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Appunti Psicologia dell'Arte - Zavagno, Appunti di Arte

Appunti del corso di Psicologia dell'Arte (Scienze Psicosociali della Comunicazione) - argomenti: a partire dalla Verosomiglianza

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 21/10/2021

laura-colombo-6
laura-colombo-6 🇮🇹

4.5

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Scarica Appunti Psicologia dell'Arte - Zavagno e più Appunti in PDF di Arte solo su Docsity! LA VEROSIMIGLIANZA Verosimiglianza: Caratteristica di ciò che è simile o conforme al vero. Tensione costante alla verosimiglianza nell'arte figurativa dai suoi albori. La funzione è quello di rappresentare nel modo più “realistico” possibile ciò che realmente esiste, ma anche ciò che è frutto soltanto dell'immaginazione. Tensioni alla verosimiglianza sono presenti anche nell’arte contemporanea, anche se in forme diverse da come inteso nella definizione classica. Tali tensioni caratterizzano inoltre altre forme di arte, dalla letteratura al cinema, dall’arte radiofonica al teatro. Scultura iperrealistica di Ron Mueck: gigantografia -> non riusciamo a cancellare voyeurismo Damien Hirst: mucca e figlia sezionate messe nella teca. Divise a metà e divise tra loro -> esempio di verosimiglianza. Non durano nel tempo - quindi opera va ricreata ex novo ogni tot di tempo VEDO SLIDE: brani tratti dall'articolo di Jennifer Rosenberg. 1938: programma radiofonico. Letto un libro: fa sembrare reale l’Invasione (guerra) che lui sta narrando -> come se fosse vera trasmissione radiofonica. Radio-dramma verosimile: causa conseguenze, panico. Il tizio della radio chiede poi scusa (orson wells..?) The Blair Witch Project: verosimiglianza nel cinema Verosimiglianza nell'arte figurativa classica (pittura, arti grafiche, scultura) L'Alberti sostiene che l’arte nacque come tentativo di riprodurre il visibile. Il fine potrebbe essere di varia natura: celebrazione di eventi, religioso, racconto. In ogni caso si tratta di comunicazione. È necessario perciò chiedersi se vi sia uno stile migliore degli altri, che sia più fedele nel modo di rappresentare le qualità formali e materiali del mondo visibile. In verità già nell'arte preistorica vi sono non pochi esempi anche di raffigurazioni geometriche. Sono decorazioni o rappresentazioni simboliche? Qualsiasi fosse la funzione che erano chiamate ad assolvere, molti studiosi ritengono che le raffigurazioni geometriche in generale sono importanti esercizi del vedere e del ragionare miranti al controllo della superficie e dello spazio. La psicologia dell’arte e l'estetica sperimentale in passato si sono concentrate soprattutto sull'analisi dell’arte figurativa, individuando nella tensione alla verosimiglianza uno dei motori dell'evoluzione artistica. Quanto è realistica l’arte figurativa? L'uomo da sempre ha cercato di piegare la natura. L'artista, tuttavia, è sempre andato contro le rappresentazioni realistiche: il mondo infatti presenta irregolarità e imperfezioni, pur suggerendo all’osservatore la bellezza di proporzioni regolari e perfette. Compito dell'artista era quindi di rappresentare una natura perfetta, sostituendo le irregolarità e imperfezioni trovate in natura con regolarità e proporzioni ritenute ideali. In altre parole, l’arte figurativa mirava non tanto a imitare la natura, ma a superarla: il mondo rappresentato diventa luogo simbolico in cui la comunicazione era perseguita seguendo specifici canoni estetici. C'è intenzionalità anche quando si opera con il naturale: essa rende l'opera tale. Si pone una distinzione tra imitazione e ritratto della natura: la prima deve rappresentare ciò che si vede, la seconda deve rappresentare ciò che si dovrebbe vedere se il mondo fosse perfetto. Il secondo rappresenta la vera sfida, che consiste nel perfezionare la natura, superandola in bellezza. È questo il programma implicito dell’arte figurativa, reso esplicito dal manierismo in poi. La natura, quindi, come generatrice e portatrice di “perfezione” va anzi tutto imitata. Ma il grande artista va oltre, supera la natura, appunto per equilibrare e aggiustare le sue disomogeneità e imperfezioni. È esistito quindi un atteggiamento ambivalente dell’arte verso la natura, che se da un lato è maestra da imitare, dall’altro lato è dimensione da giudicare e superare, correggendo la sua apparenza laddove necessario. (Ricordatevi le proporzioni ideali del corpo umano) Visione manierista: arte deve rappresentare come il mondo dovrebbe essere se fosse perfetto. Dalla seconda metà del 500 | 600. Natura va superata. Non ci si deve però scordare che l'uomo imita la natura anche ritraendo il “brutto”, che in natura si sostanzia in proporzioni esagerate, irregolarità e asimmetrie. Anche qui l’arte, pur ispirandosi alla natura, sembra andare oltre, individuando e perfezionando prototipi. L'artista inventa anche nuove forme, attraverso l'immaginazione: figure grottesche e mostruose in Bosch e Bruegel il Vecchio (ripropone versione di Bosch della caduta degli angeli) Cortometraggi surrealisti: slide Lo stile Lo stile è una caratteristica formale costante che caratterizza la produzione artistica di un artista, di una bottega, di un gruppo di artisti, di una scuola (ex: veneziana), di un determinato periodo storico, di un determinato luogo geografico. Il problema dello stile s'interseca con il problema della verosimiglianza, in quanto ne condiziona la resa. Lo stile caratterizza il segno figurativo, costituendosi come elemento che va oltre l’atto di imitare. Ovviamente, ogni epoca tende a vedere negli stili che le sono propri un superamento degli stili precedenti in segno di una maggiore aderenza alla realtà visiva, ovvero una migliore traduzione delle tensioni presenti nel contemporaneo. Confronto tra stili: Raffaello Sanzio e Tiziano Vecellio: fissità dei personaggi in Raffaello, psicologia in Tiziano (papa Paolo Ill anziano ancorato al trono vigoroso. Domina il rosso in entrambi. Altre rapprentazioni del Papa su SLIDES: Paolo Ill: ritratto postumo di Cecchino del Salviati -> michelangiolesco, papa consumato dall'età. Cambia visione dei personaggi. *Pàolo Ill papa. - Alessandro Farnese (Canino 1468 - Roma 1549). Papa dal 1534, il suo pontificato fu segnato soprattutto dalla reazione contro il protestantesimo. Approvò l'ordine dei gesuiti, costituì la Congregazione del Sant'uffizio (Inquisizione romana, 1542) e infine, nel dicembre 1545, convocò il concilio di Trento. Fu inoltre grande mecenate e incline al nepotismo. Confronto tra stili: Federico da Montefeltro in Piero della Francesca e Berruguete: Federico chiede di essere ritratto di profilo (aveva un solo occhio). Il naso occlude un bel po' del campo visivo controlaterale all'occhio. Per un condottiero che ha perso un occhio durante una giostra, il naso può costituire un serio problema per il pieno monitoraggio del campo di battaglia. Il problema di Federico fu risolto attraverso un intervento chirurgico (uno dei primi interventi di chirurgia plastica di cui si ha notizia -> si fece tagliare chirurgicamente il ponte del naso, una parte del naso) Importante sottolineare che Federico Da Montefeltro (sovrano militare d'Urbino) non era nato così: ritratto da piccolo dove naso a posto. Vedi slide: The iconographic fortune of Federico da Montefeltro (1422-1482) Baby Federico, by Federico Barocci (born in Urbino 1535-1612). The painting should be in Palazzo Pitti in Firenze, and it is dated 1605 (see top of the painting). Federico Barocci was a manierist artist from Urbino, famous also for his engravings. Paintings like this and the following testify the growing myth around Federico da Montefeltro. La storia ha poi migliorato il profilo di Federico da Montefeltro (perché aveva fatto quell’operazione per il suo lavoro, per vedere il campo di battaglia con un solo occhio): vedi slides Che cosa si intende con il termine “realtà”? Lo psicologo tedesco Wolfgang Metzger individua 5 significati per la parola realtà. Essi sono: 1) La realtà del mondo fisico, di cui si occupano appunto i fisici, che ha carattere strettamente meta- empirico, in quanto è al di là dell'esperienza diretta. 2) La realtà del mondo fenomenico. Questa è la realtà dell'ambiente comportamentale, ovvero la realtà fornita dai nostri sistemi sensoriali. È questa una realtà che in molti sensi è indipendente dal nostro io. Fanno parte di questa realtà non solo il mondo percepito, gli oggetti fenomenici, ma anche i dolori “fisici” e quelli “psicologici”, i sogni, i ricordi che ci assalgono all'improvviso, le allucinazioni dotate di vivacità sensoriale. Metzger chiama questa seconda realtà anche realtà incontrata, immediata. È questa una realtà di grande interesse per lo psicologo. 