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Appunti - Psicologia dell'arte, Appunti di Arte

Dispense e appunti delle lezione di Psicologia dell'Arte

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 20/12/2021

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becauseimgioh 🇮🇹

4.5

(22)

17 documenti

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Scarica Appunti - Psicologia dell'arte e più Appunti in PDF di Arte solo su Docsity! PSICOLOGIA DELL’ARTE Prof. Zavagno Definizione di “Psicologia dell’Arte”: -— The psychology of art is an interdisciplinary field that studies the perception, cognition and characteristics of art and its production. For the use of art materials as a form of psychotherapy, see Art Therapy. -— La psicologia dell'arte è una disciplina che si occupa di indagare e spiegare i processi psicologici coinvolti nelle esperienze di produzione e di fruizione di un'opera d'arte. Dato il suo carattere intrinsecamente pluri e interdisciplinare, è difficile delimitarne a priori i settori di pertinenza e definirne lo statuto teorico e metodologico. Molteplici e variabili (in base agli interessi e alle prospettive) sono i suoi territori di confine: dall'estetica alla storia, alla teoria e alla critica dell'arte, dalla letteratura alla medicina e alla psichiatria, attraverso antropologia, sociologia, pedagogia e semiotica, per non parlare delle diverse pronunce e declinazioni riferibili all'ambito storico, teorico e disciplinare relativo all'universo stesso della psicologia e dei suoi diversi indirizzi. Definizione di “Psicologia”: — “Scienza che studia i processi psichici, coscienti e inconsci, cognitivi (percezione, attenzione, memoria, linguaggio, pensiero ecc.) e dinamici (emozioni, motivazioni, personalità ecc.)” Definizione di “Arte”: — A tutt'oggi, non ho trovato miglior definizione dell’arte di questa, L’arte è l’uomo aggiunto alla natura — natura, realtà, verità. Ma col significato, il concetto, il carattere che l’artista sa trarne, che libera e interpreta. (Van Gogh, Lettera al fratello Theo, 1879). — “Opere d’arte, artisti ed esperienza estetica sono l’argomento su cui si esercita la psicologia dell’arte.” (Massironi) Arte, come anche la parola bellezza, è una parola strana, polisemica. Di arte ne parla Platone (discute di vari tipi), Witcome (che parla di arte e artista come termini moderni) credendo che molti oggetti che noi identifichiamo come arte sono ammirati ma non come pensiamo noi. Possiamo definire l’arte come altro da sé. Che cos'è arte? Come un prodotto può essere arte? Chi è e cos’è un’artista? non c’è una definizione unica. La definizione oggi è molto remota e nessuno vuole darne una definitiva. Gli artisti continuano a produrre, ma chi non è artista non è più capace di dire cosa è o non è arte; però allo stesso tempo chi non è non è disposto a dire che un oggetto è un’opera d’arte se non ci piace. Non vogliamo definire qualcosa che non ci piace come arte. L’arte è un punto significativo per l’essere umano; la psicologia dell’arte si concentra sulle opere del passato, ma ora ci si sta evolvendo per studiare arte contemporanea. Un po’ di esempi: * Bisonte, Grotte di Altamira, oltre 1800 a.C.: non sappiamo come sono state fatte e chi le ha prodotte, ma possiamo immaginare che abbia goduto della propria abilità tecnica e gli altri hanno apprezzato la rappresentazione visiva di qualcosa che vedevano tutti i giorni — finalità rappresentativa; * Akhenaton and his family, XVII dynasty: famiglia reale sotto il sole, si celebra la divinità della famiglia reale. Gli egizi finalizzavano la loro arte per comunicare al divino, ed utilizzavano la figura di profilo poichè rendeva comprensibile alla divinità cosa si voleva intendere (deriva la scrittura); * Vaso di Euphronios, ca. 515 a.C.: ha finalità estetica sia per la scena, ma anche per decorazione figurativa (ornamenti). Vuole raccontare una storia, un’arte e una decorazione; ® Regula Sancti Benedicti Abbatis, XII sec: copertina di un manoscritto, rappresentante una A decorata. Ha finalità estetica, ma all’epoca era considerata arte? In quell’epoca l’artista era un artigiano e quindi non c’era la finalità di opera d’arte; * Number 3: Tiger, Pollock, 1949: il nome si spiega perché si individua il numero 3 e i colori sono collegati alla tigre. È esteticamente piacevole perchè osservandolo troviamo dinamismo e non riusciamo a seguire alcuni segni. È come se si vedesse una trama sottostante a cui si aggiungono arancione, bianco, nero e rosso; * Fontana, Duchamp, 1917: è un’opera ready made (già fatta), firmata R.MUTT (“mutt”= in inglese significa bastardo). La storia di Duchamp parte dalla sua volontà di esporre un’opera in una mostra in cui si poteva esporre qualsiasi cosa, ma la sua viene rifiuta. Da qui inizia la sua arte provocatoria, perché decide di andare a New York, ritentarci e fallire nuovamente. A quel compra l’orinatoio maschile, lo firma, paga la quota d’iscrizione, l’opera viene rifiutata. Facendo questo gesto, e mostrando poi la “Fontana”, Duchamp mette a nudo il mondo dell’arte; * Ritratto iperrealista: eseguito da un artista coreano. Siamo perlopiù disposti a concedere lo status di opera d’arte a produzioni di questo tipo, di cui ammiriamo la maestria tecnica della resa fotografica; * Mythsof Creation and Destruction: immagine che oggettivizza la donna, la quale serve per partorire e dare alla luce solo maschi. Teschi come note di un pentagramma; * Monochrone, Klein: apparato materico. Noi cerchiamo un senso nelle cose che vediamo e IlLmio White: slide di PPT - cosa cambia dal monocromo di Klein? Molti faticano ad accettare i video arte, Duchamp o Pollock come arte perchè non c’è tecnica manuale. Ma cosa rende un artista “artista”? Forse possiamo inquadrare il problema partendo dal considerare la natura e le caratteristiche dell’esperienza estetica. TASSONOMIE Branca della biologia che studia comparativamente i diversi organismi viventi e li raggruppa in base a caratteristiche comuni. La tassonomia è quindi un metodo e un sistema di descrizione e classificazione; il termine può essere esteso ad indicare classificazioni sistematiche anche di entità non naturalistiche. A ffinché una tassonomia sia efficace e abbia senso, si devono poter individuare, e quindi distinguere, le caratteristiche comuni interclasse e le specificità intraclasse. In linea generale, le tassonomie partono da macro aspetti della realtà, affinando poi la classificazione tramite l’individuazione di caratteristiche distintive. Per esempio, per quanto concerne il regno naturale possiamo distinguere tra entità biologiche (che cioè hanno bisogno di un apporto energetico per svilupparsi) da entità non biologiche. Tra le entità biologiche possiamo distinguere poi il regno animale da quello vegetale, e così via; si possono tuttavia determinare tassonomie partendo da altre caratteristiche. Per esempio nel regno animale possiamo classificare in base al modo in cui l’animale si sposta nell’ambiente, al modo in cui si riproduce, in base ai colori o ad altre caratteristiche della livrea, ecc. Possiamo classificare l’arte in: ® Classificazione classica (le sette arti + altro): 1. Pittura: oltre alle varie tecniche pittoriche, comprende il disegno, l’incisione. Problema: comprende anche la grafica digitale? 2. Scultura: comprende molte delle cosiddette arti plastiche. Problema: Land art? 3. Architettura: tutto ciò che ha a che fare con la progettazione e costruzione di ambienti e luoghi. Problema: Land art? 4. Teatro: tutto ciò che ha a che fare con la rappresentazione teatrale. Problema: La lirica? 5. Letteratura: tutte le arti che si avvalgono della linguaggio scritto. Problema: il testo teatrale? Il fumetto? 6. Musica: Problema: le colonne sonore scritte per il cinema? Lo spartito? La lirica? 7. Cinema: tutte le produzioni cinematografiche. Si possono includere anche le produzioni televisive. Problema: esiste un’arte radiofonica? * Caratteristiche “materiali” dell’opera: 1. Supporto bidimensionale: pittura, disegno, incisioni, ma anche fotografia, arte digitale; 2. Sviluppo ambientale: le cosiddette arti plastiche, tra cui architettura e scultura, land art; 3. Linguaggio scritto: prosa, poesia 4. Suoni: musica; 5. Corpo umano: teatro, danza, lirica, happening, arte concettuale, body art. * Modalità di fruizione: 1. Percezione visiva; 2. Lettura; 3. Percezione acustica; rappresentazione si fonda sulla finzione. La finzione è un elemento portante di ogni rappresentazione, anche delle più realistiche, e dunque di tutte le arti. Senza questo elemento l’arte non si differenzierebbe dalla cronaca. Forse il limite maggiore degli approcci basati sull’estetica sperimentale e sulla neuroestetica è quello di non distinguere tra esperienze estetiche di diverso tipo. Oggetti o situazioni diverse possono indurre esperienze estetiche particolari, caratteristiche del dominio cui l’oggetto appartiene; se dinanzi a qualche cosa si rimane indifferenti, o la si disprezza, allora vuol dire che non si è innescata un’esperienza estetica. La mancata differenziazione tra esperienze estetiche di varia origine, fondamentale se si vuole studiare un fenomeno artistico, costituisce il peccato originale di tutte le estetiche sperimentali che ho incontrato finora. In altro limite espresso da quasi tutte le ricerche di PdA è quello di confinare le proprie indagini a un comodo passato, trascurando il presente, il nostro contemporaneo artistico, il quale, ci piaccia o meno, è espressione dei nostri tempi e della nostra civiltà. Non c’è nulla di male nel volgere lo sguardo e gli interessi d’indagine al passato, ma la vera sfida è di sviluppare una PdA che si occupi di arte in tutte le epoche, compreso il presente. Appunti per una Psicologia dell’arte La psicologia è quella scienza che studia la vita mentale e il comportamento dell’uomo. Dato che l’uomo è un universo assai complesso, è apparso subito opportuno suddividere la psicologia in diversi ambiti specialistici. L’arte è una manifestazione delle capacità creative dell’essere umano. Perché allora non fondare una psicologia della creatività? Il problema è che la creatività umana si esplica in diversi modi. La psicologia dell’arte dovrebbe mirare a studiare l’impatto psicologico di un’opera d’arte sull’individuo. Benché interessante, tutto ciò che riguarda la genesi dell’opera, dalle motivazioni più profonde a quelle più prettamente di tipo socio-economico, è poco informativo circa la dinamica opera-fruitore, che è poi l’asse su cui si dovrebbe esercitare la psicologia dell’arte. Secondo Gombrich tale organizzazione è gerarchica e si concretizza in «spinte e controspinte», e resisterebbe all’analisi psicologica anche qualora se ne conoscessero a fondo le dinamiche motivazionali sottostanti. Se la psicologia studia la vita mentale dell’essere umano, allora la PAA dovrebbe studiare gli effetti dell’arte sulla vita mentale umana. Una delle sfide che spettano alla PdA è quella di allargare i propri orizzonti di interesse fino a includere il presente. L'arte a noi contemporanea rappresenta infatti un grosso problema. Il problema è dunque comprendere che cosa fa sì che un prodotto artistico assurga ad arte “autentica”, arte cioè che andrà a ingrossare il nucleo della nebulosa di Massironi, arte che sedurrà ancora da qui ad altri mille anni. Per comprendere le variabili sottostanti a tale fenomeno abbiamo bisogno di affinare le nostre capacità analitiche, mettere alla prova le nostre ipotesi, al fine di cogliere le dinamiche all’interno del connubio tra forma e contenuto, ossia quelle strutture sottostanti in grado di attivare l’esperienza estetica. Dobbiamo altresì studiare, misurare e comprendere il ruolo delle conoscenze pregresse e delle pressioni esterne sulle valutazioni di valore che possono influire anche pesantemente sull’esperienza estetica. Bello e Brutto “C’è una classe di oggetti che ha la proprietà di indurre in chi li osserva, o si intrattiene con essi, uno stato psicologico particolare, fatto di attrazione, ammirazione, piacere, emozione, curiosità, interesse, meraviglia ... Sono oggetti artificiali costruiti per gli scopi più diversi, che vengono chiamati opere d’arte.” (Massironi, 2000). Lo scopo di un’opera d’arte non esaurisce la sua funzione. L'estetica è una disciplina filosofica che si occupa del bello e dell’arte. Il termine deriva dal greco aistétikòs (sensibile, capace di sentire) dal tema aisthànomai (percepisco attraverso i sensi) e aisthésis (sensazione, sentimento). Viene introdotto da Baumgarten come teoria della conoscenza sensibile, la quale si occupa sia della mera conoscenza sensibile, sia della “teoria del bello”; Kant parla del suo giudizio di bello e sublime nella natura e arte. (per lui l'estetica riguarda il mondo dell’essere umano, sia in quello che crea, sia in scene naturali). L’estetismo è il bello e sublime, ma il bello è l’unico fattore che rientra nell’esperienza estetica suscitata dalla fruizione di un’opera d’arte? Per esempio, se prendiamo le frasi: — Unbel gelato. Un bel dipinto. Un buon gelato. Un buon dipinto. Qual è la differenza fra bello e buono? Il bello estetico può non essere buono. Gli aggettivi “bello” e “buono” indicano entrambi esperienze positive, legate a sensazioni piacevoli. Bisogna ragionare sui loro opposti “brutto” e “cattivo”: brutto è l'opposto di bello - ciò che è brutto è decisamente non bello. Che cosa s'intende dire quando si afferma: "il film era brutto"? Che era mal diretto? Che la storia non reggeva? Che gli attori recitavano male? Un cattivo dipinto è un dipinto in cui la tecnica pittorica e\o l’abilità dell’esecutore sono mediocri, oppure inadeguati al compito. Per esempio, il “Cenacolo” è * Unbel dipinto, in quanto a composizione armonica, resa dello spazio, capacità di rappresentazione di “accidenti” e di “moti mentali”; ® Uncattivo dipinto, in quanto la tecnica adottata da Leonardo non era adatto alla tecnica dell’affresco. La storia racconta che a Leonardo non piaceva l’affresco, infatti preferiva la tecnica ad olio perchè era solito ritoccare sempre i suoi lavori oerchè voleva modificare e lavorare sulle sfumature. In questa opera usa tempera grassa (olio+uovo) per curare sempre i dettagli; questo causò la rovina del dipinto, non solo a lungo termine, ma anche a breve termine, già ai tempi di Vasari si vedevano i segni del tempo. Negli anni ’90 il dipinto è stato trovato con un buco sulla testa di Cristo, il punto di fuga. Da qui si capisce che il dipinto è stato creato con una tecnica non adeguata, e quindi mal eseguito. Ai giovani artisti si consigliava sempre di rappresentare le espressioni, perché con le emozioni si può catturare qualcosa che accade all’improvviso; evince tutto dal moto mentale e pensieri. * Le qualità estetiche si possono raccogliere mediante i sensi della vista e dell’udito; * Le qualità morali sono co-determinate dall’individuo e dalla società (es. fumare); * Le qualità materiali sono, per esempio una cosa di buona fattura, una cosa di cattiva fattura (il cenacolo è in mezzo); * Le qualità edonistiche si possono percepire tramite tutti i sensi: un buon sapore / un cattivo sapore, un buon odore / un cattivo odore, una buona ricezione acustica / una cattiva ricezione acustica. L’arte serve a niente dal punto di vista materiale, ma non lo è per la vita interiore e cognitiva. In tempi ormai lontani, ciò che era considerato brutto aveva anche scarse qualità morali. Talvolta il brutto era in tutto e per tutto considerato immorale, cioè privo di una condotta morale e quindi qualche cosa che si avvicinava di più al regno animale (contrapposto cioè all’umano). Il Male, per esempio, era perlopiù rappresentato come una figura grottesca, orrida, mezzo uomo e mezzo animale, deforme, ecc. Solo in anni più recenti il Male è stato raffigurato tramite sembianze piacevoli, per esaltare la sua forza di seduzione in una società dove l’apparenza sembra contare più della sostanza. Per esempio, nel XX secolo anche il diavolo si adegua, abbandonando il classico look truce e grottesco a favore di un look decisamente più seducente in linea coni nuovi stereotipi culturali. DEFINIRE IL BELLO Non si può definire universalmente il bello, ma ci sono canoni che si ripetono e si rinnovano; le bellezze variano da periodo a periodo ma alcuni canoni rimangono. Invece, ciò che riteniamo brutto lo troviamo anche ripugnante e inferiore, però molte volte bisogna controllare sempre le informazioni (Quintin Massys, La brutta Duchessa). La caricatura è una tecnica in cui si prendono dei dettagli, si esagerano per renderli ridicoli, ed in musica introduce il brutto nel suono come esigenza estetica. le caricature erano predilette da Da Vinci. Le emozioni prodotte dal gusto, olfatto e tatto possono essere raccontate; per accedere al mondo dell'arte asse devono essere filtrate da un mediatore che frapponga uno spessore di pensiero fra l'attività sensoriale e la materialità degli stimoli che la attivano. Se il piacere del buono avesse sempre bisogno di un mediatore estetico, il piacere della vista e dell’udito porterebbero di per sè il bello. “Il pregiudizio platonico a favore dei sensi spirituali (vista e udito) e così forte che la disapprovazione sociale sembra ancora colpire soddisfazioni animali come quelle del mangiare del bere. l'arte è comunicazione” LA STRADA DELL’ARTE CONTEMPORANEA L'opera d'arte fino alla seconda metà dell'Ottocento era il risultato di una equilibrata Mistura di intuizione e immaginazione, di forme, sensibilità emotiva, conoscenza, competenza e abilità tecnica di virtuosismo esecutivo. il romanticismo aveva già legittimato completamente l'ingresso nell’arte del brutto portando così a termine un'operazione iniziata, come dice Bodei, con la diffusione del cristianesimo; ma sono le avanguardie artistiche del primo e del secondo 900 quelli che azzerano ogni significato e ogni valore attribuito alla competenza operativa e alle prestazioni virtuosistiche. L'occidente completamente impermeabile a queste seduzioni spiritualiste respinge con veemenza non solo questa estetica della pura forma astratta, ma ogni estetica del bello, non che il bello da solo e l'estetica per conto suo “Merde à la beauté!” I dada decidono la totale indifferenza dell'opera da ogni dimensione estetica; la scelta dei ready-made si sostiene sull’indifferenza visiva e sull’indifferenza dei riguardi del gusto. L'indifferenza, come mancanza di differenza, viene praticata in tutta la produzione che passa dall’astratto al concreto. Gli attacchi all'arte bella vengono dalle direzioni più disparate, dal neoplasticismo alle espressionismo e continuano con l'informale e l'arte concettuale, e la body art. Duchamp avrebbe decretato la morte dell'arte o l'avrebbe banalizzata e generalizzata. l' azzeramento dell' abilità tecnico-esecutiva porta un ipertrofia della componente tematica, in cui non solo il bello e il brutto, ma anche tutto ciò che rientra in nessuno dei due insiemi può ancora diventare esteticamente importante. Duchamp aveva decretato che l'arte non risiedeva in un oggetto fatto appositamente, ma che poteva essere una scoperta in qualsiasi oggetto artificiale che qualcuno con le credenziali di artista, avesse deciso che era un'opera d'arte. L'artista compiva l'azione stessa che diventava opera d'arte e si legittimava come colui che l'aveva compiuto. Perché il cerchio si fosse chiuso si doveva formare un sodalizio una convergenza di pensiero va di attese e di necessità fra artista , critico e fruitore. Il massimo della negazione teorico-programmatica nei confronti della componente realistica dell’opera è compiuta dall’arte concettuale che si diffuse in Europa e negli Stati Uniti a partire dalla seconda metà degli anni 60; il supporto materiale non costituisce più l'opera, è solo un tramite per fornire le condizioni affinché l'opera si compia nella mente del fruitore. L'opera esterna pubblica non deve e non può esistere, l'ideale sarebbe lo scoccare di una scintilla che lo trasferisse un concetto dalla mente dell'artista quella del destinatario. la bellezza è stata completamente assorbita dalla produzione e dal mercato delle merci, della moda, dello spettacolo e della pubblicità; il campo dell'arte è diventato lo spazio in cui possono essere create consumate le provocazioni, le denunce e le critiche. La psicologia dell'arte non può continuare a coltivare i suoi studi e le sue ricerche sperimentali a partire da un assunzione di arte slegata dalla realtà attuale. Psicologia, Arte, Arte e Psicologia Ogni psicologo che si è interessato di arte si appoggiava ovviamente al suo bagaglio di convinzioni e di teorie. È accaduto perciò che invece di affrontare la questione arte in maniera aperta e problematica, quasi tutti gli psicologi andassero a cercare nell’arte prove a conferma delle proprie ipotesi e convinzioni psicologiche. Poiché il campo dell’arte è ampio e ricco, tutti hanno trovato qualcosa ed hanno ritenuto si trattasse di ciò che cercavano. Il risultato è stato che l’arte ha fornito rassicurazioni alla psicologia, mentre la psicologia non ha contribuito che in modo trascurabile a spiegare l’arte. Il fallimento risiede nel fatto che la psicologia dell’arte non è autonomamente riuscita a stabilire con chiarezza né il suo oggetto di studio, né il metodo o i metodi con cui affrontarlo. The psychology of art: Past, present and future (Munro T) — “Questo è un breve schizzo di un grande e ampiamente sparso soggetto. È difficile riassumere, anche perché non lo è una scienza o una branca della borsa di studio decisamente integrata con metodi coerenti, obiettivi accettati e limiti. Importanti contributi sono stati apportati in molti altri campi: in filosofia, psicologia generale e psicoanalisi, critica d'arte, antropologia e altrove. È difficile tracciare una linea tra questi contributi e la psicologia dell'arte come materia a sé stante”. La psicologia e l’arte. Interdisciplinarity, the psychology of art, and creativity: An introduction (Lindauer M S) - La psicologia prende di più dalle arti (ad esempio i suoi materiali) che restituisce (cioè illuminando accademico e artistico preoccupazioni). Lo sostengo, se la psicologia scientifica dell'arte lo è per diventare completamente interdisciplinare, ci vuole di più conto delle sensibilità e competenze artistiche. Dominio di interesse Artista Opere Fruizione Estetica sperimentale (Fechner) Neuroestetica (Zeki) Linguaggio ed esperienza (Wagemans, Markovic, Carbon) Psicologia della percezione (Arnheim — Kubovy — Massironi) Psicologia dinamica Discipline (Ereud) Misurazioni e rilevamenti del Principali oggetti della ricerca Materiali Finalità Personalità, motivazioni e conflitti. Genesi dell’atto creativo. Strutture esplicite e implicite dell’opera. Dinamiche della fruizione. Analisi forma- contenuto. coinvolgimento estetico del fruitore. Individuazione dei correlati neurali relativi all’esperienza estetica. Analisi linguistica dell’esperienza estetica. Opere, biografie, epistolari, diari, cronache, eventuale background clinico Opere, contesto (ambiente, ma anche realtà storicosociale) Risposte di soggetti partecipanti ad esperimenti, interpretazione e speculazioni sul significato delle risposte neurali Scoprire le dinamiche psicologiche dell’atto creativo. Verificare la potenziale empatia su possibili fruitori Studiare le strutture veicolanti esperienze estetiche. Indagare la natura dell’esperienza estetica. Indagare le potenzialità espressive e comunicative. Studiare la struttura psicofisica dell’esperienza estetica. Scoprire le dinamiche neurali dell’esperienza estetica. Studiare la natura del linguaggio atto a descrivere l’esperienza estetica. L’opera sul lettino: psicoanalisi e arte (Verrastro V.) - L'articolo espone una particolare applicazione all’arte ed alla le3eratura della teoria psicoanalitica, la quale ha promosso importanza sviluppi in questo se3ore, approfondendo in particolare gli aspe; che legano la creatività alle motivazioni profonde. L’emozione in genere è considerata in questo modello come un affe3o, ovvero una quota di energia legata alle idee, la quale interferisce nell’ada3amento e altera l’equilibrio psichico. Freud si dedica allo studio della personalità creativa, introducendo così i temi riguardanti l’origine dell’opera artistica e scorgendo analogie e differenze tra arte, sogno e fantasia. Solo il grande artista, per Freud, è capace di trasformare i propri contenuti inconsci inacce3abili in opere d’arte di cui il pubblico possa usufruire per una catarsi immediata; solo il grande artista è capace di rendere globalmente tollerabili contenuti psichici rimossi ed inaccessibili. Oltre ai classici contributi di Klain, Winnicott