’ultima di 4. Il testo si fonda su una ripetizione anaforica che racchiude la grande domanda della donna→“se così tutto vanisce” 25/3/22 Il concetto del verso che si ripete è la fine del viaggio in un certo luogo. Il qui del primo verso fa riferimento alla casa sul mare. Spiaggia→luogo limite tra qui e l’oltre, l’ignoto, l’infinito Nelle prime due strofe si potrebbe trattare di un semplice testo descrittivo di un luogo. Prima strofa Il poeta adulto torna nel luogo dell’infanzia→il viaggio finisce dove si è partiti MA da un lato il “qui” indica la spiaggia della casa sul mare ma dall’altra il “qui” vuol dire anche ciò che viene detto dopo→“cure” è un latinismo che significa preoccupazioni, affanni, che dividono l’anima, la occupano, è un’anima che non sa più neanche dare un grido→è un’immagine metaforica per un’anima che non ha più voce, spenta. 21 Giri di ruota della pompa→immagine del pozzo che diventa simbolica di un tempo ripetitivo (immagine ripetitiva). ↳immagine della catena del pozzo si fa simbolo, correlativo oggettivo della fissità, di una catena inesorabile, sempre uguale. Seconda strofa Si introduce la descrizione della spiaggia→descrizione marina→le onde dell’acqua tentano (si approcciano) alla spiaggia. Poi sposta lo sguardo più sull’orizzonte→anastrofe o inversione→la marina (=spiaggia, costa) è il soggetto, il che relativo è ancora il complemento oggetto, i “soffi leni” sono soffi leggeri cioè la brezza, la conca è un leggero avvallamento→il mare trema (si formano delle conche) per la brezza→qui Montale dice in un altro modo un verso dantesco tratto dal canto I del Purgatorio (“conobbi il tremolar de la marina”). Il paesaggio marino quindi non disvela nulla→il poeta non vede nulla al di là del mare. Raramente può apparire nella bonaccia (=assenza di vento) la Corsica e la Capraia→davanti a sé il poeta ha il nulla, quasi impossibilità di veder al di là se non raramente il contorno di altre isole. “Le isole migrabonde dell’aria” è una metafora che indica le nuvole che si muovono nel cielo. Questa metafora anticipa il concetto di isola che vene ripreso dopo con la Corsica e la Capraia. L’accento di tutto però cade su “nulla disvela”. Terza strofa L’attacco non è più un viaggio che finisce ma un “tu” che parla. La strofa così lunga cambia registro, non è più descrittiva, che è un tu che pone una domanda e un io che risponde. Qui il discorso verte attorno alla domanda posta dal tu (è la figura femminile che ha popolato la vita del poeta da giovane). I due elementi che più caratterizzano la scrittura di Montale sono “tu” e “forse”→la poesia indaga+natura raziocinante della sua poesia che non cerca una rivelazione. “Forse solo chi vuole s’infinita”→neologismo, si oppone al “finisce” dell’incipit. Montale ha preso da Dante l’idea di formare dei neologismi formati dal prefisso in-+infinito. Per i più non c’è salvezza dalla catena ma qualcuno forse può sovvertire questo disegno e passare il varco→metafora “avara speranza”=speranza piccola, chiusa. Il poeta vuole dire che la sua speranza è poca, piccola, è stanco e non sa farla diventare ricca. Il gesto che domina questa riflessione con queste ipotesi è l’atteggiamento di offerta per l’altro, per il tu→gesto oblativo, cioè di dono→è ciò che Montale accoglie e sente per sé di tutto il messaggio cristiano. Offre la sua speranza in pegno al fato del tu per che il suo destino “ti scampi”→si scampa il naufragio nel nulla. 22 Più che foce del torrente sul luogo è la foce, il punto finale di “umani atti consunti”→atti umani consumati, immagine di un’umanità consumata, idea di qualcosa di ripetitivo. Vite impallidite→pallide per la consunzione, segnale che porta verso la fine. Confermato dal participio “tramontanti”=vite che stanno tramontando→il cerchio è termine dantesco (cerchi dell’inferno). Il cerchio rinchiude⇒l’immagine del luogo dove si svolge la vita umana è ancora una volta un’immagine di prigionia. Enumerazione in sintassi nominale dopo i due punti→2 elementi umani+2 elementi che fanno parte del paesaggio della strada (cavalli+ruote=carri)⇒sono tutte sineddochi (parte per il tutto). ↳Il poeta dice che queste non sono vite ma vegetazioni del mare=alghe. Il lettore è accertato di questo grazie alla strofa successiva in cui si esplicita il termine “sargassi” =vegetazioni marine. Questa descrizione è una sorta di climax in cui addirittura il poeta vede una regressione dell’uomo alla stato vegetale. Il punto cruciale è il “ma” del terzo verso→il poeta sta descrivendo una realtà molto precisa e si instaura la dimensione metaforica. Terza strofa Chiarifica la seconda strofa, ma non cambia il tono. Il primo verso riprende i primi tre versi del terzo canto dell’Inferno dantesco. Non c’è scarto di direzione, gli uomini sembrano andare in fila, si tratta di un’andata in massa in un’unica direzione. Incappati=incappucciati→similitudine→riferimento dantesco 23 canto inferno vv. 58-61 in cui si parla degli ipocriti. Il loro contrappasso è quello di dover camminare sotto una cappa di piombo in quanto l’ipocrita ha voluto apparire d’oro all’esterno ma all’interno era di piombo=non corrispondenza tra l’interno e l’esterno. Dante descrive un andare nel pianto, con passi lenti dovuti alla cappa di piombo e nell’apparenza i dannati sono stanchi e vinti. Questo verso montaliano non può