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appunti psicologia delle attività motorie e sportive, Appunti di Psicologia dello Sport

Documento contenente appunti presi alla perfezione durante le lezioni della prof.ssa Marinelli, rielaborati e integrati con studio di articoli e libri di testo consigliati per lo svolgimento dell'esame.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 28/09/2023

michele-de-cristofaro
michele-de-cristofaro 🇮🇹

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Scarica appunti psicologia delle attività motorie e sportive e più Appunti in PDF di Psicologia dello Sport solo su Docsity! psicologia delle attività motorie e sportive i contenuti di questo documento costituiscono rielaborazioni personali del publisher* di informazioni apprese con la fre- quenza delle lezioni della prof.ssa Marinelli e con lo studio autonomo dei libri di riferimento in preparazione dell’esame finale (non devono, pertanto, intendersi come materiale uffi- ciale dell’Università degli Studi di Foggia o della prof.ssa Marinelli). É vietata la copia, anche parziale, senza autorizzazione. * Michele De Cristofaro. 1) INTRODUZIONE La psicologia è la scienza che studia gli stati mentali e i suoi processi emotivi, cognitivi, sociali e comportamentali nelle loro componenti consce e inconsce, nonché il trattamento delle funzioni psi- chiche in condizioni di benessere, di sofferenza o disagio mentale, dovute a dinamiche soggettive (intrapsichiche), ambientali e/o relazionali (interpsichiche). 2) ADHD Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (Attention Deficit Hyperactivity Disorder o ADHD) è un disturbo del neurosviluppo (che colpisce circa il 5% dei bambini ed il 2,5% degli adulti, con una mag- giore frequenza nei maschi) consistente in un’estremo, pervasivo, persistente e deabilitante stato di i- nattenzione, disorganizzazione e/o iperattività-impulsività, classificabile: 1. a seconda dei sintomi, nei tipi: - con disattenzione predominante: ossia con compromissioni importanti all’attenzione seletti- va, all’attenzione sostenuta (principalmente) e alle funzioni esecutive (pianificazione, inibizione, autoregolazione e memoria di lavoro). Questa discontinuità dell’attenzione inficia, in prima li- nea, l’apprendimento, - con impulsività e iperattività predominante: ossia con lievi compromissioni alla funzionalità attentiva e gravi compromissioni a livello comportamentale, in cui si rilevano tendenze iper- cinetiche e mancanza di autoregolazione, - combinato: ossia in presenza di tutte e tre le caratteristiche contemporaneamente. 2. a seconda del livello di compromissione, in: lieve, moderato, grave e remissione parziale. SINTOMI Affinché possa essere diagnosticato, i sintomi del disturbo devono: 1. insorgere entro il 7° anno d’età e perdurare da almeno 6 mesi, 2. essere presenti in due o più contesti di vita, 3. compromettere il funzionamento sociale, scolastico o lavorativo del soggetto, 4. interessare tre aree specifiche, quali: - disattenzione: ossia difficoltà a dirigere volontariamente ed in modo organizzato e funzio- nale l’attenzione verso stimoli visivi e uditivi (attenzione selettiva), per un tempo prolungato (attenzione sostenuta) o su più stimoli simultaneamente (attenzione divisa), - iperattività: ossia tendenza a muoversi più a lungo e maggiormente rispetto agli altri, mani- festando irrequietezza attraverso micro e macro-movimenti, - impulsività: ossia sforzo eccessivo nell’inibire una risposta automatica, disfunzionale ed emessa anche quando non richiesta. Dal punto di vista emotivo si osserva, invece, una iper- reattività, che sottende la percezione amplificata delle emozioni, a cui spesso segue una rea- zione eccessiva o teatrale. L’età media di segnalazione del problema è tra i 3 e i 4 anni, sebbene le difficoltà possano inasprirsi in corrispondenza dell’esordio scolastico. Nella fanciullezza, l’ADHD si sovrappone spesso al Di- sturbo Oppositivo-Provocatorio e al Disturbo della Condotta e, generalmente, permane in età adulta. In particolare: - l’infanzia: è la fase in cui si osserva il massimo grado di iperattività, con comportamenti ag- gressivi, disturbo del sonno, crisi di rabbia, litigiosità, provocatorietà e condotte pericolose che causano, spesso, frequenti incidenti domestici e scarse performance scolastiche. Verso gli 8-9 anni, generalmente, sbiadisce la componente iperattiva, mentre tende a persistere quella disat- tentiva insieme all’indole oppositivo-provocatoria, In particolare: 1. il lavoro con i genitori (parent training) ha lo scopo di: - favorire la comprensione dei comportamenti del bambino, - fornire strategie per la loro gestione e modificazione, - migliorare la qualità delle interazioni familiari e sociali. 2. il lavoro con gli insegnanti, invece, ha lo scopo di: - favorire un’adeguata integrazione scolastica, - ristrutturare la didattica in funzione delle peculiarità del ragazzo. Le classi scolastiche sono spesso dei luoghi poco piacevoli per i bambini con ADHD data la scarsa conoscenza del disturbo e le difficoltà ad organizzare efficacemente l’azione didattica in funzione di esso. L’applicazione del training nel contesto scolastico si avvale, principalmente, della “pulizia del setting” (ossia della riduzione al minimo delle distrazioni) e del controllo della po- stura attraverso rinforzo differenziale. Come già definito, il soggetto con ADHD ha difficoltà a prevedere le conseguenze delle proprie a- zioni. Si rivela particolarmente utile, in tal senso, favorire la formazione di un contesto altamente strutturato: - offrendo informazioni di ritorno al bambino (spiegandogli perché si sia verificata una determinata conseguenza e dandogli chiare informazioni circa il grado di correttezza del suo comportamento), - instaurando delle routine (per facilitare la pianificazione e l’organizzazione degli impegni. Più routine si realizzano meno instabile sarà il comportamento. Es. ingresso in classe ad un’ora fissa, pause concor- date, dettatura compiti per casa e controllo, saluto e uscita a fine lezione ecc…), - aiutando il bambino a gestire meglio il proprio materiale, - stabilendo delle regole: poche, chiare, positive (non divieti) e, possibilmente, concordate con il bambino (es. Vietato parlare senza aver alzato la mano → Tenere alzata la mano per 5 secondi per chie- dere la parola, Vietato alzarsi prima del suono della campana → Alzarsi al suono della campana). Rego- lamentare azioni e comportamenti permette di prevedere esiti e conseguenze e stabilisce clima di giustizia. Nel bambino con ADHD, l’alterata percezione temporale comporta: - richieste brevi e chiare, - maggiore immediatezza in eventuali premi e punizioni, - compiti meno lunghi (magari divisi in più parti) e più interessanti (magari compiti di coppia o in pic- coli gruppi, da proporre in alternanza a compiti “meno interessanti”), - necessità di lavorare con tempi stabiliti. RINFORZI Un rinforzatore è un evento che, quando compare immediatamente dopo un