e Bion, sono qui inoltre illustrate l’analisi fa3a da Trabucco sulla vita e le opere di Edvard Munch, e le interessanti ipotesi interpretative di Montani che affiancano a Freud l’opera di Franz Kafka. Wittkower - Se la psicologia ha contribuito, bene o male che sia, a foggiare genericamente la personalità e il carattere degli artisti moderni, essa non potrà mai risolvere il problema storico che sta al centro di questo libro. Abbiamo voluto far conoscere quel che ci dicono le fonti sul carattere e sulla condotta degli artisti. Per giudicare e valutare questo materiale è necessaria una conoscenza dell’atmosfera in cui costoro respirarono, delle credenze e delle opinioni, del pensiero filosofico e delle convenzioni letterarie, diffuse in un determinato periodo. Quello che vediamo affiorare è un disegno valido per tutti i rapporti umani: un intreccio di mito e realtà, di congetture e di osservazioni, di finzione e di esperienza, che ha determinato e determina tuttora l’immagine dell’artista. Non c’è mai stata e non ci sarà mai una risposta all’enigma della personalità artistica: perché , dice il Turner, “l’arte è una buffa faccenda”. In un discorso psicanalitico sull’arte, quasi sempre primeggia l’analogia fra l’opera d’arte e il sogno. Gombrich dice: “...dovrà sempre esistere, e che è sempre esistita [nell'arte], una determinante personale; cioè, che analizzando Hobbema potremmo scoprire perché preferiva ispirarsi ai mulini di Ruysdael piuttosto che ai panorami di Koninck (...). Ma in fondo, che cosa ce ne importa? Chiederlo sarà un’eresia, ma dalla risposta a questa domanda dipende tutto il rapporto fra la psicoanalisi e la storia dell’arte. (...) Perciò quei tentativi che vi sono stati di traversare come funamboli (...) l’abisso dei secoli, servendoci di notizie d’accatto come di una fragile corda, non potrà essere altro che un jeu d’esprit (...). E perciò ripeto la domanda: è poi tanto importante sapere che significato abbia avuto l’opera per l’artista? Perché ciò sia importante, occorre una sola premessa, questa: che il significato privato, personale, psicologico del quadro, sia l’unico significato vero - sia quindi quello che esso trasmette, se non alla coscienza, almeno all’inconscio dello spettatore”. L’approccio psicoanalitico all’arte ha come obiettivo quello di individuare le pulsioni sottostanti l’atto creativo, nella convinzione che siano questi il motore della creazione artistica. In sintesi, l’idea è che tramite le forme scelte o inventate l’artista condensa le proprie pulsioni e nevrosi, a livello inconscio. La creazione artistica, quindi, rappresenterebbe una risposta dell’artista a drammi interiori, perlopiù sepolti sotto la coltre della coscienza. La creazione dell’opera si costituisce come una forma di catarsi, e mediante processi empatici tale processo sarebbe esteso al fruitore che, anche a sua insaputa, soffre di drammi interiori simili. Perciò l’approccio psicoanalitico si è concentrato sulla forma in quanto veicolo del contenuto. La forma diventa il contenuto solidificato, nelle arti plastiche. In letteratura, invece, è il contenuto l’oggetto principale di analisi: ciò che lo scrittore ha inteso rappresentare è letta come metafora o insieme di simboli che permetterebbero di individuare pulsioni e drammi personali, perlopiù inconsci, dell’autore. IL RUOLO DELLO STILE La pura forma, intesa come oggettivizzazione della rappresentazione, è una chimera. Le forme scelte da un artista sono ampiamente condizionate dallo stile dell’artista, che a sua volta è condizionata dallo stile imperante che caratterizza la società in cui l’artista si trova a vivere, nonché il suo periodo storico. Lo stile è una caratteristica complessa, che contribuisce sia a modulare che a creare il contenuto, cioè il significato dell’opera. Per esempio, Gombrich si chiede se sia artisticamente più interessante l’originale di Bonnencontre, assai leziosa e stucchevole, o l’opera vista attraverso lenti deformanti, con una resa simile all’impressionismo. finalmente una corrente d'opinioni per cui l'indagine umana si potrà spingere più lontano nelle proprie ricerche, finalmente autorizzata a non tener più solo conto di sommarie realtà. L'immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti. Se le profondità del nostro spirito racchiudono strane forze capaci d'aumentare le forze di superficie o di contrapporsi vittoriosamente a esse: v'è tutto l'interesse a captarle prima, per poi sottometterle, se appare necessario, al controllo della nostra ragione. Gli analizzatori stessi non hanno che da guadagnarvi. Ma è indispensabile osservare che nessun metodo è imposto a priori per definire tale impresa e che sino a una nuova rivelazione essa può appoggiarsi tanto sulle energie dei poeti quanto su quelle dei dotti, e che infine il suo successo non dipende dalle vie più o meno capricciose che saranno seguite.” Da Breton, il surrealismo è un automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale. Definizione per un’enciclopedia filosofica: “il Surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d’associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismo psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita. È come se si facesse un passo indietro, perché aggrapparsi al sogno era una pratica pre-scientifica; noi integriamo il sogno con del tessuto connettivo che fa sì che il sogno scorra, per rendere il suo scorrimento lineare\spaziale in modo che possa essere compreso dal nostro cervello. Qual è il materiale onirico o il materiale inventato? È come se ci affidassimo a dei maghi. Surrealismo in letteratura: * “La Metamorfosi” di Kafka; ® “L’Ulisse e Finnegans wake” di James Joyce; ® “La fine del mondo e il paese delle meraviglie” di Murakami. Tali romanzi sono scritti con la tecnica del “flusso di coscienza”, portata agli estremi in Finnegans wake che si caratterizza per la polisemia con cui viene tradotta l’esperienza onirica. Il surrealista crea un’opera spontanea, in modo che non ci sia un pensiero razionale sulla creazione dell’opera; si crea così un automatismo-surreale: si raccontano cose non possibili, ma razionale MALKOVICH Nella “Coscienza di Zeno” viene utilizzata la psicoanalisi come soggetto letterario. La Psicologia e l'Arte: i 3 incroci - Massironi Fin dal suo costituirsi come scienza autonoma, la psicologia Siri secondo che il mondo dell'arte, coinvolgendo le potenzialità cognitive ed emotive rappresentava un nodo psicologico di primaria importanza. Il peccato originale della psicologia dell'arte è stato un eccesso di presunzione, laddove si è ritenuto che le teorie psicologiche disponibili fossero in grado di spiegare anche l'arte. Ogni psicologo che si è interessato di arte si appoggiava ovviamente del suo bagaglio di convinzioni e teorie; quasi tutti gli psicologi sono andati a cercare nell’arte prove e conferme delle proprie ipotesi e convinzioni psicologiche. Poiché il campo dell'arte ampio e ricco, tutti hanno trovato qualcosa, ed il risultato è stato che l'arte ha fornito delle rassicurazioni alla psicologia, mentre la psicologia non ha contribuito che in modo trascurabile a spiegare l'arte. ma l'arte potrebbe costituire un campo di prova dello stato di avanzamento degli studi. ® La psicologia clinica si è focalizzata sulla personalità dell'artista - guarda l'artista e l'atto creativo; ® La psicologia generale sulla sua fruizione estetica - ha come obiettivo il fruitore e l'opera; ® La psicofisica ha trattato il coinvolgimento estetico del fruitore o il grado di bellezza di un'opera, etichettando questo settore di ricerca come “estetica sperimentale”; * La neuropsicologia si è recentemente aggiunta all'elenco, chiedendosi quali siano i processi e i meccanismi cerebrali che entrano in gioco nella valutazione di un'opera e perché tali opere stimolino così efficacemente i centri dell' emozione; * La psicologia dello sviluppo si è interessata all' espressività del disegno infantile e alle sue potenzialità diagnostiche ed educativa. Da questo elenco si emerge che nessuno dei settori psicologici affrontato il problema dell’arte nella sua totalità, ma ognuno ha preso in considerazione solo quegli aspetti che rientravano nel proprio campo di indagine. LE INCERTEZZE DI RUDOLF ARNHEIM Rudolf Arnheim è il protagonista degli studi di psicologia delle arti visive; e stato un grande e inesauribile evocatore di domande, a nessuna delle quali ha dato una risposta esauriente. Si è portati a credere che gli fosse consapevoli della genericità delle risposte che dava alle domande da lui stesso avanzati, ma non volesse ammettere che si trattava di domanda senza risposta. Continuare a porre problemi suggestivi e importanti senza avanzare soluzioni diventa frustrante e finisce con l'essere di breve respiro. Egli dice: “quali sono le mostruosità che si riflettono negli incubi dell'artista? Vi è mancanza di legge, di equilibrio, di simmetria e un ineguaglianza offensiva fra cose che dovrebbero essere simili.” e di risposta “tali mostri non sono semplicemente manifestazioni dell'angoscia, non sono espressione di un inconscio che si pretende irrazionale. Sono validi, risultati di un osservazione e interpretazione precisa: un processo a cui partecipano tutti gli strumenti della mente, dall' intuizione profondamente radicata dei simboli alle penetrazioni più acute della ragione. solo per il fatto che la cosa paurosa viene presentata adeguatamente vigorosamente, essa può produrre quel tipo di risposta emotiva che, artisticamente, conta. Se la visione che dell'artista ha dei mostri fosse bene organizzata ed equilibrata, essi non potrebbero giungere a dimostrare la perversità di quanto è disorganizzato e squilibrato.” L'affermazione secondo cui “il disordine può venire presentato artisticamente unicamente per mezzo dell’ordine”, l'arte diventa incomprensibile. L'arte è sempre stata adoperata e concepita come un mezzo per offrire all'occhio e all'orecchio umano un' interpretazione della natura del mondo; ma oggi gli oggetti dell'arte rientrano tra le realizzazioni più sconcertanti che mai siano state condotte a termine. Lo studioso non ci dice che cosa egli intenda per bruttezza, né perché sia così difficile essere un buon artista oggi il mondo della produzione e del consumo in cui siamo immersi e ossessionato dalla bellezza, sicché tutti i centri di progettazione sono costretti a fornire il nuovo prodotto di un suo appeal, di una forza seduttiva che lo faccia ammirare, desiderare e comprare. dopo il rito del consumo tutto si trasforma in un mare di bruttezza. Nel momento in cui la produzione e il consumo si sono impadroniti del bello e lo hanno fatto diventare seduzione, trascurando tutti i distinguo dall’estetica filosofica, l'artista visuale ha capito che se voleva sopravvivere doveva conquistare nuovi territori, ovvero allargare l'obiettivo dei suoi interessi al di fuori della regione del bello. I baratri possono essere attraversati affidandosi all'interpretazione. Per l'arte dell'antichità classica, almeno per quella passata attraverso le depurazioni del pensiero degli studiosi occidentali, il caos e il brutto, e ciò che non ha esistenza positiva virgola e che perciò viene separate dall' ordine che è un componente fondamentale del bello. In ogni atto percettivo tutto ciò che presenta caratteristiche di ordine si impone come figura, segregando si dà uno sfondo caratterizzato da un livello maggiore di disordine. Ma allorché il bello perde la capacità di turbare l'osservatore, diventa grazioso e in questo passaggio perde ogni contatto con il brutto. Il caso non è mai completamente casuale dal momento che i prodotti ottenuti da condizioni o procedure casuali non sono privi di equilibrio; se l'esito finale è un'opera d'arte il risultato non sarà casuale, anche quando lo sono le procedure seguite per crearla, perché i suoi elementi non possono non formare un insieme organizzato. il problema della relazione fra ordine e caos, fra necessità e casualità è sicuramente centrale nell’arte moderna. THEODOR FECHNERE IL METRO DI BELLEZZA l'estetica sperimentale una delle numerose invenzioni della mente versatile certamente geniale di Fechner; fisico, fisiologo e anche filosofo. La teoria elaborata da Weber che consentì di descrivere in maniera unitaria i fenomeni elettrostatici, elettrodinamici e di induzione elettromagnetica riprendeva e sviluppava un lavoro di Fechner del 1845. Egli è fondatore della psicologia sperimentale insieme a Helmhotz e Wundt, la chiamò psico fisica, in quanto consente la misura quantitativa e accurata di variabili psicologiche, come l'intensità delle sensazioni , a partire dalla misura dell intensità degli stimoli fisici. tra il decennio del 1830\40 egli subì alcune lesioni agli occhi, e per tre anni visse isolato in una stanza buia privo di ogni capacità di concentrazione. durante la malattia divenne profondamente religioso orientandosi verso una posizione radicalmente spiritualista e antimaterialista, a tal punto che la lotta contro il materialismo diventò per lui una specie di missione: dimostrare la falsità del mondo fisico e la realtà unica in quello mentale, nonostante la sua immaterialità. Elementi der pshycophysic è un volume in cui non viene risolto il problema del dualismo mente e corpo, ma si fonda ex novo una disciplina metodologicamente rigorosa e suscettibile di prove. La misura delle sensazioni richiedeva la messa a punto di una variabile dipendente affidabile e quantificabile, precedentemente individuata da Weber nella soglia differenziale, tale da definire la quantità minima di energia che deve essere aggiunta o sottratta a uno stimolo a già attivo, affinché l'osservatore ne percepisco il cambiamento; è facile constatare che quando l'intensità di uno stimolo è alta, è necessario un forte aumento o sottrazione di energia, perché si colga un cambiamento. La sezione aurea e un numero irrazionale espresso dalla formula x=1\2 (14/5 )= 0,61803398875 che ha la proprietà di essere la parte di un segmento medio proporzionale fra l'intero segmento e la sua parte rimanente; il risultato estetico di un'opera, e un semplice manufatto artigianale oh un prodotto artistico. Promuovere un estetica dal basso, che arginasse e controllasse attraverso la concretezza dei suoi riscontri, quelle conclusioni che l'estetica filosofica imponeva dall'alto dalle sue speculazioni, era uno scopo proprio dal sapore democratico dell' estetica sperimentale. Per Arnheim si tratta di una insipida e sterile concezione dell'arte, di un approccio adottato da quei psicologi che hanno tentato di sottoporre a esatte misure sperimentali le risposte estetiche della gente. L'approccio di Fechner teso a smembrare il problema troppo complesso dell'arte in sotto problemi più semplici era antitetico alla posizione di Arnheim, secondo cui se si vuole essere ammessi alla presenza di un'opera d'arte bisogna innanzitutto affrontarla nella sua globalità. Le imposizioni del metodo scientifico,, che esigeva misure precise, avevano costretto Arnheim e l'estetica sperimentale nei panni stretti di un estetica edonista. non si è controllato se vi siano e che proporzione, opere d'arte considerate capolavori in cui le proporzioni della sezione aurea non vengono rispettate o vengono addirittura deliberatamente disattese. Di contro non si è nemmeno verificato se vi siano e quante siano le opere di basso o nullo valore estetico. se il rispetto di tali proporzioni garantisse un risultato estetico esse sarebbero applicate in maniera generalizzata. Kermode classifica le opere secondo il loro destino di successo in: * opere che vengono apprezzate sin dal loro apparire e che conservano il massimo grado di apprezzamento nel tempo; * opere molto apprezzate al loro apparire e successivamente abbandonate, perché diventate prive di interesse in seguito a uno dei bruschi cambiamenti di direzione attuati dalla storia; ® opereapprezzate al loro apparire, poi completamente dimenticate; ® opere che non sono state minimamente apprezzate al loro apparire e che poi assumono una rilevanza molto vasta. Fechner arriva sostenere che è la forma della ninfea a consentirle di godere, in maniera così manifesta e percepibile, della nutrimento dell'acqua e del calore della luce. Monet ci ha fatto vedere ciò che Fechner aveva visto nelle ninfee , così come lo aveva raccontato 50 anni in anticipo. L’ESTETICA SPERIMENTALE DOPO FECHNER La strada della misura delle preferenze estetiche è stata seguita durante l'ultimo secolo da un numero piccolo ma costante di ricercatori di studiosi, che hanno misurato il grado di accordo manifestato da persone diverse per alcune caratteristiche di alcune figure presentate. Come afferma Eysenk un accordo perfetto non può esistere; si è andati alla ricerca di gradi intermedi d accordo utilizzando formule matematiche atte a esprimere i gradi di correlazione. Partendo dall' assunto che il grado di piacere prodotto da un oggetto estetico fosse funzione del rapporto fra due parametri, l'ordine (0) e la complessità (C), venne finalizzata l’idea da Birkhoff M (misura del piacere) doveva essere uguale a O\C. Dapprima egli ha dimostrato che tutto ciò che è nuovo, complesso e contraddittorio, provoca un aumento del livello di vigilanza rilevabile Gustave Theodor Fechner voleva dimostrare la “falsità” del mondo fisico, sostenendo che l’unica realtà è quella mentale; la differenza minima tra due stimoli che riusciamo ad avvertire (soglia differenziale), varia con l'ordine di grandezza degli stimoli, più precisamente accresce secondo il logaritmo dell’intensità della stimolazione fisica. S=KLogI S=sensazione; I=intensità fisica dello stimolo; K=costante di Weber, specifica per ogni continuum fisico. Massironi - controllare le relazioni quantificabili a livello dello stimolo fisico e ricavarne delle valutazioni lungo una dimensione psicologica. Tale dimensione era la gradevolezza, o la preferenza estetica. Nel 1860 Fechner pubblica Elementi di Psicofisica. Nel 1879 Wundt fonda ufficialmente a Lipsia il primo laboratorio di psicologia sperimentale. Con quel trattato, Fechner pone le basi metodologiche e teoriche dell’estetica sperimentale: una psicologia sperimentale che si voleva applicata al fenomeno artistico inteso come oggetto esprimente bellezza e armonia. Fechner intendeva indagare: ® le reazioni di piacere dinanzi alle caratteristiche estetiche di stimoli; ® le caratteristiche che inducono uno stimolo estetico ad essere preferito rispetto a un altro. Per Fechner, l’estetica deve fondarsi su una procedura “dal basso”: deve essere basata su una iniziale e progressiva ricerca sistematica delle componenti elementari che determinano le reazioni di piacere/dispiacere nei confronti dell’arte. In questo l’estetica sperimentale (empirica) si differenzia dall’estetica filosofica, che ha carattere cioè deduttivo. Sezione aurea Gli esperimenti definiti da Fechner hanno cercato la conferma sperimentale della superiorità della sezione aurea come proporzione che influisce positivamente sul giudizio estetico. La sezione aurea si ottiene quando: dato un segmento AC, si ottiene una sezione aurea quando il suo tratto più corto BC sta a quello più lungo AB come il tratto più lungo AB sta al segmento intero AC. Si ritiene che molti capolavori tramandati a BC:AB=AB:AC noi attraverso i secoli siano strutturalmente basati su rapporti “aurei”, come nel caso se AB=X e AC=1 della facciata del Partenone. La convinzione (1-X)X=X:1 cò X2=-1+X che la seziona aurea sia la misura matematica della bellezza è talmente diffusa anche al giorno d’oggi che si moltiplicano le dimostrazioni della sua applicazione. X?-X1=0 x=%4(-1+V5) = 1,61803398875 Fis. 3 Le cinque proprietà di questa meravigliosa proporzione che la rendono divina: Fig4 ‘8 I ® ComeDio, è unica; alb=1,618 PEPPE a an IA e Comela Santa Trinità è una sostanza rettongdo è uguale a . "I l a ab /d6 = 1618 = ad/ db “ poi in tre persone, così la sezione aurea è una proporzione in tre termini facenti parte di uno stesso segmento. e “Comme Idio proprialmente non e po definire né per parolle a noi intendere, così questa nostra proportione non se po mai per numero intendibile assegnare, né per quantità alcuna rationale exprimere, ma sempre fia occulta e secreta e dai mathematici chiamata irrationale”; * ComeDio, è sempre simile a se stessa; * Permette di formare il “duodecedron” (volume formato da 12 pentagoni) che Platone nel Timeo definisce l’espressione stessa della quintessenza. Rudolf Wittikover - Nel cercar di dimostrare che un sistema di proporzioni è stato deliberatamente applicato da un pittore, uno scultore o un architetto, si è facilmente portati a trovare in una data opera proprio i rapporti che si cercano. Il compasso, in mano al ricercatore, non si ribellerà. Se vogliamo evitare le delusioni della speculazione oziosa, dobbiamo cercare le nostre direttive nei rapporti forniti dagli stessi artisti. Cosa curiosa, non è mai stato fatto sistematicamente. Fechner ha utilizzato tre metodi di indagine: * Metodo della scelta: scegli tra i 10 rettangoli quella esteticamente più piacevole. Nel caso non riesci a deciderti, puoi sceglierne più di una che secondo te sono piacevoli in modo uguale; ® Metodo della produzione: disegna un rettangolo in modo tale che risulti piacevole; ® Misurazione di artefatti umani: determinare le proporzioni espresse maggiormente nelle opere d’arte. DOPO FECHNER Dopo Fechner, e in seguito agli sconvolgimenti nel mondo dell’arte legati sia all’invenzione e all’affermarsi della fotografia, sia alla nascita delle avanguardie artistiche, il concetto di esperienza estetica subisce una lenta mutazione, in particolar modo in riferimento al campo delle arti: da esperienza legata al bello e al sublime muta in esperienza che dona piacere a livello affettivo e/o a livello intellettuale. Diffusione e perfezionamento della fotografia — avanguardie artistiche — mutamento lento e profondo nella concezione della fruizione artistica. Il piacere cognitivo intellettuale non è una cosa solo nostra o nata nelle avanguardie, ma è sempre stata presente. noi abbiamo un occhio diverso nel guardare un’opera. Tentiamo quindi di formulare una nuova definizione di “estetica” applicata alle arti, o meglio di una “esperienza estetica-artistica”. Per esperienza estetica-artistica ci si riferisce ad una particolare sensazione di piacere legata alla fruizione di opere d’arte. Questa sensazione di piacere non è determinata in modo esclusivo da rappresentazioni del “bello”, e di norma si caratterizza come una modifica di stati affettivi e cognitivi nel fruitore. In sostanza, il fruitore esperisce a livello cognitivo/intellettuale una sensazione di accrescimento/arricchimento quando entra in contatto con un prodotto il cui contenuto è imprescindibile dalla sua struttura formale Quando proviamo un’esperienza estetica, proviamo un senso di piacere, e quando ci sono finali “amari” c’è una bellezza diversa. Definizione di ‘esperienza estetica-artistica”: L'esperienza estetica-artistica è un piacere insieme affettivo e intellettuale emergente dalla fruizione di opere d'arte. La definizione è nuova, e non la troverete altrove perché in generale chi pratica l'estetica empirica (o sperimentale) di norma non distingue tra esperienza estetica ed esperienza estetica-artistica, dove la prima si riferisce al piacere estetico kantianamente inteso, mentre il secondo è un piacere che emerge solo dalla fruizione di opere d'arte. A livello teorico, se si riuscisse a definire i parametri che inducono un'esperienza estetica-artistica, si riuscirebbe anche a definire alcuni dei parametri che costituiscono l'essere “opera d'arte”. George David Birkhoff (1884-1944) propone un approccio matematico all’estetica, con una formula che esprime il valore estetico (1932): M = 0/C M = misura estetica, cioè il grado di piacere estetico suscitato da un’opera d’arte; O =il grado di ordine di un oggetto; C= il grado di complessità di oggetto. Tanto maggiore è il grado di ordine rispetto al grado di complessità, tanto maggiore è l’esperienza di piacere con l'oggetto. L’assunto base della formula proposta da Birkhoff è che il valore estetico di un’opera d’arte dipende dall’esatta misura delle sue componenti. Quando si valuta sul piano estetico un’opera d’arte bisogna considerare 3 fattori di natura psicologica: * Lo “sforzo”: che l’osservatore di un oggetto artistico compie per coglierne percettivamente la struttura. Lo sforzo sarebbe direttamente proporzionale al numero delle componenti elementari di quell’oggetto. Dato che Birkhoff identifica con il numero delle componenti la misura della complessità di un’opera, lo sforzo sarebbe direttamente proporzionale alla complessità dell’opera; * La “percezione dell’ordine”: inerente alla configurazione o alla struttura dell’oggetto e alle sue componenti elementari. Anche l’ordine, come la complessità, sarebbe quantificabile; * La “sensazione di piacere”: che la percezione dell’oggetto provoca, compensando lo sforzo compiuto, tramite la percezione di ordine. Il problema è che Birkhoff attribuisce del tutto soggettivamente i valori numerici ai parametri individuati per stabilire la quantità di ordine e di complessità delle opere d’arte. Il suo approccio è stato in realtà utilizzato nell’intelligenza artificiale per capire come si è cercato di rendere operazionale la formula di Birkhoff con l’entropia di Shannon, per dare una struttura entropica e matematica di complessità. L'entropia dell'informazione è il tasso medio a cui l'informazione è prodotto da una fonte di dati stocastica. Generalmente, l'entropia si riferisce al disordine o all'incertezza e il definizione di entropia utilizzata nella teoria dell'informazione è direttamente analoga alla definizione utilizzata in statistica termodinamica. Il concetto di entropia dell'informazione era introdotto da Claude Shannon nel suo articolo del 1948 "A Mathematical Theory of Communication”. Nella teoria algoritmica dell'informazione, la complessità di Kolmogorov di un oggetto (assumendo che possa essere rappresentato come una sequenza di bit, per esempio un pezzo di testo), è la lunghezza del più breve programma informatico (in un dato linguaggio di programmazione) che produca l'oggetto come output. La definizione della complessità di Kolmogorov suppone che si possa descrivere, e quindi riscrivere, un'opera d'arte come una sequenza di bit (in teoria dell'informazione il bit è definita come la quantità minima di informazione che serve a discernere tra due eventi equiprobabili). Correzione di Hans Jiirgen Eysenk:M= O * C - La misura estetica è determinata dal prodotto ordine*complessità. ® Che cosa s'intende per Ordine e che cosa s’intende per Complessità? e Comesi misurano tali dimensioni, sia a livello percettivo che cognitivo? * Quali sono i fattori sottostanti le loro definizioni? ® Possiamotrovare perloro una definizione operativa? Ordine Da Zanichelli (1984): Assetto, disposizione o sistemazione razionale e armonica di qualcosa nello spazio o nel tempo secondo esigenze pratiche o ideali. Qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l’ordine ne è una indispensabile condizione. Disposizioni quali la planimetria di una città o di un edificio, un insieme di utensili, un’esposizione di mercanzia, la manifestazione verbale di fatti o di idee, ovvero quali un dipinto o un brano musicale, sono disposizioni dette tutte ordinate quando sia possibile a chi le osservi o le ascolti coglierne la struttura generale ed anche il diramarsi di essa in una certa articolazione di dettaglio. In che modo possiamo misurare l'ordine? Quali sono i fattori che ci possono informare circa l’ordine che tiene insieme in una struttura logica o percettiva un gruppo di elementi. Un fattore principale nella percezione di ordine è data da regolarità sottostanti la struttura ordinata. Principi organizzativi sul piano visivo (e anche uditivo) possono essere, per esempio, le leggi di segmentazione del campo studiati dalla psicologia della Gestalt. Anche la simmetria è un fattore che introduce regolarità all’interno di strutture, ed è quindi un fattore che crea ordine. Tuttavia, è bene tenere presente che l’ordine percepito è anche una condizione contestuale, spesso determinato da schemi di riferimento. Ordine vs Disordine: Illusione di Giovanelli - sembrano disallineati ma in realtà non lo sono. 7 C 2 O _ A * Complessità: complicato, difficile da Wa e) *) Ode comprendere, che risulta dall’unione di varie n _ n n bed parti o di diversi elementi. Si può comprendere il termine “complessità” in relazione al termine “semplicità”. Se (C È DO DOO YA DI riuscissimo a definire la semplicità forse \ Do) Ke \e/C ) d potremo definire in modo rigoroso il grado di complessità di un oggetto, una scena, un evento. Simplicity and complexity need each other. AN I_O A +C al eee \2/ \/ \_/ Definire in che cosa consista la semplicità non è però così facile, proprio come non è facile definire il suo opposto, la complessità. La tentazione di concepire le due dimensioni contrapposte come un continuum, con semplicità a un estremo e complessità all’altro. Anche così, resta comunque da definire quali siano le caratteristiche del continuum. Molti possono essere indotti a concepire il La semplicità di una figura non dipende tanto dal numero degli elementi costituenti, bensì dal numero delle caratteristiche strutturali presenti, cioè del rapporto tra il tutto e le sue parti in relazione al contesto entro cui sono osservate. Il sistema visivo è sintonizzato sulla terza dimensione: la soluzione tridimensionale è favorita quando tale esito semplifica la struttura dell’oggetto visivo; gli psicologi di indirizzo gestaltista chiamano il principio del minimo pregnanza e affermano che il campo visivo viene segmentato in funzione di una massima omogeneità e una minima eterogeneità. Quando consideriamo strutture più complesse, quali sono per esempio le opere d’arte, entrano in gioco dinamiche e tensioni visive che possono semplificare o complicare la scena visiva. La lode alla semplicità emerge soprattutto nell’ambiente del design, della tecnologia (usabilità) e dell'economia. Le arti mirano forse ad una semplicità relativa più che ad una semplicità assoluta. Secondo Arnheim, la semplicità relativa implica economia e ordine. Il principio dell’economia nel metodo scientifico implica la scelta dell’ipotesi più semplice (di solito quello con meno eccezioni) alla spiegazione di un fatto. In linea generale, un’ipotesi è più semplice di un’altra in base al numero di elementi primari che la compongono. Ha senso parlare di un principio dell’economia in arte: l’artista non deve andare oltre a quanto è necessario per lo scopo che vuole raggiungere; un’opera d’arte non deve essere più complesso di quando necessario trasmettere il messaggio dell’artista (o del committente). Ecco il terreno della sfida su cui si gioca l’artisticità di un’opera: una giusta compenetrazione di semplicità e complessità. Le grandi opere d’arte sono complesse, eppure sono lodate per la loro semplicità. Il dosaggio di questi aspetti avviene mediante il principio dell’ordine. Arnheim - Elementi semplici in se stessi possono (...) venir disposti in modo da costruire un “tutto” assai complicato; e tali scelte compositive possono a loro volta essere unificate da un ordine semplificatore. Nel dipinto di Klee, gli elementi semplici sono rettangoli, triangoli, losanghe, ecc. L’ordine semplificatore è dato da una griglia principale di disposizioni verticali, e una griglia secondaria di linee tendenti all'orizzontale. Infine, scelta cromatica è molto ristretta. Gli oggetti d’uso comune hanno una funzione, e la loro semplicità non si riferisce solo al loro aspetto ma alla corrispondenza tra l’immagine del sistema e l’operabilità del sistema che ne garantiscono l’usabilità. Nel linguaggio, la frase che con la sua complessa struttura verbale corrisponde esattamente alla complessa struttura del pensiero che deve esprimere è di una invidiabile semplicità, mentre qualsiasi discrepanza tra forma e significato interferisce con la semplicità. Gli oggetti artistici hanno tutte un significato: figurativo o astratto, l’opera d’arte è un’asserzione; il problema della semplicità si annida tra la forma e il significato dell’opera. La discrepanza tra forme semplici e significati complessi può generare opere molto complesse. Tale complessità non è però necessariamente negativo in arte. Anzi, è spesso la calamita che attira l’attenzione del fruitore. Paul Klee, Giardino di Rose (1920). Arte e semplificazione Che cosa ci ricordiamo dopo aver osservato e studiato una configurazione complessa? È probabile che il sistema cognitivo, nella codifica in memoria, semplifichi la configurazione in modo tale da massimizzare o l'omogeneità strutturale (simmetria, regolarità), oppure l’eterogeneità (asimmetria, disomogeneità). Una tendenza alla massima omogeneità può essere un metodo per economizzare la trascrizione nella memoria di immagini geometriche e di caratteristiche ambientali, per cui si può ipotizzare che la regolarità dello spazio permette di semplificare i rapporti tra gli oggetti ivi collocati e gli oggetti e lo spazio stesso. La tendenza invece alla massima eterogeneità, o meglio alla accentuazione di caratteristiche distintive può invece risultare più conveniente quando si devono immagazzinare immagini altamente significative sotto il profilo della vita sociale ed emotiva. Semplicità e segmentazione “Il tutto è più della somma delle sue parti” Questa affermazione può indurre in inganno: molti infatti intendono che una unità percettiva è data dalla somma delle sue parti + un qualche cosa di misterioso. In realtà il motto gestaltista indica che esiste un rapporto molto stretto tra il tutto e le sue parti: l’aspetto del tutto influenza il modo in cui le parti appaiono, e l’aspetto del tutto è a sua volta influenzato dalla conformazione delle parti. Provate ad immaginare cosa significhi questo sul piano creativo: ogni volta che si aggiungono o si tolgono elementi da un’opera in fieri l’artista, almeno a livello di possibilità sul piano teorico, si ritrova con un’opera “diversa”. Chi ha avuto la possibilità di assistere ad atti creativi (cioè alla lavorazione di un’opera non ancora compiuta) si sarà chiesto come mai l’artista non si ferma a un certo punto, ma prosegua nella lavorazione. È evidente che l’artista guarda l’opera in fieri con occhi diversi dai nostri. Ha un obiettivo da raggiungere, e l’interazione “tutto-parti’’ assume un aspetto diverso. Diviene quindi interessante soffermarsi sulla definizione di “parte”. Una parte non è una suddivisione arbitraria di una struttura. Una parte intesa come elemento strutturale è un qualche cosa che ha caratteristiche figurali sue proprie. Un viso umano, per esempio, è composto da molte parti, tra cui guancia, mento, fronte, eppure queste “parti”, sebbene abbiano un nome, sono di riempimento, non hanno una conformazione oggettuale precisa che li rende immediatamente riconoscibili. Gli egiziani hanno usato l’occhio nei loro ideogrammi; Gogol ha scritto un capolavoro satirico creando un personaggio sfrontato, ovvero il Naso di un assessore; le labbra diventano divani; le gote, invece, al massimo possono arrossire, non avendo in sé caratteristiche "oggettuali". Per esempio, uno scheletro ha una “qualità di compiutezza” che si oppone ad aggiunte od omissioni, mentre le singole ossa hanno solo un certo grado di compiutezza in quanto le loro forme implicano la congiunzione con altre ossa; Amleto tiene in mano un teschio perché è l’essenza dell’essere umano, il pensiero, la morte. LE LEGGI DEL TUTTO Nel 1923, lo psicologo gestaltista Wertheimer individuò le leggi di segmentazione (o di unificazione) del campo visivo. Oltre venti anni più tardi Cesare Musatti argomentò che i principi individuati da Wertheimer possono essere ridotti ad uno solo, il principio di omogeneità. Arnheim descrive il principio di omogeneità di Musatti in termini di un principio di somiglianza, nel senso che fattori isolati da Wertheimer, per esempio la buona continuazione, possono essere descritti in termini di una somiglianza, che nel caso della buona continuazione sarebbe di direzione. In verità, mi pare che il principio di omogeneità di Musatti implichi molto più della sola somiglianza. Per certi versi assomiglia al principio di pregnanza, che sarebbe quel principio sovraordinato che controlla l’esito dei raggruppamenti compiuti con i principi di somiglianza, vicinanza, ecc. Che si chiami principio di omogeneità o di pregnanza, risulta evidente che vicinanza, chiusura, somiglianza (di qualsiasi tipo: colore, velocità, direzione, grandezza, ...), ecc. non sarebbero quindi dei veri principi bensì dei fattori emergenti dal contesto, la cui presenza determina il modo in cui il campo visivo viene segmentato in unità significative. Nei libri di testo è abbastanza comune che gli autori scelgano di mostrare situazioni semplici in modo da favorire l'apprendimento dei cosiddetti principi di segmentazione (organizzazione, unificazione). È un approccio dal basso. Nello studio dell’arte, però, risulta molto più proficuo un approccio dall’alto, per cui partendo dall’unità dell’opera la si segmenta in sottounità per facilitarne la lettura e valutare la coesione tra forma e significato. È opportuno però ricordare che l’unificazione dal basso e la segmentazione dall’alto sono concetti reciproci. La differenza tra i due approcci sta nel modo in cui si può applicare il principio di omogeneità, che nell’organizzazione dal basso riguarderà essenzialmente la somiglianza tra elementi ed unità, mentre con l’approccio dall’alto concerne anche l’organizzazione globale della struttura, cosa che è intimamente correlata con lo stile dell’artista. Semplicità e complessità sono due estremi di un continuum, oppure sono fattori disgiunti? Affermare che complesso è ciò che non è semplice implica un continuum; tuttavia il costrutto di semplicità è multidimensionale e si applica a diverse dimensioni del reale. In tal senso i continuum sono molteplici e qualsiasi generalizzazione rischia di banalizzare un problema che invece riguarda i livelli di comprensione e di interpretazione di un’opera d’arte. All’interno del paradossale rapporto tra semplicità e complessità vi è pure un altro paradosso: se ciò che è complesso appare tale in quanto contrapposto alla semplicità, costrutto la cui definizione risulta complessa (sia sul piano teorico che su quello operativo), ciò che è semplice appare semplice e basta. La semplicità si impone da sé, e non necessita del costrutto di complessità. Semplicità e complessità Abbiamo più volte evidenziato che il sistema visivo segmenta la scena visiva in base a leggi che tendono a favorire la “semplicità” dell’esito percettivo. Il costrutto di semplicità è però complesso: la semplicità dipende dal numero di elementi costituenti l’oggetto, dall’orientamento di assi, bisettrici, diagonali, dall’orientamento di lati, contorni, margini, dai rapporti tra le parti, dal rapporto tra le superfici ed il tutto. Appare evidente che una definizione operativa del costrutto di semplicità non è facile; quindi è complessa. Il costrutto di complessità è invece paradossalmente semplice da definire: è complesso ciò che non è semplice, ovvero ciò che è costituito da molti elementi, da numerosi rapporti, da dinamiche che sfuggono all’equilibrio, ecc. Quindi, dato che non esiste una definizione operativa universalmente valida con cui identificare il costrutto di “semplicità”, non esiste a tutt'oggi neppure una definizione operativa, cioè matematica, in grado di quantificare la complessità che sia universalmente valida. Va da sé che vi è una forte assonanza tra l’impossibilità di definire in maniera operativa concetti-esperienza quali semplicità e complessità e l'impossibilità di definire a priori che cosa sia o non sia arte È vero che semplicità e complessità sono sensazioni del tutto personali, ma il gusto personale è dettato da fattori personali, socio-economici, periodo storico; quando siamo davanti ad un’opera d’arte, però, dobbiamo rendercene conto, analizzando la sua forma. È la forma che permette al contenuto di esistere. Dobbiamo sviluppare un senso critico oggettivo dal nostro gusto. L’arte ci intriga per la sua complessità, ma ci affascina con la sua semplicità. Il valore estetico si annida in questa contrapposizione, che è giocata sul fattore ordine. Il Modulor di Le Corbusier segue la tradizione che era già di Vitruvio, e cioè di porre l’uomo quale metro di proporzione ideale. Dietro l’apparente semplicità dell’architettura razionale di Le Corbusier vi è dunque un sistema complesso di rimandi a moduli basati sia sull’uomo ideale, sai sulla sezione aurea Le Corbusier dimostrò sempre molta attenzione alle proporzioni. In realtà fu un grande musicista. Ma la sua musica, invece di svilupparsi nel tempo, si sviluppa nello spazio a tre dimensioni. E, come il musicista, egli si esprime attraverso rapporti. Si può dire che il Modulor è una scala, paragonabile approssimativamente alle scale musicali anche se, invece di essere una scala di suoni, è una scala di grandezze spaziali (André Wogenscky, architetto allievo di Le Corbusier). Le piramidi sono da considerarsi opere d’arte? Secondo Arnheim, la resistenza che si incontra quando si tenta di classificarle come arte consiste nella loro estrema semplicità. È arte funeraria, ma la domanda è: gli egizi volevano crearle per un messaggio per l’aldilà? La piramide del Louvre progettata da Ieoh Ming Pei è un’opera che ha suscitato molte polemiche, ma non vi è dubbio che si tratti di una commistione tra architettura, ingegneria e arte (come d’altronde accade sempre in architettura). Nella “Big eletric chair” di Warhol I colori scuri sono utilizzati per comunicare una situazione cupa. A livello figurativo, l’iperrealismo (ultrarealismo, superrealismo) è una corrente che si caratterizza per una aderenza alla realtà che va oltre la rappresentazione fotografica. L’eccesso di fedeltà al reale crea una tensione psicologica particolare nel fruitore che a stento riesce a vincere un innato senso di imbarazzo di fronte ad un atto di voyeurismo pubblico. La complessità quindi s’insinua tra la componente tutto sommato semplice della fedele resa visibile del soggetto e la confusione instaurata nel fruitore chiamato a giocare il ruolo del voyeur. Semplicità e complessità si compenetrano nell’opera d’arte. Opere d’arte strutturalmente complesse sono semplificate tramite accorgimenti grafico-pittorici che guidano la loro segmentazione interna, operazione che facilita la fruizione e l’interpretazione dell’opera; le opere apparentemente semplici contengono livelli di complessità nel contenuto che emerge dall’incontro tra forma e fruitore. L’opera La conseguenza del processo di astrazione è la creazione di concetti e ideali; l’arte è la traduzione su tela di questi ideali formati dal cervello. Prima di addentrarsi in questa tesi bisogna riflettere sulla domanda: l’arte coincide con la rappresentazione di concetti ideali, ovvero universalmente riconosciuti e accettati? Ogni civiltà ha definito in modo più o meno esplicito i canoni della bellezza, tramite cui si possono fare confronti. Ma come si traduce la bruttezza “ideale”? Come si determina il grottesco perfetto? Il “brutto”, che è una deviazione dal cammino verso il bello, è comunque una categoria insistente sull’esperienza estetica. Come lo so idealizza? Tesi 5 L’artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva. Ne segue che il perché e il come le creazioni artistiche suscitano un’esperienza estetica può essere intesa pienamente soltanto in termini neurali. A prescindere da un feroce neuroriduzionismo, il problema qui è che si è dato per scontato il significato di esperienza estetica, tra l'altro facendola coincidere spesso con l'esperienza del bello, quando l'esperienza estetico-artistica è ben più complessa. Questa linea di pensiero conduce nuovamente l’estetica sperimentale (di cui la neuroestetica è una delle ultime evoluzioni) a considerare soltanto casi limite, a porre barriere piuttosto rigide nei confronti dell’arte, definendo ciò che funziona sul piano estetico da ciò che non funziona: scritto così, il piano scientifico sembra importante, ma è nei dettagli che si annida il diavolo. Nel suo libro Zeki afferma, per esempio, che il cubismo è stato un fallimento perché ha operato delle scelte formali non basate sul modo di funzionamento del cervello. Un altro punto debole, reminiscente di un’idea ‘romantica’ dell’arte e dell’artista, è l’insistere sul carattere istintivo dell’artista, come se l’artista non avesse piena consapevolezza dei propri mezzi e del proprio operato. La conseguenza di questo tipo di ragionare non è quello di alzare l’artista al rango di “neuroscienziato”, bensì di svilire il suo apporto intellettuale nella creazione dell’opera. L’artista avrebbe delle abilità, ma per lo più opererebbe in modo inconscio. Noi usiamo il termine “arte concettuale” per definire un certo tipo di arte visiva. E tuttavia, non si dà alcun prodotto artistico che non sia infine anche un’opera concettuale. Anzi, si può ben ritenere che siano proprio il background socio-culturale, le pulsioni sociali attorno all’artista, nonché la sua impostazione intellettuale a guidare la forma data all’opera, la cui funzione è di convogliare “significato”, nel senso più ampio del termine, e cioè senza confini. La forma, in arte, è anche una componente fondamentale del contenuto. In tale senso l’arte vera non è mai istintiva, ma premeditata, anche quando si avvale dell’improvvisazione. Arte come reinterpretazione LEON BATTISTA ALBERTI E LE IMMAGINI SOMIGLIANTI “Le arti di coloro che cercarono di tradurre nell’opera propria figure ed immagini somiglianti a corpi generati dalla natura, penso che abbiano avuto questa origine. Essi forse qualche volta videro in un tronco o in una zolla o in altre cose inanimate di tal genere alcuni tratti che, con pochi cambiamenti, potevano rappresentare qualcosa di molto simile agli aspetti reali della natura. Allora, rendendosene conto ed esaminandoli, diligentemente cominciarono a fare dei tentativi, se mai potessero aggiungervi o togliervi qualcosa e darvi quei tocchi finali che parevano mancare per cogliere ed esprimere completamente il vero aspetto di un’immagine. Così, correggendovi e rifinendovi linee e superfici secondo i suggerimenti della cosa stessa, raggiunsero il loro proposito, di certo non senza piacere. Né meraviglia che, movendo di qui, l’applicazione e lo studio umani s’esercitassero di giorno in giorno nell’esprimere somiglianze fino al punto che, anche quando nella materia a disposizione non scorgevano alcun aiuto di somiglianze allo stato di abbozzo, poterono ugualmente ricavarne la figura che volevano.” (Leon Battista Alberti, De Scultura, 1450) Prendendo in considerazione le opere di preistoriche, esse sono state create nel periodo geologico del pleistocene, nell’ultima glaciazione del Wurm. Appartennero alla cultura del paleolitico superiore (dai trentamila ai dodicimila anni prima della nostra era). Le ultime ricerche con il metodo del C14 condotte sui vari dipinti dicono che la parte più importante è stata eseguita nell’arco di duemila anni intorno ai quindicimila anni fa. “Se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti, se avrai a invecionare qualche sito, potrai lì vedere similitudini di diversi paesi, ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure, grandi valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverse battaglie, e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose, le quali tu potrai ridurre integra e bona forma.” (Leonardo Da Vinci, 1942) Pareidolia Lastra di pietra paesina “simile - immagine” - In pratica si tratta di un fenomeno normale e automatico di organizzazione del campo visivo, scissione fenomenica figura-sfondo, leggi di organizzazione gestaltiche, comparazione con templates (cioè macro modelli di entità percettive rilevanti, come la faccia umana, che dà luogo alla percezione di raffigurazioni di oggetti, cui è aggiunta una volontà associativa-riconoscitiva conscia e proiettiva che attribuisce un significato particolare alla rappresentazione riconosciuta e che può essere regolata da diversi fattori psicologici: emozioni (es. paura, desiderio), bisogni trascendentali (fede religiosa), autointrattenimento. Se l'immagine somigliante è all'origine dell'arte, come argomenta l'Alberti, la pareidolia è un derivato dell'immagine somigliante, in cui si vuole riconoscere, identificare o semplicemente vedere nella configurazione casuale dello stimolo un significato più profondo, una presenza, un segno. Anche quando lo stimolo è ambiguo, il sistema visivo, in automatico, cerca di organizzare i dati in modo da segregare potenziali figure (entità fenomeniche rilevanti) dallo spazio circostante (il “contenitore” in cui si trovano ad agire le entità, e che ha proprietà tali da definire le relazioni spaziali intercorrenti l'osservatore e le entità fenomeniche). ALLA RICERCA DI SENSO L’arte informale è una corrente artistica diffusasi a partire dagli anni 50 del secolo scorso. All’interno del programma dell’arte informale vi era anche l’idea di una perdita di valore della forma a favore della materia stessa di cui è fatta l’opera; si potrebbe quindi concludere che per l'arte informale