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Appunti psicologia dei processi motivazionali e decisionali, Dispense di Psicologia Dei Processi Di Apprendimento E Motivazione

questi sono i miei appunti schematizzati delle dispense

Tipologia: Dispense

2023/2024

Caricato il 20/02/2024

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Scarica Appunti psicologia dei processi motivazionali e decisionali e più Dispense in PDF di Psicologia Dei Processi Di Apprendimento E Motivazione solo su Docsity! 1. LA MOTIVAZIONE: DEFINIZIONE GENERALE CHE COS’E’ LA MOTIVAZIONE Il comportamento umano, al pari di quello di ogni essere vivente è motivato (cioè spiegato) da una serie di cause ed è orientato ad una serie di scopi, nonché alla soddisfazione di una serie di bisogni mediante singole azioni o una serie di attività fra loro correlate. La parola motivazione deriva dal termine latino “movere”, che significa “muovere”. La motivazione può essere definita come un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un determinato scopo in relazione alle condizioni ambientali. Da tale processo dipende l’avvio, l’intensità e la cessazione di una condotta da parte del soggetto. Rappresenta un processo interno che avvia, porta avanti, indirizza e mantiene attivo il comportamento di un individuo. I comportamenti motivati prendono avvio da un bisogno, cioè uno stato di carenza interna all’individuo che può stimolare il comportamento. Al contrario la pulsione è un fenomeno dinamico che porta l’individuo ad agire (es. Fame e sete). Il bisogno determina la pulsione e motiva all’azione (es: bisogno di fame = ricerca di cibo). Ci sono tre componenti principali per la motivazione: l’attivazione, la persistenza e l’intensità di attivazione. La persistenza è lo sforzo continuo verso un obiettivo, è l’investimento significativo di tempo, energia e risorse al fine di riuscire a raggiungere l’obiettivo prefissato. Esistono 3 tipi di motivazione specifici: • Motivazioni biologiche: innate, basate su necessità biologiche che devono essere soddisfatte per sopravvivere (es., fame, sete..) • Motivazioni alla ricerca di stimolazione: esprimono il bisogno umano di stimolazione e di informazione (es., l’attività, la curiosità, l’esplorazione, la manipolazione e il contatto fisico). • Motivazioni apprese: basate su bisogni, e obiettivi appresi, possono contribuire a spiegare molte attività umane, come presentarsi alle elezioni, tenere un blog... Diverse motivazioni apprese sono collegate a bisogni appresi di potere, affiliazione. Studiare la motivazione vuol dire: ❖ Indagare i fattori che danno avvio a singole azioni, a comportamenti, e ad abitudini. ❖ Indagare anche a ciò che guida e orienta il comportamento in una determinata direzione. ❖ Considerare quei fattori e quei processi che sono all’origine di determinate scelte e che garantiscono il mantenimento del comportamento nel corso del tempo. La motivazione, quindi, si interessa del “fare” e rispondere alla domanda “PERCHE’ FACCIAMO QUEL CHE FACCIAMO?”. Tuttavia, è difficile rispondere a questa domanda per vari motivi. 1. Non esiste un rapporto di corrispondenza a uno a uno tra comportamenti e motivazioni: uno stesso comportamento può essere mosso da fattori motivazionali diversi. 2. La motivazione influenza anche pensieri ed emozioni. 3. I fattori motivazionali non sempre agiscono sinergicamente: a volte si può creare un vero conflitto motivazionale tra i fattori che spingono e altri che frenano (esempio: il pensiero di volere dimagrire associato a stati di ansia e preoccupazione può mettere a rischio il raggiungimento dell’obiettivo di dimagrire). 1 LE FUNZIONI DELLA MOTIVAZIONE a) La motivazione ha la funzione di legare la biologia al comportamento: gli stati interni di deprivazione (fame, sete, sonno) innescano risposte corporee che motivano ad agire per ristabilire l’equilibrio corporeo. b) Si ricorre al concetto di motivazione per spiegare la variabilità comportamentale: perché un giorno si è in grado di portare a termine un determinato compito mentre un altro giorno no? c) La motivazione è utile per inferire stati interni da comportamenti esterni: spesso tendiamo ad individuare una causa interna per spiegare il comportamento manifestato da noi stessi e dagli altri. d) Gli aspetti motivazionali entrano in gioco anche nel processo di attribuzione di responsabilità alle azioni. La responsabilità personale presuppone una motivazione interna e la capacità di controllare le proprie azioni. e) Infine, la motivazione è determinante per spiegare la perseveranza nei confronti delle avversità: perché ci ostiniamo a mettere in atto determinati comportamenti quando potrebbe essere più facile desistere? ELEMENTI CARATTERIZZANTI LA MOTIVAZIONE Quando bisogna rendere conto della nostra condotta e di quella degli altri, ci si affida sia a parole come bisogno, motivo, scopo e valore sia a parole che fanno riferimento a processi e dinamismi come decidere e volere. Il bisogno si associa all’idea di una mancanza e con essa ci si riferisce all’esperienza soggettiva di carenza. Il motivo si associa all’idea di una disposizione personale, stabile o transitoria che induce a desiderare e perseguire certi stati; è generalmente associata alla trama di ragioni che predispongono a desiderare o a evitare determinati eventi o situazioni, in quanto possibili fonti di piacere o dispiacere. Lo scopo si associa all’idea di una meta, alla rappresentazione mentale di uno stato futuro da raggiungere; è generalmente associato all’anticipazione di uno stato. Il valore si associa la rappresentazione del desiderabile specifico dei bisogni, dei motivi e degli scopi, quanto ai principi sovraordinati. Bisogni, motivi e scopi hanno valore in ragione dell’importanza che si assegna alla loro soddisfazione. Decidere e volere rappresentano due momenti essenziali e distinti della dinamica motivazionale: il primo è connesso alla formazione di una intenzione mentre il secondo è determinante per il raggiungimento di una meta. Inoltre, le motivazioni sono influenzate da:  Locus of control: la convinzione che il proprio successo sia frutto o di eventi esterni o di qualità interne.  Stile di attribuzione: atteggiamenti e convinzioni che il soggetto possiede riguardo alle strategie, alla loro utilità e al ruolo giocato dallo sforzo attivo di apprenderle e utilizzarle.  Senso di autoefficacia: percezione delle proprie capacità di raggiungere il successo ed è fondato sui risultati raggiunti nelle esperienze precedenti.  Autostima. Le motivazioni simili possono manifestarsi per mezzo di comportamenti dissimili e motivazioni diverse possono trovare espressione in comportamenti analoghi. Concludendo, è necessario sottolineare come le motivazioni, proprio per la loro natura, non sono immutabili, ma hanno un corso ciclico, ovvero quando la persona riesce a soddisfare il proprio bisogno, la tensione inerente decade ed eventualmente emergono altri bisogni. 2 fino all’azione vera e propria. L’autoefficacia percepita corrisponde all’insieme di valutazioni che le persone fanno rispetto al loro sentirsi capaci in determinati compiti e ambiti di vita. Le convinzioni di essere all'altezza delle varie situazioni riflettono le esperienze fatte in precedenza. Da queste derivano le capacità individuali di gestire il proprio rapporto con la realtà e di trarre il massimo vantaggio dalle proprie potenzialità e dalle opportunità ambientali. Le convinzioni di autoefficacia sono compito-specifiche poiché si possiedono tante percezioni del nostro saper fare quanti sono le attività e i contesti sociali che ci troviamo quotidianamente a gestire, e non in tutti ci sentiamo parimenti capaci. Queste convinzioni incidono sulle scelte e sulle prestazioni: le persone con un basso senso di autoefficacia sottostimano potenzialità e opportunità, esagerano le difficoltà ed esasperano le avversità, predisponendosi al fallimento; le persone con un alto senso di autoefficacia percepiscono le difficoltà come sfide, si impegnano a fondo, non hanno ripensamenti. Infine, questo costrutto è un elemento centrale nei processi di autoregolazione, ovvero nei processi attraverso i quali le persone regolano il proprio comportamento in vista di specifici obiettivi che vogliono raggiungere. 5 3. LA TEORIA UMANISTICA CARATTERISTICHE DELLA TEORIA UMANISTICA Tra gli anni ‘50 e ‘60 sorge e si afferma nella psicologia nordamericana una nuova corrente di pensiero che si oppone alle teorie dominanti della psicoanalisi e del comportamentismo: la psicologia umanistica. Essa intende focalizzare il suo interesse sull’esperienza concreta dell’individuo, su come egli percepisce ed esperisce il proprio io e la realtà. In tale prospettiva la personalità è vista come un sistema organizzato ed autoregolantesi, non controllato dalle forze ambientali esterne, si tratta dì una visione sostanzialmente positiva della natura umana, in cui il disadattamento e la disarmonia provengono principalmente dall’esterno. Le teorie che rientrano in questa prospettiva hanno in comune i seguenti principali assunti: ► Critica alla psicoanalisi e al comportamentismo, considerate teorie riduzionistiche. ► Focalizzazione dell’attenzione sul presente (o sul futuro) e sulla spontaneità, libertà e capacità progettuale dell’individuo e non sul suo passato; ► Concezione dell’uomo come agente attivo del proprio destino, capace di compiere scelte. ► Che la natura umana è caratterizzata dalla capacità di elaborare piani e mete valoriali più elevate. ► Valorizzazione dei concetti di sé, di autodeterminazione e di autorealizzazione. ► Attenzione alla personalità vista come un sistema complesso ed organizzato e predilezione metodologica per l’approccio clinico più che per quello sperimentale. ROGERS L’interesse di Rogers è centrato sull’esperienza soggettiva e consapevole che l’individuo ha della realtà e del proprio io. Il costrutto centrale della teoria della personalità di Rogers è il ”Self” (Sé), definito come una gestalt organizzata e costante che comprende l'io e le relazioni con gli altri. Il sé è completato dal sé ideale: quelle caratteristiche che l’individuo apprezza di più e cui aspira. Più piccola è la distanza che separa il sé dal sé ideale, tanto più il soggetto è in armonia con sé. Le persone che più si avvicinano alla meta dell’autorealizzazione sono caratterizzate dai seguenti principali tratti:  Sono orientate costantemente alla crescita e all’evoluzione;  sono aperte all’esperienza, cioè traggono spunto da ogni esperienza per apprendere e svilupparsi, evitando chiusure difensive;  hanno fiducia in sé stesse e, pur accettando i giudizi ed i consigli degli altri, decidono in modo autonomo;  hanno relazioni armoniose con gli altri pur nella consapevolezza di non poter essere accettate incondizionatamente da tutti;  vivono pienamente il presente, più che rimanere ancorate al passato o essere rivolte esclusivamente al futuro. Una legge che governa i processi dell’io nel suo cammino verso l’attualizzazione è quella della congruenza: l’io ricerca costantemente la coerenza tra le proprie autopercezioni e tra queste e la realtà esterna. Le esperienze incongruenti determinano un irrigidimento difensivo della struttura del sé. Due meccanismi di difesa contro l’ansia sono la distorsione del significato dell’esperienza, mediante cui questa è resa compatibile con il sé, e la negazione dell’esperienza stessa. Una variabile importante nel cammino verso la realizzazione del Sé è rappresentata dal bisogno di considerazione 6 positiva, il desiderio di essere accettato ed amato dalle persone significative della propria vita: nella definizione della propria identità sono decisive le valutazioni che gli altri hanno di noi. Questo bisogno può essere fonte di conflittualità e di in-autenticità: può indurre ad aderire a valori e modi di vita incongruenti con la propria vera natura per paura di perdere l’appoggio e la stima altrui. Si costruisce così un falso Sé, fonte di disagio psichico, dal quale si può uscire mediante un processo di reintegrazione, tendente a far sì che il soggetto si riappropri della sua vera “natura”. MASLOW Maslow, come altri studiosi appartenenti a questo filone, si pone in una prospettiva sostanzialmente ottimistica, ritenendo che le persone siano intrinsecamente spinte alla crescita psicologica e all’autorealizzazione, e che questa spinta naturale corrisponda al più elevato livello dei bisogni. La sua attenzione è centrata sull’analisi delle motivazioni del comportamento e sulle caratteristiche che contraddistinguono la personalità sana ed autorealizzata. Maslow elabora una vera e propria gerarchia, nella quale colloca cinque tipi di bisogni, da quelli fisiologici di base a quelli più evoluti di autorealizzazione. I primi quattro tipi di bisogni riflettono uno stato di “carenza” (riduzione della tensione) mentre quello di autorealizzazione è un bisogno di “crescita”. I bisogni umani sono organizzati gerarchicamente secondo il percorso seguente, dal basso verso l’alto: • bisogni fisiologici. • Di sicurezza, fisica ed emotiva. • Di affetto e di appartenenza. • Di stima, cioè riconoscimento da parte degli altri. • Di autorealizzazione, la cui soddisfazione si manifesta nell’accettazione di sé. Le motivazioni di ciascun livello successivo hanno la possibilità di emergere solo quando quelle del livello precedente hanno trovato appagamento. Tuttavia, il principale punto critico della teoria di Maslow: numerose e varie sono le situazioni in cui alcuni bisogni possono essere sacrificati a vantaggio di altri, oppure bisogni diversi possono spingersi in direzioni opposte. I bisogni, inoltre, anche quelli fisiologici, sono notevolmente influenzati dagli stimoli ambientali che possono modificarne sia l’insorgenza che l’intensità. In sintesi, una persona autorealizzata è caratterizzata, tra i vari attributi positivi, da consapevolezza, accettazione, responsività sociale, creatività, spontaneità e apertura nei confronti delle novità e delle sfide. 7 Secondo Vroom, la motivazione è correlata a due fattori: la valenza, che è riferita all’importanza che la persona dà al conseguimento di un obiettivo e l’aspettativa, che è costituita dalla probabilità riconosciuta dalla persona di riuscire a conseguirlo: MOTIVAZIONE = VALENZA X ASPETTATIVA La valenza è una valutazione personale sulla soddisfazione che un determinato risultato può generare: se un risultato ha una valenza bassa, così sarà anche la motivazione a raggiungerlo. Vroom distingue la valenza dal valore: la valenza è la soddisfazione anticipata da un risultato mentre il valore è la soddisfazione attuale fornita da un risultato. Sulla base della teoria dell’aspettativa di L’autore propone di prendere in considerazione, per le conseguenze di ogni evento, il grado di valenza (incentivo) e quello di strumentalità: quanto più importante sono le cose in gioco, tanto più intense saranno le sue ripercussioni motivazionali. La formula elaborata si basa sulla moltiplicazione di strumentalità e valenza entrambe espresse in unità standard che vanno da zero a più o meno uno: se una conseguenza (es: promozione, reddito) viene favorita dall’evento (es: alto rendimento lavorativo) allora la strumentalità avrà un segno positivo da 0 a +1; sarà negativo da 0 a -1. L’aspettativa è la stima della probabilità che un determinato evento si presenti, quanto una persona sceglie tra comportamenti alternativi la scelta è influenzata dalla probabilità che tale risultato si possa realizzare. Vroom sostiene che le persone scelgano tra gli atti alternativi quello che corrisponde alla forza positiva più forte. Ogni forza è uguale alla somma algebrica dei prodotti della valenza dei risultati per l’aspettativa che i risultati saranno ottenuti. M =  AXV La combinazione della valenza e dell’aspettativa determina la motivazione personale per un dato comportamento: questa è la forza motivazionale. La forza di un’azione non è influenzata dai risultati che non hanno valenza o dai risultati che non si pensa di poter ottenere. Riassumendo, la teoria aspettativa/valenza si basa sull’idea che gli individui indirizzino i propri sforzi verso quelle attività che possono portare a ottenere i risultati desiderati ed è diretta al miglioramento delle prestazioni e delle relative gratificazioni. Si tratta di un approccio razionale alla motivazione, poiché le persone cercano di valutare i costi e i benefici delle diverse alternative che si presentano e scelgono quelle più vantaggiose, inoltre tendono a intraprendere il percorso più rapido e diretto per raggiungere l’obiettivo valorizzato, le persone compiono azioni motivate a partire dalla valenza data dagli obiettivi e non dalla azione in sé. LA TEORIA ASPETTATIVA-VALORE DI ATKINSON Il motivo non è sufficiente a spiegare l’azione motivata che per Atkinson è retta da un principio di utilità soggettiva: gli individui infatti agiscono quando ritengono di poter raggiungere gli scopi che sono alla loro portata e che essi valutano come importanti. Nel decidere se intraprendere o meno un’azione le persone effettuano valutazioni consapevoli delle loro probabilità di successo o fallimento, e si chiedono quanto sia effettivamente importante per loro il raggiungimento di un determinato scopo. Tra aspettativa e valore Atkinson ipotizza una relazione inversa: l’incentivo è tanto più grande quanto più difficile è il compito che deve essere affrontato e sono dunque più basse le probabilità di successo. Un successo è tanto più attraente quanto più è difficile il compito da svolgere o l’obiettivo da raggiungere, e un insuccesso è tanto più sgradito quanto più facile è il compito o l’obiettivo in questione. 10 Le persone più orientate al successo preferiscono generalmente compiti di media difficoltà e rifuggono sia da compiti molto difficili, in cui la probabilità di successo è molto bassa, sia da compiti molto facili, cui è associato uno scarso incentivo. Tali compiti sono invece preferiti dagli individui che cercano soprattutto di evitare il fallimento. Propensione individuale al perseguimento del successo e avversione al fallimento variano da individuo a individuo e da situazione a situazione. Conseguentemente variano le aspettative di riuscita e di fallimento: gli individui molto motivati a riuscire e non particolarmente preoccupati di fallire non esitano anche di fronte a imprese molto difficili; gli individui poco motivati al successo o esageratamente preoccupati del fallimento, invece, sono riluttanti ad impegnarsi in qualsiasi impresa possa comportare un fallimento precludendosi così mete che potrebbero così raggiungere. Spesso, sono le circostanze e gli umori del momento, più che stabili propensioni personali, a determinare un atteggiamento di maggiore prudenza o di maggiore apertura. Tuttavia, il modello di Atkinson ha subito una serie di critiche basate sul fatto che non sempre le persone sono in grado di elaborare aspettative di successo o di fallimento, soprattutto di fronte a compiti o contesti nuovi e non sempre si impegnano alla massimizzazione dell’utilità personale prendendo talvolta decisioni che violano chiaramente i principi della scelta razionale. 