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appunti psicologia di comunità, Appunti di Psicologia di Comunità

appunti del corso (aa 2022/2023) di psicologia di comunità (docente Luca Scacchi)

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 07/04/2024

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mynameisambra_ 🇮🇹

4.5

(2)

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Scarica appunti psicologia di comunità e più Appunti in PDF di Psicologia di Comunità solo su Docsity! PSICOLOGIA DI COMUNITÀ Legge 833 – 1978 Strutture ospedaliere  strutture del SSN che trattano le patologie. Strutture territoriali  strutture del sistema sanitario nazionale che si occupano sostanzialmente di prevenzione. Trattano la salute delle persone senza che esse siano malate. Esonero per frequentati a metà corso con cose spiegate a lezione, più seconda parte in tutti gli appelli estivi e autunnali con manuale e libri. Fa esami a richiesta (prova intermedia). Solo dalla fine del corso in poi. Esame scritto  1 ore e 15 minuti, 6 domande con 5/10 righe per domanda. Esame orale  7/8 domande, un argomento a scelta a cui da molta attenzione ai termini che utilizziamo. COMUNITÀ Lewin studia i piccoli gruppi, gruppi in cui si creano determinate dinamiche perché gli individui interagiscono tra loro. Non ci sono obiettivi comuni, ma le persone hanno come unica condizione il fatto di interagire. Un gruppo di quattro persone che viaggia su un treno nei posti a quattro seduti di fronte, costituisce un piccolo gruppo perché interagiscono tra loro. Anche il grande Fratello è un prototipo di piccolo gruppo. Lewin chiudeva in una stanza 6/8 persone tra loro non conoscenti per vedere come nascevano naturalmente le dinamiche di gruppo, senza assegnare compiti. Da questi esperimenti emergono poi i ruoli caratteristici dei piccoli gruppi, da cui emergono i leader, il capro espiatorio e tutti gli altri ruoli che ne derivano. Il piccolo gruppo non solo definisce i ruoli, ma ha caratteristiche psicologiche fondamentali (fa scattare il meccanismo di cambio di opinioni o di conformismo). Un piccolo gruppo è composto da minimo 5 (perché al di sotto di questo numero emergono altri tipi di relazioni, per i gruppi di 3 fare riferimento anche ai complessi edipici di Freud – mamma, papà e figlio/a -, i gruppi da 4 comprendono per lo più rapporti a due a due), ad un massimo che invece è definito dal fatto che l’interazione rimane intatta tra tutti gli individui del gruppo. In sociologia si parla di 40 persone, mentre, da altri punti di vista, si definiscono grandi gruppi i gruppi compresi tra le 15 e le 150 persone circa. 150 è il numero di relazioni che le persone tengono come relazioni sociali di un certo tipo. Si diche che, oltre questo numero, inizia ad essere più una dimensione sociale, con caratteristiche diverse. La comunità è un gruppo – non un piccolo gruppo, che però può far parte di una comunità – in cui le persone non devono interagire continuamente (interazione vis-a-vis), ma ci sono altri elementi che tengono in piedi la comunità, cioè elementi condivisi da tutti gli individui che ne fanno parte. Questi elementi sono norme (regole) e usanze, obiettivi, organizzazione, ideologie, lingua, territorio, religione. Tanti di questi elementi hanno creato diversi dibattiti, come la lingua (non esistono le comunità multietniche?) e il territorio (le comunità hanno per forza un territorio di appartenenza? Es. comunità virtuali). Norme  scritte e non scritte (es. norme familiari) Usanza  non è ancora una norma, ma è un’abitudine sociale non riconosciuta  diventa tradizione quando passa tanto tempo. Istituzione sociale  norma regolamentata. Una comunità, prima di essere una comunità, deve esistere da un po’ di tempo, deve esserci una storia. Definizione da enciclopedia  insieme di soggetti legati da uno o più fattori di diversa natura (etnica, territoriale, linguistica, economica, religiosa, politica, etc.) che li portano ad interagire tra loro più che con i membri di altre collettività … una specifica identità, elevato senso di appartenenza, rapporti di solidarietà. Comunità (Amerio, 1996)  “entità sociale globale i cui legami tra i membri sono molto stretti, il senso dell’in-group è forte e radicato in tradizioni profonde” Entità sociale globale:  Legami stretti fra i membri  Senso di appartenenza forte  Radicato in tradizioni profonde Etimologia della parola comunità:  Communis  comunità come bene comune  si sta insieme perché si condivide qualcosa.  Cum-moenia  comunità come mura comuni  c’è una chiara divisione tra ciò che è comunità e ciò che non è comunità.  Cum-munia  comunità come doveri comuni  la comunità ha delle norme, che spesso non sono esplicite. La comunità di oggi nasce nel mondo moderno, con la rivoluzione industriale (circa 1700). Ci sono tre caratteristiche che contraddistinguono il mondo moderno: 1. Unificazione dei mercati locali  fino al mondo premoderno gran parte dei mercati sono di tipo locale, della dimensione di massimo 2 giorni di viaggio, e la vita sociale si organizza su questa dimensione. Negli anni ’60 del 1800, con l’unità d’Italia, viene creata una rete unificata di trasporto ferroviario, che collega anche la Valle d’Aosta allo stato. La regione, però, aveva ancora un mercato di tipo locale (es. grano); con l’importazione, la Valle d’Aosta entra in crisi, perché il costo di importazione dei prodotti diventa inferiore al costo di produzione in loco. Per questo, moltissimi valdostani abbandonano la regione. Costruzione di mercati più ampi  il mercato si amplia e approfondisce progressivamente. I prodotti industriali raggiungono una quota sempre più alta di persone; vengono costruiti mercati nazionali; si approfondiscono mercati e relazioni economiche, che diventano sempre più strette a livello mondiale, fino a raggiungere due picchi di internazionalizzazione. 2. Urbanizzazione  in questi anni è stato raggiunto un punto di svolta epocale: più del 50% della popolazione è urbanizzata (= le persone vivono in città). Nelle società preindustriali il livello di urbanizzazione è abbastanza basso e stabile (5-15%). Il primo stato (la prima società) in cui si sviluppano alcuni elementi della società capitalista (e, quindi, dell’economia industriale), sono i Paesi Bassi (1600). In Italia l’urbanizzazione parte nel dopoguerra. Oggi viviamo in un mondo di città, in cui sorgono le megalopoli (città con oltre 20 milioni di abitanti, come Tokyo, San Paolo, Pechino, Shanghai, Città del Messico, Il Cairo). Tutte queste città non fanno parte né dell’Europa, né dell’America. In termini di relazioni umane, la migrazione di milioni di persone in enormi città ha un forte impatto. Questo è un processo classico della modernità, che produce delle conseguenze nel modo di stare insieme. 3. Individualizzazione  è l’idea che l’individuo sia libero e indipendente. Le società preindustriali sono sostanzialmente società collettivistiche, in cui la persona è un elemento di un’entità sociale determinata, inserito in un gruppo coeso con un preciso status e ruolo sociale che norma e significa la sua esistenza quotidiana. La caratteristica della società moderna è quella di passare da una situazione stabile ad una instabile. Nel mondo premoderno, i ruoli e i gruppi sociali sono predefiniti, e i ritmi sono ciclici e ripetitivi (stagioni e lunghi cicli secolari economico-demografici  a momenti di espansione economica sono alternati momenti di crisi). Le persone non vivevano grossi cambiamenti. Il mondo era anche governato da lunghi periodi climatici  ad Aosta ci furono due cicli di prosperità (intorno allo 0 – periodo dell’Impero Romano - e il 1200 – in riferimento all’arte) e due cicli di crisi (caduta dell’Impero Romano, intorno al 500, e il 1600 – che coincide con la peste). Questi due periodi corrispondono rispettivamente ad un clima caldo e ad un clima freddo. Nel mondo moderno, c’è grande mobilità sociale e cicli più frequenti. Tutto questo comporta grandi cambiamenti anche nelle relazioni sociali. CONTRAPPOSIZIONE SOCIETÀ E COMUNITÀ Il concetto di comunità nasce con la rivoluzione industriale, concetto intorno a cui girano anche alcune riflessioni filosofiche: Hegel parla di proprietà privata che determina un nuovo diritto, cioè la scissione e l’alienazione dell’individuo. Lui vedeva lo stato come unico modo per regolare le relazioni sociali. Anche Marx parla di società, la cui unità deve essere ricostruita a partire dalla cooperazione dei lavoratori (Gesellschaft  comunità e Gemeinschaft  società). C’è anche una riflessione sociologica riguardo alla comunità. Tonnies (1855-1936)  studia le associazioni, cioè le relazioni che strutturano la convivenza sociale. Dice che la società è basata su villaggi dove tutti si conoscono e collaborano, mentre la società moderna è basata sull’urbanizzazione. Lui scrive mettendo in contrapposizione le relazioni sociali moderne (società) e le relazioni sociali contadine (comunità). Lui vede, sostanzialmente, il male che corrode le società e il bene che caratterizza le comunità. La società è basata su rapporti meccanici, strumentali e utilitaristici, regolati da contratti. La città è un luogo malfamato (elemento moderno negativo), mentre la comunità è un luogo caldo e accogliente (elemento tradizionale positivo). Durkheim (1858- 1917)  studia le realtà collettive, chiamando ‘solidarietà’ le relazioni sociali, che possono essere organiche o meccaniche. Si rende conto che le relazioni nella società contemporanea (città) non sono solo ed esclusivamente basate sul contatto sociale (elementi di scambio): pensa, cioè, che non ci siano unicamente relazioni contrattuali e utilitaristiche, ma c’è una forma di relazione comunitaria anche nelle città, che individua nelle rappresentazioni collettive (= rappresentazioni sociali). Le persone condividono tra loro Tutto nasce dopo la Seconda guerra mondiale, con Sarason, che scrive che la guerra ha cambiato tutti e tutto. La Seconda guerra mondiale, infatti, ha influenzato e rivoluzionato la psicologia contemporanea, cambiandone le basi costitutive e costruendo l’impianto dei servizi sanitari odierni. Nel 1945 ci sono 8 milioni di americani arruolati nell’esercito, di cui circa 5,5 milioni vengono dismessi alla fine della guerra. Queste persone, dopo aver passato molto tempo a combattere, sono ‘fuori di testa’, e nasce il problema della gestione di queste persone che tornano a casa traumatizzati dal vissuto di guerra (non c’era ancora il concetto di disturbo post-traumatico). Tra il 1944 e il 1946 gli USA costruisce un sistema sanitario destinato ai reduci di guerra (National Institute of Mental Health), creando un istituto nazionale per aiutare gli ex soldati traumatizzati. Negli USA, da quegli anni, una legge stabilisce che tutti i militari americani hanno diritto alla sanità gratuita. Inoltre, tutti i militari statunitensi hanno diritto anche all’accesso di prestiti gratuiti per l’acquisto di abitazioni. Ancora, i militari americani hanno accesso gratuito all’università. Tutt’oggi questi tre benefit sono ancora validi, ma la leva non è più obbligatoria. Oltre a queste strutture, nasce anche la necessità di rivedere le teorie, per ricostruire il sistema sanitario, soprattutto dal punto di vista psicologico. Negli anni ‘30/’40, le persone che soffrivano di disturbi mentali venivano trattate principalmente con la reclusione in manicomio, l’elettroshock, la lobotomia, la psicoanalisi (che cura sono i nevrotici, lasciando da parte gli psicotici, e seguendo esclusivamente il setting freudiano, che prevede circa 2 o 3 sedute a settimana per circa 2 anni, che per quelle milioni di persone traumatizzate di ritorno dalla guerra comporta un’organizzazione non indifferente), la dinamica di gruppo (nata durante la seconda guerra mondiale per aiutare i reduci di guerra), il comportamentismo (con la terapia di modificazione del comportamento), la psichiatria fenomenologica (principale corrente psichiatrica del ‘900, secondo cui per curare le persone serve capire come queste interpretano il mondo). Nascono però altri sistemi, come lo sviluppo dei manicomi, ma anche i sistemi diagnostici, come l’MMPI, un test diagnostico usato per riconoscere i disturbi mentali nell’esercito. Si costruiscono anche interventi diversi, dalla terapia di gruppo a quella famigliare, ma anche la terapia della forza: la psicoterapia si divideva in due grandi forze inizialmente, il comportamentismo, che era l’unico metodo di terapia, e la psicoanalisi, che era praticata dai medici. Dalla Seconda guerra mondiale viene introdotta una terza forza che non rientrava né nel comportamentismo, né nella psicoanalisi, il cui obiettivo è di curare rapidamente, di non occuparsi dei conflitti profondi che esistono nella persona, ma di risolvere le problematiche con un impianto dinamico, utilizzando spesso interventi di gruppo. Questi interventi verranno più avanti riversati in quella che è la sanità mondiale, poiché applicabili ad un grande numero di persone. Questi modelli teorici continuano il loro sviluppo anche dopo la guerra, perché in tutti i paesi occidentali nascono delle strutture sanitarie che si occupano di tutta la popolazione. È in questo contesto che si strutturano le 4 radici della psicologia di comunità: 1.Dinamica di gruppo Costruzione di un’analisi su come funzionano i gruppi e su come questi sono strumenti di interpretazione delle persone (Kurt Lewin). 