Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti relativi al corso di storia dell'arte medievale con immagini, Appunti di Storia dell'arte medievale

Periodo storico che va dal tardoantico al gotico, ogni capitolo è di un colore diverso e sono evidenziate le frasi e parole importanti per facilitare lo studio. 1 periodo tardo antico, 2 arte Ostrogota, 3 arte Longobarda, 4 arte dell'impero Carolingio, 5 arte romanica, 6 arte gotica

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 08/06/2023

AntonioUc
AntonioUc 🇮🇹

5

(2)

1 documento

1 / 73

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti relativi al corso di storia dell'arte medievale con immagini e più Appunti in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! APPUNTI di STORIA DELL’ARTE MEDIEVALE Antonio Cianciotta 2021/2022 32 PERIODO TARDOANTICO 1divisione dell’impero in due vaste aree, allo scopo di facilitarne la difesa. Quando nel 235 d.C. morì l’ultimo discendente della dinastia dei Severi, l’Impero Romano piombò nel caos. Le cause sono tanto economiche quanto sociali: l’estensione territoriale rende difficile amministrare le finanze e la spesa pubblica risente delle esi- genze dell’esercito, il cui ruolo si fa sempre più determinante nel difendere i confini e nel mantenere la coesione di regioni che cercano l’autonomia. A porre fine al caos fu un imperatore proveniente dai ranghi dell’esercito, Diocleziano: salito al potere nel 284 d.C. promosse una serie di riforme a tutto campo, tra cui la tetrarchia1,ciascuna area era affidata a un augusto, affiancato da un cesare come suo subordinato. Il periodo compreso fra la tetrarchia e la fine del V secolo d.C. è definito tardoantico per sottolineare il suo carattere di epoca di transizione tra l’an- tichità e il medioevo. Tra le maggiori novità dalla prima tetrarchia fu affiancata da nuove capitali: Treviri, Aquileia, Milano, Belgrado, Tessalonica e più tardi Ravenna, ma soprattutto Costantinopoli, inaugurata nel 330 d.C. da Costantino nel sito dell’antica Bisanzio come centro della parte orientale dell’impero. La grande novità fu la trasformazione di queste città in capitali. Ciascuna di esse fu dotata degli edifici indispensabili alla nuova finzione: un palazzo imperiale, il circo, vie porticate, basiliche, grandi terme, un grande mausoleo e monumenti celebrativi come gli archi onorari. GRUPPO DEI TRETARCHI, San Marco, Venezia, 293-303 d.C. Il monumento, alloggiato nell’angolo sud-occidentale della basilica di San Marco e databile tra il 293 e il 303 d.C. Approda a Venezia insieme ai quattro cavalli di rame e bronzo conserva- ti all’interno della Basilica di San Marco come bottino di guerra, frutto dell’assedio dei veneziani a Costantinopoli nel 1204, al termine della IV Crociata indetta da papa Innocenzo III. • Realizzato in porfido rosso, materiale esclusivo degli imperatori, collo- cato sopra una mensola sporgente • E’ un gruppo statuario composto da quattro personaggi, che si abbrac- ciano a due a due, un anziano e un giovane, in segno di concordia e unione dei poteri tra le generazioni. Il complesso, probabilmente attribuibili a maestranze egiziane, riprende lo stile orientale, caratterizzato da uno sguardo fisso e occhi scavati, un at- teggiamento rigido e poco naturale che ricorda l’iconografia bizantina. Il gruppo statuario raffigura probabilmente Diocleziano, Massimiano, Galerio e Costanzo Cloro, rispettiva- mente 2 «Augusti» e 2 «Cesari», i 4 membri della prima Tetrarchia istituita da Diocleziano nel 293 d.C. (Dopo essersi spartito il controllo dell’Impero con Massimiano, Diocleziano nominò altri due «imperatori giovani», definiti «Cesari»). L’Impero venne quindi diviso in 4 aree geografiche distinte: • Diocleziano province orientali ed Egitto • Galerio province balcaniche • Massimiano penisola Italica, Africa settentrionale e Spagna • Costanzo Cloro province Britannia e Gallia Nel complesso i due personaggi più maturi cingono le spalle dei più giovani con il braccio destro, mentre la sinistra stringe una spada, in questo caso identificabile con un’elsa persiana a forma di testa d’aquila, dettaglio che conferma l’origine orientale dell’opera. La differenza di età è evidente nel dettaglio della barba e dei segni sul volto che marcano l’avanzare del tempo nel caso dei 2 imperatori più anziani. L’abbraccio tra le figure potrebbe quindi simboleggiare alla fraternitas o l’amicizia armata tra i cesari e gli augusti. I quattro personaggi indossano lo stesso tipo di abbigliamento: • Una lorica che copre petto, pancia, fianchi e schiena fino alla cintura • Sulle spalle dei tetrarchi ricade un drappeggio fermato sulla spalla sinistra, che faceva parte della divisa dei generali romani • Il copricapo pannonico, in uso presso l’esercito romano Il gruppo risulta incompleto: un piede e un pezzo di casamento sono infatti conservati al museo archeolo- gico di Istambul. Principato di Diocleziano e instaurazione della tetrarchia 284-305 d.C. Governo tetrarchico: augusto e cesare d’oriente sono rispettivamente Diocleziano e Galerio, augusto e cesare d’occidente sono rispettivamente Massimiano e Costanzo Cloro. 8 9 Nel 306 con la morte di Costanzo Cloro, venne nominato imperatore suo figlio Costantino, mentre a Roma fu nominato Massenzio, figlio di Massi- miano. Lo scontro tra i due fu inevitabile. Nel 312 Costantino sconfisse Massenzio, che morì in battaglia. L’evento segnò la fine della tetrarchia e Costantino attribuì la vittoria ad un intervento divino in suo favore. Dodici anni dopo avrebbe sconfitto anche Licinio, succeduto a Galerio, in Oriente, per poter poi riunificare l’Impero sotto il suo scettro. Roma divenne centro politico e culturale e Costantino divenne centro di in- teresse culturale e artistico. Molte costruzioni iniziate da Massenzio, furono terminate o modificate in onore del nuovo imperatore, dopo la sua sconfitta. ETÀ DI COSTANTINO I Musei capitolini ospitano anche una gigantesca testa di bronzo provenien- te dalla basilica di San Giovanni in Laterano. Apparteneva ad un colosso in bronzo andato perduto in massima parte, di cui si conservano la mano sinistra e un globo che in origine era posato sul palmo della mano e simboleggiava il potere universale di Roma. Una fonte medievale menziona una corona d’oro ornata di gemme le cui tracce non sono riconoscibili nella capigliatura e tracce di doratura. RITRATTO COLOSSALE DI COSTANTINO La basilica palatina di Costantino, anche conosciuta col nome di Aula Pa- latina, è una basilica palatina romana che si trova a Treviri. La basilica era destinata a fungere da sala del trono: la grandezza e lo splendore della costruzione dovevano testimoniare il potere dell’autorità imperiale. All’esterno l’aula è decorata da una serie di alte arcate cieche, simili ad un acquedotto, nelle quali si aprono due livelli leggermente arretrati di finestre strombate. Anticamente vi correvano intorno 2 ballatoi, che spezzavano il ritmo delle lesene. All’interno l’aula era illuminata e terminava con un’abside semicircolare dove si ripeteva una doppia fila di finestre. L’abside è inquadrata da un arco trionfale, sul quale ha inizio una serie di nicchie semicircolari che proseguono lungo l’abside. L’interno era decorato da marmi preziosi e da statue nelle nicchie. Il pavimento di grandi lastre di marmo bianco e nero è l’unico rimasto. La spazialità nell’insieme è movimentata dalle finestre e dalle nicchie, ma nel complesso prevale la sensazione del grandioso volume interno, poderoso e immoto, con precisi rapporti di equilibrio. AULA PALATINA Treviri, 310 d.C., faceva parte del palazzo imperiale Battaglia del ponte Milvio, Costantino contro Massenzio 28 ottobre 312 d.C. 10 11 TERME COSTANTINIANE Treviri, iniziate nel III secolo da Costantino e terminate nel 375-378 da Valentiniano I La costruzione ebbe inizio con Costantino nel III secolo, per poi rimanere interrotta ed essere conclusa da Valentiniano I nel 375-378. La planimetria riprende il classico modello orientale e comprendeva: • grande palestra all’aperto, circondata da portici • un grande ingresso monumentale • mentre sul lato opposto vi era l’accesso alle vasche termali, composte da un insieme di sale accostate in un unico complesso, con coperture a crociera e a cupola. Il primo ambiente era l’enorme frigidarium, per poi accedere al tepidarium di forma circolare e al calidarium rettangolare con vasche absidali. Nell’insieme il complesso era ben organizzato e compatto, a differenza di quelle romane. La Terme Imperiali di Treviri, sono un complesso termale romano risalente alla prima metà del IV secolo quando la città era una delle capitali della Tetrarchia. La costruzione delle terme fu iniziata da Costantino alla fine del III secolo. La struttura planimetrica riprende il modello imperiale “orientale”, e com- prende una palestra all’aperto, circondata da portici, e un ingresso monu- mentale. Da qui si accedeva alle vasche termali, composto da una serie di sale acco- state in un unico complesso, con coperture a crociera e a cupola. In generale l’insieme è più compatto e meglio distribuito spazialmente dei coevi esempi a Roma (terme di Costantino), dove si registrano forme più allungate. Il Sarcofago di Marcus Claudianus è una scultura databile 330-339 d.C. e conservata a Roma. Vi sono rappresentate scene evangeliche, come la Natività, la Resurrezione di Lazzaro, la Guarigione del cieco nato, il Rinnegamento di Pietro. L’iscrizione sul fronte del coperchio fornisce il nome del defunto che è rappresentato al lato, avvolto nel suo peplo e all’interno di un sudario fune- bre che due putti alati srotolano. L’opera è caratterizzata da una composizione che non lascia spazi vuoti. Il rilievo delle figure crea un effetto di chiaroscuro. Da notare la tendenza alla stilizzazione e alla semplificazione delle linee. TERME IMPERIALI Treviri, IV sec. SARCOFACO DI MARCUS CLAUDIANUS Roma, 330-339 12 13 ARCO DI COSTANTINO Roma, 315 d.C. L’arco fu dedicato dal senato per commemorare la vittoria di Costantino I contro Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio (28 ottobre del 312). La collocazione, era sull’antico percorso dei trionfi. L’arco di Costantino si inserisce all’interno di una lunga tradizione romana dove si rappresentava il trionfo in battaglia: monumenti equestri, immagini di Vittorie e trofei, nemici sottomessi e statue divine. La decorazione in lastre marmoree a rilievo fu ideata e realizzata in età co- stantiniana secondo un progetto unitario, utilizzando soprattutto materiali provenienti da altri monumenti imperiali. DESCRIZIONE: L’arco di Costantino è a tre fornici con un passaggio centrale più grande e due laterali più piccoli inquadrati sulle due facciate da quattro colonne corin- zie, sormontate da una ricca trabeazione. Sopra di esso è collocato un attico scandito in 3 settori da statue di prigio- nieri barbari. Il monumento è in marmo nei piloni, mentre l’attico è realizzato in mura- tura e in cementizio rivestita all’esterno di blocchi marmorei. Sono stati utilizzati marmi bianchi di diverse qualità, reimpiegati da mo- numenti più antichi, e sono stati riutilizzati anche buona parte degli ele- menti architettonici e delle sculture della sua decorazione. Tutti i volti degli imperatori che appaiono nei rilievi sono stati rimodel- lati a somiglianza di Costantino. • La cornice dell’ordine principale è di reimpiego, di età Antonina o Se- veriana • Ancora di reimpiego sono i capitelli corinzi, di epoca Antonina • Capitelli e basi delle retrostanti lesene sono invece copie costantiniane • I fusti delle lesene, probabilmente di reimpiego, sono stati quasi tutti sostituiti nei restauri settecenteschi di epoca domizianea, ma con rilavo- razioni successive. • Di epoca costantiniana sono invece gli archivolti del fornice centrale, i coronamenti, zoccoli, fregio, architrave e basi dell’ordine principale, CONTRAPPOSIZIONE TRA RILIEVI CLASSICI E COSTANTINIANI Costantino: l’aspetto predominante è la staticità e la monotonia delle figure: le figure sono sproporzionate, rappresentate fron- talmente e non hanno un equilibrio o ritmo. Non c’è senso dello spazio e l’imperatore, al centro di ogni rilievo, era una calamita: tutti lo guardano, compiono lo stesso gesto e sono sottomessi alla sua figura. Classico: le figure sono ben definite e autonome dal punto di vista figurativo. Le vesti sono morbide, delicate e si possono rico- noscere le parti anatomiche di ciascuno. I personaggi hanno quindi una propria indipendenza