comportamento, induce l’aumento della frequenza, dell’intensità e della durata dello stesso, rendendolo più probabile in fu- turo. Il rinforzo, che può anche essere negativo (cessazione di qualcosa che non piace al bambino), è ca- ratterizzato da significatività, varietà, immediatezza e frequenza. Distinguiamo, in particolare, rin- forzi: di consumo, dinamici, sociali, tangibili e simbolici. Accorgimenti per il corretto utilizzo dei rinforzi 1. definire operativamente l’azione (feedback chiaro del perché si riceve il rinforzo), 2. individuare effettive gratificazioni per il bambino, 3. limitare parzialmente l’accesso alle attività usate come gratificazione (per limitare la frequenza dei rinforzi ed eventuali associazioni pericolose), 4. non gratificare involontariamente azioni negative, 5. utilizzare i rinforzi in maniera coerente. Principali tecniche di rinforzamento 1. DRO (rinforzo differenziale di altri comportamenti): si rinforzano tutti gli altri comportamenti ec- cetto quello indesiderato, 2. DRA (rinforzo differenziale di comportamenti alternativi): si rinforzano tutti i comportamenti in- compatibili con quello indesiderato, 3. rinforzo vicario: si rinforza un modello particolare, 4. shaping: si rinforza ogni approssimazione sempre più simile al comportamento che si vuole raggiungere, finché il bambino non emette il nuovo comportamento, 5. fading: si attenua l’aiuto in modo da favorire l’automatizzazione dell’abilità, 6. punizione: si introduce una conseguenza negativa, in grado di ridurre la probabilità che in futu- ro si ripeta il comportamento a cui essa viene fatta seguire, 7. time out: si interrompono/sospendono attività piacevoli per comportamenti collerici e indispo- nenti, al fine di indebolire il comportamento problematico (impulsivo, aggressivo, emotivo, ostile) e stimolare la comparsa di un nuovo comportamento accettabile, 8. contenimento fisico (nei casi più gravi), 9. estinzione: si cessa la consegna di rinforzo per un determinato comportamento, in maniera tale da ridurre le probabilità che quello stesso comportamento si manifesti in futuro (l’estinzione da sola potrebbe generare effetti collaterali. Al bambino, infatti, potrebbe arrivare il concetto: “se esagero, ottengo”), 10. RNC (rinforzo non contingente): si consegna rinforzo su un programma a tempo fisso, indipen- dentemente dal fatto che il bambino dimostri o meno il comportamento target durante l’intervallo (si spezza, quindi, l’associazione tra comportamento inadeguato e rinforzo e diminuisce, con molte probabilità, la frequenza di comportamenti inadeguati). Al RNC è importante associare un’analisi funzionale, ossia un’osservazione non strutturata e sistematica, volta ad identificare: - antecedenti e conseguenti del comportamento, - frequenza e distribuzione del comportamento nell’arco della giornata, - efficacia di eventuali tentativi di soluzione già provati. Da evitare assolutamente, nell’attuazione del RNC, è la consegna di rinforzi negativi o contin- genti al comportamento inadeguato, 11. costo della risposta: si sottraggono privilegi, premi o “punti” ogni qualvolta il bambino esplica il comportamento negativo. Il costo della risposta è utile soprattutto per comportamenti negativi non gravi (specie in relazione allo scarso impegno) e deve essere: - proporzionale all’azione negativa, - corredato da informazioni chiare, - concordato in anticipo, - controllabile e inflessibile nella sua applicazione. 12. token economy: si consegnano “gettoni” per ogni comportamento adeguato, mentre in presenza di comportamenti inadeguati si sottraggono gettoni. Al raggiungimento di una soglia concordata il bambino riceverà rinforzo. La token economy assicura diversi vantaggi, quali: - consegna di rinforzi per comportamenti adeguati senza creare assuefazione (ossia senza che i rinforzi perdano la loro valenza), - presenza di una meta che motiva il bambino ad impegnarsi, - possibilità di aumentare il numero di token necessari per ottenere rinforzo (ciò permette di mantenere il comportamento target per intervalli più lunghi), - maggiore autoconsapevolezza, autoregolazione ed automonitoraggio nel bambino, - possibilità di utilizzazione anche in contesti di gruppo. APPROCCIO METACOGNITIVO Le strategie metacognitive prevedono: 1. la scomposizione di una prestazione complessa in più fasi (task-analysis), 2. lo svolgimento, da parte dell’alunno, di ogni fase (automonitoraggio), 3. l’utilizzo di schede di facilitazione per controllare, in ogni fase, l’esecuzione corretta, 4. il controllo continuo e preciso in ogni fase critica (es. rinforzamento per la correttezza del calcolo), 5. la progressiva autonomia, favorita attraverso: fading out del prompt, istruzioni progressivamente più lunghe e compiti progressivamente più complessi. Le strategie utili all’autoregolazione sono l’autoistruzione (ossia l’auto-rifornimento di istruzioni ver- bali per il conseguimento di un obiettivo) e l’automonitoraggio (ossia la capacità di controllare lo svolgi- mento delle proprie azioni in vista: dei loro esiti, della meta da raggiungere e dei feedback ambientali). Fasi dell’autoistruzione Fasi dell’automonitoraggio guida totale: l’educatore dimostra l’esecuzione e guida il sog- getto alle autoistruzioni guida totale: l’educatore guida il soggetto ad automonitorarsi su singole prestazioni, attraverso checklist figurate guida attenuata: l’educatore verbalizza le autoistruzioni, men- tre il soggetto le esegue in maniera più autonoma guida attenuata: l’educatore guida il soggetto ad automonito- raggi sempre più prolungati e complessi performance autonoma con controllo: si giunge ad esecuzio- ni sempre più autonome (verbalizzazione esterna) performance autonoma con controllo: il soggetto si autova- luta attraverso checklist non figurate performance autonoma: è incoraggiato il passaggio ad una autoistruzione mentale (verbalizzazione interna) performance autonoma: è incoraggiato il passaggio ad un au- tomonitoraggio spontaneo e senza alcuno strumento L’impiego delle strategie metacognitive: favorisce prestazioni sempre più autonome e autoregolate, orienta l’attenzione verso le caratteristiche del compito e ha effetto positivo sulle attribuzioni degli alunni rispetto al loro impegno. FEEDBACK ATTRIBUZIONALE Il feedback dell’insegnante è l’informazione di ritorno che notifica all’allievo le cause del suo suc- cesso/fallimento in un compito. I feedback possono sottolineare bravura, impegno, strategia ecc… PROGRAMMA IMPULSIVITÁ ED AUTOCONTROLLO Il programma impulsività e autocontrollo (Cornoldi et al., 1996) è finalizzato a sviluppare l’approccio auto-regolativo nell’affrontare situazioni problematiche (generalmente di natura scolastica) e consta di 16 incontri (ciascuno con uno specifico argomento) in cui: si definisce il problema, si inquadrano le difficoltà, si insegnano le tecniche di autoregolazione e le si applicano ai vari contesti. In ogni incontro, in particolare, si verifica: - la consegna dei token e la definizione dei modi per