2.Territorializzazione Come si costruiscono i servizi territoriali. Nei primi anni ’50 nasce il NIMH negli USA, che inizia a definire che la malattia mentale e i disturbi psicologici sono un effetto non solo e non tanto delle caratteristiche individuali di personalità e dei conflitti personali, ma sono un problema di salute pubblica conseguente alla struttura sociale. Serve, quindi, un intervento sul contesto sociale che produce tali disturbi. Lindemann, epidemiologo e psichiatra, inizia a lavorare raccogliendo i dati dalle cartelle cliniche, e le malattie iniziano ad essere catalogate. Si inizia a vedere quali strumenti hanno e come possono intervenire, e notano che non tutti si ammalano delle stesse malattie e nelle stesse condizioni: ci sono pochi bambini con una diagnosi psichiatrica perché il cervello si sta ancora sviluppando (fatte poche eccezioni, come l’autismo); dall’adolescenza e nella vecchiaia, invece, sono parecchie le diagnosi di disturbi psichiatrici; ci si rende anche conto che alcune malattie sono più comuni nelle donne che negli uomini. In altre parole, si rendono conto che le malattie psichiatriche non si distribuiscono equamente nella popolazione. Ci sono dei momenti della vita in cui c’è maggior probabilità di sviluppare un disturbo di questo tipo, perché le persone, in quei momenti, sono più fragili, per cui si colloca in quei momenti l’insorgenza dei disturbi psichiatrici. È da qui che nasce la necessità di istituire i cosiddetti interventi precoci, per poter prevenire l’insorgenza di tali malattie (es. istituzione di interventi per le neomamme per prevenire la depressione post-partum). Da qui, nascono i servizi territoriali. Dal 1948 Lindemann inizia a scrivere dei manuali sull’intervento sulla crisi, in cui indica cosa fare quando una persona è affetta a questo tipo di problemi. La gestione della crisi ha bisogno di tecniche precise, e fino a quegli anni non ci si era preoccupati di come poter intervenire su questa situazione particolare. Ad oggi, si è arrivato a pensare che è importante avere un servizio psicologico sul territorio per far fronte a queste situazioni di crisi. Ad esempio, quando nel 2000 ci fu l’incendio al traforo del Monte Bianco, nacque il servizio psicologico di emergenza della Valle d’Aosta, composto da un organico istruito ad intervenire in un determinato modo nelle situazioni di emergenza. L’idea viene fuori quando, durante l’incendio, tutti i soccorsi francesi avevano in equipaggio anche alcuni psicologi per aiutare i superstiti sul momento. Questo servizio si può considerare un’evoluzione dei servizi nati negli anni ’50. 1948  viene costruito l’Human Relation Service, una sorta di consultorio, in cui, ad esempio, i genitori potevano chiedere consiglio per il rapporto con i figli, ma anche altre persone potevano rivolgersi a questo servizio. 1958  Cowen, psichiatra, fa partire il Primary Mental Healt Project, un progetto ancora oggi esistente, che consiste in un programma di prevenzione nelle scuole elementari volto a identificare indicatori precoci di disadattamento e offrire supporto prima dell’emersione di un disagio psicologico conclamato. In altre parole, si faceva un lavoro di diagnosi sui bambini delle elementari, in cui identificavano dei possibili segni di comportamento disagiato in essi. C’erano delle persone non professionali che facevano una sorta di doposcuola con i bambini e le mamme dei bambini, in modo da poterli aiutare nel loro percorso di crescita e fare in modo di far riassorbire quei segnali di disagio, in modo che non insorgesse nessun disturbo psicologico. È, a tutti gli effetti, un intervento psicologico precoce. 1955  nell’università di Stanford, Lindemann e Klein fondano una rivista, esistente ancora oggi, chiamata Community Mental Healt, cioè l’idea che la malattia viene curata prima, intervenendo sulle condizioni strutturali della società. Dentro le analisi che fanno, fanno delle analisi specifiche sulle diagnosi che ci sono, e notano che negli ospedali psichiatrici c’è una selezione di classe, infatti chi viene curato, tendenzialmente, è povero; notano anche che tante diagnosi sono false, forzate per poter ricoverare la persona. Loro si pongono nell’ottica di dire di sviluppare degli interventi che cambino le condizioni sociali. 1960  elezione di Kennedy come presidente degli USA, che ha una storia famigliare molto particolare: la sorella maggiore era schizofrenica, che venne fatta ricoverare e operare di lobotomia dal padre nel ’49, uscendone come vegetale. JFK era molto sensibile alla salute mentale, e quando divenne presidente parlò alle camere, sottolineando l’importanza dell’intervento sulla salute mentale, che era un problema della società nel suo complesso e non del singolo individuo. 1963  il congresso americano approva una legge sulla salute mentale, chiamata Community Mental Healt Act, che dice che a livello federale negli USA sono presenti i Community Mental Healt Centers, strutture sanitarie territoriali federali in cui operano psichiatri, psicologi, medici che si occupano di identificare i problemi di salute mentale nel territorio e intervenire su questi. 3.Critica all’istituzione psichiatrica Nascono e si diffondono gli ospedali psichiatrici. Dentro la psichiatria nascono dei movimenti contro questi ospedali psichiatrici e contro la loro organizzazione. In Italia, ad oggi, gli ospedali psichiatrici sono illegali grazie ad una legge intorno agli anni ‘90, ma, fino a non molti anni fa, esistevano ancora gli ospedali psichiatrici giudiziari in cui venivano ricoverate le persone giudicate incapaci di intendere e di volere, e quindi non punibili (come i bambini con età inferiore ai 14 anni, ma anche le persone con malattie psichiatriche). Dopo la loro chiusura, queste persone vennero passate all’istituzione sanitaria, che doveva anche provvedere all’istituzione di strutture protette create apposta per curarle. Fino agli anni ’70 in Italia, e tutt’oggi in alcuni paesi, l’ospedale psichiatrico era quella struttura volta a contenere tutti i malati psichiatrici, senza scadenza. Nell’ospedale psichiatrico ci finisce chi non ha altre possibilità: nel 1959 in USA, il 55% delle entrate in ospedale psichiatrico potevano essere evitate se fossero esistite altre strutture. Spesso, ci finiva anche chi era orfano. L’ospedale psichiatrico è un’istituzione totale, in cui la centralità è sugli operatori sanitari, l’organizzazione è molto rigida, e il paziente è considerato solo una malattia. Negli anni ’60, i reparti erano divisi tra maschi e femmine, perché non erano permessi i rapporti sessuali tra di loro. Basaglia era uno psichiatra fenomenologico, e pensava che la malattia fosse una modalità del paziente di capire e percepire il mondo. Pensa che, per curarli, sia necessario creare un rapporto diretto medico- paziente che prevede una comprensione paritaria e terapeutica. Entra in un ospedale psichiatrico con quest’ottica, ma l’organizzazione degli ospedali era diversa: i reparti erano divisi tra maschi e femmine, c’era il reparto degli ‘agitati’, dei ‘sudici’. Una delle prime cose che fa nell’ospedale psichiatrico è ridare gli oggetti personali ai pazienti, che all’epoca era severamente vietato (uno dei processi di depersonalizzazione, come il vestirsi tutti uguali), ma abbatterà anche le barriere fisiche tra uomini e donne, finendo processato perché accusato di favorire la vita sessuale all’interno della struttura, perché una donna era rimasta incinta. All’epoca, all’ospedale psichiatrico non importava chi fossi e cosa avessi, e per questo è considerata un’istituzione totale. Obiettivo di Basaglia: recuperare il rapporto medico-paziente, il più possibile paritaria, in cui lo psichiatra possa comprendere al meglio la percezione del mondo del paziente (pensiero fenomenologico, corrente filosofica che pensa che il pensiero dipende dalle percezioni soggettive del mondo circostante). Legge Basaglia, 1978, n. 180  quando apre l’ospedale psichiatrico di Trieste, sconvolge tutte le regole di questa istituzione totale. Questa legge stabilisce che gli ospedali psichiatrici in Italia vengano aboliti e sostituiti dagli odierni TSO, strutture pubbliche e istituzioni sanitarie, dove chi stabilisce il ricovero in un servizio psichiatrico di diagnosi e cura è il sindaco, con la valutazione consultativa di due medici. La condizione per poter recludere una persona è che il medico che istituisce la reclusione non sia il responsabile di questa (di fatto, chi dice che ti devi ricoverare non può e non deve curarti). La critica parte dal NIMH e, nel 1961 dalle pubblicazioni di Goffman, Szasz e Foucault, che, sostanzialmente, dicono che le istituzioni totali sono oppressive, e che gli ospedali psichiatrici definiscono le malattie mentali in maniera classificatoria e non ricercando la sintomatologia. Goffman  sociologo che studia come le persone stanno dentro alla struttura sociale, sottolinea che le persone tendono ad assumere un carattere che dipende dal contesto in cui vivono. La personalità è costituita dalla somma dei diversi copioni che le persone recitano nelle varie situazioni. Nel 1961 scrive un libro sulle istituzioni (Asylum), in particolare sui manicomi e sulle istituzioni totali (= istituzioni che si prendono il carico di organizzare la vita delle persone, come il carcere, l’esercito, la scuola, la comunità). Lui legge il manicomio dal punto di vista del paziente, e si chiede quale copione il paziente stia recitando nel momento in cui ci entra, e in qualche modo nota che il paziente è collegato unicamente all’aspetto patologico della sua vita, su cui ‘costruisce una carriera’. Il paziente assume dei comportamenti definiti da come gli altri si aspettano che lui si comporti. Il libro inizia a mettere in risalto le caratteristiche delle istituzioni totali, che in qualche modo plasmano il carattere delle persone. Szasz  sostiene che non ci sia nessuna prova scientifica incontestabile delle cause delle malattie mentali, critica l’aspetto per cui la malattia mentale sia un mito utilizzato per etichettare la devianza sociale. Sostanzialmente, pensa che una malattia sia fatta solo da sintomi e non da cause scatenanti. Ad oggi, i sintomi del DSM non bastano a dichiarare che una