11 5. LA TEORIA DELLE PRESTAZIONI LE TEORIE DELLE PRESTAZIONI Il calcolo motivazionale comprende le aspettative, il valore, le attribuzioni di responsabilità e i processi di interpretazione degli eventi, rintracciandone le cause e anticipandone le conseguenze. Secondo la teoria del locus of control, ciò che fondamentalmente rende conto delle aspettative individuali e di come le persone si predispongono nei confronti di qualsiasi azione volta a conseguire o evitare determinati esiti è il controllo che esse ritengono di esercitare sulle cause degli eventi. Il locus of control è esterno quando si ha la sensazione che gli eventi dipendano dal caso, dalla fortuna. o. Il locus of control è interno quando si ha la sensazione di dominare il corso degli eventi e che quanto accade sia il risultato della propria azione e di qualità relativamente stabili della propria personalità come l’impegno e l’abilità. La teoria, quindi, distingue gli eventi che dipendono dal caso e gli eventi che dipendono dal proprio impegno. Secondo le teorie cognitive l'uomo è artefice del proprio destino, un soggetto investigativo che cerca delle cause, avanza delle ipotesi e prende delle decisioni. Mentre i teorici del locus of control hanno posto in rilievo l’influenza che l’attribuzione di causalità ha sulle aspettative e sulla motivazione, i teorici dell’attribuzione hanno indagato l’influenza che l’attribuzione di causalità ha sui giudizi di responsabilità e quindi sulle relazioni interpersonali, si registrano notevoli differenze di giudizio tra quanti sono inclini ad esaltare le componenti personali e quanti invece sono maggiormente propensi a tener conto dei vincoli ambientali e situazionali. LA TEORIA DI WEINER Al contrario della teoria di Atkinson che è focalizzata sulle aspettative relative al futuro, quella di Weiner (1992) si focalizza su ciò che è successo nel passato e, in particolar modo, sulle attribuzioni causali. Questo autore ha cercato di integrare i contributi della teoria del locus of control con quelli della teoria dell’attribuzione. Le attribuzioni causali variano in base a quattro dimensioni: ◘ Il locus: interno (es: non sono abbastanza intelligente) o esterno (es: sfortuna); ◘ la controllabilità: la causa è controllabile con le azioni; ◘ la stabilità: la causa è stabile e quindi può essere generalizzata ad altri momenti; ◘ la globalità: la causa può essere stabilizzata ad altre situazioni. Dalle combinazioni delle quattro dimensioni scaturiscono tante possibili attribuzioni. Il diverso rilievo assegnato all’una o all’atra causa, a seconda che essa sia interna o esterna, stabile o instabile nel tempo, inevitabilmente influenza le stime di probabilità che sorreggono le aspettative di riuscire. 12 Pare che gli obiettivi ravvicinati interessino la prestazione in almeno quattro modi: ▪ Aumentano la forza della self-efficacy iniziale nel portare a termine il compito; ▪ Aumenta la self-efficacy nel momento in cui si raggiunge il goal; ▪ Aumenta il livello di soddisfazione; ▪ Aumenta la perseveranza. STILI DI GOAL SETTING  Orientato al compito o alla prestazione: essi ritengono che il successo sia determinato dall'impegno, l'insuccesso non determina in loro aspettative negative, perché ritengono basti incrementare l'impegno o sviluppare nuove strategie.  Orientato al successo: essi valutano le prestazioni in funzione dei risultati. Attribuiscono il successo all'abilità e l'insuccesso alla mancanza di impegno o alla scarsa preparazione mentale. In genere affrontano l'insuccesso in modo costruttivo.  Orientato all’insuccesso: essi, pur centrati sul risultato, evidenziano scarsa percezione delle proprie abilità. Attribuiscono il successo alla fortuna o scarsa abilità degli avversari e gli insuccessi dovuti alla mancanza di abilità. GOAL SETTING E PERCORSO DI INSERIMENTO NELLE ORGANIZZAZIONI Il goal setting è, in concreto, utilizzabile come principi guida di un percorso di inserimento nelle organizzazioni che si snoda attraverso le seguenti fasi: 1. Definizione delle aree chiave di prestazione e degli indicatori che misurano il grado in cui l’area è stata raggiunta. A partire dallo sviluppo della mission organizzativa, vengono stabiliti i comportamenti critici per il conseguimento del successo delle posizioni organizzative. 2. La fase di definizione degli obiettivi prevede: • l’individuazione di obiettivi specifici per ogni collaboratore, in funzione delle sue potenzialità e di quelle di mercato; • assegnazione degli obiettivi al collaboratore. 3. Una volta concordati gli obiettivi tra capo e collaboratore si procede ad un’azione di verifica periodica e di feedback sullo stato di avanzamento rispetto al piano di obiettivi concordati. 4. Fase di valutazione della prestazione dove, attraverso l’esame degli obiettivi raggiunti e di quelli da raggiungere, viene concordato un piano di sviluppo futuro. Un problema da tenere presente nel momento in cui Si definisce e sottoscrive, da parte dell’azienda e del neo-inserito, un progetto di inserimento, è il legame tra soddisfazione lavorativa e livello della prestazione. Come superare il problema: • Assegnare obiettivi modesti, per avere risultati certi ma anche, conseguentemente, modesti. • Assegnare un obiettivo minimo stimolante ma completamente raggiungibile ed un obiettivo più elevato, verso cui tendere. • Premiare il conseguimento di un successo parziale. 15 7. IL DECISION MAKING: DEFINIZIONE GENERALE DEFINIZIONE DI DECISIONE Una delle competenze essenziali per l’adattamento all’ambiente è la capacità di prendere decisioni. Hastie e Dawes (2001) definiscono la decisione come una risposta ad una situazione caratterizzata da tre componenti: ➢ Il decisore deve avere la possibilità di valutare più di un possibile corso di azione o alternativa. ➢ Il decisore deve avere delle aspettative relative alla possibilità che gli eventi associati a ciascun corso di azione si verifichino, producendo determinati esiti. ➢ Devono esserci delle conseguenze associate ai possibili esiti, conseguenze valutabili sulla base dei valori personali e degli scopi del decisore. La decisione, da parte di un individuo fa seguito a un ragionamento. In genere la presa di decisione è messa in atto per poter risolvere un problema. In termini psicologici, tuttavia, esiste una certa differenza tra decidere e risolvere un problema. Nel problem-solving il nostro atto decisionale è sempre vincolato all’obiettivo che vogliamo raggiungere, mentre dopo il decision-making l’atto di decisione è rappresentato da un ragionamento di scelta dell’alternativa più adeguata all’interno di una serie di opzioni. Il conflitto decisionale si verifica quando in presenza di opzioni di scelta non è chiaro quale sia la scelta ottimale. TIPI DI DECISIONI  Decisione razionale: si fonda su un processo di ragionamento implicato nel giudizio, le alternative e gli esiti ad esse associati sono conosciuti dal decisore, gli esiti dipendono sia dalla scelta operata sia dal contesto in cui avviene il processo decisionale.  Decisione intuitiva: può essere definita come una decisione rapida e senza sforzo, riguarda sia le rappresentazioni concettuali e linguistiche sia le caratteristiche fisiche, si basano sulle impressioni dell’oggetto di valutazione.  Decisione automatica: decisioni prese inconsapevolmente e con una certa rapidità, non riguardano solo scelte futili e di scarsa importanza, decisioni prese nei casi di emergenza.  Decisione in situazione di incertezza: non si dispone di alcuna informazione sullo stato di natura e sugli effetti futuri di determinate azioni o eventi, può coinvolgere sia gli esiti della decisione sia fasi del processo decisionale (es. Uno studente deve decidere se presentarsi all'appello di Psicologia della decisione previsto per il giorno dopo o iscriversi all'appello successivo).  Decisione rischiosa: lo stato di natura non è noto ma si conoscono le probabilità legate ai vari stati di natura e si dispone di una stima delle conseguenze delle proprie azioni. (es. lancio di una moneta) 16 RELAZIONE TRA GIUDIZIO E DECISIONE Il termine decisione si riferisce all’intero processo di selezione di un corso di azione che comprende l’adozione di una rappresentazione del problema, i processi di stima delle aspettative e valutazione degli esiti e la selezione dell’opzione. Il termine giudizio si riferisce esclusivamente a quelle componenti del processo di decisione che riguardano la stima degli esiti e la valutazione delle loro conseguenze. Nel processo decisionale il giudizio riguarda la stima della probabilità che gli esiti si verifichino e la valutazione personale delle loro conseguenze. Il termine scelta viene utilizzato per indicare il sottoprocesso della decisione che riguarda la selezione di un’opzione tra possibili alternative. • Se il giudizio ha spesso una funzione secondaria rispetto alla decisione, l’espressione di un giudizio può avvenire indipendentemente da una decisione (possono essere indipendenti). • Ci possono essere decisioni che non prevedono valutazioni sulla probabilità di occorrenza degli esiti, perché gli esiti stessi non sono incerti. • Le procedure decisionali richiedono in ogni caso una valutazione soggettiva su alcune caratteristiche delle opzioni stesse. 17 Le strategie dipendono da un bilancio costi/benefici:  strategie analitiche: prevedono la scissione di un problema complesso in sotto- problemi, i quali vengono sottoposti ad analisi in tutte le sue parti;  strategie globali: sono più rapide ed utilizzate nelle decisioni quotidiane, non richiedono la scomposizione in sotto-problemi;  strategie compensatorie: mettono a confronto alternative che hanno attributi direttamente confrontabili;  strategie non compensatorie: paragonano alternative che hanno caratteristiche differenti;  la scelta delle strategie dipende dalle caratteristiche specifiche del problema decisionale e dalle caratteristiche del decisore. 20 9. L’APPROCCIO NORMATIVO OBIETTIVI DELL’APPROCCIO NORMATIVO L’ approccio normativo è un tipo di approccio logico-matematico e intende determinare come dovremmo giudicare e decidere, stabilendo dei criteri e delle regole affinché il nostro agire possa essere considerato razionale. L’approccio normativo ha fatto tradizionalmente riferimento alla teoria dell’utilità attesa e alla teoria della probabilità per determinare i criteri in base ai quali valutare la correttezza dei giudizi e delle decisioni. L’obiettivo dell’approccio normativo è l'individuazione di regole e assiomi logici con cui si formalizzano le scelte, che possano essere definite razionali. Si studiano le decisioni come se gli individui facessero i calcoli necessari per scegliere, decidere e agire nel rispetto di alcuni assiomi di razionalità, a prescindere dal fatto che poi gli individui reali facciano o no quei calcoli. In sintesi, cercano di fornire una serie di strategie ottimizzanti, che consentono di formulare la scelta migliore in termini di massimizzazione del guadagno e minimizzazione dei rischi. L’HOMO OECONOMICUS Il protagonista dei modelli economici più che un individuo reale è un agente, un decisore virtuale, il cui comportamento è relativamente semplice e completamente definibile da un insieme di assiomi. L’agente decisore è stato definito come homo oeconomicus, il quale è dotato di un bene definito ordinamento di preferenze stabili sulle alternative a sua disposizione. È in grado di formare delle aspettative probabilistiche sugli stati del mondo e sugli effetti delle sue azioni e di elaborare l’informazione a disposizione secondo le leggi del calcolo delle probabilità. Si distinguono due tipi di scelte:  In condizione di certezza, tra corsi di azione che comportano un esito sicuro, in questi casi, l’homo oeconomicus non fa altro che optare per l’alternativa per la quale ha la massima preferenza.  In condizione di incertezza, in cui le conseguenze di almeno una delle alternative a disposizione non sono sicure, ma legate a gradi probabilità. Esistono scelte rischiose e gran parte delle scelte quotidiane sono poste in condizione di incertezza. ASPETTI CRITICI DEL MODELLO • La mancanza di prove empiriche a supporto degli assiomi che costituiscono la base di questo modello di razionalità. • L’impossibilità pratica di derivare una funzione di utilità monotona crescente e continua in alcuni ambiti decisionali.  Si notò che i modelli normatici erano scarsamente predittivi del comportamento umano perché: Nelle decisioni di vita quotidiana difficilmente troviamo situazioni così bene definite.  Le procedure previste dai modelli normativi sono molto onerose (tempo, energia mentale).  Le teorie normative fanno riferimento ad individui idealizzati.  Presuppongono che il decisore sia coerente. Da queste critiche scaturì quello che oggi è chiamato approccio descrittivo allo studio della decisione umana. I due approcci non sono in opposizione, ma piuttosto si occupano di aspetti diversi e complementari dei processi decisionali. 21 10. L’ APPROCCIO DESCRITTIVO ESORDIO DELL’APPROCCIO DESCRITTIVO I modelli descrittivi rappresentano il processo decisionale come avviene nella realtà di tutti i giorni, dandone un’immagine il più possibile obiettiva, realistica, senza imporre regole astratte. I processi decisionali degli esseri umani si basano su aspetti di altra natura, in particolare:  Limitata capacità di elaborazione delle informazioni.  Uso di euristiche.  Principio di soddisfazione.  Metodi procedurali. L’approccio descrittivo allo studio della presa di decisione è strettamente legato agli studi compiuti agli inizi degli anni ’70 da Tversky, Slovic, Lichtenstein e Kahneman. Gli autori tentano di valutare se e in quali condizioni le preferenze espresse dagli individui violano le teorie normative. Tale approccio mira, pertanto, a costruire modelli in grado di descrivere e prevedere il processo decisionale sotteso alle scelte effettuate dalle persone e ad individuare i fattori che lo condizionano. Uno dei primi sostenitori è stato Herbert Simon, il quale suggerì che l’analisi sulla razionalità dovesse occuparsi anche delle procedure che le persone utilizzano per prendere decisioni. Da questo assunto Simon propose di sostituire la nozione di razionalità economica con la nozione di razionalità limitata. Secondo Simon (1956), gli individui hanno una limitata capacità di elaborare le informazioni a causa dei vincoli strutturali del sistema cognitivo umano. Di conseguenza, l’esito del processo decisionale corrisponde solitamente con la scelta di un corso di azione non ottimale, ma soddisfacente. Da questi limiti deriva lo studio sistematico delle nozioni di “scorciatoie di pensiero” o euristiche che guidano, e spesso determinano, le decisioni degli individui e di soddisfacimento. LINEE DI RICERCA ALL’INTERNO DELL’ APPROCCIO DESCRITTIVO Tversky (1969), nei suoi esperimenti, dimostrò che il principio di transitività è frequentemente disatteso, arrivando addirittura ad affermare che in alcuni ambiti decisionali è proprio l’intransitività delle preferenze a costruire la condizione più frequente delle scelte individuali. L’approccio descrittivo ha prodotto i primi risultati con un lavoro condotto da Lichtenstein e Slovic (1971) in cui viene approfondito il fenomeno del rovesciamento delle preferenze, una violazione del principio di invarianza. Nella scelta tra due lotterie, gli individui tendono a preferire quella che garantisce una vincita minore con una probabilità di vincita maggiore. In altre parole, una stessa opzione viene giudicata diversamente in funzione del compito proposto: le persone tendono ad assumere un atteggiamento avverso al rischio, cercando di massimizzare la probabilità di una vincita per quanto piccola, in compiti di scelta, mentre si mostrano propensi al rischio in compiti di valutazione. Una spiegazione di questo fenomeno è stata avanzata da Tversky, Sattah e Slovic (1988) che hanno proposto l’ipotesi della ponderazione contingente. Secondo tale ipotesi, i soggetti considererebbero la probabilità e l’entità di denaro come i due attributi in base ai quali è descritta ogni scommessa e li “pondererebbero” in maniera differenziata (contingente) a seconda del modo in cui le preferenze vengono richieste dal compito. 22 Secondo la teoria dei modelli mentali, il ragionamento è un processo semantico, che dipende dal modo in cui vengono costruite e manipolate le rappresentazioni mentali del contenuto delle premesse. Gli errori commessi dai soggetti vengono attribuiti alla mancata costruzione dei modelli. La difficoltà aumenta all’aumentare del numero dei modelli mentali da costruire. Sia le teorie della logica mentale sia la teoria dei modelli mentali concordano nel ritenere che il ragionamento condizionale sia una forma di ragionamento deduttivo e che l’enunciato condizionale sia compreso come l’implicazione del conseguente da parte dell’antecedente. L’approccio probabilistico invece tende a considerare il ragionamento condizionale non come una forma di ragionamento deduttivo ma probabilistico. L’enunciato condizionale sarebbe rappresentato come il grado di probabilità che il conseguente si verifichi, una volta che si sia verificato l’antecedente. Di conseguenza, tali teorie ritengono che nella vita quotidiana, posti di fronte ad un enunciato condizionale, e ai compiti centrati su di esso, le persone non tendono a trarre inferenze certe quanto piuttosto a formulare stime di probabilità. RAGIONAMENTO PROBABILISTICO E BIASES Una probabilità è la quantificazione numerica di quanto si crede in una certa proposizione, ovvero una affermazione che può essere vera o falsa nel tempo. Le generalizzazioni induttive sono per definizione probabilistiche dato che nessuno può garantirne l’esatta verità. Tuttavia, normalmente la mente non procede per calcoli probabilistici ma per euristiche cioè procedure mentali veloci di semplificazione del processo di ragionamento, sono conseguenza di vincoli temporali e limiti cognitivi. Essendo semplificazioni non è detto che la soluzione a cui si arriva sia corretta. L’euristica non è seriale e sistematica come l’algoritmo. Le euristiche sono solitamente più pratiche e solitamente riescono a guidare verso la soluzione. Tuttavia, possono portare ad errori che quando diventano tipici/abituali sottolineano l’esistenza di una probabilità soggettiva o di un bias di ragionamento. Cinque sono i biases relativi ad euristiche probabilistiche:  Errore del giocatore (Euristica della rappresentatività)  Errore della probabilità primaria (Euristiche della rappresentatività, specificità, incidentalità)  Fallacia dell’intersezione (Euristiche della rappresentatività, causalità, disponibilità)  Sovrastima del punto di partenza (Euristica dell’ancoraggio)  Sovrastima dell’ampiezza del campione (Euristica della disponibilità) Esistono due diversi approcci che hanno cercato di offrire soluzioni ai biases:  Approccio frequentista: se si parla di frequenze al posto di probabilità, ci sarebbe una riduzione dei biases (falso).  Approccio pragmatico-partitivo: se le informazioni date identificano sottogruppi a cui le informazioni si riferiscono, è più facile che si consideri il base rate e che quindi non venga dimenticato (vero) LE EURISTICHE EURISTICA DELLA RAPPRESENTATIVITA’: Nell’euristica della rappresentatività si tende a prendere una decisione confrontando la situazione presente con il prototipo mentale più rappresentativo (es. L'adulto guida in maniera attenta quindi non verrà fermato). 25 EURISTICA DELLA DISPONIBILITA’: è una strategia cognitiva attraverso la quale le persone stimano la probabilità e la frequenza di un dato evento sulla base della facilità con cui riescono a recuperare dalla memoria o immaginare eventi analoghi. Esempio: Nei casi in cui eventi rari o paradossali possono essere facilmente rievocati si può giungere ad un esito distorto (essere attaccati da uno squalo o morire in un incidente aereo). EURISTICA DELLA SPECIFICITA’: Le persone si formano giudizi di probabilità considerando solo informazioni specifiche, legate ad eventi specifici, tralasciando informazioni basilari (es: test medico). EURISTICA DELL’INCIDENTALITA’: Esempio: in una popolazione di giovani adulti 80% delle persone sono sposate e il 20% è single. La percentuale di morti suicidi è tre volte maggiore nei single rispetto agli sposati. Quasi tutti i soggetti danno peso all’informazione specifica, tralasciando la probabilità di base. Questo sarebbe dovuto al forte causale percepito tra single e suicidio; infatti, se il legame causale viene meno le risposte corrette aumentano. EURISTICA DELL’ANCORAGGIO: Le persone restano ancorate al valore di partenza. 