fisica e non si muovono in ragione dell’imperatore. FREGIO TRAIANO E DACI DELL’ATTICO I 4 rilievi con scene di battaglia, collocati sulle pareti laterali del fornice centrale e sui lati corti dell’attico. Il fregio raffigurava le gesta dell’imperatore Traiano durante le campagne di conquista della Dacia. Si trattava di un unico fregio, completato da altre lastre in parte perdute. Le teste dell’imperatore nelle lastre reimpiegate sono state rilavorate come ritratti di Costantino. Il fregio dei Daci, confrontato coi rilievi della Colonna Traiana, fa sospettare siano opera dello stesso maestro, anche per alcune scene simili. Sempre dal Foro di Traiano provengono le otto statue di prigionieri Daci in marmo su basamenti in marmo cipollino che sovrastavano l’attico. TONDI ADRIANEI 8 rilievi tondi dell'epoca di Adriano sono collocati al di sopra dei fornici laterali, sulle due facciate, inseriti a coppia in un campo rettangolare che in origine era ricoperto da lastre di porfido. L'attribuzione adrianea deriva da fattori stilistici e per la presenza della figura di Antinoo, l'amante di Adriano. Vi sono raffigurate scene di caccia e di sacrificio a divinità pagane, e anche in questi tondi le teste dell'imperatore sono state rilavorate come ritratti di Costantino. FREGI COSTANTINIANI: Al di sopra dei fornici laterali e sotto i tondi adrianei, un fregio continuo che prosegue anche sui lati corti del monumento, fu scolpito all’epoca di Costan- tino direttamente sui blocchi della muratura. Rappresenta episodi della guerra contro Massenzio e la celebrazione della vittoria di Costantino a Roma. PANNELLI DI MARCO AURELIO: Sull’attico, sono murati 8 rilievi rettangolari che raffigurano episodi delle imprese di Marco Aurelio. I bassorilievi ai lati minori, sopra ai fornici, appartengono all’epoca trainata e di marco Aurelio e rappresentano scena di tipo onorario. TONDI COSTANTINIANI: Sui lati corti dell’arco il ciclo è completato da 2 tondi scolpiti all’epoca di Costantino; raffigurati Apollo sulla quadriga e Diana: i 2 rilievi inquadrano la vittoria dell’imperatore in una dimensione cosmica. 18 19 S. GIOVANNI IN LATERANO Roma, 318 d.C. La prima basilica costantiniana ad essere edificata fu quella lateranense, così detta perché edificata sui terreni appartenuti alla famiglia dei Laterani. Fu l’unico edificio cristiano fatto costruire all’interno delle mura citta- dine, in una zona disabitata in cui vi erano coloro favorevoli a Massenzio, le cui abitazioni furono spazzate via. La basilica era lunga poco meno di 100m ed era a 5 navate. Quella maggiore concludeva con un’abside e delle navatelle minori interrot- te in fondo al transetto. Danneggiata, fu interamente ricostruita prima del X secolo e poi di nuovo nel XIV. Tra la navata e la parte destinata all’altare venne posto il fastigium, che doveva essere una grande struttura su 4 colonne bronzee, (molte ipotesi di dove fosse posizionato, forse non era così siccome non citato nelle vite di S. Silvestro) che fu l’antecedente di tutte le strutture simili che in seguito caratterizzarono le chiese sia in occidente sia in oriente. Non ci è pervenuto, ma descritto nel liber pontificatis, comunque poco at- tendibile perché scritto nel VI sec. Accanto alla basilica fu edificato un Battistero. L’attuale involucro esterno è opera di Francesco Borromini. L’interno l’edificio a pianta ottagonale presentava un anello di 8 colonne architravate delimitanti lo spazio riservato alla vasca battesimale. Una volta a botte faceva da copertura, mentre una cupola si reggeva sull’a- nello di colonne. Questo modello ottagonale sarà ampiamente utilizzato in età paleocristia- na. Soltanto dal IV secolo d.C. il battistero divenne indipendente dalla chiesa, anche se con essa formava un impianto organico, essendo addossato alla chiesa stessa o costruito nelle sue immediate vicinanze. Fu il primo edificio a Roma specificamente destinato al Battesimo. La struttura più antica fu realizzata intorno al 350 d.C., a pianta circolare, ma il nucleo attuale si deve alla ricostruzione di un secolo dopo. BATTISTERO DI SAN GIOVANNI IN LATERANO Roma, 350 SANTO SEPOLCRO Gerusalemme, 325 Questo edificio fa parte delle committenze di Costantino, insieme alla basili- ca della Natività di Betlemme. Importante è capire come Costantino potesse essere sicuro che in quell’esatto luogo era stato sepolto Cristo. La Leggenda vuole che Elena, la madre di Costantino, si fosse recata in pellegrinaggio in Terra Santa e avesse trovato le croci sulle quali erano stati crocifissi Gesù e i ladri. Poco lontano trovò anche una tomba vuota. Costantino scrisse subito una lettera al Vescovo locale con indicazioni esatte su come co- struire la Basilica e su che materiali utilizzare, precisando che il tutto sarebbe stato pagato con i suoi soldi privati. Nella stessa basilica è presente anche il luogo del calvario, cosa che non è verosimile perché in età giudaica era impensabile che lo stesso luogo dove avvenivano materialmente le esecuzioni fosse accanto al luogo dove i morti poi venivano sepolti. La basilica di Costantino fu costruita attorno alla collina della crocifissio- ne, ed era in realtà composta da 3 edifici collegati fra loro e costruiti sopra tre differenti luoghi santi: • Una grande basilica • Un atrio chiuso colonnato costruito attorno alla tradizionale roccia del Calvario • Una chiesa rotonda che conteneva i resti della grotta, che Elena aveva identificato come luogo di sepoltura di Gesù. La roccia circostante venne scavata e la tomba venne inglobata in una struttura chiamata edicola, al centro della rotonda. La cupola della rotonda sostituì un deambulatorio che anticamente circondava il Sepolcro. CARTA DI MADABA Una importante testimonianza della antica Gerusalemme è costituita dal ritrovamento della carta di Madaba, che ci fornisce nel dettaglio la collo- cazione degli edifici la struttura della città. EDICOLA Per quanto riguarda l’edicola, all’interno della quale è fisicamente collocato il sepolcro di Cristo, dobbiamo dire che questa venne nel corso dei secoli continuamente rimaneggiata e ricostruita a causa di incendi e danni vo- lontari, come quelli fatti dagli arabi quando presero Gerusalemme. Ci sono comunque varie testimonianze di come era originariamente l’edi- cola, una di queste è costruita dal modellino in marmo custodito in Fran- cia databile attorno al V secolo d.C. 20 21 MODELLI DI CHIESE DALL’ORIENTE 324 d.C. Costantino sposta la capitale da Roma a Costantinopoli (prima Bisanzio) dopo aver sconfitto Licinio e commissiona una serie di edifici tra cui: BASILICA DELLA NATIVITA’ Betlemme, 330 Nel 330 su iniziativa dell’imperatore Costantino ebbe inizio la costruzione della basilica. Originariamente all’esterno della struttura vi era un cortile che permetteva l’accesso all’atrio, costituito da colonne e navate, che serviva come luogo di sosta per i pellegrini e in cui veniva allestito un piccolo mercato. È costituita dalla combinazione di 2 chiese e dalla grotta o cripta della natività. La basilica si compone di 5 enormi navate. L’accesso è consentito solo attraverso la Porta dell’Umiltà, un passaggio stretto e basso, chiamata così proprio perché i fedeli devono inchinarsi per potervi accedere. Sopra la grotta è situata una costruzione ottagonale rialzata, da cui sporgen- dosi, attraverso un foro, è possibile vederne l’interno. Le pitture e i mosaici in stile bizantino risalgono al periodo delle crociate. La decorazione a mosaico risale a circa il 1665-1669, quando la Palestina era governata da Amalrico I, il cui nome viene citato nelle iscrizioni presenti nei mosaici. • Nel primo livello sono raffigurati gli antenati di Gesù. • Nel secondo, intervallati da foglie di acanto, i sette concili ecumenici. • Al livello superiore ci sono rappresentazioni di angeli diretti verso la grotta. • Nel transetto ci sono scene tratte dai vangeli Il Mausoleo di Sant’Elena fu eretto da Costantino tra il 315 e il 326 d.C. È un mausoleo dinastico in cui venne sepolta Elena, madre di Costantino. Il Mausoleo fu realizzato tra il 315 e il 326 d.C. e accolse fino all’XII secolo il corpo della madre di Costantino, Elena, morta intorno al 329 d.C. Il mausoleo ha una pianta circolare con diametro superiore ai 20 metri ed era alto in origine più di 25 metri. La struttura realizzata in opera laterizia è costituita da un basamento ci- lindrico sovrastato da un alto tamburo. Il basamento si conserva quasi completamente, la porzione superiore è anda- ta quasi completamente distrutta nella parte ovest, mentre è ancora in piedi a nord/est, dove presenta ancora parte della cupola. Il basamento presentava internamente otto nicchie alternativamente rettan- golari e semicircolari coperti da volte a botte e a calotta. Il tamburo superiore era sovrastato da una cupola riccamente decorata a mosaico. La cupola aveva presentava nelle regioni della volta 2 giri concentrici di anfore olearie iberiche, utilizzate forse per alleggerire il carico. Il crollo della cupola rese visibili le anfore e portò alla denominazione del monumen- to come Torre delle Pignatte o Torre Pignattara. MAUSOLEO DI ELENA Roma, 315-326 La basilica venne costruita tra il 315 e il 326 d.C. in un’area di proprietà di Elena madre di Costantino. Costantino decise di erigere la Basilica in onore dei martiri Marcellino e Pietro, provocando tra l’altro la distruzione della necropoli. La basilica era ancora in uso verso la fine dell’VIII secolo d.C. e iniziò la sua decadenza con la traslazione delle spoglie dei santi Marcellino e Pietro. Durante il Basso Medievo la basilica fu progressivamente abbandonata e, nel tempo, andò in rovina. La basilica era orientata ad est, con la caratteristica pianta a forma di “circo”, e aveva la struttura suddivisa in 3 navate da una serie di pilasti. Attorno ad essa sorsero una serie di mausolei: uno di questi, addossato sulla facciata orientale della Basilica è il mausoleo dinastico di Sant’Elena. BASILICA DEI SANTI MARCELLINO E PIERO Roma, 315-326 22 23 Nella nicchia principale ad est (oggi murata) era posto il sarcofago dove venne tumulata Elena, uno splendido manufatto in porfido rosso che attualmente è conservato ai Musei Vaticani. Le splendide decorazioni in bassorilievo con scene di battaglia hanno portato alcuni stu- diosi a ritenere che, originariamente, il sarcofago fosse probabilmente destinato ad acco- gliere le spoglie dell’Imperatore Costantino e che solo in un secondo momento fu usato per accogliere le spoglie di sua madre. Dopo che la salma di Elena venne traslata nella chiesa di S. Maria in Aracoeli, iniziò il lento declino del complesso sarcofago molto militaresco. SARCOFAGO DI SANT’ELENA Costanza, la figlia dell’imperatore Costantino, e moglie del Cesare Co- stanzo Gallo, si fece costruire un imponente mausoleo circolare accanto alla basilica cimiteriale di Sant’Agnese, per cui era devota. Nel 354 accolse le spoglie di Costanza e sei anni più tardi quelle della sorella Elena. L’edificio comunicava direttamente con la basilica con un nartece. Con il passare del tempo la basilica andò in rovina ed il mausoleo venne usato come battistero, finchè nel 1254 non fu trasformata in una chiesa auto- noma dedicata a Santa Costanza. Riprende la struttura della basilica circiforme dei SS. Marcellino e Pie- tro, vicino al quale vi era costruito il Mausoleo di Elena. All’interno del mausoleo, vi era un anello formato da 12 coppie di colonne in granito, disposte in senso radiale, con capitelli e trabeazione marmorei; suddivide lo spazio in due ambienti concentrici: il corridoio rischiarato da piccole finestre nelle volte a botte, e una rotonda centrale inondata dalla cu- pola emisferica sul soffitto. Il mausoleo conserva ancora numerosi mosaici di pareti e soffitti. La volta dell’ambulacro e completamente rivestita da un mosaico a fondo bianco decorato con trame geometriche e medaglioni che raffigurano piccoli simboli di virtù e rituali cristiani. Vi è anche una dettagliata scena di vendemmia che allude al vino che si trasforma in sangue di Cristo. BASILICA DI SANT’AGNESE FUORI LE MURA E IL MAUSOLEO DI SANTA COSTANZA Roma, IV secolo d.C. Gli stessi motivi sono riportati sul sarcofago di Santa Costanza in porfido, ora presente nei Musei Vaticani. Sui lati vi è un elegante motivo vegetale che forma tre tondi occupati da amorini vendem- mianti; in basso si allineano 2 pavoni, simbolo di eternità, due agnelli e un amorino con una ghirlanda. Sui lati brevi vi sono tre amorini che pigiano l’uva. SARCOFAGO DI SANTA COSTANTINA RESTAURI Vi sono influenze classiche come realismo, vesti senatoriali, prospettiva, e le due Sante sono reinterpretazione della Nike. Restauro del 1500 (voluto da Papa Farnese) hanno tolto 2 apostoli, un agnus dei. Restauro del 1800, dovuto al precedente invasivo del 500, dove vengono aggiunte aggiunte tonalità, e probabilmente alcuni volti riprendono la fisio- nomia di alcuni personaggi esisiti, la donna con la veste gialla, donna della famiglia Farnese e il volto del secondo apostolo da destra, Papa Farnese. BASILICA DI SANTA PUDENZIANA Roma, inizi V secolo d.C. Con l’affermazione della religione cristiana, lo stile ritornò ad essere classicista; un esempio sono i mosaici di Santa Pudenziana: con piani prospettici scalati, figure maestose panneggiate disposte a se- micerchio intorno al trono centrale del Cristo e dettagli realistici come il tramonto di nubi rossastre. Si può osservare una composizione che si articola su vari piani, da quello del porticato a semicerchio, davanti a cui troneggia un Cristo barbato. Gesù è fiancheggiato dalle ali simmetriche di apostoli: • a sx quella di San Paolo dietro al quale si erge la personificazione fem- minile della chiesa cristiana di origine pagana • a dx San Pietro con la personificazione dei cristiani di ceppo ebraico Dietro al porticato si vedono i tetti di Gerusalemme, con al centro il Gol- gota su cui svetta un’enorme croce gemmata ai cui lati ci sono i simboli dei quattro evangelisti. Lo sviluppo del linguaggio figurativo cristiano durante il IV secolo d.C. è segnato da due fattori: il superamento della non figurazione del divino e l’aumento del potere della Chiesa grazie al favore degli imperatori. Si afferma un’immagine di Cristo seduto in trono (in maestà come gli imperatori) la cui iconografia è un riadattamento di quella imperiale. 