persona che presenta i sintomi è effettivamente malata. Ad esempio, un sintomo classico della psicosi è parlare con le fotografie di persone care defunte, ma se l’individuo lo fa, non è detto che sia sintomo di psicosi. La malattia mentale, secondo lui, cataloga i comportamenti delle persone, comportamenti che erano classificati come devianti per reprimere la devianza sociale. Foucault  studia come nasce l’ospedale psichiatrico, che nasce nella Rivoluzione francese. In questo contesto si passa dal concetto di punizione fisica al concetto di punizione sociale. Inizia ad esserci l’idea di mettere le persone che stanno male in un luogo controllato in cui possono essere curati. In questo modo nasce il primo ospedale psichiatrico con sede a Parigi. In una società industriale, per lui, il corpo viene introdotto nei processi produttivi, e l’organizzazione sociale ‘addestra’ questo corpo per insegnargli a vivere nella società. In questo contesto nasce anche la scuola, che ha il ruolo di insegnare ai bambini le relazioni moderne. Ci sono persone che non si conformano a questa disciplinarizzazione del corpo: queste persone vengono definite matte, e per questo loro ‘anticonformismo’ vengono chiuse negli ospedali psichiatrici. Da qui nasce la sua critica alla psichiatria, e sottolinea come la psichiatria sia funzionale alla struttura sociale. Questi tre autori fondano quello che verrà chiamato il movimento antipsichiatrico. Negli anni ’70 diventa famoso l’esperimento di Rosehnan, in cui prende 8 persone dicendogli di presentarsi in 8 ospedali psichiatrici dichiarando di sentire voci. Queste persone vengono ricoverate con quest’unico sintomo, ma durante il ricovero si comportano normalmente e raccontano la verità sulla loro vita. Dai risultati esce che le persone mediamente sono ricoverate per 19 giorni, e 7 di loro vennero dimessi con diagnosi di Una prima definizione ci sarà tra il ’73 e il ’75, grazie ai contributi di Cowen e Sarason. Di Cowen si ricorda un suo articolo in cui parla di prevenzione. Sarason dirà che è necessario abbandonare il focus individualistico. Nel ’75 Austin si riunisce in una conferenza, in cui c’è una vera e propria differenziazione dal community mental healt. La psicologia di comunità ha una lunga storia, e ha un’evoluzione che si intreccia con l’evoluzione teorica della psicologia. Nella psicologia di comunità si distinguono i moderati e i radicali, la cui distinzione si articola non secondo la dimensione politica, ma sulla dimensione del tenere conto della comunità nel suo complesso, e del tener conto dell’individualità. Per i radicali, è necessario intervenire solo sulla comunità, e non sull’individuo, perché è dannoso. Per i radicali, i problemi dei singoli individui sono causati dalle loro scelte individuali. La psicologia di comunità nasce negli Stati Uniti; in Europa si diffonde poco, eccetto che in Italia che nasce dal ceppo basagliano della psicologia clinica e della psicologia sociale. C’è un ceppo della psicologia di comunità italiana, che era quello di donata francescano, psicoterapeuta e prima docente di psicologia di comunità in Italia. In Italia c’è tutta un’esperienza che parte fuori dall’accademia, a partire dagli interventi sociali. Nel mondo sarà importante la psicologia sudamericana (psicologia sociale di comunità). Il primo convegno di psicologia di comunità si è tenuto nel 2004/2005 a Porto Rico. La psicologia sociale di comunità fonda il suo pensiero sulla partecipazione, sulla giustizia sociale, sul potere e sull’ideologia, sulle comunità locali. Per spiegare che cos’è la psicologia di comunità, è importante soffermarsi sul modello Dohrenwend (1978), in cui si cerca di fare il punto della psicologia di comunità. Siamo negli anni ’70, quindi nel pieno sviluppo della psicologia cognitivista, dell’idea che le persone lavorano come elaboratori delle informazioni. Dohrenwend dice che nella storia delle persone ogni tanto capita qualcosa di brutto, che ha degli antecedenti e ha una dimensione sociale e individuale. Davanti a questo evento stressante ci sono delle reazioni, a cui corrisponde un esito che può essere nessuna reazione, un miglioramento o un peggioramento. Es. prima o poi nella vita qualcuno mi lascia, e questo può essere più o meno stressante, a seconda da quanto siamo co-dipendenti, ma anche da alcune regole sociali (es. se sei una donna necessariamente devi essere accompagnata da un uomo). Lo stress provocato dipende da fattori personali o socio-ambientali. Di fronte a tale situazione, io ho una reazione (es. mangiare la nutella, ubriacarsi, fare a pezzi i suoi vestiti), chiamate reazioni transitorie. Alla fine, io ho tre esiti possibili: capire che sono io quella che sceglie persone non affini (retrocesso di crescita psicologica); non avere cambiamenti psicologici e continuare così la mia vita; il numero di serate alcoliche si riproduce costantemente nell’arco dei tre mesi successivi, e i miei cari si preoccupano per ciò che mi succede. In questo modello si dice che il problema della psicologia è che questa interviene solo dopo che c’è stato l’evento stressante e la risposta transitoria allo stress. In altre parole, la psicologia interviene solo quando nasce una condizione psicopatologica. Dohrenwend dice che è necessario anche intervenire sull’ambiente circostante per poter favorire una risposta positiva allo stress. Quindi, si cambiano alcune delle regole sociali, ma si può anche intervenire sui mediatori situazionali. Si possono anche costruire una serie di sostegni. Stile di coping (strategie di adattamento)  altro concetto cognitivista, per poter fronteggiare lo stress, adattandosi. Gli stili di coping li apprendiamo, e, a proposito, sono stati fatti studi per capire quali siano gli stili migliori e gli stili peggiori, e sono stati messi a punto dei modi per insegnarli. LEWIN Tra le principali caratteristiche della psicologia di comunità troviamo la prospettiva che pone al centro dell’analisi non l’individuo, bensì la sua relazione con l’ambiente sociale e fisico. Tra i principali autori che studiano questa relazione troviamo Kurt Lewin, uno dei fondatori della psicologia sociale contemporanea. Lewin appartiene alla scuola tedesca della Gestalt, una corrente di pensiero fondata da Wertheimer, Kohler e Koffka centrata sui temi della percezione e dell’esperienza  il tutto è più della semplice somma tra le singole parti. Secondo la psicologia della Gestalt, ciò che percepiamo non è una somma di elementi, ma una sintesi della realtà. Nella percezione del mondo esterno, insomma, noi non cogliamo delle semplici somme di stimoli sensoriali, ma percepiamo l’insieme, che è qualcosa di più e di diverso della semplice somma degli elementi. Nel 1923 Wertheimer enunciò le leggi della Gestalt, che fanno riferimento all’organizzazione della forma (importanza delle immagini):  buona forma (la struttura percepita è la più semplice);  prossimità (elementi raggruppati per distanze);  somiglianza (tendenza a raggruppare le forme per similitudine);  buona continuità (insieme coerente e continuo);  destino comune (se in movimento simile, raggruppati);  figura-sfondo (sia come oggetto sia come sfondo);  movimento indotto (schema di riferimento);  pregnanza (per stimoli ambigui, forma migliore). Lewin dalla Gestalt recepì l'idea che la nostra esperienza non è costituita da un insieme di elementi puntiformi che si associano, ma da percezioni strutturate di oggetti e/o reti di relazioni, e che solo in questo campo di relazioni trovano il loro significato. Nel ’33 emigra negli USA, dove sviluppa maggiore interesse per i fenomeni sociali e per la vita lavorativa. Viene influenzato dall’ambiente tedesco (Gestalt), assumendo una prospettiva innatista, secondo cui le persone percepiscono il mondo sulla base di determinate regole di comportamento, ma anche olistica, secondo cui ogni elemento non è considerabile per sé stesso ma soltanto in relazione agli altri elementi presenti e al contesto. Ha anche delle influenze dal comportamentismo, da cui riprende i concetti di ambiente e di stimolo- risposta. In particolare, secondo il suo pensiero, il comportamento umano è studiabile ed è determinato a partire da stimoli ambientali, e ognuno di questi comportamenti, anche il più complesso come il linguaggio, è spiegabile sulla base di una catena associativa tra uno stimolo e una risposta. Lewin definisce dei modelli e delle teorie a partire dagli impianti teorici della Gestalt e del comportamentismo. Lui definisce la teoria del campo, che prevede l’unione tra persona e ambiente. Parla di campo perché dagli anni ’10 in poi il concetto di campo magnetico è diventato un qualcosa di conosciuto all’interno della scienza. Lewin, infatti, prende in considerazione gli aspetti fisici, conosce il dibattito scientifico del ‘900 (Einstein, Maxwell, Heisenberg). Nel 1936 scrive un articolo in cui fa un vero e proprio paragone con la fisica, dicendo che prima di Galileo, la fisica è aristotelica  teoria dei 4 elementi: fuoco, terra, aria e acqua, secondo cui ogni elemento ha la sua natura. Ad esempio, le pietre cadono per terra perché appartengono all’elemento terra. Il comportamento di ogni oggetto è determinato dalla sua natura. Aristotele per certi versi fonda il primo metodo scientifico, e si chiede come fare a capire come un oggetto appartiene ad un elemento: la sua risposta è l’osservazione, usando una verità statistica. Dice anche che la natura degli oggetti, il loro comportamento e, quindi, le leggi fisiche, tendono alla loro perfezione. La logica che appartiene al mondo, alla conoscenza, e la scienza greca è che il mondo è perfetto secondo proporzioni perfette. Aristotele, quindi, costruisce un modello teorico di carattere valutativo che tende ad un movimento circolare perfetto, con una classificazione astratta ed una verità statistica. Lewin dice che la psicologia è aristotelica: ha un carattere valutativo, una classificazione astratta e delle leggi intelligibili su quei fenomeni che si verificano sempre uguali, con un concetto statistico della verità. In psicologia, secondo Lewin, si usa ancora un metodo aristotelico, dove definiamo cosa è tipico e cosa non è tipico secondo una verità statistica, secondo cui cerchiamo di prevedere il comportamento. Tutto questo fino a quando non arriva Galileo (1600), che dice che il comportamento di un oggetto che cade è determinato dalle forze che si esplicano sull’oggetto stesso (forza di gravità e forza di attrito); infatti, Galileo studia il comportamento degli oggetti su un piano inclinato. Lui dice che il comportamento di ogni oggetto è determinato dalle leggi generali di ogni comportamento, ma anche dai cambiamenti delle forze presenti nel contesto. Dice, quindi, che le leggi sono uniche (su tutti gli oggetti agiscono le stesse leggi fisiche), che il comportamento specifico è diverso perché a partire da queste leggi, il comportamento deve essere spiegato considerando il contesto e le caratteristiche dell’oggetto. La dinamica dei processi deve essere sempre determinata dalla relazione tra individuo concreto e situazione concreta. È da questo che ha senso la formula C = f (P x A)  ogni singolo comportamento è funzione della relazione tra persona e ambiente. Le forze agiscono sia sulla persona, sia sul contesto, e queste forze spiegano il perché di quel determinato comportamento. Il campo secondo Lewin non è il campo fisicamente registrabile, ma è il campo per come esiste nella mente della persona (es. se mi siedo all’esame e abbiamo di fronte l’immagine di papà che dice che non fallirò mai un esame, questa immagine è presente nel mio campo mentale).  