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Appunti Psicologia Sociale Fondamenti teorici ed empirici Unige (L. Andrighetto, P. Riva), Appunti di Psicologia Sociale

Riassunto e appunti delle lezioni di Psicologia Sociale, da integrare con il libro.

Tipologia: Appunti

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Scarica Appunti Psicologia Sociale Fondamenti teorici ed empirici Unige (L. Andrighetto, P. Riva) e più Appunti in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! Introduzione alla Psicologia sociale Definizione di psicologia sociale La psicologia sociale, rispetto ad altre discipline psicologiche che si occupano di studiare i processi cognitivi che sono alla base dello sviluppo dell’ individuo, è quel ramo della psicologia che si interessa di studiare le relazioni che si instaurano tra gli individui: come queste si manifestano, i fattori determinanti ed i processi cognitivi coinvolti. Nello specifico, sono tre le questioni che rientrano nello studio, definite come l' ABC della psicologia sociale: 1. Affection 2. Behaviour 3. Cognition Nello specifico, come le emozioni (A), il comportamento (B), ed il nostro modo di pensare (C) influenzano e vengano influenzate dall’ ambiente sociale. L'ambiente sociale rimanda alle influenze che derivano dall'ambiente esterno; può essere reale (interazione face to face) o virtuale ( l'ambiente sociale , in questo caso, non avviene face to face ma avviene online). Questa, dunque, può essere definita come una interazione bidirezionale perché l'individuo e l’ambiente sociale si influenzano costantemente a vicenda. Una prima definizione di psicologia sociale è da attribuire ad Allport, uno dei precursori della psicologia sociale, che la definisce come una indagine scientifica del modo in cui emozioni, comportamenti e pensieri sono influenzati dalla presenza degli altri, che può essere di tre tipi: 1. Presenza oggettiva: si tratta della presenza fisica degli altri in un determinato contesto che influenza il nostro modo di agire e di pensare. 2. Presenza immaginata: il nostro modo di pensare e di comportarci viene influenzato dalla capacità che noi abbiamo di pensare a determinate persone che non sono fisicamente presenti. 3. Presenza implicita: l'aspetto più studiato nell'ambito della psicologia sociale, si riferisce al significato che noi attribuiamo alle cose. Ad es. la norma, che è influenzata dall'interazione sociale, è una presenza di tipo implicita in quanto questa viene attuata anche senza la presenza fisica o immaginata di altre persone. Questi, sono comportamenti socialmente, ma non necessariamente moralmente giusti, che vengono condivisi dalla medesima comunità e ci permettono di agire in quel contesto. Una seconda definizione, più estesa, vede la psicologia sociale implicata non solo nella interazione offline di tipo face to face, ma anche online o virtuale come conseguenza del nostro modo di pensare ed agire. L'ambiente online, tuttavia, sebbene condivida aspetti comuni con la presenza oggettiva mostra delle importanti differenze non da poco. La presenza degli altri nel contesto virtuale non è fisicamente definito, l'interazione è (non sempre) asincrona in quanto i tempi non coincidono con quelli che si hanno nella interazione face to face, questo ci consente di avere una maggiore possibilità di controllo temporale (ad esempio possiamo decidere quando comunicare all'altro qualcosa tramite un messaggio, quando rispondere ad un messaggio oppure quando pubblicare un post su un social network). Tutte le altre caratteristiche ‘’individuali'’ vengono tenute sotto controllo o considerate come variabili di disturbo perché possono accentuare o diminuire i processi indagati. La psicologia sociale come scienza La psicologia sociale, ed in generale la psicologia, è una scienza umana. Tutt'oggi il dibattito che vede la psicologia come una disciplina scientifica rimane aperto in quanto, soprattutto nel contesto quotidiano, lo studio che vede come ‘’oggetto’’ l'uomo viene giudicato piuttosto ‘’distante’’ da quello che invece viene ritenuto scientifico dall'intera comunità. Sono aspetti, quelli che gli psicologi studiano, che fanno parte del contesto sociale di ognuno di noi. Pertanto, molta gente, ritiene di comprenderle. In questa ‘’visione’’ superficiale è molto probabile che si manifesti il cosiddetto effetto Dunning-Krugger + distorsione cognitiva per il quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi esperti a torto, mentre al contrario persone davvero competenti hanno la tendenza a sottostimare la propria reale competenza. So tutto! Non ha alta ; bisogno di nessuno Alcune cose non DI mi sono chiare Credimi, è N x ® complicato v È Non capisco cosa a 3 sia successo d Se au =_—_—_——_T Ora inizio a capire n bassa @ nessuna alta Esperienza Una disciplina può essere considerata scientifica non per il fenomeno che studia, ma come questo fenomeno viene studiato. Questo metodo, definito come metodo sperimentale o scientifico, è oggettivo, privo di qualsiasi considerazione personale, deve essere duraturo nel tempo e replicabile. L'unico metodo scientifico che ci consente di verificare la causalità tra due fenomeni è la ricerca sperimentale, chiamata anche semplicemente esperimento. L'esperimento è un processo nel quale abbiamo la manipolazione di almeno una variabile (gruppo sperimentale) mentre le altre rimangono costanti (gruppo di controllo) per verificare, se tramite quella modifica, si manifesti quel determinato comportamento che potrebbe avvalorare o meno la mia teoria di partenza. Altre tipologie di ricerca che vengono applicate sono la ricerca Correlazionale, che viene applicata soprattutto nella psicologia sociale in quanto la ricerca sperimentale non è sempre fattibile. Non vi è la manipolazione di alcuna variabile. La ricerca sul campo nel quale lo sperimentare osserva e registra il comportamento che vuole osservare in un ambiente reale o in laboratorio. Dal punto di vista della psicologia sociale, un tipo di ricerca sul campo, può essere applicata anche in un contesto virtuale: lo sperimentatore osserva il comportamento del soggetto in un ambiente virtuale ( ad es. blog, game community e gruppi Facebook). Un esempio di ricerca sul campo che deriva dalla psicologia sociale è l'esperimento Robbers cave (Sherif, 1954) che spiega la nascita del pregiudizio, dello stereotipo e del conflitto tra gruppi. La ricerca d'archivio, invece, si propone di ‘’affidarsi’’ a dati passati per studiare il perché di determinati fenomeni. Ad es. Houland e Sears (1940) applicarono questo metodo per verificare la situazione economica nel Sud degli Stati Uniti tra il 1882 ed il 1930. La cognizione sociale La formazione delle prime impressioni è un aspetto molto importante che viene approfondito dalla cognizione sociale (Shelley Taylor e Susan Fiske). Questo paradigma scientifico, utilizzato nell'ambito della psicologia sociale, analizza l'individuo immerso nel contesto sociale alle prese con la raccolta, l'elaborazione e l'interpretazione di informazioni. Studia le strutture e i processi cognitivi (attenzione, la memoria, il ragionamento e l'inferenza, l'elaborazione di informazioni, la categorizzazione) che permettono alle persone di pensare e dare un senso a sé stesse, agli altri e alle situazioni sociali. Questi processi possono presentarsi in maniera consapevole, sono soggetti al nostro controllo , altri inconsapevoli e automatici. Alcuni ci possono portare a fare gravi errori. Questi processi cognitivi si trovano all'interno di specifiche strutture che prendono il nome di schemi (Markus, 1977). Queste strutture mentali sono ben organizzate e costruite all'interno della nostra memoria e si attivano nel momento in cui Inoltre, sovrastimiamo la somiglianza tra noi e l’altro. Modelli teorici: cognizione sociale Sulla base dei principi precedentemente elencati è possibile individuare diversi modelli teorici a cui fanno riferimento, quelli principali sono: 1. Economizzatore cognitivo (Taylor, 1981): processo inevitabile e comune a tutti gli individui per il quale quest'ultimo tende ad ‘’economizzare’’ le proprie risorse cognitive attraverso delle strategie ( Vedi la categorizzazione e le euristiche); 2. Tattico motivato (Fiske e Taylor, 1991): modello più evoluto di quello precedente nel quale la motivazione diventa il punto focale nella elaborazione delle informazioni. Questo significa che l'uomo non è sempre pigro ma la motivazione gioca un ruolo fondamentale nel mondo in cui queste vengono elaborate. A tal proposito esistono due principi legati alla motivazione, questi possono essere direzionali oppure non direzionali. | principi motivazionali direzionali sono quelli per il quale l'uomo tende ad usare al meglio i propri processi cognitivi ai fini di uno scopo ben preciso. Fanno parte di questa categoria tutte quelle situazioni in cui l'uomo tende a valorizzare sé stesso, cose e persone connesse al proprio sé, a mantenere un rapporto solido con il proprio gruppo di appartenenza e a favorirlo, spesso a discapito di altre categorie sociali. AI contrario, il principio motivazionale NON direzionale, non è rivolto a una conclusione specifica per difendere un'immagine positiva di sé o del proprio gruppo ma al tentativo, più generale, di comprendere gli eventi, di fornire una spiegazione e di fare delle previsioni il più possibile attendibili. Va ricordato che la padronanza e la gestione dell'incertezza hanno come fine ultimo la riuscita nel contesto sociale, il successo e. il raggiungimento di una ricompensa. 3. Modello dell'individuo come scienziato ingenuo: ? | processi della cognizione sociale Oltre ai fattori cognitivi e motivazionali, per comprendere al meglio i modelli che si riferiscono alla cognizione sociale, è necessario identificare quali e come operano processi coinvolti nella elaborazione delle informazioni. Questi processi possono essere: 1. Processi controllati sono attivati e terminati consapevolmente, richiedono una quantità considerevole di risorse cognitive e svolgono le loro funzioni sotto il controllo volontario dell'individuo; 2. Processi automatici: al contrario, tipicamente si attivano in modo non intenzionale e non sono consapevoli, richiedono una quantità ridotta di risorse cognitive, non possono essere interrotti volontariamente, generano impressioni che potremmo definire intuitive (Vedi effetto priming); 3. Processi bottom-up: avviene quando la nostra percezione sociale non è oppure non può essere guidata da schemi in quanto, ad esempio, potremmo trovarci in una situazione nuova per il quale non possiamo basarci su ipotesi prestabilite. Quindi, il nostro giudizio si basa su comportamenti direttamente osservabili del soggetto percepite nel contesto. 