il contenuto è la materia stessa di cui sono composte le opere. Viene meno, spesso, anche la nozione di stile classicamente inteso. E tuttavia, anche se priva di una "forma" riconoscibile, l'arte informale è pur sempre la rappresentazione di una istanza in quanto ricerca artistica. E lo stile emerge sia dal gesto dell'artista che dalla scelta dei materiali. In questo senso, nell'arte informale, forma, stile e contenuto sono un tutt'uno. Le macchie di Rorshach Tavola VIII Tavola V delle macchie di Rorschach La risposta più frequente sono gli animali a quattro zampe sui lati della macchia; qualunque animale va bene: leoni, maiali, orsi. Se Risposte comune: farfalla oppure pipistrello. non vengono visti, si presuppone qualche deficit mentale. Le macchie utilizzano la simmetria, che cerca di trasmettere nell’osservatore un significato diverso dalla reale immagine. Ci sono state molte critiche: “A tutt'oggi sei milioni di persone all'anno si trovano a interpretare i disegni di Rorschach in un contesto clinico o legale. Esiste una International Rorschach Society che ha sedici affiliati nazionali (dall'Italia al Venezuela). Ma la tecnica di Rorschach è veramente un buon indicatore? Qual è lo statuto scientifico delle tecniche proiettive? Questo è l'argomento di un lungo e dettagliato saggio di Scott O. Lilienfeld, James M. Wood e Howard N. Garb, pubblicato sul numero di novembre 2000 di "Psychological Science in the Public Interest”. L'articolo contiene un esame comprensivo e imparziale della letteratura scientifica sulle tecniche proiettive in genere e dedica ampio spazio al Rorschach. I risultati non sono particolarmente incoraggianti. Gli studi indicano che il Rorschach tende a patologizzare i suoi soggetti, ovvero gli adulti normali tendono ad apparire patologici se ci si basa sul metodo di valutazione del Rorschach. Accade così che un sesto dei soggetti del campione di controllo appare schizofrenico. Non è chiaro perché le norme del Rorschach deviano così sensibilmente. Ma chi ha stabilito le norme interpretative del Rorschach? Stranamente, i manoscritti che descrivono gli studi preliminari di Exner non sono pubblici, per cui non è possibile ricostruire la genesi delle norme. Pare inoltre che il Rorschach sia tendenzioso rispetto a differenze culturali: le comunità afroamericane e indiane degli Stati Uniti danno risposte che deviano sistematicamente dalla norma; il test non sarebbe quindi generalizzabile. Il risultato più interessante riguarda la dipendenza del risultato del test dal numero delle risposte date. "Se un soggetto dà 14 risposte e un altro 28, quest'ultimo ha due volte più occasioni di riferire contenuti aggressivi (che si suppone indichino le caratteristiche di una personalità aggressiva) o immagini morbose (che si suppone indichino la depressione)". Si sa però che il numero delle risposte dipende da fattori culturali ed è correlato con l'intelligenza (misurata con test indipendenti). Il che significa che certe persone finiscono con l'essere considerate patologiche semplicemente perché danno più risposte. Curiosamente si tratta delle persone più intelligenti. La spiegazione di questa insufficienza del Rorschach? Pare semplicemente che non vi siano stati studi sufficienti sulla validità degli indici. Per esempio, le risposte che indicano la presenza di ombre dovrebbero essere un indice di ansietà. Per il senso comune questa teoria sembra proprio perfetta. Ma il fatto è che non si sono trovate correlazioni precise tra le risposte che privilegiano le ombre e la patologia che queste dovrebbero indicare. Fin qui, nulla di particolarmente inquietante. Scopriamo che possiamo giocare al Rorschach come abbiamo sempre fatto, in maniera del tutto innocente; siamo autorizzati a farlo né più né meno di quanto lo siano gli psicologi. Le nostre interpretazioni della maggior parte degli indici saranno altrettanto valide. Il problema delicato è quello dell'uso del Rorschach (e di altri strumenti di valutazione psicologica) nei contesti legali. Negli Stati Uniti è opinione comune tra gli esperti legali che il test, applicato ai bambini, sia in grado di rivelare se sono stati oggetto di violenza (child abuse). Anche qui, gli studi non sembrano probanti. Pare che si tenda a pubblicare risultati che sono statisticamente significativi e a lasciare nel cassetto risultati con poca ampiezza statistica. Questo fenomeno è noto come l'effetto del cassetto. "I redattori possono preferire manoscritti che includono risultati statisticamente significativi. Ma anche i ricercatori possono essere inclini a sottoporre manoscritti che includono risultati statisticamente significativi, pensando che possano essere accettati più facilmente". L'esame degli studi che riguardano l'applicazione del Rorschach all'indagine di violenze sui minori mostrerebbe proprio un effetto di questo tipo”. (Roberto Casati, “Le tavole del pregiudizio”, Il Sole 24 Ore, 29 aprile 2001) La percezione pittorica La percezione pittorica è quella abilità di vedere oggetti e scene derivanti da condizioni di stimolazione che però non sono i corrispettivi fisici degli oggetti e delle scene raffigurate. Lo psicologo american James J. Gibson, che coniò il termine, parlò di un rapporto conflittuale a livello percettivo tra la natura propriamente fisica di un'immagine (per es. la materiale piattezza del supporto) e ciò che dentro di essa si è in grado di vedere. Egli ha definito questo rapporto come un paradosso. I dipinti astratti, anche se sembrano solo macchie, se organizzate in qualche modo, noi “ci vediamo qualcosa”. Per la psicologia della Gestalt il sistema visivo funzionerebbe secondo principi deterministici diversi da quelli che governano altre funzioni cognitive, e quindi per loro era normale che nelle macchie si vedesse qualcosa. Mentre per altri la percezione delle immagini era una disciplina da apprendere. Venne fatto un esperimento dove si studiava se l’acquisizione e percezione di immagini fosse innata oppure da apprendere: dopo due anni risulta che la percezione delle immagini è innata. € Questa figura non maschera l’altra. È semplicemente il negativo dell’altra. Alcuni libri di testo riportano figure simili a questa per parlare di mascheramento, ma non è un vero caso di mascheramento: si vede tutto quello che c’è da vedere. Semmai, è una figura con poca informazione visiva relativa alla struttura di un viso umano. Liu Bolin usa la tecnica percettiva, in cui facendosi dipingere da altri, crea il mimetismo. Verosimiglianza La verosimiglianza è una caratteristica di ciò che è simile o conforme al vero. Tensione costante alla verosimiglianza nell’arte figurativa dai suoi albori; la funzione è quello di rappresentare nel modo più “realistico” possibile ciò che realmente esiste, ma anche ciò che è frutto soltanto dell’immaginazione. Tensioni alla verosimiglianza sono presenti anche nell’arte contemporanea, anche se in forme diverse da come inteso nella definizione classica; tali caratterizzano inoltre altre forme di arte, dalla letteratura al cinema, dall’arte radiofonica al teatro. L’Alberti sostiene che l’arte nacque come tentativo di riprodurre il visibile; il fine potrebbe essere di varia natura: celebrazione di eventi, religioso, racconto. In ogni caso si tratta di comunicazione. È necessario perciò chiedersi se vi sia uno stile migliore degli altri, che sia più fedele nel modo di rappresentare le qualità formali e materiali del mondo visibile. In verità già nell’arte preistorica vi sono non pochi esempi anche di raffigurazioni geometriche. Sono decorazioni o rappresentazioni simboliche? Qualsiasi fosse la funzione che erano chiamate ad assolvere, molti studiosi ritengono che le raffigurazioni geometriche in generale sono importanti esercizi del vedere e del ragionare miranti al controllo della superficie e dello spazio. La psicologia dell’arte e l’estetica sperimentale in passato si sono concentrate soprattutto sull’analisi dell’arte figurativa, individuando nella tensione alla verosimiglianza uno dei motori dell’evoluzione artistica. Quanto è realistica l’arte figurativa? L’uomo da sempre ha cercato di piegare la natura. L'artista tuttavia è sempre andato contro le rappresentazioni realistiche: il mondo infatti presenta irregolarità e imperfezioni, pur suggerendo all’osservatore la bellezza di proporzioni regolari e perfette. Compito dell’artista era quindi di rappresentare una natura perfetta, sostituendo le irregolarità e imperfezioni trovate in natura con regolarità e proporzioni ritenute ideali. In altre parole, l’arte figurativa mirava non tanto a imitare la natura, ma a superarla: il mondo rappresentato diventa luogo simbolico in cui la comunicazione era perseguita seguendo specifici canoni estetici. Il bonsai può essere considerato opera d'arte viva, perchè l'artista interviene sull'alberello per plasmare la forma. Si pone una distinzione tra imitazione e ritratto della natura: la prima deve rappresentare ciò che si vede, la seconda deve rappresentare ciò che si dovrebbe vedere se il mondo fosse perfetto (nella visione manerista). Il secondo rappresenta la vera sfida, che consiste nel perfezionare la natura, superandola in bellezza. È questo il programma implicito dell’arte figurativa, reso esplicito dal manierismo in poi. La natura, quindi, come generatrice e portatrice di “perfezione” va anzi tutto imitata. Ma il grande artista va oltre, supera la natura, appunto per equilibrare e aggiustare le sue disomogeneità e imperfezioni. È esistito quindi un atteggiamento ambivalente dell’arte verso la natura, che se da un lato è maestra da imitare, dall’altro lato è dimensione da giudicare e superare, correggendo la sua apparenza laddove necessario. (Ricordatevi le proporzioni ideali del corpo umano). Non ci si deve però scordare che l’uomo imita la natura anche ritraendo il “brutto”, che in natura si sostanzia in proporzioni esagerate, irregolarità e asimmetrie. Anche qui l’arte, pur ispirandosi alla natura, sembra andare oltre, individuando e perfezionando prototipi. L'artista inventa anche nuove forme attraverso l'immaginazione, essa opera sulla base di frammenti di forme che già esistono che vengono unite. Lo stile è una caratteristica formale costante che caratterizza la produzione artistica di un artista, di una bottega, di un gruppo di artisti, di una scuola, di un determinato periodo storico, di un determinato luogo geografico. Il problema dello stile s’interseca con il problema della verosimiglianza, in quanto ne condiziona la resa. Lo stile caratterizza il segno figurativo, costituendosi come elemento che va oltre l’atto di imitare. Ovviamente, ogni epoca tende a vedere negli stili che le sono propri un superamento degli stili precedenti in segno di una maggiore aderenza alla realtà visiva, ovvero una migliore traduzione delle tensioni presenti nel contemporaneo, almeno nelle avanguardie. Il naso occlude un bel po’ del campo visivo controlaterale all'occhio. Per un condottiero che ha perso un occhio durante una giostra, il naso può costituire un serio problema per il pieno monitoraggio del campo di battaglia. Il problema di Federico fu risolto attraverso un intervento chirurgico (uno dei primi interventi di chirurgia plastica di cui si ha notizia). Per informare che non fosse nato così Federico duca d'urbino, fa fare n ritratto di quando era piccolo. Le icnografie successive hanno voluto migliorare quel pezzo mancante del naso addolcendo le curve del setto nasale. Gli artisti di ogni periodo storico, almeno fino al 1800, hanno tentato di superare in “realismo” le rappresentazioni pittoriche e scultoree di coloro che li hanno preceduto. In questo senso lo stile, che comunque caratterizza l’artista, è una dotazione per così dire “naturale”, anche quando espresso in termini manieristici. Lo stile diverrà oggetto di ricerca con le avanguardie del ‘900. Anzi, in molti casi lo stile soppianta il contenuto, che diviene solo l'occasione per, appunto, un nuovo esercizio di stile. Come sono fatti gli unicorni? La nostra concezione odietra è un cavallo con un corno, a volte alato. L'iconografia dell'unicorno mantiene una caratteristica nel tempo, ovvero la barbetta come le capre. L’unicorno è simbolo di verginità, quindi spesso rappresentato nelle iconografie delle promesse spose. Dal Phisiologus (testo a carattere enciclopedico volto a spiegare la natura secondo principi religiosi) versione latina risalente al VII-IX sec. Il testo trae spunto dal Physiologus in lingua greca, scritto tra il II e III secolo d.C.). XVI) L’unicorno, come si cattura: C'è un animale che in greco è chiamato monocero, mentre in latino è detto unicorno. Il fisiologo dice che l'unicorno ha questa natura: è un animale molto piccolo, simile ad un capretto, alquanto aggressivo, ed ha un unico corno in mezzo alla fronte; nessun cacciatore è capace di catturarlo, ma con questa furbizia essi lo adescano: conducono una fanciulla vergine nel luogo dove egli si ferma, e la abbandonano sola nella foresta; lui, come vede la vergine, la abbraccia e si addormenta sul suo grembo e lì viene catturato dai suoi cacciatori e mostrato al palazzo del re. Così anche nostro Signore Gesù Cristo, come unicorno spirituale, scende nell'utero di una vergine, attraverso la sua carne ed è catturato dai Giudei e viene condannato a morte in croce, egli che si credeva sino a quel momento invisibile insieme con suo Padre. Com’è avvenuta che l’unicorno da animale simile ad un capretto sia mutato nell'immaginario a un animale considerato molto più nobile come appunto il cavallo? In realtà, questa trasformazione avviene già nel XV secolo. Nel corso dei secoli l'idea si evolve, si evolve la capra: si colora di bianco e diventa un cavallo; è rimasto il simbolo della purezza unito alla resistenza e nobiltà del cavallo. Il potere dell’evocazione: E se il fascino esercitato dalle immagini figurative risiedesse nel loro potere di evocare esperienze fenomeniche, a prescindere dalla reale possibilità di avere certe esperienza o incontri? Non bisogna scordare che spesso a immagini (comprese sculture e oggetti), in particolar modo scene religiose, ritratti, rappresentazioni figurative, sono state attribuite effetti taumaturgici, apotropaici, e di protezione in generale contro le forze del male o eventi avversi. Il potere evocativo è immediatamente riconoscibile nell’arte della musica, ma è anche un fenomeno molto importante nella sensazione odorifera (un particolare odore può richiamare alla mente particolari esperienze del vissuto personale di un individuo). Le immagini figurative, invece, data la loro immediatezza e intrinseca “completezza” come esperienza visiva, possono essere evocative? Oppure ciò che in esse è rappresentato ha una consistenza fenomenica tale per cui non possono essere definite evocative in quanto si costituiscono come esperienza completa? Posso essere invocative ma ad un grado inferiore Non si dà esperienza sensoriale collegata alla fruizione artistica che non sia infine anche evocativa sul piano cognitivo e/o affettivo. In altre parole, ogni esperienza sensoriale legata all’arte, che superi la soglia della coscienza, produce una nostra reazione, sia questa fisica (es. allontanamento, avvicinamento), cognitiva (es. attenzione, pensiero, ricordo), emotiva (es. gioia, paura, rabbia), o una combinazione di reazioni. Un'opera d'arte può puntare anche ad una reazione inversa, quindi provocare disgusto. Dinamiche Cognitive dell’ Arte - Massironi LEON BATTISTA ALBERTI E LE IMMAGINI SOMIGLIANTI Ogni prodotto artistico ha sempre un corpo materiale; le capacità umane di vedere in una cosa l'aspetto le fattezze di un'altra, anche se il materiale di cui è costruita è diverso, sta all'origine della produzione artistica, ed è probabilmente questo ciò che i greci chiamavano mimesis. Si ritiene che l'arte è nata quando l'uomo cominciato a utilizzare esplicitamente la facoltà di reinterpretare la natura. Leon Battista Alberti e stato definito grande in molti ruoli, ma qui lo prendiamo come psicologo: parlando delle gallerie secondarie delle grotte di Altamira “l' utilizzazione sistematica delle asperità naturali nell’arte preistorica è costante, anche se assume aspetti diversi. Nelle fasi antiche la suggestione è soprattutto fisica e si limita a richiamare la figura di un singolo animale; nelle fasi più recenti la suggestione è globale, si riferisce agli insiemi come nel caso delle gobbe del soffitto di Altamira”. Alberti si sofferma sul fatto che pochi cambiamenti bastano trasformare una forma inanimata e imprecisa nella rappresentazione di aspetti reali della natura. Il mondo fluttuante (ukiyo) rappresenta le cose che ci sono e quelle che non ci sono, le assenze: assenza di vento, assenza di luna e assenza di pioggia, etc. L'idea di verosomiglianza coltivata della pittura dell’estremo Oriente è diversa da quella occidentale, poiché mirata alla resa minuziosa dei particolari; si scivola nell’ovvia conclusione che per il bello ci sono tanti modi di dar conto alla stessa verità. REINTERPRETAZIONE Prendiamo il termine “reinterpretazione” prendendolo in prestito da Finke, interessato alla capacità delle persone di manipolare mentalmente immagini di oggetti o di forme non attualmente sotto osservazione > il risultato di tali operazioni e definito da Finke “reinterpretazione”. Il significato che attribuiamo al termine reinterpretazione è alla base di quella attività cognitiva che Neisser definisce andare al di là dell'informazione data; e in questa accezione si tratta di un protesse automatico e di basso livello, per effetto del quale ciò che stiamo osservando muta e si riorganizza in modi diversi, come avviene nel resto dei casi dell'inversione tra figura e sfondo, di cui la figura costituisce un esempio. Per quanto riguarda l'utilizzo del termine reinterpretazione, in entrambe le teorie, si riferisce a processi di alto livello per definire processi di basso livello. Se partiamo dal presupposto che ogni prodotto artistico sia il risultato di qualche tipo di reinterpretazione, dobbiamo verificare se anche la condizione estrema costituita dai ready-made possa rientrarvi, almeno per analogia. Il carattere provocatorio del lato artistico di Duchamp si basa sull’applicazione dei processi di reinterpretazione, poiché egli impone un oggetto della più normale quotidianità come epifania dell'opera d'arte. La rottura che gli opera consiste in un' ardita dislocazione di campo semantico: un oggetto definitivamente mondo semi co acquista un ulteriore valenza semantica che va al di là della concretezza dell’oggetto, trasformandosi da oggetto-opera d'arte in arte senza oggetto, ovvero in opera-zione dell’autore. L'arte contemporanea è sempre più un gioco ermeneutico; non esiste opera, corrente o artista, senza interpretazione. Mentre numerose sono le opere, pochi sono gli interpreti: da qualche tempo le grandi mostre o biennali vengono ricordate trattate come prodotti di chi le ha curate. Gli artisti giocano ormai solo il ruolo di materiale grezzo. Processo di interpretazione: materiale grezzo esiste con un suo significato di livello zero > viene interpretato dall'artista e diventa opera col significato di livello 1 > il critico reinterpreta quell’opera e le intenzioni dell’artista, mettendoli insieme e raccontandoli in un discorso, che decide di farli diventare arte. Quando il gioco dell'arte diventa astratto, il critico diventa necessario. Sulla base di questa necessità il critico diventa una sorta di artista di livello superiore, che usa il lavoro degli artisti di livello inferiore come materiale da manipolare, con cui costruire le teorie e le correnti. chi ha la capacità di reinterpretare può non essere colui che produce effettivamente l'opera; queste dinamiche socioculturali, produzioni di pesante immaterialità, sono gestite dai poteri della reinterpretazione delle arti visive contemporanee. Un modello largamente condiviso delle attività percettive ritiene che al suo funzionamento concorrano due processi, uno innescato dai dati registrati dagli organi sensoriali periferici, e uno innescato dai dati già depositati e organizzati nella nostra memoria in forma di concetti. La fase sensoriale organizza i dati secondo le note leggi gestaltiste, in modo che le figure si separino dallo sfondo, le parti simili o vicine si aggreghino in unica struttura. Il meccanismo funziona sulla base di due momenti caratteristici dell'attività cognitiva: * a fondamento dell’organizzazione delle nostre conoscenze vi sarebbe un sistema ordinatore basato in primo luogo sulla forma delle cose e poi anche sugli altri attributi, come il colore, il materiale oh le dimensioni. Per esempio, l'organizzazione delle stelle del firmamento in costellazioni, ognuna delle quali unifica un certo numero di stelle in una forma; 1/3 disegno reca la scritta “Takete” e il quarto “Maluma”. Il compito consiste nell’associare nel modo più appropriato e naturale le due parole senza significato con i due segni senza senso; nonostante l' attenta esclusione di significati conosciuti, non solo le persone non fanno fatica a svolgere il compito, ma associano la forma costituita da segmenti rettilinei e angoli acuti alla parola “Takete” e la forma rotondeggiante alla parola “Maluma”. l'interpretazione dell' accordo fra le persone è semplice e chiara se si fa appello alle qualità espressive e si tiene conto del fatto che una stessa qualità espressiva può manifestarsi in diverse modalità sensoriali. ciò non vuol dire che non c'è una regola di corrispondenza strette modulabile fra suoni di parole non significative e configurazione grafiche anche essere non significative. Successivamente si ricavano quattro configurazioni intermedie. Una colonna parte da “Takete” per arrivare a “Maluma”, mentre l'inverso avviene in una seconda colonna; la mancata corrispondenza fra lo strutturarsi disegni grafici in figure astratte e il suono di parole senza senso indica che si tratta di fenomeni globalmente unitari che non possono essere smontati, il che vuol dire che le corrispondenze si instaurano a livello di strutture organizzate e non a livello delle componenti costitutive elementari. questo fatto ci dice che le qualità espressive sono delle componenti intrinsecamente connesse alla forma complessiva degli oggetti. Verosimiglianza e Percezione - Massironi Le immagini hanno un potere di presentarsi con le caratteristiche visive di altri oggetti di tutt'altra natura, materia e dimensione: i greci la chiamarono “mimesi”, e gli occidentali “imitazione”. Lo scopo e l'utilizzazione delle immagini non è solo quello imitativo. IL MONDO COME ARTE-FATTO Il mondo è fatto d'arte, ma non è un capolavoro. forse se lo avessero fatto solo gli artisti sarebbe venuto meglio, ma gli artisti hanno sempre dovuto collaborare con chi aveva la forza di modificare, distruggere e ricostruire qualche pezzo di mondo. l'arte figurativa ha sempre rappresentato i miti dei vincitori, ma di eserciti hanno sempre avuto due nemici: gli altri re condottieri di eserciti da un lato, e il mondo naturale dall'altro. Il mondo naturale e alleato per la difesa, ma anche suolo per gli spostamenti avversari. L'arte ha costruito da sempre la testa di ponte dell' artificiale, dell' artefatto nei confronti del naturale; la natura si esibisce a chi la osserva con attenzione, anche con approssimazioni, irregolarità e asimmetrie. L'arte del compito di mettere in ordine il mondo, sostituendo le imperfezioni e le irregolarità naturali con la bellezza e le proporzioni che la natura stessa poteva solo suggerire; il mondo artificiale deve essere grazie all'arte un mondo naturale, ma corretto là dove l'artista riteneva che non andasse bene. Il punto da chiarire il discrimine fra limitazione passiva e la reinvenzione ricostruttiva del mondo: si deve porre l'attenzione al fatto che la natura, per un' intrinseca resistenza della materia, non può raggiungere se non saltuariamente, quella perfezione a cui invece l'arte doveva sempre tendere. Tutte le forme della natura intenzionali in se stesse sono bellissime e proporzionate, ma non tutte le volte la materia è atta a riceverle perfettamente, ed è sopra questo mancamento che la materia il più delle volte non riceve la perfezione della forma, ma si distende il modo dell' operare con la imitazione. Non bisogna attaccarsi alla Natura, al proprio Genio. La natura e portatrice di perfezione, perciò va limitata; e incostante, squilibrata e disomogenea nel distribuire la perfezione, perciò va superata; superare la natura non vuol dire abbandonarla per affidarsi al proprio giudizio o alle proprie conoscenze e ricordi, ma vuol dire inseguirla, spiarla e imparare a conoscerla, ma senza esserne schiavi. L’artista deve imparare