26 12. TEORIA DELL’ UTILITA’ ATTESA LA TEORIA DELLA DECISIONE La Teoria delle Decisioni ha l’obiettivo di fornire dei modelli secondo i quali gli individui posti davanti ad una scelta compiono delle decisioni nella vita quotidiana. tale teoria si può dividere in due parti: 1) La teoria delle decisioni normativa 2) La teoria delle decisioni descrittiva La prima si pone l’obiettivo di descrivere quello che gli individui posti davanti ad una scelta dovrebbero fare per giungere ad una decisione finale. Attraverso quest’ultima si può spiegare il comportamento di un individuo razionale universale. La teoria delle decisioni descrittiva invece, cerca di comprendere la modalità in cui gli individui effettuano una scelta. È importante sottolineare però, che le persone prendono le decisioni in funzione delle situazioni che devono affrontare e in base ai contesti ambientali e culturali in cui vivono. Si potrebbe definire “giusta” una decisione solo quando il risultato è considerato un buon risultato. Al contrario di definisce “razionale” quella decisione che comporta ciò che è più logico e corretto. Le scelte possono essere effettuate secondo i seguenti criteri: a) Certezza, quando l’individuo è a conoscenza delle possibilità e dei risultati delle alternative in maniera certa. b) Rischio, l’individuo è a conoscenza dei risultati delle possibili alternative ma non ha la certezza di quale sia quella giusta, dunque può solo attribuire delle probabilità. c) Incertezza, quando l’individuo è a conoscenza dei risultati ma non può attribuirvi delle probabilità. LA TEORIA DELL’ UTILITA’ ATTESA Tra le teorie psicologiche che si interessano dello studio del comportamento umano in questi ambiti, vediamo la teoria dell’utilità attesa. Questa teoria nasce nel 1947 da Von Neuman e Morgenstern e si incentra sull’uomo come essere razionale e prevedibile nel suo agire. Gli autori formularono una teoria sulla normativa della decisione, secondo cui un’azione è razionale se massimizza l’utilità derivante dall’esito di una scelta. La teoria dell’utilità attesa definisce “utilità” come l’indice cardinale delle preferenze dell’uomo in un ambito di incertezza del risultato, definendo inoltre il grado di “piacere” che il soggetto ricava dal soddisfacimento dei bisogni. Secondo questa teoria, gli individui scelgono tra più possibilità quella alla quale è associata l’utilità attesa più elevata in base alle risorse che si hanno a disposizione. La teoria dell’utilità attesa è un criterio che permette di selezionare la scelta dell’individuo in condizione di non certezza e in condizioni di rischio. Tale teoria si basa sulla valutazione delle preferenze, identificate nella funzione dell’utilità attesa, che può essere vista come funzione che associa ad ogni possibile scelta una corrispondente misura di utilità. La funzione rispetta l’ordine di preferenza, infatti può essere usata per ordinare le alternative rischiose. La persona, dunque, otterrà l’utilità attesa dell’alternativa sommando le utilità di ciascun esito ponderato con il loro grado di probabilità. La teoria è dunque basata su modelli matematici e ritiene fondamentale la razionalità come base del comportamento individuale. Il vantaggio di questa teoria nasce dal fatto che le decisioni derivano da elaborazioni algebriche di un insieme di informazioni che l’individuo possiede, processo definito come modellizzazione del processo decisionale. 27 13. IL MODELLO DELLA RAZIONALITA’ LIMITATA TEORIA DELLA SCELTA RAZIONALE Uno degli studi più importanti e utilizzati è quello inerente alla teoria della scelta razionale (TRS). All’interno di tale costrutto teorico, l’individuo è considerato come un’unità strutturata di preferenze che mediante alternative può arrivare a prendere delle decisioni. Il processo decisionale quindi, secondo questa definizione si può articolare in quattro momenti: ➢ Identificazione del problema ➢ Individuazione dei criteri attraverso i quali si valutano le alternative ➢ Identificazione delle vie alternative ➢ Valutazione e selezione della migliore alternativa e la sua attuazione MODELLO DELLA RAZIONALITA’ LIMITATA Una delle principali teorie elaborata come critica alla teoria dell’utilità attesa è la teoria di Simon sulla razionalità limitata che permette di spiegare la discrepanza tra comportamento reale e teoria standard della decisione. Simon sottolinea che la maggior parte delle persone sono solo in parte razionali, e sono irrazionali nella rimanente parte delle loro azioni. Dai suoi studi emerse infatti che quando ci si trova davanti ad un problema complesso difficilmente si cerca una soluzione ragionando in modo chiaro e lineare ma al contrario si procede attraverso tentativi. Di solito otteniamo soluzioni, che seppur imperfette, possono funzionare: ci interessa cioè trovare soluzioni soddisfacenti, non ottimali. A volte il processo di scelta è limitato a causa di alcuni fattori: • La complessità dei problemi • La disponibilità di informazioni incomplete • La limitata capacità degli individui di elaborare le informazioni • Il tempo limitato per prendere una decisione • Le preferenze contrastanti degli individui riguardo agli obiettivi I limiti alla razionalità riguardano:  Conoscenze, intese come la disponibilità delle informazioni che possono essere anche ambigue  Capacità, intesa come la capacità di elaborare le informazioni in possesso  Memoria, immagazzinamento dei dati  Obiettivi, in funzione di ciò che si vuole ottenere Simon coniò il termine administrative man, uomo amministrativo, il cui criterio decisionale di principio non è la miglior decisione ma piuttosto quella più soddisfacente, questo viene definito il criterio di tipo satisficing. Nella vita di tutti i giorni il numero delle possibili soluzioni ad un problema è infinito e non è possibile provarle tutte al fine di trovare la soluzione più giusta, occorre quindi individuare uno standard che permetta di riconoscere un prodotto soddisfacente, in modo tale che l’individuo, una volta individuata l’alternativa corretta, interrompa la ricerca (regola dell’arresto). 30 Con questo scopo la psicologia ha introdotto il concetto di livello di aspirazione. Ogni individuo per risolvere un problema forma un giudizio sulla qualità della soluzione che si aspetta di raggiungere, giudizio influenzato dalle esperienze passate e dal bagaglio cognitivo che l’individuo possiede. Il livello di aspirazione si confronta poi con il livello reale dell’esperienza: se l’esperienza supera il livello di aspirazione si registra soddisfazione; se il livello di aspirazione è più alto, si registra insoddisfazione. Il procedimento di scelta ottimale prevede alcune fasi:  L’individuazione di alternative  La ricerca euristica con l’utilizzo di una regola d’arresto  L’esistenza di livelli di aspirazione adattabili Nello specifico, sia nella fase iniziale di identificazione del problema, sia nella fase della soluzione, l’esperienza soggettiva svolge un ruolo fondamentale nel comprendere quale sia la via migliore da percorrere per interpretare al meglio gli eventi e le questioni inaspettate tipiche di alcune fasi del processo per arrivare alla soluzione. Nel mondo della razionalità limitata un altro concetto particolarmente importante è l’analogia, ossia la capacità di prendere decisioni in base ad un’esperienza passata basata su situazioni diverse, applicando la soluzione utilizzata in passato. LIMITI E CRITICHE ALLA TEORIA DELLA RAZIONALITA’ LIMITATA Per quanto sia capace di cogliere la vera essenza del processo decisionale il modello nel corso degli anni è stato sottoposto a diverse critiche. Una critica può essere fatta al criterio di satisficing, poiché in situazioni reali, un individuo potrebbe trovarsi nella situazione di non riuscire a trovare un’alternativa soddisfacente. 31 14. LE EURISTICHE INTERAZIONI SOCIALI ED EURISTICHE Il caratterizzare una persona sulla base di tratti centrali e comportamenti è alla base delle così impressioni o credenze. Questa tendenza ad attribuire una data impressione alle persone sulla base delle informazioni iniziali viene definita “effetto di priorità (primacy effect)”. Inoltre, ognuno di noi tende a costruire delle teorie sulla natura e sulle cause del comportamento delle altre persone, processo definito di “attribuzione”. In particolare, attribuiamo particolari caratteristiche del comportamento a due tipi di fattori:  disposizionali (interni) che riguardano i tratti di una persona, i suoi bisogni e le sue intenzioni;  situazionali (esterni) che includono gli stimoli che si trovano nel contesto fisico e sociale. Tuttavia, nel valutare le cause del comportamento altrui, spesso si può cadere in errore; può verificarsi l’errore fondamentale di attribuzione che avviene quando nel valutare le cause di un comportamento si tende a sopravvalutare i fattori disposizionali e a sottostimare quelli situazionali. In genere è molto più probabile commettere questo errore nei confronti degli altri piuttosto che di noi stessi poiché conosciamo meno i fattori situazionali che possono influenzare il comportamento altrui. Un esempio di errore fondamentale di attribuzione è la convinzione che le persone ottengano nella vita ciò che si meritano (si attribuisce un valore inferiore ai successi altrui rispetto ai propri). Al contrario quando cerchiamo di spiegare il nostro comportamento tendiamo ad attribuirlo a caratteristiche della situazione più che a caratteristiche della persona, considerando i nostri comportamenti influenzati dal contesto; fenomeno che prende il nome di “discrepanza attore- osservatore”. Quando utilizziamo questi meccanismi di attribuzione, ossia giudichiamo gli altri e le nostre interazioni con loro, ci affidiamo a delle regole empiriche dette “Euristiche”. Sono dei costrutti fondati su ideologie e pregiudizi che consentono di prendere decisioni ma che possono indurre in errore. L’euristica descrive quel procedimento mentale intuitivo e sbrigativo, la scorciatoia mentale che permette di costruire un’idea generica su un argomento senza effettuare troppi sforzi cognitivi. Sono strategie veloci utilizzate di frequente per giungere rapidamente a delle conclusioni e vengono utilizzate dalle persone per ridurre lo sforzo mentale richiesto nel prendere decisioni. Si ricorre alle euristiche quando è necessario elaborare giudizi complessi e il numero delle informazioni a disposizione è troppo elevato. In questo caso la mente cerca degli escamotage che permettano di ridurre il tempo di elaborazione dei dati al fine di prendere una decisione economica in termini cognitivi. Il riconoscimento e lo studio dell’euristiche e la loro incidenza sui processi decisionali ha avuto inizio dall’intuizione di Simon per poi svilupparsi in seguito agli studi di Tversky e Kahneman. Per i due autori, sono intrinsecamente inappropriate, in quanto si basano su valutazioni automatiche inconsapevoli. STEREOTIPI E PREGIUDIZI Lo stereotipo è una rappresentazione cognitiva o un’impressione derivante dall’associazione di determinate caratteristiche a un dato gruppo o individuo. Tali immagini sono semplificazioni spesso molto rigide e fanno riferimento agli usi e ai costumi specifici di una determinata realtà culturale. 32 15. L’EURISTICA DELLA DISPONIBILITA’ DEFINIZIONE DI EURISTICA DELLA DISPONIBILITA’ Nel 1973, Tversky e Kahneman che per primi hanno studiato questo fenomeno, hanno coniato il termine "disponibilità euristica". Più nello specifico questo ragionamento consiste nel valutare la probabilità di un evento in base alla sua disponibilità, ovvero in base alla facilità con cui esempi o casi di tale evento possono venire in mente. Il concetto di disponibilità fa riferimento a due processi: la facilità di recupero in memoria e la facilità di costruzione/immaginazione dei casi dell’evento che si deve stimare. In molte situazioni questa euristica può condurre a stime piuttosto accurate, poiché gli esempi più frequenti di un evento sono più facili da ricordare; tuttavia ci sono fattori che possono comportare errori di giudizio come il grado di salienza, la familiarità, la vicinanza temporale e la correlazione illusoria. La salienza, ovvero come un evento viene ricordato in maniera più chiara possibile, porta a far riemergere informazioni che per l’individuo sono molto frequenti, ma che nella realtà non lo sono tanto quanto si pensa. Per quanto riguarda la familiarità, ovvero la frequenza con cui un evento simile si presenta in memoria, porta ad associare eventi diversi come simili, aventi quindi le medesime caratteristiche. La vicinanza o la distanza temporale dell’evento, porta ad avere un giudizio distorto (es. più un evento è avvenuto recentemente più è probabile che si verifichi). L’ultimo fattore che può portare ad un uso scorretto di tale euristica è la correlazione illusoria che avviene quando la persona valuta la probabilità o la frequenza che due o più eventi accadono congiuntamente, senza tenere in considerazione le varie informazioni che mettono in luce le differenze tra i vari eventi, chiarendo così il fatto che gli eventi stessi non siano correlati. Inoltre, questa euristica presenta un punto debole: l’effetto del falso consenso; in cui le persone tendono a generalizzare le proprie opinioni al resto della popolazione poiché si proietta sugli altri il proprio modo di pensare. RICERCHE SULL’ EURISTICA DELLA DISPONIBILITA’ Nelle prime indagini sull’euristica della disponibilità condotte da Tversky e Kahneman ai soggetti veniva fornita tale consegna: "Se una parola casuale è tratta da un testo inglese, è più probabile che la parola inizi con una K, o che K sia la terza lettera?" I risultati hanno indicato che i partecipanti hanno sovrastimato il numero di parole inizianti con la lettera "K" e sottovalutato il numero di parole che avevano "K" come terza lettera. In altre parole, è più facile pensare alle parole che iniziano con "K", più che a parole con "K" come terza lettera. Pertanto, le persone giudicano le parole che iniziano con la "K" come un evento più ricorrente. Oltre alle loro scoperte nello studio "K", riscontrarono ad esempio che: quando ai partecipanti veniva chiesto di completare compiti che comportavano una stima, spesso essi sottovalutavano il risultato finale. I partecipanti basavano la loro stima finale su una rapida prima impressione del problema, entrando in crisi quando i problemi consistevano in più passaggi da risolvere. Tversky e Kahneman sostengono che, sebbene l'euristica della disponibilità sia una strategia efficace in molte situazioni, quando se ne giudica l'utilizzo probabilistico si possono incontrare modelli prevedibili di errori. 35 I MECCANISMI DELLA MEMORIA La memoria è quella capacità di conservare tracce di esperienza per servirsene nelle relazioni e nella gestione di eventi futuri. Questa si divide in tre fasi: la fase di codifica, in cui viene elaborata l’informazione ricevuta; la fase di ritenzione in cui l’informazione immagazzinata viene trasferita nella memoria a breve termine, ed infine, la fase di recupero, in cui le informazioni precedentemente immagazzinate vengono recuperate. Quando negli anni ’50 e ‘60 cominciarono i primi studi sulla memoria a breve e lungo termine si iniziò a definire le varie tipologie di memoria. Esiste infatti la memoria a breve termine che ci permette di immagazzinare informazioni per un tempo molto breve e la memoria a lungo termine, che ha invece un tempo di ritenzione illimitato, consentendoci di conservare le informazioni a due livelli: procedurale e dichiarativo. La memoria procedurale deriva da conoscenze automatizzate riguardanti una determinata attività e non prevede necessariamente la consapevolezza della persona; mentre la memoria dichiarativa riguarda la relazione che l’individuo ha con il suo ambiente e dunque la consapevolezza delle sue conoscenze a livello semantico e a livello episodico. La conoscenza di tipo semantico riguarda la cognizione circa il mondo esterno ed è per questo cristallizzata e collocata a livello spazio-temporale. Invece la conoscenza di tipo episodico riguarda esperienze e ricordi specifici vissuti in prima persona oppure a cui si è solo assistito. Una delle teorie più accreditate dello studio della memoria e quella di Atkinson e Shiffrin, ossia la teoria tripartita della memoria. . Il primo magazzino è quello del sistema sensoriale, il secondo magazzino è quello della memoria a breve termine e l’ultimo magazzino è quello della memoria a lungo termine. 36 16. EURISTICA DELLA RAPPRESENTATIVITA’ DEFINIZIONE Quando incontriamo qualcuno per la prima volta, tendiamo ad osservarlo nel suo insieme e sulla base delle nostre esperienze precedenti, utilizziamo queste informazioni per formulare giudizi ipotetici. Questi processi comportano un’associazione fra le caratteristiche osservabili e gli schemi che abbiamo sui differenti tipi di persone. Se la persona sembrasse adattarsi ad uno schema particolare, potremmo giungere a delle conclusioni relative alla persona e alla sua occupazione. Per arrivare a tale conclusione utilizziamo l’euristica della rappresentatività, ossia classifichiamo la persona utilizzando la categoria a cui questa sembra adattarsi meglio e può condurre ad errori di giudizio. Nello specifico, l’euristica della rappresentatività porta a valutare la probabilità di un evento in base al grado in cui questo rappresenta la sua fonte; Uno degli ambiti in cui agisce questo tipo di euristica è quello che concerne i giudizi di previsione categoriale; ossia la stima della probabilità che una persona con certe caratteristiche appartenga a una determinata categoria o classe. RICERCHE SULL’ EURISTICA DELLA RAPPRESENTATIVITA’ Nel 1974, Tversky & Kahneman condussero uno studio, nel quale ai partecipanti veniva chiesto di leggere la descrizione di “Steve”: un ragazzo molto riservato e timido, sempre pronto ad aiutare gli altri, al quale non piace stare a contatto con la gente e che preferisce spazi silenziosi. Ai partecipanti alla ricerca veniva posto un quesito: Con quale probabilità Steve è un Pilota? Un Operaio? Un bibliotecario? La maggior parte dei partecipanti giudicò più alta la probabilità che Steve fosse un bibliotecario; poiché essi hanno confrontato la descrizione di Steve con la rappresentazione prototipica delle categorie di lavoro; Questo studio ha mostrato dunque come le persone fanno attribuzioni di probabilità associando la descrizione della persona a quella degli stereotipi che possiede. Questo approccio porta a gravi errori, poiché la rappresentatività o la similarità sono influenzate da altri fattori come ad esempio, la probabilità di base (il fatto che in ogni popolazione ci siano molti più contadini che bibliotecari, dovrebbe essere considerato più importante della rappresentatività nell'effettuare una previsione). Questo errore nel non considerare la probabilità di base caratterizza la maggior parte dei nostri processi mentali; L’euristica della rappresentatività è definita come il “la rappresentazione mentale che noi abbiamo di quella categoria e sulla base del grado di somiglianza siamo più o meno sicuri che quel particolare evento appartenga a quella determinata categoria”. Essa è molto usata nella quotidianità dall’individuo, questo però può indurre a errori sistematici, quali: ► La “fallacia della congiunzione” che si presenta quando si producono valutazioni distorte su eventi considerati congiunti, invece che attraverso la regola di congiunzione della teoria della probabilità. ► La “fallacia della probabilità di base” in cui gli individui danno giudizi su un determinato evento sulla base di informazioni che riguardano l’evento stesso e non considerano la probabilità di base che riguarda la categoria a cui fa riferimento l’evento posto a giudizio. Tali scoperte hanno dato inizio allo studio delle Teorie sulle Distorsioni di Giudizio. Ad esempio, 37 17. EURISTICA DI ANCORAGGIO E AGGIUSTAMENTO DEFINIZIONE L’euristica dell’ancoraggio e aggiustamento mette in luce la difficoltà da parte delle persone di modificare la propria opinione su un evento, su una persona, su un giudizio. E’ definita da Tversky e Kahneman (1973) come un processo in cui gli individui formulano una prima valutazione (ancoraggio) di un determinato fatto e poi, in seguito all’acquisizione di ulteriori informazioni, apportano modifiche più o meno consistenti (aggiustamenti) e, finalmente, danno una valutazione definitiva. Il dato iniziale è il punto di riferimento al quale gli individui ancorano i loro giudizi. In ogni caso, l’aggiustamento che segue non è sufficiente in quanto la stima finale si colloca più vicina al punto di riferimento iniziale rispetto al giudizio corretto. Uno degli errori che comporta l’uso di questa euristica quando si vuole dare un giudizio su una persona è la “sindrome della prima impressione”. Queste prime impressioni influenzano in modo determinante la scelta o il giudizio, perché gli individui tendono a rimanere “ancorati” al giudizio della prima impressione. RICERCHE In un esperimento, Kanhneman e Tversky chiesero ai soggetti di apportare una correzione ad una stima arbitraria che era loro proposta a proposito della percentuale dei paesi africani presenti all’ONU. Ad alcuni soggetti era stato dato un ancoraggio del 10% ad altri del 65%. Risultato: gli aggiustamenti operati dai soggetti li portavano ad una stima rispettivamente del 25% e del 45%. I partecipanti non si sono dimostrati in grado di svincolarsi dal punto di ancoraggio fornito loro anche se sapevano che si trattava di un dato di partenza errato. Purtroppo, le trappole euristiche scattano indipendentemente dal grado di conoscenza degli individui. Sono 6 e possono essere:  Sottostima delle informazioni acquisite e incapacità di differenziare tra le probabilità. Uso insufficiente o ignoranza completa delle informazioni (es: non capiterà a me).  