4. Processi top-down: Quando la percezione è guidata da particolari schemi ( ad es.la categorizzazione) siamo di fronte ad un processo che avviene dall'alto verso il basso. Questo tipo di processo accorcia il lavoro cognitivo, ma non è sempre accurato. Possiamo, ad esempio, giudicare una persona non per quella che è, attraverso i comportamenti osservabili (processo bottom-up, per il quale il mio giudizio non si basa sullo stereotipo, che è uno schema), ma perché la ‘’società’’ ci impone di pensarla così. La formazione delle impressioni Le persone sviluppano un giudizio sociale sugli altri partendo innanzitutto dai primissimi millisecondi della percezione. Tuttavia è un processo che non si ferma solo a quelle informazioni che risaltano maggiormente in una persona, è un sistema che si organizza in una struttura coerente di conoscenze delle informazioni relative a un individuo, derivate sia da un'esperienza diretta che da un accesso diretto ai dati relativi a quella persona. È sicuramente uno dei processi centrali nello studio della cognizione sociale e ha un altissimo valore adattivo: infatti, è cruciale per gli esseri umani comprendere nel più breve tempo possibile se la persona che sta loro di fronte ha intenzioni malevole (e da questa bisogna quindi difendersi) oppure benevole (e si può di conseguenza cercare di instaurare una relazione potenzialmente vantaggiosa). La formazione di impressioni ha, inoltre, una grande influenza sulla nostra risposta comportamentale nei confronti degli altri attori sociali per cui cerchiamo di evitare - e a volte danneggiare - chi non ci piace; cerchiamo di avvicinarci, di interagire e di connetterci socialmente con chi ci piace. Il valore adattivo dei meccanismi della percezione sociale spiega perché molti dei processi cognitivi a essa sottesi siano rapidi, automatici e in larga misura inconsapevoli. tratti di personalità che siano positivi o negativi circa la formazione delle nostre prime impressioni. Questo accade sia per ragioni evolutive in quanto la fretta di costruire un ‘’identikit’’ dell'altro è molto importante per la nostra sopravvivenza, sia perché talvolta in modo inconsapevole non riusciamo ad andare oltre la nostra percezione delle cose e tendiamo ad affidarci solo a quello che ‘’vediamo’’ in superficie, pertanto in questo caso le prime impressione contano davvero, soprattutto in determinate circostanze (Vedi effetto alone). Modello configurazionale di Asch (1946): Lo psicologo polacco naturalizzato statunitense, Solomon Asch, formatosi sulla base della psicologia della Gestalt per poi interessarsi e orientare i suoi studi nei confronti della psicologia sociale, si interessò a definire quali tratti di personalità avessero più possibilità di contribuire alla formazione delle nostre prime impressioni in un contesto generale e non specifico. Il tratto di personalità che è possibile individuare, grazie a questo modello, nella formazione delle prime impressioni (positive in questo caso), è caloroso + spiegazione alla base di origini evolutive. Si chiamano tratti centrali, quei tratti che hanno una forte influenza sulla formazione delle prime impressioni (caloroso vs freddo), i tratti periferici invece sono quelli meno coinvolti in tal senso. NB: Il modello proposto da Asch è influenzato dal contesto generale, è ovvio che l'importanza dei tratti varia dal contesto in cui è inserito. L'intelligenza o la determinazione, ad esempio, sono tratti importanti in un contesto lavorativo. Un altro aspetto molto importante, spiegato dal modello di Asch, è l'ordine con il quale questi tratti vengono presentati nel determinare una prima impressione, positiva o negativa, dell'altro. In questa circostanza si manifesta il cosiddetto effetto primacy + condizione sperimentale per il quale l'influenza delle prime informazioni ottenute è maggiore rispetto che alle ultime, Condizione l: intelligente, operoso, caloroso, invidioso, critico, ostinato (impressione positiva); Condizione 2: invidioso, critico, ostinato, intelligente, operoso, caloroso (impressione negativa). Un altro effetto, meno comune, è l'effetto tecency + quando le nostre risorse cognitive che rimandano all'attenzione sono piuttosto limitate perché, ad esempio, in quel momento siamo distratti o perché demotivati nel formare una impressione sull'altro, le informazioni che vengono presentate per ultimo hanno un impatto più decisivo nella formazione delle nostre impressioni. La categorizzazione Attraverso il processo di categorizzazione, l'individuo semplifica l'universo dell'esperienza considerando equivalenti molte varianti e rispondendo a esse in quanto esemplari di una stessa classe o categoria. La categorizzazione sociale, invece, è il risultato di un processo analogo che porta ad identificare individui originariamente distinti tra loro come membri di un gruppo sociale poiché condividono determinate caratteristiche di quel gruppo. Nell'ambito sociale la categorizzazione è più complessa in quanto è difficile indicare se un esemplare appartiene a pieno titolo ad una categoria o meno, se lo stimolo è un oggetto la classificazione è più semplice. Principio di accentuazione + La categorizzazione sociale può accentuare le differenze tra gli esemplari che appartengono a categorie diverse (principio di accentuazione intercategoriale') e in una riduzione delle differenze tra gli esemplari che appartengono alla stessa categoria ( ) !Una dimostrazione di questo fenomeno è stata studiata attraverso un esperimento condotto da Tayfel e Wilker (1963) in cui gli studiosi presentavano ad un gruppo di studenti una serie di otto linee rette che si differenziavano tra loro in modo costante. Le linee venivano presentate a ciascun partecipante una alla volta per più volte con delle differenze tra il gruppo sperimentale e quello di controllo. Nel gruppo sperimentale le linee più corte venivano presentate come (A), mentre quelle più lunghe come (B) in modo che gli studenti percepissero la presenza di una categoria. Nel gruppo di controllo invece le linee venivano presentate senza etichetta. AI termine della presentazione veniva chiesto a tutti i partecipanti di stimare la lunghezza di ciascuna linea. Nella condizione sperimentale gli autori osservarono un risultato sorprendente: la salienza della categorizzazione in linee corte A e linee lunghe B portò i partecipanti a esagerare le differenze tra i due gruppi di linee. Questo effetto è stato possibile riscontrarlo tra le due linee di confine, ovvero tra quella più corta (A) e quella più lunga (B) dove, la differenza percepita dagli studenti, era addirittura il doppio rispetto alla differenza reale. Sebbene questi studi siano stati condotti su stimoli minimali (linee), lo stesso fenomeno emerge anche nel contesto sociale nel quale noi tendiamo a semplificare la realtà circostante attraverso la divisione di membri in gruppi prendendo in considerazione delle caratteristiche che li accomunano enfatizzandone, dunque, le Lo stereotipo definisce come appare il gruppo e come agisce ( caratteristiche fisiche , comportamenti e abitudini) all'interno di un determinato contesto, ma soprattutto definisce i tratti di personalità che definiscono i membri appartenenti a quel determinato gruppo. Tre sono le funzioni dello stereotipo: 1. Funzioni descrittive: descrivono come è un gruppo sociale, inglobando delle convinzioni su quel gruppo condivise in un dato contesto sociale; 2. Funzioni prescrittive: ci permette di orientare il modo di comportarci con l'altro gruppo sociale, se applicato soprattutto su noi stessi ci permette di orientarci su come ci si deve comportare per apparire come un soggetto positivo all'interno del gruppo di appartenenza; 3. Funzioni di protezione dello status quo: legittimano l'organizzazione gerarchica esistente all’interno della società. Si può riscontrare soprattutto nello stereotipo di genere?. Esperimento: stereotipo gruppi nazionali (studio di Katz e Braly, 1933) - studenti universitari americani associano determinate caratteristiche a gruppi etnici diversi. 3Diversi studi hanno dimostrato come uomini e donne vengano percepiti come: uomini più aggressivi delle donne, donne più dipendenti e più influenzabili rispetto agli uomini, donne più sensibili ed emotive rispetto agli uomini. Queste differenze di genere possono essere raggruppate in due macro dimensioni ( The Big-Two) dove l'agency, che comprende i tratti legati al raggiungimento degli obbiettivi e orientanti al compito, vengono più associati agli uomini, mentre la communality , tratti legati alla socialità e al mantenimento delle relazioni sociali, vengono associate alla donna. Modello di dissociazione (Devine, 1989) + gli stereotipi si attivano in modo automatico anche se i nostri atteggiamenti sono contrari a quello stereotipo. Questo accade perché gli stereotipi sono scorciatoie cognitive (Vedi euristiche), ci permettono di gestire meglio l'interazione con il prossimo. Se siamo persone con alto livello di pregiudizio i comportamenti che mettiamo in atto sono più vicini al concetto di stereotipo negativo. AI contrario, se siamo persone con bassi livelli di pregiudizio, i nostri comportamenti sono più consapevoli e meno vicini al concetto di stereotipo, inibiamo la risposta negativa in favore di una risposta non pregiudiziale (modello di dissociazione). Come si apprendono gli stereotipi? 1. per esperienze personali: quando interagiamo con gruppi sociali sconosciuti dai quali non abbiamo alcuna informazione. 2. quando interagiamo con gruppi sociali sconosciuti dai quali non abbiamo alcuna informazione: la maggior parte degli stereotipi viene appreso dal contesto sociale in cui noi siamo esposti. L'apprendimeno degli stereotipi non avviene necessariamente attraverso "insegnamenti espliciti", ma il più delle volte avviene attraverso una semplice osservazione o per imitazione del comportamento. Essendo gli stereotipi funzionali sono difficilmente modificabili, è un processo lungo che dipende da ampi cambiamenti sociali che si instaurano tra i gruppi sociali di riferimento: gli stereotipi negativi si estremizzano in momenti di conflitto o competizione tra i membri del proprio gruppo e dell'altro gruppo, stereotipi positivi si accentuano quando vi sono rapporti armoniosi o di collaborazione tra i gruppi. Ad esempio il caso dei cinesi negli US nell’800 è una prova di questi ampi cambiamenti sociali. Se inizialmente vennero additati negativamente perché entrarono in competizione con i californiani per l'estrazione dell'oro, nel momento in cui questi occuparono dei lavori pericolosi ma indispensabili per la costruzione della ferrovia , cominciarono ad essere stereotipati come persone affidabili, intelligenti ecc. Sfortunatamente per loro, decenni dopo, con la crisi economica, questi vennero nuovamente additati negativamente perché accusati di aver rubato ingiustamente il lavoro agli americani. Euristiche ed altre scorciatoie cognitive Sono scorciatoie cognitive che possono produrre delle conclusioni errate. Deriva dal greco heureka (ho trovato) e la parola inglese eureka che esprime la gioia di aver trovato una soluzione ad un problema. Esistono diverse tipologie di euristiche: 1. Euristiche rappresentative: intesa come la scorciatoia cognitiva per cui classifichiamo l'individuo o l'evento in generale basandoci esclusivamente sulla sua rappresentatività, non prendendo in considerazione altre informazioni; Esperimento di Tversky e Kahneman (1974) > ai partecipanti dell'esperimento veniva fornita una descrizione precisa di un individuo e veniva chiesto loro di includerlo per una specifica professione. Ad esempio se x è una persona timida a cui non piace stare in mezzo alla gente molto probabilmente i partecipanti riconducevano queste caratteristiche al lavoro da bibliotecario anziché quella da operaio o pilota attraverso nostre caratteristiche e cause motivazionali interne (va da se che la nostra autostima ne giova), al contrario comportamenti negativi ed insuccessi vengono attribuiti a cause esterne. 