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Le Elezioni Primarie negli Stati Uniti d'America: Origine, Funzionamento e Importanza, Appunti di Scienza Politica

Una panoramica dettagliata delle elezioni primarie negli stati uniti d'america, dalla loro origine storica alle modalità di voto e alle loro conseguenze politiche. La ragione della loro istituzione, il loro sviluppo nel sistema politico statunitense e le differenze tra i diversi tipi di primarie. Vengono inoltre analizzate le implicazioni finanziarie e la loro importanza nella selezione dei candidati per le elezioni generali.

Tipologia: Appunti

2012/2013

Caricato il 14/05/2013

ranaldo
ranaldo 🇮🇹

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Scarica Le Elezioni Primarie negli Stati Uniti d'America: Origine, Funzionamento e Importanza e più Appunti in PDF di Scienza Politica solo su Docsity! Elezioni Primarie negli U.S.A. Genericamente, le elezioni primarie sono una competizione elettorale tramite la quale gli appartenenti, membri o militanti, di un partito politico selezionano il candidato, del partito stesso o della coalizione o schieramento, in una successiva elezione per una carica pubblica. La ragione fondante delle elezioni primarie è la promozione massima della partecipazione elettorale alla designazione dei candidati a cariche pubbliche, in contrasto con il sistema che vede gli elettori scegliere fra candidati designati dai partiti. Le elezioni primarie sono preminentemente presenti nel sistema politico degli Stati Uniti d'America , dove sono regolate per legge e dove nacquero a livello locale: la prima fu tenuta dal Partito Democratico in Pennsylvania il 9 settembre 1842. In seguito alla guerra civile americana (1861-1865) si diffusero negli Stati del Sud, dove ovviavano al problema di una rappresentanza politica di fatto mono-partitica. Alla fine del XIX secolo, grazie alla spinta del movimento progressista, sono divenute un’istituzione generalmente accettata a livello nazionale. Il sistema di voto nelle primarie cambia da partito a partito, come anche da stato a stato. In alcuni stati, ad esempio, si ricorre al sistema una testa un voto, secondo il quale ogni cittadino vota il candidato più gradito e il vincitore sarà naturalmente quello che avrà raccolto il maggior numero di consensi. In altri (come nel caso della scelta del candidato alla Presidenza dell'Unione) i cittadini eleggono propri rappresentati che poi secondo un'apposita convenzione sceglieranno il candidato alla competizione elettorale. C’è poi la possibilità di ricorrere al sistema dei caucus (parola di origine indiana che significa assemblea). Ogni caucus, quindi ogni comunità, esprime un certo numero di voti, di solito pari al numero di iscritti, ma l’intero ammontare di voti di ogni caucus viene assegnato al candidato più votato in quella determinata assemblea. Il voto non è a scrutinio segreto, ma palese. Gli iscritti si riuniscono in una sala, al centro della quale si pongono gli "indecisi" mentre gli altri si dispongono in varie parti della sala dividendosi come gruppi di "sostenitori" dei vari candidati. In base ai discorsi e alle relazioni dei sostenitori, gli iscritti si spostano da un angolo all'altro della sala a seconda di come decidono di schierarsi. Al termine della riunione tutti i voti del caucus saranno attribuiti al candidato che avrà raccolto il maggior numero di iscritti. All'inizio del XIX secolo il candidato alla presidenza degli Stati Uniti era scelto da un caucus composto da tutti i membri del Congresso degli Stati Uniti aderenti allo stesso partito. Alcuni stati adottarono le primarie anche per le cariche federali, quindi per le elezioni alla Camera, al Senato e alla presidenza. Le primarie presidenziali, però, non ebbero grande successo, nel 1916 erano presenti in 26 stati, ma dopo la prima guerra mondiale caddero in disuso e, in alcuni casi, addirittura abrogate. Scegliendo questo tipo di processo si voleva evitare che i partiti finissero nelle mani di boss corrotti e di apparati gerarchici che, attraverso congressi controllati dalla gerarchia, manipolavano le candidature per riprodurre il potere; inoltre si credeva che esistesse un elettorato illuminato capace di offrire candidati migliori, onesti e competenti, se avesse avuto gli strumenti adatti per farlo. Le primarie potevano essere un’occasione di scalfire la “partitocrazia”, la “supremazia” di partito. Negli Stati Uniti sono venute delineandosi diverse modalità di primarie a seconda dell’inclinazione del partito, in un determinato stato, a renderle più o meno aperte all’esterno dell’enstablishment o della comunità dei membri o simpatizzanti. Così da una primaria “chiusa”, in cui a votare sono solo i membri del partito, si può passare anche ad una “coperta” (o “blanket”) in cui tutti votano ma possono fare una sola scelta, o anche ad una “non partisan”, passando