l’ambiente è un ambiente psicologico non in termini oggettivi bensì come lo vede la persona in quel momento. Il campo e le forze che agiscono sul campo dipendono non dalla realtà effettiva, ma da come noi guardiamo il campo intorno a noi e, di conseguenza, da come noi lo consideriamo. Per prevedere come la persona si comporterà, non si può guardare cosa succede in quella situazione, ma si dovrà considerare come si sente la persona, e come si comporta, in quel contesto. Lewin parlerà di topologia, cerca di descrivere fisicamente quello che è la forza del campo, descrivendo tutte le componenti e le forze. Quando lui dice che il gruppo è qualcosa di più che la somma delle singole parti, sta dicendo che bisogna considerare la forza delle interazioni e le forze che agiscono sul gruppo. Sulla base di queste analisi, secondo lui si dovrebbero studiare tutti i comportamenti umani. Questo è il grande contributo, ma anche il suo grande limite, perché ancora a 60 anni dalla sua morte ci si muove ancora secondo una concezione epistemologica aristotelica. Lewin applica la teoria del campo in diversi ambiti, tra cui le dinamiche di gruppo, in cui studia a quella forza è soggetto il gruppo. Ad esempio, il conformismo è una forza che agisce sul gruppo. Lewin studia anche altre cose, e in particolare costruisce due teorie, a partire da due esperienze, con l’obiettivo di cambiare la realtà. Quelli che erano gruppi creati apposta per studiare la dinamica di gruppo, diventano per lui T-group (training group), uno strumento in cui apprendere come avvengono le dinamiche di gruppo. Lewin mette a punto due modelli: 1. La ricerca azione Parte dall’intervento di psicologia applicativa a cui si da Lewin negli anni ’40. Lui cerca di utilizzare gli impianti teorici ponendosi l’obiettivo di cambiare le modalità di funzionamento e di vita delle persone. A questo scopo, lui apre una serie di laboratori in strutture universitarie che fanno interventi nelle famiglie tramite T-group. Nel 1946 riceve una proposta da un’azienda per fare una consulenza di psicologia sociale. In questa azienda si nota infatti che i nuovi assunti producono poso e per questo chiamano Lewin che, in questa fabbrica, capisce che le relazioni interne del team, ma anche le condizioni ambientali, influenzano la qualità di vita dei lavoratori. Da qui nasce la ricerca azione, il cui scopo è produrre una conoscenza del contesto in cui si sta agendo che è stimolo del percorso di trasformazione della stessa realtà. La conoscenza che le persone acquisiscono durante i suoi esperimenti produce una trasformazione delle loro competenze sociali (T-group). Al posto di condurre, ad esempio, una ricerca (qualitativa o quantitativa), ha deciso di prendere questa strada basata su alcuni principi metodologici (ricerca azione): la ricerca ha un carattere pratico, assumendo come oggetto i problemi di una comunità (gruppo), e ha quindi natura contestuale; la ricerca è finalizzata al cambiamento; la ricerca ha natura multi stadiale e ciclica nell’alternarsi di fasi di conoscenza e azione; elemento fondamentale è la partecipazione di tutti, è importante coinvolgere tutti; la ricerca ha un fondamento etico. Questa metodologia diventa effettivamente uno strumento di intervento. programma, sia nello stesso setting, sia tra setting diversi, sia nel corso degli anni?”. Barker non si pone il problema, e per lui il programma esiste e basta.  La percezione soggettiva  per lui la percezione soggettiva dell’ambiente, concetto definito da Lewin, non esiste. Le forze ambientali e sociali eclissano, in un certo senso, questa prospettiva, che scompare completamente. Non si chiede come la persona percepisca l’ambiente circostante, e semplicemente registra il comportamento delle persone. Il problema sta nei limiti che abbiamo negli strumenti. Per spiegare questo, c’è una barzelletta: un ubriaco cerca le chiavi sotto un lampione, il poliziotto lo aiuta e poi gli chiede se le ha perse in quel posto. L’ubriaco risponde che le ha perse nel vicolo buio ma le sta cercando sotto al lampione perché li c’è la luce. Un famoso economista spiega, in riferimento a questa storia, che noi cerchiamo le risposte non dove sappiamo di poterle trovare (vicolo buio) ma dove abbiamo la luce per trovarle (lampione). È la stessa cosa che fa Barker: la percezione soggettiva non può vederla (= vicolo buio), quindi osserva solo il comportamento (= lampione), perché mancano gli strumenti (= luce) per poter misurare quell’aspetto.  Gli spazi non “ufficiali”  ad esempio, case private, club. Questi ambienti sono più importanti nella vita quotidiana dei gruppi sociali marginali. Barker segue i bambini negli spazi pubblici (scuola, parco, chiesa, etc.), ma non in casa. Sostanzialmente, la sua teoria spiega soltanto che l’equilibrio di forze esiste solo negli spazi pubblici, senza considerare gli spazi privati. Sostanzialmente, questo modello spiega poco. Wicker nel 1979 fece uno studio di un ambiente sottopopolato (Yosemite National Park), in cui per problemi di budget, ogni ranger (dipendente del parco) doveva fare più cose. Questo studio dice che è vero che un ambiente sottopopolato stimola ad impegnarsi e a fare di più ma funziona solo se la sottopopolazione è temporanea e non persistente, come nell’ambiente che studia. Infatti, dalle sue ricerche emerge che vivere in un ambiente sempre sottopopolato non comporta una crescita, ma anzi provoca fatica ed esaurimento emotivo. Quindi, la teoria della sottoumanizzazione è valida solo in alcuni ambienti. Lewin e Barker fondano quello che è chiamato approccio ecologico, perché mettono in risalto il rapporto tra individuo e ambiente. Analizzeremo ora due approcci nello specifico: la teoria dei sistemi e i modelli sullo stress e sulla resilienza. Noteremo grande differenza da Lewin, che utilizzava dei modelli sistemici usando degli elementi si un sistema che comunicano tra loro, perché un sistema è analizzato sulla base del fatto che genera flussi di informazioni. Dagli anni ’40, durante da 2WW, si sviluppa la cibernetica, cioè una serie di studi basati inizialmente sui servomeccanismi. Nella seconda metà degli anni ’40, in un’università americana, un gruppo di tedeschi fonda, appunto la cibernetica, ragionando sul fatto che alcuni modelli di funzionamento di singoli elementi sono identici tra loro. Ragionano quindi sulla fondazione di una scienza che ragiona su come si scambiano le informazioni gli elementi di un sistema, indipendentemente dall’informazione  cibernetica (poi informatica). Von Bertalanffy, insieme al fondatore Wiener, elabora la teoria dei sistemi, in cui un sistema è un insieme di elementi che interagiscono, che ha tre caratteristiche:  Totalità  l’insieme è un qualcosa di più della semplice somma delle singole parti. Il modo di funzionare di un sistema non dipende solo dai singoli elementi, ma da come comunicano. un esempio è il sistema termoregolatore di una casa, in cui comunicano tra loro il termostato, la caldaia e il termosifone. Funzionano secondo feedback, quindi comunicazione.  Logica di retroazione  un sistema funziona secondo il fatto che gli elementi comunicano in maniera biunivoca. Funziona a retroazione positiva e retroazione negativa.  Equifinalità  i risultati dipendono dalla natura dei processi e dei parametri del sistema. Il punto finale del sistema non è determinabile dall’inizio perché ogni risultato finale ha la stessa probabilità di accadere. Nella maggior parte dei sistemi fisici, lo stato finale è determinato dalle condizioni iniziali dei sistemi stessi. I sistemi chiusi, che si scambiano informazioni solo all’interno del sistema, non sono in grado di tenere un comportamento equifinale; i sistemi aperti, dove si ha uno scambio di materiale con l'ambiente esterno nella misura occorrente da far loro raggiungere uno stato stazionario, sono indipendenti dalle condizioni iniziali e si ha un comportamento equifinale. Fondamentalmente, il comportamento del sistema è imprevedibile, perché non ho elementi per prevederlo, posso solo ipotizzare. Non potendo prevedere il comportamento, non posso nemmeno intervenire sul sistema per favorire un comportamento rispetto ad un altro. BRONFENBRENNER È lewiniano, ma da certi punti di vista, siccome è un sistemico, fuoriesce dal programma lewiniano. Critica Lewin, e più che altro l’impianto delle sue ricerche psicologiche, perché individualista, perché per lui i modelli dell’età evolutiva spiegano i processi intraindividuali, perché la psicologia di comunità deve avere un assetto teorico che studia la dimensione sovraindividuale. Critica anche Barker, perché il suo modello dei setting ambientali è un modello prettamente etologico: l’etologia è la scienza che studia il comportamento animale, e Bronfenbrenner dice che questi modelli trattano l’uomo come se fosse un qualunque animale. Bronfenbrenner dice che l’uomo non è un animale come gli altri, perché ‘il campo degli animali è ristretto al campo immediato’ come quello che studia Barker. Studiando un animale, devo studiare le forze del campo nel contesto in cui sono in quel momento, perché non hanno consapevolezza di un ambiente articolato. Per Bronfenbrenner, nel campo l’uomo ha consapevolezza di relazioni complesse, articolato su quattro livelli; per Lewin nel campo si incontrano le forze ed è definito come la persona percepisce l’ambiente (soggettivo); per Barker il campo è dove si incontrano le forze, ma è un ambiente oggettivo. Il campo di Bronfenbrenner è una serie di strutture concentriche l’una nell’altra, che prevede 4 strutture:  Macrosistema  ambiente della politica sociale e dei servizi. Rappresenta il contesto sovrastrutturale che condiziona micro-, meso- ed esosistema; tale contesto è legato a culture, subculture e organizzazioni sociali più ampie, con i relativi sistemi di norme, credenze, rappresentazioni sociali e aspettative rilevanti ai fini dello sviluppo.  Esosistema  ambiente delle condizioni di vita e del lavoro, non in contatto diretto con l’individuo (es. lavoro dei genitori). È costituito da uno o più contesti ambientali di cui l’individuo non è partecipante attivo, ma in cui si verificano eventi che determinano ciò che accade nel contesto ambientale comprendente l’individuo stesso o che, viceversa, sono causati da ciò che accade nel contesto.  Mesosistema  ambiente delle relazioni tra microsistemi. Si delinea come sistema di microsistemi, in quanto comprende le interrelazioni tra due o più contesti ambientali, ai quali l’individuo partecipa attivamente (es. relazione tra scuola e casa).  Microsistema  ambienti in diretto contatto con l’individuo (es. famiglia, coetanei, scuola). Complesso di relazioni esistenti tra la persona e l’ambiente di un contesto contenente l’individuo stesso. Un contesto si definisce come un luogo con particolari caratteristiche fisiche in cui i partecipanti sono impegnati in particolari attività, in particolari ruoli, per un particolare periodo di tempo. I fattori di luogo, tempo, caratteristiche fisiche, attività, partecipanti e ruolo costituiscono gli elementi del contesto. Il microsistema è rappresentato dall’esperienza di una persona relativamente a tale contesto. Ci sono effetti di secondo e di terzo ordine. Uno degli elementi centrali è il fatto che per Bronfenbrenner tutto funziona contemporaneamente: intervenendo su uno dei livelli, si vanno a cambiare tutti quanti. Questo modello ci dice che ogni comportamento è sempre influenzato da ogni livello. Per questo, si parla di effetti, nello specifico:  Effetti di primo ordine  influenza dirette dovute agli ambienti di vita (famiglia, scuola, pari).  Effetti di secondo ordine  effetti riconducibili al set di interconnessioni tra diversi setting.  