acquisirli/perderli, - l’introduzione del materiale dell’incontro, - la spiegazione e l’esercitazione sulle regole da apprendere, - la riflessione sulle attribuzioni di successi ed insuccessi in relazione ai compiti svolti, - la generalizzazione delle regole apprese ad altri contesti, - l’autovalutazione della propria prestazione. SOCIAL SKILLS TRAINING I bambini iperattivi hanno difficoltà nello stabilire rapporti positivi con i coetanei. Il programma per migliorare le abilità interpersonali (Mc Ginnis et al, 1986) lavora il potenziamento delle abilità sociali di base attraverso: - le autoistruzioni, - il riconoscimento delle proprie emozioni e degli aspetti non verbali della comunicazione, - l’indicazione dei modi appropriati per unirsi ad un gruppo, fare richieste e saperle rifiutare, - la sottolineatura dei circoli viziosi (comportamenti che generano rifiuto) e delle strategie per disin- nescarli. La teoria delle pulsioni si rivela insufficiente nello spiegare: il fenomeno dell’incongruenza (talvolta, infatti, l’uomo cerca di aumentare, anziché ridurre, le pulsioni, es. dieta), alcuni comportamenti non giu- stificati dalla riduzione della pulsione (es. andare in una galleria d’arte) e i bisogni sociali. La teoria dell’attivazione ottimale (formulata da Hebb) si basa su due assunti: - la natura dell’ambiente influenza l’attivazione del cervello, - il cervello influenza il comportamento, in particolare gli aspetti che riguardano approccio ed evitamento (in un ambiente noioso l’uomo ricerca nuovi stimoli, mentre in un ambiente con troppe sti- molazioni l’uomo cerca di ripristinare uno stato di tranquillità). L’impotenza appresa (formulata da Seligman e Maier) allude a quella sensazione di sfiducia persi- stente e totalizzante, che porta a desistere dall’affrontare un problema o una situazione in virtù del fatto che in passato sono state affrontate situazioni simili con esito negativo. I bambini con Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA), pur sforzandosi maggiormente rispetto ai coetanei, non rie- scono a conquistare performance adeguate. Questo scenario determina: - bassa autostima e autoefficacia, da cui derivano basse aspettative di successo, - uno stile attributivo impotente che rafforza le credenze di inadeguatezza ed attribuisce i successi a cause esterne (fortuna, facilità del compito, aiuto), non controllabili, e gli insuccessi a cause in- terne (mancanza di capacità), immodificabili. Tutte queste variabili concorrono alla cosiddetta “profezia che si autoavvera”, un circolo vizioso in cui il soggetto, convinto o timoroso del verificarsi di eventi futuri, altera il suo comportamento in maniera tale da finire per causare tali eventi (le principali conseguenze negative che ne derivano sono: scarsa motivazione, scarsa perseveranza, scarso impegno, evitamenti, scelta di compiti facili e impotenza ap- presa → tutti fattori di rischio per la depressione, l’ADHD e l’ansia). Altre teorie, invece, affermano che l’uomo agisce con il desiderio di massimizzare il piacere e mi- nimizzare il dolore, secondo: - un sistema di attivazione comportamentale (BAS): che, stimolato da segnali di potenziale ricom- pensa, permette l’avvio o il potenziamento di azioni verso obiettivi positivi, - un sistema di inibizione comportamentale (BIS): che, stimolato da segnali di potenziale dolore, mancato rinforzo e punizione, produce paura e comportamenti evitanti e di fuga. BAS e BIS organizzano i processi cognitivi, psicologici e comportamentali finalizzati alla ricerca del piacere e all’evitamento del dolore. La teoria di McClelland isola tre aree motivazionali dominanti (operanti in parallelo e in contempora- nea), che si declinano tra due opposte polarità (desiderio e paura) e che sono: - successo (paura di fallire ↑ desiderio di eccellenza), - affiliazione (paura del rifiuto ↑ desiderio di protezione), - potere (paura della dipendenza o di essere umiliato ↑ desiderio di dominio). La teoria dell’aspettativa-valore (formulata da Atkinson e Vroom) afferma che il comportamento umano è influenzato: - dall’aspettativa di raggiungere l’obiettivo, - dal valore incentivante che la persona attribuisce all’obiettivo stesso. La motivazione, pertanto, può essere riassunta dalla formula: aspettativa X valore incentivante. Il modello stimolo-risposta (formulato da Hull), invece, afferma che “la forza dell’abitudine è diret- tamente proporzionale al numero delle associazioni fra stimolo e risposta a essa connesse che hanno subito un rinforzo”. Hull, infatti, presuppone che il comportamento umano possa essere spiegato dallo schema stimolo-risposta-rinforzo, quindi: potenziale di risposta = pulsione (drive) X abitudine (habit) X incentivo (quanto rappresentato sopra corrisponde alla seconda formulazione. La prima formulazione, infatti, recitava: potenziale di risposta = pulsione x abitudine). La pulsione è il fattore innato che attiva il comportamen- to, mentre l’abitudine è la sequenza di risposte apprese che orientano lo stesso. Il modello di Hull si rivela insufficiente nello spiegare comportamenti finalizzati alla crescita personale e al ripristino di equilibri perduti. La piramide dei bisogni di Maslow è un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni, disposti a piramide, in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più elemen- tari è condizione necessaria per l’emergenza di quelli di ordine superiore. A partire dalla base verso l’apice della piramide si osservano: bisogni primari (fisiologici, di sicurezza), bisogni sociali (di stima, di appartenenza) e bisogni secondari o di crescita (cognitivi, estetici, di autorealizzazione). É opportuno, inoltre, chiarire tre concetti: - un bisogno non diviene motivante finché non sono soddisfatti i bisogni di livello inferiore, - un bisogno non soddisfatto cessa di essere motivante, - le persone non sempre sono consapevoli dei fattori che le motivano. La teoria evoluzionistica della motivazione afferma l’esistenza di diversi sistemi psicobiologici (o motivazionali), dotati di base innata, influenzabili dall’apprendimento e organizzati gerarchicamente su tre livelli. In particolare: - il primo livello (cervello rettiliano, innato) presenta sistemi implicati nella sopravvivenza dell’individuo (motivazioni omeostatiche, di predazione, di raccolta, esploratorie, sessuali e difensive), - il secondo livello (sistema limbico, influenzato dall’esperienza) presenta sistemi motivazionali in- terpersonali (attaccamento, accudimento, rango, accoppiamento e cooperazione fra pari per il raggiun- gimento di un obiettivo comune), - il terzo livello (neocorteccia) presenta i sistemi tipici dell’uomo, ossia l’intersoggettività (condivi- sione dell’esperienza) e le motivazioni conoscitive superiori (creatività, linguaggio ecc…). Inter- sogget- tività Sistema motivazionale Emozioni Attaccamento paura e collera da separazione, tristezza da perdita, gioia per la riunione Accudimento tenerezza protettiva, gioia, sollecitudine, ansia da sollecitudine, colpa