2928 379-395 Teodosio muore e l’impero è suddiviso in impero d’Oriente (Arcadio) e d’Occidente (Onorio) 395-423 Onorio SAN SIMPLICIANO Milano, IV secolo MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA Ravenna, 424-450 Il primo intervento pubblico significativo legato alla presenza della cor- te imperiale fu la costruzione, tra il 424 e il 450, della chiesa palatina di Santa Croce voluta da Galla Placidia, figlia di Teodosio I e, alla morte del fratello Onorio nel 423 salì sul trono imperiale. Poco dopo, addossato al lato meridionale della chiesa di Santa Croce fu costruito un piccolo mausoleo. Come tutti gli edifici ravennati l’esterno è in laterizio, materiale leggero e per questo particolarmente adatto alla natura paludosa del territorio, e pre- senta una successione di arcate cieche. Il pavimento originale è un metro e mezzo più sotto, (per via dell’abbas- samento del terreno rispetto al livello del mare) quindi anche le proporzioni originali erano molto più slanciate di quelle che si vedono adesso. •San lorenzo: nella lunetta San Lorenzo entra correndo dalla dx, recando una larga croce sulla spalla, mentre con l’altra regge un libro aperto. Il santo è rappresentato mentre si avvicina al martirio. Vi è una ricerca della prospettiva: 1. si può notare che il Santo è in primo piano, il piede destro sporge infatti sul bordo della rappresentazione 2. Nel secondo piano troviamo la graticola 3. Nel terzo l’armadio, anche se i libri non seguono la prospettiva generale • Buon pastore: nella lunetta sopra l’ingresso si trova una raffigurazione del buon pastore, simbolo di Cristo, seduto su una roccia e circondato da pecore, rappre- sentazione simbolica dei fedeli, in un prato idilliaco nel quale è evidente il tenta- tivo di rappresentare la profondità. Il pastore indossa una veste d’oro e il mantello porpora, abito di tipo imperiale. Nella mano, al posto del tradizionale bastone, tiene una croce dorata. Cristo è di tre quarti e in contrapposto. • Cervi e colombe che bevono dalla fonte (simbolo delle anime cristiane che si abbeverano per grazia divina) La decorazione termina poi con rosoni dai colori chiari su fondo blu della volta a botte. I motivi floreali e stellati sono elementi geometrici astratti di derivazione orientale. Salendo verso la cupola centrale nelle 4 lunette sono rappresentati coppie di Apostoli, con le braccia alzate in adorazione verso il centro dell’edificio, la croce. Tra gli apostoli si distinguono San Pietro, con la chiave sulla sinistra e di fronte a lui San Paolo. Al centro si aprono le finestre, coperte con lastre traslucide di alabastro. In corrispondenza dei 4 pennacchi, tra le lunette e la cupola centrale, è rap- presentato il tetramorfo1. La volta centrale è poi coperta da un cielo stellato, su fondo blu scuro, su cui è collocata, al centro, la croce. 1 l’iconografia sacra con i simboli dei quattro evangelisti, con il toro, l’aquila, il leone e l’angelo. La basilica di San Simpliciano si trovava lungo la strada che collegava Milano a Como. Secondo Benzone di Alessandria, che nel XIII secolo scrisse un opuscolo dedicato alla città di Milano, la fondazione della basilica si deve a Sant'Ambrogio. Egli l'avrebbe dedicata a Maria e alle sante Vergini (basilica Virginum), forse per riaffermare il dogma della verginità della Madonna, messa in discussione da un'e- resia e ribadita in un sinodo indetto da Ambrogio stesso nel 393 d.c. Per alcuni studiosi tuttavia la costruzione sarebbe stata iniziata da Ambrogio, ma portata a termine solo dal suo successore, il vescovo Simpliciano, al quale venne poi intitolata in epoca longobarda. Simpliciano vi avrebbe inoltre deposto le reliquie di tre predicatori cristiani, Marti- rio, Sisinnio e Alessandro, inviati in Val di Non da Sant'Ambrogio per annunciare Cristo e lì martirizzati. Nel 1582 san Carlo Borromeo ne rinvenne i resti, insieme a quelli di San Simpliciano, sotto l'altare. I rifacimenti architettonici che interessarono la basilica tra XI e XII secolo nascosero per diversi secoli la sua antica origine. Fu Edoardo Arslan a svelare nel 1944 che la chiesa romanica conservava in realtà le mura- ture paleocristiane per un'altezza di 22 metri. I restauri misero in luce i grandi finestroni originali che si aprivano nelle pareti e che erano stati tamponati in epoche più recenti. Si constatò che l'edificio paleocristiano subì il primo radicale mutamento all'inizio del VII secolo d.c. La primitiva basilica aveva pianta a croce latina e navata unica chiusa da un'abside. La copertura era lignea e il pavimento decorato in opus sectile. Le murature, ancora visibili, sono costruite a file di mattoni disposti orizzontalmen- te alternate a fasce con laterizi più piccoli disposti a spina pesce. Le pareti esterne della navata presentano due ordini di arcate cieche entro le quali erano state ricavate delle grandi finestre, ancora riconoscibili; le arcate del transetto sono invece ad un solo ordine e dotate di due finestre sovrapposte. ln un momento successivo all’edificazione della basilica, ma entro il V secolo d.c., venne annesso anche un sacello a nord dell’abside, dove oggi si trova la sacrestia. La datazione si basa sul modo di costruzione della volta a botte, che impiega anfore intere immerse nella malta a sostenere la struttura del tetto, tecnica caratteristica di altri sacelli come quelli di Sant’Ippolito e Sant’Aquilino, annessi alla basilica di San Lorenzo. Non è chiaro se la struttura fosse collegata fisicamente al resto della basilica oppure se fosse separata e unita al corpo della basilica solo in epoca medievale. Il sacello, le cui murature originarie sono ancora visibili all’esterno, è stato inter- pretato come luogo per la devozione delle reliquie dei santi (cella memoriae o martyrium) oppure cappella funeraria destinata a sepolture privilegiate. 3130 402 Onorio incalzato dai Visigoti di Alarico sposta la capitale dell’Impero Romano d’Occidente da Milano a Ravenna. DOMUS DEI TAPPETI DI PIETRA Ravenna, V-VI secolo BATTISTERO NEONIANO O DEGLI ORTODOSSI Ravenna, 400-450/58 In questo periodo di fioritura architettonica venne costruito, a partire dalla fine del IV sec il Battistero degli Ortodossi. Il battistero fu completato dopo il 458, con l’aggiunta della cupola e della decorazione interna da parte del vescovo Neone, da cui il nome. L’appellativo di “ortodosso” si deve alla concezione dell’epoca che inten- deva i cristiani “autentici” in contrapposizione alla religione ariana. Oggi è interrato per almeno 2 m. La pianta dell’edificio è ottagonale (secondo la credenza che associava l’ot- to alla resurrezione), con 4 nicchie semicircolari. L’esterno, in laterizio, è semplice e lineare, movimentato solo da finestre centinate e da coppie di archetti pensili sulla sommità. All’interno l’edificio rivela una straordinaria ricchezza decorativa, resa an- cora più dalla compresenza di porfido, marmi, stucchi e mosaici. La vasca battesimale marmorea posta alcentro dell’edificio è ottagonale e risale al XVI. Nella parte inferiore delle pareti sono presenti due registri di archi, so- stenuti da colonne, e delle edicole realizzate in stucco, che ospitano figure di santi, un tempo policrome che fiancheggiano le finestre del secondo re- gistro. Di particolare interesse è la cupola, realizzata utilizzando filari concen- trici di tubi in terracotta, secondo una tecnica tipicamente ravennate e dell’area bizantina. Essa serviva ad alleggerire la struttura complessiva dell’edificio, essendo il terreno instabile e paludoso. Internamente la cupola è arricchita di un mosaico incentrato sul tema della teofania, la manifestazione della divinità, con al centro un mosaico con la scena del battesimo di cristo ed è organizzato in fasce concentriche. • La più esterna è scandita da architetture prospettiche nel quale si alternano im- magini del trono di Cristo affiancato da vedute di giardino, simbolo del giardino del paradiso, e immagini di un altare su cui è aperto il Vangelo, affiancato da seggi degli eletti. • La fascia mediana ospita invece una processione degli apostoli, separati tra loro da piante do acanto, capitanata da Pietro e Paolo. Tra le mani hanno una corona, i volti sono espressivi e hanno carattere ritrattistico, le vesti, simili a quelle dei senatori romani, lasciano intuire la tridimensionalità del corpo. • Il cerchio più interno, con la scena del Battesimo di Cristo, è stato ampia- mente rifatto tanto da subire modifiche anche nell’iconografia stessa, che doveva presentare la scena del battesimo di cristo con Giovanni Battista. In questa scena il fiume giordano appare personificato, come voleva l’antica iconografia ellenistica dei fiumi. Nonostante la presenza di elementi simbolici prevale un’attenzione naturalistica di tradizione classica: lo si vede dal corpo nudo di cristo che si intravede nell’acqua. La Domus dei tappeti di pietra è un sito archeologico della città di Ravenna collocato in un ambiente ipogeo situato circa 3 metri sotto la Chiesa di Sant’Eufemia. Il sito fu ritrovato fortuitamente nel 1993 durante i lavori per la costruzione di alcune autorimesse sotterranee in via D’Azeglio 47. Venne alla luce un palazzo interamente decorato con meravigliosi mosaici e intarsi marmorei, databile al periodo bizantino. Le pavimentazioni musive sono decorate con elementi geometrici, vegetali e figurativi. I mosaici più famosi sono la Danza dei Geni delle Quattro Stagioni, rarissi- mo caso di geni danzanti in cerchio e il Buon Pastore. DANZA DEI GENI DELLE QUATTRO STAGIONI Nella Danza dei Geni delle Quattro Stagioni appaiono 4 figure umane. A sinistra, il personaggio vestito di rosso con una corona di rose è la Pri- mavera. In basso, la persona vestita di bianco è l’Autunno. Il personaggio in alto che indossa un mantello verde è l’Inverno. Le stagioni stanno danzando e si tengono per mano. Autunno e Inverno danno la mano all’Estate, ma i mosaici che la raffiguravano non ci sono più. La 4a figura umana si trova in alto a destra ed è un musico che suona un flauto di canne. BUON PASTORE Nel Buon Pastore, esso è ritratto in una versione differente da quelle tradi- zionali cristiane. È molto giovane ed ha i capelli corti. Indossa una tunica color azzurro con una stoffa arancione sotto il collo. Infine, indossa dei calzari ai piedi. Regge un bastone con il braccio sx. Alla sua dx e alla sua sx appaiono 2 cerbiatti. Dietro i cerbiatti vi sono 2 alberi alti come il Buon Pastore, con 2 uccelli sui rami. Rispetto alla Danza dei Geni delle Quattro Stagioni, questo mosaico è più rovinato. Del volto del Buon Pastore se ne vede solo metà. I mosaici che raffiguravano i bordi, gran parte dell’albero di sinistra e un po’ del ramo di destra non ci sono più. 3332 Dopo la caduta dell’impero d’Occidente, l’imperatore d’Oriente mandò gli ostrogoti guidati da Teodorico a riconquistare l’Italia. Occupata la penisola, Teodorico pose come capitale del suo regno Ravenna, come avevano già fatto gli ultimi imperatori di Occidente. Fu però necessario dotare la città di edifici di culto ariani. Fu quindi eretto un complesso episcopale ariano alternativo a quello or- todosso e formato dalla cattedrale intitolata alla Resurrezione di Cristo e del battistero degli ariani. Teodorico cercò di rafforzare i legami con Costantinopoli anche per quan- to concerne l’arte. Ravenna torna ad essere un centro intellettuale: Teodorico richiama a sé ar- tisti, filosofi, statisti, promuove opere pubbliche, amplia il palazzo imperiale, si dedica un mausoleo. Questo portò a una svolta significativa nel linguaggio figurativo e, in parti- colare, a un mutamento del gusto nella decorazione musiva: si verificò infatti il passaggio dal naturalismo (tradizione greco-romana) a un linguaggio più rigido e astratto (tradizione bizantina) che sottolinea la dimensione sacra e sovrannaturale delle raffigurazioni. RAVENNA NELL’ETA’ DI TEODORICO DOTTRINA ARIANA Da Ario, sosteneva la prevalenza dell’aspetto umano di Cristo. Gli edifici ariani costruiti in questi anni con la fine della dominazione gota, vengono affidati al vescovo, e quindi alla chiesa di Ravenna, per essere ri- convertiti. 