3. Simile a (2), spiegato attraverso l'errore ultimo di attribuzione + comportamenti positivi del gruppo di appartenenza attribuite a cause interne, al contrario comportamenti negativi a cause esterne. Questo bias è stato parecchio studiato nell’ambito della ricerca cross culturale, come quelli di Taylor e Jaggi (1974). Influenza sociale e conformismo (cap.4) L'influenza sociale rappresenta il contributo più importante della psicologia sociale, ha una influenza importante in diverse circostanze. Gli autori principali che si sono occupati della tematica sono e Le loro ricerche si collocano subito dopo la seconda guerra mondiale per poi avere un notevole successo negli anni '50. L'impronta storica non è casuale perché in quegli anni la comunità scientifica si è interrogata sul perché alcune grandi democrazie europee si siano macchiate di crimini così violenti e nonostante tutto abbiano goduto di un vastissimo consenso popolare. | processi legati all'influenza sociale sono incontrollabili e naturali che può trasformarsi e comportare , a seconda del contesto, conseguenze negative o positive. L'influenza sociale quindi è un processo psicologico tramite il quale il nostro pensiero, comportamento è influenzato dalla presenza reale, virtuale o implicita di altre persone. In questo ambito i processi psicologici sono molto più forti dei processi cognitivi. L'influenza sociale: le norme In quanto membro di un determinato gruppo comprendo e condivido con i miei compagni delle regole condivise (Ie norme). Le norme ci orientano rispetto al modo in cui dobbiamo comportarci in quel gruppo di appartenenza, la violazione di queste può comportare delle conseguenze spiacevoli come delle sanzioni (ad es. una multa). Sono importanti perché mi permettono di capire quali comportamenti sono opportuni in quel contesto. Le norme sono diverse: solitamente si distinguono norme più evidenti (sono esplicite) da quelle implicite, chiamate anche norme sociali (non sono esplicite). Possono essere anche rigide o restrittive perché prevendono solitamente una sanzione, oppure più flessibili e meno restrittive (perché socialmente accettate). Le norme ci servono per due motivi principali: 1. Riducono l'incertezza in relazione al modo in cui mi devo comportare , mi guidano dunque nell'incertezza e 2. Mi permettono di prevedere il comportamento dell'altro. Le norme inoltre, all'interno del gruppo sociale, lo definiscono e lo differenziano dall'altro. Se queste regole sono condivise dalla maggior parte dei membri è più facile che il gruppo sia stabile e uniforme, anche nel raggiungimento degli obiettivi. Le norme nascono con l'interazione sociale, l'individuo apprende un innumerevole numero di regole dal contesto sociale, culturale e ambientale di appartenenza. Per capire meglio come nascano effettivamente le norme sociali è possibile fare riferimento all'esperimento condotto da Sherif (1936) il quale si basava sull'effetto autocinetico, un tipo di illusione ottica per cui in un luogo molto buio una piccola luce sembra muoversi in ogni direzione. I soggetti selezionati venivano condotti in una stanza buia dove veniva proiettato un puntino luminoso, i partecipanti erano tenuti a stimare il movimento del punto (da 0 a 20 cm). Nella fase 1 dell'esperimento i partecipanti stimavano. il movimento del puntino da soli, nella fase 2 invece venivano raggruppati in gruppi composti da due/tre persone e dovevano concordare il movimento del punto insieme per tre sessioni consecutive. Tutto questo veniva svolto attraverso la presenza di due condizioni sperimentali: prima da soli (fase 1) e poi in gruppo (fase 2) oppure prima in gruppo e poi successivamente da soli. Risultati: Nella prima fase (ogni partecipante è solo nella stanza), i giudizi sono molto diversi; il range delle risposte va da 2 cm a circa 20 cm. Durante le sessioni di gruppo, i giudizi dei partecipanti tendono a convergere rapidamente: nasce una norma di gruppo. L'influenza sociale: il conformismo Asch, partendo dallo studio di Sherif, ricostruì l'esperimento sulla influenza sociale in chiave più semplice. Vennero coinvolti degli studenti in un compito di discriminazione visiva con delle linee. Which line is the same length? Dovevano individuare quale linea fosse la più smile tra A, Be C. Una divergenza in termini di idee e pensieri da parte di un solo membro potrebbe comportare lo scioglimento del gruppo (il cosiddetto membro deviante). L'influenza sociale: obbedienza all'autorità L'influenza sociale e l'adeguamento alle norme può essere di natura orizzontale quando prevedono delle norme stabilite tra pari, oppure verticale. Nel caso dell'obbedienza all'autorità, diversamente da quanto visto precedentemente attraverso l'influenza normativa ed informativa, è una forma di influenza sociale di tipo verticale perché proviene da una persona o da un gruppo che detiene un potere, quindi vi è un adeguamento alle norme sociali impartite da un figura autorevole. Sono processi questi molto diversi dai precedenti che possono portare a conseguenze relativamente negative, giocano un ruolo importante anche sulla psiche delle persone che mettono in atto dei comportamenti immorali. Infatti è comune utilizzare questa forma di influenza come una specie di giustificazione circa quel determinato comportamento negativo, dislocando così la responsabilità da determinate azioni. L'obbedienza è una forma adattiva e funzionale molto importante perché siamo abituati sin dalla nascita ad obbedire a determinate norme imposte , ad esempio, dalle figure educative a cui facciamo riferimento, come i nostri genitori o gli insegnanti. Esperimento di Milgram (1963) + Milgram, affascinato dagli studi di Asch sul conformismo ed influenzato dal contesto della guerra, volle ampliare la conoscenza relativa all'influenza sociale ma in una chiave più realista e strettamente legata al fenomeno della obbedienza, tematica molto importante per lo stesso psicologo. I soggetti scelti per la ricerca venivano ‘’ingannati’’ con un compenso in denaro che veniva ceduto loro appena arrivati in laboratorio, inoltre la ricerca veniva presentata come uno studio innovativo mirato a trovare nuovi sistemi per migliorare l'apprendimento mediante l'uso di punizioni. Erano maschi di varia estrazione sociale, di età compresa tra i 20 ed i 50 anni e ‘“’normali’’ (inteso come persone con nessun problema mentale e dalla fedina penale pulita). Una volta in laboratorio i partecipanti vestivano il ruolo di ‘insegnante’’ e avevano il compito di leggere in sequenza una serie di parole per verificare le capacità mnemoniche dell'allievo, che altro non era che un confederato dello sperimentatore. L'insegnante, ignaro di tutto, non aveva la possibilità di vedere lo studente perché posti entrambi in stanze diverse, l’unico modo di interazione era la presenza del microfono. Questo finto studio prevedeva di somministrare un rinforzo verbale positivo per ogni risposta corretta o delle scosse elettrice (erano finte) ogni qualvolta lo studente sbagliasse, più sbagliava più l'intensità delle scosse aumentava. Lo sperimentatore, in questo caso specifico, rappresenta la figura autoritaria mentre il partecipante (l'insegnante) rappresenta la figura sottostante. Risultati: Si è stimato che il 60 percento dei partecipanti ha portato a termine l'esperimento con successo, mentre il 40 percento degli individui ha abbandonato l'esperimento. I partecipanti mettevano in atto dei comportamenti aggressivi semplicemente perché veniva ordinato loro di farlo. In uno studio cross culturale i risultati ottenuti, con la medesima procedura, hanno rilevato risultati simili. Negli studi successivi ci sono state diverse manipolazioni sperimentali che hanno permesso di individuare diversi fattori che influenzano l'obbedienza all'autorità: 1. La vicinanza con la vittima: maggiore è la vicinanza del partecipante con la vittima, maggiore è la probabilità che diminuisca la volontà di obbedire all'autorità; 2.La vicinanza con lo sperimentatore: Tanto più lo sperimentatore è vicino, tanto più l'obbedienza all’ autorità si manifesta. AI contrario, quando lo sperimentatore è lontano (si trova in un'altra stanza ad esempio), l'obbedienza diminuisce. 3. La legittimità dell'autorità: La percezione della figura autoritaria influisce sul fenomeno dell'obbedienza: parliamo di alta legittimità quando l'autorità esercita una forte pressione percettiva sul partecipante perché costituito da caratteristiche facilmente associabili ad una persona che rappresenta il ‘’potere’’ (in questo caso l'età o la presenza di un camice bianco), quando la percezione è tale è molto probabile che i partecipanti portino a termine l'esperimento. La bassa legittimità, quindi una bassa percezione di quella che dovrebbe essere la figura autoritaria (ad esempio una persona giovane oppure uno studente), comporta una diminuzione dell'obbedienza all'autorità. 4. Presenza di altri attori sociali: la presenza di altri individui, in questo caso complici dello sperimentatore, influisce sul fattore dell'obbedienza. Se gli ‘’attori’’ sono obbedienti circa la messa in atto di determinati comportamenti negativi, allora l'individuo sarà maggiormente portato a concludere l'esperimento. L'effetto spettatore - The bystander effect (cap 8) I risultati mostrano che l'85% dei partecipanti che sanno di essere l'unico interlocutore della vittima cercano aiuto in modo tempestivo (prima che la vittima smetta di parlare), mentre nel caso in cui la discussione avviene in gruppo solo il 31% dei soggetti interviene per chiedere supporto. La vittima ha quindi maggior probabilità di essere aiutata quando a essere presenti sono una o due persone, mentre questa probabilità cala quando ad assistere sono, ad esempio, in cinque. A 45 secondi dall'inizio della simulata crisi epilettica, la probabilità che intervenga l’unico interlocutore presente è del 50%, mentre se gli interlocutori sono cinque la probabilità si azzera. La disattivazione delle norme sociali: il cyberbullismo Anche il cyberbullismo, ovvero l'utilizzo della rete da parte di un individuo o gruppo di individui per arrecare intenzionalmente danno o diffamare altri individui, gioca un ruolo importante nella manifestazione del bystander effect. La mancanza della presenza fisica e l'anonimato degli altri (che sia il bullo o altri spettatori) promuove la non consapevolezza di quante persone effettivamente stanno osservando la ‘’scena’’, soprattutto nei social media (Facebook, Instagram ecc.) dove possiamo parlare di numeri abbastanza importanti di persone. Il cybebullismo ha diverse forme, ognuna delle quali può portare a gravi conseguenze psicologiche nella vittima: 1. Harassment: Messaggi/post offensivi e denigranti verso un altro individuo attraverso social media o messaggi privati; 2. Bannare: Esclusione intenzionale di un individuo da un social network virtuale; 3. Outing o trickery: Diffusione nei social di materiale riservato condiviso inizialmente in forma confidenziale dalla vittima. Il bystander effect nei contesti online diventa ancor più probabile rispetto ai contesti faccia a faccia. L'influenza sociale della minoranza (cap 4) In linea teorica una minoranza all'interno di un gruppo non ha un potere, una rilevanza numerica e una importanza tale da riuscire ad influenzare il resto del gruppo, tuttavia esempi storici o attuali mostrano invece il contrario. Singoli individui, all'interno di un gruppo, riescono a cambiare profondamente le opinioni della maggioranza. Un esempio attuale di minoranza potrebbe essere il ‘’friday for future’ che ha lo scopo di sensibilizzare le persone circa la salvaguardia del pianeta terra oppure un altro esempio meno recente potrebbe essere quello delle suffragiste, donne appartenenti al movimento di emancipazione femminile nato per ottenere il diritto di voto per le donne durante il 1800. Sono questi alcuni esempi di minoranze che hanno influenzato un'ampia gamma di persone su diverse tematiche importanti comportando un cambiamento più o meno radicale nel pensiero di gran parte della gente. Con il termine minoranza non si intende principalmente una minoranza in termini numerici, ma in termini di disparita di potere ma soprattutto di diritti. Una delle figure più rilevanti nel campo della psicologia sociale europea, che si è interessato nello studio della minoranza nell'ambito psicologico, è stato Serge Moscovici. Nel suo libro Psicologia delle minoranze attive (1976), critica