Rango collera da sfida, paura del giudizio, orgoglio, tristezza da sconfitta, invidia Cooperazione fra pari gioia da condivisione, lealtà, amicizia, odio per il tradimento Accoppiamento desiderio e amore erotico, gelosia Julius Kuhl distingue due tipi di orientamento motivazionale: - uno centrato sull’azione: proprio di individui in grado di realizzare con decisione i propri obiet- tivi, contraddistingue un impegno non dispersivo delle risorse e un’alta motivazione alla riuscita, - uno centrato sulla situazione: proprio degli individui che rimangono prigionieri delle possibili alternative e che non riescono a passare all’azione, contraddistingue un impegno dispersivo del- le risorse che rallenta o, addirittura, impedisce il raggiungimento di un obiettivo. I due orientamenti sono tratti distintivi di personalità e possono presentarsi nella stessa persona in circostanze diverse (in funzione delle risorse disponibili, della percezione di ostacoli/facilitazioni ecc…). La teoria della valutazione cognitiva (formulata da Decy e Ryan) descrive gli effetti dei diversi even- ti sulla percezione della propria competenza e sulla direzione della causalità. In particolare: - il senso di competenza descrive la capacità di agire efficacemente sul proprio ambiente, - il locus della causalità (o origine della causalità) può essere autonomo (quando il soggetto tende ad avere un ruolo attivo nella scelta delle attività) o controllato (quando il soggetto tende a dipendere dagli altri e a regolare il proprio comportamento sulla base di valutazioni e approvazioni esterne). La teoria dell’autodeterminazione (formulata da Decy e Ryan) sostiene che le persone sono motivate a crescere e a cambiare per soddisfare tre bisogni psicologici, innati e universali, quali: - competenza: ossia necessità di padroneggiare nuove sfide e di perfezionare le proprie capacità, - autonomia: ossia necessità di ottenere maggiore libertà e di regolarsi da soli, - relazioni: ossia necessità di creare legami significativi con gli altri. Relazioni ed autonomia sono complementari (più la relazione è autentica più ci si sente liberi di essere sé stessi). La teoria della motivazione sociale (formulata sulla base delle teorie evoluzionistiche) sottolinea l’importanza dell’affiliazione sociale e dei numerosi vantaggi adattivi che essa comporta, come: - maggiore accesso a possibili partner sessuali, - maggior protezione dai predatori, - efficiente suddivisione del lavoro, - trasmissione delle conoscenze di generazione in generazione. L’affiliazione sociale, quindi, si rivela fondamentale per la sopravvivenza della specie e per il rag- giungimento degli obiettivi di ciascuno. La motivazione al successo è un processo positivo orientato al bisogno di realizzazione (quando o- rientata in modo negativo si parla di paura di fallire. La motivazione al successo è una funzione del BAS, mentre la paura di fallire è una funzione del BIS). L’ansia associata al timore di fallire può vanificare l’effetto della motivazione al successo e ostacolare il rendimento. Le persone con obiettivi elevati e poca paura di fallire (definite fortemente motivate al successo): - percepiscono loro stessi come responsabili degli esiti, - hanno un rendimento più alto, - persistono di fronte agli ostacoli e al successo, - preferiscono compiti intermedi, - desiderano un feedback della performance. Le persone sono generalmente motivate ad impegnarsi quando hanno la percezione di poter riuscire traendone il massimo dei vantaggi. Nella teoria della motivazione alla riuscita, Atkinson individua due tendenze, quali: Tendenza al successo TS (forza della tendenza di riuscita) = MS (forza del motivo a riuscire) X PS (pro- babilità soggettiva di riuscire) X IS (incentivo rappresentato dal riuscire), Tendenza ad evitare il fallimento TEF = MEF (forza del motivo ad evitare il fallimento) X PF (proba- bilità soggettiva del fallimento) X IF (incentivo negativo rappresentato dal fallimento). ne consegue che: Tendenza a perseguire il successo = (MS X PS X IS)  (MEF X PF X IF) I motivi a perseguire il successo ed evitare il fallimento dipendono da differenze individuali, mentre la pro- babilità e l’incentivo dipendono da valutazioni soggettive e dalla percezione di controllo sugli eventi. Negli sport ad alto livello, l’auto-assegnazione: 1. di obiettivi difficili (o, talvolta, impossibili): garantisce comunque un miglioramento e il supe- ramento dei livelli precedenti (anche nel caso l’obiettivo non fosse raggiunto), 2. di obiettivi facili: incrina il senso di autostima dell’atleta, esponendolo maggiormente all’insuccesso (per mancanza di entusiasmo, interesse e impegno). 2. il feedback: consiste in una preziosa fonte di informazioni circa l’impatto della prestazione nel contesto specifico e le variazioni del rendimento nel tempo e nelle situazioni. L’impiego dei fe- edback si rivela efficace quando congruo ad una rendicontazione attenta e fedele degli esiti di azioni, mentre si rivela inefficace quando associato ad atteggiamenti colpevolizzanti o quando viziato, sul piano comunicativo, da rapporti interpersonali, 3. il modeling: consiste nella ricerca e nella proposta di modelli di riferimento, attraverso cui il soggetto impara a perfezionare le proprie abilità e individua strategie e soluzioni migliori che conducono al successo. I modelli più simili sono quelli più influenti (importante è anche la vici- nanza del modello e l’accessibilità della condotta). La tecnica del modeling è molto utilizzata in am- bito sportivo (apprendimento per osservazione) e rappresenta un’ottima modalità per accumulare esperienze prima di sperimentarle direttamente. L’incapacità di controllare i propri stati di ansia e i pensieri negativi espone l’atleta al rischio di continui evitamenti, scarsa perseveranza e depressione. I benefici che derivano dal controllo del do- lore dipendono dall’impiego di tecniche (come rilassamento muscolare, immaginazione positiva, coping e rifocalizzazione dell’attenzione) e dalle convinzioni dell’atleta di far fronte e di resistere alla fatica e al dolore fisico. Affinché possa interpretare correttamente il proprio ruolo, un allenatore deve: - graduare le prove, - negoziare mete sufficientemente difficili, - monitorare i progressi, - dare feedback puntuali sulle prestazioni, - motivare l’atleta. DROP OUT SPORTIVO Il drop-out sportivo indica il fenomeno di abbandono precoce della pratica sportiva (mentre il drop- out è vissuto dall’atleta come fallimento personale, l’abbandono per sopraggiunti limiti d’età rappresenta un evento naturale, generalmente vissuto dall’atleta come evento positivo). Le principali cause di abbandono prematuro dello sport agonistico sono: 1. lo stress da competizione: che logora le condizioni fisiche e mentali dell’atleta, prima e durante una competizione, e genera azioni imprecise e aspettative negative di fallimento, 2. la struttura di personalità dell’atleta, 3. il fenomeno del burn out: caratterizzato da esaurimento, perdita