Eccessiva attenzione ai segnali emozionali/affettivi. Quando le decisioni sono ambigue esse si focalizzano spesso sui segnali maggiormente emozionali o affettivi.  Distorsione da stress, disagio mentale o fisico.  Eccessiva fiducia sulle convenzioni o “norme” sociali. Si preferisce utilizzare o seguire le decisioni di qualcun altro.  Tendenza a preferire lo status quo. Quando si è sottoposti a scelte difficili e non ci sono risposte giuste ovvie, è prassi comune non prendere decisioni o delegare la scelta ad altri.  Incapacità nell’apprendere. In caso di decisioni molto azzardate, sono poche le opportunità da cui imparare (i feedback nelle decisioni sono rari e potenzialmente criticabili). Le ricerche di Tversky e Kahneman sembrano portare a una concezione pessimistica del giudizio umano, che vede gli individui come sostanzialmente irrazionali quando esprimono i loro giudizi. Gli errori che commettono non sono di prestazione, ma di competenza, quindi sistematici. 40 BASI NEURALI NEI PROCESSI DECISIONALI Daniel Kahneman (2003), propone questo modello a due sistemi: ➔ sistema 1, caratterizzato da processi mentali automatici, intuitivi e affettivi, elaborazione emotiva delle informazioni senza il controllo cosciente dell’individuo; ➔ il sistema 2, caratterizzato da processi controllati, deliberati e cognitivi, elaborazione che avviene sotto il controllo deliberato dell’individuo. Questi due processi di elaborazione dell’informazione coinvolgono anche meccanismi neurali differenti. Il sistema esperienziale coinvolge maggiormente il talamo e l’amigdala, due delle strutture più antiche del cervello, mentre quello razionale coinvolge maggiormente la corteccia, che è l’area più evoluta e giovane dell’encefalo. Zajonc nel 1984, è stato tra i primi a dimostrare la supremazia dell’emozione sulla cognizione. I suoi studi hanno mostrato come le reazioni affettive possano influenzare la nostra preferenza per uno stimolo piuttosto che per un altro. Cosa ancor più sorprendente, non è necessario che l’emozione raggiunga la soglia della consapevolezza perché influenzi il nostro pensiero. Le emozioni possano influenzare le nostre decisioni in diversi modi. Ad esempio, definiscono un’emozione anticipatoria quando indica una reazione viscerale connessa con la percezione del rischio e dell’incertezza che accompagnano una decisione. Damasio (1994), sulla base di osservazioni fatte su pazienti con lesioni della corteccia ventromediale frontale ha proposto che le nostre scelte siano normalmente guidate da marcatori somatici. Questi corrispondono a sensazioni viscerali e non viscerali che anticipano l’esito al quale può condurre una data azione spingendoci ad evitarla o ad approcciarla. In altre parole, quando un marcatore somatico è negativo funziona come un campanello d’allarme che ci avverte che è meglio evitare quella decisione, quando è positivo invece rappresenta un incentivo verso quella determinata azione. Oltre alle emozioni anticipatorie, anche le emozioni non strettamente legate alla decisione che dobbiamo prendere giocano un ruolo chiave nell’influenzare le nostre scelte. Isen e Mean (1983) hanno mostrato, ad esempio, che gli affetti positivi ci portano a prendere decisioni in modo più accurato e veloce rispetto agli affetti negativi. Isen e collaboratori (1987), hanno dimostrato anche che gli affetti positivi influenzano la propensione a rischiare dell’attore decisionale. In un loro esperimento, ad esempio, le persone cui era stato indotto uno stato d’animo positivo nel gioco della roulette erano più propense a affrontare scommesse ma solo se queste comportavano un basso rischio di perdita. Quando la probabilità di perdere la scommessa era alta invece mostravano un’avversione al rischio più alta rispetto alla condizione in cui la componente emotiva non era stata manipolata in alcun modo. Una possibile spiegazione a tali risultati è stata avanzata da Isen, Nygren e Ashby (1988), i quali ipotizzarono che le persone quando sono di buon umore sono meno propense a correre rischi che potrebbero minacciare il loro stato d’animo. DISTORSIONE DEL PENSIERO NEL GIOCO D’AZZARDO Il gioco d’azzardo patologico (GAP) è una condizione clinica riconosciuta dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Il comportamento patologico del gioco d’azzardo deriva da una serie di distorsioni cognitive ed euristiche che influenzano e mantengono il medesimo, oltre ciò il giocatore d’azzardo mostra perdita del controllo del suo comportamento che si traduce in disagio emotivo e compulsione. 41 Ad esempio, il giocatore compulsivo sopravvaluta spesso le sue possibilità di vincita o sostiene di avere o poter sviluppare le abilità necessarie per vincere, ritenendo tali attività alla stregua di uno sport. I giocatori tendono inoltre a credere di avere il controllo sul gioco e dunque un potere decisionale rispetto alle loro sorti. Anche quando perdono non attribuisco tale sconfitta alla macchinosità del gioco ma piuttosto alla sfortuna o alla credenza di non essere stati abbastanza abili e che dunque la prossima volta avranno successo. Tutti questi meccanismi cognitivi e queste scorciatoie del pensiero fanno sì che i giocatori si sentano legittimati a continuare. Tali convinzioni errate a livello psicologico e cognitivo si sviluppano a partire da due meccanismi. Da una parte dalla scarsa capacità dell’essere umano di valutare ed elaborare probabilità in maniera corretta e dunque nell’essere obiettivo nel giudicare gli eventi casuali; mentre dall’altra le stesse caratteristiche del gioco d’azzardo favoriscono lo sviluppo dei ragionamenti sopracitati, creando false convinzioni. Un esempio è la credenza che vi siano tendenze di sequenze specifiche e non casuali che possono essere previste dal giocatore, il quale si sente in grado di individuare il lancio vincente. Questi meccanismi, che comportano un’alterata elaborazione degli eventi casuali, derivano dalla fallacia del giocatore, in base alla quale il giocatore ritiene che ad una serie di sconfitte segua una vittoria. Ad esempio, i giocatori di roulette sono più propensi a scommettere sul nero se il risultato precedente è rosso e viceversa. Ad esempio, le slot machine prevedono l’attivazione di una serie di luci lampeggianti e rumori forti atti a iperstimolare il vincitore da un punto di vista sensoriale. Tale stimolazione genera quella che possiamo definire “disponibilità euristica” in base alla quale il giocatore associa un ricordo positivo alla vincita e desidera riprodurre nuovamente tali sensazioni. 42 Un altro fattore che al giorno d’oggi influisce in maniera significativa sul processo di decision making è il cosiddetto stress emotivo. La vita frenetica di tutti i giorni e il conseguente stare al passo con il mondo che ci circonda è una causa influente di stress che ci porta ad avere poco tempo a disposizione per ponderare le nostre decisioni. Ad esempio, secondo la teoria di Janis e Mann gli individui adottano dei comportamenti differenti a seconda del grado di stress al quale sono sottoposti. Se il grado di stress è intenso, l’individuo mette in atto dei comportamenti evitanti e allo stesso tempo difensivi. 19. ISTINTI E PULSIONI TEORIE EVOLUZIONISTICHE SULL’ISTINTO Con il termine motivazione si intende uno stato psicobiologico all’interno del quale l’individuo tende a raggiungere il soddisfacimento dei propri bisogni. Infatti, alla base della motivazione c’è il bisogno, quel processo fisiologico organico che deriva dalla mancanza di specifici elementi. L’istinto è l’organizzazione e l’integrazione di risposte motorie o vegetative ai fini dell’adattamento dell’individuo nell’ambiente che lo circonda, è innato e mira a soddisfare i bisogni dell’individuo. Descrive un comportamento che fa parte della nostra dotazione biologica e che viene messo in atto senza che ci sia stata alcuna forma di apprendimento. Il primo ad occuparsene fu Charles Darwin il quale affermò che uomini e animali nascono con istinti, sequenze di singole unità riflesse innate, utili alla sopravvivenza e fondamentali per l’adattamento. Secondo Darwin esistono comportamenti relativamente stereotipati che si conservano in funzione dell'evoluzione della specie e tramite minime variazioni di comportamenti preesistenti. Agli inizi del ventesimo secolo lo studio sugli istinti vide un incremento grazie allo psicologo inglese W. McDougall, che definì l'istinto come una disposizione psicofisiologica innata. Egli definisce gli istinti come inclinazioni, riconducibili a un gran numero di comportamenti. Dal punto di vista biologico, gli istinti sono considerati dei modelli di comportamento, innati e condivisi dall’intera specie e in linea con le teorie evoluzionistiche, la teoria biologica sostiene che esistono alcuni istinti di base tra cui: a) Istinto di sopravvivenza. b) Istinto di riproduzione. c) Istinto religioso, evidenzia il fatto che ogni individuo ha la necessità innata di cercare significati. TEORIE PSICOANALITICHE SULL’ISTINTO Secondo l’approccio psicoanalitico gli istinti sono comportamenti automatici, processo innato il cui obiettivo è la formulazione di pensieri, piani e significati. Freud descrisse l’istinto come “un concetto al confine tra il mentale e il somatico, il rappresentante psichico degli stimoli che si originano nell’organismo e raggiungono la mente”. Freud distinse il concetto d’istinto in Eros o istinto di vita e Thanatos o istinto di morte. Gli istinti sono secondo Freud un’esigenza di tipo somatico e possono rivolgersi sia verso l'individuo (libido narcisistica) sia verso l'esterno (libido oggettuale). 45 Analogamente l'istinto di morte, che rappresenta la tendenza di tutto ciò che è organico a tornare allo stato inorganico, può esprimersi verso l'individuo (autoaggressione) o verso l'esterno (eteroaggressione). Questi concetti freudiani, tuttora oggetto di discussioni e di analisi, furono pubblicati nel 19205 in Al di là del principio e del piacere. LE PULSIONI La pulsione sta ad indicare una condizione interiore che cambia nel tempo in maniera reversibile e che porta l’individuo ad ottenere i suoi scopi. Pulsioni diverse hanno scopi diversi. Gli incentivi possono essere identificati anche con il termine rinforzo, ricompensa o scopo. Pulsioni e incentivi si completano a vicenda e influenzano la gestione del comportamento. Nello specifico se uno dei due è debole l’altro deve essere più forte per motivare un’azione diretta verso un dato scopo, si rafforzano a vicenda. Per definizione, in sostanza, la pulsione è considerata come la rappresentazione psichica del bisogno, il modo in cui questo è percepito e vissuto. TEORIE SULLE PULSIONI Il fisiologo Walter B. Cannon, nel 19326, ha descritto in modo semplice ed elegante i bisogni metabolici dei tessuti che compongono il corpo umano. I processi fisiologici, come ad esempio la respirazione, devono continuamente tendere allo stato definito da Cannon omeostasi, ossia alla costanza delle condizioni interne, che il corpo deve mantenere attivamente. Un punto fondamentale evidenziato dallo scienziato è che il mantenimento dell’omeostasi non coinvolge solo i processi interni dell’organismo, ma anche il suo comportamento verso l’esterno. Ad oggi, gli psicologi trovano utile distinguere fra pulsioni regolative e non regolative. Si definisce pulsione regolativa una pulsione che, come la fame, contribuisce al mantenimento dell’omeostasi. Gli psicologi che adottano l’approccio fisiologico tendono a considerare le pulsioni come stati del cervello, come affermato dalla teoria degli stati pulsionali centrali, secondo la quale pulsioni diverse dipendono dall’attività di gruppi diversi di neuroni cerebrali. L’insieme dei neuroni che controllano una data pulsione viene definito sistema pulsionale centrale. La teoria delle pulsioni, che a partire dal 1905 costituisce l’asse portante della teoria psicoanalitica, si basa sul presupposto che la spinta a soddisfare “i bisogni sessuali dell’uomo” provenga da una “pulsione”, simile a quella che spinge all’assunzione del cibo. La pulsione, il cui principio è individuato nella continua spinta al soddisfacimento, può essere definita in base a diversi elementi:  La fonte, l’organo o parte del corpo attraverso cui la pulsione si esprime;  la mente pulsionale è definibile generalmente come l’azione verso la quale la pulsione spinge;  l’oggetto libidico, con cui si indica ciò che è in relazione alla meta da raggiungere. L’opera di Freud è fondata sul postulato che le pulsioni di sesso e aggressività motivino il comportamento umano. Secondo Freud la pulsione è un’istanza psichica che si manifesta tramite l’Es. L’obiettivo primario della pulsione è produrre una “scarica dell’energia”, ossia trovare un oggetto che permetta di soddisfare la pulsione e dunque produrre uno stato di inibizione della stimolazione. Secondo Freud questo meccanismo è mediato dall’Io, quell’istanza che riconduce l’Es al suo equilibrio. 46 20. AFFETTI ED EMOZIONI AFFETTI Si possono definire affetti quell’insieme di fenomeni soggettivi, sentimenti emozionali e umore, che fanno parte dell’individuo caratterizzando le sue risposte ad eventi interiori, esteriori… Il termine affetto proviene dalla psicoanalisi che distingue varie tipologie di energia, le quali influenzano il modo in cui l’individuo esperisce il medesimo. L’energia può essere: a) gradevole o sgradevole; b) vaga o specifica; c) violenta o a tonalità diffusa. Secondo Freud, nello specifico, l’affetto è sempre connesso ad una rappresentazione, perché entrambi i termini descrivono la modalità attraverso la quale si esprime una pulsione. Nel 1925, Freud riteneva che gli affetti dipendessero dal grado di maturazione dell’Io e del Super-Io e che fossero controllati dall’Io. L’affetto coincide con l’emozione ma differisce dal sentimento in quanto i sentimenti generalmente possono essere controllati, come ad esempio la rabbia ma quando un affetto si manifesta, l’individuo ne è invaso. All’interno dei suoi studi Freud propose tre teorie riguardo all’affetto: 1) Affetto inteso come quantità di energia psichica. 2) Affetto con il modello topografico e di pulsione istintuale, che considera l’affetto come una componente non ideativa della rappresentazione nella mente delle forze pulsionali. 3) Affetto con il modello strutturale, dove l’affetto è collocato all’interno del sistema dell’Io come segnale delle situazioni pericolose che vengono stimolate dall’esterno. Jung, agli inizi dei suoi studi sulle associazioni verbali, giunse alla considerazione che l’affetto riveli le forze e la natura dei valori psicologici degli individui. Secondo lo studioso, l’affetto nasce dal punto in cui siamo più fragili nel processo di adattamento dell’Io e nello stesso tempo ci fornisce delle risposte riguardo al motivo di tale fragilità. EMOZIONI Le emozioni sono stimoli che producono uno stato di alta attivazione fisiologica, si manifestano in maniera automatica e possono essere positive o negative. Viene definita un tipo particolare di esperienza soggettiva. INDICATORI DI RISPOSTE EMOZIONALI E TEORIE DELLE EMOZIONI Nel 1872 Charles Darwin e descrisse nel dettaglio le espressioni facciali che descrivono le emozioni negli esseri umani e negli animali, specificando anche i particolari muscoli che entrano in gioco in determinate situazioni. Secondo Darwin le espressioni facciali che descrivono le emozioni negli esseri umani sono innate, non apprese, che sono universali e che vedono la loro origine nell’espressione facciale degli animali. Tuttavia, esistono tre tipi di cambiamento nel comportamento che hanno origine dall’emozione. I primi sono i cambiamenti della postura, ad esempio se sono felice cammino dritto invece se sono arrabbiato assumo una posizione tesa. Il secondo tipo di cambiamento è una risposta automatica rapida ad uno stimolo forte e improvviso chiamata configurazione di sorpresa. Il terzo tipo di movimento è costituito dalle azioni comportamentali volontarie. Gli individui esprimono generalmente le proprie emozioni con gesti automatici per esprimere in maniera ottimale il proprio stato d’animo. 47 Nel 1938, Henry Murray ha sviluppato un sistema di bisogni come parte della sua teoria della personalità, che chiamò 'personologia'. Egli ha sostenuto che tutti gli individui avevano una serie di bisogni fondamentali universali, con differenze individuali su queste esigenze che portano alla unicità della personalità attraverso diverse tendenze disposizionali per ogni esigenza. La nostra personalità è un riflesso di comportamenti controllati a partire dai bisogni. Murray concepisce il concetto di bisogno come una forza psicologica che ha sede nel cervello e che guida l'azione, influenzando i processi di attenzione, percezione e pensiero. La categorizzazione più comunemente utilizzata è quella che vede i bisogni distinti in:  Primari, o viscerogeni: sono innati;  Secondari, o psicogeni: sono acquisiti nel corso dello sviluppo individuale; TEORIA DEI BISOGNI SECONDO MCCLELLAND McClelland dichiara nel 1961 che la motivazione di un individuo può derivare da tre bisogni dominanti: ❖ Il Bisogno di Successo: è basato sulla tendenza all'affermazione personale, alla perfezione, tenderà a prefiggersi scopi alla sua portata, ma che al contempo non appaiono troppo facili, preferiscono lavorare da sole e sono fortemente orientate al futuro. ❖ Il Bisogno di Affiliazione: corrisponde al bisogno di creare una condizione di vicinanza con altre persone e di ricercare l'appartenenza a un gruppo. Queste persone tendono ad avere e mantenere buoni rapporti interpersonali, non amano le sfide ad alto rischio o quelle in cui prevale l’incertezza. Hanno bisogno di essere accettati. ❖ Il Bisogno di Potere: consiste nella tendenza da parte delle persone a voler esercitare la propria influenza sulle situazioni e sulle persone. La necessità dominante è controllare, influenzare gli altri. A questo tipo di personalità piace primeggiare nelle discussioni, ama competere e naturalmente vincere, essere riconosciuto e acquistare uno status. Il bisogno di potere spesso ha le sue radici in situazioni di forte insicurezza personale. 