3) La realtà rappresentata. Questa realtà lo si capisce meglio in contrapposizione alla precedente. Mentre la realtà incontrata resiste a qualsiasi nostro tentativo di alterarla, la realtà rappresentata si trasforma a nostro arbitrio. È la realtà creata, per esempio, dalla nostra immaginazione. Anche questa è una realtà di grande interesse per lo psicologo. Anche questa realtà è di natura fenomenica, ma è vissuta come dipendente interamente dall’io. 4) La realtà del nulla, che se vogliamo è un vero e proprio paradosso. Infatti, il nulla è dal punto di vista logico ciò che non esiste, e in quanto non esistente, non ha nessuna qualità che lo rende “reale”. Eppure, per la nostra mente il nulla ha una sua sostanzialità, dei suoi modi di essere e anche di apparire, che influiscono sia sul nostro mondo percettivo che su quello cognitivo (pensato per esempio allo zero). Va da sé che anche questa realtà è di grande interesse per lo psicologo. 5) La realtà del fenomenicamente apparente. Ci sono cose che vediamo o che proviamo, e che tuttavia non ci appaiono “vere”. Un esempio tipico è il sogno in cui siamo coscienti di sognare. Un altro esempio riguarda gli specchi. Un esempio riguardante proprio gli specchi ci fa comprendere che la realtà apparente non dipende dalla realtà fisica in sé. Per esempio, se siamo dinanzi ad uno specchio che riflette un ombrello accanto a noi, noi vediamo due ombrelli che appaiono uguali, eppure soltanto l'ombrello accanto a noi, fuori dallo specchio, ci apparirà reale, mentre l'ombrello riflesso ci apparirà irreale, immateriale. Per contro, se entriamo per esempio in un salone un poco buio con uno specchio gigantesco a muro, e vediamo delle cose riflesse, come delle poltroncine, queste ultime ci appariranno come vere e solide, e anche la stanza ci sembrerà molto più grande. La realtà sarà del tipo “incontrato”, almeno fino a quando non ci renderemo conto dell’esistenza dello specchio. Quali di quei significati attribuiti al termine realtà sono vincolanti ai fini di una definizione di “arte figurativa”? -Una scena osservata al microscopio è realtà di tipo fenomenico? SLIDE - I fenomeni visivi come le illusioni sono sicuramente fatti incontrati, anche se non sempre riconosciuti. Utilizzare un fenomeno visivo di tipo illusorio significa intrufolarsi tra le arti figurative o le arti astratte? SLID Op Art: movimento artistico del 900 che è stato caratterizzato dallo studio di fenomeni percettivi (le cosiddette illusioni) e dal loro utilizzo all’interno di opere d'arte. Gli artisti che aderiscono alla Op art indagano i rapporti causa effetto tra l'immagine e lo sguardo del fruitore. Protagoniste sono le texture (gradients come li chiamava Gibson) e i patterns, che concorrono a suggerire effetti tridimensionali, e/o di movimento. VEDI sempre SLIDES X ESEMPI (IMMAGINI) Come si evince dagli esempi riportati, il confine tra astratto e figurativo è sfumato. Ci sono dei punti fermi: 1) Che sia astratta o figurativa, un'opera d’arte intende sempre rappresentare qualche cosa d'altro del semplice materiale utilizzato per creare l'opera. Anche nel caso della corrente Informale. 2) Il modo con cui si guarda un’opera può determinarne l'esito in termini di classificazione in astratto/figurativo. Tale classificazione è quindi mutabile e legato sia allo stile di osservazione adottato, sia alle conoscenze pregresse del fruitore. 3) La definizione di un’opera come astratta o figurativa ha poco a che vedere con la complessità intrinseca di un'opera. ARTE E SCIENZA Faculty of Arts and Science... Perché? Quando si guarda il panorama delle offerte formative negli USA e in Canada non si può non rimanere colpiti dalla combinazione tra arte e scienze a livello di Facoltà. È vero che le Facoltà sono molto eterogenee rispetto alle nostre ex Facoltà e che rivestono una funzione di sovrastruttura di secondaria importanza rispetto ai Dipartimenti, che sono invece strutture organizzative che raccolgono ricercatori i cui interessi convergono verso un macro-tema. L'accostamento potrebbe comunque stare ad indicare una possibilità di “dialogo” tra discipline artistiche, umanistiche e scientifiche, almeno a livello ideale se non propriamente pratico. Si postula la separazione tra arte e scienza intorno al 1600, in seguito alle pubblicazioni di Galileo Galilei e l'introduzione del metodo sperimentale, che affiancò il metodo dell’osservazione che aveva caratterizzato lo sviluppo delle scienze naturali. Si può tuttavia assegnare a Leonardo da Vinci l’idea che l'osservazione da sola non basta, e che bisogna ‘sperimentare’ per capire come funzionano certi aspetti del reale. Il metodo vinciano, tuttavia, era ancora largamente legata ad interpretazioni del reale basate sull’osservazione. Gli esperimenti erano infatti guidati da domande (cosa succede se? come funziona?), non da ipotesi, le quali sono alle basi della formulazione di teorie, complesso appunto di ipotesi interconnesse, che caratterizza le scienze moderne. La formulazione di ipotesi non è legata a domande generiche (tipo ‘come funziona?’), ma a domande strutturate: Perché succede una cosa? È a causa di A o di B? È Galileo, che contrapponendo il ‘dubbio’ al ‘dogma’, va oltre la semplice sperimentazione’, adoperando in modo sistematico l'osservazione sperimentale, ponendo così le basi allo sviluppo del metodo sperimentale. Perché la comparsa del metodo sperimentale ha imposto una divisione tra attività artistica e attività scientifica? In che modo il metodo sperimentale contrasta con l’arte? Perché si dice che arte e scienze hanno preso due strade diverse? In che cosa consiste questa differenza? Queste domande sono centrali, se si vuole indagare il fenomeno arte dal punto di vista psicologico. Servono a comprendere meglio il fenomeno e a incorniciare una nuova tendenza, quella che negli ultimi 20 anni vede un certo ritorno di fiamma tra arte e scienze. AI fine di comprendere a fondo il nuovo accostamento tra fare artistico e fare scientifico, cioè tra ricerca artistica e ricerca scientifica, conviene porre alcune domande, la risposta delle quali può aiutarci a trovare le risposte alle domande precedenti: 1) Che cosa hanno in comune arte e scienza? 2) Quali sono le differenze tra ricerca scientifica e attività artistica? 3) Quali potrebbero essere i vantaggi in termini culturali e gnoseologici di un nuovo accostamento tra le due discipline? Punti in comune: Passione, Intuizione, Creatività, Eleganza e semplicità nelle soluzioni, Senso estetico del risultato. Quanti di questi punti sono in comune con altre attività umane, oltre alla ricerca scientifica o quella artistica? Differenze 1. Scienza: Non può prescindere da un atto di fede realista. Dualismo necessario: vi è un mondo esterno, indipendente dall’osservatore, regolato da leggi basate su relazioni che possono essere indagate. 1. Arte: Può prescindere dal rappresentare la realtà esterna e oggettiva. Anzi, l'opera d'arte, anche quando è realista al massimo grado, è comunque il prodotto di un punto di vista. 2. Scienza: Il mondo esterno è osservabile da tutti, è pubblico. 2. Arte: Non è necessario che i risultati facciano riferimento al mondo esterno a chi osserva. 3. Scienza: Partendo dall’osservazione e dalla misurazione della realtà è possibile scoprire teoremi e ipotizzare leggi che spiegano il funzionamento delle cose e la loro ragione d'essere. 3. Arte: L'arte non è necessariamente in cerca di risposte; piuttosto tende a rappresentare qualche cosa mediante materiale anche intrinsecamente estraneo da ciò che intende rappresentare. 4. Scienza: Le leggi ipotizzate mediante procedimenti propri a ciascuna scienza devono essere tutte, comunque, passibili di verifica (giusto/sbagliato) in relazione alla loro corrispondenza con il mondo. 4. Arte: | risultati artistici sono al loro apparire incerti. | passaggi in base ai quali viene stabilito il livello di artisticità di un’opera non sono né stabili né definibili. 5. Scienza: Sulla base di leggi e teoremi corretti vengono costruite teorie che però sono meno certi dei teoremi da cui sono formate, perché le teorie non sono mai completamente verificabili. Le teorie, per quanto incerte tentano di spiegare il funzionamento di un qualche aspetto del mondo. 