che rimandare a Dante→Montale ha colto l’immagine del corteo dell’andare appesantiti a causa del piombo→prendere quest’immagine per rappresentare questa umanità di dannati (il punto non è l’essere ipocrita in sé, ma l’essere dannato). La seconda parte della descrizione passa dal corteo al cielo→si parla di vetrine di negozi lungo la strada che diventano specchio→la volta celeste è infranta dalla nebbia, che si è diradata quindi c’è una luce che si riflette nel vetro delle vetrine. Oppure idea della pioggia che si riflette nelle vetrine. La parte finale spiega di più la vegetalizzazione→l’atmosfera di nuvole e pioggia avvolge fitta i passi e uguaglia (similitudine) i sargassi alle tende dei negozi (quelle di bambù al listarelle→fanno rumore se c’è vento). Le alghe umane fluttuanti sono simili alle tende→non solo vegetalizzazione ma anche reifizzazione. 25 Quarta strofa Il poeta non vuole che la tristezza l’abbandoni perché gli rimane solo quella→in questa nuvola di realtà morte gli uomini sono ridotti a vegetali e il sentimento della tristezza è l’unico elemento che tiene il poeta attaccato ancora ad un’immagine di vita perché si tratta di un sentimento+forse presagio, qualcosa che riguarda il futuro. Attesa di qualcosa che sta per accadere e se la tristezza lascia il poeta questo cadrà nella totale indifferenza. L’ultimo distico è una ripresa della descrizione del paesaggio→un’onda lenta che non appare sorprende la proda→tutte immagini di attesa. Nella quinta e sesta strofa avviene un incontro in cui il poeta vede una via d’uscita da quella condizione di sargassi umani. 7/4/22 Quinta strofa È la strofa della metamorfosi, è ancora vegetale ma inversa rispetto a quella dei sargassi: il poeta si avvicina a una pianta, le tende la mano e questa si attorciglia→la pianta sembra trasformarsi in un essere femminile che sembra ridare un aspetto al poeta, si sente investito da una forma che gli era stata tolta. Qui Montale dice che è attraverso l’incontro con questo altro da sé che proviene dall’aldilà (donna persa, che la morte ha portato lontano) che si produce uno scambio vitale che ridà consistenza, ridà vita per un momento. Indubbiamente Montale qui ha presente il mito di Dafne. In un passo del suo diario Montale si rivolge ancora ad Annetta e le dice che alla foce del Bisagno si era trasformata in Dafne (rif. alla poesia). L’incontro è una questione di un momento. Sesta strofa Oh sommersa→è Arletta Quel momento di scambio vitale si è dissolto e c’è come una presenza sparsa. L’esito dell’incontro è che il poeta prega questa presenza per sé→evidente allusione dantesca, in particolare l’aggettivo “persa” al terzultimo verso è legato al lessico dantesco: l’aere perso è un’aria di colore rosso scuro che indica l’inferno. Nella memoria poetica italiana è presente questo richiamo a Dante nell’aggettivo “persa”. Questa evidenza dantesca ci aiuta a cogliere l’altra→il poeta prega la presenza che “discenda altro cammino” →“a te convien tenere altro viaggio” dice Virgilio a Dante nel primo canto dell’inferno. Qui idea del cammino come una discesa. Metafora: brulichio dei vivi→connotazione non pienamente umana (brulicare fa riferimento al mondo animale). Secondo canto dell’inferno: Dante si ferma davanti alla proposta dell’altro viaggio, ha bisogno di altre ragioni quindi Virgilio lo accerta del fatto che il suo viaggio sia voluto. 26 Virgilio lo rimprovera di viltà e lo esorta a essere franco e libero. In Dante il. Concetto di viltà è quello aristotelico di pusillanimità. ⇒La preghiera di Montale è di affrontare l’inferno del reale, di scendere in quell’inferno che è la realtà ma con la compagnia della donna, le chiede di fargli da Beatrice, di stargli accanto in questo cammino. Scendere senza viltà vuol dire anche abbandonare la tristezza, vuole abbandonare l’autocommiserazione e affrontare con coraggio la realtà. Per affrontare però questo altro cammino occorre una presenza che faccia da guida→donna salvifica antesignana delle donne salvifiche che popoleranno la futura poesia montaliana, es. la moglie Drusilla Tanzi (la mosca)+Irma Brandeis (Clizia), studiosa americana di origini ebraiche di letteratura italiana e Dante. Qui il poeta prega la donna e chiede un’impossibilità di salvezza→il finale degli Ossi presenta questa possibilità di pregare qualcuno e chiedere di stare accanto e di indicare la strada, idea che la salvezza viene dagli altri+colloquio che può essere salvifico tra i vivi e i morti, no separazione tra questi mondi. La salvezza per altri di casa sul mare si sostituisce alla richiesta della salvezza per sé grazie ad altri in questa poesia. 27 Quarta strofa Recidivo→ambito giuridico qualcuno compie di nuovo lo stesso reato, in ambito medico ritorno di una malattia che si è già fatta. Qui è la speranza che non vuole demordere e che torna. La speranza recidiva è della voce interiore del poeta, il sé speranzoso ha parlato al sé scettico, negativo. È un dialogo interiore drammatizzato: il qualcuno è l’altro se stesso che parla a sé e lo invita a non perdere la speranza. Nei versi successivi ci sono reminiscenze del linguaggio di D’annunzio+la speranza continua a voler vedere l’estate cioè credere nella vita e nell’altra vita. Altra immagine mitologica→gli alberi continuano ad avere dentro di sé la loro ninfa→le ninfe boscherecce erano simbolo di fecondità→altra immagine di vita che continua. Ultimi tre versi soggetto è la speranza e il predicato è “vede”→nella pianura vede estendersi sotto di sé la pianura padana. Tenochtitlan→antica capitale del regno azteco prima della conquista spagnola→immagine illusoria→la speranza trasforma la vita Miraggio dell’estate, del ritorno della vita, gli fa vedere una capitale azteca al posto di Mantova. 