Effetti di terzo ordine  effetti prodotti dalle interazioni dei vari sistemi (sistema comunitario complessivo). Il fatto che il tutto è qualcosa di più della somma delle singole parti funziona anche per le interazioni tra i diversi livelli, perché le forze dei diversi livelli agiscono sui singoli sistemi in maniera contemporanea. Secondo Bronfenbrenner c’è equifinalità all’interno di ogni sistema, ma è un’equifinalità ‘elevata alla potenza’ perché non ci sono solo forze che agiscono direttamente sull’individuo, ma ci sono forze superiori che interagiscono tra loro. Ogni sistema in cui l’individuo è inserito è un sistema complesso, e per questo è ancora più imprevedibile. Siccome la psicologia dell’epoca è una psicologia individuale, questo determina che spesso guardiamo di più i fattori individuali, classificandoli come determinanti del comportamento. Uno degli elementi utili della teoria di Bronfenbrenner è il fatto che guarda anche agli altri livelli come responsabili del comportamento, che spesso influenzano l’individuo più delle sue caratteristiche individuali. Questo ci dice che lo psicologo debba agire non solo sull’individuo, ma anche sul contesto. Una ricerca sulla grande depressione cercò di dimostrare il ruolo delle forze sociali nella vita degli individui in situazione di povertà estrema. Elder fece uno studio sulle conseguenze della povertà nei confronti degli adolescenti, e trovò due tipi di persone: le famiglie che persero più del 35% del reddito e le famiglie senza declino economico. Prese due coorti: chi era nato negli anni ‘20/’21 e che nel pieno della depressione era adolescente, e chi durante la depressione era bambino piccolo, nati nel ‘28/’29. A distanza di anni li intervistò, e dimostrò che vivere in mezzo alla depressione da piccolo (‘28/’29) portò a grandi effetti sui percorsi di vita del bambino più che per l’adolescente, perché l’adolescente (‘20/’21) era stato responsabilizzato in quella situazione, rispetto al bambino che ha risentito delle difficoltà economiche. La depressione ha favorito tappa di responsabilizzazione, perché gli adolescenti sono stati responsabilizzati, stimolando self-esteem e autonomia. Quindi, paradossalmente, se sui bambini la depressione ha portato a conseguenze negative sulla vita e sull’attitudine individuale dei bambini, sugli adolescenti ha avuto un impatto positivo proprio perché hanno imparato ad essere responsabili, aumentando così l’autostima e l’autonomia. L’elemento che ha fatto scoppiare il tutto è il macrosistema (crisi economica). Gli studi ci dicono che la codeterminazione dei comportamenti è multilivello  Lo studio di Belsky sui maltrattamenti infantili ha dimostrato come questa cosa sia vera. Nella violenza da parte dei genitori sui bambini conta sicuramente il temperamento del bambino e la storia di abusi dei genitori (microsistema); contano i conflitti tra scuola e famiglia (mesosistema); contano elementi come la disoccupazione dei genitori, l’isolazione sociale del quartiere in cui si vive (esosistema); contano i fattori di accettazione sociale, di violenza presente in società e la concezione sociale della relazione tra genitori e figli (macrosistema). Un altro elemento importante che segue il ragionamento di Bronfenbrenner è quello di individuare il livello giusto. Ogbu in un articolo analizza un intervento di supporto scolastico svolto nei confronti dei bambini dei ghetti americani (Washington) e lo critica. L’intervento, fatto in una zona di alto tasso di disoccupazione e criminalità, si poneva come obiettivo quello di migliorare i risultati scolastici dei bambini americani. Il progetto non interviene solo sul dare ripetizioni a questi bambini, ma prevede l’idea che il maggior predittore del risultato scolastico è l’importanza attribuita alla scuola da parte della famiglia. Un dato contrastante è che i figli di immigrati rendono meglio rispetto ai bianchi, nonostante vivano in una condizione famigliare peggiore, questo perché la famiglia da molta importanza alla scuola, vista come elemento di integrazione e processo sociale. Questo dato viene adattato al progetto, che non interviene dando ripetizioni a scuola ma a casa dello studente: questo perché non solo il ragazzo apprende, ma si entra nell’ecosistema famigliare e si può provare a cambiare il modo in cui la famiglia dà importanza alla scuola  si interviene nel mesosistema relazione scuola-famiglia, perché si va a modificare quella che è la concezione della scuola da parte della famiglia. Ogbu dice che costruire un intervento di mesosistema vuol dire costruire un intervento sul livello sbagliato, perché il quartiere in cui si interviene (ghetto) ha elementi di macro ed esosistema che influisce sul comportamento dei ragazzi. Secondo lui, il successo scolastico non è un livello determinate per la sopravvivenza del ragazzo nel ghetto. Un elemento determinante possono essere le relazioni sociali che si creano con le persone della società (chi vive nel ghetto). Lui dice che due elementi che un padre di famiglia che vive in quel contesto insegna al figlio sono l’aggressività (sapersi difendere, sguardo aggressivo) e l’affidabilità (posso fidarmi di te? Non dici nulla di noi, ci difendi), perché l’ambiente del ghetto americano è questo: il ragazzo deve avere la fiducia della società, e deve sapersi difendere. Per Ogbu intervenire sulla famiglia non funziona, e dice che ottenendo un cambiamento sociale non si produce un successo, ma si produce un disadattato sociale, perché, in quel contesto, il ragazzo sarà etichettato come “diverso, strano”, perché gli elementi su cui si fonda quella società sono la fiducia e l’aggressività. Per lui bisogna individuare il matrimonio ha un livello di stress è pari a 50 punti, chiedono alle persone di dire quanto è più o meno stressante un evento (es. morte del compagno è pari a 100, la malattia o ferita pari a 53, l separazione pari a 65). In Italia, il trasloco è uno dei momenti più stressanti nella vita di una persona. Queste ricerche sono fatte perché si inizia a notare che gli eventi di vita stressanti hanno un effetto sulla vita psicologica della persona. Rutter, nel ’79, dimostra che un evento isolato nei bambini di solito non incrementa un rischio psicosociale, ma più eventi hanno effetto moltiplicativo: il rischio di avere patologie psicologiche quadruplica se una persona subisce 2 eventi stressanti, e aumenta esponenzialmente se gli eventi superano i 4. Spesso gli eventi di vita stressanti tendono ad essere co-occorrenti (se c’è uno c’è l’altro). In quegli anni, infatti, le persone affette da patologie psicologiche venivano sottoposte ad una serie di test per capire se avessero vissuto degli eventi di vita stressante, convinti del fatto che la patologia era correlata al fatto di averne avuti. Negli anni ’80 è arrivato uno studio di Lazarus (‘84), che dice che ci sono eventi stressanti quotidiani di piccolo impatto, la cui ripetizione nel tempo comporta un livello di stress psicologico più alto rispetto a quello provocato da un unico evento di vita stressante di alta intensità. Si inizia quindi a ragionare sul fatto di misurare lo stress anche in termini cronici (bassi stimoli nocivi ripetuti nel tempo). Lazarus e Folkman nel loro modello si concentrano sul concetto di valutazione cognitiva dell’individuo sulla capacità di reagire agli stimoli ambientali. In particolare, diventa importante la valutazione dello stimolo, che è l’elemento che, più di altri, definisce una risposta. Ogni stimolo negativo ha due livelli di valutazione: innanzitutto, si valuta lo stimolo in base a quanto questo stimolo è nocivo per l’individuo (es. quanto per me è fastidioso traslocare, quanto è pesante per me la morte di mia madre), che è soggettivo, perché dipende da elementi personali ma anche da elementi ambientali  valutazione primaria. Su una valutazione primaria si interviene modificando la rappresentazione del mondo/stimolo, lavorando sulle immaginazioni indotte, cioè dando all’individui il compito di immaginarsi le cose. C’è anche una valutazione secondaria, fatta in base a quanto l’individuo è in grado di agire, anche in base alle risorse disponibili per contrastare l’evento stressante. L’obiettivo è intervenire sulle valutazioni secondarie, costruendo una rete sociale interna alla persona che può aiutare con il confronto degli stimoli nocivi, producendo una valutazione complessiva primaria e secondaria che non produce una situazione di stress. Un altro concetto importante è il coping: davanti ad una valutazione complessiva che produce stress, noi possiamo avere delle risposte, cioè uno stile di coping, delle modalità di risposta apprese per affrontare richieste stressanti e per gestire le emozioni di disagio. Il coping viene definito come appreso, e quindi facilmente modificabile tramite intervento. Esistono due modalità di base (stili di coping) che gli individui usano per affrontare la situazione stressante: la modalità centrata sul problema, e la modalità centrata sulle emozioni. È importante anche il concetto di resilienza, che, da un punto di vista scientifico, è la capacità fisica di un materiale di assorbire energia deformante elastica (la gomma è più resiliente del vetro, è l’opposto del concetto di fragilità). In psicologia, la resilienza è la capacità umana di affrontare le avversità, le difficoltà e gli eventi traumatici e stressanti, superandoli e continuando a svilupparsi, aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione della vita  capacità di affrontare le avversità, superarle e uscirne rinforzato o addirittura trasformato. Il concetto si sviluppa a partire dallo studio delle persone che, nonostante le avversità, sono comunque riusciti a adattarsi. Uno degli elementi utili per lo studio della resilienza è il Kauai Longitudinal studies, studi in cui venivano studiati per decenni dei soggetti che si sono adattati bene in circostanze a rischio. Nel 2001, è stato notato che l’adattamento delle persone in condizioni particolarmente avverse era determinato da alcune caratteristiche (self eseem, locus interno), tra cui il caring, cioè l’avere una figura di riferimento, anche dal punto di vista emotivo, durante tutto il ciclo di vita. Ci sono altri modelli teorici che pongono le fondamenta per la psicologia di comunità. In particolare, analizzeremo i modelli che considerano l’ambiente come ambiente sociale. Anche Lewin, in realtà, definisce il contesto come ambiente sociale, ma è un ambiente sociale ‘piatto’. Sarbin sottolinea come sia importante studiare i ruoli e le gerarchie sociali presenti nell’ambiente, ma anche le relazioni fra gli individui in un setting e tra gli individui e il contesto. Noi interpretiamo cosa dobbiamo fare sulla base di quello che noi percepiamo essere il comportamento giusto in base al ruolo sociale che ricopriamo. Le persone devono comportarsi secondo il ruolo, proprio e degli altri. Le persone tendono ad uniformarsi alle aspettative che gli altri hanno nei loro confronti. Il comportamento che assumiamo in quel ruolo, li assumiamo perché crediamo questi comportamenti come adatti a quel ruolo, e anche gli altri interagiscono con noi in base a questo aspetto. I ruoli sono determinati da tre elementi:  Status  può essere ascritto (caratteristiche biosociali, attribuito alla nascita) e scelto (lo scelgo io, attribuito grazie a capacità, talento, etc.).  Valore  valutazione positiva o negativa sulla capacità di svolgere compiti inerenti al ruolo.  