per forme ibride come la primaria “semi-chiusa” in cui votano anche elettori indipendenti o quella aperta con dichiarazione pubblica (“crossover primary”), in cui l’elettore deve dichiarare lo schieramento prescelto. Le ragioni politico-sociali del loro successo furono complesse: negli stati più popolosi e industrializzai, le primarie furono appoggiate dal ceto medio riformatore, anche per sottrarre il processo elettorale all’influenza degli elettori del ceto più basso, dal loro punto di vista “ignoranti”. In altri stati, dove esisteva il monopartitismo di fatto, furono imposte da fazioni dissidenti all’interno del partito dominante, reintroducendo il conflitto politico-elettorale laddove non esisteva una vera competizione tra partiti. Le elezioni primarie furono concepite come la fase iniziale del processo elettorale, in seggi elettorali non di partito, ma statali, gli stessi nei quali si vota per le elezioni generali, con i medesimi scrutatori e le medesime procedure In anni più recenti si è registrato una forte accelerazione del processo elettorale relativo alle primarie, connesso alla tendenza a giungere alle Conventions con una scelta già ben precisa e vincolante, così da trasformare le stesse in un grande lancio della campagna del candidato. Dal 1972 sono scomparsi veri margini di scelta nelle Convenzioni, a cui i delegati arrivano ormai con mandato politicamente vincolato: sono scomparse figure come i bosses (dirigenti locali padroni di un pacchetto di delegati) e i delegati liberi da vincoli. Nel partito Democratico, le elezioni primarie permisero l’affermazione di candidati Outsider, non appoggiati o, addirittura, osteggiati dagli apparati di partito, che tuttavia furono in grado di battere i candidati cosiddetti Front Runner. Ciò era accaduto nel 1968, quando le primarie offrirono una tribuna ai critici della politica del presidente L. Johnson. Nel 1972 con la nomination del senatore South Dakota G. McGoverm, uno degli ideatori del nuovo sistema, che seppe sfruttarlo al meglio mobilitando nelle primarie i suoi sostenitori, sconfiggendo al congresso nazionale Democratico di Miami il suo concorrente E. Muskie, che era invece l’uomo voluto dal partito. Nel 1976 l’esperienza si ripeté con la nomina di Jimmy Carter, un ex governatore della Georgia fino ad allora sconosciuto sia al pubblico che alla maggior parte dell’establishment democratico (da qui l’espressione “Jimmy Who?”), che seppe sfruttare il cosiddetto “Momentum”, investendo strategicamente nelle prime fasi delle elezioni primarie e capitalizzando sulle vittorie che seguirono la scia delle prime (vittoria chiama vittoria). Un fattore fondamentale nelle primarie è la capacità di ciascun candidato di raccogliere fondi ed ottenere finanziamenti: in questo senso, migliore sarà il fund raising, più alte saranno le chances concrete di vittoria. L’importanza dei finanziamenti costituisce anche un serio limite di fatto al carattere estremamente inclusivo, almeno in teoria, delle elezioni americane, espressione dell’ideale diffuso secondo cui chiunque ha una possibilità di diventare presidente. I PACs, finanziatori indipendenti del candidato, sono una risorsa centrale nella corsa alla candidatura. Dai fondi privati derivano direttamente i fondi federali, elargiti in misura uguale a quelli indipendenti raccolti dal candidato (oltre al bonus che viene dato al vincitore delle primarie per correre poi alle presidenziali, 67 milioni nel 2004), ma un candidato con un sostengo di PACs particolarmente solido, potrebbe far valere una clausola di opting out, rinunciando così ai fondi federali, ma svincolandosi, in tal modo, da una serie di vincoli e limitazioni. Una rigida legislazione sia federale che statale ha drasticamente ridimensionato le possibilità di contribuire alle campagne elettorali dei candidati, questi ultimi si sono dunque trovati nella condizione di lavorare duramente per trovare fondi, sostegni e risorse. Le primarie dirette hanno fatto lievitare drammaticamente i costi della campagna elettorale, già di per se impressionanti: nelle elezioni presidenziali e congressuali del 2000 sono stati spesi 3 miliardi di dollari, con un incremento del 50% rispetto al 1996. Ad essi andrebbero poi aggiunti i costi per le elezioni statali. Un simile contesto non ha fatto altro che accrescere il ruolo di potenti gruppi d'interesse, oltre che di individui e imprese particolarmente facoltose. In particolare le primarie dirette hanno visto progressivamente crescere l'influenza dei gruppi organizzati piuttosto che quella del comune elettore, come sostenevano nel passato i Progressives e oggi i populisti. L’eredità delle elezioni primarie democratiche del 2004 rimane ancora la base: da un lato, il fatto che esse continuino a mantenere intatta la loro funzione, quella di filtrare e, al tempo stesso,
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