fortemente come la ricerca e lo studio della psicologia sociale si sia spinta in un'unica direzione adattandosi al pensiero comune circa la tendenza degli individui a conformarsi sempre alla maggioranza. In realtà non è così, la presenza delle minoranze produce sempre un cambiamento. Se così non fosse la società in cui viviamo sarebbe cristallizzata, senza alcuna spinta di cambiamento. I processi di influenza sociale che partono dalle minoranze non sono solo dei processi qualitativamente diversi da quelli prodotti dalla maggioranza, ma sono anche processi molto più complicati (perché richiedono tempo) che inizialmente prevedono una divergenza di pensiero tra minoranza e maggioranza che può o meno comportare un cambiamento. Possibili conseguenze relative a questa divergenza possono essere: 1. Escludendo: la minoranza viene socialmente esclusa perché considerata deviante; 2. Conformandosi: la maggioranza può persuadere la minoranza ad adottare il loro punto di vista; 3. Mediando: si raggiunge un compromesso che porta alla convergenza di opinioni; 4. Cambiando ed innovando: la conclusione che determina un effettivo successo da parte della minoranza. Quest'ultima riesce a persuadere la maggioranza fino a raggiungere un cambiamento sociale, spesso associata ad una accentuazione del conflitto. Per quanto riguarda il punto (4) per produrre cambiamento la minoranza non deve essere solo attiva o organizzata, deve essere soprattutto coerente. Tutti i membri appartenenti alla minoranza devono convintamente credere nella stessa idea e comportarsi coerentemente. Altre distinzioni derivano invece da Anderson e Bushman (2002) che distinguono il costrutto dell'aggressività con quello della violenza: la prima si riferisce ad un comportamento intenzionale rivolto verso un altro individuo con lo scopo di provocare dolore fisico o psicologico, la violenza invece è una forma di aggressività che ha come obiettivo quello di provocare un dolore estremo alla vittima. A tal proposito tutte le forme di violenza sono aggressive, ma non è detto che tutti i comportamenti aggressivi siano violenti. Un dibattito secolare all'interno della comunità scientifica ha a che fare con la questione se considerare l'aggressività come un fattore innato e quindi inevitabile, oppure se sia più consono attribuire l'aggressività dell'uomo al contesto sociale in cui è esposto. Nel primo caso, basti osservare la teoria psicodinamica di Freud o le teorie evoluzionistiche di Lorenz, nei quali parliamo di una prospettiva più innatista. Freud (1920) affermava che fin dalla nascita gli esseri umani possiedono un istinto innato verso la morte e l’'annientamento (Thanatos) che li porta a compiere azioni aggressive. L’istinto aggressivo necessita di una valvola di sfogo. La società e le norme sociali giocano un ruolo fondamentale per contenere questo istinto e nel trasformarlo in comportamenti “non distruttivi”. Lorenz invece affermava che l'aggressività è un fattore strettamente innato perché è alla base dell'evoluzione, i comportamenti aggressivi sono funzionali alla sopravvivenza individuale ed al mantenimento della specie. Queste però sono teorie piuttosto sembpliciste e difficilmente verificabili a livello empirico, senza considerare il fatto che talvolta l'uomo mette in atto dei comportamenti aggressivi difficilmente spiegabili dalla teoria evoluzionista (ad es. femminicidio). La prospettiva della psicologia sociale, invece, ritiene che l'aggressività sia un fattore legato al contesto sociale in cui l'uomo è esposto, però prendendo in considerazione quelle caratteristiche individuali (innate) che promuovono o meno la presenza di comportamenti aggressivi. Infatti, l'aggressività se in parte ereditata , è il contesto sociale ad influenzare la comparsa o meno di quel comportamento aggressivo. Secondo Berkowitz sono la cultura e la comunità di appartenenza ad influire sulla manifestazione della aggressività: a prova di questo, nelle differenze cross culturali, Ie comunità più civilizzate sono molto più aggressive di quelle primitive, inoltre cambiamenti all'interno di una stessa’ comunità possono . influire sull'aggressività. Quindi l'aggressività ha origine multifattoriale, i fattori che influenzano l'aggressività sono: 1. Fattori biologici: quello che è stato verificato nella sfera biologica si ritrova alla base della amigdala, struttura mesencefalica importante nella regolazione delle emozioni. Sebbene l’espressione del comportamento aggressivo sia dato da fattori sociali, attraverso meccanismi empiricamente provati, una stimolazione di questa struttura aumenta l'aggressività mentre l’inibizione produce effetti contrari. Altri fattori biologici, ma più contestualizzabili nella differenza di genere, vedono un aumento del testosterone come causa di un aumento della aggressività. Maschi più aggressivi > donne; 2. Ambiente fisico: correlazione tra un ambiente fisico sfavorevole associato ad un aumento dell’aggressività. a. Heat effect (Carlsmith e Anderson, 1979): aumento della temperatura = aumento dell'aggressività; b. Cold effect: risultati simili ma con temperature basse. Spiegazione che può essere associata ad una aggressività ostile, ma non strumentale; 3. Differenze individuali: il genere della persona sembrerebbe essere associato all'aggressività, sebbene i maschi siano generalmente visti come più aggressivi rispetto alle donne sembrerebbero esserci delle differenze di genere che rimandano a due tipi di aggressività più associabili all'uno a discapito dell'altro: l'aggressività fisica è più associato agli uomini, l'aggressività indiretta (o psicologica) viene invece accostata alle donne. Altre differenze individuali sono l'autostima (alta = maggiore aggressività) ed il narcisismo. Quest'ultimo aspetto è stato studiato sia nell'ambito della psicologia della personalità, sia dalla psicologia sociale. Persone con alto narcisismo sono più sensibili alla messa in discussione della loro immagine, quando percepiscono che qualcuno minaccia la loro immagine sono più propensi alla messa in atto di comportamenti aggressivi mirati esclusivamente al target. L'assunzione di alcol, invece, sembrerebbe associato ad un aumento della aggressività perché questo comporta una disinibizione totale delle persone. > i partecipanti venivano divisi in due gruppi: nella condizione sperimentale veniva dato loro dell'alcol mentre nella condizione di controllo vi era l'assunzione di un placebo da parte dei partecipanti. Tutti i partecipanti dovevano competere con un'altra persona, complice dello sperimentatore, su un gioco. Per ogni prova il vincente avrebbe dovuto somministrare una scossa (l'intensità veniva scelta dal vincitore) al perdente. Per tutti i partecipanti e in tutte le prove, un'altra persona (complice dello sperimentatore) poteva incitare il partecipante a infliggere una forte scarica, seguendo un ordine preciso: «* Prima fase: nessun incitamento; «* Seconda fase: incitamento lieve; «» Terza fase: forte influenza; trova il soggetto, contribuisce ad un aumento del numero di scosse somministrate al complice. 3. La teoria della deprivazione relativa (Crosby,1976) > Rappresenta anch'essa uno sviluppo della teoria della frustrazione-aggressività. Secondo questa teoria la frustrazione rappresenta non uno stato oggettivo dell'individuo, non si limita a una deprivazione di bisogni più o meno primari, ma è uno stato soggettivo. Lo stato di frustrazione, ad esempio, può derivare da un confronto che facciamo con gli altri, oppure nei confronti di noi stessi del passato. 4. La teoria dell’apprendimento sociale (Bandura,1973) > l'osservazione del comportamento diretto o indiretto dell'altro favorisce il processo di apprendimento (rappresentazione mentale) che mi spinge ad assimilare e mettere in atto quel comportamento. L'aggressività è un modello che, similmente agli altri, può essere appreso. L'esperimento del pupazzo Bobo (1961), uno degli studi più famosi di Bandura, è stato utile per dimostrare come il comportamento aggressivo dei bambini può essere modellato, appreso per imitazione. I partecipanti, bambini di età prescolare e scolare, venivano randomizzati in tre gruppi distinti: 1. Condizione sperimentale (condizione modello aggressivo): i bambini giocano all'interno di una stanza in presenza di un complice che si dimostrava aggressivo nei confronti di Bobo; 2. Condizione sperimentale (condizione modello pacifico): |l complice giocava con le costruzioni di legno, senza mostrare alcun comportamento aggressivo; 3. Condizione di controllo: il bambino veniva lasciato da solo a giocare nella stanza, senza alcun complice. comprende tutti i fattori individuali e differenze . . . sociali che possono influenzare il 1. Fattori prossimali [9] individuali ituazione/ambientel comportamento aggressivo. —| emozioni ‘comprende i processi che stato interno definiscono lo stato interno coi A soi . sa . citoni risposte dell'individuo.Sono i possibili percorsi 2. Processi interni ‘<—>| OO cosnitve attraverso i quali le variabili di input (fattori p g J prossimali) influenzano la valutazione ad agire o meno successivamente. 7 [comportamento riguarda le conseguenze e il A P Re comportamento aggressivo vero e proprio.) 3. Conseguenze \——_-| 39 Risultati: i bambini assegnati alla prima condizione sperimentale (condizione modello aggressivo) non solo erano più inclini a mettere in atto comportamenti aggressivi, ma ne sviluppavano dei nuovi. L'aggressività: una visione di insieme Il General aggression model (Anderson & Bushman, 2002) è una teoria che riassume tutte le teorie analizzate precedentemente in un unico modello. Secondo questi due autori il comportamento aggressivo umano si può struttura in tre fasi. *Aggressività: mass media Un tema fortemente studiato nell'ambito della psicologia sociale è l'aggressività nei contesti dei mass media. Innumerevoli osservazioni empiriche, condotte dagli anni '80 in poi , hanno mostrato un relazione causale tra aggressività e l'esposizione a contenuti violenti. Il meccanismo psicologico principale che sembra spiegare questa relazione è la desensibilizzazione, l'esposizione a contenuti violenti provoca un distacco dalla realtà quindi l'individuo non fa differenza tra il contesto reale o virtuale nell'attuare comportamenti aggressivi. Ci sono però alcuni confini da tenere in considerazione: questi sono fenomeni studiati nel breve termine, quindi non è possibile verificare se questi effetti (legati ad una interiorizzazione del comportamento aggressivo dopo l'esposizione al videogioco) siano duraturi nel tempo all'interno del contesto reale. Un altro aspetto poco chiaro da tenere in considerazione rimanda alle differenze individuali come uno dei possibili fattori dell'aggressività. Aggressività: esposizione di contenuti violenti nei videogiochi Nel contesto italiano il 57 % delle persone tra i 17 ed i 64 anni sono videogiocatori (AESVI, 2017). Un altro aspetto interessante è relativo all'aumento delle donne gamers (il 48 % della popolazione femminile sono delle videogiocatrici). Un uso eccessivo dei videogiochi, ma in generale della tecnologia (smartphone ecc) può diventare una vera e propria patologia. Con videogame addiction ( OMS, 2018) si intende un uso compulsivo e smodato dei videogiochi con conseguenze psicosociali più o meno gravi nell’individuo. Nello specifico, da un punto di vista psicosociale, ci si è interrogati se l'utilizzo di videogames violenti può promuovere degli atteggiamenti aggressivi nel singolo individuo. Con videogames violento si intende un qualsiasi videogioco che permette di mettere in atto dei comportamenti violenti verso immagini di essere umani. Sono largamente presenti sul mercato, il 75% dei videogames presenta contenuti