8/4/22 Quinta strofa Stessa struttura sintattica della terza strofa→queste forme che indicano il procedere del viaggio sono riprese di modi petrarcheschi (vedi sonetto 121)→la grande letteratura cresce dentro una tradizione, ogni poeta cammina sulle orme di un patrimonio culturale. Indicazione di come il portare avanti dà frutti soprattutto quando si muove su una riflessione che si è sedimentata sulla base di un patrimonio di sapere→è ciò che approfondisce l’esperienza. Il poeta del 900 non vede nulla oltre la nebbia (“di abbagliamento in cecità”)→rimando a Montale. L’effetto è sempre un non potersi orientare, da qui il tentativo del tendere la mano, immagine proveniente dalla classicità (abbracciare qualcosa che non ha consistenza→Enea che cerca di abbracciare il padre+Dante che cerca di abbracciare Casella). Nulla-cecità→la speranza recidiva ha una ricaduta nella non speranza (entrare e uscire da un tunnel) Sesta strofa Rafforza l’idea per cui la speranza nell’esistenza in un’altra vita è smentita→figura mitologica della sibilla in cui è evidente il richiamo virgiliano della sibilla di Cuma. La sibilla cumana sta nella grotta marina a Cuma (Campania) e dà i responsi in forma enigmatica. Scriveva i responsi su delle foglie che poi lasciava al vento. Qui però la precisazione “quella che sempre più ha voglia di morire” si rifà a una leggenda particolare della sibilla cumana, che aveva chiesto e ottenuto la vita eterna ma non aveva ottenuto l’eterna giovinezza→per questo vuole morire. 30 È questa sibilla che desidera la morte che sibila nella grotta (volte=grotta della sibilla+del tunnel stradale) che il colore che non si può cancellare è il colore del vuoto→il nulla resiste, è l’unico esito.⤵ Il colore del vuoto→non si può cancellare Scelta del verbo “sibila”→insinuazione del dubbio, di un’altra verità, ha in sé qualcosa di maligno (serpente)→è la tentazione del nichilismo, della non-speranza ↳è qualcosa che si insinua nel poeta La sibilla è pervasa da un desiderio di finire→opposta alla quarta strofa che invece è piena di immagini di vita. Domanda che rimane tale, il poeta spera nella vita, nel ritorno dell’estate e ha però dentro il dubbio che tutto sia vuoto→il poeta del 900 pone domande, non dà risposte, ha davanti l’inconoscibilità 28/4/22 MARIO LUZI Nasce nei pressi di Firenze (1914-2005), si laurea in letteratura francese. Insegna letteratura francese a Firenze, comincia a scrivere nel clima dell’ermetismo e lavora in molte riviste. Le prime raccolte confluiscono ne Il giusto della vita (1960). Ci sono poi raccolte successive in cui il linguaggio si fa più arduo e drammatico. Il grande tema luziano è quello dell’incessante mutamento, del riproporsi della vita in una “eterna metamorfosi”. Luzi è uno dei pochi poeti del 900 che ha avuto subito grande successo con le sue opere. Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994, ultima raccolta) ↳Simone Martini era un pittore gotico senese del 300→è un evidente alter ego dell’autore Il viaggio parte da Avignone e arriva a Siena→simbolo della terra promessa, metafora del mondo in cui Dio e gli uomini si incontrano. All’interno della raccolta vediamo sempre un “agguato del celeste”, il viaggio è sempre tra i due piani. Tutto il libro è orientato in quest’osmosi di tempo ed eternità. La raccolta è composta da 212 poesie suddivise in 9 sezioni→per dare un’interpretazione del testo Lied-Aubade è fondamentale il riferimento alla posizione nell’opera. Nel viaggio c’è un’elevazione anche del poeta, infatti l’ultima sezione si chiama ispezione celeste. LIED-AUBADE È collocata in una sezione intitolata “carovana”, ed è la prima di una serie di 5 albate, in cui il tema comune è l’attesa impaziente dell’alba. La traduzione del titolo è Canto dell’alba→il Lied è un genere tipicamente tedesco, anche le albate erano eseguite dai trovatori in età medievale. Tutta la tradizione letteraria solitamente vede nelle albate l’io lirico che maledice l’arrivo dell’alba (spesso è un dialogo tra gli amanti→l’arrivo dell’alba significa interrompere la notte d’amore)→vedi The Sun 31 Rising di John Donne. Qui invece l’alba è attesa in maniera impaziente→dobbiamo chiederci perché per poter capire il testo. Sono 18 versi liberi, non ci sono strofe né uno schema rimico regolare→per dare ritmo si usa l’allitterazione. L’argomento è un io lirico in viaggio con un tu che attende l’alba, che però è assente. L’io lirico ridomanda perché l’alba tardi ad arrivare. Si vede un mutare dell’io lirico, con una incertezza crescente. Vv. 1-3→la poesia inizia con un “ma” con funzione pragmatica, cioè spezza il silenzio e segnala la presa di parola dell’io lirico in maniera forte. Il tu viene subito introdotto. Il “ti prego” è in una frase incidentale evidenziandolo ulteriormente e sottolineando la dimensione di preghiera che la poesia assume. Non ci sono rime quindi il poeta conferisce musicalità con