Coinvolgimento  grado di partecipazione sia per il tempo sia per l’energia utilizzati nell’occupare un dato ruolo. Esperimento di Zimbardo  esperimento delle guardie e dei carcerati. Vengono scelti 24 maschi con lo stesso profilo psico-socio-relazionale e, casualmente, vengono travestite da guardie e da carcerati, e venne simulato un vero a proprio carcere. È stato interrotto dopo una settimana, perché la relazione tra prigionieri e guardie degenera, nonostante fosse tutta finzione. I carcerati assunsero un atteggiamento docile e passivo, le guardi attuavano invece comportamenti vessatori nei confronti dei carcerati. Assumono, cioè, comportamenti che sono ‘attesi’, cioè assumono quei comportamenti che le persone si aspettano da loro in quel ruolo. La prigione finta era vissuta come una vera prigione. Questo esperimento ci dice che l’abito fa il monaco: le persone che rivestono uno specifico ruolo assumono tutti i comportamenti e gli atteggiamenti che gli altri si aspettano di vedere da chi ricopre quel ruolo (i ragazzi che interpretavano i carcerati si comportano come veri e proprio carcerati, così come le guardie). L’esperimento ricevette molte critiche soprattutto riguardo l’etica dell’esperimento e sulla costruzione, principalmente del setting dell’esperimento. Seidman dice che i setting possono essere considerati nei termini di regolarità sociali, cioè insieme di relazioni sociali abitudinarie tra le persone di un ambiente. È necessario, quindi, analizzare l’insieme dei comportamenti che rivelano relazioni tra i membri di un setting. Considerare i ruoli sociali aiuta in questa ricerca: esistono, infatti, relazioni con ruoli predominanti rispetto ad altri tra gli individui (es. relazione docente/studente). È un po’ come il concetto della profezia che si auto-avvera  se io penso che quella cosa accada, quella cosa accade davvero. Anche pensare o immaginarsi in un certo modo determina un comportamento specifico. La labeling theory (teoria dell’etichettamento, Scheff) classifica la devianza in:  Primaria  si riferisce a comportamenti non conformi alle norme sociali.  Secondaria  riferita ad una cristallizzazione di questi comportamenti come conseguenza della risposta sociale della maggioranza. La persona che ha assunto un comportamento deviante una tantum (devianza primaria), diventa un criminale cronico perché etichettato deviante dagli altri. L’individuo assume un comportamento deviante perché è il comportamento che gli altri si aspettano da lui. A tal proposito, Ryan dice che c’è la tendenza da parte delle persone a vedere gli individui che soffrono come responsabili del proprio problema  biasimare la vittima. Il modello di Ryan ha basato tutta la critica che la psicologia fa ai modelli di stile di vita dell’OMS, principalmente le idee che pongono al centro le scelte individuali riguardo alla salute, perché per Ryan è un modo indotto di biasimare la vittima: questo modello si basa sul fatto di dare libera scelta all’individuo riguardo la sua salute (es. se fumare o non fumare, etc.), quindi è a discrezione del singolo scegliere un’opzione o l’altra, ed è, quindi, compito loro decidere se mantenere uno stile di vita ottimale e quindi preservare la propria salute  per Ryan, in questo modo si biasima la vittima, cioè l’istituzione (OMS), nonostante lasci libera scelta in ambito, colpevolizza le persone che fanno delle scelte non conformi (es. per l’OMS è conforme non fumare, se l’individuo sceglie di fumare questo viene colpevolizzato). Orford, psicologo di comunità inglese, in un manuale del ’92 vuole sottolineare la differenza tra la psicologia di comunità dalle altre correnti psicologiche, in particolare:  Sottolinea gli assunti sulle cause dei problemi  esistono delle interazioni nel tempo tra individui, setting e sistemi  Livelli di analisi progressivi dal microlivello al macrolivello  Rispetto altre discipline, si usano metodi di ricerca sperimentali, qualitativi, etc.  La psicologia di comunità si pratica dove vivono gli utenti  C’è un approccio alla pianificazione dei servizi proattivo  i servizi territoriali non attendono le domande di intervento, ma vanno a cercarli  C’è enfasi sulla prevenzione  C’è un’enfasi sull’interdisciplinarietà e multi-competenza dell’equipe di intervento della psicologia di comunità  atteggiamento verso la condivisione delle competenze  Atteggiamento verso i contributi non professionali (es. volontariato)  idea che non sia solo lo scienziato-medico a poter intervenire, ma spesso, in alcune condizioni, l’aiuto non professionale è addirittura meglio Sottolinea anche l’importanza della prevenzione. LA PREVENZIONE La prevenzione è il terreno su cui la psicologia di comunità si è sviluppata. La prevenzione è il tentativo di intervenire per evitare una situazione nociva futura, prima che questa avvenga. La legge 833/1978 è la legge che da vita al Servizio Sanitario Nazionale (SSN); all’articolo 1 e 2 definiscono i compiti e gli obiettivi generale del SSN, tra cui si trova la “promozione, oltre che mantenimento e recupero, della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali e sociali” (art. 1) e la “prevenzione malattie ed infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro” (art. 2). Oggi il SSN stabilisce il fatto che noi, ad oggi, abbiamo diritto a prestazioni sanitarie su tutto il territorio nazionale. Quando paghiamo qualcosa paghiamo il ticket, ma non la prestazione, perché è un costo a carico dello Stato. Viene anche stabilita una differenza tra le prestazioni erogate gratuitamente e le prestazioni erogate non gratuitamente, definita dal LEA (livello essenziale di assistenza che stabilisce cosa è necessario esente dal ticket e cosa è superfluo). La prevenzione è stabilita tra i principali obiettivi dei Piani Sanitari Nazionali (PSN): nei 21 sistemi sanitari regionali italiani (21 per le due province autonome di Trento e Bolzano), la 833 regola il bilancio nazionale, dividendo i fondi per ogni regione, che autonomamente decide per cosa usarli e per cosa no. Ogni Servizio Sanitario deve rispettare un elenco di compiti e punti che deve soddisfare. A livello nazionale, il Ministero della Salute (IIS, Istituto Superiore della Sanità) fornisce le indicazioni necessarie ai vari Servizi Sanitari locali tramite i PSN. Dal 1968 il Ministero della Salute definisce un nuovo PSN triennale (ogni 3 anni), in cui sono definite innanzitutto le condizioni epidemiologiche di malattie e si verificano quali sono le malattie più diffuse e le cause di morte, tenendo conto di una serie di fattori come la zona, etc. Ogni PSN si concretizza in un Piano Sanitario Regionale (PSR), che ogni ASL riceve e discute con i comuni del proprio territorio. Dal 2018 c’è un Piano Nazionale per la prevenzione, sempre diviso in 21 piani regionali per la prevenzione, in cui sono descritte le cause di morte e le malattie, tradotti in obiettivi. L’OMS nel ’97 ha sottolineato l’importanza di prevedere attività di prevenzione all’interno di ogni sistema sanitario. La prevenzione è così importante grazie al NIMH degli anni ’50, perché la prevenzione non serve solo ad evitare o ridurre casi gravi di una malattia, ma anche perché è più economica. Si può citare l’esempio del tumore al collo dell’utero: in caso di test positivo (pap-test) e di test specifico positivo, l’unica indicazione terapeutica è l’asportazione dell’utero. Il pap-test si fa per individuare i casi della malattia, per poter individuare la malattia prima che degeneri. In alternativa, l’indicazione terapeutica è la prevenzione, facendo ogni tot anni il pap-test alle donne, anche se è un test invasivo. Se fare prevenzione permette di scoprire prima la malattia e di spendere meno, perché non concentrare tutte le risorse sulla prevenzione? In primo luogo, fare un intervento di prevenzione andrebbe fatto su tutta la popolazione in maniera continuativa, quindi il costo si alzerebbe. Soprattutto, però, la prevenzione riduce il rischio, si muove in un’ottica probabilistica, facendo un intervento di prevenzione si chiede a qualcuno di rinunciare oggi a qualcosa (es. tempo per una visita, smettere di fumare) in nome di un evento positivo probabilistico che avverrà tra molti anni. Il fumo delle sigarette funziona come regolatore delle emozioni, e chiedere alle persone di smettere di fumare vuol dire chiedere  Progettazione e conduzione dell’intervento pilota per verificare l’efficacia dell’intervento ideato  costruzione di un modello sperimentale o quasi-sperimentale per verificare che il cambiamento è dovuto unicamente all’intervento, tramite anche gruppi sperimentali e gruppi di controllo, proprio per verificare che i cambiamenti non siano dovuti ad altri fattori.  Sviluppo di interventi multipli per generalizzare l’intervento alla popolazione di riferimento  affinché un progetto sai certificato, questo deve essere condotto in contesti differenti per dimostrarne l’efficacia scientifica.  Promuovere l’implementazione nella popolazione. Green, nel 2001, si chiede come nasca l’idea dell’evidenza sull’efficacia di un intervento che possa essere generalizzata come miglior pratica ovunque, cioè si chiede come un intervento possa essere standardizzato e ripetuto nel tempo, perché quando si costruisce un progetto di intervento si devono tenere in considerazione le norme di quel sistema. Per lui, quindi, gli interventi non possono essere sempre uguali, ma devono essere adattati alle condizioni sociali, culturali ed economiche. Un sistema non è detto che produca sempre gli stessi risultati, perché dipende da come gli elementi interagiscono tra loro e con l’esterno, quindi l’intervento, ogni volta che viene riprodotto, ha una specifica relazione con quel sistema e può portare a risultati differenti; i sistemici costruiscono interventi euristici-partecipativi, secondo una logica differente: in tutti gli interventi, prima di attuarli, viene costruita una valutazione di come funziona il fenomeno e viene fatta una progettazione dell’intervento specifica al contesto. Quali sono gli elementi che mi guidano a scegliere il tipo di intervento, decidendo di promuovere un qualcosa e scoraggiarne un’altra? Si può pensare di fare un intervento per scoraggiare la gente a fumare, ma anche campagne per incoraggiare le persone a fumare, stessa cosa si può fare con l’allattamento al seno. Le tematiche di intervento sono influenzate e determinate dal contesto sociopolitico in cui si effettua, in particolare:  Anni 50  malattia mentale. In Italia di questo tema non se ne parlò per molti anni, fino alla pandemia, a causa di cui si è registrato un aumento di casi psichiatrici negli adolescenti; a causa del lockdown.  Anni 60  povertà e svantaggio sociale  Anni 70  giustizia economica e sociale  Anni 80  guerra alle droghe  Anni 90  HIV e AIDS  Anni 90/2000  immigrazione/integrazione Il tema diventa prima di dibattito pubblico, poi vengono costruiti gli interventi su misura. I fattori socioeconomici sono importanti, un esempio di questo aspetto è la riduzione delle malattie infettive grazie al miglioramento delle condizioni igieniche. Esiste anche una relazione tra il fatto di essere ricchi e l’aspettativa di vita: se guardiamo, dentro al singolo paese, la relazione tra il reddito medio e la speranza di vita, si nota una differenza tra le persone ricche e quelle povere, nonostante non esista questa relazione se si confrontano tra loro gli stati  bisogna guardare l’interno della società. Se questa cosa si fa, si nota che chi guadagna più soldi sta meglio. Wilkinson e Pickett individuano un altro elemento importante, la disuguaglianza sociale: prendendo come indice la relazione precedente e il tasso di disuguaglianza dei vari paesi, mettono in relazione l’indice di disuguaglianza con alcuni problemi di salute. Wilkinson e Pickett ragionano anche sullo stigma, nel particolare quanto questo determini una condizione negativa sulla salute. Il fatto di annunciare la propria casta mediamente influenza i risultati, in particolare questo avviene per le persone che appartengono ad una casta bassa, i cui risultati si abbassano, ma accade anche per chi appartiene ad una casta alta, i cui risultati aumentano. Questi cambiamenti non ci sono se non viene chiesto di annunciare la casta. Sentirsi appartenenti aduna classe ricca o povera, determina uno stigma. Efficacia degli interventi Un articolo di Santinello e Cenedese del 2002 indica i fattori di efficacia della prevenzione, cioè i fattori di un intervento che funzionano. Questi sono:  I fattori che si basano su una base teorica ed empirica  Gli elementi che hanno un approccio globale alla salute  Gli elementi con prospettiva a lungo termine  I fattori con metodologa interattiva e partecipativa Negli stessi anni, Springer e altri determinano le caratteristiche della prevenzione selettiva, guardando:  Il contenuto dei progetti  I progetti che sviluppano life skills comportamentali o propongono attività ricreative alternative sono più efficaci di quelli che si focalizzano sulle conoscenze o su variabili di tipo affettivo.  