423-425 Costanzo III, successore di Onorio, muore prematuramente e lascia il trono al figlio Valentiniano III di soli sei anni. 425-437 per cui la reggenza è affidata alla madre Galla Placidia, figlia di Teodosio. CHIESA EPISCOPALE GOTA O CHIESA DEL SANTO SPIRITO Ravenna, inizi VI secolo Fu costruita subito dopo la presa di potere da parte di Teoderico, nel 493, come cattedrale ariana. Il pavimento è stato rialzato rispetto all’originale, per via della subsidenza. La facciata è dominata da un portico cinquecentesco formato da archi sulla fronte e da un arco sul lato corto. All’interno ha 3 navate, scandite da 14 colonne sormontate da 14 capitelli e pulvini. Al suo interno si distingue l’ambone, in marmo greco, decorato su en- trambe le facce: su ognuna vi sono 2 croci su un globo, mentre nella parte centrale, ricurva, delle colonnine scanalate che formano 3 edicole provviste di conchglia e timpano. BATTISTERO DEGLI ARIANI Ravenna, 495 Era il battistero dell’antica cattedrale ariana, oggi denominata chiesa dello Spirito Santo. Ha una subsidenza di oltre 2 metri. Ha una pianta ottagonale con piccole absidi nel registro inferiore e finestre ad arco in quello superiore. Lungo il perimetro esterno correva un deambulatorio che si interrompe- va in corrispondenza dell’abside. L’interno si presenta spoglio, con muratura a vista e privo di arredi. La vasca battesimale è ricordata da una lastra marmorea rotonda al cen- tro dell’edificio. La cupola è completamente decorata a mosaico, con 2 registri circolari. 1. Al centro si trova una rappresentazione del battesimo di Cristo con le personificazione del fiume Giordano e una colomba. 2. Nel registro più esterno si trova il trono vuoto che rinvia alla seconda venuta di Cristo (etimasia), raffigurante una croce gemmata su un cuscino di colore viola e la teoria dei 12 martiri o apostoli (c’è Paolo Tarso al posto di Giuda). I 12 sono rappresentati nell’atto di offrire co- rone, divisi tra loro da esili palme. Ai lati dell’etimasia Paolo e Pietro offrono rispettivamente, i rotoli con le sue lettere e le chiavi. La rappresentazione è semplice, statica, ripetitiva, simbolica, luminosa e senza volume. 3938 CHIESA DI SAN MICHELE IN AFRICISCO Ravenna, VI secolo d.C La piccola basilica risale al VI secolo e fu finanziata dal ricco banchiere e funzionario Giuliano Argentario, come voto all’arcangelo Michele. Fu dedicata dal vescovo Vittore e consacrata dall’arcivescovo Massimiano nel 547. Il termine “Africisco” deriva dalla Fregia, regione dell’asia minore, ma in questo caso indicava il nome della zona locale. Originariamente a 3 navate divise da pilastri, la basilica è stata trasformata più volte nel corso dei secoli. 1. Nel 1824 il re Federico Guglielmo IV di Prussia ordinò l’acquisto del mosaico absidale dopo aver ottenuto da Papa Gregorio XVI l’autorizza- zione per lo spostamento a Berlino. 2. La direzione dei lavori fu allora affidata ad un antiquario veneziano,che incaricò un suo concittadino mosaicista il distacco nel 1844. 3. Il mosaico subì danneggiamenti in seguito al bombardamento duran- te l’assedio austriaco del 1849. 4. Il mosaico venne definitivamente spostato tra il 1850-51. Per acconten- tare il re di Prussia, vennero rifatte diverse parti del mosaico. 5. Morto il re nel 1861, il mosaico fu lasciato a lungo nei depositi. 6. Finalmente montato subì gravi danneggiamenti durante la 2o guerra mondiale, rendendo necessari nuovi restauri, effettuati tra il 1950-51. 7. Degli altri elementi decorativi è rimasto ben poco: il mosaico pavimen- tale a motivi geometrici e molti altri frammenti. L’edificio era decorato al suo interno da mosaici parietali e pavimentali, tra cui spiccava quello posto nel catino absidale, dove campeggiano le 3 fi- gure degli arcangeli Michele e Gabriele con al centro un Cristo apollineo imberbe e stante, che regge una croce gemmata. Nell’arco trionfale l’iconografia si ripete, con un Cristo barbato e bene- dicente, vestito di tunica, seduto su un trono gemmato, affiancato dagli arcangeli e dai sette angeli dell’Apocalisse. Ai lati si trovavano i santi Cosma e Damiano, mentre l’intradosso dell’arco è decorato con motivi vegetali e colombe. Al centro è raffigurato l’Agnello entro un medaglione. BASILICA DI SANTA SOFIA Costantinopoli, 532-537 Originariamente costruita da Costantino, distrutta poi da un incendio, rico- struita e distrutta di nuovo. Basilica voluta ricostruire da Giustiniano in seguito ad un incendio dopo una rivolta. Passata attraverso terremoti e il crollo di 2 imperi: • quello bizantino del 1453 • quello ottomano del 1918 la basilica di santa Sofia è stata una chiesa cristiana, una moschea e un museo. L’edificio costruito del VI secolo d.C., presenta un insieme tra pianta lon- gitudinale e centrale, fiancheggiato da 4 minareti. Lo spazio interno, preceduto da un doppio nartece, si articola attorno allo spazio quadrato centrale, ai cui vertici si inalano 4 arconi. I due in asse con l’ingresso e con l’abside sono aperti, espandendo così lo spazio quadrato. I due arconi laterali sono chiusi da collonnati, sovrapposti da finestre, e sepa- ra la navata centrale da quelle laterali. La cupola è sostenuta da 4 pennacchi, che premette di scaricare il peso verso il basso. Quando la cupola fu ricostruita, crollata a causa di un terremoto, la nuova cupola fu innalzata di circa 6 metri rispetto alla precedente, im modo da diminuire le forze laterali e da scaricare più facilmente il suo peso lungo le pareti. Dell’antica basilica rimane l’impianto archietettonico, ma le decorazoni al suo interno vennero distrutte quando la basilica fu adibita a moschea. La decorazione interna presentava in origine solo motivi floreali e geome- trici. L’effeto spettacolare si basava sul splendore dei mosaici , sui trafori dei ca- pitelli, sulla luce irradiata dalle numerose aperture, sui contrasti dei marmi. PAOLO SILENZIARIO è stato un poeta bizantino vissuto nel VI secolo alla corte dell’Iperatore Giustiniano I. Egli scrisse un poema dedicato all’edificio. RESTAURO L’edificio subì poche modificazioni nel tempo; tuttavia, verso la metà del XIX secolo, le condizioni di de- corazioni e struttura si presentavano pericolosamente compromesse. Per questo motivo il Sultano Abdulmecid I incaricò l’architetto ticinese Gaspare Fossati e il fratello Giu- seppe, a quell’epoca a Costantinopoli alle dipendenze dello Zar, di restaurare Santa Sofia. Per due anni, 1847-1849, i 2 lavorarono per restaurare la moschea scoprendo molti elementi allora nascosti come un atrio costituito dall’alternanza di pilastri e di colonne, croci a rilievo e mosaici che erano stati coperti dai turchi con gli intonaci, documentandoli attraverso i disegni. Chiesa di Sant’Irene, Costantinopoli IV secolo, Santa dell pace Santa Sofia, della Sapienza 4140 Guerra greco-gotica 535-553 Giustiniano sogna di unificare le due parti dell’Impero. CHIESA DI SANT’APPOLINARE IN CLASSE Ravenna, 533-536 La basilica è fondata nel 532 e consacrata nel 549 sotto il vescovo Massi- miano. Presenta una pianta basilicale a 3 navate che terminano con un grande abside affiancato da due cappelle. L’esterno è in laterizio e decorato da finte arcate che scandiscono le fi- nestre. La facciata presenta nel registro inferiore un atrio porticato ed è affiancata ai lati da un campanile e una torre cilindrica innalzata attorno al IX secolo. All’interno le navate sono illuminate da finestre e scandite da 2 file di 12 colonne in marmo greco con capitelli, dotati di pulvino, decorati con un motivo a foglie mosse dal vento. Nell’architrave sono poi collocati clipei al cui interno sono rappresentati i vescovi di Ravenna. L’interno era originariamente decorato completamente da marmo ma gran parte di esso venne prelevato. Con l’affermazione del nuovo linguaggio di matrice bizantina, anche nell’arte musiva delle regioni italiane le soluzioni compositive delle scene sacre sono finalizzate a comunicare ai fedeli la spiritualità e la regalità dei personaggi divini. Nell’abside il mosaico è suddiviso in 2 regstri orizzontali distinti: lo spazio divino, rappresentato dallo sfondo dorato, e il paesaggio para- disiaco. Nella parte superiore, al centro, la mano di Dio esce dalle nuvole creando un’invisibile linea che, attraverso la grande croce gemmata con il volto di cristo barbato al centro, taglia verticalmente l’intera composizione per giungere alla figura di Sant’Apollinare, vescovo di Ravenna, al fianco della quale le pecore, quelle nel registro inferiore alludono al popolo ra- vennate mentre quelle nel 2o registro rappresentano gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Queste soluzioni compositive aderiscono a una struttura geometrica nel- la quale i principi di gerarchia e simmetria sono accentuati dalla disposi- zione delle figure, la cui composizione accentua l’effetto di astrazione. Tutte le figure sono isolate, ordinate per file e poste su uno stesso piano eliminando qualsiasi resa di profondità spaziale. Gli elementi del giardino paradisiaco hanno dimensioni proporzionate se- condo il loro valore simbolico: maggiore è l’importanza del personaggio più grandi sono le dimensioni. CATTEDRA DI MASSIMIANO Ravenna, 540/546-556 La cattedra fu commissionata da Giustiniano per fare dono a Massimia- no, vescovo di Ravenna, era formata originariamente da una struttura in legno d’ebano oggi sostituita, per ragioni conservative, da un’anima in materiale sintetico. La struttura è coperta da 26 formelle d’avorio realizzate a bassorilievo, incorniciate da fasce scolpite con elementi decorativi a motivi vegetali po- polati da animali (come pavoni e leoni). La parte inferiore della cattedra presenta al centro il monogramma del vescovo Massimiano, al di sotto le figure degli evangelisti. • le formelle che coprono i fianchi della cattedra narrano le storie di Giu- seppe • la parte frontale presenta i 4 evangelisti e San Giovanni Battista con una raffigurazione dell’agnello in un medaglione • sul retro la sua vita pubblica Il linguaggio stilistico testimonia l’intervento di diversi artisti. Le fasce decorate che incorniciano i panelli figurati presentano una varietà iconografica che rimanda ai modelli di matrice romana, mentre le figure degli evangelisti sono statiche e distaccate nelle posture e nei gesti, più vicine al simbolismo bizantino. La formella, nota come formella Barberini dal nome della famiglia romana è composta da 5 placchette in avorio e testimonia il ritorno, in età giustinianea, dell’immagine trionfale ed equestre dell’imperatore. L’imperatore è raffigurato a cavallo mentre pianta la lancia in segno di possesso. La torsione del corpo è ellenistica così come la resa naturalistica del cavallo. La placca centrale è lavorata a rilievo più alto così che la figura dell’imperatore emerga. Un guerriero in costume orientale alza il braccio in sottomissione, probabile allusione alla sconfitta dei persiani. Una vittoria alata in piedi su un globo regge la palma della vittorie e incorona l’impera- tore