violenti e sono inoltre quelli più venduti, soprattutto nella fascia adolescenziale. Un altro aspetto interessante e psicologico è che il comportamento aggressivo all'interno del videogioco è ricompensato positivamente, ad esempio, per avanzare nel gioco, è necessario che io attui un comportamento violento. I partecipanti coinvolti nell'esperimento erano 172 studenti italiani di diverse scuole superiori con una età compresa tra i 16 ed i 19 anni che venivano assegnati casualmente a due condizioni sperimentali: nella condizione sperimentale vera e propria gli studenti giocavano individualmente per una mezz'ora a GTA, nella condizione di controllo, invece, gli studenti erano intrattenuti con un gioco ‘’neutro’’. La variabile dipendente veniva misurata in termini statistici in relazione alla messa in atto di determinati comportamenti aggressivi e immorali e alla perdita dell'autocontrollo da parte del soggetto in seguito all'esposizione del videogioco violento. A fine sessione il comportamento aggressivo veniva studiato attraverso il Noise blast task, ai partecipanti veniva fatto credere di essere in competizione con un altro individuo e che il vincitore avrebbe potuto somministrare all'altro un tipo di rumore fastidioso di intensità variabile: il comportamento aggressivo veniva misurato in termini di intensità e durata del rumore somministrato al ‘’perdente’’. Per quanto riguarda il comportamento immorale venivano presentati agli studenti dei compiti logici abbastanza ardui che dovevano risolvere per un periodo di tempo relativamente breve; per ogni quiz risolto in palio c'era un biglietto della lotteria per accaparrarsi un IPad. Più biglietti uno studente possedeva più la possibilità di prendere l’IPad aumentava. AI termine della risoluzione dei quiz gli sperimentatori si affidavano agli studenti chiedendo loro di fornire il numero esatto di quiz risolti che veniva associato ad un numero preciso di biglietti della lotteria. L'idea di cheating era data dalla differenza tra quanti quiz avevano effettivamente risolto e quanto loro riferivano di averne svolti. Durante la sessione sperimentale di gioco, per studiare la perdita di autocontrollo, gli studenti avevano accanto a loro una bacinella con dei cioccolatini. L'idea alla base di questa procedura sperimentale è che il consumo eccessivo di questo cibo fosse in relazione con una perdita di autocontrollo. Aggressività: esclusione sociale cap 9 sezione 1-2 Con esclusione sociale si intente quella esperienza di essere tenuti separati dagli altri dal punto di vista emotivo/fisico. Un ambiente caratterizzato da esclusione sociale e rifiuto può comportare delle conseguenze aggressive più o meno gravi, nel caso della strage di Columbine, ad esempio, l'esclusione sociale da parte della comunità nei confronti dei carnefici ha portato ad un massacro che è costata la vita a diverse persone. L'esclusione sociale può essere di due tipi: 1. Ostracizzato: l’ostracismo è la percezione di essere ignorati dagli altri senza un tipo di rifiuto esplicito. Forma velata di esclusione sociale, sembra che sia un importante antecedente di comportamenti aggressivi di una certa gravità; 2. Rifiuto sociale: atti espliciti diretti verso l'individuo volti a comunicare che la presenza di questa persona non è desiderata. II perché l'esclusione sociale comporti una serie di emozioni negative, come l'aggressività e non solo, può essere riconducibile ad una questione evolutiva. Il bisogno di appartenenza è tra i bisogni fondamentali di ciascun essere umano (come si può osservare nella piramide dei bisogni fondamentali di Maslow): è universale, ci accompagna per tutta l’esistenza ( con picchi durante il periodo adolescenziale), e consente l’accesso alla soddisfazione di tutti gli altri bisogni e desideri, sia psichici che fisici. Il ‘’dolore’’ sociale (la perdita di qualcuno o l'esclusione sociale) e il dolore fisico sono parzialmente collegati ad aree celebrali specifiche (corteccia prefrontale e cingolare). Quando questo bisogno di inclusione non viene soddisfatto, quindi, può promuovere diversi processi (non sono gli unici) legati all'aggressività. Sono questi, comportamenti più o meno aggressivi, rivolti esclusivamente verso la fonte di ‘’dolore’’. L'esclusione sociale, in particolare l’ostracismo, è stata studiato in laboratorio da William, attraverso il cyberball paradigma (William, 2000) > Cyberball è semplice nel design e facile da giocare (è sufficiente fare clic su un altro giocatore per passare la palla). In un primo momento, il gioco agisce normalmente, con il partecipante e i due giocatori virtuali che si passano la palla tra di loro. Ad un certo punto la situazione cambia. | due giocatori virtuali smettono di passare la palla al partecipante e continuano a passarsi la palla tra di loro, come una squadra. Il partecipante è stato escluso dal gioco. Cyberball potrebbe sembrare uno strumento semplice e banale, in realtà ha reso riproducibile in laboratorio il rifiuto sociale, permettendo agli studiosi di occuparsi di fenomeni come il cyber- bullismo (una minaccia recente che si verifica sul web) e la sofferenza in amore (dovuta a rifiuto del partner). Gli studi hanno monitorato le reazioni dei partecipanti esclusi attraverso le tecniche di mapping cerebrale. Aggressività: deindividuazione Secondo Le Bon la deindividuazione è quel processo tramite cui le persone perdono il proprio senso di identità. (positivo o negativo) ci permette di sviluppare e modificare la consapevolezza del sé. Il sé sociale viene ripreso dall'interazionismo simbolico (Mead, 1934) + Il sé non è presente alla nascita dell'individuo poiché il neonato è privo di consapevolezza individuale e quindi, affinché questo si sviluppi, è necessario un qualsiasi tipo di interazione sociale. Il sé nasce con l'interazione sociale ed è suscettibile a variazioni nel corso del tempo; il sé riflette la società in cui viviamo e la cultura a cui apparteniamo (siamo socialmente costruiti), a prova di questo esistono delle evidenti differenze cross-culturali. Il modo in cui giudichiamo noi stessi è intimamente connesso al modo in cui ci giudicano gli altri (sé riflesso). Le funzioni del sé sono: 1. L'agenticità del sé: idea di noi stessi come presenze attive nella presa di decisioni, nella consapevolezza della nostra autoefficacia e del proprio controllo. Racchiude tutte le funzioni esplicative; 2. Sé interpersonale: attributi che usiamo per autoaffermarci verso l'esterno (ad es., i gruppi cui apparteniamo, il nostro status, la nostra occupazione, la nostra situazione sentimentale); 3. Autoconoscenza e l’autoconsapevolezza: rapporto intrapersonale circa le informazioni che riguardano unicamente noi stessi e che attribuiamo a noi stessi (ad es., i nostri tratti di personalità, il nostro aspetto fisico, ciò che ci piace/non ci piace, ciò che ci far star bene/male). L'autoconsapevolezza invece, è quella particolare concezione del sé, dove il sé diventa oggetto dei nostri pensieri. L'attenzione non è sempre rivolta in modo attiva verso il sé, anzi il più delle volte la focalizzazione è rivolta verso l'esterno. Ci sono però, particolari situazioni, dove l'autoconsapevolezza si accentua notevolmente, come il semplice guardarsi allo specchio o sentire la propria voce. Può portare a due conseguenze: nel primo caso incentiva il confronto del sé attuale (il modo in cui ci percepiamo in questo preciso momento, nel presente) con il sé condiviso ( definito dagli standard e dai valori condivisi dalla società cui si appartiene, come gli altri vogliono che io sia). Nel secondo caso incentiva il confronto del sé attuale e quello ideale (quello che voi vorremmo essere). Nella maggior parte dei casi il sé attuale è percepito inferiore rispetto a quello ideale = nascita di emozioni negative. Esperimento di Hull e Young (1938) > uno studio sul confronto tra il sé attuale e quello ideale ha coinvolto degli studenti universitari dove l’autoconsapevolezza veniva studiata come variabile di tratto e non di stato ( ad es. come potrebbe essere attraverso la presenza di uno specchio) e misurata attraverso una scala di misura self report (questionario composto da items specifici). Esempio di domanda: Quante volte rifletti su te stesso? (mai- molto spesso). Questa scala ha il vantaggio di essere economica e veloce su un campione ampio di persone, rendendo fattibile lo studio con tutti i limiti del caso. A seconda delle risposte che davano in questa scala gli studenti venivano divisi in: persone con alta autoconsapevolezza e persone con bassa autoconsapevolezza. In una seconda fase, totalmente slegata dalla fase precedente, tutti i partecipanti venivano sottoposti ad un test intellettivo e successivamente venivano comunicati loro dei risultati fittizi. A seconda della condizione sperimentale, una metà del primo gruppo di partecipanti otteneva un feedback positivo e l'altra metà del secondo gruppo un feedback negativo. Una terza fase, anch'essa totalmente slegata dalle precedenti, i partecipanti assaggiavano dei vini. La variabile dipendente era quanto vino bevevano in questo compito di assaggio. Risultati: Nei partecipanti con alta autoconsapevolezza è più saliente il confronto tra il sé attuale e il sé ideale. Un fallimento allontana ancor più il sé ideale dal sé attuale. Aumentano le emozioni negative: l'alcool attenua le emozioni negative. Studi sulla consapevolezza: Esperimento di Beamen e colleghi (1979) + bambini divisi in due gruppi sperimentali: nel primo gruppo sperimentale i bambini venivano posti davanti ad uno specchio con delle caramelle vicino, nel gruppo di controllo invece non c'era la presenza dello specchio. Successivamente ai bambini veniva chiesto che avrebbero potuto prendere una singola caramella, dopo di che gli sperimentatori lasciavano la stanza. La presenza dello specchio aumenta la consapevolezza dei bambini, di conseguenza se i bambini del primo gruppo non trasgredivano le regole quelli del gruppo di controllo prendevano più di una caramella. Secondo Higgins (1987), il sé è strutturato in diversi schemi: 1. Sé reale: come realmente siamo; 2. Sé ideale: come vorremmo essere (motiva verso il successo, sistema di promozionel); 3. Sé normativo o condiviso: Come pensiamo che dovremmo essere (motiva ad evitare il fallimento, sistema di prevenzionel). La discrepanza tra il sé reale e quello normativo o tra il sé reale e quello ideale produce emozioni negative (Teoria della discrepanza del sé, Higgins). Ad esempio: se reale — bugiardo # se normativo — onesto mentre un comportamento negativo viene ‘’giustificato’’ attraverso cause esterne (gli altri); 3. Strategia autolesiva: quando prevedo un fallimento tendo a ricorrere ad impedimenti esterni per spiegare e giustificare prestazioni mediocri o fallimenti. Gli atteggiamenti cap 5 La parola atteggiamento deriva dal latino aptus che significa adatto e pronto all'azione. Nel senso comune atteggiamento e comportamento vengono usati come sinonimi, in realtà non è così e nell'ambito psicologico atteggiamento # comportamento. II comportamento è la conseguenza di un atteggiamento, è l'azione che mettiamo in atto ORA. L'atteggiamento precede l’azione, quindi la messa in atto del comportamento. Esistono diverse definizioni di atteggiamento, quella più accreditata definisce l'atteggiamento come un giudizio positivo o negativo verso qualsiasi cosa: una persona, un oggetto, concetti astratti, abitudini, gruppi sociali... Affinché si parli di atteggiamento questo deve essere relativamente stabile nel tempo (nulla toglie a possibili variazioni), devono avere un certo grado di generabilità e astrazione che non può essere riconducibile ad un singolo evento. Sono caratterizzati da una unica direzione ( atteggiamento