Le strategie pratiche  in generale le metodologie “esperienziali” interattive sono più efficaci della didattica frontale e delle attività condotte esclusivamente dagli adulti.  La combinazione tra contenuto e strategie  Il dosaggio delle attività  gli interventi più efficaci sono quelli ad alta intensità, cioè un intervento continuativo.  La coerenza  organizzazione generale del progetto cartaceo, riferimento ad un preciso modello teorico da cui derivano gli obiettivi e le strategie del progetto.  La consistenza  organizzazione del progetto in termini di tempi, fasi, azioni, risorse etc. dell’intervento. Gli interventi ad alta coerenza e alta consistenza risultano essere più efficaci. LA COMUNITÀ: ANALISI E CARATTERISTICHE PSICOLOGICHE La prima operazione che fa uno psicologo con un paziente e fare una diagnosi per capire il problema e poter agire di conseguenza per affrontarlo. Ha inoltre obblighi di tipo finanziario, etico, procedurale. La stessa cosa vale per lo psicologo di comunità: Nel momento in cui riceve una domanda di intervento, anche lui deve seguire lo stesso iter di uno psicoterapeuta, facendo una diagnosi, perché non sempre, quando la comunità chiama lo psicologo, il problema che dice di avere la comunità corrisponde alla diagnosi. Quando uno psicologo di comunità agisce su una comunità per modificarla, lo fa sulla base di qualche ente facente parte di quella comunità che lo chiama per operare. L’operazione che lo psicologo deve fare in ogni caso è la diagnosi di comunità, per sapere come operare. Deve, infatti, guardare la dinamica che ha in quel momento la comunità. Lo psicologo deve chiedersi se sta intervenendo su una comunità, cioè che l’entità su cui va ad operare rispecchi le caratteristiche che ha una vera comunità. Lo psicologo di comunità deve collocare la propria azione all’interno del quadro della comunità. Ci sono diversi strumenti, tra cui l’analisi di comunità, messo a punto dalla Francescato e altri. La Francescato ha iniziato a lavorare sugli strumenti di Martini e Sequi. Si tratta di due strumenti uguali, applicati però in maniera diversa e che hanno obiettivi diversi. Martini è uno dei fondatori della psicologia di comunità in Italia, uno dei primi operatori, che fin dai primi anni ’80 sviluppa attività professionali con l’ottica della psicologia di comunità. L’idea di Martini è la seguente: se bisogna analizzare e diagnosticare una comunità questa va descritta con il suo strumento, chiamato analisi di comunità o profilo di comunità, per valutare le molteplici variabili su un territorio e la loro reciproca influenza. Si parla di profili perché si possono valutare più profili, in particolare 7:  Profilo territoriale  tutti i dati relativi al territorio e alla sua fruibilità (es. la Valle d’Aosta è caratterizzata da un territorio montuoso, etc.). L’esposizione solare di una città, ad esempio, può influenzare le relazioni sociali. Uno delle prime cose che fa lo psicologo è guardare la conformazione fisica della comunità su cui andrà ad operare, perché il modo in cui il territorio è costruito determina le relazioni sociali delle persone che abitano o frequentano quel territorio.  Profilo demografico  numero di abitanti, fasce d’età e sesso, scolarizzazione, flussi e mobilità della popolazione. La demografia conta ed è uno degli elementi centrali del territorio delle comunità. In Italia, da qualche anno, ci sono più anziani che giovani, un dato non irrilevante, la composizione.  Profilo delle attività produttive  attività primarie, secondarie e terziarie, e relativa nocività ambientale. Si va a guardare quali sono le attività economiche della comunità.  Profilo dei servizi  all’interno di una comunità ci sono diversi servizi, di cui servizi sociosanitari, educativi, ricreativi e culturali. Elenco e mappatura di tali servizi (es. elenco dei bar, ospedali, scuole). Si va a mappare anche quale tipo di servizio offre quella determinata struttura (es. se il bar fa anche ristorante, se è il bar dove vanno gli anziani, etc.).  Profilo istituzionale  organizzazione, riferimenti ideologici, presenza di particolari istituzioni. Possono esistere anche alcuni elementi tradizionali che la comunità può far diventare un’istituzione (es. la recita di Natale è un’istituzione che molte scuole hanno). Istituzioni formali e momenti istituzionali (tradizioni radicate che diventano formali).  Profilo antropologico  va a vedere la storia della comunità, i valori, gli atteggiamenti sociali diffusi, la coesione, le tradizioni. È necessario sapere da dove e come nasce la comunità, quale tipo di identità può avere.  Profilo psicologico  dinamiche affettive, appartenenza, identificazione collettiva, gradi di apertura e chiusura dei sottogruppi, partecipazione, sicurezza affettiva. Capire come le persone capiscono e vivono la comunità valutando una serie di indici. Lo scopo dei profili è quello di mettere in risalto gli elementi che sembrano scontati. I primi quattro profili si possono costruire senza entrare direttamente nella comunità e nelle sue dinamiche, utilizzando internet, manuali, etc., e sono considerabili dati più oggettivi (quantitativi); gli ultimi tre profili sono più qualitativi e soggettivi, e vengono costruiti interrogando le persone (intervista ai testimoni significativi), quindi entrando in modo diretto nelle dinamiche. L’idea di questo approccio è che, unendo i 7 profili, lo psicologo arriva ad una diagnosi, grazie ad un rapporto approfondito. Per Martini e Sequi tutto questo è accessorio: l’analisi della comunità non è intesa tanto come analisi dei bisogni a cui si potrà rispondere, non è intesa come strumento di analisi, ma come occasione per riunire i soggetti che vivono la comunità per farli costruire una loro immagine della comunità stessa. In altre parole, l’analisi di comunità serve a far scattare un processo di cambiamento e di presa di coscienza da parte dei soggetti. Martini e Sequi, dunque, curano molto la costruzione del gruppo, più che la stessa rilevazione dei profili. Donata Francescato riprende questo strumento, non interessandosi al processo di cambiamento, ma al processo conoscitivo. Secondo lei, al contrario di Martini e Sequi che non indagano le diverse soggettività, è necessario far emergere i differenti punti di vista  per questo rivede i sette profili, introducendo degli elementi soggettivi:  Profilo territoriale  a quanto definito precedentemente, aggiunge come metodo di rilevazione la passeggiata e le fotografie, tenendo conto anche della rappresentazione che le persone hanno del territorio.  Profilo demografico  approfondisce elementi come l’immigrazione, i flussi e le motivazioni.  Profilo delle attività produttive  analizza lo sviluppo o il declino dell’area di interesse in un contesto globale, e guarda anche l’esposizione alla concorrenza.  Profilo dei servizi  analizza la percezione dei partecipanti, facendo emergere le aree-problema non considerate e la visibilità dei servizi.  Profilo istituzionale  introduce anche l’analisi delle reti con gli altri enti.  Profilo antropologico e psicologico  usate tecniche proiettive molto basilari (es. far disegnare il proprio quartiere o far sceneggiare un film sul quartiere). Si mettono insieme immagini molto diverse. Un concetto importante per lei è la narrazione, cioè raccoglie la molteplicità di narrazioni che ci sono.  Profilo del futuro  viene chiesto alle persone come vedono la loro comunità tra 10 anni, che cosa teme del futuro e cosa desidera per il futuro della comunità. Lei si pone il problema di guardare le aspettative che ci sono nella comunità, assumendo, per certi versi, la prospettiva di Bronfenbrenner sull’importanza del tempo. Uno degli altri strumenti di analisi di comunità e per farne una diagnosi è il senso di comunità (SdC). Il SdC è stato posto come uno dei maggiori filoni fin dalla nascita della psicologia di comunità. Sarason definisce il SdC come la percezione di similarità con altri, accresciuta interdipendenza, disponibilità a mantenerla, sensazione di esser parte di una struttura affidabile e stabile. McMillan e Chavis hanno diffuso e operazionalizzato questo costrutto, costruendo una scala di misura, e dicono che questa scala è costruita su 4 fattori diversi:  Appartenenza  percezione di essere parte integrante e in connessione. Sviluppo di confini e senso di sicurezza emotiva verso ingroup. Identificazione e sistema di simboli.  Influenza  sensazione di poter incidere sul funzionamento della comunità e che allo stesso tempo la comunità imprime direzionalità alle proprie scelte. produrre un aumento di potere sul contesto, influenzando le scelte politiche, offrendo servizi alternativi e organizzando la comunità. Empowerment di comunità Si tratta di interventi diretti alla costruzione di comunità competenti in cui i cittadini hanno il potere di generare alternative, conoscenze di dove/come reperire risorse, stima di sé in forma di orgoglio, ottimismo e motivazione. Una comunità competente rende le risorse accessibili, aumenta l’empowerment psicologico tra i suoi membri e struttura organizzazioni e coalizioni empowered ed empowering. Ci sono due concetti importanti:  La partecipazione, cioè il processo nel quale gli individui prendono parte alla costruzione di decisioni nelle istituzioni, nei programmi e negli ambienti che li riguardano. Questo migliora gli interventi psicologici perché permette agli individui di avere conoscenze specifiche, incrementa il senso di controllo nell’ambiente, incrementa il senso di responsabilità e decrementa l’anomia. Le persone non sono soltanto ascoltate, ma sono coinvolte nelle decisioni in maniera diretta. Esistono modelli diversi sul perché le persone partecipano, e si possono dare degli incentivi per farli partecipare, come soldi o benefici (incentivi materiali, sociali e intenzionali), ma anche secondo modelli e valori personali (cognitive social learning).  Il potere. Le relazioni sociali possono essere guardate dal punto di vista della disparità di potere. Nella società è evidente la disparità di potere, a livello micro (partner, famiglie, piccoli gruppi), nelle organizzazioni (formalizzazione con gerarchie e qualifiche) e a livello macro (stratificazione sociale e gerarchie multiple). Bisogna considerare come il potere è distribuito. Uno degli elementi centrali è il fatto che l’impotenza è patogena, cioè l’assenza di potere porta alla patologia. Il potere non è mai una dimensione isolata, ma è reciproco: in un sistema, spesso quello che si determina è una relazione intrecciata di poteri differenti: in famiglia, chi decide dove si va in vacanza, magari non è la stessa persona a decidere cosa si mangia a cena. È importante, quindi, considerare il potere anche in piani differenti. Il potere è una situazione sociale in cui une persona ha la capacità di far fare qualcosa ad un’altra che non la vuole fare. Questa definizione ci permette di studiare il potere da più punti differenti, cioè guardando le forme di potere: legittimità, ricompensa, punizione, competenza, rapporto, autorità, forza, etc. Ha tre attributi: estensione, generalizzazione e forza. Levine e Perkins individuano due strategie diverse di azione nella comunità: Sviluppo di comunità Coesione attraverso la costruzione di relazioni e negoziazioni. Processo per creare condizioni di progresso sociale ed economico, attraverso la partecipazione dell’intera comunità. La creazione di organizzazioni di comunità riduce eventi stressanti ed aumenta risorse e supporto. È necessario creare coesione sociale, favorire l’auto-aiuto volontario e l’aggregazione, sensibilizzare ed informare, identificare e promuovere i leader locali, sviluppare coscienza civile, fare formazione su tecniche della gestione dei conflitti e della soluzione dei problemi, promuovere il coordinamento tra servizi e movimenti sociali. Si sottolineano gli elementi centrali della comunità. Martini e Sequi propongono 4 passaggi principali in questo processo:  Coinvolgimento  quando le persone sono toccate emotivamente e sviluppano propensione ad agire.  