a discriminare fra le opzioni offerte dalla natura e grazie a tale discriminazione deve essere in grado di riconoscere e scegliere solo la perfezione. L’arte chiama la natura “maestra”, ma si arroga il diritto di giudicarla e di conseguenza si sente moralmente giustificata nell’impegno di superarla correggendola. ARTE COME SPECCHIO L’arte è territorio della conoscenza teorica; se il mondo è un artefatto e le donne e gli uomini ne sono autori, in quanto parti del mondo essi ne sono anche un prodotto. Il superuomo e la superdonna non sono diversi dall’uomo e dalla donna borghesi; sia uno che gli altri, quando si guardano allo specchio, vedono il riflesso dell’universo. Non ci sono criteri definitivi per la bellezza, ma bisogna richiedere almeno l’ armonia. Nella cultura occidentale il corpo è collegato al mondo ricostruito dell’uomo, che è armonico, esteticamente apprezzato, fonte di potere e conoscenza, quanto i suoi parametri riprenderanno misure e proporzioni proprie del corpo umano. Alla metà del V secolo a.C. Risale la ricerca di Policleto per vincere la pesantezza del corpo umano mediante regole armoniche di simmetria e ritmo, quali appaiono nelle sculture dei suoi atleti di cui rimangono alcune copie di epoca romana. a stabilire un legame fra opera e parametri numerici si ottenevano risultati di equilibrio di armonia che dal corpo potevano essere esportati ha molti tipi di manufatti. Il corpo umano definito in un canone è diventato un microcosmo unico, inalterabile e senza tempo, che Vitruvio sintetizza elaborando le misure delle sue parti. Se così stabilita una precisa corrispondenza fra forma del corpo e forme della geometria. La vasta produzione iconografica di questo periodo ha trovato il modo di presentarsi anche come sintesi dell'incontro e dell'integrazione felice e feconda fra l'opera di Vitruvio e i tasti sacri della cristianità, giustificando la ritrovata centralità dell'uomo all'interno della tradizione cattolica con argomenti teorico- teologici. Passaggi: * durante il medioevo l'opera è stata copiata più volte e aveva contribuito ad alimentare l'interpretazione cristiana del corpo come microcosmo e mezzo per avvicinarsi alla perfezione di Dio; * il corpo di Adamo prima della caduta non poteva essere che perfetto, essendo stato concepito a “immagine e somiglianza di Dio”; * Vincenzo di Beauvis sostiene che l'uomo può essere considerato un microcosmo, risultando dalla combinazione dei quattro elementi, sì che ogni “uomo proporzionato è rotondo”, così come lo è il mondo; * Lattanzio sostiene che saper apprezzare la bellezza dell'uomo è alla base di ogni meditazione sulla natura dell'uomo come immagine di Dio; ® Nicola Cusano ritiene che qualche limitata conoscenza di Dio sarà possibile solo se si terrà conto della somiglianza dell'uomo con Dio; * Sant'Antonino sostiene che vi è una continuità nell’ininterrotta catena che Lega il macrocosmo (Dio), al mediocosmo (mondo creato) e alla microcosmo che è l'uomo; * Giovanni piccolo della Mirandola assume il parallelismo fra uomo e il mondo + l'uomo è un mondo minore, in cui si mescolano l' animalità dei sensi e la ragione, con l'intelligenza Angelica e la somiglianza di Dio. Il corpo umano è un'opera perfetta e bellissima, creata da Dio a sua immagine e somiglianza, che contiene in sé tutti i numeri, le misure, i pesi, i moti e elementi. La convinzione che le forme geometriche irregolari e perfette fossero derivate dal corpo e dalla mente delle donne degli uomini; il corpo umano è la cosa più bella, la più perfetta ma la più difficile da riprodurre. Il corpo in quanto oggetto complesso è bello da guardare non può che riscuotere l' unanimità dei consensi; il corpo oltre a essere complesso è plastico, si modifica autonomamente nello spazio e nel tempo, e perciò sesso espressivo e comunicativo che quando è bello e giovane produce piacere guardarlo. PERCEZIONE PITTORICO James J. Gibson si è interessato in modo insistente all'argomento da lui definito “percezione pittorica”. la teoria percettiva più accreditata, contro la logica di Gibson, ebbe come suo primo autore Berkeley, il quale dovendo dar conto di come venga percepita la profondità spaziale dal momento che le registrazioni retiniche sono bidimensionali, sostenne che essa era il frutto dell’integrazione dei dati visivi con le conoscenze acquisite empiricamente attraverso esperienze tattili e motorie. Per Gibson l'informazione raccolta dall’occhio e convogliata dalla luce e tutta quella necessaria per raggiungere una percezione esauriente affidabile dell'ambiente che ci circonda e quindi anche della profondità spaziale; il punto di forza di questa teoria risiede nella convinzione che la luce fornisca una stimolazione retinica sempre strutturato. sulla base della teoria secondo cui l'informazione percettiva è il frutto dell'incontro dinamico, immediato dalla luce, dell'essere vivente con l'ambiente circostante, Gibson e portato a ritenere che in tutti i casi in cui non vi sia azione che permetta di estrarre invarianti nel corso di qualche tipo di trasformazione, l'informazione effettivamente ricavabile si inevitabilmente ridotta. L'informazione pittorica veicola l'informazione di seconda mano, è una percezione impoverita ed è costituita da un assetto ottico congelato. Lo scopo della comunicazione non è riproporre al destinatario un pezzo di realtà immodificata in tutta la sua complessità e nel suo mistero, come gli appare quando la incontra direttamente, ma dire che cosa ha capito o come ha interpretato ciò che ha visto, cosa che un autore può fare solo fornendo informazioni di seconda mano. Le informazioni di seconda mano e un'informazione sistematizzata, che favorisce la conoscenza e che può servire da guida nell’osservazione diretta della realtà. tutte le informazioni possibili in una data condizione, ma un blocco di informazione selezionato e strutturato 3 una cattiva immagine e una cattiva comunicazione. Una figura e una registrazione: consente di immagazzinare, conservare e mettere via per recuperare in secondo tempo, scambiare, gli invarianti che sono stati estratti dall' osservatore. Le figure sono come gli scritti, possono essere guardate più e più volte dallo stesso osservatore, e da molti osservatori. Gibson sostiene che l'utilità delle meditazioni sull'immagine pittorica risiede nell’essere degli “aspetti ottici congelati”. In conclusione si può dire che c'è sempre nei teorici e sostenitori dell'imitazione una certa insoddisfazione, derivata dalla consapevolezza di un gap incolmabile fra raffigurazione e suo oggetto; un'imitazione perfetta sarebbe due volte la stessa cosa, e quindi non più un imitazione, e per questo ogni imitazione, essendo imperfetta, non può che essere deformazione. Figurativo e astratto * Figurativo: che rappresenta per mezzo di figure. Nell'arte, rappresentazione o interpretazione della realtà esterna senza prescindere da essa; * Astratto: ciò che non ha rapporti empirici con la realtà empirica. Assenza di qualsiasi riferimento alla realtà oggettiva. Tesi di Zeki: tutta l’arte è astrazione in quanto l’artista astrae dal particolare per rappresentare l’ideale. La definizione di “figurativo” sembra non lasciare scampo: l’arte figurativa non può prescindere da un’istanza di “realismo”. Ma che cosa s'intende per realtà oggettiva? Che cosa significa "realismo"? L'arte può rappresentare la realtà oggettiva? È evidente che le definizioni fornite su arte figurativa e arte astratta, sebbene siano quelle ufficiali, sono del tutto insufficienti. Il concetto di rappresentazione "oggettiva" collida con il concetto di stile. Si definisce figurativa quell’arte che rimanda ad una figura o insieme di figure, ad una realtà quindi non astratta; una composizione artistica fatta con quadrati, cerchi, triangoli e/o altre qualsivoglia figure geometriche, che non dia luogo al riconoscimento di una figura o di una scena che rimandi ad una realtà diversa da quella geometrica, è astratta perché le figure geometriche sono entità astratte. Che cosa si intende con il termine “realtà”? Lo psicologo tedesco Wolfgang Metzger individua 5 significati per la parola realtà. Essi sono: * La realtà del mondo fisico, di cui si occupano appunto i fisici, che ha carattere strettamente metaempirico, in quanto è al di là dell’esperienza diretta; ® La realtà del mondo fenomenico. Questa è la realtà dell'ambiente comportamentale, ovvero la realtà fornita dai nostri sistemi sensoriali. È questa una realtà che in molti sensi è indipendente dal nostro io. Fanno parte di questa realtà non solo il mondo percepito, gli oggetti fenomenici, ma anche i dolori “fisici” e quelli “psicologici”, i sogni, i ricordi che ci assalgono all’improvviso, le allucinazioni dotate di vivacità sensoriale. Metzger chiama questa seconda realtà anche realtà incontrata, immediata. È questa una realtà di grande interesse per lo psicologo; * La realtà rappresentata. Questa realtà lo si capisce meglio in contrapposizione alla precedente. Mentre la realtà incontrata resiste a qualsiasi nostro tentativo di alterarla, la realtà rappresentata si trasforma a nostro arbitrio. È la realtà creata, per esempio, dalla nostra immaginazione. Anche questa è una realtà di grande interesse per lo psicologo. Anche questa realtà è di natura fenomenica, ma è vissuta come dipendente interamente dall’io; ® La realtà del nulla, che se vogliamo è un vero e proprio paradosso. Infatti, il nulla è dal punto di vista logico ciò che non esiste, e in quanto non esistente, non ha nessuna qualità che lo rende “reale”. e/o dentro l’opera stessa. Non vi è alcun criterio oggettivo in grado di stabilire la falsità di un’interpretazione, in quanto chi interpreta lo fa anzi tutto per se stesso. Un risultato scientifico può essere riportato in diversi modi. Il risultato non cambia in base al modo in cui esso viene presentato. Inoltre, il risultato nuovo include quello precedente, il risultato precedente si dissolve in quello successivo. Un'opera d’arte è quella che è, e non può essere modificata di una virgola. Può dar luogo ad interpretazioni diverse, che possono essere confrontate con il testo originale, ma il testo originale non si dissolve nelle sue interpretazioni, né in opere ad esso successive, e non include al suo interno opere precedenti, benché possa fare riferimento ad opere precedenti. Il prodotto scientifico è indipendente dal modo e dallo stile con cui è presentato: un resoconto verbale, un grafico, una formula, non alterano la sostanza del prodotto scientifico. Il prodotto artistico è imprescindibile dalla sua forma. L’arte non può prescindere dalla forma con cui è espressa. Anche l’arte concettuale, che rifiuta la forma, non può prescindere da un’ancoraggio materiale, senza la quale l’opera non potrebbe esistere. Nel caso de Linea di lunghezza infinita di Piero Manzoni, il contenitore cilindrico è il segno materiale che concretizza l’esistenza del’opera. Vantaggi? Una ri-unificazione di scienza e arte è funzionale soltanto all’industria culturale, non certo alle due discipline. I modi di procedere, i risultati ottenuti e ottenibili, gli scopi stessi, ed i linguaggi utilizzati sono intrinsecamente diversi. L’artista non è un neuroscienziato: il suo scopo non è quello di studiare o di spiegare il funzionamento del cervello, bensì quello di determinare in un osservatore una determinata esperienza estetica. Il neuroscienziato (e lo psicologo) non è un artista: il suo scopo non è quello di creare forme o di rappresentare istanze umane, bensì quello di comprendere i meccanismi sottostanti il comportamento umano. La scienza rincorre la verità attraverso lo studio della realtà. L’arte relativizza la verità, e nel fare ciò può anche prescindere del tutto dalla realtà. Dalle tesi di Semir Zeki 3 Tesi 2: Arte e cervello hanno una funzione comune: acquisizione di conoscenza. La funzione dell’arte è dunque un’estensione della funzione del cervello. Tesi 5: L’artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva. L'artista non pensa al cervello quando crea almeno che non sia oggetto della sua ricerca artistica. C'è un rapporto stretto tra scienza e arte perché la scienza ha bisogno della capacità degli artisti di schematizzare ciò che essi stanno studiando, perché un’immagine vale più mille parole. Arte e Scienza - Massironi Fino alla fine del Rinascimento l’arte, intesa come téchne, coltivava interesse per la scienza dei numeri. La prospettiva ha inaugurato un nuovo atteggiamento nell’osservatore della natura. La scienza è diventata autonoma dall’arte, in seguito alla scoperta di nuovi strumenti di osservazione e grazie all'adozione di nuovi criteri di verifica e di riproduzione dei fenomeni osservati, in condizioni controllate. Come spiega Sagredo a Simplicio nel dialogo galileiano, non bisogna far conto sui dati sensoriali se si vogliono scoprire le leggi che regolano la natura. Recentemente E. Morin sosteneva che la scienza era un'arte in quanto strategia e conoscenza. Prigogine e Sengers dicevano che “ogni grande era della scienza ha avuto un modello della natura. Per la scienza classica fu l'orologio, per la scienza del diciannovesimo secolo, era della rivoluzione industriale, fu un meccanismo in via di esaurimento. ci si può ricollegare a Platone che diceva che la natura era come se fosse un'opera d'arte.” ARTE E SCIENZA: LE DIFFERENZE La scienza è prodotto del cervello, l’arte è frutto del cuore. La scienza fa leva sulla razionalità e l'arte fa leva sull’emozione e sul sentimento. Ogni risultato raggiunto nell'ambito della scienza può essere considerato un problema collassato in una soluzione, quindi quello che prima era considerato un problema oggi non l'hai più; ogni risultato raggiunto nell'ambito dell'arte non si presenta come soluzione di un problema, ma come nuovo pezzo di realtà che richiede sia una spiegazione che un' interpretazione. Un risultato per la scienza e la fine di un problema, e la temporanea conclusione di una discussione, mentre un'opera d'arte apre sempre un nuovo terreno di discussione. Un risultato scientifico va compreso e solo chi lo capisce può da un lato giudicarlo e da un l'altro analizzarlo; un risultato artistico va interpretato e rianalizzato, e analizzato in maniera definitiva. le opere saldamente collocate ai vertici della produzione artistica sono sempre bisognose di essere discusse e ridiscusse e sempre in modi nuovi, e che tali opere raggiungono uno stato di modernità per anni sulla base di argomenti e persuasioni che non possono a loro volta rimanere perenni e immutati. L’ermeneutica secondo Ferraris: vedere ciò che c’è: una comprensione immediata è esclusa e si deve piuttosto postulare il primato del fraintendimento, poiché fraintendere è una condizione pili diffuso e normale da intendere. Comprensione e interpretazione Parlare di comprensione vuol dire considerare un altro scorcio. la possibilità di capire una spiegazione, un ragionamento logico o un costrutto formale richiede un qualche tipo di predisposizione e un modo di essere particolare dell'intelligenza, e per certi versi anche della percezione; la comprensione è un processo del tipo tutto o niente. L'interpretazione invece non ha un limite inferiore, ma un limite da cui qualcuno è escluso, così come non vi è un criterio di correttezza in base alla quale stabilire in maniera definitiva che un' interpretazione è sbagliata. Queste osservazioni ci fanno intuire perché difficile come una psicologia della scienza: sarebbe stravagante far diventare un oggetto di indagine psicologica un'attività che non si capisce appieno, che non si è in grado di esperire direttamente e i cui risultati sono confinati in un territorio per certi versi inaccessibile. Supponendo che una serie di circostanze decisamente sfortunati ci provassero della Cappella Sistina e di tutte le copie esistenti del “Trattato sulla chimica” di Lavoisier > il danno per la scienza sarebbe oltremodo contenuto, non tanto perché si tratta in questo caso solo di un libro ma perché il danno riguarderebbe solo gli storici della chimica, e non i chimici di oggi, la maggior parte dei quali certamente non solo non ha letto, ma nemmeno sfogliato il Trattato. Quel libro non riveste più nessun interesse e quindi la sua perdita costituirebbe un danno molto relativo. La stessa cosa non si potrebbe dire per l'opera di Michelangelo che si tratta di qualcosa di insolubile negli sviluppi e nelle trasformazioni dell'arte successiva; è vero che l'arte dopo Michelangelo non potrà che essere diversa da prima, ma non potrà mai contenere tutti i contributi e le invenzioni michelangiolesca in maniera così completa, come la chimica successiva a Lavoisier ne contiene gli apporti. Il contributo del chimico sta nel suo pensiero e nella sua soluzione del problema affrontato, il cui senso può essere compreso, anche senza leggere la sua opera; il contributo di Michelangelo sta tutto nel modo in cui le sue idee sono state messe in forma dell'affresco e non potrà essere compreso o anche solo intuito. Il risultato di Lavoiser è indipendente dal modo in cui l'autore lo ha esposto, quello di Michelangelo e inesistente in assenza di quella forma. Se si mettono a confronto le opere di Shakespeare e Lavoisier, lo strumento utilizzato è uguale ma il concetto è diverso. Nel caso di un'opera d'arte e stanno un può sopportare nessuna variazione, o trascrizione, insolubile negli sviluppi successivi dell'arte; ci può essere uno sviluppo solo conservandone l'integrità, perché essa risiede quella continua attualità che ne consente una nuova interpretazione. Qui si vede la differenza fra comprensione e interpretazione: il contenuto del libro di Lavoisier è compreso nella stessa maniera da tutti, mentre l'Amleto di Shakespeare può essere interpretato in un numero infinito di modi, ma ognuno di essi non è quello definitivo. Scienza Non può prescindere da un atto di fede realista Mondo naturale esterno rispetto all' osservatore ed è osservabile da tutti — pubblico Osservando è possibile scoprire teoremi e leggi che spieghino il funzionamento del mondo, anche se incerti Arte Può prescindere da qualsiasi atto di fede realista I risultati artistici non devono far riferimento al mondo esterno a chi li osserva I risultati artistici sono incerti, come i paesaggi che non sono né stabili, né definibili Tali leggi e formule sono possibili di verifica e la Non c'è un giudizio del tipo corretto-errato valutazione riguarda la loro corrispondenza con il mondo che è sempre a disposizione per verifiche Sulla base dei teoremi corretti vengono elaborate L’arte è costituita dall’insieme composito e teorie unificanti e complessive che non sono invece diversificato d’arte completamente certe; L’accumularsi delle certezze dei teoremi scientifici dimostrati alimenta all' incertezza della scienza, mentre l' accumularsi delle incertezze dei prodotti artistici alimentare la certezza dell’arte; mentre la scienza deve dimostrare il suo riferimento al mondo, l'opera d'arte dimostra solo il riferimento all'arte. SCIENZA E ARTE: FALSIFICAZIONI E FALSI Qual è il prodotto dell’arte? E quale della scienza? Il primo è un oggetto materiale che non può esistere senza forma, come puro concetto; l'oggetto d'arte non può esimersi dall'avere una forma. Mentre un risultato scientifico o filosofico sarà tanto più vero, quanto più sarà ripetuto, rifatto, smontato e rimontato, mentre un infezione dada o concettuale sarà tanto più falsa quanto più sarà ripetuta. Il prodotto della scienza è indipendente dall' oggetto materiale che lo veicola. Il valore di un risultato scientifico è completamente indipendente dal modo e dalla forma in cui si presenta nella prima formulazione, mentre l'opera d'arte ha solo una prima e un'ultima formulazione e da essa dipende il suo valore. Nel campo delle arti visive si ha cercato di descrivere in termini numerici le caratteristiche estetiche dei prodotti artistici. arte e scienza producono in maniera diversa, ma anche gli oggetti della loro produzione sono indiscutibilmente diversi, si si richiede a chi vi si accosta atteggiamenti a loro volta differenti. Nel caso dell'arte il prodotto definitivo e la presenza materiale della sua forma che tutti possono vedere e in misura variabile interpretare; nel caso della scienza il risultato è una formula di poche righe, frutto di un'analisi rigorosa e di ragionamenti impeccabili. HADAMARD E LA PSICOLOGIA DELLA MATEMATICA Jacques Hadamard riprende il contenuto di un ciclo di conferenze tenute a New York sulla psicologia dell’invenzione matematica. Per Hadamard il questionario è uno strumento non sembra affidabile, che consente di porre domande poco importanti come l'influenza delle condizioni metereologiche e di tralasciare altre, come la natura delle emozioni provate; le emozioni potevano favorire oltre alla produzione poetica, altri generi di creazioni come quella matematica. Mentre gli errori non costituiscono un problema perché facilmente come si fanno si correggono, gli insuccessi costituiscono delle perdite che non possono essere recuperate. Il rilievo che interrogarsi sugli insuccessi non ha minore importanza che interrogarsi sui successi, è vero per tutte le occasioni. se applicato alla matematica o alla scienza, l'insuccesso sarebbe dato dal non vedere qualcosa che sia sotto gli occhi, che è proprio la pronto per essere afferrato. È certo che lo psicologo che dovesse essere direttamente coinvolto nella questione si troverebbe di fronte alla grave difficoltà di dover affrontare un problema che riguarda fatti, non solo sconosciuti per lui, a meno di casi eccezionali, ma anche scarsamente comprensibili. L'aspetto difficile è quello di stabilire quando e in che senso due argomenti matematici che non conosce, e probabilmente non è in grado di capire, siano vicini e quando si possa parlare di soluzione a portata di mano. La visualizzazione Hadamard è completamente dalla parte dei sostenitori dell'utilità: “ritengo che, quanto più difficile e intricato e il problema, tanto più bisogna diffidare dalle parole e tanto più sentiamo di dover controllare quel sentiero pericoloso e la sua precisione, che a volte può essere infida”. Per il pensiero già socializzato e per quello che viene socializzato, il sistema disegni più usato è il linguaggio propriamente detto; ma il pensiero interiore, e in special modo quello creativo, utilizza volontariamente altri sistemi di segni più flessibili, meno standardizzati del linguaggio e che lasciano al pensiero creativo più libertà e più dinamismo. SCIENZA E ARTE: RISCOPRIRE E IMITARE Riguarda la costruzione dell'informazione grazie ai sensi non alla interpretazione. Comprendere il modo in cui l’informazione sensoriale (informazione che è in grado di stimolare i recettori sensoriali) è organizzato in unità significative può essere un passo importante nella comprensione profonda delle dinamiche di comunicazione tra organismi viventi. L'esperienza passata è un fattore di tipo empirico: a parità di altre condizioni, il campo visivo si strutturerebbe anche in funzione delle nostre esperienze passate, in modo che sarebbe favorita la costituzione di oggetti con i quali abbiamo familiarità. Il ruolo dell’esperienza passata risulta essere marginale, se messa in conflitto con altri fattori quali la buona continuazione, la chiusura, ecc. Sotto vedete una figura modificata da Michotte. Pur sapendo che uno solo di quelle tre strutture è un triangolo, non riuscite a fare a meno di vedere tre triangoli completi quando la figura è parzialmente occlusa nelle sue parti critiche da una striscia. Il fenomeno illustrato da questa figura si chiama completamento amodale. La figura non necessita di interpretazione: vediamo tre triangoli senza dover pensare. È vero che i triangoli sono a noi figure note. Il fatto è che anche quando sappiamo che una sola delle di quelle strutture occluse è un vero triangolo, una volta occlusa di nuovo non riusciamo a non vedere i tre triangoli. Con lo sviluppo delle scienze informatiche, della teoria dell’informazione, e degli studi sull’intelligenza artificiale, si è andato delineando un nuovo approccio al comprensione di come funzioni il sistema visivo. Il più autorevole tra questi approcci è stata la teoria computazionale di David Marr (1982). ° ns La teoria di Marr comporta 4 stadi, $ |piùelaborazione| m oltre all’acquisizione dei dati sensoriali dA 7 1 g x (stimolo prossimale): “ È gd =] i N i ® Image-based_ stage: consiste Processi di E |Piùelaborazione | 3 Processi ige-base I segmentazione = ci _ inferenzialidi nell’analisi dello stimolo e È a 5 8 natura prossimale per estrarre organizzazione S $ j è & probabilistica, caratteristiche tipo i contorni. basatein 3 5 EROS 2 5 5 passa su = Questo