5. Arte: Alla fine del processo di valorizzazione, in cui il tempo gioca un ruolo decisivo ma non prevedibile, si giunge alla certezza dell’arte, costituita dall'insieme composito e diversificato delle opere d'arte. Dalla massa delle proposte necessariamente incerte emergono un numero limitato di risultati certi. | risultati non spiegano il mondo, ma possono rappresentare aspetti del mondo, nonché istanze ed esperienze del tutto soggettive; eppure, in parte condivisibili mediante l’opera stessa. Un risultato scientifico va compreso: la capacità di comprendere è un modo di essere dell’intelligenza. Chi non possiede gli strumenti intellettivi atti alla comprensione profonda di una scoperta scientifica può solo accettarla con un atto di fede. Un risultato artistico va interpretato. Mentre la comprensione è una dimensione che molto si avvicina al “tutto o niente”, l'interpretazione è un continuum che non possiede limite zero. Tutti possono interpretare un’opera d'arte, anche quando non conoscono la storia che sta dietro e/o dentro l’opera stessa. Non vi è alcun criterio oggettivo in grado di stabilire la falsità di un’interpretazione, in quanto chi interpreta lo fa anzi tutto per se stesso. Un risultato scientifico può essere riportato in diversi modi. Il risultato non cambia in base al modo in cui esso viene presentato. Inoltre, il risultato nuovo include quello precedente, il risultato precedente si dissolve in quello successivo. Un'opera d’arte è quella che è, e non può essere modificata di una virgola. Può dar luogo ad interpretazioni diverse, che possono essere confrontate con il testo originale, ma il testo originale non si dissolve nelle sue interpretazioni, né in opere ad esso successive, e non include al suo interno opere precedenti, benché possa fare riferimento ad opere precedenti. Il prodotto scientifico è indipendente dal modo e dallo stile con cui è presentato: un resoconto verbale, un grafico, una formula, non alterano la sostanza del prodotto scientifico. Il prodotto artistico è imprescindibile dalla sua forma. L'arte non può prescindere dalla forma con cui è espressa. Anche l’arte concettuale, che rifiuta la forma, non può prescindere da un ancoraggio materiale, senza il quale l’opera non potrebbe esistere. Nel caso de Linea di lunghezza infinita di Piero Manzoni, il contenitore cilindrico è il segno materiale che concretizza l’esistenza dell'opera. Vantaggi? Una riunificazione di scienza e arte è funzionale soltanto all'industria culturale, non certo alle due discipline. | modi di procedere, i risultati ottenuti e ottenibili, gli scopi stessi, ed i linguaggi utilizzati sono intrinsecamente diversi. L'artista non è un neuroscienziato: il suo scopo non è quello di studiare o di spiegare il funzionamento del cervello, bensì quello di determinare in un osservatore una determinata esperienza estetica. Il neuroscienziato (e lo psicologo) non è un artista: il suo scopo non è quello di creare forme o di rappresentare istanze umane, bensì quello di comprendere i meccanismi sottostanti il comportamento umano. La scienza rincorre la verità attraverso lo studio della realtà. L'arte relativizza la verità, e nel fare ciò può anche prescindere del tutto dalla realtà. CONTRO LE TESI DI SEMIR ZEKI Tesi # 2: Arte e cervello hanno una funzione comune: acquisizione di conoscenza. La funzione dell’arte è dunque un'estensione della funzione del cervello. Tesi # 5: L'artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva. Vedo slide con disegni Arte e pubblicità si fondono nel lavoro di Fortunato Depero -> arista che si colloca all'interno del Futurismo (un futurismo un po’ giocoso) -> marionette, arazzi Toulouse-Lautrec e Mario Sironi (pubblicità più commerciali, non è un futurista) SLIDES Non tutta la ricerca artistica finisce col fornire nuove forme alle esigenze più diverse della comunicazione quotidiana, ma vi è un’osmosi (influenza reciproca) tra i due livelli. Infatti gli elementi della comunicazione quotidiana possono avere una importante influenza sulla ricerca artistica. -> a volte arte prende ispirazione pubblicità. Lichtenstein (sleeping girl) prende ispirazione da un fumetto (vedi slide). Is he a copycat? (uno che copia senza far riferimento a colui da cui ha preso l’idea) -> slide, leggere didascalia in inglese Vedi immagini: Andy Warhol: la Campbell’s mantiene la stessa identità. Opera di Warhol diventa pubblicità e la Campell’s ne approfitta per farlo suo, rendersi riconoscibile -> acquistiamo un prodotto che ha sapore di arte | vissuti che ogni persona può esperire durante la propria esistenza, nonché le esperienze emotive, sono spesso molto simili tra loro, ma allo stesso tempo diversi sia per il contesto che caratterizza l'esperienza, sia in base al modo in cui sono rappresentate (o ricordate). In arte è soprattutto la FORMA che si carica della diversità, e quindi del processo di innovazione. Tra le forme “peggiori” e quelle più “sublimi” vi è una continuità di realizzazioni che soddisfano una richiesta generalizzata e scalare di modelli da cui attingere le forme del comunicare. Tutte le epoche ed i periodi storici sono caratterizzati da una certa unità di stile che non riguarda solo l’arte, ma tutte le manifestazioni dell'attività umana. Lo stile riguarda anzi tutto la scelta di forme, e non necessariamente di contenuto. In tal senso l'arte di un determinato periodo storico tende a fornire modelli utili alle attività in cui la componente della comunicazione è rilevante. Ovvero, l’arte nutre lo stile di un'epoca, nutrendosi a sua volta di contenuti emergenti dall'epoca in cui è nata l’opera. Che fine ha fatto il contenuto? A livello di opera conclusa, forma e contenuto sono elementi inseparabili. La pura forma non esiste: ogni forma veicola anche un contenuto (se non altro perché innesca un processo di interpretazione). Tuttavia, nella pratica del fare arte, queste due facce della stessa medaglia possono essere temporaneamente separate. Per esempio, nelle cosiddette belle arti, una volta definito il contenuto, è la forma ciò di cui l'artista deve preoccuparsi: concentrandosi sulle qualità estetiche della forma, l'artista può mettere in evidenza aspetti inediti del contenuto. Secondo Massironi l’arte svolge un ruolo concreto e funzionale in termini di una ricerca attiva mediante cui vengono scoperte, sperimentate e verificate le forme che alimentano la comunicazione di tipo aperta. In arte, “la forma della comunicazione deve essere in buona misura libera anche rispetto ai contenuti” . (pag. 224) Due scuole a confronto: l’oggettività lenticolare del Rinascimento nordico e l’oggettività prospettica del Rinascimento italiano -> da qui slides (magari chiedere appunti o risentire slides) Rappresentazione di piante ed animali nel secondo Rinascimento: -Ulisse Aldrovandi (1522-1605) e la necessità di classificare la natura: rifare l'inventario del mondo in base ai metodi dell'osservazione diretta. -I limiti della descrizione verbale possono essere superati mediante l'ausilio di immagini. -AI fine di soddisfare le esigenze di una nuova oggettività, agli artisti è richiesto di rinunciare alla propria ricerca stilistica, alla propria esplorazione nel campo delle forme. -Aderiscono alla chiamata d'armi degli scienziati naturalisti quegli artisti che, dotati di un gran virtuosismo, non sono però innovatori nel campo dell’arte. -Ciononostante, questa collaborazione produrrà anche esiti in campo dell’arte, come il fiorire di un nuovo genere pittorico, la natura morta. Potere e arte Alle immagini sono state attribuite fin da epoche arcaiche attributi magici, finalità celebrative, funzioni simboliche, e in tal senso l'arte è stato spesso al servizio del ‘potere’. Il ‘potere’ (la persona o il gruppo di persone che reggono i destini di altre persone mediante scelte politiche, economiche e sociali) ha usato l’arte per illustrare e comunicare le proprie conquiste, i propri intenti, i propri valori, la propria giustificazione. -L'insofferenza alla pura celebrazione e alla funzione propagandistica imposta dalle autorità comincia già a serpeggiare dalla seconda metà del 1500. -L'insofferenza diventa programmatica con le avanguardie del Novecento. -Lo scontro si fa frontale con l'avvento del Nazismo, che bolla le avanguardie del Novecento come “Arte degenerata”: Le opere d’arte che non si possono comprendere, ma richiedono una quantità esagerata di spiegazioni per provare il loro diritto di esistenza come tali e per giungere a quei neurotici sensibili a tali stupide e insolenti assurdità, non capiteranno più pubblicamente tra le mani dei cittadini tedeschi. Che non vi siano illusioni! Il nazionalsocialismo ha intrapreso l’epurazione del Reich tedesco e del nostro popolo da tutte quelle influenze che ne minacciano l’esistenza e il carattere. [...] Con l'apertura di questa esposizione è giunta la fine della follia artistica e della contaminazione del nostro popolo nel campo dell’arte. (Adolph Hitler, Discorso d'apertura della “Casa dell’arte tedesca” in Monaco, 18/07/1937) -Goebbels organizza una mostra di “arte degenerata” a illustrazione delle ragioni del Firer. La mostra itinerante ebbe un successo inaspettato di visitatori. VEDI FOTO SU SLIDES Dalla lettura di brani estratti dal discorso di Hitler emergono l’idea di forma e di stile quali identificatori di una tensione nazionale incarnata nell’ideale ariano (“nucleo razziale dominante”). Forma e stile devono essere