Partecipazione  coinvolgimento ed esercizio reale di potere.  Creazione di connessioni  comunicazioni e rapporti fra diversi atri nella comunità. Sviluppo di appartenenza e interessi comuni.  Senso di responsabilità sociale  consapevolezza che problemi e risorse coinvolgono tutti i membri. Una metodologia di ricerca-intervento per lo sviluppo di comunità è la ricognizione sociale, cioè la raccolta delle rappresentazioni soggettive dei diversi attori, negoziazione e mobilitazione delle comunità. Azione sociale Un altro modo in ottica radicale di attuare un intervento. Il punto centrale si configura in coloro che sono in svantaggio. Riconoscimento delle disparità di potere ed incentivazione del conflitto. L’azione sociale ritiene che le risorse siano finite e distribuite in modo ineguale, che gli interessi non sono facilmente negoziabili e quindi le soluzioni sono esplicitamente politiche. Secondo Moscovici e Wrong l’azione delle minoranze attive può essere influente. Si dà importanza a consapevolezza, identità collettiva, impegno comune, valori condivisi, percezione del conflitto, esistenza di organizzazioni e azione. Chi attua un’azione sociale segue il gruppo con meno potere per fargli acquisire controllo ed equilibrare la comunità, anche con il conflitto e il confronto. Un esempio è l’advocacy, un termine traducibile come aiuto o difesa. Exeter intervenne sulla salute mentale, individuando all’interno della situazione le persone con meno potere, cioè i pazienti. Costruì una serie di azioni per dare più controllo ai pazienti, entrando in conflitto con l’organizzazione. Alla base c’è l’idea di un conflitto di interessi tra un gruppo più potente ed un gruppo che è più coinvolto. LE RETI SOCIALI Il concetto di rete sociale nasce nella psicologia argentina e nello psicodramma. Il concetto si afferma in sociologia grazie a Barnes, che studia le relazioni sociali di una piccola isola norvegese, e fa sostanzialmente quello che fece Barker ad Oskaloosa, vuole capire quali tipi di legami si formano tra le persone. Studia le relazioni di status e le relazioni familiari. Nel ‘900 ci furono grandi antropologi che studiarono la differente organizzazione sociale all’interno delle strutture, quindi l’organizzazione dei ruoli, che però variano da cultura a cultura. Gli impianti teorici sociologici avevano come riferimento di studio delle relazioni unicamente lo status sociale e le relazioni familiari. Barnes, studiando le relazioni sociali, si rende conto che quelle che studia non potevano essere lette unicamente in base a status e famiglia, perché le persone non frequentavano soltanto chi apparteneva al proprio status sociale o alla propria famiglia. Per questo, mette a punto un sistema di lettura basato su un sistema di punti e di linee: ogni punto rappresenta una persona, e rappresenta le relazioni sociali con delle linee. Va a creare un vero e proprio grafico. Questo metodo è stato anche ripreso nell’epoca contemporanea, costruendo anche una rete sociale basata sulle relazioni virtuali, grazie alla nascita dei social media. “Una rete sociale è un raggruppamento di individui, organizzazioni ed organismi strutturati in modo non gerarchico intorno a delle tematiche o problematiche comuni, che fondano l’oggetto di un’azione preventiva e sistematica che si basa sulla volontà di agire e sulla complicità. Nello specifico la rete sociale è formata da relazioni e legami d’ordine sociale tra gli individui che permettono d’ottenere un sostegno sociale favorevole alla salute.” Questa definizione è sbagliata, perché è radicalmente insensata: la prima frase dice che la rete è un’associazione di scopo, perché chi fa parte della rete è riunita per interessi comuni, la seconda frase dice che la rete è formata da legami. Questa definizione unisce e confonde due aspetti della rete sociale: la rete sociale intesa come unione di individui (lavoro di rete), e la rete sociale intesa come insieme di relazioni tra gli individui (rete sociale di Barnes). Parla di due cose diverse facendo finta che uno sia lo specifico dell’altro, quando sono due cose che, a grandi linee, sono cose differenti. Negli anni sono state costruite una serie di regole e convenzioni per sviluppare le reti sociali. Si può avere una rete egocentrata, cioè la costruzione della rete sociale di un singolo individuo a partire da lui, o acentrata (rete sociale). Nella sociologia si sono formate delle regole convenzionali che vanno a definire il modo in cui vanno costruite le reti e i loro grafici, in particolare vanno costruiti in base a 4 elementi:  Struttura  per prima cosa si guarda l’ampiezza, cioè il numero di persone appartenenti alla rete. Hirsch introduce i criteri di significatività e frequenza. Si considerano i legami diretti e i legami indiretti. Si guarda anche la densità, cioè la proporzione di legami presenti tra tutte le possibili coppie della rete (relazioni dirette tra i membri). In una rete ci possono essere n(n-1)/2 legami (n=numero di persone), quindi se x sono i legami presenti, l’indice di densità è uguale a 2x/n(n-1). Spesso si possono incontrare dei cluster, cioè dei sottoinsiemi densi che possono essere i parenti, i colleghi, etc. Infine, si guarda la frequenza, cioè il numero di contatti tra i membri che avvengono in un determinato periodo.  Qualità  è necessario controllare i criteri di vicinanza o intimità, cioè controllare se le relazioni sono intime o superficiali. Tolsdorf individua 12 classi di riferimento.  Interazione  si guardano fattori come la molteplicità, cioè se i ruoli sono specializzati o complessi, e la simmetria, cioè si fa una valutazione sulla direzionalità del legame.  Funzione  si studiano le diverse funzioni della rete, che coprono diversi ambiti: la funzione strumentale (aiuto pratico e materiale); la funzione emotiva (ascolto, attenzione, affetto o amore per altro che esprime interesse e comprensione. Rafforzamento autostima e soddisfazione bisogni emotivi); funzione informativa (detto anche consigli/guida, aiuto a comprendere e affrontare eventi problematici); funzione affiliativa (appartenenza a gruppi formali o informali). Esistono diversi livelli della rete sociale: Donati introduce i concetti di reti informali e reti formali, le prime anche definite primarie o naturali, le seconde dette anche secondarie o artificiali.  Reti primarie  relazioni famigliari (che non possono essere scelte liberamente) e relazioni amicali (scelte liberamente). Hanno un valore affettivo e di supporto per la crescita individuale.  Reti secondarie  in grado di fornire servizi e aiuti, si distinguono in formali (istituzioni che offrono un servizio agli individui, il loro valore è di tipo professionale) ed informali (associazioni di volontariato, ecc.). Molto collegato al concetto di rete è il concetto di sostegno o supporto sociale. Il supporto sociale è il supporto emotivo, informativo, interpersonale e materiale che è possibile ricevere e scambiare nelle reti sociali. Sono stati messi a punto degli strumenti di misura di questo supporto. Esistono 2 prospettive di studio sulla relazione tra sostegno e stato di salute psicofisica. Il modello diretto dice che c’è un’influenza positiva del sostegno sociale sulla salute psicofisica. Cohen e Wills (1985) sottolineano come l’integrazione sociale produce senso di stabilità e prevedibilità, il rafforzamento di comportamenti normali e salutari, lo sviluppo personale e di appropriate modalità di difesa. Il modello tampone fa riferimento alle teorie di Lazarus e Folkman; secondo questo modello, il sostegno sociale è visto come evento moderatore dello stress: un evento negativo e stressante è mitigato da risorse esterne. È stato dimostrato che entrambe queste teorie sono valide. Nella teoria dell’attaccamento, la ricerca e la costruzione del supporto sociale è una caratteristica di personalità che ha le sue determinanti nelle relazioni precoci. Alcune teorie determinano come il tipo di rete sociale che costruiamo dipenda dal tipo di attaccamento avuto durante l’infanzia. La rete sociale non è sempre qualcosa di positivo, perché è qualcosa di costoso che diminuisce, in quanto le persone hanno meno tempo a disposizione per alimentare la rete. Il limite da considerare è appunto che va mantenuta, per cui reti sociali molto ampie comportano lo spreco e l'utilizzo di energie per il mantenimento della rete, però hanno sottolineato come le reti dense, in qualche modo, restringono i comportamenti a disposizione delle persone: Bott e collaboratori sottolineano che quando la rete è densa e stabile, il comportamento dell'individuo è fissato dal ruolo sociale all'interno della rete stessa, e quando si cambia per momenti di transizione di vita, spesso la rete sociale non è in grado i cambiare velocemente, e si crea una limitazione al comportamento, perché l'individuo inizia ad assumere comportamenti diversi, mentre la rete esige che l'individuo assuma i ruoli fissi che prevede, costringendo a non modificare la propria identità sociale. In una ricerca inglese sulla popolazione disoccupata, si è visto che non sempre il matrimonio è un fattore di protezione: nelle donne sposate si registra una maggiore prevalenza del disagio, rispetto agli uomini, in cui questa situazione di disagio prevale nei celibi. I GRUPPI AUTO-AIUTO I gruppi di auto-aiuto sono uno strumento che si sta espandendo molto nel SSN come tecnica di intervento. Un gruppo di auto-aiuto molto famoso sono gli alcolisti anonimi, nati agli inizi del ‘900, un gruppo di pari (tutti sono alcolisti e non c’è nessun operatore sanitario) in cui c’è un conduttore che non ha funzione terapeutica ma serve i componenti. Il gruppo degli alcolisti anonimi serve a riconoscere un disturbo (abuso di alcol) tramite la condivisione. In generale, i gruppi auto-aiuto sono gruppi ristretti, fondati sull’interazione faccia a faccia di persone che condividono condizioni, situazioni, disagi o esperienze. Non sono, quindi, gruppi di terapia, ma servono unicamente a condividere le proprie esperienze con persone che hanno il tuo stesso problema  servono a parlare. L’obiettivo degli alcolisti anonimi è quello di controllare il comportamento dei membri. Gli alcolisti anonimi seguono una logica comportamentista, come la token economy. Ascoltare gli altri aiuta perché aiuta a non sentirsi in colpa, perché non solo io attuo quel comportamento; l’ascolto ci fa sentir parte di un gruppo in cui si condivide il problema; con l’ascolto ci si aiuta prendendo spunto dagli altri, ma l’aiuto arriva da qualcuno che ha lo stesso problema, che assume il ruolo di helper (colui che ha quel problema e che aiuta gli altri nel superarlo). Il gruppo di auto-aiuto mi permette di stare con i pari (persone che hanno i miei stessi problemi e che percepisco meglio), e di stare con persone che possono diventare il mio modello. Anche in ambito medico si stanno diffondendo molto, uno dei primi casi di gruppi di auto-aiuto in questo ambito furono i gruppi per la TBC. Questi gruppi migliorarono anche le condizioni e la durata della
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