l’allitterazione della t e con la ripetizione della sillaba “ta”. La struttura della poesia è a scalini, ma il ritmo viene mantenuto dall’utilizzo dell’enjambement, c’è solo un verso che non ce l’ha. Vv. 4-9→si apre la seconda interrogativa del testo con il “dove”, il poeta si domanda dove sono quei segnali che indicano l’inizio del nuovo giorno. Ci sono 3 versi costituiti da una singola parola, ma legati da enjambement. Nuovamente il poeta conferisce musicalità con l’allitterazione della s, della r e della sillaba “ra”. Sempre in una frase incidentale sono delle parole significative→fanno riferimento alla percezione soggettiva dell’io lirico, che non avverte quei segnali che indicano che l’alba sta arrivando. I “rari” sono quelle poche persone che al momento dell’alba sono sveglie. Vv. 10-14→si parte con una frase dichiarativa: i rari dichiarano che è giorno camminando e perciò producendo rumore su un terreno sassoso. Questa è la sezione rumorosa del testo: il testo è costruito sull’alternanza tra silenzio (primi 9 versi) e rumore (10-14)+tutto viene riavvolto dal silenzio. Salta all’occhio il parallelismo “ e ne ripetono”, “e ne ribattono” +ripetono-ribattono è un omoteleuto. Ritroviamo l’allitterazione della r e della s→musicalità forte perché è una Lied. Il “conio” fa riferimento alla creazione di una moneta→rimanda a qualcosa che viene creato, che è caratterizzato da un nuovo inizio, esattamente come l’alba + idea che i rari camminando sul suolo lasciano come un’impronta sulle pietre. “Scarpinando” ha un valore quasi onomatopeico, ridà quasi l’idea del rumore del piede. “Allegramente” contrasta un po’ con tutta l’atmosfera della poesia, che invece è immersa in un’atmosfera di ansia e attesa dell’io lirico. Qui ad essere allegri infatti sono i rari non l’io lirico. Questi versi introducono nel testo una voce più colloquiale che però comunque è assente. Importante è il fatto che tutti i verbi della poesia sono al presente (il testo è centrato sul qui ed ora dell’io lirico) tranne il gerundio al verso 14. I tre puntini di sospensione+il gerundio indicano un’azione continuata. Il “ri” di ripetono e ribattono ha valore continuativa: ogni mattina accadono le stesse cose. 32 NB quando Caproni è morto, i suoi cari hanno riferito che aperto sul comodino c’era un’edizione della commedia aperta sui versi 118-120 del purgatorio→Dante ritrova la strada perduta+gli sembrava di camminare invano quando non la trovava⇒immagine di un ritrovamento. La ricerca in Caproni è ossessiva (si pensi al titolo della sua ultima raccolta), è una poesia di mete irraggiungibili perché considerate inesistenti. STANZE DELLA FUNICOLARE ↳raccolta che esce nel 1952 e che poi confluisce ne Il passaggio di Enea. Questa raccolta contiene 3 poemetti (poesia narrativa) composti da 12 stanze di 16 endecasillabi (Caproni dice di essersi ispirato a Shelley). La prima si intitola proprio Stanze della funicolare. La terza si intitola Il passaggio di Enea. L’ispirazione deriva da un monumento presente a Genova di Francesco Baratta che rappresenta Enea, Anchise e Ascanio che fuggono da Troia in fiamme→padre=passato, figlio=futuro. Questo monumento sorge in Piazza bandiera e rimase incolume dopo che la piazza fu completamente bombardata⇒guarda a Enea con tutta la coscienza dell’uomo contemporaneo, idea di voler ricostruire dopo la guerra. L’insistenza con cui Caproni continua con quella ricerca ci dice che il futuro viene costruito. 5/5/22 I titoli prima di scegliere “Il passaggio di Enea” erano Itinerario e Ossario→rimandano ai nuclei tematici della raccolta: il viaggio + la riflessione sul tema della morte. Il primo poemetto è intitolato “le stanze della funicolare”, il secondo “all alone” e l’ultimo “il passaggio di Enea”. Il primo è un poemetto di 12 stanze di 16 endecasillabi. Ognuna di queste strofe è in realtà una stazione del percorso della funicolare. 35 ↳indicazione di partenza della natura allegorica di questo testo. NB Tutti i 3 poemetti sono preceduti o seguiti da un componimento più breve. Nelle stanze della funicolare il componimento più breve precede il testo e ha il titolo di Interludio. INTERLUDIO Interludio è un componimento che precede Le stanze della funicolare, ma si lega al testo che nella raccolta Il passaggio di Enea chiude la sezione precedente, quindi sta in mezzo tra la fine di una sezione della raccolta e l’inizio della sezione successiva. La fine della raccolta precedente è sempre un ambiente notturno, di una notte che prelude all’alba, quindi un tipo di ambientazione cronologica che si lega esattamente all’inizio del viaggio della funicolare→ecco perché interludio e non preludio. ⇒I poeti inseriscono i singoli testi dentro una struttura dalla quale non possiamo prescindere per capire più a fondo i singoli testi. Tra l’altro Caproni era un musicista quindi usa moltissimi termini che hanno a che fare con la musica (interludio fa parte del linguaggio musicale). Dunque interludio ci introduce alla partenza della funicolare. È un breve testo di 2 strofe: la prima è di 6 versi, la seconda di 12. Metricamente c’è una polimetria→versi compresi tra il settenario e il novenario. NB Erebo=regno dei morti, letteralmente significa oscurità, viene dal nome proprio di una divinità arcaica che presiedeva il regno dei morti. Sul piano metrico c’è un ricorrere