costanti nel tempo. Il sublime deve essere immobile, asservito ad un potere assoluto. ‘Vorrei quindi, oggi în questa sede, fare la seguente constatazione: fino all'ascesa al potere del Nazionalsocialismo c'era in Germania un' arte cosiddetta "moderna", cioè, come appunto è nell'essenza di questa parola, ogni anno un'arte diversa. Ma la Germania nazionalsocialista vuole di nuovo un'arte tedesca", ed essa deve essere e sarà, come tutti i valori creativi di un popolo, un'arte eterna. Se invece fosse sprovvista di un tale valore etemo per il nostro popolo, allora già oggi sarebbe priva di un valore superiore. Quando fu posta la prima pietra di questa casa, ebbe inizio la costruzione di un tempio non alla cosiddetta arte moderna, ma una vera ed eterna arte tedesca, 0 meglio: si erigeva una sede per l'arte del popolo tedesco non per una qualche arte internazionale del 1937, '40, '50 0 '60. Perché l'arte non trova fondamento nel tempo, ma unicamente nei popoli. L'artista perciò non deve innalzare un monumento al suo tempo, ma al suo popolo. Perché il tempo è qualcosa di mutevole, gli anni sopravvengono e passano. Ciò che vivesse solo in grazia di una determinata epoca dovrebbe decadere con essa. Questa caducità dovrebbe toccare non solo ciò che è nato prima di noi, ma anche ciò che oggi nasce davanti ai nostri occhi o che solo nel futuro troverà la sua forma. Sappiamo dalla storia del nostro popolo che esso si compone di un certo numero di razze più o meno differenziate, che nel corso dei secoli, sotto l'influsso plasmante di un nucleo razziale dominante, hanno prodotto quella mescolanza che oggi noi abbiamo dinanzi agli occhi appunto nel nostro popolo. Questa forza che un tempo plasmò il popolo, che perciò tuttora agisce, risiede nella stessa umanità ariana che noi riconosciamo non solo quale depositaria della nostra cultura propria, ma anche delle antiche culture che ci hanno preceduto. Questa formula di composizione del nostro carattere nazionale determina la poliedricità del nostro specifico sviluppo culturale, come anche la naturale parentela che ne deriva con i popoli e le culture dei nuclei razziali simili appartenenti alla famiglia dei popoli europei. Tuttavia noi, che viviamo nel popolo tedesco il risultato finale in questo graduale sviluppo storico, auspichiamo un'arte che anche al suo interno tenga sempre più conto del processo di unificazione di questa compagine razziale e di conseguenza assuma un indirizzo organico ed unitario". Arte e fascismo Esiste un evidente duplice rapporto fra il mondo dell’arte e della cultura ed il fascismo. Cronologicamente parlando si può dire che l'arte abbia anticipato e/o preparato i temi e le concezioni storico-politiche del movimento mussoliniano subito prima, e subito dopo, la Grande Guerra. E' il caso del futurismo, avanguardia artistica di rottura sovvertitrice del mondo esistente, e per questo carica di tensioni innovative ed antiborghesi, in simbiosi con lo spirito dei Fasci da Combattimento, prima formazione politica - dalla valenza fortemente antisistemica e rivoluzionaria - partorita da Mussolini. Dall'altra parte, con il consolidamento del potere e la degenerazione della monarchia parlamentare italiana in dittatura, nasce un'arte filofascista, servile, funzionale ai riti autocelebrati del regime, qualitativamente mediocre, in alcuni casi; insieme ad essa si forma una cultura necessariamente sottodeterminata dagli intenti propagandistici del nuovo potere, funzionale all'indottrinamento ed alla creazione di un'ideologia di massa. Max Mutarelli, Libertà dell’arte durante il fascismo (Tesi di laurea). Leggi anche su slides: -Figaro: 20 febbraio 1909 -> vedere cos'è -Manifesto della Pittura Futurista (11/02/1910 Umberto Boccioni, Carlo Dalmazzo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini) Vedo opere futuriste Arte, rivoluzione bolscevica, comunismo - Adesione entusiastica delle avanguardie artistiche alla rivoluzione che stava accadendo in Russia. “Accettazione iniziale da parte dei rivoluzionari -Rifiuto successivo in nome di un'arte populista in grado di essere immediatamente compreso. -La visione utilitaristica dell’arte dà luogo ad una ricerca di forme atte a promuovere il messaggio sovietico (da soviet, che significa unione). Inizio dell’'arte-propaganda. -L’arte al servizio del potere è, in un modo o nell'altro, sempre portatore di un messaggio propagandistico, educativo, spesso auto-celebrativo. VEDO SLIDES CON OPERE E IMMAGINI (informarsi) È arte, oppure no? Il graffiti è sia un codice grafico non ufficiale, sia, ad eccezione di pochi casi, un'arte non ufficiale. Dea Lunare Azteca: Il graffitismo di Haring ha molti punti in comune con lo stile precolombiano, non solo per l'horror vacui che caratterizza spesso le opere, ma anche per il modo in cui le forme sono trattate: stilizzazioni che permettono giochi di incastri. In entrambi i tipi di opere c'è un forte aspetto ludico: l'osservatore è invitato a cercare parti e a ricomporre la scena. Writing graffiti is about the most honest way you can be an artist. It takes no money to do it, you don't need an education to understand it and there is no admission fee. -Tristan Manco, 2002 L'asserzione di identità individuale è forse iltema più popolare e prevalente dei scritti di graffiti. Quello di scrivere o incidere il proprio nome o soprannome (nickname) è però una tradizione antica, che risale ai tempi dei gladiatori, i quali non solo iscrivevano i loro nomi ma li accompagnavano con simboli e disegni. La sfida: Quand'è che un graffiti diventa un'opera d'arte e cessa di essere un atto di vandalismo? Quand'è che un writer diviene artista? Può un writer divenire artista? Oppure è comunque artista per il solo fatto che si “esprime”? Madonna del Latte: affreschi esterni. Ce ne sono molti nelle nostre città. Svaniscono. Stesso destino per i graffiti Stampa: vedi slides GRAFFITI: arte o vandalismo? Il caso di Bros La street art vuole rompere le regole del mercato dell'arte: nessuna ricompensa economica, lo fanno per passione Il writer si contraddistingue per le scritte illeggibili, un'evoluzione del lettering, ovvero della trasformazione delle lettere per finalità estetiche: le lettere diventano oggetti morbidi, gommosi, duri, metallici, ecc, e la parola, da segno puramente semantico, si carica di dinamicità visiva. Twen e Bros sono forse due stadi di un'evoluzione che da writers porta ad essere artisti urbani. Quasi tutti gli street artists nascono con i tags, ovvero con quelle firme veloci e molto elaborate che si ritrovano un po' ovunque negli spazi urbani. Scopo di questo tagging ossessivo è quello di farsi notare, dichiarare la propria PERCEZIONE E RAPPRESENTAZIONE DELLO SPAZIO Spazio e tempo: due vissuti fondamentali della psiche umana. La nostra vita si svolge nello spazio e nel tempo. Una delle caratteristiche del tempo è che esso si coniuga sempre al presente. Viviamo, per così dire, in un eterno presente. Passato e Futuro sono costrutti mentali. Il passato è un atto del presente che riguarda la facoltà mentale del ricordare. Ma anche rivivere nella propria mente un ricordo significa attualizzarlo, calarlo nel presente. Per fare ciò si deve poter rendere silente il presente reale, astrarsi da esso. Calarsi nel passato significa quindi immaginare, cioè abbandonarsi all'atto di creare immagini mentali. Le immagini mentali si nutrono di ciò che abbiamo esperito, cioè del nostro passato codificato nei registri di memoria a lungo termine. Registri imperfetti che possono essere soggette a modifiche in funzioni di nuova informazione in entrata. Il futuro non esiste come esperienza. Esiste come proiezione, come tensione e speranza, come timore e ipotesi, come fantasia e, appunto, immaginazione. L’immaginazione del futuro è molto simile all’immaginazione del passato, ovvero al nostro modo di ricordare, che è un’interpretazione del passato. Anche il futuro si nutre del passato: per immaginare il bacio di una persona bramata ma irraggiungibile dobbiamo immaginarci la persona, il che significa utilizzare un ricordo di quella persona. L'immaginazione del futuro si nutre del nostro passato. Lo spazio è il contenitore delle nostre esperienze, siano queste reali, ricordate o immaginate. In quanto tale si snocciola nel presente. Le nostre esperienze hanno tutte quante una connotazione spaziale. Qualsiasi opera d’arte è quindi anche una rappresentazione di spazi. Anche la musica, che si svolge nel tempo, determina esperienze di natura spaziale. Per comprendere la natura psicologica che caratterizza un'opera d'arte è opportuno quindi comprendere il modo in cui noi viviamo lo spazio, almeno per quel che riguarda la percezione visiva. 