50 22. PERSONALITA’ E MOTIVAZIONE LA PERSONALITA’ IN PSICOLOGIA Il termine personalità deriva dal latino “persona”, e descrive le maschere indossate dagli attori per rappresentare i loro personaggi di scena. La personalità, infatti, è un’organizzazione di modalità di essere, conoscere ed agire, assicura coerenza e continuità all’individuo e alle relazioni di quest’ultimo con l’esterno e con gli altri. La psicologia della personalità si divide in due tipologie di studi: ⚫ lo studio della struttura, che riguarda il modo in cui la personalità si presenta e identifica alcuni tratti che sono elementi distintivi dell’individuo. ⚫ lo studio dei processi, che riguarda la dinamica della personalità in relazione all’ambiente, in accordo con il perseguimento di obiettivi e mete fissate dall’individuo, i processi che presiedono alla costruzione del Sé e all’esperienza di un’identità personale che permette all’individuo di assicurarsi soddisfacimento dei suoi bisogni. In passato si credeva che la personalità fosse un elemento fisso ma questa branca indaga tre tematiche:  differenze interindividuali;  relazioni interpersonali;  interazioni tra fattori biologici e culturali, ovvero il reciproco rapporto di influenza che gli uni ricevono dagli altri. LO SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA DELLA PERSONALITA’ La psicoanalisi ha esercitato una grande influenza sulla psicologia della personalità, ponendosi come vera e propria teoria generale. In seguito, lo studio della personalità è stato integrato a diverse discipline come la sociologia, l’antropologia e altre teorie quali il comportamentismo e la teoria della Gestalt. A partire dall’inizio degli anni ‘80 si afferma il paradigma social-cognitivo, in base al quale lo sviluppo del funzionamento della personalità può essere compreso sulla base di un reciproco determinismo triadico tra la persona l’ambiente e il comportamento, inoltre la persona impara dall’esperienza soprattutto grazie a rinforzi esterni, che possono essere positivi o negativi. Questa tipologia di rinforzi e di interazioni con l’ambiente garantisce anche la costruzione di un certo tipo di personalità. PERSONALITA’ E MOTIVAZIONE: RIFLESSIONI SULLE INTERPRETAZIONI TEORICHE Freud approfondì nella sua teoria psicoanalitica lo studio della personalità. Egli parlava di dimensioni profonde che compongono la personalità da cui deriva il nome di “psicologia del profondo”. Secondo il sistema di interpretazione Freudiano, le pulsioni determinano la condotta dell’individuo, quindi nel loro insieme forniscono quella che Freud definiva l’energia psichica di cui dispone la personalità. Secondo Freud nel corso dello sviluppo la personalità si organizza in base a tre strutture: l’Es, l’Io e il Super Io. L’Es è il serbatoio d’origine dell’energia che garantisce con il tempo all’individuo le sue capacità operative. 51 L’Io si sviluppa invece in funzione della soddisfazione delle pulsioni in accordo con le esigenze della realtà e infine il Super Io si sviluppa in base a quelle che sono le norme e i valori culturali tradizionali e viene influenzato anche dall’educazione ricevuta. Un altro indirizzo teorico che si è accostato allo studio della personalità è quello fenomenologico- esistenziale che enfatizza la soggettività dell’esperienza individuale e il diritto inconfutabile di ogni uomo di realizzare il proprio progetto di vita (Karl Jaspers, Abram Maslow e Carl Rogers). Altro esponente fondamentale è stato Gordon Allport, il quale ha indicato nei tratti le unità fondamentali della personalità. Sono numerose oggi le ricerche giunte ad una convergenza rispetto ai tratti personali logici. Norman nel 1963 ha formulato infatti la teoria dei Big Five, ossia dimensioni o fattori generali in cui convergono elementi simili e differenti delle varie personalità (Estroversione e Introversione, Gradevolezza e Ostilità, Coscienziosità, Stabilità emotiva e Nevroticismo, Apertura mentale). Costa e McCrare (1986)4, prendendo spunto dal lavoro di Norman, hanno formulato il cosiddetto Neuroticism, Extraversion, Openness Personality Inventory (NEOPI), introducendo l’ipotesi che possa esistere una gerarchia nei Big Five. In linea con il loro pensiero quindi l’estroversione, la stabilità emotiva e l’apertura all’esperienza rappresentano i fattori maggiormente determinanti. Nell’ambito dell’approccio social-cognitivo già citato invece, il contributo teorico di rilievo deriva da Albert Bandura. Lo studioso faceva riferimento al principio del reciproco determinismo triadico. Secondo Bandura l’ambiente, la cognizione della persona e il comportamento influiscono l’uno sull’altra, esercitando un’influenza causale di tipo reciproco. Infine, secondo Fromm (1963) la personalità può esser definita come l'insieme delle qualità psichiche ereditarie ed acquisite che determinano il temperamento, prima, e il carattere, poi. Questi due costrutti si formano grazie ad un processo evolutivo di adattamento, bilanciando i bisogni interni con le richieste esterne. Secondo Fromm la personalità dell’individuo è modellata dalla struttura socioeconomica della società in cui vive. Essa, infatti, svolge una funziona formativa sulle personalità degli individui, determinandone i modi di pensare, di conoscere, di entrare in relazione con l’altro. 52 24. LE MOTIVAZIONI EDONICHE IL BENESSERE E LA PSICOLOGIA POSITIVA Il benessere soggettivo può essere definito come una valutazione, cognitiva e/o affettiva, che l’individuo fa sulla propria vita nel suo insieme, il funzionamento ottimale e fa riferimento a concetti come la padronanza e lo scopo della vita. Seligman e Csikszentmihaly sono i principali pionieri dei principi della Psicologia Positiva, approccio che si sviluppa a partire dal 2000. L’intento è quello di indirizzare i professionisti della salute mentale verso il benessere e la felicità degli individui e consentire agli individui di raggiungere la condizione di funzionamento ottimale. Ritrovare l’interesse per le emozioni positive e per i tratti positivi (resilienza, punti di forza, ottimismo ecc.) è il principale obiettivo della Psicologia Positiva. La salute non viene più considerata come assenza di malattia ed è lo studio scientifico del funzionamento ottimale dell’uomo. Nello specifico la Psicologia Positiva abbraccia il paradigma bio – psico – sociale e considera l’individuo come prodotto dall’integrazione reciproca delle tre componenti (biologica, psicologica e sociale). Queste hanno un forte impatto sullo stato di salute della persona la quale, al contempo, ha un ruolo attivo nel determinare la propria condizione. La Psicologia Positiva si concentra su due prospettive:  La prospettiva edonica: caratterizzata da studi che analizzano la dimensione del piacere, inteso come benessere personale determinato da sensazioni ed emozioni positive;  la prospettiva eudaimonica: studia i fattori che determinano lo sviluppo e la realizzazione delle potenzialità individuali e dell’autentica natura umana, comprende, oltre la soddisfazione individuale, anche il percorso di integrazione con l’ambiente circostante. Secondo Seligman, infatti, quando la persona è in uno stato d’animo positivo ha un rapporto migliore con il mondo e la felicità viene raggiunta attraverso le emozioni positive ed è possibile distinguere tre elementi:  Emozione positiva (Positive Emotion): gratificazioni che derivano dai sensi (piacere, calore ecc.);  Coinvolgimento (Engagement): le attività che le persone scelgono poiché porteranno ad esperienze ottimali;  Significato (Meaning): ricerca di un obiettivo nella vita, di un senso, ragionando non solo in termini individuali ma contribuendo al benessere del mondo in generale. LA MOTIVAZIONE EDONICA È possibile definire la motivazione edonica come volontà di intraprendere comportamenti volti a migliorare l’esperienza positiva (la ricerca del piacere). Quindi il principio che sottostà alla motivazione edonica è chiaro: l’essere umano tenderebbe ad intraprendere comportamenti con l’obiettivo di accrescere le esperienze positive e diminuire quelle negative. Questo aspetto è stato esaminato da Gray nella sua teoria della personalità e sostiene che la condotta umana sia guidata da due sistemi: • Il sistema di inibizione comportamentale: sensibile alla punizione; • Il sistema di attivazione comportamentale: sensibile alla ricompensa. Kahneman sostiene che l’esperienza positiva contro quella negativa è l’essenza dell’edonismo. 55 Questo approccio spiegherebbe la motivazione ad intraprendere azioni positive o gratificanti indipendentemente dall’immediata esperienza di dispiacere che provocherebbe. L’esperienza positiva è definita dalla sua utilità che rappresenta la qualità dell’esperienza sensoriale attuale, dell’esperienza passata memorizzata e dell’esperienza anticipata futura. L’utilità motiva il coinvolgimento nelle azioni intrinsecamente gratificanti e nelle azioni “self-reinforcing”. Secondo Kahneman i sentimenti positivi sono lo sfondo dell'azione edonica. Tuttavia, gli individui tendono ad adattarsi a ripetuti stimoli positivi, come mangiare il proprio piatto preferito per una settimana ogni giorno, e a circostanze positive stabili. Questo fenomeno è stato definito adattamento edonico. Di conseguenza, la soddisfazione delle motivazioni edoniche richiederebbe specifiche strategie in grado di aumentare in modo efficiente e duraturo le esperienze positive. Vi sono due obiettivi principali di queste strategie:  Aumentare la varietà degli stimoli positivi che portano a esperienze positive.  Trovare altri tipi di esperienze positive. Quindi sono stati sviluppati diversi strumenti utili a misurare sia la motivazione edonica sia l’esperienza edonica, eccone alcuni: _ Hedonicand Eudaimonic Motives for Activitie; _ Orientations to Happiness scale. PSICOPATOLOGIA DEL PIACERE Freud ha proposto due processi operativi opposti che sottostanno al funzionamento dell’individuo. Entrambi utilizzano strategie economiche di costanza energetica, con l’obiettivo di eliminate lo stato di eccitazione provocato dalle pulsioni dell’Es. • Il principio del piacere: da una parte è volto ad evitare la sofferenza provocata dall’aumento dell’energia pulsionale; dall’altro deve provocare gratificazione e piacere all’organismo attraverso l’appagamento dei suoi bisogni e la conseguente scarica della tensione intrapsichica. • Il principio di realtà: la sua funzione è prettamente regolatoria. Infatti, il suo compito è quello di mediare il soddisfacimento dei bisogni dell’individuo con le richieste provenienti dal mondo esterno. Spencer sosteneva che le forze che guidano la motivazione alle azioni adattive sono due:  Spinte di tipo appetitivo: dirette ad obiettivi edonistici;  Spinte di tipo avversativo: dirette alla fuga da situazioni spiacevoli o dolorose L’anedonia, fenomeno psicopatologico determinato da un deficit nella competenza di provare piacere in attività e situazioni che vengono, solitamente, considerate gratificanti. Può presentarsi in modo diffuso oppure essere circoscritta. L’anedonia può essere considerata sia come prodromo di patologie come i disturbi della condotta alimentare o l’abuso di sostanze; sia come core symptom (schizofrenia, depressione maggiore). La letteratura mostra come le emozioni positive riducono la secrezione degli ormoni dello stress, aumentano la risposta immunitaria, ha effetti positivi sullo stato di vigilanza e riduce i livelli di ansia, depressione e frustrazione. 56 Tuttavia, questo fenomeno non è l’unico a determinare il quadro della psicopatologia del piacere. Infatti, rientra in un quadro psicopatologico anche la ricerca esasperata del piacere: l’addiction. Si intende, in modo generale ma esplicativo, il sistema complesso di fenomeni che determina l’intenso attaccamento a un fattore fortemente investito affettivamente. Caratteristica centrale dell’addiction è il cosiddetto craving, definito come l’irresistibile desiderio di assumere nuovamente la sostanza con una ricerca compulsiva della medesima. Inoltre, non si limita alle fasi di astinenza poiché può presentarsi anche nei lunghi periodi di astensione dalla sostanza. Ma perché alcune persone sviluppano dipendenza ed altre no? Una possibile spiegazione viene offerta dal modello bio – psico – sociale, che riconosce l’esistenza di specifici fattori di rischio e fattori di protezione. Si può effettuare una distinzione tra set e setting:  Set: insieme dei significati che la società o l’ambiente attribuiscono alla sostanza e al suo consumo (ad esempio, trasgressione, rischio, piacere ecc.);  Setting: insieme delle aspettative soggettive del singolo sulla sostanza e sul suo consumo. Un’altra ipotesi è quella neurobiologica. Tutte le sostanze di abuso, così come gli stimoli gratificanti naturali (cibo, partner sessuale), attivano la trasmissione neurale nell’area cerebrale del reward centre. Queste sono aree mesolimbiche a trasmissione dopaminergica che determinano, a livello psicologico, la motivazione. Queste aree permettono di distinguere il piacere dalla sofferenza e consentono l’apprendimento dei comportamenti del piacere. La differenza tra gli stimoli gratificanti naturali e le sostanze psicoattive è che le seconde attivano la trasmissione dopaminergica in modo ripetitivo e continuo senza bisogno di pause di refrattarietà. Questa caratteristica è il rinforzo positivo, ossia il motivo che spinge l’individuo al bisogno e alla dipendenza. 57 ➔ Motivazioni a carattere sociale: i motivi all’acquisto hanno anche un carattere sociale o relazionale. • Appartenenza a un gruppo (peer group attraction). La persona acquista al fine si sentirsi parte di un gruppo di persone con cui condivide interessi o dal quale vorrebbe essere accettato. • Influenza di terzi. Quando la persona non è completamente sicura del prodotto sarà fortemente influenzato dall’opinione di chi lo ha accompagnato nello shopping. Alcune ricerche mostrano che i consumatori nell’atto di scegliere tra due prodotti differenti preferiscono l’alternativa con il maggior valore edonistico se i due prodotti sono presentati separatamente; mentre preferiscono l’alternativa con il maggior valore utilitaristico se i prodotti sono presentati congiuntamente. Una scelta conscia e consapevole è la risultante di un insieme di valutazioni razionali, consapevoli e quasi scientifiche della convenienza di acquisto in base ad un’analisi accurata dei propri bisogni e della consapevolezza delle emozioni e delle pulsioni che agiscono. Un esempio è quando compriamo un ombrello perché fuori piove o di scegliere il mezzo di trasporto per raggiungere il luogo di lavoro avendo valutato tutte le alternative presenti, scegliendo quella più opportuna. Un acquisto subconscio si verifica quando la persona non è completamente consapevole delle forze culturali (educazione, religione, cultura ecc.) che agiscono. Queste sono influenze apprese durante la crescita. Si pensi all’acquisto di un abito da parte di un impiegato bancario. In tal caso verranno scartati tutti quei capi non consoni, culturalmente determinati, al contesto. Mentre saranno selezionati abiti più formali e adeguati. La scelta risponde ad esigenze di conformità culturale. 60 26. STRATEGIE COMPENSATORIE E NON COMPENSATORIE I MODELLI DESCRITTIVI Ricordiamo che i modelli normativi delle teorie del processo decisionale descrivono le strategie che il decisore dovrebbe seguire per stimare la probabilità di un evento. Il processo si esaurisce quando viene selezionata l’alternativa con il valore più elevato e questa viene scelta. Gli individui nel valutare le probabilità di ogni conseguenza non seguono i principi della razionalità olimpica ma piuttosto schemi compatibili con le risorse del sistema cognitivo: le euristiche. Per i modelli normativi i processi di scelta sono dominati da alcuni assiomi: (PAG 28). Tuttavia, sin da subito, è stata messa in dubbio la capacità di questi assiomi di descrivere come gli individui decidono effettivamente. La storia dei dubbi inizia con il Paradosso di San Pietroburgo. Il paradosso è stato utilizzato da Bernoulli per contestare l’utilizzo acritico del valore atteso. “quanto un giocatore dovrebbe essere disposto a pagare per partecipare al gioco?” Uno scommettitore razionale non dovrebbe rinunciare alla possibilità di raddoppiare qualsiasi somma. Poiché ad ogni lancio si raddoppia il guadagno mentre la probabilità di successo si dimezza, l’aspettativa di guadagno è sempre la stessa. Dunque, lo scommettitore dovrebbe essere disposto a puntare il massimo. Ma ecco il paradosso: ciò contrasta con l’ovvia osservazione che più si paga per giocare minore è la probabilità che si possa guadagnare più di quanto si sia pagato. Beornullì ha proposto una soluzione al paradosso sostenendo che quanto più denaro si ha a disposizione tanto minore sarà l’utilità di un’ulteriore quantità di denaro. Dunque, muovendo dall’idea che il denaro ha anche un valore soggettivo. Il paradosso costituisce una delle prove a dimostrazione dell’incapacità predittiva della teoria dell’utilità attesa. STRATEGIE COMPENSATORIE E NON COMPENSATORIE Esistono diversi approcci alle teorie decisionali: • Approccio normativo: descrive le strategie che il decisore dovrebbe seguire per stimare la probabilità di un evento e, quindi, per stimare e giudicare i corsi d’azione. Queste teorie indicano la condotta razionale ideale attraverso l’uso di principi logico – matematici e statistici; • Approccio descrittivo: descrive le modalità con cui le persone effettivamente valutano le probabilità e prendono decisioni. Questo approccio nasce come conseguenza del fatto che le persone quando prendono decisioni e mostrano deviazioni sistematiche dagli standard previsti dai modelli normativi. Utilizzano procedure decisionali semplificate e intuitive (euristiche). Le deviazioni che vengono prodotto sono dette biases. • Approccio prescrittivo: tenta di ridurre la distanza tra i modelli normativi e quelli descritti. In altre parole, ha l’obiettivo di conformare i comportamenti decisionali delle persone all’ideale normativo tenendo conto delle limitazioni cognitive. 61 In letteratura sono state identificate diverse strategie che permettono una semplificazione del problema. Strategie compensatorie: • Sono di tipo quantitativo • Sono proprie dei modelli normativi • Sono di difficile attuazione poiché richiedono maggiore sforzo di elaborazione • Impongono di affrontare compromessi emotivamente spiacevoli • La principale è la regola additiva Strategie non compensatorie: • Sono più facili da applicare • Sono più imprecise e portano a maggiori errori • Sono messe in atto dalle persone Vediamo alcune strategie utilizzare dalle persone nel processo decisionale.  Strategia congiuntiva: si verifica quando il decisore stabilisce livelli minimi di accettabilità per ognuna delle dimensioni rilevanti. Se un’opzione non raggiunte suddetto livello di accettabilità in tutte le dimensioni viene rifiutata. L’aspetto vantaggioso di questa strategia è la facile applicazione, la praticità e la velocità. Tuttavia, la sua applicazione porta al rischio di eliminare delle valide alternative per un solo criterio non soddisfatto.  Strategia disgiuntiva: simile alla regola congiuntiva. Tuttavia, vengono accettare le opzioni che rispettano il livello di accettabilità relativamente ai singoli aspetti e non a tutto l’insieme  Strategia della focalizzazione: permette la costruzione di un dilemma decisionale semplificato in cui sono considerate solamente due opzioni, una delle quali è implicita.  Strategia del pro e contro: questa strategia prevede la valutazione separata di diversi aspetti a favore e di diversi aspetti contrari alla scelta.  Strategia lessicografica: l’euristica lessicografica è un noto esempio di euristica selettiva. Questa consiste nell’analizzare le opzioni a disposizione solo in base alla caratteristica più importante, selezionando l’opzione che presenta il valore migliore di quella specifica caratteristica.  Strategia dell’eliminazione per aspetti: vengono fissati livelli minimi di accessibilità per ogni caratteristica e vengono disposti in ordine di importanza. Vengono, dunque, scartate progressivamente le opzioni che non soddisfano gli aspetti considerati. I vantaggi di questa strategia concernono la semplificazione della rappresentazione del dilemma decisionale.  Strategia del soddisfacimento: L’euristica di soddisfacimento permette di prendere in considerazione un’opzione alla volta e prevede che il decisore ne esamini le peculiarità importanti, valutando se soddisfano i criteri soggettivi o meno. Tuttavia, le strategie non compensatorie non sempre portano ad una soluzione unica o ottimale del problema. 62 Nella teoria proposta da Albert Bandura l’agentività umana agisce all’interno di una struttura causale interdipendenze (Reciproco determinismo triadico) che implica una causazione (termine con il quale Bandura intende la dipendenza funzionale tra elementi) tra:  Fattori interni alla persona  Comportamento  Ambiente L’autoefficacia personale origina da diverse fonti: ► Le esperienze di gestione efficace ► L’esperienza vicaria fornita dall’osservazione di modelli ► La persuasione ► Gli stati emotivi e fisiologici Ne consegue che un ulteriore aspetto fortemente influenzato dall’autoefficacia percepita è la motivazione. A tal proposito vengono identificate tre fonti cognitive di motivazione:  L’attribuzione causale.  