e con panneggio che aderisce al corpo. Un’altra personificazione è quella della terra con il manto rigonfio di frutti che regge il sandalo dell’imperatore. A SX un generale romano porta tra le mani una Nike. La posa del corpo ricorda il chia- smo della statuaria classica. In alto, i 2 angeli che reggono un disco con l’immagine di Cristo, sono una ripresa del motivo classico delle vittorie alate. Nella placca inferiore sono rappresentati i popoli vinti che recano doni all’imperatore. FORMELLA BARBERINI 4342 LONGOBARDI L’arte dei Longobardi in Italia- arte dell’Alto Medioevo, V-VIII secolo All’effimera riunificazione dell’Impero da parte di Giustiniano segue, in Italia, il Regno longobardo, che si protrae per più di 2 secoli. Nel 568 i Longobardi, provenienti dall’attuale Ungheria, stabiliscono la loro capitale a Pavia nel 572. Questa migrazione è la più massiccia tra quelle che interessano la penisola e non solo per ragioni numeriche: i longobardi portano con sé una cultura nomade e scardinano ogni struttura politica preesistente. In una prima fase si impongono con la forza, si organizzano in ducati e relegano la popolazione locale ai margini del potere. È con la regina Teodolinda e il consorte Agidulfo che il regno si stabilizza e in questo processo di normalizzazione gioca un ruolo importante la con- versione dei sovrani al cattolicesimo, segno della Chiesa come interlocutore politico fondamentale. Le terre che vanno dal centro italia al sud restano sotto l’influenza bizantina. Questo territorio non sfugge alle mire espansionistiche longobarde, ma Pipino il Breve, re dei Franchi nel 756 pone fina a questa minaccia e dona al papa i domini bizantini del Centro Italia: nasce così lo stato della chiesa. Sarà Carlo Magno a sconfiggere definitivamente i Longobardi nel 774, annettendone i pos- sedimenti al Regno d’Italia, a lui sottomesso. Il Sud, ancora bizantino, si indebolisce progressivamente e non riesce a far fronte alle incur- sioni arabe, aprendo così il via alla conquista normanna. All’arrivo in Italia, quindi, i longobardi erano privi di cultura urbana, che acquisirono solo occupando le città romane e usandole come centri amministrativi del loro regno nell’Italia settentrionale e dei loro ducati di Spoleto e Benevento. La cultura longobarda era tipica di un popolo nomade, senza una tra- dizione scritta, e il patrimonio culturale era quindi affidato alla memoria e trasmesso oralmente. Dal punto di vista artistico, proprio perché abituati a spostare continua- mente, i longobardi non avevano particolari conoscenze in campo architet- tonico o pittorico, mentre eccellevano nella lavorazione dei metalli per la quale possedevano tecniche molto raffinate: lo documentano le spade con motivi decorativi a intreccio o con figure di animali stilizzati, le croci in lamine d’oro con pietre colorate, le fibbie che impreziosivano gli abiti e che spesso erano geometriche o a forma geometri- ca. Ne esistono di semplici, con una decorazione rozza e sommaria, lavorate in oro e smalti, oppure guarnite di pietre dure. Questi oggetti documentano un’arte che, almeno fino al VII secolo, era decorativa e aniconica1. 1 priva di raffigurazione umane Nel mondo germanico il defunto viene sepolto con gli abiti e gli ogget- ti che testimoniano davanti alla comunità lo status raggiunto in vita, in modo che possa continuare a vivere nell’aldilà in maniera simile a quanto ha fatto durante la sua esistenza terrena. Il corredo maschile tra i Goti era piuttosto povero; ricco invece è quello dei guerrieri longobardi, sepolti con armi e scudi. Oggetto tipico del corredo femminile è la fibula, gli ornamenti più diffusi sono le collane, mentre orecchini, braccialetti e anelli ricorrono più raramen- te. Presso i Goti solo poche persone appartenenti alle classi più elevate sono sepolte in tombe isolate o in piccoli cimiteri di famiglia. Diversa è l’usanza presso i Longobardi: le sepolture, riunite in cimiteri, sono orientate in direzione est/ovest su più file, spesso organizzate in nuclei familiari. Nelle tombe il defunto è posto direttamente nella terra in posizione supi- na. Solo in alcune sepolture di rango elevato entro tombe lignee. 4948 È così denominato a seguito del duca Ratchis che lo dedicò alla memoria del padre Pemmone, come dichiara la lunga iscrizione in latino sul bordo superiore dell’opera. È realizzato in pietra d’Istria ed è un parallelepipedo rivestito da 4 lastre ornate da una decorazione a bassorilievo. • La lastra frontale, il paliotto, esibisce una Maiestas Domini (Maestà del Signore): Cristo affiancato da 2 cherubini e racchiuso in una mandor- la formata da rami di palma e sorretta da 4 angeli in volo. • Sul fianco dx è rappresentata l’Adorazione dei Magi, • Su quello sx la Visitazione, cioè Maria e sua cugina Elisabetta entrambe in cinta, una di Gesù e l’altra di Giovanni Battista. • Sul fronte posteriore non ci sono bassorilievi. In origine erano colorati e arricchiti di paste vitree, simulando l’aspetto di un altare di metallo e pietre preziose. Vi è un recupero delle tradizioni classiche attraverso gli schemi composi- tivi e iconografici, tuttavia le figure lineari, piatte, bidimensionali e l’aggiun- ta dell’horror vacui, cioè di stelle, crocette e altre decorazioni che riempiono gli spazi, rappresentano quella che è la tradizione e lo stile germanico. Non c’è profondità spaziale e sul fondo della lastra si stagliano segni grafi- ci: una struttura ad arco su colonne e un elemento vegetale. Tuttavia la figurazione è chiara e il contenuto viene comunicato in modo efficace. ALTARE DEL DUCA RATCHIS Cividiale, 737-744 Nel 568 con l’arrivo dei Longobardi, guidati da re Alboino, Cividale acquistò un ruolo da protagonista divenendo capitale del primo ducato longobardo in Italia. Nel corso dell’VIII secolo, durante il periodo del duca Pemmone e di suo figlio Ratchis, con l’aiuto del re Liutprando, vi giunse Callisto, Patriarca di Aquileia: la compresenza in città dei massimi rappresentanti territoriali del potere politico e di quello religioso dell’epoca, il Duca con l’alta aristocrazia longobarda e il Patriar- ca con tutta la sua gerarchia, trasformò definitivamente Cividale in una potente capitale politica e religiosa, nonché in un centro di arte e cultura. La città mantenne il ruolo di centro direzionale e di potere anche dopo la con- quista del regno da parte dei Carolingi; da sede del ducato longobardo divenne la Civitas Austriae, la città dei territori orientali dell’Impero carolingio, da cui deriva il nome attuale della città. CIVIDALE Il fonte battesimale di Callisto è databile tra il 737 e questa costruzione ha forme architettoniche e armonie monumentali di chiara matrice classica. A testimoniarlo sono i capitelli corinzi, finemente intagliati e decorati; la vasca ottagonale è coronata da un tegurio (edicola monumentale coperta da un tettuccio) con 8 arcate a tutto sesto che posano su altrettante colonne in marmo. La dedica di Callisto è su una lunga iscrizione dedicatoria che corre tutto intorno al bordo superiore dell’edicola. Sotto di essa gli archivolti sono intagliati con una fitta trama di decorazio- ni a bassorilievi di vegetali che incorniciano coppie di animali. Su una facciata del fonte battesimale fu inserito successivamente una la- stra con simboli dei 4 evangelisti. Il suo stile bidimensionale richiama quello dell’altare di Ratchis, ma la composizione generale è suddivisa da forme geometriche e vegetali sim- metricamente disposte. FONTE BATTESIMALE Cividale, 737 LASTRA DI SIGWALD È alla base della fonte, di forma rettangolare, rappresenta i simboli dei 4 evange- listi identificati da un cartiglio. I simboli sono inseriti all’interno di tondi con un bordo vegetale ondulato. La lastra è divisa in 2 zone da un’iscrizione: sulla parte superiore vi è una croce, mentre su quella inferiore è scolpito l’albero della vita. LASTRA DI SAN PAOLINO È frammentata e reimpiegata. È costituita da 2 parti: • dx ci sono i simboli degli evangelisti Luca e Giovanni, • sx, all’interno di un cerchio a spina di pesce c’è una rosa e dei gigli contrapposti, sotto la quale si sviluppano rami e radici. TEGURIO Nelle 8 facciate della parte alta, si notano: • 2 pavoni che si dissetano circondati da un tralcio di viti e 3 pavoni che becca- no gli acini. Simboleggia l’anima che diventerà immortale se ci si nutre di Cristo. • 2 agnelli che si nutrono del pane tra alberi di palma e l centro, tra una rosa e un girasole, c’è un kantaros. • 2 cervi che si dissetano, simboleggia il battesimo. • Un tralcio di viti di cui si nutrono pavoni e colombe, mentre 2 agnelli ne man- giano le foglie, minacciati da 2 leoni. Allude al Bene e il Male. • 2 grifi, uno si disseta mentre l’altro bruca una pianta. 5150 Entro le mura del palazzo un piccolo edificio di culto, la Chiesa di Santa Maria in Valle, conosciuta come Tempietto longobardo, aveva la funzione di cappella palatina. Costruita nel 750 circa, presenta un’alta aula a pianta quadrata coperta da volta a crociera e un presbiterio di forma rettangolare suddiviso in 3 piccole navate. Il presbiterio si apre verso l’aula con una triplice arcata in laterizi retta da colonne marmoree. Sulle pareti del presbiterio e dell’aula si conservano tracce dell’antico ap- parato decorativo in marmo, stucchi, affreschi e mosaici; la porta di in- gresso è sormontata da un grande arco. Al di sopra di esso, ai lati della finestra, 2 cornici ornate con motivi a fiori, inquadrano una Teoria di sante e martiri posta in alto ai lati della finestra centrale della parete di ingresso. Le figure di sante e martiri hanno il capo circondato dall’aureola, simbolo della loro santità. Le sante hanno forme allungate, posizione obliqua, vesti eleganti e vivaci- tà; probabilmente erano stati affidati a maestranze bizantine. Le arcate del presbiterio accentuano la dilatazione spaziale del piccolo am- biente che richiama le forme dell’arte paleocristiana e bizantina. Le 2 figure poste ai lati della finestra vestono la tunica e la palla alzata sul capo come avviene durante la cerimonia religiosa. Esse indicano la finestra, in quanto fonte di luce non solo naturale ma so- prattutto divina. Le altre 4 sono in posizione frontale e indossano, secondo l’uso bizantino, un collare gemmato e il diadema; nelle mani reggono i simboli del mar- tirio, la corona e la croce. TEMPIETTO DI SANTA MARIA IN VALLE Cividiale, 750 La chiesa di Santa Sofia a Benevento viene fondata intorno al 760 come cappella palatina ed era in origine collegata con il monastero benedettino. L’edificio ha una pianta di richiamo ai modelli di Costantinopoli; il tutto è generato dall’intersezione tra 2 ambienti diversi, uno circolare, ma mo- vimentato dalla triplice protuberanza delle absidi, e l’altro a stella, che con- ferisce uno bizzarro andamento frastagliato alla struttura perimetrale. Lo spazio centrale esagonale è delimitato da sei colonne di spoglio ed è ricoperto da una cupola; intorno a questo spazio otto pilastri, disposti in senso radiale, e due colonne davanti all’ingresso creano un doppio deambu- latorio coperto da un complesso sistema di volte di forma diversa. 3 absidi semicircolari si innestano sul muro centrale. CHIESA DI SANTA SOFIA Benevento, 760 5352 Questa chiesa è considerata il museo della pittura dell’alto Medioevo Ro- mano, visto che sono presenti cicli di affreschi che documentano i vari passaggi delle epoche nell’alto medioevo. La chiesa fu scoperta nel 1900 all’interno del foro romano, il nome rimanda forse all’icona della Vergine che fu trovata all’interno della chiesa stessa, quindi il nome non deriva da un fattore cronologico. Per quanto riguarda Santa Maria Antiqua, Boni era convinto che si trovasse vicino alla chiesa di Santa Maria Liberatrice che venne poi demolita per cer- care proprio Santa Maria Antiqua, anche se non necessario. Una volta iniziato lo scavo viene alla luce la chiesa nelle vicinanze del Tem- pio di Augusto. L’edificio romano aveva una forma basilicale: l’aula rettangolare divisa in 3 navate. Nello spessore del muro posteriore fu ricavata una piccola abside, e ai lati del presbiterio vi sono 2 piccole cappelle. Nel cortile quadrato che fungeva da vestibolo e lungo le pareti nicchie, forse per statue di imperatori, e tracce di affreschi dell’epoca. La peculiarità di questo edificio sono le pitture che si concentrano nella parete a dx dell’abside che viene chiamata parete del palinsesto, appunto perché essa mostra vari strati con differenti cicli decorativi di differenti epoche. SANTA MARIA ANTIQUA Roma 1o strato: il primo strato a contatto con il muro in laterizio consiste di residui di una malta per una decorazione ad opus sectile. Questa decorazione, probabilmente di età tardoantica (IV-V secolo), è presente anche sulla parete sinistra dell’abside, sulle pareti laterali del presbiterio ed in altre zone della chiesa. 