continuo di enjambements→la compiutezza del senso non coincide con la fine verso. Rima inclusiva scialba-alba, perché scialba include alba+omotonia in a→creano una musica tutta uguale che ha a che fare con il contenuto. La poesia descrive un ambiente: c’è un io lirico che dice 4 volte di aver conosciuto. C’è quindi un percorso conoscitivo→l’io lirico sta descrivendo un’ambientazione invernale 36 all’alba (senso di freddo) in una latteria (bar, locali molto semplici dove a volte a mezzogiorno si preparava da mangiare per i lavoratori, in generale per spendere poco). L’oltretomba per il poeta è una latteria d’inverno. Di Proserpina viene detto cosa fa e come è vestita→si tratta della giovane che lavora nella latteria che apre l’esercizio. Sta lavando dei bicchieri “nebbiosi”, cioè sporchi di latte. Probabilmente sono bicchieri rimasti dalla sera prima e lei appena apre comincia lavarli→gesti quotidiani e banali. Questa ragazza è anche presentata come un po’ dimessa, con un vestito scialbo, quasi assimilato all’alba scialba (è inverno). Nella latteria l’io poetante nota la presenza di tavoli neri+descrizione di avventori, cioè clienti che sono certamente lavoratori che cominciano il turno alle prime luci dell’alba e lasciano la bicicletta allo stipite della porta e entrano nella latteria. I rossori indicibili e le mani sono le mani arrossati dal gelo in una mattina di inverno. Le mani di gelo sulla segatura rancida sono quelli della ragazza→la segatura veniva usata per aspirare l’umido e lo sporco del pavimento. Il termine “rancido” viene spesso usato in correlazione con il cibo e in particolare con il latte→la segatura che si usava per pulire prendeva spesso l’odore acre+riferimento al latte. Le mani è una sineddoche che sta per la ragazza che con le mani infreddolite tiene in mano lo spazzolone con cui pulisce il pavimento. Ultima immagine→la ragazza ha una tazza in mano e arriva uno dei clienti che sta per fare l’ordinazione. Dunque dal punto di vista della descrizione c’è un realismo disarmante→luogo caratterizzato da una certa povertà e squallore. MA il poeta fin dall’inizio ci ha annunciato che quella latteria invernale in realtà è altro: nel momento in cui ha varcato la soglia della latteria quell’ingresso si è rivelato altro in modo epifanico→ha varcato la soglia del mondo dei morti. La ragazza non è più la cameriera ma Proserpina, la custode invernale del regno dei morti. C’è un cromatismo che domina: il biancore che sembra esaurirsi tutto nella nebbia+tavoli neri→ha un che di spettrale. L’altro elemento cromatico è il rossore, però è un rossore di gelo→tutto rimanda alla dimensione infera. I personaggi che entrano vengono chiamati “anime”→Dante chiama così i personaggi dell’aldilà. Inoltre queste anime entrano nella latteria e si perdono tra i vapori (entra il freddo da fuori, la nebbia, i fiati, il vapore creato dallo scaldare le bevande ecc.), c’è lo svanire nell’impalpabilità dei vapori. La ragazza poi lava i pavimenti “senza figura” →anche lei è dissolta nei vapori, è senza corpo nel fumo, che è la variante di vapori. Aspetta di mescere il latte a questo io che entra→immagine di vuoto (non solo della tazza vuota, è tutto un vuoto). La paura è quella di chi ha varcato quella soglia e si è trovato nel regno dell’oltre→l’io ha paura perché ha fatto questo percorso conoscitivo che lo ha portato a conoscere la meta ultima. ⇒Con questa poesia avviene il passaggio dal fisico al metafisico, è un momento rivelatore del destino. 37 una corda sola→cavo della funicolare. La cima inflessibile non si ferma e prosegue. L’ora stacca come un sospiro la funicolare dai gridi e dalle persiane verdi→il cavo porta via la funicolare verso altre zone e quindi la stacca da quel panorama. Oltre le persiane sta la stanza di specchiere freschissime=è una stanza particolare che dà la ragione per cui il poeta dice che è la sola dove sarebbe stato bello chieder l’alt→è la stanza dove viveva Olga Franzoni. In una prima redazione Caproni commenta e insiste su questo riferimento autobiografico, che invece camuffa un po’ nella redazione finale per rendere il testo il più universale possibile. ⇒è tutta una stanza dedicata al risveglio dei sensi e all’amore. VI STANZA Si vede il quartiere di Oregina, dove si trovava la casa della fidanzata del poeta, infatti l’immagine che apre la stanza è quella di una mano che saluta, è una mano diafana, quasi trasparente che lascia intravedere il sangue. Viene introdotta un’atmosfera più cupa. Siamo a mezzogiorno→maturità. Rintocca il cannone del mezzogiorno, che viene definito cupo→introdursi dell’elemento tragico nella maturità del poeta e anche del secolo, ovvero la guerra (furgone, carro). È qui che si teme l’arresto, l’alt. 13/5/22 La IX stanza è caratterizzata dalla pioggia e dalla purificazione. È una notte segnata da una frescura data da una pioggia anche cade e tutta la stanza insiste su questa condizione atmosferica che indica l’elemento della purificazione, anche da tutto il male che c’è stato. X STANZA Introduce un’immagine notturna nella dimensione del sogno+torna l’immagine delle ragazze sempre nell’atmosfera bagnata e umida (è un’atmosfera marina). Qui c’è l’immagine delle ragazze in amore (ci sono dei marinai). C’è questo sapore del mare + richiamo all’odore di pesce. La notte è illuminata dalla