di interesse e di entusiasmo per lo sport praticato, 4. l’allenamento eccessivo (o overtraining): che causa, nel medio-lungo termine, cali di motivazione prefiguranti l’abbandono della pratica sportiva. In tal senso, oltre a curare l’allenamento tecni- co/tattico dell’atleta, l’allenatore deve sempre ricordare che gli atleti, di qualunque età, non sono macchine infallibili, pertanto necessitano di corretti carichi di lavoro ed adeguati periodi di ripo- so, 5. l’allenamento errato in età evolutiva: talvolta, l’allenatore (creando ambienti troppo competitivi, di- sincentivando la creatività e i momenti di gioco) fornisce al bambino un’immagine negativa dello sport che, spesso, si somma alla mancanza di divertimento durante la pratica sportiva (determina- ta da relazioni malsane con i compagni di squadra) e allo stress causato da assenza di supporto fami- liare (es. famiglie con alte aspettative di successo, ma anche famiglie che considerano lo sport come un’attività inutile ed improduttiva). Tutte queste circostanze, soprattutto nel bambino, non fanno altro che alimentare i sentimenti di abbandono sportivo. 4) EMOZIONI L’emozione è la reazione ad uno stimolo elicitante (esterno o interno), caratterizzata da aspetti fisio- logici (cambiamenti della frequenza cardiaca, sudorazione ecc...) e da aspetti cognitivi, ossia dalla valu- tazione cognitiva delle modificazioni fisiologiche e della natura dello stimolo (appraisal). Le emo- zioni hanno struttura multisistemica (cioè articolata in più componenti) ed un decorso temporale che evolve (a differenza di stati d’animo, umore e sentimenti, infatti, le emozioni sono risposte intense e di breve durata). Secondo Darwin, tutte le emozioni sono indispensabili dal punto di vista evolutivo, in quan- to esito di un processo di adattamento che ha reso più efficaci le risposte degli esseri umani all’ambiente circostante, garantendo la sopravvivenza della specie (es. in situazioni di pericolo, la pau- ra pone il soggetto in uno stato di allerta, attivando delle reazioni fisiologiche che predispongono il corpo all’attacco o alla fuga; la tristezza permette di segnalare agli altri il bisogno di vicinanza e accudimento ecc…). Le emozioni hanno funzione adattiva in quanto: - aumentano le possibilità di sopravvivenza, - aiutano a creare rapporti intimi, - aiutano ad ampliare pensieri e comportamenti per raggiungere obiettivi, - rappresentano una forma di comunicazione sociale (es. la tristezza può attirare cure e empatia). Oltre ad influenzare azioni, comportamenti, pensieri e scelta degli obiettivi, le emozioni giocano un ruolo molto importante nei processi cognitivi legati: - alla memoria (Mood Congruity Effect, Bower 1981), in quanto la forza dei ricordi dipende dal grado di attivazione emozionale indotto dall’apprendimento, per cui eventi/esperienze vissute con una partecipazione emotiva di livello medio-alto vengono catalogati nella nostra mente co- me “importanti” e hanno una buona probabilità di venire successivamente ricordati, - all’attenzione, in quanto l’uomo tende a dare maggiore ascolto agli stimoli congrui con il pro- prio stato emotivo (es. una persona che si trova in uno stato d’ansia presterà maggiore attenzione alle possibili minacce rispetto a quando si sente tranquilla), - al controllo esecutivo. Le risposte emotive originano da stimoli elicitanti (interni - come i ricordi - o esterni - come persone, oggetti e situazioni), che preannunciano: 1. valutazioni cognitive, ossia letture ed interpretazioni personali degli stimoli, che influenzano l’espressione emotiva e giustificano la soggettività delle reazioni emotive (persone diverse posso- no avere reazioni emotive diverse allo stesso oggetto, situazione o persona). In alcuni casi (es. situazio- ni pericolose), le valutazioni possono avvenire inconsapevolmente ed essere frutto di apprendi- menti e condizionamenti precedenti (alla valutazione irrazionale poi, generalmente, ne segue una ra- zionale ed analitica), 2. risposte fisiologiche (vegetative e ormonali) con significato comunicativo e adattivo (es. la rispo- sta alla paura inizia in una regione chiamata amigdala, che innesca il rilascio degli ormoni dello stress e l’attivazione del sistema nervoso ortosimpatico, coinvolto nelle funzioni di «attacco o fuga». Il cervello, quindi, entra in uno stato di allerta, le pupille si dilatano, il respiro accelera, aumenta la frequenza car- diaca, la pressione e il flusso sanguigno. Viene mandato più glucosio ai muscoli, mentre organi non vita- li, come il sistema gastrointestinale, vengono messi in uno stato di ridotta attività), 3. motivazione ad eseguire comportamenti, 4. comportamenti espressivi (es. ridere, piangere) e strumentali (funzionali a raggiungere un determi- nato obiettivo, rappresentato dalla permanenza dell’emozione positiva o dalla riduzione dell’emozione negativa), 5. vissuto soggettivo (il cosiddetto “feeling”, es. sentirsi felici, tristi, arrabbiati ecc…). Le varie componenti caratterizzanti la risposta emotiva si influenzano a vicenda in maniera dinami- ca (modificazioni di un elemento provocano modificazioni in tutti gli altri elementi della rete). TEORIE COGNITIVE DELLE EMOZIONI Secondo l’approccio cognitivista, l’attivazione emotiva è influenzata e preceduta dalla valutazione emotiva (ne consegue, quindi, che diverse valutazioni condurranno a diversi scenari emotivi). Lazarus, in particolare, distingueva: - una valutazione primaria: in cui il soggetto valuta il significato di un particolare evento e de- cide se questo è irrilevante, positivo o stressante, - una valutazione secondaria: in cui il soggetto considera le risorse a disposizione per fronteg- giare la situazione e risolverla in modo vantaggioso, - una rivalutazione: in cui il soggetto valuta gli effetti delle risposte sulla base dei cambiamenti avvenuti nelle condizioni interne ed esterne. CREDENZE ED EMOZIONI Secondo Ellis (padre della “Terapia Razionale Emotiva” o, semplicemente, RET), le emozioni non sono determinate esclusivamente da ciò che accade all’individuo, ma anche dal modo in cui lo stesso in- terpreta e valuta la realtà. In tal senso, non sarebbero gli eventi di per sé a creare sofferenza emoti- va, ma il significato che noi attribuiamo ad essi (Ellis partì dal presupposto secondo il quale se si riuscis- se a pensare in modo razionale allora la forza traumatica di qualunque evento si svuoterebbe del suo contenu- to ansiogeno). Gli assunti principali della RET si possono sintetizzare nei seguenti punti: - il modo in cui ci sentiamo (emotivamente) e il modo in cui ci comportiamo derivano da quello che pensiamo, - un modo di pensare illogico, distorto e irrazionale genera problemi emotivi e comportamentali, - i problemi emotivi e comportamentali possono essere superati sostituendo i pensieri irrazionali con pensieri razionali. Lo schema ABC, ideato da Ellis per individuare le idee irrazionali da cui deriva la sofferenza, è così suddiviso: 1. A (Adversities e Activating Experiences → avversità ed esperienze attivanti): tutto ciò che interagi- sce (negativamente o meno) con il raggiungimento dei propri obiettivi (es. rottura con il partner, li- cenziamento ecc…), 2. B (Beliefs → credenze): le idee che le persone sviluppano in merito alla situazione attivante, che possono essere: 1. razionali: quando si riassumono in preferenze e desideri che gli A non avvengano (es. “se ci tengo a questa relazione, occorre modificare alcuni comportamenti”, “sarebbe opportuno non essere licenziati e anche se avvenisse sono in grado di individuare delle soluzioni” ecc…), 2. irrazionali: quando pretendono che gli A non debbano assolutamente accadere (es. “nessuno può permettersi di lasciarmi, se il mio compagno lo facesse significa che è una brutta persona”, “non devo essere licenziato e, se accadesse, significa che sono una persona che non vale nulla” ecc…), 3. C (Consequences → conseguenze): le conseguenze emotive e comportamentali dei B (lo scopo non è eliminare l’emozione negativa o sostituirla con una diversa, ma ottenere un’emozione che sia quantita- tivamente meno intensa e quindi tollerabile. Ad esempio, è possibile ottenere preoccupazione al posto di ansia o frustrazione al posto di rabbia). Come si rafforzano le credenze (fig, 1). Diverse credenze possono condurre a diverse emozioni (fig. 2). Di per sé, tuttavia, l’ansia non è un fenomeno anormale, ma rappresenta un’emozione di base, che comporta uno stato di attivazione dell’organismo quando una situazione viene percepita soggetti- vamente come pericolosa. intensità dell’ansia = G x P / R + A dove: G indica la Gravità e P indica la Probabilità, R indica le risorse e A indica gli aiuti. Da questa formula, quindi, è possibile dedurre come l’ansia derivi da: - una sovrastima della gravità di un evento e delle probabilità che esso si verifichi, - una sottostima delle risorse e degli aiuti a disposizione. L’ansia aumenta all’aumentare del nominatore (G x P) e/o al diminuire del denominatore (R+A), mentre di- minuisce all’aumentare del denominatore (R + A) e/o al diminuire del nominatore (G x P). 7) EMOZIONI NELLA PRATICA SPORTIVA Nella pratica sportiva, le emozioni assumono un ruolo molto importante sia per l’atleta (in cui pre- valgono le emozioni connesse all’autostima e all’immagine di sé) sia per tutte le persone coinvolte (in cui prevalgono le emozioni sociali indotte dalla squadra e dai tifosi). Le emozioni possono avere funzione: - positiva/facilitatoria: quando costituiscono il perno delle spinte motivazionali. Lo sport, in par- ticolare, permette l’autoregolazione delle emozioni e produce benefici a breve termine (sprigiona adrenalina) e a lungo termine (migliora la bellezza, l’attrattività, l’efficienza corporea e le capacità fisi- che). Tutte queste conseguenze positive rinforzano il desiderio di praticare l’attività sportiva (circolo virtuoso), - negativa: quando fungono da distrattori ed antagonisti della concentrazione (l’ansia e la paura, in primis, inficiano le prestazioni sportive). I principali fattori che influenzano l’intensità delle emozioni nello sport sono: - lo status sociale, - il ritmo e la velocità dello sport, - l’importanza della competizione, - il contatto fisico, - la pericolosità. Gli allenatori spesso esprimono rabbia, indignazione e minaccia, al fine di indurre nei giocatori una vigorosa spinta ad agire, manifestazioni di attacco e aggressività verso l’avversario (espressioni di felicità nell’allenatore, infatti, indurrebbero inerzia). Al comportamento dell’allenatore, spesso, si ac- compagna il sostegno vocale e scenografico della tifoseria (la derisione e l’insulto che la tifoseria arreca agli avversari tende a ridurre il potere e il prestigio degli stessi e, quindi, a potenziare le convinzioni di vitto- ria della squadra tifata). AROUSAL L’arousal descrive uno stato generale di attivazione e reattività del sistema nervoso, in risposta a stimoli interni (soggettivi) o esterni (ambientali e sociali). In particolare: - dal punto di vista fisiologico: indica l’attivazione del sistema nervoso periferico, l’eccitazione del simpatico e l’inibizione del parasimpatico (che comporta maggiori: frequenza cardiaca e respira- toria, tensione muscolare, secrezione di adrenalina e noradrenalina, cortisolo ecc…), - dal punto di vista mentale: indica l’intensità con cui si vive una certa emozione. In compiti semplici e ben appresi si apprezza una relazione lineare tra livello di attivazione e qualità della prestazione eseguita (Hull, 1943), mentre in compiti più complessi si applica il concetto della “U rovesciata” (Yerkes e Dodson, 1908). Quest’ultimo afferma che aumentando il livello di attivazio- ne, la prestazione migliora sino ad un certo punto, oltre il quale si verifica un peggioramento. In particolare: - in corrispondenza di un Arousal minimo: il soggetto esplica una prestazione scadente, - in corrispondenza di uno Arousal adeguato: (né minimo, né eccessivo) il soggetto esplica una pre- stazione ottimale, - in corrispondenza di un Arousal eccessivo: il soggetto è inquinato da una condizione ansiosa, che limita la qualità della prestazione eseguita. Più complesso è il compito, più basso è il livello di attivazione ottimale. Pertanto, nel corso di un compito (mentale o motorio) complesso, anche livelli moderati di attivazione possono rovinare il ren- dimento. Le prestazioni caratterizzate da forza e velocità tendono ad avere un livello di attivazione ottimale più alto, mentre compiti motori complessi (es. ginnastica, golf) tendono ad avere un livello di attivazione ottimale più basso (data la maggior richiesta di concentrazione). Il modello delle zone di funzionamento ottimale (Hanin, 1986) so- stiene l’esistenza di zone (o bande) di attivazione ottimale (eviden- ziate in rosso in figura), che variano da atleta ad atleta a seconda dell’ansia di tratto (spiegata nel paragrafo successivo). Una recente evoluzione del modello di Hanin prevede di parlare, anziché di an- sia, di emozioni piacevoli/spiacevoli. livello di attivazione emozione piacevole emozione spiacevole basso rilassamento noia alto eccitamento ansia Affinché il modello di Hanin possa essere applicato correttamente è necessario: - individuare la condizione psicologica pregara più favorevole per il singolo atleta, - individuare le procedure affinché l’atleta impari a entrare nella situazione psicologica ottimale. ANSIA Possiamo classificare quattro principali tipologie di ansia, quali: 1. l’ansia di tratto: è un elemento relativamente stabile della personalità, ed indica la tendenza da tempo (forse da sempre) ad affrontare tutte le vicissitudini della vita con un costante eccessivo grado di ansia, 2. l’ansia di stato: si riferisce ad una attivazione di tipo situazionale, inerente cioè un periodo ben definito, con la caratteristica di attenuarsi in tempi sufficientemente brevi, 3. l’ansia cognitiva: è lo stato mentale legato ad aspettative negative di successo e/o ad autovalu- tazioni negative (relazione lineare negativa con le