3 tipi di spazio: Spazio peripersonale: è lo spazio immediatamente intorno a noi. Questo spazio è talvolta anche definito manipolatorio in quanto gli oggetti posti che si trovano in questo spazio possono essere raggiunti direttamente dall’osservatore. Lo spazio peripersonale può essere esteso oltre il limite delle nostre braccia tramite l'ausilio di utensili. È evidente che il grado di controllo che abbiamo delle nostre azioni all’interno di questo spazio diminuisce all'aumentare dell'estensione dello spazio peripersonale. Lo spazio peripersonale è caratterizzato da una metrica euclidea. Spazio extrapersonale: è lo spazio che non si può raggiungere direttamente, e in cui l'ausilio di un utensile non aiuta ad avere un controllo efficace dell'ambiente e delle cose al suo interno. Questo spazio si caratterizza per una metrica euclidea incerta, condizionata forse da due fattori: 1) dalla prospettiva naturale che tende a comprimere lo spazio in distanza; 2) da un modulo personale (biologico) che potrebbe corrispondere, ad esempio, all'estensione del braccio. Spazio distante: è lo spazio extrapersonale che si vede in distanza, e che ha come limite l'orizzonte. Questo spazio è ipercompresso, e in tal senso a-metrico. Non è uno spazio piatto, ma appiattito: per esempio si può dire che un edificio sta davanti ad un altro edificio, ma non si riesce a quantificare la distanza tra i due edifici. Il piano pittorico Gibson (1966) coniò il termine percezione pittorica per indicare quella abilità di vedere oggetti e scene derivanti da condizioni di stimolazione che però non sono i corrispettivi fisici degli oggetti e delle scene osservate. Egli parlò di un rapporto conflittuale a livello percettivo tra la natura propriamente fisica di un'immagine (per es. la materiale piattezza del supporto) e ciò che dentro di essa si è in grado di vedere, definendo questa doppia presenza in termini di un vero e proprio paradosso. Da un punto di vista puramente descrittivo, l’esperienza della percezione pittorica descritta da Gibson è per certi versi simile a quella che si ha con una figura impossibile, dove si vede un oggetto tridimensionale che però non può essere sostanzialmente tridimensionale al di fuori della realtà pittorica. Gombrich (1956) aveva parlato di doppia presenza in riferimento ad opere pittoriche, indicandola però in termini di due vissuti percettivi alternativi. Per lui, più che di un rapporto conflittuale si tratterebbe di un'alternanza tra esiti percettivi. In questo senso l’esperienza della percezione pittorica sarebbe simile a quella innescata dalle figure ambigue, le quali mostrano appunto due esiti percettivi possibili - l'uno alternativo all’altro - come nella coppaprofili di Rubin. Wollheim (2003) parla invece della percezione pittorica in termini di twofoldness, e quindi di simultaneità per quanto riguarda l’esperienza visiva del supporto pittorico e della scena ivi raffigurata. Questa posizione trova riscontro in altri studiosi, come per esempio in Pirenne (1970) e in Kubovy (1986), secondo cui la consapevolezza percettiva del supporto pittorico è un requisito essenziale per il funzionamento d’ipotetici processi compensatori atti a correggere distorsioni percettive dovute alle discrepanze tra l'immobile geometria interna alla scena pittorica e le continue trasformazioni dovute alla mutevole geometria dell’osservazione. L'ipotesi di Wollheim richiama alla mente il vissuto di doppia presenza che si ha quando ad un unico livello di stimolazione corrisponde il vissuto di due presenze fenomeniche simultanee, come nel caso della trasparenza. Mausfeld (2003) parla di rappresentazioni congiunte ma in termini antagonistici, per cui i parametri caratterizzanti un particolare aspetto di una delle rappresentazioni costituiscono un vincolo per l’altra rappresentazione circa la stessa caratteristica, e viceversa. In altre parole, parametri specificanti medesimi aspetti nelle due rappresentazioni mentali starebbero in una relazione antagonistica tra loro. L'idea di rappresentazioni congiunte in modo antagonistico rimanda anche alla scissione fenomenica descritta da Koffka (1935), quella cioè relativa all'esperienza simultanea di un colore di superficie e dell’illuminazione della superficie. Questo fenomeno è forse quello che strutturalmente più si avvicina a quella della percezione pittorica. La proprietà di possedere un dato colore è una caratteristica di una superficie opaca, come è propria di una superficie pittorica la caratteristica di essere appunto una superficie. Allo stesso tempo però una superficie opaca può anche mostrarsi illuminata in un certo qual modo, una caratteristica questa che è molto diversa da quello di essere di un dato colore; in modo abbastanza simile, la superficie pittorica mostra altro da sé, con una estensione spaziale che non appartiene alla superficie pittorica in quanto tale. In entrambi i casi si ha quindi una doppia rappresentazione: il colore di superficie e l'illuminazione cossistono simultaneamente imaterico del supporto pittorico e la scena ivi rappresentata. II prestare più attenzione ad un aspetto rispetto all’altro è determinato di volta in volta dal rapporto dinamico appunto tra l’attenzione e le mutevoli relazioni foto-geometriche all'interno della scena visiva globale. L'esperienza della scissione materialità, e quella della scena ivi rappresentata, che quando vista tende a diluire o vanificare la materialità intrinseca del supporto. INDICI PITTORICI DI PROFONDITÀ Oltre all'accomodamento, esistono diversi altri indici monoculari che sono definiti pittorici in quanto si ritrovano nelle immagini pittoriche. Interposizione (od occlusione): è un indice pittorico piuttosto comune, e consiste nel fatto che la scena visiva è costituita da superfici che occludono alla vista parti di altri superfici. Una superficie che risulta occludente è per definizione più vicina all’osservatore rispetto a quella parzialmente occlusa. L'informazione circa la profondità derivabile dalla sola interposizione è piuttosto povera: sappiamo che oggetti occlusi sono più distanti da noi, ma con la sola occlusione come informazione diventa difficile stimare tale distanza. Prospettiva naturale e prospettiva lineare: la luce che entra nell'occhio genera un'immagine retinica in base a precise leggi ottiche. Questo tipo di proiezione viene chiamato prospettiva “naturale”. La prospettiva lineare, invece, concerne tecniche di disegno geometrico formalizzate sulla base delle stesse leggi ottiche cui obbedisce la prospettiva naturale. La prospettiva si fonda sulle leggi elementari dell'ottica, e in particolare sul fatto che gli oggetti distanti sembrano più piccoli e meno definiti rispetto a quelli vicini. La prospettiva lineare traduce graficamente l'effetto di riduzione scalare delle superfici determinato dalla distanza. VEDI SLIDE CON SCHEMA: prospettiva lineare, prospettiva isometrica, prospettiva inversa Gli antichi egizi, greci e romani indicavano la profondità dello spazio nei dipinti mediante una serie di accorgimenti più o meno rudimentali, come l’interposizione. A Roma, la parola perspectiva (dal verbo perspicere, 'vedere chiaramente") indicava la 'scienza della visione' e corrispondeva al termine greco 'ottica'. Nonostante fossero arrivati a utilizzare talvolta la convergenza apparente delle linee parallele di profondità, i pittori e gli scenografi greci e romani, legati all'esperienza della visione reale, non giunsero mai a determinare un 'punto di vista' fisso e immutabile capace di coordinare tutti gli aspetti della visione. La comprensione scientifica delle leggi della prospettiva è quindi un'acquisizione relativamente recente nella storia. Queste leggi furono per la prima volta descritte con precisione in Italia da Leon Battista Alberti, il quale illustrò i procedimenti della costruzione di scene prospettiche nel suo trattato De Pictura (1435). Ma già tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo, gli artisti erano arrivati a sviluppare una coscienza intuitiva della prospettiva; tuttavia, fu l'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi che, con una serie di esperimenti attuati tra il 1417 e il 1420, mise a punto con esattezza le leggi della prospettiva lineare centrale. | pittori fiorentini Masaccio e Paolo Uccello furono tra i primi ad assimilare e ad applicare tali regole prospettiche. L'esempio intuitivo più semplice del principio della prospettiva lineare è offerto dalla percezione visiva illusoria per cui i binari della ferrovia sembrano avvicinarsi fino a convergere all'orizzonte. In un disegno prospettico, la superficie del foglio o della tela è chiamata piano di proiezione; l'orizzonte è la linea orizzontale che divide il piano di proiezione individuando l'altezza del punto di vista dell'osservatore ideale; il punto di fuga, collocato sull'orizzonte, è quello in cui convergono tutte le linee di profondità. | punti di fuga