Le aspettative di risultato: la motivazione è regolata dalle aspettative che determinati comportamenti porteranno a determinati risultati ponderati per il loro valore;  Gli scopi dell’azione. IL “NON AGIRE”: LA PROCRASTINAZIONE Con il termine procrastinazione si indica la tendenza a rimandare, rinviare. Le motivazioni che si nascondono dietro questo costrutto sono diverse:  Alti livelli di paura del fallimento possono condurre la persona a non riuscire a portare a termine il compito oppure a iniziarlo;  La procrastinazione è connessa al concetto di autostima: il forte desiderio di essere accettati dagli altri, legato a bassi livelli di fiducia in sé stessi definiscono la tendenza a rimandare;  La paura di non raggiungere alti livelli nella prestazione può bloccare, immobilizzare l’individuo. Si osservi come queste motivazioni abbiano in comune un’errata valutazione. O meglio, un’incapacità di discernere il concetto di sé come persona unica con un proprio valore dal concetto di prestazione da svolgere. Quando una persona tende a procrastinare per il timore di non riuscire e di deludere gli altri o sé stesso, è possibile che inizi a creare diverse giustificazioni per sospendere il compito o rimandare continuamente l’inizio. Con l’intento di manipolare questo senso di inadeguatezza la persona potrebbe coltivare tratti di perfezionismo e, quindi, ricercare costantemente la perfezione. La procrastinazione si estende in due direzioni: ➔ Agire all’ultimo minuto: rimandare continuamente il compito che dovrebbe essere svolto finché non si viene costretti dagli altri o dalla situazione. Rinviare costantemente l’attività è sinonimo di una profonda paura di commettere errori, al contempo ciò viene utilizzato come giustificazione per il proprio comportamento. ➔ Non gire affatto: anche in questa dimensione si riscontra la paura del fallimento. Tuttavia, l’individuo preferisce rimandare l’inizio del compito per evitare il confronto con la delusione dell’insuccesso. È possibile distinguere la procrastinazione cronica in: 65 • Specifica: tendenza a rinviare le cose solamente in un ambito circoscritto della vita della persona; • Generale: tendenza a rinviare le cose in tutti gli ambiti della vita della persona. Questa è più complessa e più difficile da ridimensionare, essendo considerata come un vero e proprio stile di vita. Esistono diversi tipi di procrastinazione:  Perfezionismo: tendenza a rimandare a causa della pretesa verso se stessi di raggiungere una prestazione eccellente e la paura di non raggiungere questo obiettivo conduce alla procrastinazione; • Basata sulla paura del fallimento: tendenza a rimandare il compito a causa della preoccupazione di commettere errori;  Basata sulla paura del successo: la persona è spaventata dalle conseguenze del successo; teme che le aspettative future siano sempre più alte e di non essere in grado di rispondere a questa responsabilità attribuitagli dagli altri;  Basata sull’approvazione: la paura sottostante è quella della disapprovazione da parte di persone significative. Vi è il timore di deludere l’altro;  Basata sulla preoccupazione: la persona non ha fiducia nelle proprie competenze, ha la tendenza a sopravvalutare ciò che può andare storto e, al contempo, sottovalutare ciò che può andar bene. Le fasi per imparare a gestire la procrastinazione potrebbero essere così riassunte:  Fissare gli obiettivi e domandarsi: ▪ Quali sono le risorse che ho per raggiungerli? ▪ Quali sono gli ostacoli che mi impediscono di raggiungerli?  Stabilire le priorità: o Evidenziare i compiti più importanti; o Delegare ad altri una parte dei compiti (quando possibile). 66 28. LE SITUAZIONI DI RISCHIO RISCHI IN ADOLESCENZA: LE NUOVE DIPENDENZE Le dipendenze comportamentali si manifestano in assenza di una sostanza, attraverso comportamenti compulsivi. Un esempio sempre più diffuso anche fra i giovanissimi è il gioco d’azzardo patologico o GAP. Questa dipendenza comportamentale è l’unica presente nella classificazione del DSM V1. Rientra fra i “Disturbi del Controllo degli Impulsi. Esattamente come nell’abuso di droga e di alcol la dipendenza comportamentale comporta il non poter fare a meno del dato comportamento, come giocare d’azzardo, restare connessi ad internet, il fare shopping in maniera compulsiva, il workalcholism ed altri. La dipendenza agisce sui circuiti di ricompensa presenti nel nostro cervello e vari studi hanno evidenziato la presenza di una comorbilità fra sviluppo della dipendenza comportamentale e disturbi dell’umore. Stati depressivi ansiogeni possono infatti incidere sul comportamento della persona, promuovendo acting out, azioni compulsive ed impulsive e tanti altri comportamenti comuni alle problematiche collegate a disturbi dell’umore. Le dipendenze comportamentali presentano dei tratti simili anche al disturbo ossessivo-compulsivo. La dipendenza da Internet e la dipendenza dal gioco d’azzardo sono forse tra le principali attività di svago utilizzate da adulti e giovani. La nostra società incoraggia ad essere sempre presenti e sempre vigili su cosa succede nel mondo. L’adolescenza è una fase dello sviluppo molto delicata e perciò ad elevato rischio di dipendenza. Quasi il 60% fra i giovanissimi fa uso di droghe e l’80% assume alcol o fuma sigarette. INTERNET E I SUOI RISCHI Quando “navighiamo” siamo assorti in uno stato simile a quello del sogno a occhi aperti. Ha creato una sorta di mondo parallelo (il virtuale), che può essere funzionale ai desideri e agevolare alcuni aspetti della nostra vita, così come costituire un’alternativa alla realtà (il reale) cui siamo abituati; Il possibile rischio per l’utente è la confusione tra il sé e le identità in cui ci si riconosce. Il rischio sarà più elevato nei soggetti adolescenti, data la loro delicata fase di vita; quindi, sarà più forte l’impressione di divenire ciò che viene rappresentato. Trascorrere molto tempo online, vestendo e calandosi in identità alternative, può facilitare anche esperienze di isolamento e impoverire il senso del reale. Lo spazio e il tempo sono vissuti con più intensità e gli eventi sembrano sovrapporsi relativamente alla possibilità di essere contemporaneamente in posti diversi. Questo rende la rete un non luogo di relazioni web-mediate, con aspetti che le rendono relazioni emotivamente protette. L’assenza del corpo sembra consentire un controllo sulla manifestazione delle emozioni che può diventare, in casi estremi, incapacità a riconoscerle. La Dipendenza Patologica da Internet, in inglese l’Internet Addiction Disorder (IAD) è una “dipendenza comportamentale” caratterizzata da un forte e insistente desiderio di connettersi al Web. E’ necessario operare una distinzione terminologica riguardante l’ambito delle dipendenze: il concetto di “dependence” richiama la dipendenza fisica e la sindrome da astinenza (bisogno fisico della sostanza), mentre quello di “addiction” risulta associato maggiormente al disturbo comportamentale e alla dipendenza psicologica (bisogno psicologico della sostanza). La perdita di controllo è considerata la caratteristica essenziale dell’addiction. Era il 1997 quando la dott.ssa Kimberly Young pubblicò un articolo 67 La funzione di ponderazione spiega alcune assunzioni circa la valutazione della probabilità:  Gli individui sono molto più sensibili alle piccole probabilità e agli eventi con poche probabilità;  Gli individui sono poco sensibili ai cambiamenti che avvengono nelle probabilità intermedie;  Anche per i cambiamenti che avvengono nelle alte probabilità gli individui sono maggiormente sensibili. Tra gli aspetti più interessanti che la teoria del prospetto spiega vi è l’effetto di incorniciamento (framing). L’ EFFETTO DI INCORNICIAMENTO NEL PROCESSO DECISIONALE Spesso le informazioni che il decisore ha a disposizione non sono complete e, in situazioni di incertezza, vengono effettuati gravi errori decisionali. Tra questi vi è l’effetto di incorniciamento, anche detto framing. «Il framing consiste in un’operazione in cui il senso delle parole non indica solamente il senso delle cose di cui si sta parlando, ma lo orienta e lo inquadra dando o togliendo dalle cose certe loro qualità, si arriva a contraffare o impadronirsi della realtà». L’effetto di incorniciamento dimostrerebbe che il medesimo problema, se descritto in modalità differenti, può portare a decisioni diverse. In base alla teoria del prospetto, la valutazione degli esiti influisce sull’atteggiamento del decisore circa il rischio e le scelte da effettuare. Nello specifico, gli individui tendono ad evitare il rischio nella sfera dei guadagni, mentre lo ricercano nella sfera delle perdite. L’effetto framing viene dimostrato nell’esperimento di McNeil (1982), il quale coinvolge pazienti, studenti della Stanford Business School e medici. In questo caso, il quesito riguardava la scelta tra una terapia chirurgica e una terapia radiante in pazienti che soffrivano di neoplasia polmonare. Le alternative sono state così esposte ai partecipanti del primo gruppo: ➔ Terapia chirurgica: su 100 persone operate, 90 sopravvivranno all’intervento, 68 saranno ancora in vita dopo il primo anno, 34 saranno ancora in vita dopo cinque anni; ➔ Terapia radiante: su 100 persone sottoposte a radiazione, 100 sopravvivranno al trattamento, 77 saranno ancora in vita dopo il primo anno e 22 saranno ancora in vita dopo cinque anni. Le alternative sono state così esposte ai partecipanti del secondo gruppo: ➔ terapia chirurgica: su 100 persone operate, 10 moriranno durante l’intervento, complessivamente 32 moriranno entro il primo anno e, in totale, 66 moriranno entro cinque anni; ➔ terapia radiante: su 100 persone sottoposte a radiazione, nessuna morirà durante il trattamento, 23 moriranno entro il primo anno e, in totale, 78 moriranno entro cinque anni. I risultati mostrano che la scelta della terapia radiante passava dal 18% (alternative presentate in termini di sopravvivenza) al 44 % (alternative presentate in termini di morte). LE BASI NEURONALI DELL’ EFFETTO FRAMING Uno studio di De Martino e colleghi ha dimostrato l’associazione tra l’effetto di incorniciamento e l’attività cerebrale dell’amigdala. La manipolazione linguistica della scelta sicura (“mantenere” contro “perdere”) ha prodotto un netto effetto. I soggetti prediligevano la lotteria, in modo significativamente maggiore, quando il quesito veniva presentato nel frame delle perdite piuttosto 70 che nel frame delle vincite. In altre parole, hanno agito in modo propenso al rischio nella sfera delle perdite e in modo contrario al rischio nella sfera delle vincite. Questo dato è coerente con la teoria del prospetto. L’attività dell’amigdala è il correlato neuronale che sottostà a tale comportamento (euristica affettiva). È stata, dunque, elaborata l’informazione emotiva implicita al contesto decisionale (frame delle vincite o frame delle perdite). IL FRAMING DELLA COMUNICAZIONE Il concetto di frame nell’ambito della comunicazione viene introdotto da Bateson (1972), il quale sosteneva che nessuna comunicazione, che sia essa verbale o non verbale, può essere compresa senza un messaggio, che viene detto metacomunicativo. La comunicazione umana avviene su due livelli: uno comunicativo e l’altro metacomunicativo. Il meta-messaggio permette di chiarire il significato della comunicazione. Il sociologo Goffman riprende il concetto di frame e sostiene la necessità di “incorniciare” le situazioni sociali con l’obiettivo di comprenderne il significato. Questa competenza non è innata, bensì costruita lentamente attraverso esperienze. L’attività dei media, secondo la teoria del frame, comprende certi processi:  Selezionare alcuni aspetti della realtà;  Fornire maggior rilievo a questi aspetti;  Definire un problema associato a questi aspetti;  Dare un’interpretazione che indichi le cause del problema;  Proporre una valutazione morale del problema. La teoria del frame prevede, altresì, fasi del processo:  Frame dell’emittente: l’emittente seleziona i criteri secondo i quali il pubblico sarà informato;  Frame della notizia: concerne il “cosa” viene detto e “come” viene detto. In questa fase l’emittente decide su quali parti porre l’accento, quali sono i limiti della notizia e che significato attribuirgli;  Frame del ricevente: è il modo tramite il quale i frame precedenti interagiscono con le strutture mentali del destinatario. Questa argomentazione non si discosta di molto dalla Teoria dell’agenda setting. La teoria afferma che i media non decidono cosa pensare o come pensare ma riescono a dirci intorno a quali temi pensare. Il concetto di agenda generalmente indica quell’ insieme di tematiche affrontate secondo una specifica gerarchia di importanza e in un dato momento. L’agenda setting rappresenta dunque la definizione dell’ordine del giorno che viene trasmesso dai media in modo da influenzare gli utenti, portandoli a giudicare quella distribuzione di tematiche in base alla loro rilevanza. Dunque, l’ordine fornito e comunicato dai media rispecchierà quello preferito dai cittadini. 71 30. TEORIE FONDATE SULL’INTERRELAZIONE PERSONA-AMBIENTE PSICOLOGIA AMBIENTALE La psicologia ambientale mira a individuare il rapporto tra le persone, in relazione con il loro ambiente, fisico e sociale. Per ambiente si intende sia quello costruito che quello naturale. La psicologia ambientale nasce all’inizio degli anni ’70 negli Stati Uniti da due discipline: la Psicologia Architettonica e la Geografia comportamentale, con lo scopo di unire gli aspetti cognitivi ed emotivi delle persone con i processi ambientali. Gli autori che per primi si occuparono di definire gli elementi di studio della psicologia ambientale sono Kaplan e Kaplan che nel 1989 descrissero come gli elementi di un paesaggio possano attivare l’interesse dell’uomo in base ad alcuni fattori di influenza:  Coerenza: deriva dal livello di concordanza esistente tra i diversi aspetti dell’ambiente. La coerenza è data dalla sintonia esistente tra gli elementi presenti nell’ambiente.  Leggibilità: consiste nella facilità di lettura e interpretazione degli elementi presenti in un ambiente. Se l’ambiente è caratterizzato da coerenza sarà anche più leggibile  Complessità: questo elemento invece denota la presenta di diversità e variabilità di elementi che fanno parte di una scena. Un esempio sono gli edifici di diversa altezza.  Mistero: descrive le informazioni non direttamente visibili che uno spazio può contenere, ad esempio vie strette o irregolari, angoli, zone verdi o muri che portano l’individuo a voler esplorare. Koger e Winter (2010) ritengono che la bellezza ambientale pare è una condizione necessaria per migliorare la qualità della propria vita anche a livello fisiologico. Infatti, il contatto con la natura e la presenza del verde vicino alle zone abitate migliora le funzioni dell’amigdala, attenuando lo stress derivante dal lavoro. L’Environmental Assessment è una delle aree di studio della psicologia ambientale e comprende la valutazione della qualità di un ambiente a livello affettivo. Un altro ambito di studio è il Cognitive Mapping in cui si esaminano gli aspetti cognitivo-percettivi dell’uomo, ossia la sua capacità di acquisizione di conoscenze e competenze nel quotidiano. L’ UOMO E L’ INQUINAMENTO Barker e Wright (1951) hanno dato vita a delle ricerche inerenti la psicologia ecologica concentrandosi sulla modalità attraverso cui diversi contesti di vita all’interno di uno spazio urbano, possano incidere sul comportamento. L’assenza di elementi naturali e il forte inquinamento influiscono infatti negativamente sul livello di stress, provocando nell’uomo che abita un dato ambiente, malessere. Facendo riferimento al concetto di “penetrazione”, elaborato da Barker e Wright alcuni territori segnati dall’inquinamento e da associazioni negative nell’immaginario collettivo e del singolo, portano le persone a vivere come inaccessibile non solo la componente inquinata del territorio ma anche quella naturalistica o che conserva elementi di possibile benessere. 72 32. MOTIVAZIONE AL POTERE LA RELAZIONE DI POTERE Un individuo per soddisfare il bisogno di potere tende a controllare e possedere. Il potere va rappresentato come una relazione tra A e B. Questa relazione è determinata da alcuni parametri:  Risorse di A;  Asimmetria;  Sfera di potere: il potere concerne solo alcuni ambiti, non tutta l’esistenza;  Creazione di aspettative: A ha potere su B solo se questo si aspetta dei vantaggi o delle sanzioni nel caso in cui rifiutasse il potere di A. In tal modo il potere può essere definito come “una relazione asimmetrica, riguardante ambiti specifici, nella quale A, in virtù delle risorse di cui si presume disponga, appare in grado di indirizzare e di modificare in modo intenzionale la condotta di B verso la realizzazione dei propri obiettivi”. La relazione di potere, pur essendo caratterizzata dall’asimmetria, comprende anche la dimensione della bi – direzionalità (e A influenza B, a sua volta, B influenza A). Anche la percezione sociale definisce la relazione di potere, poiché viene attribuito ad A un numero maggiore di risorse rispetto a B, come il ruolo, le conoscenze, la presa decisionale ecc. Un’ulteriore caratteristica della relazione di potere è l’instabilità, essendo sempre in contrattazione, negoziazione e influenza reciproca. La condizione instabile di questa relazione potrebbe comportare coercizione e costrizione ma, in tal caso, vedrebbe il suo fallimento (paradosso della relazione di potere). Questa è altresì caratterizzata da scontri e conflitti tra individui o gruppi. Spesso, i conflitti di potere tra gli individui sono radicalizzati e l’altro è rappresentato come avversario o nemico. LE BASI DEL POTERE DI FRENCH & RAVEN French e Raven (1959), approfondendo la tematica del potere, si riferiscono alla relazione tra A e B che rappresenta, appunto, la fonte del potere e ne identificano cinque:  Potere della ricompensa (reward power): si fonda sulla capacità di A nel ricompensare B. Le ricompense possono essere materiali o simboliche. La forza di questo potere aumenta in base alla percezione che B ha sulle ricompense ottenute;  Potere coercitivo: può considerarsi simile al potere di ricompensa in quanto si basa sull’influenza attraverso sanzioni punitive di A su B. A differenza del primo, il potere coercitivo riduce l’attrazione di B su A. Sia il potere della ricompensa che quello coercitivo portano a comportamenti di conformismo esteriore e non ad una vera e propria adesione;  Potere legittimo: posto in essere da norme interiorizzate secondo le quali A possiede diritto legittimo di influenzare B che ha il dovere di sottostare. Questo potere si esplica all’interno di alcune culture che prevedono l’autorità di un determinato gruppo di persone in base a caratteristiche possedute, come l’anzianità.  