prestazioni sportive), 4. l’ansia somatica: quando protratta per lunghi periodi, l’ansia si esprime attraverso dolori fisici che non hanno in realtà apparenti cause organiche ma piuttosto sono rappresentazione di una condizione psicologica alterata (relazione a U rovesciata con le prestazioni sportive). Mentre l’ansia cognitiva raggiunge il picco circa 30 minuti prima della gara (dopodiché risulta variabile), l’ansia somatica inizia a manifestarsi prima della ga- ra e cessa all’inizio della stessa. CSAI (Competitive State Anxiety Inventory) è la scala oggi più utilizzata per misurare l’ansia nel campo della psicologia dello sport, ed è quella che misura anche l’ansia situazionale. SCAT (Sports Competition Anxiety Test), invece, è un questionario di autovalutazione sull’ansia. La teoria delle catastrofi nello sport (Hardy e Parfitt, 1991) sostiene come, ad alti livelli di ansia cognitiva, incrementi di attivazione oltre il livello ottimale possono portare ad un crollo della pre- stazione. Questa teoria, dunque, si discosta nettamente dai modelli precedenti, che invece dichiara- vano una relazione graduale (lineare o a “U rovesciata”) tra livello di attivazione e qualità della pre- stazione. Anche la personalità entra in gioco nei rapporti fra attivazione e rendimento. I “sensation seekers” (coloro che ricercano emozioni forti attraverso le proprie attività), ad esempio, eseguono prestazioni ottimali solo in presenza di elevatissimi livelli di attivazione e prediligono, pertanto, sport violenti e pericolosi. Le caratteri- stiche principali di queste persone sono: ricerca di eccitazione e di avventura, tendenza ad agire in modo im- pulsivo, marcata vulnerabilità alla noia e bassi livelli d’ansia. EMOZIONI NEGATIVE NELLO SPORT La vergogna è un’emozione sociale che si prova quando si teme un fallimento personale rispetto a degli standard che ci si è posti e ci si sente inadeguati (come emozione, la vergogna, da un punto di vista evolutivo, ha una funzione adattiva perché permette di tutelare l’immagine che diamo di noi stessi agli altri così da essere accettati e poter mantenere la nostra presenza all’interno del gruppo di appartenenza). La vergogna è legata all’ansia di tratto e spesso si associa al sentimento di essere impotenti ed infe- riori (a livello espressivo, chi prova vergogna tende a ridurre la dimensione del corpo). Le aspettative negative ingiustificate alimentano l’ansia e la vergogna di fronte ai fallimenti nonché la reazione negativa di fronte alle critiche ricevute da genitori o allenatori. ASPETTATIVE, EMOZIONI E PRESTAZIONI Le aspettative sono convinzioni a proposito di eventi che possono verificarsi o meno in futuro (a pa- rità di capacità, aspettative più alte tendono a produrre prestazioni più qualitative), e si classificano in per- sonali e interpersonali. In particolare: 1. le aspettative personali (dell’atleta) dipendono da: - interpretazioni date a esperienze pregresse, - percezione di autoefficacia, - locus of control: l’attribuzione a cause esterne provoca in caso di successo/fallimento aspet- tative di successi/fallimenti futuri (ciò può portare all’evitamento), mentre l’attribuzione a cau- se interne provoca un’aspettativa di riuscita e l’intenzione di persistere nonostante eventuali fallimenti precedenti. Al centro di questo modello figurano le caratteristiche biologiche dell’individuo, determinanti non modificabili della salute. Seguono, poi, gli stili di vita individuali (alimentazione, esercizio fisico, stress, pratiche sociali ecc…), le reti sociali e le condizioni socio-economiche, culturali e ambientali, tutti determinanti modificabili della salute. EFFETTI SUL FUNZIONAMENTO COGNITIVO Nel secolo scorso, molteplici studi indagarono gli effetti positivi dell’attività fisica sulle funzioni cognitive (attenzione, memoria, linguaggio, calcolo ecc…), generando risultati per lo più contraddittori. Ad oggi, la situazione appare più chiara grazie a diverse meta-analisi condotte verso la fine degli anni ’90. In particolare: 1. la prima meta-analisi (Thomas, 1994): condotta su 100 studi, prese in esame diverse misure del funzionamento cognitivo (attività matematiche, tempi di reazione, memoria, abilità di apprendimento, intelligenza WAIS) e dimostrò la correlazione tra sport ed eventi significativi solo nei tempi di reazione e nelle prove di matematica. Si concluse che: “gli effetti dell’esercizio sono maggiori se l’esercizio è prolungato nel tempo” (seppur in misura minima e con grande variabilità individuale), 2. la seconda meta-analisi (Etnier, 1997): condotta su 200 studi, giunse a risultati simili a quelli di Thomas ma con una novità: gli effetti correlarono con il livello di fitness. Si concluse, quindi, che: “solo un esercizio regolare che apporta cambiamenti nella condizione fisica (fitness) produ- ce effetti benefici per il funzionamento cognitivo”. Criticità in entrambe le meta-analisi: - gran parte degli studi considerati non erano randomizzati (nel gruppo sperimentale figuravano gli sportivi, mentre nel gruppo di controllo/confronto figuravano i non praticanti. Considerando che gli spor- tivi, generalmente, godono di maggiori possibilità economiche e di livelli di istruzione più alti, il miglior funzionamento cognitivo potrebbe essere attribuito alla loro condizione iniziale e non al vantaggio de- terminato dall’attività sportiva), - gran parte degli studi considerati non erano sperimentali (a differenza degli studi osservazionali, gli studi sperimentali offrono al ricercatore la possibilità di intervenire in maniera diretta sulle variabili indi- pendenti, per poter determinare l’effetto della variabile dipendente, cioè l’esito). 3. la terza meta-analisi (Etnier, 1997): condotta su 17 studi sperimentali, dimostrò come gli effetti dell’esercizio fisico sul funzionamento cognitivo fossero minori (rispetto alle precedenti meta- analisi) ma, comunque, statisticamente diversi da zero. Si osservò, inoltre, come gli effetti non fossero influenzati dall’intensità dell’esercizio, bensì dalla frequenza e dalla durata dello stesso. Di conseguenza: “l’esercizio fisico induce piccoli ma significativi cambiamenti sul funzionamento cognitivo che non dipendono dal livello di fitness raggiunto”. EFFETTI SU ANSIA E DEPRESSIONE Studi dimostrano che l’attività aerobica provoca un rilascio di endorfine (che possono ridurre la de- pressione e l’ansia) e che aumenta l’efficacia della terapia cognitiva (quando combinata con essa). In soggetti con buone condizioni di salute, l’attività aerobica rivela effetti poco significativi in merito alla riduzione di ansia e depressione (il rischio è il “floor effect”, effetto che si verifica quando molti sog- getti arruolati nello studio tendono ad avere valori di variabili prossimi al limite inferiore). EFFETTI SULL’UMORE Una review di McAuley (1994), attraverso il POMS*, dimostra chiari effetti dell’esercizio fisico sul tono dell’umore. Le variabili che maggiormente influenzano l’effetto sul tono dell’umore sono: - il