possono essere più d'uno, a seconda dell'allineamento degli oggetti presenti nella scena raffigurata. Il punto di fuga, punto di convergenza di tutte le linee non frontoparallele al piano pittorico, non esiste sul piano dell'esperienza fenomenica, ma corrisponde grossomodo al fuoco binoculare (o monoculare) di un osservatore ideale. QUALCHE ESEMPIO SU SLIDE Prospettiva aerea: oggetti che sono collocati più in profondità rispetto all’osservatore tendono ad apparire più sbiaditi e a possedere contorni meno marcati. Questo è dovuto al fatto che l'atmosfera non è completamente tersa. Vi sono microparticelle sospese nell'aria, la cui densità varia in funzione del clima, della pressione atmosferica, delle correnti, ecc. Queste microparticelle di fatto costituiscono una sorta di filtro o velo tridimensionale: è come osservare la realtà attraverso strati di vetro sempre meno trasparenti man mano che lo sguardo procede in profondità. La prospettiva aerea, i cui studi furono iniziati soprattutto da Leonardo da Vinci, si fonda sulla scoperta che l'aria non è un mezzo del tutto trasparente, ma con l'aumentare della distanza dal punto di osservazione essa rende i contorni più sfumati, i colori sempre meno nitidi e la loro gamma tendente verso l'azzurro. Infatti Leonardo tende a distinguere ulteriormente una prospettiva aerea propriamente detta, in cui si applica lo sfumato a seconda della distanza degli oggetti raffigurati, da una prospettiva del colore che invece teorizza il cambiamento del colore delle cose in ragione della loro lontananza. Secondo gli studi di ottica di Leonardo, l'aria è più densa («una aria grossa più che le altre») quanto più è vicina al suolo, mentre diventa più trasparente con l'altezza. Quindi soprattutto gli elementi di paesaggio che si sviluppano in altezza, come le montagne, appaiono più nitidi nelle parti più alte. Cit slide Contrasto di chiarezza: oggetti vicini hanno contrasti di chiarezza più accentuati rispetto ad oggetti lontani. Contrasto di colore: oggetti vicini presentano colori più brillanti rispetto a quelli lontani. Inoltre la L'idea di processi inferenziali inconsci presuppone la combinazione d'informazione di input (l'immagine retinica) con informazione interna preesistente, al fine di ottenere un output (l’esperienza visiva) congruo con lo stimolo distale. Il problema con questa ipotesi applicata alla percezione di immagini è che l'esperienza visiva dinanzi a un'immagine pittorica è assai raramente congrua con lo stimolo distale; anche quando si ha che fare con l’arte informale (Figura10), una corrente artistica diffusasi a partire dagli anni 50 del secolo scorso in cui la forma perde di valore a favore della materia stessa di cui è fatta l’opera. Anche quando l’idea sarebbe quella di un'arte “oggettiva”, per cui l’opera si dovrebbe identificare con la materia stessa con cui è fatta, l'occhio umano va oltre e vede relazioni spaziali che prescindono dalla pura materialità dell’opera. Il fatto che è particolarmente facile “trarre in inganno l'occhio” sta a significare che lo spazio non è un dato che deve essere “ricostruito” partendo da indizi presenti a livello prossimale, bensì è una dimensione intrinseca del sistema visivo, a prescindere da qualsiasi corrispondenza tra stimolo prossimale e stimolo distale. In altre parole, ogni nostra esperienza visiva è imprescindibile da una qualche esperienza di tridimensionalità spaziale. D'altra parte, non poteva essere altrimenti: l'articolazione figura- sfondo, processo essenziale nella determinazione di unità significative, implica una gerarchizzazione di piani spaziali (Farné, 1973). Il ruolo degli indici pittorici di profondità sarebbe quindi quello di flettere lo spazio, coniugando tra loro piani spaziali e gli oggetti ivi collocati. Piattezza pittorica: Rappresentare la piattezza non è cosa così facile. In ultima analisi, a livello pittorico è molto più difficile rendere la piattezza bidimensionale frontale che innescare un qualche vissuto di tridimensionalità. Disegni al tratto: Forse il problema non è tanto quello di vanificare la piattezza intrinseca della superficie pittorica, quanto quello di generare figure che appaiano tridimensionalmente solide. Tra tutti i metodi di rappresentazione figurativa, il disegno al tratto è quello anche più povero in termini di contenuti informativi. Basta pensare a quanto spazio occupa sul disco rigido un file di un disegno al tratto rispetto ad un file di un'immagine analoga per dimensioni ma realizzata con sfumature di grigio. Nonostante l’intrinseca povertà materiale dei disegni al tratto, questi sono metodi altamente efficaci ed efficienti in termini di comunicazione visiva. Le ambiguità spaziali dei disegni al tratto sono risolte dalla complessità del disegno: maggiore la complessità del disegno, maggiori sono i vincoli spaziali che si innescano tra le parti, maggiore è la stabilità spaziale dell'esito percettivo. Spazio solido: Le ombre proprie, ovvero l’ombreggiatura o il chiaroscuro, sono essenziali per rendere una tridimensionalità solida di oggetti pittorici. Il fenomeno dello shape from shading è cosa risaputa dalla notte dei tempi, e veniva applicata con regolarità anche dopo il crollo dell'impero romano e la conseguente scomparsa del suo naturalismo pittorico, a cui fece seguito in occidente l’arte bizantina con la sua pittura codificata (Gombrich, 1986). Una critica piuttosto comune rivolta all'arte bizantina, ed estesa poi alla quasi totalità dell'arte medievale, è quella di non aver saputo determinare una spazialità visiva coerentemente profonda. VEDI OPERE SU SLIDES Il modo medievale di determinare lo spazio ha una sua aderenza all'esperienza visiva del quotidiano, in cui lo spazio è un contenitore la cui apparenza è determinata da strutture, superfici ed oggetti delle più svariate forme e caratteristiche visive. In fondo, una stanza vale l’altra, quello che fa la differenza è la presenza di cose nella stanza, i loro colori, la loro disposizione. Scopo dell’arte medioevale non era tanto quello di dare una forma coerente allo spazio, quanto quello di mostrare la solidità tridimensionale delle forme, le quali modulano lo spazio visivo. In un certo qual senso, quindi, quello dei dipinti medioevali è uno spazio con una propria coerenza. La coerenza dell'approccio medievale allo spazio pittorico consiste nel fatto che gli artisti compresero che gli oggetti sono spazio allo stato solido. AI fine di ottenere una solidità tridimensionale stabile è necessario modulare quella materia che non solo è altamente mutevole ma anche alquanto effimera, cioè la luce. | consigli di Cennini sul modo di adoperare la luce la dicono lunga sull'importanza dell’ombreggiatura nell'arte medievale prima dell'avvento dello sfumato infinito di Leonardo Da Vinci: lo scopo non era quello di cogliere un umore vago, di amalgamare personaggi e cose all’interno dell'atmosfera pastosa dello spazio pittorico, bensì quello di rendere una tridimensionalità tangibile e allo stesso tempo ieratico. Non si trattava di fare dipinti in cui perdersi con lo sguardo, ma di creare personaggi, oggetti, città che dovevano staccarsi dallo sfondo pittorico per co-esistere nello spazio comportamentale. La luce era quindi al servizio dello spazio inteso come presenza solida nel mondo materiale. Il grande vuoto: ombre e penombre: Le carenze e le ambiguità spaziali nell'arte medievale sono determinate in particolare da due fattori: l’uso di proiezioni assonometriche, degenerate col tempo in forme di prospettiva inversa, e la mancanza di ombre portate. Uno dei risultati di questi fattori è l'assenza di vuoto inteso come spazio arioso. L'esperienza dello spazio può essere caratterizzato in diversi modi: quello di oggetti solidi tridimensionali, e di vuoti. Alla maggior parte dell’arte medievale è venuta a mancare quest’ultima componente dell'esperienza spaziale-pittorica. Giotto fu il primo a sperimentare lo sfumato in funzione atmosferica e a cercare una geometria tale da rendere la superficie pittorica una finestra attraverso cui guardare all’interno di altri micro-mondi. Con Giotto, lo spazio si fa vuoto dopo mille anni di spazialità solida in occidente. Sono testimoni di questo fatto i due splendidi corretti, noti anche come cappelle segrete, che si trovano nella Cappella degli Scrovegni a Padova, giustamente decantati da Longhi (1952) che per primo riconobbe la loro funzione di finzione architettonica. Quello che più incanta in questi capolavori assoluti è la semplice ariosità dei due vani pittorici, che mostrano un sublime vuoto pieno di luce. Spazio e luce La fisica ci insegna che vi è un legame molto forte tra spazio e tempo. È un legame che peraltro sperimentiamo sulla nostra pelle quotidianamente: lo spazio sembra poca cosa quando ci vuole poco tempo per