stadio porta alla en " Î & NC CA e formazione di uno “schizzo principi E 5 presenti nel rimario”: gestaltici Ò 5 sistema P 7 N È Ennegdoa inca = ( * Surface-based stage: il sistema ‘e visivo recupera proprietà u Luce inerenti le superfici, determinando anche la distribuzione delle superfici (surface layout). In questa fase il sistema crea quello che Marr definiva uno schizzo a due dimensioni e mezzo (2.5 D sketch); * Object-based stage: il completo recupero delle proprietà tridimensionali delle superfici, che avviene attraverso la ricomposizione e l’integrazione di informazione presentata dal 2.5 D sketch; * Category-based stage: recupero di proprietà funzionali degli oggetti che servono a guidare l’azione nell’ambiente e a decidere le strategie future. Il laboratorio delle forme Raccogliamo informazione tramite i nostri sensi. L'informazione sensoriale per essere utilizzata deve essere organizzata in unità. Il modo in cui i sistemi sensoriali raccolgono ed elaborano l’informazione sensoriale in entrata è specifica per ciascun senso, ma i principi generali sottostanti l’organizzazione dell’informazione è simile nei diversi sistemi sensoriali. Le unità percettive (un oggetto, un suono, un odore, ecc.) sono informative, cioè hanno un dato significato, perché posseggono una data “forma”. I nostri processi cognitivi lavorano con le forme, cioè con le strutture emerse dai processi di organizzazione sensoriale, non con l’informazione sensoriale grezza. La vita sociale è il risultato di interazione e scambio di informazione tra gli individui. Questo processo articolato è chiamato comunicazione. La vita sociale è caratterizzata dalla comunicazione di tipo aperto che rimane attiva se è alimentata da una continua invenzione ed immissione di nuove forme. Le forme perdono potere comunicativo in funzione del loro uso: una forma usata molte volte ha, a livello teorico, meno potere di una forma inventata da poco. L’arte è uno di quegli ambiti in cui è portata avanti la ricerca di nuove forme aventi potenzialità comunicative. Non tutta la ricerca artistica finisce col fornire nuove forme alle esigenze più diverse della comunicazione quotidiana, ma vi è un’osmosi tra i due livelli. Infatti gli elementi della comunicazione quotidiana possono avere una importante influenza sulla ricerca artistica. es. Lichstein prende dai fumetti, warhol prende zuppa dal supermercato ec.. I vissuti che ogni persona può esperire durante la propria esistenza, nonché le esperienze emotive, sono spesso molto simili tra loro, ma allo stesso tempo diversi sia per il contesto che caratterizza l’esperienza, sia in base al modo in cui sono rappresentate (o ricordate). In arte è soprattutto la forma che si carica della diversità, e quindi del processo di innovazione. Tra le forme “peggiori” e quelle più “sublimi” vi è una continuità di realizzazioni che soddisfano una richiesta generalizzata e scalare di modelli da cui attingere le forme del comunicare. Tutte le epoche ed i periodi storici sono caratterizzati da una certa unità di stile che non riguarda solo l’arte, ma tutte le manifestazioni dell’attività umana. Lo stile riguarda anzi tutto la scelta di forme, e non necessariamente di contenuto. In tal senso l’arte di un determinato periodo storico tende a fornire modelli utili alle attività in cui la componente della comunicazione è rilevante. Ovvero, l’arte nutre lo stile di un’epoca, nutrendosi a sua volta di contenuti emergenti dall’epoca in cui è nata l’opera. Che fine ha fatto il contenuto? A livello di opera conclusa, forma e contenuto sono elementi inseparabili. La pura forma non esiste: ogni forma veicola anche un contenuto (se non altro perché innesca un processo di interpretazione). Tuttavia, nella pratica del fare arte, queste due facce della stessa medaglia possono, o meglio devono, essere temporaneamente separate. Per esempio, nelle cosiddette belle arti, una volta definito il contenuto, è la forma ciò di cui l’artista deve preoccuparsi: concentrandosi sulle qualità estetiche della forma, l’artista può mettere in evidenza aspetti inediti del contenuto. Secondo Massironi l’arte svolge un ruolo concreto e funzionale in termini di una ricerca attiva mediante cui vengono scoperte, sperimentate e verificate le forme che alimentano la comunicazione di tipo aperta. In arte, “la forma della comunicazione deve essere in buona misura libera anche rispetto ai contenuti”. Due scuole a confronto: l’oggettività lenticolare del Rinascimento nordico e l’oggettività prospettica del Rinascimento italiano. In 26 cm del dipinto a destra sono racchiusi molti dettagli. Parlando di Masaccio, i piedi sono perfettamente appoggiati la suolo per via delle Pro Rinascimento: ns Jn ra Eyck perline dll aa di Alari ren (1425-20 Bene ande amine Sven "© Piece el buo dela mera (14827 Gg Sere — ombre, sono un elemento cruciale per collocare gli oggetti nel spazio. Rappresentazione di piante ed animali nel secondo Rinascimento Ulisse Aldrovandi (1522-1605) e la necessità di classificare la natura: rifare l’inventario del mondo in base ai metodi dell’osservazione diretta. Prima si raccoglievano testimonianze di esploratori spesso inventate oppure nascevano come libri scientifici senza base empirica. I limiti della descrizione verbale possono essere superati mediante l’ausilio di immagini. Al fine di soddisfare le esigenze di una nuova oggettività, agli artisti è richiesto di rinunciare alla propria ricerca stilistica, alla propria esplorazione nel campo delle forme. Aderiscono alla chiamata d’armi degli scienziati naturalisti quegli artisti che, dotati di un gran virtuosismo, non sono però innovatori nel campo dell’arte. Ciononostante, questa collaborazione produrrà anche esiti in campo dell’arte, come il fiorire di un nuovo genere pittorico, la natura morta. La produzione doveva dare forma alle configurazioni, si doveva mostrare in modo inequivocabile com'era fatta la pianta, la prospettiva in questo caso non era importante. ARTE E POTERE Fino al 1800 le forme e contenuti venivano scelte dai committenti, che sceglievano anche gli artisti per preferenza stilistica (e per la possibilità di pagare); quando gli artisti si misero in proprio, nascono i mercanti d’arte che avranno minor potere di scelta rispetto alla volontà del pittore. Nacquero gli stati totalitari che si confronteranno con le avanguardie. Alle immagini sono state attribuite fin da epoche arcaiche attributi magici, finalità celebrative, funzioni simboliche, e in tal senso l’arte è stato spesso al servizio del ‘potere’. Molti dipinti di sovrani sono commissionati per celebrare i sovrani, come si rappresentavano le battaglie per elogiare la fazione vincente. Il ‘potere’ (la persona o il gruppo di persone che reggono i destini di altre persone mediante scelte politiche, economiche e sociali) ha usato l’arte per illustrare e comunicare le proprie conquiste, i propri intenti, i propri valori, la propria giustificazione. La prima impressione che si ha guardando Tiziano Vecellio, Ritatto del Doge Andrea Gritti (1545, Washington, National Gallery of Art), è quella di serietà, imponenza, in cui si riconosce la potenza commerciale e politica; nel ritratto di Diego Rodriguez de Silva y Velàzquez, Don Diego de Acedo (El Primo) (1645, Madrid, Museo del Prado) si vede la contrapposizione tra le forme (lui era affetto di nanismo), che fa trasparire una potenza intellettuale, diversa da quella del doge di Venezia. Il doge non guarda noi, è come se ponderasse il problema, El Primo ci sta guardando in modo passivo, lui sa della nostra presenza, ma malinconicamente sta riflettendo. L’insofferenza alla pura celebrazione e alla funzione propagandistica imposta dalle autorità comincia già a serpeggiare dalla seconda metà del 1500; diventa programmatica con le avanguardie del novecento. Le avanguardie sono uno “schiaffo” all'accademia, e verso la classe borghese, che poco dopo diventa il potenziale cliente; più l’artista era dirompente, più sembrava accrescere il valore dell’artista e le sue opere (il gioco veniva giostrato dai mercanti che creavano scandalo e desiderio). Non è un gioco limpido, perché l’artista deve vivere delle sue opere, fa arte perché c’è l’esigenza di comunicare in un altro modo, ma si possono fare un sacco di soldi facendo arte, e lì scatta in gioco la necessità di vivere. Lo scontro si fa frontale con l’avvento del Nazismo, che bolla le avanguardie del novecento come “Arte degenerata”. “Le opere d’arte che non si possono comprendere, ma richiedono una quantità esagerata di spiegazioni per provare il loro diritto di esistenza come tali e per giungere a quei neurotici sensibili a tali stupide e insolenti assurdità, non capiteranno più pubblicamente tra le mani dei cittadini tedeschi. Che non vi siano illusioni! Il nazionalsocialismo ha intrapreso l’epurazione del Reich tedesco e del nostro popolo da tutte quelle influenze che ne minacciano l’esistenza e il carattere. [...] Con l’apertura di questa esposizione è giunta la fine della follia artistica e della contaminazione del nostro popolo nel campo dell’arte.” Adolph Hitler, Discorso d’apertura della “Casa dell’arte tedesca” in Monaco, 18/07/1937. La prima frase (fino a “...cittadini tedeschi”) può essere condivisa, perché tutti hanno un loro gusto, e molte volte non si capisce come le avanguardie potessero essere definite opere d’arte; per il resto della frase si vede l’anima della dittatura: “bisogna fare quello che dice il dittatore”. La ricerca artistica vuole mettere a nudo le contraddizioni, il che andava contro la società sotto dittatura; questo portò immobilità artistica e comunicativa. Goebbels organizza una mostra di “arte degenerata” a illustrazione delle ragioni del Fiirer. La mostra itinerante ebbe un successo inaspettato di visitatori. Questa mostra ebbe un successo incredibile, e creò imbarazzo per la creazione effettiva di un museo di arte contemporanea (luogo aperto per nuove idee); subito dopo averlo capito venne chiusa. Una delle caratteristiche è che si pensava che il iperrealismo fosse la massima aspirazione dell’artista, che doveva avere lo scopo di “mettere a disagio” lo spettatore, per smuovere qualche emozione. "Vorrei quindi, oggi in questa sede, fare la seguente constatazione: fino all'ascesa al potere del Nazionalsocialismo c'era in Germania un' arte cosiddetta "moderna", cioè, come appunto è nell'essenza di questa parola, ogni anno un'arte diversa. Ma la Germania nazionalsocialista vuole di nuovo un’"arte tedesca", ed essa deve essere e sarà, come tutti i valori creativi di un popolo, un'arte eterna. Se invece fosse sprovvista di un tale valore eterno per il nostro popolo, allora già oggi sarebbe priva di un valore superiore. Quando fu posta la prima pietra di questa casa, ebbe inizio la costruzione di un tempio non alla cosiddetta arte moderna, ma una vera ed eterna arte tedesca, o meglio: si erigeva una sede per l'arte del popolo tedesco non per una qualche arte internazionale del 1937, '40, '50 o '60. Perché l'arte non trova fondamento nel tempo, ma unicamente nei popoli. L'artista perciò non deve innalzare un monumento al suo tempo, ma al suo popolo. Perché il tempo è qualcosa di mutevole, gli anni sopravvengono e passano. Ciò che vivesse solo in grazia di una determinata epoca dovrebbe decadere con essa. Questa caducità dovrebbe toccare non solo ciò che è nato prima di noi, ma anche ciò che oggi nasce davanti ai nostri occhi o che solo nel futuro troverà la sua forma. Sappiamo dalla storia del nostro popolo che esso si compone di un certo numero di razze più o meno differenziate, che nel corso dei secoli, sotto l'influsso plasmante di un nucleo razziale dominante, hanno prodotto quella mescolanza che oggi noi abbiamo dinanzi agli occhi appunto nel nostro popolo. Questa forza che un tempo plasmò il popolo, che perciò tuttora agisce, risiede nella stessa umanità ariana che noi riconosciamo non solo quale depositaria della nostra cultura propria, ma anche delle antiche culture che ci hanno preceduto. Nei vari manifesti ci vuole essere una ricerca artistica, anche per la donna che viene posta al pari dell’uomo, fino a sfociare nella collaborazione tra Cina e Russia. L’arte è completamente al servizio della propaganda. I GRAFFITI I graffiti è sia un codice grafico non ufficiale, sia, ad eccezione di pochi casi, un’arte non ufficiale. Il graffitismo di Haring ha molti punti in comune con lo stile precolombiano, non solo per l'horror vacui che caratterizza spesso le opere, ma anche per il modo in cui le forme sono trattate: stilizzazioni che permettono giochi di incastri. In entrambi i tipi di opere c’è un forte aspetto ludico: l’osservatore è invitato a cercare parti e a ricomporre la scena. “Writing graffiti is about the most honest way you can be an artist. It takes no money to do it, you don't need an education to understand it and there is no admission fee.” (Tristan Manco, 2002) L’asserzione di identità individuale è forse il tema più popolare e prevalente dei scritti di graffiti. Quello di scrivere o incidere il proprio nome o soprannome (nickname) è però una tradizione antica, che risale ai tempi dei gladiatori, i quali non solo iscrivevano i loro nomi ma li accompagnavano con simboli e disegni. La sfida: Quand’è che un graffiti diventa un’opera d’arte e cessa di essere un atto di vandalismo? Quand’è che un writer diviene artista? Può un writer divenire artista? Oppure è comunque artista per il solo fatto che si “esprime”? Casi reali La Stampa (19/04/2013) - Il writer Daniele Nicolosi, in arte Bros, rinnova il suo connubio con Milano, la città dov'è nato nel 1981 e che, nel 2003, lo ha reso famoso, lasciandosi tappezzare dagli omini cubici colorati che sono la cifra distintiva dell'artista. Dal 2007 arrivano le mostre in sedi prestigiose, come Palazzo Reale e il Padiglione d'Arte Contemporanea. La stessa Milano, però, a un certo punto trascina Bros dagli altari alla polvere: in quello stesso 2007 viene fermato dalla polizia mentre dipinge su un muro. Rischia una multa pari a una cifra a quattro zeri e passano anni prima che venga prosciolto dalle accuse. Sgarbi, in quell'occasione, lo descrive come un redivivo Giotto. Ora, sempre a Milano, in vista della prossima Esposizione Internazionale, martedì prossimo 23 aprile, sarà inaugurato un nuovo progetto firmato da Bros: il Padiglione Natura, un ampio intervento pittorico realizzato sulla facciata di un fabbricato che ospita alloggi popolari. L'obiettivo del progetto, che rientra in una ricerca sul paesaggio urbano, è concentrare l'attenzione del pubblico sulle trasformazioni che hanno interessato la fisionomia delle nostre città. RISCHIANO FINO A 2.500 EURO DI MULTA E GLI ARRESTI DOMICILIARI. Scritte su Duomo e monumenti I writers per la prima volta a processo. Il Comune si costituisce parte civile. «Chiesti danni materiali e d'immagine». L'accusa: «Imbrattatori». MILANO - Cinque writers, un solo capo d’imputazione: imbrattamento. È l’accusa al ventenne che ha lasciato la firma su un muro laterale del Duomo; al vandalo non più giovanissimo, 33 anni, che ha schizzato di vernice un finestrone della Rotonda della Besana; ai taggers di 23 e 29 anni che hanno bombardato la scuola di via Baravalle e al brasiliano di 24 anni che ha svemiciato un palazzo di via Gian Galeazzo. Sono «i primi» cinque graffitari a finire sotto processo: la Procura ha fissato le udienze per il 3, il 4 e il 30 giugno. Il Comune si costituirà parte civile e chiederà ai responsabili i danni materiali e d’immagine. Stavolta, più che l’annuncio, conta il messaggio di Palazzo Marino: «Gli imbrattatori vengono presi e puniti». Rischiano fino a 2.582 euro di multa e trenta giorni di arresti domiciliari. Operazioni Mani sporche (di vernice), arrivano i primi procedimenti penali. Gli sgorbi sui muri approdano «per la prima volta» in Tribunale. Cinque vandali si rimettono alla clemenza del giudice di pace. Un risultato «importante», commenta il vicesindaco Riccardo De Corato, ché «la battaglia a tutela del decoro» passa anche per momenti emblematici e «sanzioni simboliche », della serie colpirne uno per scoraggiarne cento e più, «conta l’effetto deterrente ». Alla larga dai muri di Milano, giovani e non giovani vandali, lontani dai monumenti, dalle chiese e dai 53mila palazzi privati: in due il Comune ha già speso 25 milioni in pulizie. Tanti. «Troppi». Quanti ne ha stanziati la Provincia per il fondo anticrisi e la Regione in ecoincentivi. Non solo: a questi 25 milioni di euro vanno aggiunti i turni straordinari pagati ai vigili per la caccia notturna ai writers. Chiosa De Corato: «La mia speranza è che le corti giudicanti siano severe». Cercateli sui muri. Bros, Frode, Shane, Pane, Dalla, Virus, Slash, Resto, Bsm, Jack e Terno. Sono alcuni dei 42 imbrattatori segnalati all’autorità giudiziaria nel 2008. Fermati e denunciati in flagranza di reato dal Nucleo decoro urbano dei vigili urbani, polizia e carabinieri. Italiani e stranieri. Tredici hanno meno di 18 anni e sono loro il prossimo obiettivo del Comune. Motivo: la Procura dei Minorenni tende a graziarli, a considerare le loro scritte sui muri peccati veniali o «reati bagatellari », per dirla con il vicesindaco. In qualche caso è mancata la querela di parte o è stata ritirata. Le posizioni di altri nove giovanissimi sono state archiviate: i pm hanno considerato «irrilevanti» gli attacchi messi a segno in piazza Duomo, al monumento in largo Grassi, in via Ausonio, Ludovico il Moro e all’ex scalo Romana. «Devo constatare che la Procura dei Minorenni non ha recepito interamente l’appello del sindaco», attacca De Corato. Insomma: il presidente Mario Zevola sarebbe troppo «morbido». La linea dura è uscita da un vertice in Prefettura il 14 gennaio scorso. Lì, a Palazzo Diotti, Letizia Moratti aveva chiesto «più severità» sul tema writers a Zevola, al sostituto procuratore Riccardo Targetti (coordinatore del pool anti-graffiti) e al coordinatore dei giudici di pace, Vito Dattolico. Due le possibilità d’intervento definite e promosse: la querela in Procura (si procede d’ufficio solo nel centro storico) e il ricorso diretto al giudice di pace. Due strumenti insieme con un appello rivolto agli amministratori di condominio: «Denunciate sempre il danno». «ARTE O VANDALISMO: RESTA IL DILEMMA» - Il 28enne milanese, tra i più noti esponenti della «street art» europea, che ha tra l’altro esposto le sue opere al Pac e al Palazzo Reale del capoluogo lombardo, non è stato quindi condannato ma nemmeno assolto nel merito delle accuse, dato che il giudice non ha sancito, come l’artista sperava, che i graffiti sono arte e non imbrattamento, o peggio vandalismo. Uno scontro culturale ancora prima che giudiziario, che ha contrapposto in questo processo accusa e difesa, con quest’ultima che aveva chiesto l'assoluzione con formula piena per Bros, reo solo di aver esercitato la propria arte. L’imbrattamento è un reato che, con la riforma del luglio 2009, ha visto un inasprimento delle pene e il passaggio della competenza dai giudici di pace a quelli dei tribunali ordinari. E il processo a Bros era il primo a venir celebrato con le nuove norme. «Con questa sentenza non si è risolto di certo l'enigma tra arte e vandalismo», ha commentato Bros. Sulla concezione del graffito come opera d'arte, aveva puntato molto la difesa del giovane writer, che aveva chiesto l'assoluzione con formula piena. «Sono contento perché non dovrò pagare tutti questi soldi», ha spiegato il giovane, che ha chiarito inoltre che avrebbe preferito «un'assoluzione nel merito». Per il futuro, ha concluso, «non cambia niente, io continuerò a portare in giro la mia arte». «Il paradosso è che potrebbe essere un giudice, in caso di mia assoluzione, a riconoscere la nostra arte, malgrado l’accanimento del Comune di Milano contro di noi». Parla Daniele Nicolosi, 28 anni, in arte “Bros”, noto writer milanese che ha esposto le sue opere al Pac e a Palazzo Reale, e che oggi si è presentato alla prima udienza del processo che lo vede imputato per imbrattamento di alcuni edifici della città. Quello che si è aperto oggi davanti al giudice monocratico della sesta sezione penale di Milano è il primo processo in Tribunale a un writer, dopo la riforma del luglio 2009 che ha inasprito le pene per il reato di imbrattamento (articolo 639 del codice penale), facendo passare la competenza dai giudici di pace ai tribunali ordinari. «In altre città, come Amsterdam ad esempio — ha spiegato “Bros” — la “street art” viene valorizzata e si danno spazi agli artisti per lavorare». A Milano, ha proseguito il writer, definito dall’ex assessore milanese Vittorio Sgarbi il “Giotto moderno”, «c’è un accanimento impressionante dell’amministrazione comunale contro di noi». Il Comune di Milano oggi, attraverso l’avvocato Maria Rosa Sala, si è costituito parte civile in qualità di «ente danneggiato», allegando una corposa documentazione. “Bros” è accusato di aver imbrattato la sede di una società il 29 novembre 2007 (il titolare ha però rimesso la querela) e, in un periodo precedente, di aver realizzato graffiti sulle mura esterne del carcere di San Vittore, su una tettoia di una fermata della metro e su altri edifici del centro. I suoi legali, Giuseppe Iannaccone e Guido Chiarloni, hanno eccepito la nullità del capo di imputazione, non essendo specificati, a loro dire, alcuni degli edifici che sarebbero stati imbrattati. Per gli avvocati, inoltre, la competenza a decidere è del giudice di pace. Il processo è stato rinviato al 19 maggio. Arte o atto vandalico? Il writer si contraddistingue per le scritte illeggibili, un’evoluzione del lettering, ovvero della trasformazione delle lettere per finalità estetiche: le lettere diventano oggetti morbidi, gommosi, duri, metallici, ecc, e la parola, da segno puramente semantico, si carica di dinamicità visiva. Twen e Bros sono forse due stadi di un’evoluzione che da writers porta ad essere artisti urbani. Quasi tutti gli street artists nascono con i tags, ovvero con quelle firme veloci e molto elaborate che si ritrovano un po’ ovunque negli spazi urbani. Scopo di questo tagging ossessvio è quello di farsi notare, dichiarare la propria esistenza, segnare il “proprio” territorio. Pare che la cosa abbia avuto inizio a Philadelphia nel 1967, quando un certo Darryl McCray, in arte Cornbread, ha inziato a segnare tutta la città per farsi notare da una ragazza di cui s’era innamorato. Lo sviluppo successivo è forse quello che siamo più propensi a considerare forma d’arte. Ovvero la creazione di opere visive in cui alla forma figurativa è associato un contenuto che va oltre una mera dichiarazione di esistenza da parte di un writer, per quanto elaborato questo sia. Arte o atto vandalico? Una cosa è certa, il momento in cui un artista di graffiti entra a far parte di una galleria, la sua opera viene immediatamente qualificata come arte. Pubblicato il 7\12\2005 - Anche in Italia abbiamo i nostri Haring e Basquiat, street artist "prestati" (qualcuno dice "venduti") al sistema dell'arte ufficiale. Dopo aver a lungo praticato l'anonimato e l’attività di riappropriazione degli spazi pubblici, specie nell’area bolognese, oggi Blu ed Erica il Cane, da qualche tempo uniti in un sodalizio creativo particolarmente fecondo, sembrano destinati a passare dalla clandestinità all’ufficialità, dalla frequentazione dei centri sociali a quella dei salotti chic del rutilante mondo dell’arte. Mostre, pubblicazioni monografiche a quattro mani, collaborazioni con riviste specializzate, gallerie che ci stanno facendo più d’un pensierino. L’ultima uscita, la ricorderete, addirittura nella collettiva superfighetta Untitled all’ex Faema di Milano, Zonaventura. Per i più è stata una scoperta, con quel loro muro di fondo “impacchettato” a proteggerlo dal vandalo gesto. Per noi di Exibart, che Blu lo segnalammo già nel 2001 (con un ampio articolo addirittura di Alfredo Sigolo) e dunque in tempi non sospetti, solo la conferma del nostro occhio lungo. Ma per la serie “noi preferiamo ricordarli così”, ci va di cogliere l'occasione di una recente partecipazione dei due ad un festival internazionale di artisti strada in Nicaragua, per mostrarne un lavoro che oltre ad essere bello, ha anche un particolare significato sociale e storico. Il festival “Murales de octubre” infatti è un progetto di arte pubblica, curato da Alicia Zamora e Stefeno Questioli, che ha visto la partecipazione di artisti nicaraguensi, italiani, guatemaltechi e costaricensi per ricordare, commemorare e protestare contro la cancellazione, negli anni ’90, dei murales nella Av. Bolìvar, dipinti negli anni ’80 e divenuti simbolo della rivoluzione sandinista. si può reperire il brano. Se autore e data