genere (si hanno effetti più grandi nelle donne), - l’età (si hanno effetti più grandi negli anziani), - l’intensità (si hanno effetti più grandi nei programmi di intensità moderata/bassa. Quando massima, in- fatti, l’intensità può causare un peggioramento del tono dell’umore), - la durata (si hanno effetti più grandi per durate di almeno 60 min). Il POMS* (Profile Of Mood States) è un questionario di autovalutazione (su 6 scale: ansia/tensione, vigo- re/attività, depressione/avvilimento, stanchezza/indolenza, rabbia/aggressività, confusione/sconcerto) che misura gli stati dell’umore. Durante la compilazione il soggetto deve indicare l’intensità di ciascuno stato se- condo un punteggio che va da 1 (poco) a 4 (moltissimo). Come sottolineato dalle principali linee guida, per massimizzare i benefici dell’esercizio fisico sull’umore occorre prediligere attività aerobiche (preferibilmente non competitive e piacevoli e diverten- ti per il soggetto), a frequenza regolare (almeno 2-3 volte a settimana) ed intensità media. L’esercizio fisico promuove il miglioramento del tono dell’umore attraverso una serie di meccani- smi psicologici, quali: - soddisfazione generalizzata (determinata dal miglioramento dell’immagine corporea, dalla perdita di peso e/o dall’aumento del tono muscolare), - fattori sociali e distrazione dai problemi quotidiani, - miglior concetto di sé (sensazione di controllo sullo stress, sensazione di competenza e autoefficacia, aumento dell’autostima, miglioramento delle risorse di coping). SPORT E INVECCHIAMENTO L’attività fisica, eseguita regolarmente, rallenta gli effetti dell’invecchiamento, in quanto: 1. previene la mortalità (soprattutto quella associata al rischio cardiovascolare), 2. riduce obesità, colesterolo, grasso, diabete, ipertensione e rischio tumorale, 3. fortifica il sistema immunitario, 4. rinforza la salute delle ossa (diminuendo il rischio di osteoporosi), 5. migliora il controllo posturale e l’equilibrio (riducendo, di conseguenza, il rischio di caduta), 6. migliora i processi cognitivi, il tono dell’umore e le relazioni sociali. Una meta-analisi ha dimostrato come l’esercizio (soprattutto quello aerobico) produca effetti positivi sulle funzioni cognitive (in primis sulle funzioni esecutive, mentre gli effetti sulla memoria divengono si- gnificativi in soggetti con lieve deterioramento cognitivo) e sui tempi di reazione (un ottantenne che fa e- sercizio fisico ha tempi di reazione paragonabili a quelli di un sessantenne sedentario). L’attività fisica, pertanto, contrasta il declino cognitivo, attraverso cambiamenti a livello cerebrale (aumento del flus- so ematico, del consumo di ossigeno e della connettività funzionale nella corteccia prefrontale) e diminuen- do l’atrofia cerebrale nell’anziano (l’atrofia cerebrale è la riduzione del tessuto encefalico, derivante dalla necrosi e/o dal rimpicciolimento delle cellule che costituiscono il suddetto tessuto). Nonostante gli innu- merevoli vantaggi che assicura, la pratica sportiva decresce con l’età e continua ad essere presente solo nel 3,1% degli anziani (4,7% uomini e 2% donne. I componenti di questa piccola percentuale presen- tano: alta autoefficacia, ottimismo, buon locus of control, minori aspettative negative, consapevolezza del proprio stato di salute e migliore gestione della stessa). 9) SPORT E ANSIA DA PRESTAZIONE Quando eccessiva e incontrollata, l’ansia diventa l’avversario più temibile per l’atleta, in quanto ne causa deabilitazione fisica e mentale. Tra i sintomi somatici dell’ansia, sono comuni (8): tachicardia, sudorazione eccessiva, vertigini, sensazione di pesantezza allo stomaco, respirazione superficiale e periferica molto veloce, corpo in- curvato in avanti, arti pesanti e generale stato di allerta. L’intensità di questi sintomi varia in rela- zione alla discrepanza che l’atleta percepisce tra la richiesta ambientale e le risorse che egli crede di avere a disposizione per affrontarla. Calmare l’ansia presuppone saper controllare i pensieri che le danno origine e che l’accompagnano (es. segnarsi su un diario i pensieri, prima e durante una prestazione, può aiutare a riconoscere i pensieri funzionali e quelli disfunzionali). MENTAL TRAINING Il mental training è una branca della psicologia dello sport che aiuta gli atleti a superare le barriere mentali che possono ostacolarli. Esso permette: 1. il riconoscimento delle proprie modalità di pensiero abituali, 2. il riconoscimento e la gestione di emozioni e pensieri correlati alla competizione sportiva, 3. l’acquisizione di tecniche mentali per il potenziamento della competizione sportiva, 4. l’acquisizione di strategie per favorire il rilassamento e la concentrazione. Le principali aree di intervento del mental training sono: - il goal setting (“alzare progressivamente l’asticella”), - il rilassamento, - il biofeedback (tecnica per imparare a conoscere, comprendere e controllare i propri parametri fisiolo- gici), - l’imagery (tecnica consapevole di richiamo e visualizzazione di immagini mentali scelte secondo logica, selezionate, evocate e revocate al fine di favorire il raggiungimento di un obiettivo), - la gestione dell’Arousal, - il focusing (modalità gentile, accettante e non giudicante di porsi in ascolto del corpo, per prestare at- tenzione a sensazioni e desideri che non sono ancora stati espressi in parole), - l’incremento della motivazione e dell’autostima. Negli sport competitivi, il mental training aiuta a sostenere l’attenzione focalizzata (es. per distrarsi dal dolore) e a potenziare l’immaginazione somestesica (relativa a sensazioni provenienti dal corpo men- tre ci si allena). Proposto in modo professionale e specifico, l’allenamento mentale può migliorare la prestazione sino al 57% (secondo altre fonti americane, il miglioramento equivarrebbe al 90%). Errori comuni nel mental training: - concentrarsi su un unico scenario perfetto (es. gara perfetta, risultati eccellenti ecc…), - ripercorrere più volte gli sbagli commessi durante una gara, nel tentativo di capire cosa è andato storto, - attivarsi eccessivamente o troppo poco il giorno della gara. Le quattro aree dell’allenamento (fisica, tecnica/tattica, mentale ed emotiva) formano un sistema che, come tutti i sistemi, poggia sulla forza e sulla tenuta di tutte le sue componenti. Frester (1985) chiama allenamento ideomotorio “tutte quelle forme di esercitazione nelle quali si ha un’auto-rappresentazione mentale, sistematicamente ripetuta, e cosciente dell’azione motoria che deve essere appresa, perfezionata, stabilizzata o precisata, senza che si abbia un’esecuzione reale, visibile esternamente, di movimenti parziali o globali”. Le fasi dell’allenamento ideomotorio sono: 1. spiegazione dell’allenatore, 2. ripetizione mentale dell’azione, 3. esecuzione reale, 4. correzione tecnica dell’allenatore (ripetizione mentale dell’azione corretta → in caso di errore; feed- back positivo → in caso di correttezza).
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