luna e le luci si riflettono sul mare + la luna sparge i suoi raggi sulle pietre che odorano di mare e penetra le pietre fino a diventare un tutt’uno con esse e quindi per questo la luce sembra avere lo stesso odore delle pietre. Ecco che questa immagine quasi di incontro cielo-terra segna la fine del sogno e la conseguente delusione perché tutto non si ferma a quel sogno che è così bello. Il sogno è dolce anche perché è il ricordo della giovinezza. XI STANZA Reintroduce l’elemento della nebbia, al di là del sogno la nebbia annuncia di nuovo un’alba. La silenziosità dell’alba si trasferisce alla funicolare (ipallage)→l’alba è solitaria e silenziosa, subito dopo la dimensione del silenzio e l’aggettivo “silenziosa” è trasferito alla funicolare⇒è il nulla che sta arrivando, passaggio nell’oltre da cui tutto è partito. Poi è introdotta l’immagine che avvisa che stiamo tornando all’inizio→ragazza che lava il pavimento e i bicchieri del latte. La donna che lava per terra sa qual è l’ora del destino, la 40 meta ultima→sappiamo che la ragazza in realtà è Proserpina, la custode dell’oltretomba. Lei sa perché è già nella dimensione al di là. XII STANZA I bar della stanza precedente diventano “il” bar, che viene chiamato esplicitamente Erebo. Tutto il linguaggio sembra invischiato nella nebbia stessa, è quasi afasico perché ripete ossessivamente la dimensione iniziale→alba lattiginosa. Il linguaggio si arrotola in questa continua tautologia fino allo svuotamento semantico, come la resa di un’atmosfera. Il mare di nebbia è il luogo dei morti richiamato ancora una volta dall’immagine di Proserpina. Rispetto a Interludio la ragazza è descritta con due elementi in più: 1. É in ciabatte 2. I suoi occhi sono invasi dalla nebbia ↳sottolineature di una realtà dimessa, abbassa ancora di più il mito di Proserpina e quindi è coerente con l’abbassamento di una vanità del tutto→rafforza l’immagine del nulla in cui va a finire la funicolare. Si introduce l’elemento dell’acqua, che non è più quella del mare o della pioggia, ma è di nuovo un’acqua di nebbia, la luce del sole è fioca e ancora dominata dalla nebbia. In questa nebbia, in questo nulla l’arca scompare dalla vista→rappresentazione dell’idea della vanitas, anche l’arca scompare e addirittura sembra nullificarsi. Scompare alla vista e viene coperta dalla luce vuota dell’alba+la funicolare è insipida, perde il colore→è l’evanescenza, lo svanire nel biancore. L’arca non è di salvezza, tutto svanisce e la luce dell’alba è vuota→rimando a Casa sul mare+Leopardi. C’è la stessa affermazione che però in Montale era una domanda la cui risposta era no. Qui è di nuovo un non riuscire ad uscire dalla visione che la vanità è la fine di tutto. La Sibilla di Sereni, che vuole morire e che tutto sia nulla, parla del colore del vuoto. Qui si riprende quell’immagine che è anche di colore→colore del vuoto dell’alba. NB è Sereni che ha in mente Caproni (Autostrada della Cisa è posteriore alle Stanze della funicolare). In Casa sul mare si riprende la presenza della nebbia→l’infinito del mare non disvela nulla se non “pigri fumi”, più avanti c’è anche la parola nebbia. Dunque anche in Montale come qui c’è l’immagine di mistero, non si vede nulla se non pigri fumi+richiamo alla dimensione della nebbia (“nebbia di ricordi”). In questa strofa c’è quasi il condensarsi del linguaggio per restituire l’immagine del vano. Alla fine si parla di lenzuolo→è bianco+in tutta la storia dell’occidente è il lenzuolo funebre, il sudario. Dunque ecco l’identificarsi di quella nebbia, di quel vuoto con l’elemento del sudario, della morte come nulla. È svanita persino la voglia di chiedere l’alt in questo viaggio senza senso→anche la morte non è guardata come momento possibile di compimento del destino, qui è proprio il dissolversi nel nulla. Siamo proprio nel cuore della teologia e metafisica negativa del 900 che ha dentro però la grande domanda e continua in una ricerca. 41 IL CONGEDO DEL VIAGGIATORE CERIMONIOSO Testo del 1966, eponimo della raccolta Il congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee. Nel caso di Caproni prosopopea è un testo allegorico→c’è un io poetante che parla + una serie di personaggi MA è un poemetto di carattere allegorico. La raccolta comprende poesie scritte tra il 1960 e il 1965 e il poema è un testo con tema il viaggio→c’è un viaggiatore che si congeda in modo cerimonioso. ↳C’è un viaggiatore in uno scompartimento di treno che si appresta a scendere e saluta i compagni di viaggio. Caproni descrive questo testo come un piccolo testo teatrale (è tutto un discorso diretto). Dal punto di vista della forma abbiamo 8 strofe più un verso lasciato da solo+abbiamo versi liberi con prevalenza di settenari e ottonari. Lo stile sembra un parlato se non fosse che dal punto di vista del tessuto fonetico il poeta ha scelto di usare la rima non secondo una rima regolare ma comunque molto avvertibile (ci sono delle rime baciate anche se lontane es. vv. 1-6). Il testo poi è molto ricco di enjambements. Del viaggiatore non sappiamo nulla, come non sappiamo nulla del treno, da dove è partito, dove è diretto→già nella prima strofa l’io dice che non sa che ore siano o quali stazioni precedano la sua. Fin dalla prima strofa si comincia a notare come il poemetto allegorico parli del viaggio della vita→il viaggiatore