positivo o negativo) e da una intensità ( lieve, moderato o estremo). Secondo Allport (1935), grazie all'atteggiamento è possibile prevedere il comportamento dell'individuo: in realtà non è sempre così, sono processi molto più complicati di quello che si crede. ABC degli atteggiamenti: L'atteggiamento, secondo Rosenberg e Hovland (1960) è strutturata secondo un modello tripartito , costituto da tre diversi elementi: cognizione ( tutte le credenze ed informazioni raccolte attraverso l’esperienza diretta o indiretta verso il target a cui è rivolto un atteggiamento), componente affettiva (le emozioni associate al target d'atteggiamento) e componente comportamentale (la nostra tendenza all’azione, NON E’ IL COMPORTAMENTO). La cognizione + l’affettività possono produrre l’intenzionalità comportamentale — comportamento (non sempre). L'atteggiamento può però essere influenzato anche da una sola delle tre componenti , oppure può manifestarsi anche se le tre componenti non sono coerenti tra loro ( ad esempio se la componente cognitiva è negativa e la componente affettiva è positiva). L'atteggiamento ha due diverse funzioni: una funziona auto affermativa (servono per esprimere e affermare il proprio sé e la propria identità attraverso il nostro atteggiamento valutativo verso l'esterno — agenticità del sé) e una funzione utilitaristica ( come gli stereotipi ci permettono di economizzare le nostre risorse cognitive: se noi abbiamo già una idea circa il focus d'atteggiamento, che sia un oggetto o un gruppo sociale, non abbiamo bisogno di conoscere quello stimolo partendo da zero perché abbiamo già una conoscenza di base). Gli atteggiamenti si formano attraverso un processo di apprendimento, che avviene attraverso: 1. Esperienza diretta: l'interazione diretta con gli altri influenza il mio atteggiamento valutativo, deriva da diversi meccanismi: condizionamento operante/classico e la PS (Zajone,1968) + esposizione prolungata associata ad un target d'atteggiamento porta ad un rafforzamento positivo verso di esso. A tal proposito Zajone condusse tre diversi studi, simili tra loro, utilizzando 12 stimoli diversi (foto, libri e ideogrammi cinesi) che venivano presentati ai partecipanti, attraverso diversi compiti, per 1, 5, 10 e 25 volte. AI termine di ogni sessione per ogni condizione sperimentale veniva chiesto ai partecipanti di attribuire un giudizio circa il grado di piacevolezza su una scala di misura da la 6. I tre studi riportano risultati molto simili. Il grado di piacevolezza percepita dello stimolo aumenta con l'aumentare della frequenza dell'esposizione, indipendentemente dal tipo di stimolo e dal compito dei partecipanti. Tuttavia, la mera esposizione, si presenta quando non abbiamo conoscenze pregresse su quella cosa. Quando l'esposizione costante aumenta la familiarità con il target in questione, l’effetto si stabilizza e non cresce più; 2. Esperienza indiretta: osservazione atteggiamento altrui (si lega al ‘’modello’’ proposto dalla teoria socio cognitiva di Bandura) 3. Inferenze dal nostro comportamento (Teoria dell’auto- percezione, Bem): Secondo Bem, le persone possono inferire e formare i loro atteggiamenti da ciò che fanno, dai loro comportamenti. Così come noi inferiamo i pensieri e gli atteggiamenti degli altri osservando i loro comportamenti, così possiamo fare con noi stessi. Ad esempio: comportamento: studio poco -— atteggiamento: non mi piace studiare. Ipotesi del feedback facciale: In un classico e famoso esperimento ai partecipanti veniva chiesto di tenere un bastoncino tra i denti (imponendo dunque il movimento dei muscoli attorno alla bocca in forma di sorriso): rispetto ai soggetti di controllo, i partecipanti in questa condizione spiegano come le valutazioni consapevoli dell'individuo lo spingano ad attuare quel determinato comportamento. In particolare, secondo le teorie, tre sono i fattori che prevedono la messa in atto di un comportamento a partire dall'atteggiamento: 1. Norma soggettiva: Altre persone socialmente significative fungono da orientamento rispetto alla cosa giusta da fare, si lega al concetto di norma. Ad esempio: Esprimendo un atteggiamento negativo verso il comportamento nei confronti del fumo, utilizzo gli altri come punto di orientamento nella messa in atto di quel comportamento o meno: tanto più gli altri esprimono atteggiamenti e comportamenti negativi verso il fumo, tanto più è probabile che si instauri una norma soggettiva che va nella direzione del comportamento, smetto di fumare. AI contrario, disinteresse e poca sensibilità da parte degli altri circa i danni provocati dal fumo, possono inibire la norma soggettiva instaurata ed è probabile che non attuo quel comportamento, fumando di conseguenza; 2. Capacità di controllo: grado in cui la persona pensa sia facile o difficile mettere in atto quel comportamento. Se io, attraverso una valutazione interna, penso di avere le giuste risorse che mi permettano o meno di compiere una determinata azione, tanto è più probabile che io lo faccia o non lo faccia; 3. Intenzione comportamentale: L'intenzione comportamentale si lega al secondo punto come relativa conseguenza. Se la mia volontà di mettere in atto quel comportamento è alta, più sarà facile per me agire. Tutti i nostri atteggiamenti possono cambiare; possiamo passare da un giudizio positivo a negativa o viceversa. Alla base del cambiamento dell'atteggiamento deriva: 1. Auto valutazione e introspezione: tentativo di riduzione della 3a 7 2. Fonti esterne. 3Stato psicologico non sempre consapevole che si verifica quando il nostro modo di pensare non è coerente con il nostro comportamento. Ad esempio: se abbiamo un atteggiamento negativo verso il fumo (perché fa male), continuiamo comunque a fumare. Per questo motivo l'uomo tende alla coerenza cognitiva: cerca di ricreare un ambiente coerente tra il modo di pensare ed il modo di agire. Per ripristinare questa tensione psicologica tra atteggiamento e comportamento è possibile mettere in atto diverse strategie: 1. Modificare il comportamento (aspetto non scontato e purtroppo non sempre facile da mettere in atto) oppure, pur di non modificare il comportamento, 2. Modificare l'atteggiamento, 3. Giustificazione dello sforzo (la dissonanza è esperita quando l'individuo, in seguito ad uno sforzo per raggiungere un obbiettivo, raggiunge un risultato modesto. Si verifica il ripristino quando la persona giustifica i suoi sforzi modificando il suo atteggiamento verso l'obiettivo raggiunto, giudicandolo particolarmente piacevole), 4. Obbedienza indotta (si presenta dissonanza quando l'individuo è indotto da fonti esterne a comportarsi in modo inverso al proprio atteggiamento. Si riduce la dissonanza quando, ad esempio, giustifico questa incoerenza attraverso una ‘’ricompensa’’) Vennero coinvolte delle studentesse americane per partecipare ad un gruppo di discussione inerente sulla psicologia sessuale. Prima di poter partecipare, queste venivano sottoposte ad un test preliminare a seconda della condizione sperimentale: nella condizione di sforzo veniva chiesto loro di ripetere ad alta voce una serie di parole volgari legate al sesso, nella condizione di basso sforzo invece le ragazze dovettero ripetere una serie di parole sempre legate al sesso ma di natura non volgare ed infine, nella condizione di controllo, non veniva richiesto nessun test preliminare. Successivamente veniva costruita una discussione appositamente noiosa alla quale le studentesse dovettero partecipare. Alla fine lo sperimentatore (variabile dipendente) chiese a queste ragazze di giudicare la piacevolezza della discussione. Risultati: Le ragazze che avevano compiuto un grande sforzo per entrare nel gruppo riducevano la propria dissonanza cognitiva convincendosi che il gruppo e la discussione erano assolutamente piacevoli. Le ragazze che avevano compiuto uno sforzo minimo o nessun sforzo non avevano l'esigenza di ridurre la propria dissonanza, quindi giudicavano il gruppo come effettivamente era, cioè noioso. Viene chiesto ad un gruppo di studenti americani, esaminati singolarmente, di partecipare per un'ora ad un esperimento basato su prove intrinsecamente assai noiose. Alla fine viene chiesto al soggetto di convincere il partecipante successivo (complice dello sperimentatore) della piacevolezza dell'esperimento. Per tale dichiarazione ad alcuni veniva data una ricompensa da un dollaro, mentre ad altri di venti dollari. Alla fine della prova gli stessi partecipanti venivano intervistati per giudicare la piacevolezza dell'esperimento: quanti avevano ricevuto venti dollari giudicavano il compito assai noioso, ma che valeva la pena mentire per venti dollari. cambiamento più breve, superficiale e più soggetto a influenze. 3. A chi, ovvero il destinatario del messaggio. La fonte persuasiva negli ultimi tempi è cambiata e si è ‘’spostata’’ soprattutto nell'ambito dei social media. Il cosiddetto ‘’influencer’’ è colui che, attraverso i social media ma ancora prima attraverso le aziende con le quali vengono a contatto, sponsorizza un determinato prodotto al fine di ‘’influenzare’’ il pubblico più vasto nell'acquisto e nell'utilizzo. A seconda del loro impatto e della loro ‘’importanza’’ all'interno dei social, possiamo distinguere: L Social broadcaster: Persone con alta notorietà acquisita al di fuori della rete (ad es., star del mondo dello spettacolo, sportivi); Mass_influencer: Persone con forte presenza sui social media e numeroso seguito che sono riconosciuti come esperti in un campo specifico dalle community con cui interagiscono; . Potential _influencer ___(o micro-influencer): Individui potenzialmente influenti per il proprio network di conoscenze, in genere community di piccole dimensioni. I fattori che rendono un influencer particolarmente persuasivo sono: l'autorevolezza della fonte (maggiori likes, condivisioni e seguaci una persona ha, tanto più aumenta la credenza che l'influencer sia autorevole in quell'ambito specifico), la mera frequenza di esposizione a quella fonte di persuasione ed. il conformismo con il bisogno di appartenenza (seguire un mass influencer aumenta il senso di appartenenza degli individui a un particolare gruppo in cui si condividono obiettivi e interessi comuni). *Il pregiudizio cap. III palmonari e cavazza e Brown, psicologia del pregiudizio (2013) Il pregiudizio è un fenomeno pervasivo in qualsiasi contesto sociale passato, presente e futuro. Allport ne ‘’la natura del pregiudizio'' sosteneva che il pregiudizio durasse nel tempo ed è caratteristico in qualsiasi società sebbene il modo di manifestarsi è diverso. Il pregiudizio, nella psicologia sociale, è un atteggiamento negativo verso un individuo che si basa esclusivamente sull'appartenenza di un individuo ad un gruppo sociale. Ad esempio, negli ultimi anni , il livello di pregiudizio verso le minoranze nel contesto europeo è aumentato, soprattutto nel contesto italiano dove la tematica degli immigrati è un tema piuttosto discusso (ricerca condotta nel 2017 che coinvolse 15 paesi europei). Nella storia dell'umanità, le minoranze etniche, linguistiche e religiose (ebrei, musulmani, armeni, rom, neri, ecc.), gli immigrati e, più in generale, gli stranieri hanno ricoperto o ricoprono ancora, purtroppo, questo fittizio e strumentale ruolo di “nemico” da odiare, discriminare, disprezzare, emarginare e, nel peggiore dei casi, cancellare attraverso la conduzione sistematica di crimini di guerra e atti criminali di genocidio o etnocidio. Il pregiudizio può assumere sfaccettature diverse: pregiudizio etnico, sessismo, pregiudizio sessuale, ageismo, verso le persone obese, verso chi è detentore di una disabilità o anche verso i malati mentali. Il pregiudizio etnico, ovvero l'atteggiamento