2o strato: il secondo strato è un intonaco dipinto con una fascia bicroma, probabilmente di epoca pre-cristiana. Sono conservati solamente pochi resti a circa ¾ di altezza della zona campione. Lo strato sembra essere presente solamente in quest’area. 3o strato: il terzo strato è il frammento con Maria Regina in trono, adorata da un ange- lo alla sua dx. Il dipinto, in stile severo, tardoantico, è datato al VI secolo ed è stato eseguito prima dell’apertura dell’abside. Questo è indicato dal fatto che il riquadro doveva originariamente estendersi verso sinistra, dove sicuramente per l’iconografia del tempo era presente un altro angelo, con Maria Regina al centro di una composizione simmetrica, fiancheggiata da due angeli. È l’unico frammento di questa fase pittorica nella chiesa. 4o strato: il quarto strato consiste nei 2 frammenti con il viso della Madonna e quello dell’angelo che sostituisce un’annunciazione. Questa fase pittorica, con datazione alla prima metà del VII secolo è caratterizzata da uno stile legato alla tradizione ellenistica. 5o strato: il quinto strato consiste in un intonaco bianco con solo scarse tracce di colore. Lo strato è presente solamente vicino allo spigolo con l’abside, nella quale è conser- vato in vaste zone. Nella calotta dell’abside, lo stesso strato reca brani di pittura sempre frammentari ma più consistenti che documentano una composizione pitto- rica elaborata per questo strato. 6o strato: il sesto strato ricopriva probabilmente l’intera zona absidale e le pareti laterali del presbiterio. La datazione è basata sul testo riportato nei cartigli, 649 d.C. Il basamento dipinto con decorazione a marmo finto è attribuito alla stessa fase pittorica. Numerosi dipinti in altre zone della chiesa sono di questo periodo. 7o strato: il settimo strato consiste nei frammenti dell’ultima fase pittorica sulla parete di fondo (705-707 d.C.). Nella parte alta delle 2 pareti laterali dell’abside e nella grande lunetta soprastante risulta l’unico strato dipinto. Sembra che tutti gli strati precedenti siano stati rimossi prima dell’esecuzione dell’affresco. Icona di Santa Maria Antiqua, ritenuta la più antica basilica romana dedicata alla Vergine. Per quanto riguarda l’icona di Maria, essa fu trasportata a Santa Ma- ria Nuova e ad oggi risulta molto rovinata per le continue ridipinture. Costruita da papa Leone IV (847-855) e non lontana da Santa Maria Antiqua nel Foro Romano. Da confronti stilistici con altre antiche icone questa risulta la più antica che si co- nosca: sembra infatti probabile una datazione ai primi decenni del V secolo d.C. Paragone con Sant’Angelo in Formis È una delle prime rappresentazione che esce dal simbolismo paleocristiano e rappre- senta la Crocifissione “in corpo”. Vediamo la figura di Cristo di proporzioni maggiori rispetto agli altri personaggi; la croce, saldamente ancorata alla terra, si pone al centro della confluenza tra 2 montagne, è perfettamente verticale. Cristo non è appeso alla croce, ma sta in piedi sulla croce, e le sue braccia allargate sono come dilatate in un abbraccio. Ha occhi spalancati e uno sguardo segnato da una profon- da magnanimità. Non mostra segni di dolore e indossa il colobium color porpora, una veste sacerdotale di origine siriaca. Anche Maria è avvolta in un panneggio all’orientale e alza le mani velate; mentre San Giovanni, che tiene un Vangelo tempestato di pietre preziose, fa un gesto benedicente verso di noi, gesto tipico del Pantocratore bizantino. 5958 Le fonti testuali testimoniano la grande diffusione dei monasteri tra il VIII e IX secolo all’interno dei domini longobardi e poi carolingi. Il monastero è sede di una comunità in cui la preghiera si alterna al lavoro. Dotato di una proprietà terriera che ne garantisce l’autosufficienza eco- nomica, il monastero è un centro di preghiera, ma nello stesso tempo è sede di importanti attività produttive. Quando è gestito da un abate, prende il nome di abbazia. Grazie alle donazioni dei sovrani longobardi e poi di quelli carolingi, i monasteri più importanti amministrano territori e patrimoni vastissimi e accolgono tra le loro mura centinaia di monaci. Gli edifici del monastero si organizzano in maniera razionale: corpi di fabbrica rettangolari si dispongono su assi ortogonali intorno a uno spazio aperto, che presto evolverà in un cortile porticato di forma quadran- golare detto chiostro. MONASTERI E ABBAZIE TRA IL VII E IL IX L’impianto originario dell’abbazia di San Gallo, fortemente modificato con le ristrutturazioni, può essere una pianta ideale applicabile a qualsiasi mo- nastero. Realizzato attorno all’612 rappresenta il tentativo, evidente dell’unione dei luoghi di preghiera e di lavoro. Il vasto complesso rettangolare, lungo più di 230 m, era formato da diver- si edifici e trovava il suo centro nella chiesa e nel chiostro. Su quest’ultimo si affacciavano i principali ambienti monastici: refettorio e cucina, cantina e dispensa, dormitorio. Il chiostro offre al monaco una sola visuale verso l’esterno, ossia il cielo. La chiesa abbaziale aveva 2 absidi opposte: • un atrio semicircolare a ovest a cui corrispondeva • un deambulatorio semicircolare a est si tratta di un originale schema che risponde all’esigenza di collocare più altari con le reliquie dei santi il cui culto si diffonde in età carolingia. MONASTERO DI SAN GALLO Svizzera, San gallo, 612 L’abbazia è un monastero autonomo, con propria personalità giuridica, posto sotto la guida di un abate, eletto dalla comunità. È il ruolo di tali figure c noniche che distingue le abbazia dalle altre strutture costruite per comunità di religiosi regolari (priorati, conventi). Il titolo di abate è utilizzato dalla famiglia benedettina e da altre famiglie mo- nastiche, ma è applicato anche per alcune congregazioni di canonici regolari. Le abbazie possono essere esentate dalla giurisdizione del vescovo locale o addirittura godere di un proprio territorio con statuto particolare ex- tradiocesano. I principi architettonici delle abbazie si trovano nel passaggio dalla vita mo- nastica eremitica (individuale) al regime cenobitico (ossia comunitario), ba- sato sulla condivisione di regole di comportamento e di spazi destinati alla vita comune (chiesa, refettorio, dormitorio) e al lavoro. Se la chiesa abbaziale con il cuore monastico è il centro della vita liturgi- ca, il chiostro è lo snodo funzionale e rappresentativo della vita comune. Il termine claustrum nell’Alto Medioevo definisce il recinto chiuso al cui interno si ritirano i monaci, ma a partire dal IX secolo comincia a indicare uno spazio regolare quadrilatero, circondato da portici, oggi comunemente chiamato chiostro. Presso le abbazie si possono trovare inoltre strutture abitative per i lavo- ratori laici o conversi, foresterie per gli ospiti, i pellegrini e i viaggiatori. I complessi abbaziali sono solitamente poli ordinatori di strutture terri- toriali complesse, sia per la rilevanza istituzionale, sia per le implicazioni economiche: l’insediamento circostante l’abbazia, la rete delle dipendenze e dei poderi, le strutture e le attrezzature per la produzione agraria, le reti stradali e irrigue sono fattori che modificano il volto del territorio su scala ampia; al tempo stesso, nonostante la scelta di separazione dal mondo fatta dai monaci, le ab- bazie si pongono come modello di città compiuta e imitabile dalla società urbana. L’ABBAZIA DI CENTULA SAINT-RIQUEUR Francia, Saint riquer, 625 6160 Dell’abbazia di Lorsch, in Germania, si conserva intatta solo la Torhalle, un ingresso monumentale a 2 piani, al piano superiore si trovava un’aula riservata all’imperatore, inquadrato da 2 basse torri con scale. La ripresa del modello dell’arco trionfale, e in particolare di quello di Costantino, è evidente nei 3 fornici d’accesso, separati da semicolonne addossate ai piloni degli archi. L’incredibile ricchezza decorativa interna ed esterna, con una grande aula affrescata a trompel’oeil1 per simulare un loggiato e la facciata coperta da piastrelle policrome, si rifà alla tradizione precarolingia. La struttura, le proporzioni, e alcuni elementi come i capitelli delle lesene, sono invece ispirati all’architettura romana. TORHALLE DELL’ABBAZIA DI LORSCH Germania, 764 Tra i monasteri sorti nel IX secolo va ricordato Mustair, in Svizzera, un mo- nastero benedettino documentato dall’824, nonostante la tradizione ne at- tribuisca la fondazione a Carlo Magno. Nella chiesa si conservano affreschi di epoca carolingia con episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, integrati nel XII secolo. I 5 registri delle pareti laterali raffigurano episodi biblici: • Il primo, situato sopra le volte, ripercorre la storia di re Davide • I 3 registri centrali descrivono la vita di Gesù, richiamando le descrizio- ni del Nuovo Testamento. Dall’alto verso il basso si trovano immagini dell’infanzia, dei miracoli, degli insegnamenti e della passione di Cristo • La parte inferiore quasi completamente rovinate, scene delle opere e del martirio degli apostoli Il registro superiore della parete orientale, sopra le absidi, coperto dalle volte, è occupato da un’ampia Ascensione. Nelle 3 calotte figura il Cristo è raffigurato al vertice del suo attuale regno cosmico, al centro, nella mandorla, compare sul trono, in gloria, circonda- to dai simboli dei 4 evangelisti e dai cori degli angeli. Nella calotta nord Cristo consegna agli apostoli Pietro e Paolo 2 chiavi e un libro, affidando così loro simbolicamente la guida della Chiesa. Nel catino dell’abside sud una croce gemmata con un medaglione con il busto del Messia raffigura la vittoria di cristo sulla morte. Nei registri inferiori delle absidi sono raffigurate scene delle vite dei santi ai quali sono consacrati gli altari: Giovanni Battista al centro (precursore di Cristo), Pietro e Paolo a nord (capi della Chiesa romana) e Stefano (primo martire). La parete ovest ospita il ritorno del Figlio di Dio e il Giudizio Universale. CHIESA DI SAN GIOVANNI Svizzera, Mustair, 780 1la rappresentazione tende a una concretezza tale da generare l’illusione del reale La miniatura carolingia ha il suo centro principale nello scriptorium di Acquisgrana, istituito nel 794 e concepito come centro culturale imperiale, in dialogo con i grandi scriptoria francesi. In esso confluiscono almeno 3 influenze figurative. • La prima è quella proveniente dai territori celtici e anglosassoni, uno stile iconografico caratterizzato da miniature fortemente astratte e decorative. • La seconda influenzea è meridionale, ispirate da una tradizione iconografica bizantina, statica e bidimensionale, • L’ultima è quella romana ed ellenistica, più naturalistica. Dalla corte uscirono testi di lusso, sia per i materiali utilizzati come la porpora, l’oro e l’argento, sia per la decorazione. LA MINIATURA CAROLINGIA EVANGELARIO DI GODESCALCO Uno dei primi codici connessi con la corte del sovrano è l’evangeliario realizzato, su incari- co dello stesso Carlo Magno, tra il 781 e il 783. Scritto in inchiostro color oro e argento su pergamena tinta di porpora, presenta iniziali decorate, un testo suddiviso su due colonne e 6 grandiose raffigurazioni a tutta pagina con i 4 evangelisti, il cristo in trono e la fonte della vita. tipica della prima arte carolingia, la decorazione rivela diversi influssi, dall’arte insulare a quella bizantina e ravennate, oltre a recuperi dell’arte classica. EVANGELIARIO DELL’INCORONAZIONE L’evangeliario dell’incoronazione mostra un realismo vivido e espressivo di matrice classi- ca. Gli evangelisti, a tutta pagina, sono rappresentati come maestose figure di filosofi, con una grande aureola e senza simbolo associato. Sono seduti con naturalezza, san Matteo è persino di profilo, nell’atto di scrivere, su un trono che accenna uno scorcio prospettico, con una posa non statica, mentre alle loro spalle si nota un paesaggio trattato con discreto realismo. Quello che più colpisce è il trattamento pittorico del soggetto: invece di rendere il corpo con contorni marcati che definiscono campire piatte, le tonalità sono rese da passaggi morbidi