prende commiato dalla vita stessa e dai suoi compagni di viaggio, che sembrerebbero l’incarnazione di aspetti valori della vita. Prima strofa Introduce il tema del distacco dai compagni di viaggio. C’è il prevalere di un lessico non determinato e segni di un non sapere da parte dell’io. Il primo verbo infatti è “credo”, non c’è certezza→l’io non sa dov’è, che ore sono ma ci sono dei segnali che gli dicono che presto dovrà lasciare i compagni (il verbo “lasciare” è uno dei tanti eufemismi con cui si parla della morte). L’io chiama i compagni di viaggio “amici”→sono coloro con cui ha attraversato un pezzo di viaggio e quindi un pezzo di vita. Tutto è avvolto in una nebbia, la nebbia del sapere, tutto è avvolto dal mistero. Seconda strofa Il viaggiatore comincia a chiedere scusa per il disturbo, è un personaggio molto educato, si congeda con un linguaggio molto colloquiale (qui sta la cerimoniosità→ironia). È il modo che il poeta ha scelto per far passare il tono decisamente ironico del testo, quasi addirittura scherzoso. È il modo in cui il poeta, prendendo la distanza sul piano della leggerezza, sta parlando di qualcosa di grave, di grande, cioè il problema della morte. Il viaggiatore poi ringrazia i compagni per “l’ottima compagnia”→linguaggio comune. 42 2. Autostrada della Cisa→Sereni parla di “recidiva speranza”, una speranza che nonostante qualcuno la neghi continua a tornare. NB non si tratta di nichilismo perché il poeta continua sulla sua ricerca. SOSPENSIONE Il testo appartiene alla raccolta Il conte di Kevenhüller del 1986→Caproni si imbatte in un avviso scritto dal conte (risale al 1700) in cui sollecita la popolazione del milanese a dare la caccia a una bestia. Caproni rimane attratto dal tema della caccia, che è a lui molto famigliare perché su questo tema è incentrata la raccolta precedente (Il franco cacciatore). In più la dimensione di ricerca è vicina all’idea del cacciatore che va in cerca della preda. Qui la preda non è Dio come ne Il franco cacciatore ma una bestia→entità polisemica, metamorfica, lo stesso Caproni dà nel tempo interpretazioni diverse. In un primo tempo Caproni dice che la bestia è “ciò che sta dietro la parola” quindi è ancora il problema dell’inconoscibilità della realtà e il fatto che la parola è ormai ingannevole, non c’è più un rapporto diretto tra parola e oggetto. In un secondo tempo dirà che la bestia è il male, cioè il Male nelle sue varie forme. La struttura di Sospensione è molto diversa dalle precedenti→richiama Ungaretti con l’importanza delle pause, versi singoli, accostati a due a due ecc. A partire dal Muro della terra e in particolare in queste ultime raccolte si parla di una afasia=mancanza di parole. La poesia di Caproni si dirada in linguaggio perché va sempre più verso l’essenziale ed è sempre più piena dell’ansia della ricerca. NB Sospensione è il testo che chiude la raccolta, è in una posizione forte+appartiene all’ultima sezione intitolata Testi marittimi e di circostanza→all’inizio del testo c’è un’indicazione geografica anche se il paesaggio in questi testi è metafisico, indeterminato. L’io è come spersonalizzato, potrebbe essere chiunque. Si parla anche di una terza persona che però non viene specificata. La struttura è suddivisa tendenzialmente in distici ma ci sono anche versi composti da una sola parola. Ci sono spostamenti, versi a scalino, rientri, ecc. Tutto è molto spezzettato, sono notevoli gli spazi tra ogni distico→grande rarefazione del linguaggio. C’è questa figura bloccata, ma non è una sua scelta, vorrebbe andare avanti. È bloccato perché ha perso la strada ed è come se si chiedesse dove porta quella strada che ha perso. La figura si trova in una piena oscurità perché la vista sotto il sole gli si “incenerisce” +sinestesia “sole stridente”. Idea di una luce che ferisce tanto è abbagliante→questo eccesso di luce ha reso cieco l’io. Ecco il tema luce-buio→il personaggio pensa che una volta ha letto una massima in latino che dice che non c’è nulla di più buio della luce. Questa citazione latina si trova in uno scritto di Theodor Grotthuss (scopritore delle leggi della fotochimica) che costituisce una sorta di risposta al prologo del vangelo di Giovanni→”la luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”. 45 Grotthuss riformula l’enunciato→“la luce risplende nelle tenebre, sebbene non vi sia nulla di più oscuro della luce”. Nel testo è la luce ad aver reso oscuro l’io→abbagliamento che acceca, abbagliamento di una realtà che sembra fin troppo aperta e che in realtà non svela nulla di sé, abbagliamento della ragione. L’esito di questa esperienza è lo smarrimento. Questi motivi della strada persa e dello smarrimento sono un’allusione all’inizio del viaggio dantesco che è uno smarrimento→abbiamo qui un ripensare contemporaneo del viaggio dantesco. Ricorda anche il primo canto del Purgatorio dove Dante sta ricominciando il cammino di ritrovamento. Qui abbiamo la situazione dello smarrimento della strada, l’essere in piena oscurità per un eccesso di luce=la luce della ragione che non è autosufficiente e quindi a un certo punto acceca. Il testo si conclude con due domande (c’è un chiasmo)→si chiede se la fine del viaggio sia qui, nell’abbagliamento, nella possibilità di arrivare alla meta oppure se è qui che comincia il cammino e quindi è possibile