negativo nei confronti di un background culturale diverso da quello di appartenenza, si differenzia dal razzismo in quanto quest'ultimo implica la credenza che un gruppo sia geneticamente superiore ad un altro. Anche il pregiudizio sessuale non è sinonimo di omofobia, entrambe sono atteggiamenti negativi verso il prossimo ma quest'ultimo rientra più nel patologico perché l’'omofobo prova una paura irrazionale verso l'altro a causa della sua sessualità. Gli atteggiamenti e gli stereotipi, sebbene siano due costrutti diversi, hanno dei punti in comune in quanto entrambi sono risposte categoriali (ingroup/outgroup), avvengono a priori (il pregiudizio arriva prima dell'interazione esclusivamente a causa della provenienza del gruppo sociale dell'individuo) e si avvalgono della generalizzazione (particolari attributi vengono applicati a tutti gli individui appartenenti a quel gruppo sociale). E' importante però anche evidenziare gli aspetti che li distinguono: lo stereotipo rientra e si esaurisce nel modello cognitivo, può avere anche una valenza positiva mentre il pregiudizio, essendo un atteggiamento, coinvolge diversi processi (costituita da componente cognitiva, affettiva e comportamentale) e ha una valenza prevalentemente negativa. La discriminazione dunque, è ciò che ne consegue. Non sempre però il pregiudizio si traduce in un comportamento discriminatorio: alla base la discriminazione può essere sanzionabile penalmente e non è socialmente appropriata. Come nasce il pregiudizio? La prima fase dello studio del pregiudizio cercava di studiare quest'ultimo come espressione di particolari caratteristiche di personalità degli individui, nel modello della personalità autoritaria (Adorno, 1950) l'idea alla base è che il pregiudizio sia il risultato di una personalità psicopatologica a causa di una educazione familiare rigida. Più nello specifico, partendo dall'idea che atteggiamenti politici e sociali siano convergenti, Adorno ritiene che la personalità autoritaria presenta diverse caratteristiche che lo rendono particolarmente abile nell'influenzare la manifestazione del pregiudizio nell’individuo. Le persone autoritarie sono persone con credenze rigide, conservatrici, che supportano valori tradizionali, persone che tendono a sostenere o infliggere punizioni severe e hanno atteggiamenti servili verso l'autorità. Questa competizione di tipo razionale e consapevole è alla base della nascita degli stereotipi negativi, pregiudizi e comportamenti discriminatori perché mettere in cattiva luce l’outgroup mi permette di ottenere dei vantaggi dal punto di vista economico e sociale per il mio gruppo. Esperimento ‘’The Robbers Cave Experiment (Sherif, 1953)" : Sherif ha condotto negli Stati Uniti un ormai classico esperimento, chiamato il Robbers Cave Experiment, in un campo estivo per ragazzi, per comprendere in quali condizioni si generi animosità o cooperazione fra i gruppi. Ha coinvolto 22 ragazzini di 11-12 anni, bianchi, protestanti e di classe media, studenti provenienti da diversi istituti di Oklahoma City, ospitati in un campo estivo dell'Oklahoma, il Robbers Cave State Park. Questo esperimento prevedeva tre fasi: Inizialmente, nella prima fase (5-6 giorni), i ragazzi, denominati le Aquile e i Serpenti a sonagli, svolgevano esclusivamente attività (sportive) comuni, come il nuoto e l'escursionismo, ma Sherif e i suoi collaboratori, dopo una settimana, hanno deciso di dividerli, in maniera casuale, in due distinti gruppi. L'obiettivo della separazione era quello di osservare l'evoluzione delle abitudini e delle gerarchie all'interno del singolo gruppo. In effetti, ciascun gruppo si è cominciato a dotare di chiari simboli identificativi e di specifiche norme a cui attenersi nello svolgere una serie di attività. Nella seconda fase dell'esperimento (4-5 giorni), quando i ricercatori hanno iniziato ad assegnare ai due gruppi dei compiti competitivi (ad es., gare sportive in cui il gruppo vincitore si sarebbe aggiudicato un premio), si è assistito al rapido deterioramento delle relazioni intergruppi, che non solo hanno alimentato il livello di ostilità tra i due schieramenti, ma hanno anche favorito la formazione di stereotipi negativi sull'altro gruppo. La più forte solidarietà, coesione e compattezza all’interno di ciascun gruppo era tale che le tensioni e gli atteggiamenti aggressivi intergruppi non cessassero nemmeno al termine delle situazioni competitive. | contatti di un individuo del gruppo 1) con un altro individuo del gruppo 2) non bastavano quindi a risolvere i conflitti. AI contrario, quando nella terza fase (6-7 giorni) — dopo il fallimento della strategia di tornare semplicemente a svolgere attività non competitive, tutti insieme (come assistere a fuochi d'artificio, ecc.) — veniva introdotto uno scopo sovraordinato e di innegabile beneficio per entrambi i gruppi, l'ostilità, la tensione e la violenza strisciante tra i due gruppi sembravano placarsi. I rapporti amichevoli e pacifici della fase iniziale dell'esperimento si raggiunsero solo dopo la ripetuta condivisione di alcune situazioni che richiedevano necessariamente cooperazione, proprio perché un gruppo, da solo, non era in grado di risolvere un dato problema, legato alla difesa di un interesse materiale concreto (cibo, acqua), minato da un nemico esterno ai due gruppi; ad esempio, fu simulato un guasto al furgone che portava i pasti al campo e i membri dei due gruppi furono costretti a spingerlo insieme per garantirsi l'approvvigionamento di cibo. Risultati: Sherif, a conclusione del suddetto esperimento, ha dimostrato che il conflitto di interessi, rappresentato da giochi competitivi dove le risorse da accaparrarsi sono scarse o limitate, sarebbe all'origine del conflitto intergruppi; quest’ultimo aprirebbe la strada all'odio, all’astio, all'aggressività e ai comportamenti antisociali tra gruppi. Gli scopi competitivi conducono dunque al conflitto intergruppi, mentre gli scopi sovraordinati conducono ad una maggiore cooperazione fra i gruppi. In molte circostanze, per aumentare l'orgoglio collettivo e rafforzare l'identità e la coesione sociali, serve quindi identificare un nemico esterno, un capro espiatorio che distragga dalle tensioni interne al gruppo o alla comunità di appartenenza. Tuttavia, un limite relativo a questa teoria, sebbene sia stata molto importante perché si allontana dall'idea classica relativa al fatto che le caratteristiche individuali siano alla base della nascita del pregiudizio, risiede nel fatto che il pregiudizio può nascere anche in assenza di competizione. Quindi la competizione per scarse risorse e l'interdipendenza negativa non è condizione necessaria perché nasca il pregiudizio. Secondo Tajfel, nella teoria dell'identità sociale, particolari caratteristiche individuali o condizioni socio-economiche possono accentuare espressioni di pregiudizio, ma non spiegarne le origini. Nel complesso è una condizione che riguarda tutti gli individui, le origini di questo fenomeno vanno ricercate nei “normali” processi cognitivi (Ia categorizzazione) e motivazionali dell'individuo. Studi di Tajfel sulle conseguenze cognitive della categorizzazione - essa porta a delle distorsioni percettive consistenti in un'accentuazione delle differenze tra gli esemplari che appartengono a categorie diverse (principio di accentuazioni intercategoriale) e in una accentuazione delle somiglianze tra gli esemplari che appartengono alla stessa categoria (principio di assimilazione intracategoriale) + Tuttavia queste di distorsioni non sono abbastanza vicine al concetto di pregiudizio: è necessario perciò affiancare il processo cognitivo della categorizzazione sociale con uno più motivazionale legato alla difesa del proprio Sé. Secondo Tajfel il sé dell’uomo è formato da due dimensioni: 1. Identità personale: comprende tutte le caratteristiche di personalità che percepiamo come nostre e che si manifestano nel momento in cui intratteniamo dei rapporti interpersonali; 2. Identità sociale: quella parte dell'immagine di noi stessi che deriva dalla consapevolezza di appartenere a diversi gruppi sociali. II mantenimento di un'identità sociale positiva gioca un ruolo chiave nella salvaguardia della propria autostima, siamo motivati ad attuare atteggiamenti o comportamenti positivi che ® Prima: “Old-fashioned Racism:” Ora: Pregiudizio modemo: 1. Spontaneo 1. Complesso - 2. Diretto 2. Ambivalente - 3. Superficiale 3. Implicito - 4. Esplicito 4.A volte non - 5.Associato ademozioni “forti:” consapevole rabbia, disprezzo, disgusto 5. Associato ad emozioni “più latenti” : disagio, imbarazzo. Più facile da osservare e misurare Più difficile da osservare e misurare, ma non per questo meno pervasivo Il pregiudizio riluttante (Gortner & Dovidio, 1986) è una forma moderna di pregiudizio che risiede nelle persone NON consapevoli + parte dall'assunzione che il pregiudizio è costituto da una forma esplicita e da una più implicita. L'idea alla base è che persone con pregiudizio riluttante hanno l'idea di non essere portatori di pensieri pregiudiziali e il fatto di associare emozioni pregiudiziali negative con l'immagine del proprio sé diventa riluttante. Il pregiudizio riluttante emerge attraverso: 1. Comportamenti non verbali ed indiretti; 2. Ambiguità normativa, le persone tendono ad utilizzare una giustificazione a determinati comportamenti pregiudiziali. Comportamenti non verbali ed indiretti: Lo studio di Hebl (2002): nel suo studio vennero coinvolti sedici studenti tra maschi e femmine che venivano istruiti al fine di dirigersi per diversi negozi del Texas per chiedere ai negozianti se fossero in cerca di personale. A seconda della condizione sperimentale questi inconsapevolmente indossavano un cappellino con scritto ‘’gay and proud” o ‘’texan and proud”. Le variabili considerate erano diverse, divise per comportamenti espliciti: numero di negozianti che facevano compilare la domanda, numero di negozi che richiamavano gli studenti per accordare un secondo colloquio, ed in comportamenti impliciti: la durata interazionale tra lo studente ed il negoziante, il numero di parole utilizzate ed il grado piacevolezza percepito dallo studente durante la conversazione con il proprietario. Tra tutti i parametri presi in esame l'aspetto più significativo rimanda alla qualità conversazionale: i ragazzi che indossavano il cappellino con scritto ‘’gay and proud’ ritenevano di aver avuto una conversazione poco piacevole rispetto a quelli che avevano il cappellino con scritto ‘’texan and proud”. L'ambiguità normativa: Lo studio di Gartner & Co, 1973 (The Wrong phone calling number technique): i richiedenti aiuto (persone bianche o di colore), complici dello sperimentatore, fanno finta di aver sbagliato numero e con un pretesto chiedono aiuto ai partecipanti inconsapevoli dell'esperimento (persone conservatrici o liberali) affinché chiamassero un meccanico per riparare la macchina perché non avevano più la possibilità di telefonare avendo terminato i gettoni telefonici. La variabile dipendente era la percentuale di persone che effettivamente aiutavano l'automobilista e la percentuale di partecipanti che chiudevano la chiamata. Risultati: | comportamenti d'aiuto venivano attuati nei confronti degli afro americani più dai partecipanti con un orientamento politico liberare piuttosto che conservatore, questi ultimi invece discriminavano molto più dei liberali e aiutavano più i bianchi rispetto agli afro. Il risultato più sorprendente, che valorizza la teoria per cui esistono individui senza apparente pregiudizio che mettono in atto comportamenti ‘’discriminatori’’, è che una percentuale di persone con orientamento liberale interrompeva la chiamata ancora prima di essere certi che fosse