compaiono immediatamente prima della citazione letterale del brano, allora basta il numero di pagina tra parentesi alla fine del brano. IL RITORNO DEI dAdA? Il dAdA è un movimento artistico il cui esponente più famoso è Duchamp. Il termine “dAdA” deriva da un’espressione dei bambini, che fa riferimento al “papà”, ma in verità significa nulla: il movimento artistico è lo scagliarsi contro la concezione contemporanea dell’arte. Duchamp parla della “Fontana” come uno smascheramento di ipocrisie sottostante ai gruppi artistici, proponendo l’improponibile. Trasfigura un oggetto, che da lì in poi diventerà di uso comune tra gli artisti. Anche Magritte nella sua opera “Questa non è una pipa”, denuncia l'inganno dell’immagine, ovvero il fatto che l’immagine ci mostra qualcosa che non è; opere che ci mostrano dei costrutti cognitivi. Leci n'est pas une pipe. (? Magritte \ Bansky). Bansky fa “il verso” a Magritte, perché non è più l’inganno dell’immagine ma l'inganno del fruitore, perché la rappresentazione del tubo idraulico in francese “pipe” significa “tubo”. Un personaggio strappò il suo Bansky per farne aumentare il valore, ma il mercato dell’arte punta sull’originalità, e quindi doveva essere distrutta dall’artista stesso. Determinate operazioni devono avere un luogo e un tempo. The Walled Off Hotel Dal sito: Is this a joke? Nope - it's a genuine art hotel with fully functioning ensuite facilities. Is it safe? Yes. The hotel is located in a bustling area fully open to tourists from across the world. It has all the restaurants, bars and taxis you'd expect. We're 500 metres from the checkpoint to Jerusalem and a mile from the centre of Bethlehem. The official British Foreign Office advice declares it an entirely safe place to visit - and like any holiday you should check the FCO website or equivalent before travelling. Is it anti-Semitic? Definitely not. The Walled Off Hotel is an entirely independent leisure facility set up and financed by Banksy. It is not aligned to any political movement or pressure group. Our Palestinian management and staff offer an especially warm welcome to young Israelis who come with an open heart. Are you just making a profit from other people's misery? The hotel is now an independent local business. The aim is to break even and put any profits back into local projects. Questo hotel è un’azione di protesta contro una politica palestiniana che condanna gli israeliani. Alla gente viene chiesto di creare, scrivere, per testimoniare il loro disappunto per la politica che divide i semiti e gli israeliani. Una delle ipotesi dell’identità di Bansky è Damien Hirst https://www.damienhirst.com/ Arte e Comunicazione - Massironi Il termine comunicazione si riferisce a molti processi diversi, uno dei quali è la capacità, ma anche la necessità, che gli umani hanno di mettere in comune e condividere conoscenze, emozioni ed esperienze. È interessante notare che a fronte dell'approvazione individuale dei beni materiali è attiva e pressante l'esigenza sociale di condividere tutti gli altri diversi blocchi di informazione. Tutti i rapporti umani sono mediati dalla comunicazione anche se chi li pratica ha degli scopi, un sistema vivente che respira, si riproduce e si adatta è differente per il modo in cui utilizza le informazioni da una macchina che funziona in base ai principi della meccanica classica, il problema e nel modo in cui l'informazione viene definita, riconosciuta, orientata e utilizzata da specifici sistemi e all'interno di essi. La comunicazione è una caratteristica che delimita la sfera di tali rapporti a quelli nei quali un certo grado di libera partecipazione possa essere presente; si riferisce a due elementi indipendenti, ma collegati tra di loro in modo tale da permettere qualche tipo di scambio. emergono tre tipi diversi di comunicazione: rigida, vincolata e aperta. 1. La comunicazione rigida sia quando l'interazione fra gli elementi collegati e prodotta da un solo un mezzo che può avvenire in un solo modo. Si ha un solo elemento informativo che produce un risultato comunicativo prevedibile, l'informazione è una sola e circola in un solo modo. Se intervenissero dei cambiamenti si interromperebbe la comunicazione; 2. La comunicazione vincolata è prodotta da un numero limitato di mezzi e può avvenire in un considerevole numero di modi. Si ha un numero finito di elementi informativi che si possono ricombinare. l'informazione è Molteplice e segue regole di circolazione e funzionamento ripetitivo e prevedibile. Se intervenissero dei cambiamenti, modificherebbero il risultato; 3. La comunicazione aperta si ha quando i mezzi che i modi sono illimitate. Si ha un numero di elementi informativi che è infinito e si rinnova continuamente, ed inoltre è infinito il numero di risultati comunicativi che non si ripetono mai. In questo terreno le caratteristiche di ciò che chiamiamo informazioni non sono stabili e rigide, ma possono diventare informazione ciò che prima non lo era e viceversa. L’informazione deve rinnovarsi di continuo finché il processo di comunicazione rimanga attivo. Se intervenissero dei cambiamenti la comunicazione si rinnoverebbe. IL LABORATORIO DELLE FORME La nostra attività cognitiva elabora le informazioni raccolte dagli organi di senso a vari livelli: il livello più basso i dati stimolatori si organizzano in forme in maniera automatica e veloce, indipendentemente dalla nostra volontà. Sono le forme e non le citazioni sensoriali che vengono conservate nella memoria, che vengono catalogate e ordinate in concetti; non possiamo dare una definizione di forma perché la latitudine semantica del termine così ampia che non si riesce a comprenderla tutta nei limiti di una definizione, e perché il significato intuitivo, quello che ciascuno possiede di forma, rispecchia bene ciò di cui parliamo. Inoltre in qualsiasi contesto non viene utilizzato il termine forma a sproposito. La forma ha una base di semantica ampia e quindi piuttosto stabile. La comunicazione rientra in tale attività e si fonda anch'essa sulla continua rielaborazione invenzione di forme. L’arte e continuamente attiva nel ridefinire, ridisegnare ed esplorare i confini della comunicazione. Il modo in cui i sistemi sensoriali raccolgono ed elaborano l’informazione sensoriale in entrata e specifica per ciascun senso, ma i principi generali sottostanti l’organizzazione dell’informazione e simile nei diversi sistemi sensoriali. Le unita percettive (un oggetto, un suono, un odore, ecc.) sono informative, cioè hanno un dato significato, perchè posseggono una data “forma”. I nostri processi cognitivi lavorano con le forme, cioè con le strutture emerse dai processi di organizzazione sensoriale, non con l'informazione sensoriale grezza. La vita sociale e il risultato di interazione e scambio di informazione tra gli individui. Questo processo articolato e chiamato comunicazione. La vita sociale e caratterizzata dalla comunicazione di tipo aperto che rimane attiva se e alimentata da una continua invenzione ed immissione di nuove forme. Le forme perdono potere comunicativo in funzione del loro uso: una forma usata molte volte ha, a livello teorico, meno potere di una forma inventata da poco. L’arte e uno di quegli ambiti in cui e portata avanti la ricerca di nuove forme aventi potenzialità comunicative. Non tutta la ricerca artistica finisce col fornire nuove forme alle esigenze più diverse della comunicazione quotidiana, ma vi e un’osmosi tra i due livelli. Infatti gli elementi della comunicazione quotidiana possono avere una importante influenza sulla ricerca artistica. In arte è soprattutto la forma che si carica della diversità, e quindi del processo di innovazione. Tra le forme “peggiori” e quelle più “sublimi” vi è una continuità di realizzazioni che soddisfano una richiesta generalizzata e scalare di modelli da cui attingere le forme del comunicare. Tutte le epoche ed i periodi storici sono caratterizzati da una certa unità di stile che non riguarda solo l’arte, ma tutte le manifestazioni dell’attività umana. Lo stile riguarda anzi tutto la scelta di forme, e non necessariamente di contenuto. In tal senso l’arte di un determinato periodo storico tende a fornire modelli utili alle attività in cui la componente della comunicazione è rilevante. Ovvero, l’arte nutre lo stile di un’epoca, nutrendosi a sua volta di contenuti emergenti dall’epoca in cui è nata l’opera. Che fine ha fatto il contenuto? A livello di opera conclusa, forma e contenuto sono elementi inseparabili. La pura forma non esiste: ogni forma veicola anche un contenuto (se non altro perché innesca un processo di interpretazione). Tuttavia, nella pratica del fare arte, queste due facce della stessa medaglia possono, o meglio devono, essere temporaneamente separate. Per esempio, nelle cosiddette belle arti, una volta definito il contenuto, è la forma ciò di cui l’artista deve preoccuparsi: concentrandosi sulle qualità estetiche della forma, l’artista può mettere in evidenza aspetti inediti del contenuto. Secondo Massironi l’arte svolge un ruolo concreto e funzionale in termini di una ricerca attiva mediante cui vengono scoperte, sperimentate e verificate le forme che alimentano la comunicazione di tipo aperta. In arte, “la forma della comunicazione deve essere in buona misura libera anche rispetto ai contenuti”. (POSSIBILE DOMANDA APERTA) Il regista che parla del suo film farà riferimento al contenuto ma per realizzarlo sarà completamente assorbito dalla ricerca formale che meglio riveste il contenuto. La maturazione e scoperta delle forme e dei contenuti non si verificano contemporaneamente; può accadere che nuovi contenuti debbano trovare le forma adatte per diventare comunicazione e anche che la scoperta di nuove forme vadano alla ricerca di contenuti da veicolare. L'arte svolge il ruolo di costituire il terreno di coltura in cui vengono scoperte, sperimentate e verificate forme che alimentano la comunicazione. Kant affronta il tema della finalità dell'arte: la finalità soggettiva (bellezza) si contrappone a quella oggettiva (perfezione); per quanto riguarda quella soggettiva si distingue tra finalità empirica (piacere) e finalità apriori (sublime), mentre per la finalità oggettiva abbiamo la contrapposizione tra perfezione e utilità. L'arte pur non avendo alcuno scopo, assolve a quello di una comunicabilità universale. PITTURA E SCIENZE NATURALI Nella cultura occidentale c'è stato un periodo in cui la scienza dovette fare appello all' arte per risolvere dei problemi di comunicazione: la collaborazione divenne frutto di compromessi. La scoperta della prospettiva fece ritenere che l'obiettivo in seguito per secoli dai vettori di raggiungere la perfetta vero somiglianza fra raffigurato e osservato, fosse a portata di mano. Le regole prospettiche applicati i dipinti disegni avevano determinato un nuovo modo di osservare il mondo; Cassirer che ha lottato per il diritto della percezione, infatti imporre il diritto della percezione voleva dire passare dal vedere al guardare: non più vedere il mondo naturale attraverso il dettato dei testi classici, ma guardarlo con occhi liberi dei vincoli. guardare significa assumere un atteggiamento ingenuo e meravigliato, ma allo stesso tempo analitico e indagatore. La pittura si presenta come il mezzo adatto non solo a fissare e verificare le nuove coscienze, ma anche come lo strumento necessario della loro trasmissione; però, lo scienziato chiedeva all'artista di rinunciare proprio a ciò a cui l'artista era meno disposto a rinunciare, la sua personalità, ricerca ed esplorazione nel campo delle forme - gli chiedeva di trascurare il valore estetico delle pitture e di tenere sotto controllo maestria e virtuosismi. Perché in quel periodo vi è stata l'esigenza di tale collaborazione e ha effettivamente costruito un caso di integrazione fra arte scienza? L’arte non import o aspetti i contenuti della conoscenza scientifica, ma orientato nella direzione del suo ambito di ricerca le sollecitazioni e le curiosità che gli scienziati installarono al suo interno. GOEBBLES DADAISTA È noto che le arti figurative sono state uno strumento al servizio del potere politico e religioso. Il potere intrinsecamente mirato a espandersi e a perpetuarsi ed è perciò consapevole da sempre che la sua espansione, ma soprattutto la sua permanenza dipendono, oltre che dalla sua forza e dalle sue conquiste, da come forze conquiste sono comunicate. Il mito e un accumulatore di identificazione, quindi di consenso. Tutte le avanguardie all'inizio, qualunque sia l'esito della loro storia, hanno promosso qualche crociata contro il pensiero piccolo borghese, che però possedevo una sua intelligenza nel calibrare le risposte all' effetto peso delle azioni. Le avanguardie avevano ragione non solo nel campo dell'arte. La “casa dell'arte tedesca” e stato il coronamento di un capillare lavoro di epurazione della Germania dell’arte decadente, che aveva portato all' allontanamento dei musei tedeschi circa 6500 opere di tutti gli artisti moderni; la presunzione con quel potere assoluto si illude che le sue interessate convinzioni siano delle grandi verità fa compiere a Goebbels, ministro della propaganda, un errore grave dal suo punto di vista. Lo scopo della mostra era quello di “mostrare al popolo da che cosa Hitler lo stava salvando” senza rendersene conto aveva avuto un'idea che avrebbe trovato la sicura approvazione dei dadaisti, che utilizzavano la leva della provocazione e l'idea di realizzare una sorta di contro provocazione. in questo aveva fatto due errori: aveva usato lo strumento che ha con una figura impossibile, dove si vede un oggetto tridimensionale che però non può essere sostanzialmente tridimensionale al di fuori della realtà pittorica. Gombrich (1956) aveva parlato di doppia presenza in riferimento ad opere pittoriche, indicandola però in termini di due vissuti percettivi alternativi. Per lui, più che di un rapporto conflittuale si tratterebbe di un'alternanza tra esiti percettivi. In questo senso l’esperienza della percezione pittorica sarebbe simile a quella innescata dalle figure ambigue, le quali mostrano appunto due esiti percettivi possibili - l’uno alternativo all’altro - come nella coppaprofili di Rubin. Wollheim (2003) parla invece della percezione pittorica in termini di twofoldness, e quindi di simultaneità per quanto riguarda l’esperienza visiva del supporto pittorico e della scena’ ivi raffigurata. Questa posizione trova riscontro in altri studiosi, come per esempio in Pirenne (1970) e in Kubovy (1986), secondo cui la consapevolezza percettiva del supporto pittorico è un requisito essenziale per il funzionamento d’ipotetici processi compensatori atti a correggere distorsioni percettive dovute alle discrepanze tra l'immobile geometria interna alla scena pittorica e le continue trasformazioni dovute alla mutevole geometria dell’osservazione. L'ipotesi di Wollheim richiama alla mente il vissuto di doppia presenza che si ha quando ad un unico livello di stimolazione corrisponde il vissuto di due presenze fenomeniche simultanee, come nel caso della trasparenza. Mausfeld (2003) parla di rappresentazioni congiunte ma in termini antagonistici, per cui i parametri caratterizzanti un particolare aspetto di una delle rappresentazioni costituiscono un vincolo per l’altra rappresentazione circa la stessa caratteristica, e viceversa. In altre parole, parametri specificanti medesimi aspetti nelle due rappresentazioni mentali starebbero in una relazione antagonistica tra loro. L’idea di rappresentazioni congiunte in modo antagonistico rimanda anche alla scissione fenomenica descritta da Koffka (1935), quella cioè relativa all’esperienza simultanea di un colore di superficie e dell’illuminazione della superficie. Questo fenomeno è forse quello che strutturalmente più si avvicina a quella della percezione pittorica. La proprietà di possedere un dato colore è una caratteristica di una superficie opaca, come è propria di una superficie pittorica la caratteristica di essere appunto una superficie. Allo stesso tempo però una superficie opaca può anche mostrarsi illuminata in un certo qual modo, una caratteristica questa che è molto diversa da quella di essere di un dato colore; in modo abbastanza simile, la superficie pittorica mostra altro da sé, con una estensione spaziale che non appartiene alla superficie pittorica in quanto tale. In entrambi i casi si ha quindi una doppia rappresentazione: il colore di superficie e l’illuminazione coesistono simultaneamente nello spazio-tempo fenomenico, rubandosi a vicenda la scena, così come coesistono l’aspetto superficiale- materico del supporto pittorico e la scena ivi rappresentata. Il prestare più attenzione ad un aspetto rispetto all’altro è determinato di volta in volta dal rapporto dinamico appunto tra l’attenzione e le mutevoli relazioni foto-geometriche all’interno della scena visiva globale. L'esperienza della scissione fenomenica tra colore di superficie e illuminazione è quella che più si avvicina al doppio vissuto che caratterizza la percezione pittorica, dove nella stessa esperienza spazio-temporale si danno due vissuti contrapposti ma contemporanei: quello del supporto che chiede di essere considerato per la sua materialità, e quella della scena ivi rappresentata, che quando vista tende a diluire o vanificare la materialità intrinseca del supporto. INDICI PITTORICI DI PROFONDITÀ Oltre all’accomodamento, esistono diversi altri indici monoculari che sono definiti pittorici in quanto si ritrovano nelle immagini pittoriche. Interposizione (od occlusione) è un indice pittorico piuttosto comune, e consiste nel fatto che la scena visiva è costituita da superfici che occludono alla vista parti di altri superfici; una superficie che risulta occludente è per definizione più vicina all’osservatore rispetto a quella parzialmente occlusa. L'informazione circa la profondità derivabile dalla sola interposizione è piuttosto povera: sappiamo che oggetti occlusi sono più distanti da noi, ma con la sola occlusione come informazione diventa difficile stimare tale distanza. L’indica madre è la prospettiva lineare, in cui la luce che entra nell’occhio genera un’immagine retinica in base a precise leggi ottiche. Questo tipo di proiezione viene chiamato prospettiva “naturale”. La prospettiva lineare, invece, concerne tecniche di disegno geometrico formalizzate sulla base delle stesse leggi ottiche cui obbedisce la prospettiva lineare. n La prospettiva si fonda sulle leggi elementari L4 Li dell'ottica, e in particolare sul fatto che gli / 7} oggetti distanti sembrano più piccoli e meno 7 e definiti rispetto a quelli vicini. La prospettiva 71 / lineare traduce graficamente l'effetto di | riduzione scalare delle superfici determinato / f dalla distanza. ] \ D IA 17 Prospettiva incare Proiezione iscmetrica La cosisdetta prospettiva inversa 0 inverita Rappresentazione neutra, fuori dallo spazio, le linee dell'oggetto restano parallele e avvicinano l'oggetto allo spettatore Il punto di fuga è situato in profondità all’interno del quadro XI punto di fuga è situato in avanti all’esterno del quadro. Prospettiva assonometrica o isometrica Se io disegnassi un motore secondo le leggi della prospettiva lineare, non capirei la relazione tra alcune parti, perché non sono in grado di valutare se una vite appare distorta perché distante oppure perché è così. In questa prospettiva non c’è distorsione causata dalla distanza, e quindi posso sapere bene come sono fatte le cose. Questa proiezione viene usata nel disegno tecnico o nell’arte orientale. Proiezione isometrica e prospettiva inversa Gli antichi egizi, greci e romani indicavano la profondità dello spazio nei dipinti mediante una serie di accorgimenti più o meno rudimentali, come l’interposizione. A Roma, la parola perspectiva (dal verbo perspicere, ‘vedere chiaramente") indicava la ‘scienza della visione' e corrispondeva al termine greco 'ottica'. Nonostante fossero arrivati a utilizzare talvolta la convergenza apparente delle linee parallele di profondità, i pittori e gli scenografi greci e romani, legati all'esperienza della visione reale, non giunsero mai a determinare un ‘punto di vista' fisso e immutabile capace di coordinare tutti gli aspetti della visione. La comprensione scientifica delle leggi della prospettiva è quindi un'acquisizione relativamente recente nella storia. Queste leggi furono per la prima volta descritte con precisione in Italia da Leon Battista Alberti, il quale illustrò i procedimenti della costruzione di scene prospettiche nel suo trattato De Pictura (1435). Ma già tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo, gli artisti erano arrivati a sviluppare una coscienza intuitiva della prospettiva; tuttavia, fu l'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi che, con una serie di esperimenti attuati tra il 1417 e il 1420, mise a punto con esattezza le leggi della prospettiva lineare centrale. I pittori fiorentini Masaccio e Paolo Uccello furono tra i primi ad assimilare e ad applicare tali regole prospettiche. L'esempio intuitivo più semplice del principio della prospettiva lineare è offerto dalla percezione visiva illusoria per cui i binari della ferrovia sembrano avvicinarsi fino a convergere all'orizzonte. In un disegno prospettico, la superficie del foglio o della tela è chiamata piano di proiezione; l'orizzonte è la linea orizzontale che divide il piano di proiezione individuando l'altezza del punto di vista dell'osservatore ideale; il punto di fuga, collocato sull'orizzonte, è quello in cui convergono tutte le linee di profondità. I punti di fuga possono essere più d'uno, a seconda dell'allineamento degli oggetti presenti nella scena raffigurata. Il punto di fuga, punto di convergenza di tutte le linee non frontoparallele al piano pittorico, non esiste sul piano dell’esperienza fenomenica, ma corrisponde grossomodo al fuoco binoculare (o monoculare) di un osservatore ideale. La prospettiva può essere anche per creare illusioni ottiche, per esempio nella galleria del Palazzo Spada, a Roma, in cui Borromini accorcia l'altezza delle colonne, avvicinandole mano a mano che si va in profondità. Anche nella chiesa di San Satiro a Milano il Bramante fa apparire l'abside in modo molto profondo grazie alla prospettiva, sfrutta la prospettiva nella terza dimensione, e quindi crea un dipinto che dà profondità; rispetto alla dimensione originale di percepiscono 9,7 m rispetto ai reali 97 cm (non c’era lo spazio per la chiesa). Anche Donatello crea degli spazi cavi, creando dei vuoti che non ci sono; o anche Van Eyck utilizza la prospettiva per il dipinto della Madonna nella cattedrale di Berlino. Prospettiva aerea Oggetti che sono collocati più in profondità rispetto all’osservatore tendono ad apparire più sbiaditi e a possedere contorni meno marcati. Questo è dovuto al fatto che l’atmosfera non è completamente tersa. Vi sono microparticelle sospese nell’aria, la cui densità varia in funzione del clima, della pressione atmosferica, delle correnti, ecc. Queste microparticelle di fatto costituiscono una sorta di filtro o velo tridimensionale: è come osservare la realtà attraverso strati di vetro sempre meno trasparenti man mano che lo sguardo procede in profondità. La prospettiva aerea, i cui studi furono iniziati soprattutto da Leonardo da Vinci, si fonda sulla scoperta che l'aria non è un mezzo del tutto trasparente, ma con l'aumentare della distanza dal punto di osservazione essa rende i contorni più sfumati, i colori sempre meno nitidi e la loro gamma tendente verso l'azzurro. Infatti Leonardo tende a distinguere ulteriormente una prospettiva aerea propriamente detta, in cui si applica lo sfumato a seconda della distanza degli oggetti raffigurati, da una prospettiva del colore che invece teorizza il cambiamento del colore delle cose in ragione della loro lontananza. Secondo gli studi di ottica di Leonardo, l'aria è più densa («una aria grossa più che le altre») quanto più è vicina al suolo, mentre diventa più trasparente con l'altezza. Quindi soprattutto gli elementi di paesaggio che si sviluppano in altezza, come le montagne, appaiono più nitidi nelle parti più alte. A dunque tu, pittore, quando fai le montagne, fa' che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze, e quanto vòi fare più lontana l'una dall'altra, fa' le bassezze più chiare; e quanto più si leverà in alto, più mostrerà la verità della forma e del colore». * Contrasto di chiarezza: oggetti vicini hanno contrasti di chiarezza più accentuati rispetto ad oggetti lontani; * Contrasto di colore: oggetti vicini presentano colori più brillanti rispetto a quelli lontani. Inoltre la temperatura dei colori