Potere d’esempio o di riferimento (referent Power): si basa sull’identificazione di B con A. Più intensa è l’identificazione più è elevato il potere di A. Nasce dalla capacità di alcuni di persuadere e influenzare gli altri. Caratteristiche tipiche di queste persone sono il carisma e le capacità interpersonali; 75  Potere di competenza (Expert Power): affinché esista il potere di competenza non solo B deve ritenere A capace ed esperto, deve anche nutrire sentimenti di fiducia nei confronti di A. In conclusione, French e Raven affermano che: • Per qualsiasi tipo di potere, più è forte la base del potere maggiore è il potere; • il referent power ha l’intervallo più ampio; • Ogni tentativo di utilizzare il potere al di fuori del suo intervallo tenderà a fare diminuire il potere; • Un nuovo stato di un sistema prodotto dal potere di ricompensa o dal potere coercitivo sarà altamente dipendente da A, e più è tangibile la conformità di B più sarà dipendente da tale stato. Per quanto concerne gli altri tre tipi di potere, il nuovo stato è solitamente dipendente ma, in ogni caso, il livello di osservabilità della dipendenza non ha alcun effetto sul grado della stessa; • La coercizione provoca una diminuzione dell’attrazione di B verso A e un’alta resistenza, mentre, il potere di ricompensa si traduce in una maggiore attrazione e bassa resistenza; • Più legittima è la coercizione, meno produrrà resistenza e meno diminuirà l’attrazione. IL BISOGNO DI POTERE Il bisogno di potere può essere di due tipi:  Personale: la persona che presenta alti livelli di bisogno di potere personale vuole dirigere gli altri; questo è spesso letto con un’accezione negativa e poco desiderabile;  Istituzionale (o sociale): la persona che presenta alti livelli di bisogno di potere sociale vuole organizzare gli sforzi altrui per il raggiungimento degli obiettivi comuni dell’organizzazione. Le persone motivate al potere sembrano avere modalità di interazione con gli altri più controllate ed assertive. Da alcuni studi, infatti, il bisogno di potere sembrerebbe essere una caratteristica importante per ricoprire ruoli manageriali. Una ricerca di O’Connor del 2001 suggerisce che i livelli di bisogno di successo, affiliazione e potere nelle donne sono esattamente gli stessi di quelli degli uomini. Secondo G. Dimaggio quando il narcisista si trova veramente al potere. Il narcisista, infatti, cela dietro quella maschera di eccessiva sicurezza, una fragile autostima, continuo bisogno di riconoscimento e approvazione. La psicologia sociale, invece, afferma che ogni tipo di aggregazione sociale ha bisogno di un leader. Secondo quest’ottica esiste, quindi, una corrispondenza tra il bisogno di potere di alcuni e il bisogno intrinseco di un’aggregazione di persone con uno scopo comune. A tal proposito, Kurt Lewin ha proposto tre modelli di leadership:  Leadership autoritaria: il leader autoritario esercita con estrema determinazione, decide le generalità dell’attività, stabilisce ruoli e compiti, critica o loda in base a criteri soggettivi, non partecipa in prima persona alle attività bensì “controlla dall’alto”;  Leadership permissiva: permette la libera espressione ai membri del gruppo, non fornisce direttive generali né partecipa attivamente alle attività;  Leadership democratica: facilita il gruppo in discussioni e obiettivi comuni, collabora con gli altri, permette ad ognuno di scegliere il proprio ruolo. Lo stesso Lewin definisce il potere come il quoziente della forza che A esercita su B e della massima resistenza che B può impiegare su A. Il potere, quindi, consiste nella forza risultante dall’azione di imporsi di uno e dalla capacità di resistere dell’altro. 76 L’IDEA DEL POTERE SIMMETRICO Secondo Weber il potere è asimmetrico. In altre parole, il potere è sempre in un solo polo della relazione. Nel lavoro di Serrano García e López Sánchez (1994; 2001). Gli autori ritengono che alla base del potere vi siano le risorse e che queste siano distribuite in modo non uniforme, ma, al contempo, chiunque è in grado di esercitare il potere. Si evince, come già affermato da altri autori, che il potere rappresenta una relazione che presuppone conflitti tra gli individui o tra i gruppi. Nel 1981 Julian Rappaport ha introdotto il concetto di empowerment. Letteralmente significa “acquisizione di potere”, ossia incremento delle capacità degli individui di controllare attivamente tutti gli aspetti della propria vita. Il concetto di empowerment deve essere considerato all’interno di quattro dimensioni cognitive individuali: • Il giudizio dell’individuo dei significati: valore del suo lavoro; • Il giudizio delle proprie competenze: capacità a svolgere il lavoro; • Il giudizio dell’autodeterminazione: scelta nell’iniziare e regolare le azioni; • Il giudizio sull’impatto: abilità di influenzare gli obiettivi e i risultati organizzativi. L’insieme di queste componenti cognitive fornisce all’individuo la motivazione intrinseca nel portare a termine i propri compiti. L’empowerment è un concetto multilivello, ossia è possibile argomentarlo su tre livelli: psicologico, organizzativo e sociale. DINAMICHE DI POTERE. VIOLENZA DOMESTICA Secondo il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2013, queste dinamiche relazionali colpiscono il 35% della popolazione femminile e in Italia il fenomeno della violenza di genere sembra diminuire, mentre lo stalking è in significativo aumento. Le dinamiche di potere che caratterizzano la violenza di genere sono riconducibili ad alcuni elementi: ✓ La violenza si perpetua nella maggior parte dei casi in ambito familiare e spesso fra individui legati da una relazione sentimentale ✓ Coinvolge donne di un range di età ampio e di qualsiasi condizione sociale ✓ La violenza agita non è solo di tipo fisico ma anche verbale, psicologica ed economica. ✓ Il protendersi di tali dinamiche di potere provoca danni, sia a livello fisico che mentali ed esercite gravi conseguenze a breve e a lungo termine ✓ Subire violenza in maniera sistematica diviene un vero e proprio trauma vissuto come una profonda umiliazione e minaccia per la propria incolumità di vita. I sintomi legati alla violenza subita tendono a cronicizzarsi. La famosa psicologa americana Leonore Walker ha analizzato il fenomeno della violenza di genere elaborando la teoria del ciclo della violenza, suddivisa in tre fasi che si ripetono in modalità ciclica:  Fase 1: Il partner è scontroso e irascibile nei confronti dell’altro. La tensione cresce ed è medita da espressioni, gesti e atteggiamenti negativi.  Fase 2: Al maltrattamento precedono violenza verbale, minacce, rotture di oggetti. La vittima viene colta di sorpresa e può esperire un senso di confusione circa l’accaduto. Gradualmente si passa da singoli soprusi alla violenza vera e propria.  Fase 3: A seguito dell’agito violento il partner si scusa, la così detta luna di miele, caratterizzata da attenzioni amorevoli e gesti gentili, come il comprare regali, il fare dei lavori domestici e promettere di cambiare. Questa fase implica la chiusura del ciclo e il preludio di nuovi episodi di maltrattamenti. 77 34. MOTIVAZIONE ALL’ AFFILIAZIONE LA TEORIA DELL’ ATTACCAMENTO DI JOHN BOWLBY L’attaccamento è un legame emotivo tra il bambino e la madre e fornisce ad entrambi vicinanza, protezione e sicurezza. John Bowlby, rappresenta il punto cardine nella definizione e nello sviluppo della teoria dell’attaccamento. Bowlby sostiene l’esistenza di quattro fasi nello sviluppo dell’esperienza di attaccamento:  Fase 1 (dalla nascita ai 2 mesi): nella prima fase il bambino non ha comportamenti di attaccamento differenziati nei confronti delle persone. Non agisce in modo selettivo verso una persona particolare.  Fase 2 (da 2 a 7 mesi): Il bambino inizia ad avere risposte differenziate nei confronti di una figura, generalmente il caregiver primario. Non è ancora presente l’ansia da separazione;  Fase 3 (da 7 a 24 mesi): il bambino ricerca la madre più attivamente e in modo più organizzato con sequenze comportamentali finalizzate. È in questa fase che si può iniziare a considerare il vero e proprio legame di attaccamento. Il bambino, infatti, presenta ansia e protesta da separazione, comportamenti di esplorazione verso l’ambiente esterno e paura dell’estraneo;  Fase 4 (da 24 mesi in poi): nella quarta ed ultima fase il bambino acquisisce la competenza di assumere la prospettiva dell’altro comprendendo, quindi, le motivazioni e le intenzioni della madre. Si instaura, così, una relazione reciprocamente gratificante. Mamma e bambino cooperano per uno scopo comune, ossia quello di confortarsi reciprocamente e mantenere la vicinanza. In sintesi, la relazione di attaccamento è definita da:  Ricerca della vicinanza alla figura di riferimento. Tale vicinanza è intesa sia in senso fisico, sia in senso psicologico;  Funzione di base sicura svolta dalla figura di riferimento.  Protesta per la separazione. Quando la figura di riferimento si allontana il bambino reagisce piangendo, urlando e protestando per la minaccia della rottura del legame;  Cure della figura di riferimento. Le condotte di sicurezza, o insicurezza, all’interno dei legami gettano le basi per l’elaborazione dei modelli operativi interni (internal working models). Questi vengono considerati come un sistema organizzato di rappresentazioni mentali circa le credenze e le aspettative del bambino sulle risposte che la figura di attaccamento fornisce. Rendono possibile la previsione e, quindi, l’anticipazione, della relazione con essa. DIFFERENZE INDIVIDUALI NELL’ ATTACCAMENTO Esistono delle differenze individuali nell’attaccamento. A tal proposito Mary Ainsworth (1979) ha ideato la Strange Situation. Questa è una tecnica che misura l’attaccamento del bambino. Si basa sull’osservazione sistematica dell’interazione tra madre e bambino nella prima infanzia (viene utilizzata con bambini tra i 12 e i 24 mesi). La procedura prevede come setting un ambiente non familiare (laboratorio di osservazione), una persona sconosciuta al bambino (“l’estraneo”) e una serie di separazioni e ricongiungimenti con la figura di riferimento. 80 A partire dall’analisi di questi elementi si è giunti alla classificazione di tre stili di attaccamento: ❖ Attaccamento sicuro: i bambini riconoscono la figura di riferimento come base sicura da cui partire per esplorare l’ambiente circostante. Questi bambini, durante la Strange Situation, esplorano il setting quando il caregiver è presente, quando questo esce protestano in modo moderato per poi ristabilire una relazione positiva al loro rientro e continuare a giocare anche con l’estraneo; ❖ Attaccamento insicuro evitante: i bambini mostrano insicurezza evitando la madre. Nella Strange Situation le interazioni con il caregiver non sono intense e quando questo abbandona la stanza i bambini non mostrano ansia o stress. Quando il genitore rientra viene evitato; ❖ Attaccamento insicuro resistente: questi bambini si attaccano al caregiver senza esplorare il setting. Quando questo lascia la stanza i bambini piangono in modo intenso ma, al loro ritorno, lo spingono via anche se vi è un tentativo di consolarli. Questo tipo di attaccamento viene anche chiamato ambivalente; ❖ Attaccamento insicuro disorganizzato: questi bambini appaiono disorganizzati e disorientati. Nella Strange Situation sembrano confusi o impauriti. Alternano comportamenti di ricerca, di resistenza e di evitamento del caregiver. L’ ATTACCAMENTO ADULTO La base teorica di questo obiettivo di ricerca trova fondamento nel concetto di Modelli Operativi Interni (MOI) di Bowlby. I MOI sono determinati dalle esperienze che il bambino ha con la figura di attaccamento, vengono interiorizzati e diventano la base a partire dalla quale si costruiranno le relazioni adulte. Tuttavia, l’attaccamento adulto e quello infantile sono differenti: ✓ L’attaccamento infantile è complementare: il caregiver offre cure ma non ne riceve; il bambino ricerca sicurezza ma non ne offre; ✓ L’attaccamento adulto è reciproco: la protezione è ricercata e offerta da ambo i partner. 81 Dunque, George, Kaplan e Main (1987), partendo dai pattern di attaccamento infantile hanno ipotizzato modelli differenti dell’attaccamento adulto. Da qui nasce l’Adult Attachment Interview ossia, un’intervista semi strutturata. Questa prevede una serie di domande che hanno l’obiettivo di rievocare storie ed esperienze di attaccamento. Questo strumento identifica tre modelli interni del sé e della figura di attaccamento nell’età adulta:  Adulti sicuri: le valutazioni nella narrazione della loro storia sono coerenti, anche se hanno subito un’infanzia difficile o traumatica. I ricordi di infanzia sono liberamente accessibili, non selezionano ciò che viene riferito. Hanno consapevolezza del loro passato e raccontano episodi spiacevoli con facilità;  Adulti distanziati: le descrizioni sono generalizzate senza ricordi specifici. I ricordi di eventi spiacevoli vengono svalorizzati. Lo stile narrativo è scarno e non permette l’identificazione delle emozioni sottostanti;  Adulti preoccupati: questi soggetti descrivono i genitori in modo incoerente e confuso, sono fermi ai ricordi di esperienze precoci. È possibile identificare dalle loro narrazioni inversioni di ruolo con i propri genitori che, pertanto, non rappresentano per loro una base sicura. Hanno difficoltà nel definire le emozioni.  Adulti irrisolti: le esperienze traumatiche relative all’attaccamento non sono state risolte. Sono coerenti nelle loro narrazioni, tuttavia, attribuiscono cause e conseguenze degli eventi traumatici a elementi non plausibili;  Non classificabili: questa categoria viene utilizzata quando non vengono soddisfatti pienamente i criteri per le altre categorie. IL BISOGNO DI AFFILIAZIONE O ATTACCAMENTO Gli individui che presentano alti livelli di bisogno di affiliazione hanno un forte senso di appartenenza al gruppo, spendono le loro risorse per mantenere le relazioni sociali, tendono ad evitare le critiche e il conflitto. Il bisogno di affiliazione viene, altresì, riscontrato nella gerarchia dei bisogni di Abraham Maslow (1954). Secondo la piramide motivazionale (Figura 2.) il bisogno di appartenenza e attaccamento, posto al terzo gradino, indica il bisogno di essere amati ed amare (per soddisfare i bisogni di appartenenza devono prima essere soddisfatti i bisogni di sicurezza). Infine, Schachter propone una chiave di lettura del bisogno di affiliazione che lo collega ai sentimenti di ansia. L’autore ipotizza che così come l’assenza di legami affiliativi genera ansia, le situazioni ansiogene, se condivise, sono più gestibili e abbassano i livelli di ansia. Le situazioni ansiogene favoriscono il bisogno di affiliazione con persone che stanno vivendo una situazione similare. I livelli di ansia devono essere sufficientemente alti per far sì che gli altri vengano visti come possibile fonte di aiuto e supporto; mentre, livelli di ansia lievi tendono ad aumentare piuttosto che diminuire alla presenza di altri. Infine, gli altri vengono completamente evitati quando l’ansia è collegata alla paura di essere ridicolizzati, poiché, in tal caso, la vicinanza di altre persone sarebbe fonte di ulteriore stress. 82 36. INCENTIVI INTRODUZIONE AGLI INCENTIVI La motivazione può essere definita come “l’insieme dei processi di attivazione e di orientamento del comportamento e dell’azione verso un oggetto-meta, ovvero verso la realizzazione di un determinato scopo”. Infatti, ciò che spinge la persona ad agire in un determinato modo non è propriamente l’obiettivo che intende raggiungere, ma lo scopo per cui lo persegue. Le motivazioni hanno sia base biologica (necessità fisiche dell’organismo) sia basi culturali. Si distinguono diverse tipologie di motivazione:  Motivazioni biologiche: innate, basate su necessità biologiche che devono essere soddisfatte per sopravvivere (es., fame, sete, evitamento del dolore, bisogno di aria, di sonno, di eliminazione delle sostanze di rifiuto e la regolazione della temperatura corporea);  Motivazioni alla ricerca di stimolazione: esprimono il bisogno umano di stimolazione e di informazione (es., l’attività, la curiosità, l’esplorazione, la manipolazione e il contatto fisico);  Motivazioni apprese: basate su bisogni e obiettivi appresi, possono contribuire a spiegare molte attività umane, come presentarsi alle elezioni, tenere un blog o fare un provino per una trasmissione televisiva. ISTINTI E PULSIONI Per istinti si intende ovvero pattern (modelli) di comportamento innati, integrati nel sistema nervoso e biologicamente determinati, piuttosto che appresi. Per esempio, W. James considera come istinti propri dell'uomo l'imitazione, la rivalità, la combattività, la simpatia, l'amore per i genitori. Per McDougall (1908) l’istinto si esplica in una serie di comportamenti regolati da schemi fissi e geneticamente determinati che sono propri degli individui appartenenti ad una specie (specie- specifici) e sono attuati in particolari condizioni ambientali. Accanto all'istinto si può considerare il concetto di pulsione, intendendola come la dimensione psicologica di un bisogno fisiologico. Il concetto di pulsione si riferisce ad una spinta, ad una forza interna all’organismo diretta verso un comportamento che riduce il bisogno che l’ha provocata e, contemporaneamente riduce anche la pulsione stessa. Le pulsioni forniscono dunque “energia” al comportamento, attivano le persone all'azione per perseguire degli scopi ed esse sono stati temporanei; all’interno di questa spinta giocano un ruolo fondamentale gli stimoli esterni (incentivi) che fanno leva sulla motivazione amplificando le pulsioni biologiche fondamentali. INCENTIVI Gli incentivi sono stimoli interni/esterni che inducono l'insorgere di nuove pulsioni e hanno la capacità di motivare un certo comportamento anche quando non vi è un vero e proprio bisogno organico (es. i dolci). Ci sono due famiglie di teorie esplicative: le teorie pulsionali e le teorie degli incentivi. Queste due teorie non sono in conflitto tra loro ma si ha un’integrazione tra le due. 85 TEORIA DELL’ INCENTIVO Secondo la teoria dell’incentivo le motivazioni devono essere intese in termini di stimoli esterni detti incentivi, che dirigono il comportamento in specifiche situazioni-obiettivi, capaci di generare una ricompensa. Di conseguenza, il comportamento è regolato da una relazione costi-benefici. Secondo questa prospettiva sono le proprietà desiderabili di stimoli ambientali (voti, denaro, affetto, cibo, sesso) a costituire i motori della motivazione. Gli incentivi spiegano la motivazione in base ad eventi esterni e in base ad “oggetti del desiderio” (cibo, sesso aggressività sono incentivi per il nostro corpo e sono fisiologici). Relazioni, stima, soldi, successo non sono incentivi fisiologici, ma sono comunque incentivi per determinati comportamenti. In gran parte sono incentivi “appresi” che alleviano una situazione di disagio e facilitano una situazione di benessere. Gli incentivi sono obiettivi di valore esterno all'individuo, proprietà desiderabili degli stimoli ambientali che spingono all'azione; Gli incentivi possono essere distinti in: ➔ Incentivo primario/ rinforzo primario, a volte chiamato incentivo incondizionato, è uno stimolo che non richiede la necessità di funzionare come un incentivo e ha ottenuto questa funzione attraverso l'evoluzione e il suo ruolo nella sopravvivenza della specie. ➔ Incentivo secondario/ rinforzo secondario, a volte chiamato incentivo condizionato, è uno stimolo o una situazione che ha acquisito la sua funzione di rinforzo dopo l'abbinamento con uno stimolo che funziona come un incentivo; ha ottenuto il ruolo di incentivo tramite l'apprendimento della relazione con altri eventi (es: il denaro) Inoltre, si riscontrano altre tipologie di incentivi:  Un incentivo generalizzato è uno stimolo condizionato che ha ottenuto la funzione di incentivo con l'associazione con molti altri incentivi (il denaro).  Nel campionamento degli incentivi, un potenziale incentivo è lo stimolo familiare presentato ad un organismo a prescindere da qualsiasi comportamento precedente.  L'incentivo socialmente mediato (rinforzo diretto) prevede la consegna di un incentivo che richiede il comportamento di un altro organismo.  Il principio Premack è un caso speciale di incentivo elaborato da David Premack, che afferma che un'attività altamente desiderabile può essere utilizzata efficacemente come incentivo per una meno desiderata.  Il rafforzamento gerarchico è un elenco di azioni, ottenute ordinando dalla più desiderabile alla meno desiderabile che possono servire come incentivo. Una gerarchia di incentivo può essere utilizzata per determinare la frequenza relativa e l'opportunità di diverse attività.  Gli stimoli contigui sono incentivi strettamente legati al tempo e spazio con comportamenti specifici. Riducono la quantità di tempo necessario per imparare un comportamento, aumentando la sua resistenza all'estinzione. Dare, ad es., ad un cane un pezzo di cibo subito dopo che si è seduto.  L'incentivo non contingente si riferisce alla risposta indipendente su stimoli identificati come incentivi per alcuni comportamenti organici. Tuttavia, questo comporta tipicamente un tempo di consegna di stimoli tale da mantenere un comportamento aberrante, che diminuisce il tasso del comportamento bersaglio. In assenza di un comportamento misurato ma che si sta rafforzando, non c'è controversia che circonda l'uso del termine non contingente "incentivo". 