richiesto loro aiuto quando l'esponente era un afro americano rispetto che un bianco + la norma di responsabilità sociale non ha avuto modo di attivarsi. Nel caso invece dei conservatori, non vi era alcuna differenza. Stigma: le conseguenze del pregiudizio sulle minoranze La parola stigma viene usata come sinonimo di marchio, segno distintivo, in riferimento alla disapprovazione sociale di alcuni tratti caratteristici salienti o meno di un individuo o di un gruppo sociale (colore della pelle, orientamento sessuale, genere della persona o classe sociale di appartenenza). Le conseguenze individuali legate al fenomeno della stigmatizzazione sono legate al benessere fisico ( una meta analisi su 192 studi di Pascoe e Ritchman ha rilevato come percepirsi costantemente come un bersaglio di pregiudizio ha un impatto sulla salute fisica dell'individuo: aumento dello stress problemi cardiovascolari, cronico stato di ansia), all'autostima (correlazione positiva tra bassi livelli di autostima e l'appartenenza ad una minoranza*), all’ interiorizzazione dell’inferiorità ( vedi esperimento di Clark & Clark, 1947), minaccia dello stereotipo (Steele & Aronson, 1995) e profezia che si autoadempie. Le conseguenze sociali rimandano al glass ceiling effect (una situazione in cui l'avanzamento di carriera di una persona in una organizzazione lavorativa o sociale, o il raggiungimento della parità di diritti, viene impedito per discriminazioni e barriere di prevalente origine razziale o sessuale). A questo proposito, essendo un processo inevitabile, i membri di gruppi stigmatizzati sono capaci di attuare delle strategie di coping che permettono loro di adattarsi all'ambiente sociale attraverso i processi attribuzionali: attribuire la propria posizione di svantaggio a cause esterne ( ad es. sono discriminata perché vivo in una società patriarcale) A fine anno gli sperimentatori riproposero una medesima scala di intelligenza misurando così il QI dei bambini partecipanti: i bambini ‘’prodigio’’ dimostravano un aumento dell'intelligenza, a discapito invece dei bambini ‘’non prodigio’ = profezia che si autoavvera. Un pregiudizio e una credenza stereotipica può creare una realtà che conferma la credenza. La deumanizzazione La deumanizzazione è una forma estrema di pregiudizio dove l'umanità viene completamente negata come nel caso del genocidio ruandese (1994) che, sebbene non abbia coperto una buona fetta mediatica, è stato uno dei peggiori genocidi della storia nonché un esempio perfetto per spiegare tale fenomeno. Le cause del genocidio sono diverse: condizioni socioeconomiche carenti (crescita della popolazione non proporzionale con la possibilità territoriale e la crisi agricola) e l’enfatizzazione, da parte delle politiche coloniali belghe, della differenza etnica tra Hutu e Tutsi (le vittime) + chiamati scarafaggi (deumanizzazione animalista). La deumanizzazione è un processo psicologico che implica che l'altro ( individuo singolo o come gruppo) non goda delle caratteristiche prototipiche dell'umano, quindi privo di qualsiasi umanità. Nasce da un processo di categorizzazione intergruppi, ma che a differenza dello stereotipo e del pregiudizio, durante questo fenomeno i valori morali vengono a meno. Bar-Tal, una delle figure più importanti nell’ambito della deumanizzazione, parla di giustificazione cognitiva durante tale processo: i sentimenti empatici e di valori morali vengono ‘’disattivati’ in quanto la violenza viene giustificata e ‘’normalizzata’’. La deumanizzazione può avere diverse forme: deumanizzazione animalistica (l'altro associato attraverso caratteristiche animali), demonizzazione ( percezione dell'altro come un essere non umano, con caratteristiche sovraumane), deumanizzazione meccanicistica (l'altro associato come un robot, può emergere in contesti lavorati e associato a determinate culture come quelle asiatiche), oggettivazione, biologizzazione ( nel contesto del Covid 19). Deumanizzazione animalistica Durante una ricerca di archivio sulla ‘’difesa della razza’, prendendo come riferimento il contesto storico, è emerso come la deumanizzazione animalistica sia stata veicolata soprattutto da immagini piuttosto che da testi. La deumanizzazione animalistica porta a emozioni quali disgusto, disprezzo verso il target deumanizzato. Le metafore utilizzate sono estremamente funzionali all'immagine che si vuole dare di quel gruppo. Oggettivazione Viene privata la soggettività dell'altro perché percepito come oggetto sfruttabile, ha diverse forme: la schiavitù, l'oggettivazione nel campo lavorativo e in quello sessuale (quest'ultimo maggiormente approfondito nella psicologia sociale). Nel caso della oggettivazione sessuale, questo processo promuove l'auto-oggettivazione, ovvero una continua esposizione a contenuti dove la donna viene oggettificata porta la stessa donna ad autoconvincersi di essere un oggetto del desiderio altrui - grandissima attenzione al proprio aspetto esteriore, visto separatamente da una propria identità e soggettività e continuo e cronico confronto tra il sé attuale e il sé ideale. Lo sguardo esterno oggettivante può comportare diverse conseguenze più o meno gravi: emozioni negative, abbassamento dell’autostima, sintomi depressivi, disfunzioni sessuali, riduzioni delle flow experiences, peggioramento delle prestazioni in determinati compiti che richiedono abilità cognitive (vedi l'esperimento The swimsuit experiment). Come si riduce il pregiudizio: i modelli della psicologia sociale Ipotesi del contatto (Allport, 1954): come ben sappiamo, il pregiudizio è un atteggiamento negativo che si manifesta a priopri verso l'altro, deriva da una mancata conoscenza personale dell'individuo e che si basa esclusivamente sulla consapevolezza che questo appartiene ad un determinato gruppo sociale diverso dal nostro: favorire il contatto tra più persone favorisce la diminuzione del pregiudizio. L'eterogeneità tra due culture diverse, tuttavia, non sempre favorisce il contatto ma anzi, attraverso diverse ricerche, è stato possibile evidenziare come in contesti multietnici ci sia un aumento del pregiudizio etnico da parte della maggioranza bianca nei confronti della minoranza. Di per sé il contatto non garantisce la riduzione del pregiudizio, per essere efficace deve, secondo Allport, rispettare quattro punti fondamentali: 1. Conoscenza _tra membri di gruppi distinti: deve essere qualitativamente costante, un contatto frequente ma superficiale difficiimente porta ad una riduzione del pregiudizio; 2. Status simile: In molti casi il membro che costituisce una minoranza occupa ruoli subordinati, questo tipo di interazione può sì favorire un contatto positivo ma, in questo caso, è molto probabile che ci sia un rinforzo delle credenze stereotipiche; Il contatto porta a una riduzione del pregiudizio soltanto quando avviene fra interagenti che hanno lo stesso status all'interno della situazione di contatto; Quindi, un contatto positivo e frequente con i membri dell'outgroup porta a disconfermare sia stereotipi negativi e a familiarizzare con la cultura e con le modalità interazionali di quel gruppo, di conseguenza: riduzione dell'ansia intergruppi — riduzione del pregiudizio. L'altro meccanismo emotivo che spiega come il contatto positivo riduca il pregiudizio è l'empatia, una risposta emotiva orientata alla comprensione degli altri. Batson distingue due tipologie di empatia: l’empatia cognitiva (aumentata capacità di capire la prospettiva degli altri) e l'empatia affettiva ( risposta affettiva dovuta alla comprensione delle situazione altrui). Un contatto positivo e frequente aumenta le capacità empatiche verso l'altro, diminuendo quindi il pregiudizio. E° il contatto che riduce il pregiudizio o sono le persone con meno pregiudizio a CONTATTO INTERGRUPPI cercare di più il contatto? PREGIUDIZIO Per risolvere questo problema sono stati presentati diversi studi longitudinali: in uno di questi (Levin, Van Laar e Sidanius - 2003), che coinvolse studenti di diversa etnia di un college americano, il pregiudizio degli studenti verso atri gruppi sociali era associato negativamente al numero di amici che appartenevano all'outgroup. Tanto più le persone appartenenti a questi gruppi sociali avevano pregiudizio verso gli outgrup, tanto meno amici avevano appartenenti a questi ultimi — più alti livello di pregiudizio meno contatto intergruppo positivo (meno amici). A loro volta, nel corso dello studio durato quattro anni, notarono che tante più amicizie si instauravano tra membri dell’ingroup e dell'outgroup tanto meno c'era pregiudizio ed ansia derivante dall'interazione tra i membri di gruppo diverso — più alti livelli di contatto positivo tanto meno pregiudizio verso l’outgroup (più amici). Relazione di natura bidirezionale, una non prevale sull'altra. Il problema della generalizzazione Non sempre un contatto positivo nei confronti di un membro appartenente a l'outgroup si traduce in una diminuzione del pregiudizio nei confronti di un determinato gruppo sociale: quando succede si tende a subtipizzare l'individuo dell’outgroup non considerandolo come membro ‘’prototipico’’ di quella categoria: la positività di contatto non viene estesa a tutti i membri di quel gruppo. Tanto più il membro di quel gruppo è percepito come rappresentativo di quel gruppo, tanto più è probabile ci sia la generalizzazione — necessario rimanga saliente nella condizione di contatto la distinzione categoriale tra i membri dei due gruppi. In uno studio gli sperimentatori avevano creato in laboratorio delle situazioni di interazione di natura positiva tra olandesi e un compagno turco (collaboratore dello sperimentatore), attraverso diversi compiti cooperativi. Quello che veniva manipolato però era che nella situazione sperimentale, prima che venissero attuati dei comportamenti cooperativi tra gli olandesi (i partecipanti) ed il collaboratore dell'esperimentatore (ragazzo turco), i soggetti presi in esame singolarmente dovevano presentarsi al ragazzo turco in modo tale da rendere saliente la distinzione gruppale. Nella condizione di controllo i due interagenti non comunicavano ma svolgevano subito il compito cooperativo. Risultati: la valutazione del partner cooperativo era positiva sia nella condizione sperimentale che in quella di controllo ma la generalizzazione avveniva nel momento in cui veniva resa saliente l'etnia del collaboratore. La fattibilità degli interventi basati sul contatto A volte, il contatto tra i gruppi non è possibile o è difficile da realizzare: 1. ambienti segregati 2. basso numero di membri della minoranza rispetto alla maggioranza 3. motivi pratici (scarso sostegno istituzionale, poco tempo, risorse) Per questa ragione la psicologia sociale ha introdotto nuove forme di contatto, in particolare attraverso l'esposizione di contenuti letterari o multimediali che trattano tematiche improntate sull'approccio costruttivo e positivo gruppale (contatto indiretto). Il contatto indiretto sembra avere degli effetti positivi ed è molto più pratico e semplice da utilizzare rispetto a quello diretto, tuttavia contatto indiretto ha degli effetti comparativamente più deboli e meno duraturi nel tempo rispetto al contatto diretto. Il contatto esteso va considerato come complementare al contatto diretto, e non come alternativa. Capozza, & Trifiletti, 2014): Nella condizione sperimentale, gruppi di bambini (5/6 alla volta), una volta alla settimana per sei settimane, leggevano e discutevano storie di Harry Potter legate al tema del pregiudizio in compagnia di una ricercatrice. La condizione di controllo era identica a quella sperimentale, in questo caso però le storie non erano legate al tema del pregiudizio.
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