percorrerla, e sembra infinito quando ci vuole molto tempo per spostarsi da un punto all’altro. È proprio una questione di relatività, anche se più sul piano psicologico che su quello fisico. A livello percettivo, però, vi è un legame che è altrettanto fondamentale, quello tra spazio e luce. Spazio e luce sono infatti entità incastrate l'una nell'altra. Ciononostante, possiamo avere rappresentazioni efficaci di spazio senza una precisa qualificazione della luce, ma non possiamo percepire la luce senza emerga un qualche vissuto spaziale. In altre parole, lo spazio c'è sempre; la luce modula lo spazio (vedi per esempio la prospettiva aerea, il ruolo delle ombre), ma non emerge sempre come forte presenza oggettuale all’interno dello spazio. L'importanza del lavoro di Giotto in relazione alla storia della rappresentazione dello spazio nell'arte occidentale consiste nell'aver portato all'interno della superficie pittorica ciò che gli artisti precedenti mostravano sopra la superficie pittorica, intesa più come un piano sopra cui far emergere le figure (uno scolpire quindi con colori e luce) che come una finestra attraverso cui guardare. Lo spazio rappresentato pittoricamente diventa quindi un contenitore, e come ogni contenitore è possibile che abbia dei vuoti, colmi però di luce. Con il Rinascimento, lo spazio reso pittoricamente si fa sempre più contenitore pieno di giochi di luci e ombre. In conclusione, la percezione dello spazio appare essere una caratteristica congenita del sistema visivo. In tal senso ogni segno su una superficie, sia esso accidentale o creato intenzionalmente, è suscettibile di divenire un indice pittorico di profondità e quindi di essere visto come qualche cosa d'altro posto in relazione a quello stesso spazio pittorico che esso stesso contribuisce a determinare sulla superficie materiale. È anche per questo motivo che qualsiasi segno tracciato sopra una superficie è in grado di specificare in termini pittorici un qualche aspetto della “realtà”. Il problema nella produzione artistica è quello di definire semmai l'aspetto o gli aspetti della realtà che devono essere rappresentati, come sostiene anche Arnheim. Nell'arte post-romana, per esempio, la realtà che si voleva rappresentare era la consistenza materiale delle cose. Lo spazio non solo era modulato dagli oggetti rappresentati, esso consisteva in quegli stessi oggetti. La luce era l’utensile per rivelare quel tipo di spazio, ma non fu oggetto di rappresentazione per se stessa (se non come entità simbolica congelata, come nelle aureole). È con l’arte rinascimentale, come fu già nell'arte grecoromana, che si cerca di rappresentare uno spazio in modo “oggettivo”. Mentre nell’arte greco-romana l’oggettivizzazione era un processo lasciato ancora all’intuizione, nell'arte rinascimentale si prefigura come scienza in seguito all'adozione di precise regole geometriche. Tuttavia l'esito percettivo rende l’opera più soggettiva ed empatica, in quanto più verisimile all'esperienza visiva dello spazio comportamentale. Lo storico dell’arte Panofsky espresse una tesi molto importante, secondo cui la prospettiva lineare non solo assolveva una funzione oggettivante, ma anche una funzione simbolica. Ogni rappresentazione spaziale è, per così dire, una espressione simbolica della cultura che l’ha sviluppata, in quanto è espressione di un punto di vista circa la realtà di cui vuole essere una rappresentazione visiva. EX: MANTEGNA -> SLIDE Lo sviluppo della fotografia ha determinato una crisi importante nel mondo dell’arte, crisi talvolta sottovalutata dagli stessi operatori. Il mezzo fotografico era in grado di rendere in modo oggettivo la scena osservata, e nel fare ciò furono molti gli artisti che si sentirono privati del loro privilegio creativo. Delacroix descriverà la fotografia come “la matita della natura”, mentre Ingres si chiese, sconcertato, quale artista avrebbe mai potuto raggiungere certi livelli di realismo. Aldilà dello sconcerto iniziale, l'avvento della fotografia libererà gli artisti da certe costrizioni accademiche, lasciando liberi di avventurarsi in ricerche formali che sboccheranno nelle varie avanguardie che hanno caratterizzato la fine dell'800 e l’inizio del ‘900. La fotografia diverrà primo strumento dell'artista, poi esso stesso mezzo d'espressione artistica. Ben presto si scoprirà che il mezzo oggettivo è in realtà molto soggettivo, nel senso che ripropone il punto di vista dell'artista. Sarà questa nuova constatazione, assieme alle possibilità di manipolare le immagini nelle camere oscure, a rendere la fotografia mezzo d'espressione artistica e non solo strumento di registrazione del reale. Come mezzo artistico la fotografia troverà ancora nuovi modi di rappresentazione spaziali. Sulla robustezza delle immagini pittoriche (o della prospettiva) Ci si sposta a dx e sx, ma non ci sono deformazioni. La foto di Nixon si vede in modo “normale” anche se guardate quest'immagine di lato (non centrato). La foto della foto di Nixon appare invece sempre distorta. IMMAGINE SU SLIDE vedi anche altre slide (robustezza 2): Bob Geldof, Dirk Jacobsz ARNHEIM: configurazioni e forme (SLIDE; saltata nonsoperchè) Forma e orientamento Nella Thatcher illusion, vediamo l'ex primo ministro britannico sempre sorridente quando l’immagine è capovolta. Quando invece i visi sono orientati secondo la loro posizione canonica, allora una delle due raffigurazioni ci appare grottesco. Un quadrato appare tale se uno dei lati è orizzontale rispetto al piano pittorico. Se il quadrato è ruotato di 45° si vede un rombo, ovvero un'altra figura geometrica. L'orientamento dello scheletro strutturale può modificare il modo in cui noi vediamo una forma, anche per quanto riguarda aspetti quali equilibrio e tensioni. Nel caso del quadrato che si trasforma in rombo, lo scheletro strutturale emergente è valido e stabile quanto quello del quadrato: i rapporti di simmetria sono mantenuti. L'ex quadrato, trasformatosi in rombo, perde in equilibrio ma acquista in dinamicità. L'orientamento spaziale presuppone uno schema di riferimento. In uno spazio vuoto, lo schema diventa l'orientamento retinico. La compresenza di forme può invece determinare il modo in cui viene inteso anche lo schema strutturale di una forma; nel caso sopra, quando il rettangolo che fa da sfondo al rombo è orientato a 45°, il rombo scompare e si vede un quadrato inclinato. Gli schemi di riferimento sono essenziali in tutti i processi di percezione visiva. Il sistema deve definire le Lightness (bianchezza, o chiarezza dei grigi) Colore acromatico di superficie. La lightness di una superficie corrisponde a un certo livello di grigio su una scala acromatica di grigi che comprendono il bianco e il nero, i limiti di detta scala. Come la riflettanza è una proprietà invariante di una superficie fisica, così la lightness è una proprietà costante di una superficie percettiva che appare riflettere luce. In questo senso, si usa anche il termine riflettanza percepita per indicare la lightness, anche se non vi è una correlazione diretta tra la percentuale di luce riflessa da una superficie e il grigio di cui sembra essere fatto quella superficie stessa. Brightness (intensità percepita) Il termine brightness viene utilizzato per parlare di diverse cose. Alcuni intendono indicare con questo termine la supposta esperienza percettiva della luminanza, ovvero l'intensità assoluta apparente di uno stimolo. In altre parole, alcune teorie (perlopiù cognitiviste) ritengono che il sistema visivo renda disponibile per la valutazione cosciente il dato sensoriale immediato sulla quantità di stimolazione proveniente da una regione del campo stimolatorio. In tal senso, con il termine brightness si vuole indicare una esperienza sensibile concettualmente simile a quella di vedere le grandezze angolari delle superfici (cioè quanto spazio occupano sulla retina). Così si trova spesso nella letteratura il luminanza apparente (apparent luminance) come sinonimo di brightness. Con il termine brightness, altri studiosi intendono riferirsi in modo generico all'esperienza percettiva sia dell’illuminazione, sia della emissione di luce. In tal senso, brightness corrisponderebbe al vissuto percettivo della quantità di luce che appare illuminare una superficie o un ambiente. Inoltre, il termine si riferirebbe all'intensità percepita di una sorgente di illuminazione. Se tuttavia è chiaro il significato del termine con riferimento all’illuminazione, ci si può chiedere invece che cosa cambi rispetto al concetto di “luminanza apparente” quando si usa il termine per riferirsi al vissuto di luminosità. La differenza sta tutta nella luce, ovvero nel modo in cui la si intende a livello di esperienza fenomenica. Lightness e Brightness: SLIDE Rappresentare l’incorporeo Come è stato tradotto in