e graduali di colore. EVANGELIARIO DI SOISSONS La scuola di corte raggiunse il suo apice con questo evangeliario donato poi alla chiesa di saint-mèdard a Soissons, Francia. Qui si verifica una decisiva ripresa dell’antico. Nella pagina raffigurante la fonte della vita il soggetto viene trattato con senso dello spazio e della profondità. FONTE DELLA VITA Nella pagina con la fonte della vita la fonte è un tempietto a pianta centrale con copertura conica sostenuta da colonne, di cui quelle anteriori con basi dorate e capitelli corinzi, mentre quelli posteriori, un tempo argentate, semplicemente scanalate. Nonostante il linguaggio di derivazione classica, il piccolo edificio si staglia piatto sul fondo dorato. Intorno, senza alcun riferimento spaziale e prospettico, una grande varietà di animali tra cui un cervo e un pavone. EVANGELIARIO DI EBBONE Anche negli altri centri dell’Impero si assiste alla ricerca di una nuova espressività. Caratteristico è il tratto mosso e nervoso delle figure di evangelisti di questo evangeliario realizzato per il vescovo Ebbone di Reims all’inizio del IX secolo. Lo sguardo di San Luca, rivolto verso l’alto è espressivo, mentre le vesti sono mosse in- cessantemente. Anche il paesaggio, seppur sintetico, è animato da colline su cui appare il simbolo del bue, legato a San Luca. SALTERIO DI UTRECHT Le miniature mostrano un profondo realismo spaziale: i paesaggi sono in profondità, scan- diti da montagne, alberi e costruzioni classiche. Figurano anche personaggi mitologici già esistenti nell’arte paleocristiana ma assenti all’i- nizio dell’Alto Medioevo, tra cui Atlante. Tale tendenza è presente anche nei manoscritti di carattere laico, fra cui si trovano codici di botanica, zoologia, medicina, ma anche letteratura dell’antichità classica. L’aratea, ad esempio, è un trattato di astronomia di Arato di Soli in cui i corpi celesti sono rappresentati attraverso gli dei e gli eroi pagani a essi associati: i gemelli sono due eroi di matrice romanica. 6362 LE INFLUENZE CAROLINGIE IN ITALIA La storia legata a questo monumento di Roma si fa ricondurre all’epoca di papa Leone III. Il Triclinio Leoniano, si trova in piazza di Porta San Giovanni, presenta una grande nicchia a mosaico ricostruita, a frutto di un restauro, nel secolo XVIII secolo d.C., che fu posta a ricordo del palazzo papale che si esten- deva fino qui. Nei 2 quadri musivi posti ai lati del catino sono raffigurati: • a sinistra Cristo che seduto, consegna a San Pietro le chiavi simbolo del potere religioso e a Costantino il vessillo insegna del potere politico • sull’altro lato invece c’è San Pietro, seduto che consegna il pallio a Papa Leone XIII e il vessillo a Carlo Magno. la struttura attuale risale alla fine del 1500 quando Papa Sisto V diede ordine di demolire il vecchio palazzo del Laterano, preservandone però il Triclinio Leoniano. RESTI DEL TRICLINO LEONIANO Roma, piazza s. Giovanni L’adesione della cultura artistica lombarda al mondo carolingio è in primo luogo testimoniata da un’opera dell’oreficeria medievale: l’Altare di Vuolvinio in Sant’Ambrogio, concepito tra l’835 e l’850 d.C. per il presbiterio appena rinnovato della chiesa milanese. Come risulta da un’iscrizione fu offerto dall’arcivescovo alla basilica di Sant’Ambrogio. Il committente Angilberto è raffigurato su una delle formelle in argento nell’atto simbolico di offrire l’opera a Sant’Ambrogio che lo incorona. Fatto piuttosto inconsueto per l’epoca, anche l’autore si firma su una delle formelle Vuolvinius e si autoritrae mentre riceve come Angilberto la corona da Ambrogio. Le lamine d’oro e d’argento sbalzate e impreziosite da gemme e da smal- ti cloisonné1 collocati in alveoli ottenuti da lamine preventivamente model- late sulle cornici che inquadrano le formelle. La sua funzione è allo stesso tempo di altare e di sarcofago, reliquiario, foderato internamente di seta e apribile sul retro grazie a 2 sportelli. Conteneva i corpi dei Santi Ambrogio, Gervasio e Protasio. Sul fronte della cassa è raffigurato al centro, Cisto trionfante attorniato da 8 formelle con apostoli e simboli degli evangelisti, alle quali si affiancano altri 12 pannelli. Sul retro della cassa, attorno ai 2 sportelli rettangolari, dove sono raffigurati Vuolvinio e Angilberto, sono altre 12 placchette con la vita di Sant’Am- brogio. Se a Vuolvinio si deve certamente l’idea generale e dei fianchi, i panelli sul fronte, stilisticamente diversi, appartengono alla mano di un altro maestro. L’effetto monumentale dei suoi rilievi a sbalzo è dato dall’equilibrio fra pieni e vuoti; le figure fortemente plastiche si accampano su uno spazio di- radato ma non per questo privo di allusioni prospettiche. Anche il riflesso delle luci sul metallo è sapientemente valutato per far ri- saltare il modellato. Nelle formelle dell’altro maestro sono invece accentuati il pittoricismo e la rapidità degli atti, con analogie rispetto a opere carolingie, come gli affreschi di Castelseprio. ALTARE D’ORO DI SANT’AMBROGIO DI VUOLVINIO Milano, 835-850 1 sorta di mosaico le cui tessere sono circoscritte esattamente dai listelli metallici Interessante osservare come i personaggi siano ritratti negli abiti del loro tempo. Nella semicupola, infatti, gli apostoli, disposti ai lati di Cristo, indossano come quest’ultimo toghe di foggia romana. Al collo portano la stola, simbolo del ruolo sacerdotale. Curioso il particolare del numero degli Apostoli, 11 e non 12. Probabilmente sarà andato perso uno mai reintegrato, oppure stato eliminato Giuda. Nell’estradosso, sia Leone III che Carlo Magno indossano gli abiti della loro epoca (che era anche quella in cui fu realizzato il mosaico). Curiosamente, anche San Pietro e Costantino utilizzano lo stesso abbigliamento. Essi, inve- ce, avrebbero dovuto indossare un abbigliamento di foggia romana. Non si può non apprezzare la raffinata ghirlanda di fiori e foglie che orna il perimetro della semicupola. Nella parte superiore dell’abside, il motivo dei pesci rimanda alla figura di Cristo. L’iscrizione che corre intorno al perimetro dell’abside, riporta il ben noto verso del Gloria in Excelsis Deo. Ovvero: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. 6968 L’ARTE ROMANICA arte Medievale in Europa dopo il Mille Il termine romanico viene oggi adottato per identificare la produzione arti- stica sviluppatasi in Europa tra la fine del X e la prima metà del XII secolo. Le origini della cultura artistica romanica sono da rintracciarsi nella trasfor- mazione politica e sociale che coinvolge l’Europa nei primi 2 secoli dopo l’anno Mille. Terminate le ultime invasioni che avevano contribuito a disgregare l’Im- pero carolingio, si avvia un periodo di progressivo sviluppo economico e sociale: le epidemie scompaiono temporaneamente e le nuove tecniche agricole garantiscono maggiori risorse alimentare. Questi elementi fanno crescere la popolazione europea e fa riprendere i co merci. Anche nell’assetto politico europeo si verificano complessi cambiamenti dovuti allo scontro tra impero e Chiesa e al passaggio da una società feu- dale a una fondata sulle economie cittadine. I nuclei abitati riacquistano le caratteristiche di centri urbani dinamici e den- samente abitati. La città medievale non è costruita secondo un impianto urbanistico pre- determinato e il suo aspetto è per lo più il risultato l’adattamento delle accidentalità del terreno o al riutilizzo di costruzioni preesistenti. Le mura sfruttano spesso le naturali irregolarità del territorio con funzione difensiva. La grande densità abitativa porta a costruire edifici che si sviluppano pre- valentemente in altezza, con strade molto strette. L’aumento della popolazione porta a inglobare anche i sobborghi che sorgono al difuori delle mura mentre, all’interno della città, si struttura lo spazio religioso, quello del potere e quello del commercio organizzati su 1 o 2 piazze. Nell’elaborazione delle immagini è evidente il ruolo dei testi biblici ed evangelici, affiancati dai vangeli apocrifi e leggende. Tuttavia i temi iconografici sono arricchiti dalle conoscenze provenienti dall’ambito laico, dai testi di cultura classica e dai trattati enciclopedici medievali. Nasce una concezione simbolica della natura e del cosmo: ogni essere e ogni fenomeno è manifestazione del divino. Gli enciclopedisti, gli artisti e gli scultori, non cercavano una conoscenza diretta del reale ma usano come fonti la letteratura dell’antichità classica oltre che le leggende contemporanee. Ugualmente intesi a un insegnamento morale sono i bestiari, brevi trattati che descrivono l’aspetto e le proprietà di animali reali o immaginari, tra cui la chimera, la sirena, l’unicorno o il grifone. Per quanto riguarda l’ambito ecclesiastico la fantasia dell’uomo medievale è popolata di paure incarnate da esseri diabolici e mostruosi che, secon- do le narrazioni del clero, tentano continuamente di far deviare i fedeli dalla via della fede e della salvezza eterna. Nella cultura medievale il bene e il male sono chiaramente distinti e ri- conoscibili, e nelle composizioni figurative spesso sono simmetricamente contrapposti. Gli esseri pericolosi, che incarnano il male, sono raffigurati con caratteri in grado di renderli facilmente riconoscibili. Per tutto l’XI e il XIII secolo sono raffigurati con code animalesche, corpi smagriti, capigliature scomposte, bocche enormi e grandi denti. Le ali sono piumate finché, intorno al XIII secolo, iniziano a richiamare le forme delle ali dei pipistrelli. Gli atteggiamenti aggressivi di queste creature e le espressioni feroci dei vol- ti rendono i demoni terrificanti e spaventosi agli occhi dei fedeli dell’epoca. L’uomo medievale si sente perennemente sottoposto a tentazioni diaboli- che, costantemente raffigurato nelle chiese con funzione di monito. Le raffigurazioni di esseri demoniaci intenti a inseguire, divorare o tor- mentare esseri umani che hanno ceduto alle loro tentazioni si concentrano sopratutto nei punti di accesso allo spazio sacro. Inoltre, in una società in cui il tempo quotidiano è scandito dai ritmi natu- rali dell’alternarsi delle stagioni e delle attività rurali, la rappresentazione del concetto astratto del tempo e degli elementi cronologici prende forma attraverso simboli e personificazioni che utilizzano soggetti della società medievale e recuperano modelli figurativi antichi come i segni zodiacali. I mesi e le stagioni sono spesso rappresentati attraverso le personificazioni che riflettono la realtà quotidianità. IMMAGINARIO MEDIEVALE 7170 La produzione scultorea si concentrò nella decorazione di elementi architettoni- ci che costituivano le chiese, quali capitelli, portali, archi e cornici. Venivano scolpiti anche gli arredi liturgici come acquasantiere, cattedre, pulpiti fonti battesimali. Nella scultura romanica, infatti, il capitello assume una nuova funzione narrativa. Gli scultori dispongono le figure sulle superfici limitate dei capitelli sintetizzando le scene sacre e disponendo le figure su un angolo, in modo da creare continuità tra le facce e poter sviluppare la narrazione su più lati del capitello. Le figure, pur essendo poche ed essenziali sono fortemente espressive e collocate in un ambiente ben definito. Queste caratteristiche derivano da un linguaggio barbarico, rielaborato duran- te il periodo carolingio tramite la ripresa di una impostazione classica. Accanto a queste rappresentazioni figurate si dispiegò un ampio repertorio varie- gato di decorazioni fitomorfe e zoomorfe. La scultura a tutto tondo, tipica della statuaria classica ma pressoché scomparsa nell’alto medioevo, continuò ad essere, almeno inizialmente, rarissima. Nelle chiese il fulcro sacro dell’edificio è costituito dall’altare e dalla zona pre- sbiteriale, mentre le aree di accesso e le navate laterali sono considerate zone marginali. Temi quali pavoni o uccelli che si abbeverano hanno un rimando eucaristico e possono decorare i capitelli scolpiti vicino all’altare. Immagini mostruose, fantastiche o dal valore negativo possono trovarsi presso le porte, lontano dall’altare. Nel corso del XII secolo si rafforza poi l’utilizzo della struttura dei portali come luogo privilegiato delle immagini simboliche, connesse sopratutto al tema dal giudizio finale e alla fine dei tempi. La porta diventa una soglia simbolica che separa il mondo profano, del peccato, da quello sacro, della salvezza. In seguito la lunetta, ovvero tra l’architrave e l’archivolto, assumerà sempre più