ritrovare la perduta strada. Anche nelle Stanze della funicolare, quando la funicolare esce dal tunnel e arriva in prossimità della banchina della prima stazione, il poeta si chiede se il biancore della luce dopo il tunnel sia quello della nascita o quello della tomba. Questo testo dialoga con Casa sul mare di Montale→gli ultimi due versi di Sospensione sono citazioni di alcuni versi di questa poesia. È come se riprendesse il discorso da dove Montale l’ha lasciato, allora quell’ultima domanda è certamente anche una speranza che sia un inizio come è l’inizio in Casa sul mare del viaggio della donna. STATALE 45 Ad un primo colpo d’occhio non può non stupire, in questa poesia, la particolare disposizione dei versi. Può venire in mente, a mo’ di suggerimento, l’articolata architettura degli endecasillabi nelle tragedie alfieriane o manzoniane, o, se vogliamo, nei recitativi dei libretti d’opera, in cui, talvolta, uno stesso verso prevede due o più battute di dialogo ed è perciò spezzato graficamente e disposto con degli a capo seguendo come dei gradini in discesa. Tale suggerimento può essere funzionale per tentare un possibile conteggio dei versi della poesia di Caproni. È una poesia in cui se ne contano diciotto e dove, accanto a versi unitari, si possono osservare appunto versi segmentati e, se così si può dire, allargati, distanziati nello spazio bianco. I versi non frazionati sono sette, tutti di misura breve e compresa tra il senario e l’ottonario: il v. 2 (“Tipica di queste nostre”), il v. 4 (“segnali d’allerta”), il v. 8 (“slitta sull’erba che vena”), il v. 11 (“la sorpresa sovrasta”), il v. 15 (“si fa sempre più infida”) e i vv. 17-18 (“la presunta meta / si rivela un’insidia”). È tra i versi segmentati che possiamo riconoscere tre endecasillabi –  il metro senza paragone più importante della tradizione italiana, evidente 46 misura di riferimento anche per la versificazione libera del Novecento – il primo al v. 1+1a (“È una strada tortuosa. / Erta.”), il secondo e più articolato al v. 9+9a+9b (“l’asfalto. // La mente è tesa // Non basta”) e l’ultimo al v. 10+10a (“la guida più accorta. // A ogni svolta”). Restano frammenti di versicoli brevi, il cui conteggio metrico è forse superfluo  [9]: quel che qui conta rilevare è come la seconda parte del verso risulti più vicina, sia graficamente sia  sintatticamente, al verso successivo, piuttosto che sentire la vicinanza con la prima parte del verso, cui pure appartiene: una sorta di enjambement potenziato, in cui è ancor più evidente la mancanza di corrispondenza tra enunciato e verso, tra unità di senso e unità metrica, che conferisce alla veste grafica della poesia un aspetto – oserei dire – “scosceso”. Di fronte a questi versi rarefatti occorre, tuttavia, riconoscere una notevole impalcatura, dettata in prima battuta di versi in corsivo che simmetricamente appaiono nella prima e nella seconda parte del componimento. L’osservazione formale, necessariamente, si completa con il significato di ciò che si legge: in particolare, al centro della lirica, il frammento centrale del v. 9, (“La mente è tesa”), determina il punto di svolta della poesia che da una situazione esterna (ossia la descrizione delle zone montane, la presenza dei segnali stradali di pericolo, la difficoltà di procedere dell’automobile) passa ad una dimensione interiore, descrivendo uno stato d’animo inquieto, un turbamento esistenziale. Le simmetrie tra la prima e la seconda parte della poesia sono ravvisabili in quella che, da un punto di vista esteriore, è la difficoltà della guida (“La ruota / slitta sull’erba che vena / l’asfalto” ) e, da un punto di vista interiore, è la successiva ammissione di incapacità nel procedere con i propri mezzi (“Non basta / la guida più accorta”). I segnali stradali, ciò che di più esteriore ci possa essere, così concreti e materiali, così non-poetici, avvisano del pericolo incombente (“Fondo dissestato. // Frane. // Caduta massi”); nella seconda parte si declinano, si tramutano in una sorta di segnaletica della mente (Procedere / con prudenza. // Bandire / ogni impazienza”). La poesia è dotata poi di una sua circolarità se osserviamo che l’immagine conclusiva (“Più di una volta / la presunta meta /si rivela un’insidia”) è il completamento di quanto annunciato in apertura (“È una strada tortuosa. / Erta”). L’ultima stagione caproniana, aperta nel 1975 da Il muro della terra e proseguita poi con Il franco cacciatore (1982), Il Conte di Kevenhüller (1986) e la postuma Res Amissa (1991) offre uno stile peculiare ravvisabile nella rarefazione sintattica dei singoli testi, costruiti con frasi brevi, accostate senza raccordi subordinativi e spezzate da incisi, reticenze, spazi bianchi, sospensioni: caratteristiche di cui troviamo testimonianza in Statale 45, in cui l’equilibrio, tra tanto vuoto e silenzio, è offerto essenzialmente dalle rispondenze foniche e dai dispositivi metrici. È da notare, nei primi versi, la tessitura del gruppo allitterativo -tr- e -rt- (“strada tortuosa. // Erta.”), rimarcata appena più avanti dalla rima Erta:allerta. È, ancora, nel centro del componimento che possiamo osservare un accumulo di suoni ed echi significativi: la parola “asfalto” (v. 9) è sia in corrispondenza fonica con “Non basta” (che, a 47
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