termini figurativi l'esperienza di un oggetto caratterizzato da una assenza di corporeità, qual è appunto la luce? L'esperienza percettiva della luce può essere categorizzata in due modi principali: 1) L'esperienza di sorgenti di luce, come il sole, una lampadina al tungsteno accesa, una lamapada al neon, la fiamma di una candela, ecc. 2) L'esperienza della luce riflessa dalle superfici, dove la luce emerge come presenza in virtù del contrasto con le ombre. Why do children feel the urge to portray the sun in their artworks? -A reassuring presence in childhood (monsters are less likely to appear in broad day light, especially on a sunny day); - Associated with positive feelings (when it is sunny you can play outside with your friends); - Expression of a cultural archetype, related to the experience of light. Le prime raffigurazioni della luce coincidono con la rappresentazione delle principali sorgenti naturali di luce, il sole (sorgente fisico di emissione) e la luna (sorgente fisico di riflessione, ma che di notte appare luminosa di luce propria). VEDI SLIDE (opere con luce, sole) In della luce L'esperienza visiva della luce si presenta in tre modi: -L'esperienza della luminosità, ovvero di oggetti che appaiono emettere luce propria; -L'esperienza dell’illuminazione, ovvero la chiarezza delle superfici appare dipendere da un agente esterno che si manifesta sulle superfici medesime; -L'esperienza della luce ambientale (la luce di un giorno di sole vs la luce di un giorno nuvoloso) e Irraggiamento: un punto luminoso appare diffondere raggi di luce in tutte le direzioni. * Diffusione rettilinea: i raggi di luce hanno un percorso che appare sempre rettilineo, a meno di non subire effetti di diffrazione. * Effetti di diffrazione: modificazioni nel percorso della luce in seguito alla presenza di superfici opache: lungo i margini i raggi appaiono deflettere e producono frange di luce e buio e fasce colorate (iridescenza). e Gradienti di luminanza e ombreggiature: sono gli stessi indici usati per creare gli effetti di tridimensionalità. ® Riflessione: uperfici opache riflettono la luce, interrompendo il percorso dei raggi luminosi. e Intercettazione: un oggetto solido non trasparente interrompe il percorso dei raggi producendo una zona d'ombra “portata”. Luce come presenza sulle superfici La luce emerge come una entità oggettuale sovrastrutturale, in grado unificare zone omogenee di illuminazione. (vedi SLIDE con opere, Giuseppe Galli Bibiena) La luce è dispersa nell'ambiente e non possiede una qualità oggettuale. Per comprendere perché in alcune scene visive la luce emerge come un vero e proprio oggetto visivo, mentre in altre scene la sua presenza è molto diluita, se non addirittura nulla dal punto di vista oggettuale, bisogna considerare che la scena visiva può possedere diversi set di margini. Nell’esperienza quotidiana siamo consapevoli di 2 tipi diversi di margini: 1) Quelli determinati dalla segmentazione del campo di stimolazione in: a) oggetti discreti aventi una certa forma; b) uno spazio che contiene tali oggetti (segmentazione figura-sfondo); 2) Quelli determinati dall’illuminazione. | corpi opachi intercettano la luce, e tale intercettazione determina zone di ombra sul corpo dell'oggetto stesso (ombre proprie) e la “proiezione” di ombre sopra altre superfici limitrofi (ombre portate). Per l'emergenza della luce come oggetto visivo è cruciale il rapporto tra il set di margini del primo tipo e il set di margini determinate dalla presenza di ombre proprie fortemente strutturate. Quanto più questo set di margini si intersecano senza dar luogo a sovrapposizioni completi, tanto più probabile la luce emergerà come caratteristica oggettuale della scena. Tanto più quei due set di margini si sovrapporranno, invece, tanto maggiore è la probabilità che la luce scompaia nel gioco di ombreggiature determinata dalle ombre proprie. Spatial structure from cast shadows (slide) An appropriate display of cast shadows can reveal 3D structure (slide) Mentre l'ombra propria è importante nella definizione della struttura tridimensionale della superficie su cui si vede, essa è invece relativamente poco informativa circa la struttura dello spazio in termini generali. Le ombre portate aggiungono informazioni importanti in tale senso. Declinando le relazioni spaziali intercorrenti tra le varie superfici di una scena visiva, di fatto declinano anche gli effetti di illuminazione. Luce come presenza ambientale La luce e lo spazio sono dimensioni interdipendenti nella scena visiva: la luce, per mezzo delle interazioni con le superfici influenza il modo in cui è vissuto lo spazio; lo spazio, comprendente gli innumerevoli oggetti che può contenere, dà forma alla luce sia in termini di illuminazione superficiale, sia in termini di illuminazione ambientale. SLIDES Sono le superfici a modulare l'aspetto della luce ambientale (SLIDE) L'illusione dell’illuminazione fantasma concerne l'aspetto di chiarezza di un ambiente, ovvero concerne la dimensione della brightness (intensità apparente). Gli effetti di brightness sono numerosi: ® Assimilazione (von Bezold, 1876) (a) Effetto uniforme, non vettoriale. e Neon color spreading (Varin, 1971; van Tuijl, 1975) (e) Mostra una superficie trasparente con brightness in fase con gli induttori. Esige forti vincoli figurali. e Figure anomale (Kanizsa, 1955) (g) Mostra una superficie opaca con brightness in contro-fase rispetto agli induttori. Esige forti vincoli figurali. ® Visual phantoms (Gyoba, 1983) (b; c) Visione scotopica, mostra un effetto di completamento in fase con il gradiente sinusoidale. ® Grating induction (McCourt, 1982) (d) Photopic brightness induction of a gray occuding bar. Induzione contro-fase rispetto al gradiente. e Glare effect (Zavagno, 1999) (f) Riguarda la luminosità. Funziona anche con figure anomale Lettere si riferiscono a immagine nella SLIDE Phantom illumination illusion: VEDI SLIDES Il risultato comune ad entrambi gli esperimenti è la comparsa dello zero quando gli induttori si toccano e quindi circondano completamente con un margine chiaro la zona target. Quando poi gli induttori si fondono, in entrambi gli esperimenti si ha una inversione dell'effetto in direzione del contrasto, con il target che appare più scuro dello sfondo. Sembra che la chiarezza percepita della zona target dipenda dall'esito dell’articolazione figura-sfondo: se tale processo porta alla segregazione del target dallo sfondo allora si assiste ad un effetto di contrasto; se invece la segregazione non induce la formazione di una zona centrale separato dallo sfondo, allora si ha un esito di tipo assimilativo, con il target più chiaro del resto dello sfondo. Per testare l'ipotesi che l’effetto dell’illuminazione fantasma si verifichi quando la zona target è vista come parte dello sfondo (e quindi dell'ambiente), si possono utilizzare configurazioni che fanno uso di contorni senza gradiente (figure anomale alla Kanizsa). Se infatti l’effetto è legato al processo di segmentazione del campo, allora anche un contorno percettivamente presente ma fisicamente assente a livello stimolatorio dovrebbe invertire la chiarezza della zona target, faccendola apparire più scura. Tuttavia, è bene osservare che l’effetto glare funziona molto bene anche con contorni soggettivi. Experiencing illumination: SLIDES Luce come presenza luminosa Rimane una questione da analizzare: può una immagine pittorica mostrare luminosità? Le rappresentazioni antiche del sole e della luna sono di tipo simbolico, e I raggi raffigurati sono quello che Kennedy definirebbe una “metafora visiva” per indicare l'irraggiamento. Ma queste metafore sono in grado di mostrare effettivamente luminosità? Per rispondere adeguatamente alla domanda precedente è necessario considerare le teorie concernenti l’esperienza percettiva della luminosità. La percezione di luminosità appare quasi spiegarsi da sola: una superficie appare luminosa quando emette o riflette una certa quantità di energia luminosa. Se le cose stanno così, allora lo studio della percezione di luminosità si riduce alla individuazione della soglia assoluta per tale percetto. Alcune ipotesi sulla luminosità Ullman (1976) fu il primo a indagare empiricamente la percezione della luminosità. Egli analizzò 5 possibili risposte, dimostrando che nessuna di esse esauriva del tutto il problema: 1) Una sorgente di luce è sempre l'intensità più elevata nella scena visiva. Tale affermazione è falsa perché si possono dare casi in cui l'intensità di energia riflessa da una superficie vista come opaca e quindi non luminosa sia maggiore dell'intensità di energia proveniente da un altro oggetto visto come luminoso. Si provi ad immaginare, per esempio, la seguente scena: è una splendida
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