86 37. MOTIVAZIONE INTRINSECA DEFINIZIONE DI MOTIVAZIONE Per motivazione si intende una serie di processi coinvolti nella determinazione del comportamento. Le motivazioni si dividono in due macrocategorie primarie e secondarie. • Le motivazioni primarie: sono legate alla soddisfazione dei bisogni fisiologici fondamentali; • Le motivazioni secondarie: sono quelle apprese culturalmente. Inoltre, si distinguono motivazioni Intrinseche ed Estrinseche. Un’attività intrinsecamente motivata si autoalimenta, poiché è compiuta in quanto gratificante in se stessa; invece un’attività estrinsecamente motivata viene svolta per ottenere qualcos’altro, ad esempio un premio o per evitare una punizione. MOTIVAZIONE INTRINSECA Si parla di motivazione intrinseca quando i motivi che spingono all’azione vengono da dentro, direttamente dalla propria volontà. Alcuni esempi di motivazione intrinseca: • Lavorare non per soldi ma per passione • Studiare per volontà personale di apprendere cose nuove • Qualsiasi tipo di hobby praticato per piacere personale … L’effetto di sovragiustificazione interviene quando un premio o un incentivo esterno va a ridurre la motivazione intrinseca di un individuo nel fare una determinata attività, fenomeno noto come motivational crowding out (spiazzamento motivazionale). In altre parole, offrire un premio per un’attività che precedentemente non era ricompensata, è nella pratica un passaggio alla motivazione estrinseca, fatto che causa un indebolimento della motivazione intrinseca originale. PRINCIPALI MODELLI TEORICI E TEORIE DI RIFERIMENTO Teoria pulsionale biologica ➔ è un modello meccanicistico che si fonda sul concetto di bisogno, che deriva dalle necessità biologiche dell’organismo. Questo processo generale di mantenimento di un certo equilibrio dell’organismo mediante un meccanismo di controllo a retroazione di tipo automatico viene detto omeostasi. Comportamentismo ➔ la motivazione è interpretata in base alla sequenza: stimolo – risposta – rinforzo. Teoria freudiana delle pulsioni ➔ i meccanismi fisiologici generano una condizione di tensione e attivano una spinta, ossia una pulsione, creando uno stato funzionale che la persona avverte come sgradevole. Lo scopo di queste due pulsioni è quello di riuscire a ridurre la tensione. Due sono gli istinti di base: l’istinto di sopravvivenza/procreazione detto libido e l’istinto di morte/distruzione. Tutti gli istinti o pulsioni hanno: un’origine, uno scopo e un oggetto. Teoria pulsionale etologica ➔ l’autore di riferimento è Lorenz5, il quale afferma che le pulsioni sono specie-specifiche (sono degli istinti caratteristici della singola specie). Teoria cognitivista ➔ la motivazione è ciò che attiva il comportamento in vista di uno scopo. Le teorie dell’attribuzione sostengono che il livello di motivazione dipende dalle cause alle quali una persona ritiene di attribuire il risultato raggiunto (autostima e self-efficacy). Teorie dell’autorealizzazione ➔ Allport e la piramide di Maslow. 87 SELF – DETERMINATION THEORY E I PROCESSI RELAZIONALI Il lavoro di Knee e colleghi (2013) esamina diverse teorie riguardanti le close relationships. Secondo la teoria dell’autodeterminazione la personalità, lo sviluppo e i fattori situazionali facilitano il coinvolgimento ottimale del vero sé all’interno della relazione determinando un funzionamento relazionale superiore. Deci e Ryan distinguono tra: ☺ Benessere edonico (o benessere soggettivo): deriva dal perseguimento dell’affetto positivo e dall’evitamento di quello negativo ☺ Benessere eudemonico (o benessere psicologico): determinato dalla ricerca dell’autoregolazione che non va in contrasto con i comportamenti basati su principi etici. Il benessere psicologico definisce la capacità delle persone di vivere in accordo con i propri valori. Un contesto relazionale supportivo pone le basi per lo sviluppo e il mantenimento della regolazione emotiva. Inoltre, un individuo che esperisce integrità e benessere soddisfa i tre bisogni psicologici di base.  Bisogno di autonomia: nelle relazioni affettive la capacità di supportare l’autonomia reciproca non equivale al “favorire la reciproca indipendenza” ma si esplica nell’attenzione all’altro, all’interesse verso questo e la sua visione del mondo. Essere in una relazione senza aver sviluppato un proprio senso di autonomia predice più bassi livelli di soddisfazione e di benessere.  Bisogno di competenza: anche se concerne i sentimenti di efficacia non esclude che la capacità di fare affidamento sugli altri sia concretizzazione di un bisogno maturo e appropriato.  Bisogno di connessione: riguarda sentimenti di appartenenza e si traduce nell’assicurare e mantenere legami importanti con gli altri ed è, quindi, rilevante per la comprensione dei processi identitari che si realizzano attraverso le relazioni affettive. Accanto alla motivazione pro – self nell’individuo esiste una motivazione pro – relationship. Lo studio di Knee et al. applica la teoria dell’autodeterminazione ai processi relazionali e sostiene che l’autonomia relazionale, ossia l’essere in relazione a partire da ragioni autodeterminate, predice maggiore accordo tra i partner e quindi un maggior benessere relazionale. Questo è determinato da:  livelli più alti di comprensione;  meno comportamenti difensivi durante il conflitto;  capacità di approcciarsi al conflitto in modo cooperativo piuttosto che competitivo. Secondo la teoria dell’autodeterminazione le relazioni che facilitano i sentimenti di competenza, relazionalità e autonomia di entrambi i partner determinano più apertura, autenticità e comportamenti meno difensivi specialmente durante i conflitti. Investire il vero sé nella relazione significa impegnarsi in modo da promuovere l’apertura piuttosto che la difesa e facilitare il supporto dell’altro. 90 39. L’ESPERIENZA DI FLUSSO FLOW: L’ESPERIENZA OTTIMALE Secondo Csikszentmihalyi (siksentmihaly) la felicità non deriva dalla fortuna o dal caso e non è determinata da eventi esterni al di fuori del nostro controllo ma è strettamene legata alla nostra volontà e a come ognuno di noi interpreta gli eventi che accadono e le esperienze vissute. La felicità è quindi una “condizione innaturale” che ha bisogno di essere generata e mantenuta. Ciò si verifica attraverso un processo di selezione attiva delle informazioni; ogni persona seleziona ed organizza le informazioni acquisite nel contesto in cui opera secondo un criterio specifico: “la qualità dell’esperienza” associata a tali informazioni. Il flow è quella situazione in cui tutto si svolge in armonia con le nostre decisioni. Il flusso, dall’ inglese flow o esperienza ottimale è uno stato di coscienza in cui la persona è completamente immersa in un'attività, è uno stato che invece presuppone passione e creatività, il pieno coinvolgimento delle migliori abilità della persona. L’esperienza di flow si caratterizza principalmente con la percezione di un bilanciamento tra il livello di opportunità d’azione reperite nell’ambiente (challenges) e quello delle capacità personali (skills) nel confrontarsi con esse. Requisito fondamentale deriva dal fatto che il livello dei challenges (e di conseguenza delle skill) è elevato, o meglio superiore alla media delle abituali opportunità d’azione quotidiane. L’attenzione per questo fenomeno nasce da uno studio effettuato da Getzels e Csikszentmihalyi6 nel 1976 sulla creatività, dove l’autore è rimasto colpito dal fatto un artista persisteva nel lavoro senza sosta, ignorando fame, fatica e disagio. Da qui l’interesse a capire e spiegare questo aspetto di motivazione intrinseca, o autotelica, dell’attività stessa, dello svolgere lavori che premiano da sé e per sé. Csikszentmihalyi ha così concettualizzato il termine flow come “uno stato psicologico soggettivo di massima positività e gratificazione, che può essere vissuto durante lo svolgimento di attività e che corrisponde alla “completa immersione nel compito”. La situazione che rende possibile entrare a contatto con questo stato è caratterizzata dalla percezione, da parte dell’individuo, di sufficienti e appropriate opportunità per l’azione (sfide) da parte dell’ambiente e, corrispettivamente, di adeguate capacità di agirvi (abilità). A tal proposito, Csikszentmihalyi ha ipotizzato l’esistenza di un tipo di personalità autotelica, caratterizzata dalla tendenza a “godersi la vita”, ovvero a fare le cose senza uno scopo specifico ma per il solo piacere di farle. ANALISI DELL’ESPERIENZA DEL FLUSSO Secondo Mihaly la coscienza è come una centrale operativa che elabora sensazioni, percezioni e idee. Attraverso i meccanismi attentivi conduciamo in questa centrale operativa le informazioni che vogliamo processare. Negli stati di flusso invece l’attenzione è totalmente assorbita, la coscienza riempita soltanto da alcune informazioni. Quando l’esperienza di flusso termina ci si sente più integrati, più centrati e in equilibrio. Non solo verso l’interno ma anche verso il mondo esterno. Quando si è in stato di flusso si è completamente assorbiti nell'azione e, senza prendere coscientemente una decisione, si perde la consapevolezza di tutte le altre cose: tempo, persone, distrazioni e persino esigenze fisiologiche. Csíkszentmihályi ha utilizzato due particolari approcci metodologici basati sulla tecnica dei questionari valutativi. 91 Uno fra questi è l’Experience Sampling Method (ESM), che permette un campionamento, momento per momento, della vita quotidiana dell’individuo nei suoi aspetti situazionali ed esperienziali. Questi studi hanno dimostrato che le persone si sentivano più attivate positivamente quando svolgevano compiti impegnativi, per i quali ritenevano di possedere le abilità necessarie. FATTORI CHE CONTRIBUISCONO ALL’ESPERIENZA DI FLUSSO  Bilanciamento tra sfida e capacità: andare oltre i propri limiti e accettare sfide impossibili genera esperienze frustranti. L'attività non è né troppo facile né troppo difficile per il soggetto. Egli avverte che si sta impegnando in qualcosa di appropriato per le sue capacità.  Integrazione tra azione e consapevolezza: una buona metafora è il tuffo sportivo, che richiede di effettuare in un tempo estremamente limitato una performance che sia precisa e corretta nella forma, richiede all’atleta la massima concentrazione e un elevato impegno. L’attenzione è quindi al suo massimo: non c’è spazio per stimoli esterni. Il coinvolgimento è così totale che l’attività vista dall’esterno sembra quasi automatica, spontanea, naturale: il tuffatore e il tuffo sono un’unica entità.  Obiettivi prossimali chiari: permettono lo svolgersi continuo del processo, momento per momento, le aspettative e le modalità di raggiungimento sono chiare.  Feedback diretto e immediato: Il feedback è il segnale o l’evidenza che ci permette di sapere se stiamo raggiungendo o abbiamo raggiunto il nostro obiettivo per cui le persone devono poter ricevere un feedback a breve termine che le rafforzi. Sentire di agire nel modo giusto aumenta l’intensità dell’esperienza.  Attenzione e Concentrazione totale sul compito: il flow è quello stato in cui l’individuo è nel “qui ed ora” e la mente non vaga tra passato e futuro ma è associata interamente al corpo e alle emozioni. Le uniche informazioni che filtrano sono quelle utili in quel momento per svolgere quell’attività.  Senso di controllo: nello stato di flow la persona sente di avere un alto grado di controllo su ciò che accade, ha la percezione di avere tutto sotto controllo e di poter dominare la situazione.  Perdita dell’autoconsapevolezza - dello stato di autocoscienza ordinario: la persona perde la concezione egocentrica di sé come attore tanto è assorbito nel compito. Il soggetto è talmente assorto nell'attività da non preoccuparsi del suo ego.  Distorsione della normale percezione temporale: si altera la percezione del tempo, tipicamente sembra che il tempo passi più in fretta, non rendendosi conto del suo scorrere.  Gratificazione legata all’esperienza stessa e profondo senso di piacere intrinseco: l'azione dà un piacere intrinseco, fine a sé stesso (esperienza autotelica). 92 41. I PROCESSI VOLITIVI LA VOLIZIONE La volizione dà vita a quelli che vengono chiamati processi volitivi che fanno parte di quei meccanismi di autoregolazione che mirano al raggiungimento di un obiettivo. Nel 1997 lo psicologo tedesco Heinz Heckhausen propone la distinzione tra motivazione e volizione. Kuhl propone una teoria nominata “sull’Interazione fra i Sistemi di Personalità”, nella quale afferma che l’esito di un’azione non è solo attribuibile al processo di motivazione e d’intenzione; è la volizione che porterà avanti l’atto andando contro eventuali e probabili ostacoli. Quindi il processo volitivo, permette che tale obiettivo venga mantenuto a seguito di una selezione tra i vari possibili scopi inizialmente proposti. La volizione è perciò un’attività mentale che si prolunga nel tempo fino a quando l’obiettivo fissato non viene raggiunto. Kuhl (1998) propone due compiti in stretto contatto alla volizione: ► l’autocontrollo (e quindi una positiva gestione del sé) utile nei processi che riguardano il controllo dell’attenzione, delle emozioni e della motivazione, aspetti necessari per la scelta delle informazioni valide; con questo compito al soggetto viene “imposto” di portare a termine l’obiettivo che si è posto inizialmente. ► l’autoregolazione, il tener conto di tutti gli aspetti quali necessità, preferenze, tradizioni, emozioni e valori. Nella volizione si trovano tre componenti principali: • Capacità di pianificazione dell’azione: fa in modo che il soggetto sia in grado di selezionare solo quelle attività da lui ritenute utili per il raggiungimento dell’obiettivo. • Monitoraggio cognitivo: si occupa delle strategie, quindi tutte quelle attività auto-riflessive, che vengono messe in atto nei confronti del compito da svolgere e che quindi daranno all’obiettivo un valido significato. • Controllo e modalità attentive: prolunga la consapevolezza dello scopo posto, eliminando imput non ritenuti utili. I processi volitivi possono essere spiegati in modo chiaro attraverso le fasi l’apprendimento. La presenza di quella che in questo caso verrà chiamata “distrazione” rappresenta una mancanza di volizione. Autoregolazione e autocontrollo faranno in modo che lo studente porti a termine il suo obiettivo di apprendimento. Dagli studi emerge che gli studenti con livelli di motivazione e volizione più alti sono quelli che dimostrano anche maggior capacità nella comprensione delle intenzioni e delle emozioni degli altri. PROCESSI VOLITIVI NEL CERVELLO: IL CONTRIBUTO DI POSNER Studi neuroscientifici cognitivi dimostrano come la volizione rientri nei processi motivazionali e strumentali: l’azione volontaria dipende dalla cura delle conseguenze e dalla capacità di controllare quest’ultime. Per valutare l’orientamento volitivo alcuni studi sono partiti dalla proposta fatta nell’indagine endogena da Posner, cioè la manipolazione della probabilità. RESILIENZA Il termine resilienza deriva dal verbo latino “resalio”, ossia il gesto di risalire sulle imbarcazioni rovesciate. Nell'accezione metallurgica indica la capacità di un metallo di riacquistare la sua forma originale. 95 Questa rappresenta dunque l'opposto della fragilità e della stessa resistenza, in quanto l'oggetto applica una non-resistenza funzionale alla sopravvivenza, ossia si piega per non spezzarsi. I primi a porre l'attenzione a quella che era la componente sana del soggetto, garantendo la promozione della salute, furono gli approcci positivi e umanistici. Antonovsky (1980,1987) fu uno dei primi autori a dedicarsi allo studio delle componenti del benessere psicologico. Attraverso una serie di interviste ai sopravvissuti all'olocausto individuò alcune componenti fondamentali nella promozione della salute. Il primo elemento è la capacità di esercitare il controllo, sia reale che fantasticato, su di una situazione particolarmente difficoltosa. Il secondo elemento è la comprensibilità, ossia la capacità di leggere ed elaborare ciò che sta avvenendo, in modo da non lasciarvisi sopraffare. L'ultimo elemento è il significato che si dà a quel determinato evento ponendolo in relazione non solo alle precedenti componenti ma anche alle proprie esperienze di vita. La resilienza o resistenza psicologica, può essere identificata anche con il termine “Hardiness” derivante dagli scritti della psicologa Susanne Kobasa. Il concetto di resilienza è fortemente connesso all'apprendimento, infatti, oltre alla nostra dotazione di base in termini di resilienza è possibile accrescerla e rafforzarla attraverso la psicoterapia. Il primo punto da cui partire è la consapevolezza di tale possibilità, spesso oscurata da attribuzioni causali esterne che ci allontanano sempre più dal sentirci responsabili delle nostre azioni. 96 42. I PROCESSI DECISIONALI ORIGINE DEL PROCESSO DECISIONALE Tra i più importanti processi cognitivi rientrano la consapevolezza, l’attenzione, la memoria, l’intelligenza e il ragionamento, quest’ultimo rappresenta la base dei processi decisionali. Si sono sviluppati i principali movimenti che si sono occupati dello studio e della comprensione dei processi cognitivi. Eccone alcuni esempi: LO STRUTTURALISMO Wilhelm Wundt fondò un laboratorio di psicologia il cui metodo di studio era basato sull’introspezione sistematizzata. L’obiettivo era quello di scomporre la coscienza in elementi più semplici, in modo da comprendere la struttura della psiche ed il suo funzionamento. Titchener, allievo di Wundt, il quale riteneva che per comprendere i contenuti della coscienza individuale bisognasse procedere leggendo l’osservazione empirica tramite l’introspezione. IL COMPORTAMENTISMO Nato tra il 1913 e il 1930, ha fornito un apporto sostanziale agli studi sui processi psichici e sul ragionamento. John Watson, uno dei massimi esponenti di tale movimento, sosteneva che l’unica unità studiabile da parte della psicologia era il comportamento osservabile (risposta) indotto dall’ambiente (stimolo). Altro concetto introdotto da Watson è quello di condizionamento: negli esseri umani esistono risposte incondizionate ad alcune specifiche situazioni. Skinner, che introdusse il concetto di condizionamento operante. IL COGNITIVISMO Nasce intorno al 1950, guidato da alcuni psicologi che criticavano uno degli assunti fondamentali del comportamentismo, sostengono che la mente elabora e filtri le informazioni in maniera attiva e sposta la sua attenzione su come vengono formati i concetti e sul categorizzarli. Secondo questo approccio esistono due tipi di processi psichici che conducono alla formazione di concetti: L’astrazione  consente di paragonare tratti comuni di alcuni fenomeni in un un’unica categoria e la generalizzazione. La generalizzazione  pone un elemento in vari contesti simili alle esperienze già vissute. Altro concetto cardine introdotto da questo movimento è quello di pensiero prevenuto: una generalizzazione sbagliata, un pregiudizio. Jerome Bruner ha proposto una tesi secondo cui gli individui rispondevano correttamente in una determinata situazione, solo se formavano mentalmente delle ipotesi e delle strategie. PSICOANALISI Sigmund Freud osservava come alla base del processo decisionale vi fosse la soddisfazione di un bisogno. Quando la mente percepisce una discordanza si formano spinte motivazionali che portano l’individuo a adoperarsi per la soddisfazione di tale bisogno. Wilfred Bion è stato un’altra figura di spicco e secondo lo psicoanalista britannico, l’attività del pensiero è l’apparato che serve per gestire e pensare i pensieri. LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT Fondata tra il 1910 e il 1930 dagli psicologi Max Wertheimer, Kohler e Duncker. Uno dei concetti introdotti da Wertheimer è quello di pensiero produttivo o divergente. Concetto di importanza fondamentale è quello di Insight, spiegato da Kohler come un’intuizione. L’insight può verificarsi nell’ottica di una operazione mentale quando riesce a modificare una struttura rigida, o come consapevolezza di un nesso causale tra eventi. 97
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