di oggetti vicini è tipicamente più calda rispetto a quelli lontani; * Nitidezza: generalmente, oggetti vicini sono più nitidi rispetto ad oggetti lontani. Gradiente tessiturale Fu James Gibson che per primo sottolineò l’importanza di questo indice di profondità, che consiste nel fatto che le superfici di cui è composto il nostro mondo visivo presentano spesso delle caratteristiche tissurali, sono cioè composti da elementi che, in media, posseggono tutti la stessa grandezza. L’indice consisterebbe nel fatto che gli elementi tissurali spazialmente più vicini a noi proiettano una immagine retinica più grande (occupano più spazio nel nostro campo visivo) rispetto ad elementi tissurali più distanti. In altre parole, gli elementi tissurali di una superficie sono scalati in profondità, determinando un gradiente scalare di grandezze angolari, il quale aiuta non solo ad incrementare la percezione di profondità, ma anche a stabilire rapporti di distanza tra oggetti visivi. Va da sé che, in ambito di visione naturale, il gradiente tessiturale obbedisce alle stesse leggi ottiche che governano la prospettiva naturale. Nel soffitto a botte di San Satiro viene sfruttato questo gradiente tessiturale, perché Bramante ha scalato le dimensioni; o anche nella “Strada parigina sotto la pioggia” di Caillebot. Ombre e ombreggiatura La conformazione di un oggetto tridimensionale colpito dalla luce genera sulla superficie stessa dell’oggetto zone di diversa intensità di illuminazione. In parole povere, oggetti tridimensionali ci appaiono avere zone più illuminate e zone meno illuminate, o ancora zone illuminate e zone in ombra. Inoltre, la percezione dell’oggetto è spesso accompagnata dalla sua ombra, quantunque non sempre prestiamo attenzione a quest’ultima. Si distinguono due tipi di ombre: * Ombre proprie: sono le parti meno illuminate di un oggetto. Di solito si creano ombre proprie laddove non arriva una illuminazione diretta. La densità (scurezza) dell’ombra è in rapporto inverso Le ambiguità spaziali dei disegni al tratto sono risolti dalla complessità del disegno: maggiore la complessità del disegno, maggiori sono i vincoli spaziali che si innescano tra le parti, maggiore è la stabilità spaziale dell’esito percettivo. Spazio solido Le ombre proprie, ovvero l’ombreggiatura o il chiaroscuro, sono essenziali per rendere una tridimensionalità solida di oggetti pittorici. Il fenomeno dello shape from shading è cosa risaputa dalla notte dei tempi, e veniva applicata con regolarità anche dopo il crollo dell’impero romano e la conseguente scomparsa del suo naturalismo pittorico, a cui fece seguito in occidente l’arte bizantina con la sua pittura codificata (Gombrich, 1986). Una critica piuttosto comune rivolta all’arte bizantina, ed estesa poi alla quasi totalità dell’arte medievale, è quella di non aver saputo determinare una spazialità visiva coerentemente profonda. € Duccio di Buoninsegna (1255-1319), Gesù dinnanzi ad Annas e a Pietro che rinnega Gesù (1308-11, Siena, Museo dell’Opera del Duomo). L’arte medievale si è concentrato primariamente sulle forme, e tramite le forme ha definito lo spazio. Î L’arte medievale si è concentrato primariamente sulle forme, e tramite 1g forme ha definito lo spazio. Lorenzetti accoglie la lezione sullo spazio offerto dalle opere di Giotto. Ma vi sono ancora numerosi elementi di incertezza nonostante l’evoluzione di soluzioni spaziali in cui il “vuoto” emerge come espressione architettonica. | Il modo medievale di determinare lo spazio ha una sua aderenza all’esperienza visiva del quotidiano, in cui lo spazio è un contenitore la cui apparenza è determinata da strutture, superfici ed oggetti delle più svariate forme e caratteristiche visive. In fondo, una stanza vale l’altra, quello che fa la differenza è la presenza di cose nella stanza, i loro colori, la loro disposizione. Scopo dell’arte medioevale non era tanto quello di dare una forma coerente allo spazio, quanto quello di mostrare la solidità tridimensionale delle forme, le quali modulano lo spazio visivo. In un certo qual senso, quindi, quello dei dipinti medioevali è uno spazio con una propria coerenza. La coerenza dell’approccio medievale allo spazio pittorico consiste nel fatto che gli artisti compresero che gli oggetti sono spazio allo stato solido. Al fine di ottenere una solidità tridimensionale stabile è necessario modulare quella materia che non solo è altamente mutevole ma anche alquanto effimera, cioè la luce. I consigli di Cennini sul modo di adoperare la luce la dicono lunga sull’importanza dell’ombreggiatura nell’arte medievale prima dell’avvento dello sfumato infinito di Leonardo Da Vinci: lo scopo non era quello di cogliere un umore vago, di amalgamare personaggi e cose all’interno dell'atmosfera pastosa dello spazio pittorico, bensì quello di rendere una tridimensionalità tangibile e allo stesso tempo ieratico. Non si trattava di fare dipinti in cui perdersi con lo sguardo, ma di creare personaggi, oggetti, città che dovevano staccarsi dallo sfondo pittorico per co-esistere nello spazio comportamentale. La luce era quindi al servizio dello spazio inteso come presenza solida nel mondo materiale. IL GRANDE VUOTO: OMBRE E PENOMBRE Le carenze e le ambiguità spaziali nell’arte medievale sono determinate in particolare da due fattori: l’uso di proiezioni assonometriche, degenerate col tempo in forme di prospettiva inversa, e la mancanza di ombre portate. Uno dei risultati di questi fattori è l’assenza di vuoto inteso come spazio arioso. L'esperienza dello spazio può essere caratterizzata in diversi modi: quello di oggetti solidi tridimensionali, e di vuoti. Alla maggior parte dell’arte medievale è venuta a mancare quest’ultima componente dell’esperienza spaziale- pittorica. Giotto fu il primo a sperimentare b x & lo sfumato in funzione atmosferica e a cercare una geometria tale da rendere la superficie pittorica una finestra attraverso cui guardare all’interno di altri micro- mondi. Con Giotto, lo spazio si fa vuoto dopo mille anni di spazialità solida in occidente. Sono testimoni di questo fatto i due splendidi corretti, noti anche come mu cappelle segrete, che si trovano nella Cappella degli Scrovegni a Padova, giustamente decantati da Longhi (1952) che per primo riconobbe la loro funzione di finzione architettonica. Quello che più incanta in questi capolavori assoluti è la semplice ariosità dei due vani pittorici, che mostrano un sublime vuoto pieno di luce. SPAZIO E LUCE La fisica ci insegna che vi è un legame molto forte tra spazio e tempo. È un legame che peraltro sperimentiamo sulla nostra pelle quotidianamente: lo spazio sembra poca cosa quando ci vuole poco tempo per percorrerla, e sembra infinito quando ci vuole molto tempo per spostarsi da un punto all’altro. È proprio una questione di relatività, anche se più sul piano psicologico che su quello fisico. A livello percettivo, però, vi è un legame che è altrettanto fondamentale, quello tra spazio e luce. Spazio e luce sono infatti entità incastrate l’una nell’altra. Ciononostante, possiamo avere rappresentazioni efficaci di spazio senza una precisa qualificazione della luce, ma non possiamo percepire la luce senza emerga un qualche vissuto spaziale. In altre parole, lo spazio c’è sempre; la luce modula lo spazio (vedi per esempio la prospettiva aerea, il ruolo delle ombre), ma non emerge sempre come forte presenza oggettuale all’interno dello spazio. La fisica ci insegna che vi è un legame molto forte tra spazio e tempo. È un legame che peraltro sperimentiamo sulla nostra pelle quotidianamente: lo spazio sembra poca cosa quando ci vuole poco tempo per percorrerla, e sembra infinito quando ci vuole molto tempo per spostarsi da un punto all’altro. È proprio una questione di relatività, anche se più sul piano psicologico che su quello fisico. A livello percettivo, però, vi è un legame che è altrettanto fondamentale, quello tra spazio e luce. Spazio e luce sono infatti entità incastrate l’una nell’altra. Ciononostante, possiamo avere rappresentazioni efficaci di spazio senza una precisa qualificazione della luce, ma non possiamo percepire la luce senza emerga un qualche vissuto spaziale. In altre parole, lo spazio c'è sempre; la luce modula lo spazio (vedi per esempio la prospettiva aerea, il ruolo delle ombre), ma non emerge sempre come forte presenza oggettuale all’interno dello spazio. In conclusione, la percezione dello spazio appare essere una caratteristica congenita del sistema visivo. In tal senso ogni segno su una superficie, sia esso accidentale o creato intenzionalmente, è suscettibile di divenire un indice pittorico di profondità e quindi di essere visto come qualche cosa d’altro posto in relazione a quello stesso spazio pittorico che esso stesso contribuisce a determinare sulla superficie materiale. È anche per questo motivo che qualsiasi segno tracciato sopra una superficie è in grado di specificare in termini pittorici un qualche aspetto della “realtà”. Il problema nella produzione artistica è quello di definire semmai l’aspetto o gli aspetti della realtà che devono essere rappresentati, come sostiene anche Arnheim. Nell’arte post-romana, per esempio, la realtà che si voleva rappresentare era la consistenza materiale delle cose. Lo spazio non solo era modulato dagli oggetti rappresentati, esso consisteva in quegli stessi oggetti. La luce era l’utensile per rivelare quel tipo di spazio, ma non fu oggetto di rappresentazione per se stessa (se non come entità simbolica congelata, come nelle aureole). È con l’arte rinascimentale, come fu già nell’arte greco-romana, che si cerca di rappresentare uno spazio in modo “oggettivo”. Mentre nell’arte greco-romana l’oggettivizzazione era un processo lasciato ancora all’intuizione, nell'arte rinascimentale si prefigura come scienza in seguito all’adozione di precise regole geometriche. Tuttavia l’esito percettivo rende l’opera più soggettiva ed empatica, in quanto più verisimile all’esperienza visiva dello spazio comportamentale. Lo storico dell’arte Panofsky espresse una tesi molto importante, secondo cui la prospettiva lineare non solo assolveva una funzione oggettivante, ma anche una funzione simbolica. Ogni rappresentazione spaziale è, per così dire, una espressione simbolica della cultura che l’ha sviluppata, in quanto è espressione di un punto di vista circa la realtà di cui vuole essere una rappresentazione visiva. Per Mantegna, per esempio, la prospettiva era un modo per fondere il mondo reale con quello pittorico, e far sì che l’osservatore avesse l’impressione che il mondo pittorico fosse un’estensione di quello reale. Per Mantegna, per esempio, la prospettiva era un modo per fondere il mondo reale con quello pittorico, e far sì che l’osservatore avesse l’impressione che il mondo pittorico fosse un’estensione di quello reale. Aldilà dello sconcerto iniziale, l'avvento della fotografia libererà gli artisti da certe costrizioni accademiche, lasciando liberi di avventurarsi in ricerche formali che sboccheranno nelle varie avanguardie che hanno caratterizzato la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. La fotografia diverrà primo strumento dell’artista, poi esso stesso mezzo d’espressione artistica. Ben presto si scoprirà che il mezzo oggettivo è in realtà molto soggettivo, nel senso che ripropone il punto di vista dell’artista. Sarà questa nuova constatazione, assieme alle possibilità di manipolare le immagini nelle camere oscure, a rendere la fotografia mezzo d’espressione artistica e non solo strumento di registrazione del reale. Come mezzo artistico la fotografia troverà ancora nuovi modi di rappresentazione spaziali. Sulla robustezza delle immagini pittoriche CONFIGURAZIONE vs FORMA secondo ARHNEIM La configurazione riguarda le caratteristiche strutturali di oggetti, ma non di un oggetto in particolare, bensì di una classe cui un oggetto particolare appartiene. In tal senso ogni configurazione è semantica in quanto è una dichiarazione su generi o classi di oggetti. La configurazione è un dato mentale costruito sulla moltitudine dei nostri percetti; è, per così dire, un pensiero visivo. La forma, invece, è un caso particolare: è il punto di vista rivolto ad un oggetto specifico. La forma è una percezione. E infatti si parla di “riconoscimento di forme”. Forma e orientamento Un quadrato appare tale se uno dei lati è orizzontale rispetto al piano pittorico. Se il quadrato è ruotato di 45° si vede un rombo, ovvero un’altra figura geometrica. L’orientamento dello scheletro strutturale può modificare il modo in cui noi vediamo una forma, anche per quanto riguarda aspetti quali equilibrio e tensioni. Nel caso del quadrato che si trasforma in rombo, lo schelettro strutturale emergente è valido e stabile quanto quello del quadrato: i rapporti di simmetria sono mantenuti. L’ex quadrato, trasformatosi in rombo, perde in equilibrio ma acquista in dinamicità. L’orientamento spaziale presuppone uno schema di riferimento. In uno spazio vuoto, lo schema diventa l’orientamento retinico. La compresenza di forme può invece determinare il modo in cui viene inteso anche lo schema strutturale di una forma; nel caso sopra, quando il rettangolo che fa da sfondo al rombo è orientato a 45°, il rombo scompare e si Effetto cattura di Johansson (1950) La Luce Normalmente chiamiamo “luce” sia lo stimolo proprio della vista (le onde elettromagnetiche comprese tra i 400 e i 700 nm), sia esperienze visive legate a impressioni di illuminazioni e luminosità. Gibson (1979) intese indicare con il termine “luce” soltanto quella forma di energia in grado di stimolare i fotorecettori. Egli pose la seguente domanda retorica: “Vediamo mai la luce in quanto tale?”, e la risposta che diede non poteva che essere negativa, dato che egli intendeva indicare col termine “luce” l'energia con cui viene trasmessa l'informazione ottica. La risposta di Gibson è del tutto coerente all’interno della nuova teoria che allora egli stava delineando: se la luce è quella forma di energia fisica che trasmette informazione visiva strutturata, o si vede quella informazione, oppure si vede il mezzo nel quale essa viaggia. Vedere entrambe le cose è impossibile. È opportuno osservare che le ragioni di Gibson sono dettate dal suo modo di usare i termini, conforme a quello dell’osservatore ingenuo. Egli stabilisce un nesso diretto tra il mondo fisico e l’esperienza di tale mondo. Tuttavia, egli sembra del tutto ignorare il fatto che prima ancora di essere di proprietà della fisica, la luce è una esperienza visiva comune la cui importanza sul piano culturale è spesso sottovalutata. Il problema sta nel fatto che chiamiamo luce sia l’entità fisica in grado di elicitare una risposta fotochimica nei nostri recettori, sia certe esperienze visive determinate da quelle risposte. Francesco Battiato: “Il mondo è fatto di sostanze grossolane e di sostanze sottili; E fa da velo a se stesso, di modo che non può vedere Iddio proprio perché si vede”. Con qualche opportuna modifica, la frase ci può illustrare il punto di vista di Gibson: se si sostituisce alla figura di Dio quella della luce (parallelo peraltro frequente in molte teologie), e se al termine mondo aggiungiamo l’aggettivo fenomenico, e se infine aggiungiamo il noi, in quanto parte del mondo fenomenico, abbiamo che noi “mondo” non vediamo la luce proprio perché (ci) vediamo e la nostra visibilità, e quindi esistenza sul piano fenomenico, dipende proprio dall’esistenza della luce sul piano fisico. Ognuno di noi è il centro di mondo, fatto di sensazioni interne ed esterne. Considerando un punto di vista fisico (Vasco Ronchi) s’interrogò su cosa sia luce, in modo non dissimile da quanto fece Gibson solo qualche anno più tardi: “Che cos'è dunque la «luce»? [...]; non vi è nulla di definito a sé stante, a cui ragionevolmente dare questo nome. Perché, escluso che questo nome si possa dare all'agente esterno, che si deve chiamare radiazione, [...], dovremmo cercare nel mondo psichico il quid a cui dare questo nome. Ebbene nel mondo psichico che ci riguarda noi troviamo soltanto questo: dei fantasmi dotati di brillanza [...], di un dato colore e di una certa saturazione. Non vi è niente che fluisce, tra psiche e fantasma, che possa chiamarsi luce. [...]. Esservi luce significa soltanto che la psiche non sta inoperosa, e crea i suoi fantasmi”. Se non abbiamo l’esperienza della luce come possiamo collegarla al divino? L’uomo crea una nuova esperienza con le esperienze già vissute. L’immaginazione deriva sempre da un’esperienza concreta trasfigurata, che funge da base. Una cosmogonia è sia il passo della Bibbia, la Genesi, sia “A Maori Cosmogony”: in questi due testi troviamo due elementi comuni: acqua e creazione della luce. La cosmogonia studia i miti dell'origine dell’universo. La metafora di luce e Gesù si ricollega alla luce delle aureole intorno al capo dei santi. La luce ha un ruolo importante perché senza luce non possiamo vedere il mondo. “In principio non c'erano il sole, la luna, le stelle. Tutto era buio e l’acqua si estendeva ovunque”. “Come sono belli i due occhi di Ammon-Rd! / [...] / Gli occhi degli uomini si sono dischiusi / quando il tuo occhio destro scintillò la prima volta / e il tuo occhio sinistro scacciò le tenebre notturne!” La conoscenza è cosa buona, e noi possiamo conoscere il mondo perché grazie alla luce noi lo vediamo; la luce è stata utilizzata anche come metafora della conoscenza, della verità (es. Il mito della caverna ne La Repubblica di Platone), e infine della rivelazione. Se non avessimo udito e vista saremo privati della conoscenza. Si ha paura del buio perché non abbiamo fiducia. Così descrive la situazione ancora una volta Platone ne La Repubblica: “Ammettiamo che negli occhi abbia sede la vista e che chi la possiede cominci a servirsene, e che in essi si trovi il colore. Ma se non è presente un terzo elemento, che la natura riserva proprio a questo compito, tu ti rendi conto che la vista non vedrà nulla e che i colori resteranno invisibili. — Qual è questo elemento di cui parli? — Quello, risposi, che tu chiami luce.” Il senso della vista è la nostra sorgente principale di informazione riguardo il mondo esterno. L’informazione è conoscenza, e la conoscenza del proprio ambiente è fondamentale per la sopravvivenza di ogni organismo. Ecco quindi che la conoscenza è buona, e ciò che permette di acquisire conoscenza è anch’esso buono. La luce dissolve l’oscurità e il senso di caos e incertezza che sempre accompagna il buio. Come la luce è un simbolo del bene e della conoscenza, così l’oscurità è un simbolo del male e dell’ignoranza, in quanto l’oscurità è appunto assenza di luce. Abbiamo considerato le ragioni del no alla domanda posta da Gibson sulla possibilità di vedere la luce, intesa come il mediatore energetico dell’informazione visiva, e abbiamo visto che quelle ragioni sono ben fondate. Eppure, riconsiderando la metafora che abbiamo modificato da Battiato, è necessario chiedersi se sia davvero impossibile vedere la luce (il divino) perché essa è il mezzo attraverso cui noi vediamo noi stessi (il mondo). Se fosse davvero così, l’accostamento divino-luce, che è all’origine di un vastissimo nodo simbolico transculturale e trans epocale, non avrebbe mai avuto origine, poiché il genere umano nei suoi primi tentativi di spiegarsi e di spiegare il mondo ha fatto ricorso a quanto era a sua disposizione, ovvero proprio quel mondo visivo di cui costituiva il centro, e che solo successivamente ha rivestito, in modo opportuno e in conformità alle proprie esperienze, di significati simbolici. Se non vi fosse esperienza alcuna della luce non si spiegherebbe la sua importanza simbolica, che compare già in epoche remotissime, assieme alla necessità di tentarne una rappresentazione. L'esperienza visiva della luce si declina in 4 modi principali: * Luminosità: oggetti che sembrano emettere luce; ® Illuminazione ambientale: l'impressione di chiarezza ambientale; ® Illuminazione delle superfici: la presenza della luce emerge in contrapposizione alle ombre; ® Radiazione: l'esperienza visiva di "raggi di luce"; RAPPRESENTARE L’INCORPOREO CIT LAT ARE DU THE SUN ale sE T LOOK AT IT T00. Gol DRAWING ? dor L HURT YOUR EYE In base al fumetto è come se la sua rappresentazione potesse urtare la vista. I bambini rappresentano il sole sempre come una sfera con i raggi, ma i libri dell’infanzia ricalcano i disegni dei bambini: chi sta imitando chi? I bambini hanno la forte esigenza di disegnare il sole perché (tre ipotesi): è una presenza rassicurante, il sole è associato a sentimenti e sensazioni positive e potrebbe essere che il sole è un’espressione di un archetipo culturale della luce. Le prime raffigurazioni della luce coincidono con la rappresentazione delle principali sorgenti naturali di luce, il sole (sorgente fisico di emissione) e la luna (sorgente fisico di riflessione, ma che di notte appare luminosa di luce propria); il sole si può vedere anche nelle prime raffigurazioni egizie: i raggi avevano delle mani > senso tattile + senso della vista + senso tattile= far sentire il calore del sole. Un altro esempio è il sole della Stele di Ur-Nammu + spicchi + onde = propagazione della luce e esperienza personale delle onde di calore - spicchi e raggi sono metafore visive per rappresentare sorgenti di luminosità, rappresentando l'esperienza della radiazione di luce. Il raggio diventa una metafora visiva. Le aureole derivano non sono dai cristiani ma anche da greci, egiziani, giapponesi, che raffiguravano prima il capo coronato da un disco solare, che poco a poco scese. La luce come diventa simbolo di illuminazione, divinità. Tintoretto usa l’illuminazione nell’ultima cena come esperienza visiva (riccio di luce — data dal contrasto). Luci e ombre Correggio, La Notte (1528, Desden, Gemaldegaleria) Gerard van Honthorst, Natività (1622, Kéln Wallraf-Richartz-Museum) Le due opere traducono il bimbo come sorgente di luce; sono tentativi diversi, con punti in comune: le figure attorno è come se fossero illuminate da una sorgente centrale; tutto rimanda a un punto, ovvero il bambino. Usarono colori tenui senza chiaro-scuro per produrre un corpo luminoso. Nel dipinto del Correggio la serva si protegge gli occhi, ma c’è un eccesso di chiaroscuro. Vediamo davvero la luminosità o è un costrutto cognitivo? I soggetti di luce hanno la caratteristica di abbagliarci. Una superficie deve essere più luminante del bianco per essere definita luminosa > non ‘è niente di più intenso del bianco. In base a queste condizioni di Katz un’immagine pittorica non può generare un’esperienza vera di luminosità. L'impressione deve essere un costrutto cognitivo dettato da luci e ombre. Katz fornisce due spiegazioni che sembrano contradittori: * descrizione di come possa l'artista visivo creare "l'illusione di luminosità" distribuendo in modo opportuno il gioco di luci e ombre nell'opera. In altre parole, controllando in modo opportuno la distribuzione dell'informazione foto-geometrica; * dà voce all'ipotesi formulata da Hering secondo cui la luminosità si ottiene superando la soglia del bianco in una scena visiva. Se le cose stessero come sostiene Hering, allora l'esperienza pittorica di luminosità sarebbe solo una metafora visiva, cioè un costrutto cognitivo. NE AN Exp. 1 6 soggeti; 3 sfondi: 0.3, 3.04, 30.2 cd/m?; 3 livelli di illuminazione: alto, medio, basso; Disegno sperimentale entro i soggetti 1)Inorementare la luminanza di Tw finché appare bianco; 2)Incrementare la luminanza di Tg finché appare luminoso Le rappresentazioni antiche del sole e della luna sono di vi “| ST mostrare 6 soggetti; 3 sfondi: 0.15, 13, 70.3 cd/m?; 2 livelli di illuminazione: alto, basso; Disegno sperimentale tra i soggetti Gruppo A: 1) incrementare la luminanza di Tw al bianco, 2) incrementare la luminanza di Tg finché appare luminoso; Group B: 1) incrementare la luminanza di Tg alla luminosità, 2) incrementare la luminanza di Tw al bianco. tipo simbolico, e i raggi raffigurati sono quello che Kennedy definirebbe una “metafora visiva” per indicare l’irraggiamento. Ma queste metafore sono in grado di effettivamente immagine il centro sembra più bianca rispetto allo luminosità? Nella prima sfondo (sx), mentre a destra crea un’impressione di luminescenza. Questi stimoli creano una forte restrizione pupillare (la pupilla regimenta la quantità di luce che entra nell’occhio). Luminosità e effetto abbagliamento Ricerche condotte con stimoli simili a questo hanno dimostrato che la percezione di luminosità non dipende dalla percezione di bianco superficiale. Glare effect and surface white 3 I risultati rivelano l’importanza dei
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