rilevanza e dimensione, accogliendo ampi programmi figurati organizzati su più registri. I temi dominanti nelle porte sono quelli della 2a venuta di Cristo e del giudizio universale, che rimandano alla decisione ultima con la quale verrà stabilita la salvezza o l’etera condanna. LA SCULTURA NELL’ARTE ROMANICA SCULTURA LIGNEA Il Romanico privilegiò la scultura in legno, che era diffusa ovunque. I soggetti principali furono le Madonne in trono con bambino e i grandi croci- fissi. Molte di queste sculture avevano lo scopo di reliquiario, infatti avevano delle ca- vità in cui venivano inserite le reliquie. Per questo motivo non sono state preservate come tutte le opere d’arte, poiché ave- vano un utilizzo, sono state più volte soggette a modifiche o adattamenti. Nelle chiese romaniche si assiste a un ripensamento del rapporto tra lo spazio riservato al clero e quello utilizzato dai fedeli, preti e monaci costituiscono un gruppo sociale ampio e ben distinto dai comuni fedeli, delegato dall’intera co- munità cristiana a pregare per la salvezza collettiva. Il presbiterio, ovvero l’intera area riservata al clero viene così ampliato aumentando la profondità dell’abside mag- giore e creando davanti all’altare principale un coro. La chiesa romanica si presenta in genere come un organismo a pianta longitudinale, spesso dotato di transetto, dalla forma detta a croce latina. L’utilizzo frequente di coperture in muratura comporta la costruzione di pareti di grande spessore capaci di so- stenere il peso e di contrafforti, pilastri incorporati nel muro perimetrale che contrastano la spinta esercitata dalle volte sulle pareti. Allo stesso scopo per suddividere le navate vengono utilizzati pilasti o colonne massicce. In molte zone di diffusione del romanico prevale la volta a crociera. All’esterno, portali con profonde strombature, spesso preceduti da un protiro, sono ricavate dallo spessore del muro a scopi decorativi. All’interno la maggiore altezza della navata centrale rispetto alle laterali è a volte compensata dal matroneo, una galleria costruita sopra le navate laterali e affacciate su quella centrale, che non assolve più la funzione di ospitare le donne, ma serve a creare una controspinta alle volte della navata centrale. Nell’architettura romanica prevale l’arco a tutto sesto sebbene esistano rari casi di utilizzo dell’arco a tutto sesto acuto che troverà invece ampia diffusione nel periodo gotico. L’arte romanica presenta alcune caratteristiche diverse in relazione al luogo e alla cultura di appartenen- za, ma elementi comuni sono rintracciabili nelle opere realizzate in diverse regioni d’Europa. L’organismo architettonico di maggiore interesse, nel quale si concentra la sperimentazione architettonica, è la chiesa. Nelle architetture romaniche la continuità con le forme del mondo antico è evidente nell’uso dell’arco a tutto sesto, della colonna, del pilastro e della volta, elementi che si fondono spesso con retaggi derivati dal mondo arabo e bizantino. Scultura e pittura acquisiscono una sempre maggiore integrazione con l’architettura, divenendo stru- menti di narrazione ad alto valore didattico e morale. Anche i soggetti non strettamente religiosi vengono comunque interpretati in chiave cristiana. LA CHIESA ROMANICA ARTE ROMANICA 7372 L’ARCO In tutti gli edifici l’arco trova ampio spazio di impiego sia come elemento di raccordo tra i sostegni verticali, sia come elemento portante di sostegno delle volte. In diversi casi è anche utilizzato con funzione strutturale e funzione strutturale di scarico del peso delle murature su pilastri, murature, contrafforti e fondazioni evitando che queste gravino eccessivamente sulle murature e sugli archi sottostanti. In esterno, sopratutto in Italia, archi ciechi si susseguono sul perimetro esterno delle murature con funzione deco- rativa e di rinforzo delle murature. Gli archetti pensili collocati in corrispondenza delle cornici hanno invece una funzione prevalentemente estetica. Gli archi sono utilizzati come soluzione formale funzionale all’apertura di portali e finestre nelle robuste mura- ture. FACCIATE 2 sono le tipologie principali: la facciata a capanna e quella a salienti, che richiama in esterno la divisione delle navate. La facciata è scandita per mezzo di lesene, archi e portali. Il portale è sovrastato da finestrelle o gallerie, e talvolta è introdotto da un portico o un protiro, una struttura sporgente a baldacchino, con colonne e volta a copertura. LA LUCE In questo contesto la luce ha un ruolo determinante. Poiché gli spessi muri esterni devono sostenere il peso delle volte, nella chiesa romanica le finestre hanno un’ampiez- za ridotta e, per convogliare meglio l’illuminazione dell’esterno, diventano strombate, monofore, bifore o trifore. La luce entra radente, mentre la basilica paleocristiana era caratterizzata da una luminosità diffusa. Il punto più luminoso è quello degli altari, illuminati dall’alto attraverso le aperture del tiburio o della torre che si eleva sulla crociera e dalle finestre absidali. LE MAESTRANZE L’esperienza dei costruttori modifica con il tempo le pratiche costruttive. All’interno del cantiere, il progetto spetta all’architetto, il quale opera scelte sulla base delle esigenze, delle disponibi- lità economiche e tecniche. Il responsabile della messa in opera e del suo coordinamento è l’aedificatore a cui sono sottoposti gli artifices, (taglia- pietre, scalpellini e scultori). LA CAMPATA Lo spazio, a base quadrata o rettangolare, che si trova al di sotto di una volta ed è delimitato da arcate rette da pilastri. L’elemento base di tutta l’architettura romanica, in quanto è un modulo replicabile secondo un sistema propor- zionale, che conferisce un carattere fortemente razionale all’edificio. Lo spazio interno di una chiesa romanica è costituito dalla successione di un numero variabile di campate, in generale uguali tra loro nella navata centrale e proporzionalmente ridotte della metà nelle navate laterali. Questo rapporto 1:2 tra le campate della navata centrale e quelle delle navate laterali dà origine anche al sistema alternato del sostegno: le volte delle campate della navata centrale sono di norma sorrette da sostegni forti, pilastri com- positi o a fascio, mentre le campate delle navate laterali sono rette da sostegni deboli o colonne. Le campate assolvono anche a una fondamentale funzione statica, assorbendo le spinte laterali generate dagli archi, fino a scaricarle oltre la facciata e i muri perimetrali, nei contrafforti, robusti pilastri addossati alla facciata che assorbono le spinte laterali. COPERTURE La copertura a volta fu adottata dapprima in spazi piccoli, come la cripta, e in seguito, quando si è riusciti a risol- vere i problemi di statica e distribuzione dei pesi, anche nelle navate laterali e in quelle centrali. Le volte potevano essere a botte o, più spesso, a crociera: • Volte a botte: inizialmente per le coperture della navata principale è utilizzata la volta a botte semicilindrica, ma la sua forma genera un gioco di forze che tende a spingere le pareti di sostegno verso l’esterno destabilizzando la struttura. I muri di sostegno sono così irrobustiti in modo da neutralizzare l’effetto delle forze oblique. L’ispes- simento dei muri determina anche la riduzione in numero e in ampiezza delle aperture. • Volte a crociera: l’uso delle volte a crociera permette di concentrare le forze in punti precisi dove vengono co- struiti i contrafforti, elementi di rinforzo in grado di assorbire le spinte generate dagli archi della volta attraverso un effetto di contropunta. Ciò consente di ridurre lo spessore delle murature e di ampliare le aperture delle finestre. Una difficoltà tecnica rilevante fu quella di sostenere il peso delle volte in muratura, in particolare le crociera, che, a differenza di quelle a botte, scaricano il proprio peso non su una superficie continua, ma solo sui 4 angoli della struttura. Il problema fu risolto sostituendo quasi ovunque la colonna al pilastro. Inoltre nel medioevo si sono però perse le competenze per lavorare con la concrezione cementizia, dunque si sperimenta la realizzazione di volte in pietra, la cui realizzazione viene spesso affidata a maestranze itineranti specializzate. IL PILASTRO La sperimentazione e la varietà caratterizzano le soluzioni nei sistemi di sostegno, con pilastri compositi tra i quali pre- dominano quello cruciforme, con sezione quadrangolare e quattro semicolonne o lesene addossate a ciascuna faccia, e quello a fascio, concepito come un blocco di colonnine riunite in fascio. ELEMENTI CARATTERIZZANTI 7978 VENETO L’attuale basilica di San Zeno venne realizzata sul luogo dove almeno altri 5 edifici religiosi erano stati edificati in precedenza. Sembra che la sua origine sia da ricercarsi in una chiesa edificata sulla tomba di san Zeno di Verona. L’edificio venne riedificato all’inizio del IX secolo. Intorno alla fine dell’XI secolo e all’inizio del XII, si diede così mano a un grandis- simo progetto di rinnovamento della chiesa in stile romanico. La facciata a salienti presenta decorazioni di archetti pensili, lesene, un rosone, una loggia con bifore e protiro. Nella parte centrale della facciata si possono distinguere 2 zone: • quella inferiore comprendente il portale e il protiro • quella superiore con il rosone e il timpano Ugualmente alle parti laterali, anche quella centrale termina con un cornicione ad archetti posto sotto gli spioventi. All’interno, la navata centrale è coperta da una copertura lignea. Malgrado la divisione in 3 navate con robusti pilastri romanici a fascio alternati a colonne, manca una netta scansione a campate: lo sguardo del fedele è condotto verso la zona del presbiterio che, è delimitata da un pontile e sopraelevata su un’am- pia cripta voltata a crociera. ROSONE (stile gotico) Il rosone è decorato da 6 statue che raffigurano le alterne fasi della vita umana. Essa risulta divisa in 12 settori da altrettante paia di colonnette di marmo rosso a fusto esa- gonale, ornate da capitelli a foglie e a figure animalesche. Al centro vi è un cerchio internamente aperto e coronato di 12 lobi. Esternamente è circondato da una ghiera a 3 gradini in marmo bianco e azzurro, terminante in una cornice in pietra che funge da raccordo con le lesene. PROTIRO Il protiro è stato realizzato nel XII secolo e possiede una forma molto semplice, senza strom- batura, che copre con il baldacchino ad unica cuspide il portale centrale. Nel protiro convivono 3 tipi di rappresentazioni, quelle • sacre relative alla vita del Santo • politiche relative alla nascita del comune • profane rappresentate dai mesi e dai mestieri collegati All’interno, nella lunetta, vi è un bassorilievo raffigurante la Consacrazione del Comune veronese. Ai lati del protiro e del portale sono collocati 18 altorilievi risalenti al XII secolo, disposti a coppie sotto delle arcatelle e separate da una piccola lesena, a sua volta decorata con motivi vegetali e figure zoomorfe. Le scene nei bassorilievi presentano sia soggetti sacri, tratti dal Nuovo e Antico Testamento, sia soggetti profani. PORTALE BRONZEO L’ingresso principale della basilica è chiuso da un celebre portale bronzeo realizzato in epo- che diverse e da diversi maestri. Esso è costituito da un totale di 73 formelle di bronzo di varie dimensioni fissate ad ante di legno per mezzo di chiodi di ferro. Di queste nelle 48 più grandi sono rappresentate scene dell’Antico e Nuovo Testamento, i miracoli di San Zeno e 2 formelle che fungono da maniglia. Ogni formella è il risultato di piccole e separate fusioni, un metodo di realizzazione semplice e che permetteva di ovviare facilmente a eventuali errori. Utilizzate maschere come elementi decorativi. DUOMO DI SAN ZENO Verona CREAZIONE DI ADAMO A sx Adamo è adagiato su un riquadro decorato con girali vegetali che stilizzano forse la forma di un albero, raffigurato obliquamente, in una posizione abbandonata: il capo posato sulla mano destra, le gambe piegate, il braccio sinistro disteso e con la mano sul ginocchio sinistro. Sulla dx Dio, sul suo solito piedistallo, viene questa volta scolpito di tre quarti e sta impo- nendo la sua benedizione su Adamo, mentre trattiene il panneggio della veste con la mano sinistra. I capelli sono ondulati, e in questo caso la barba è minuziosamente lavorata a riccioli minuti e fitti. CREAZIONE DEGLI ANIMALI la scritta che corre ordinatamente in alto, racchiusa tra 2 motivi geometrici. La scena è costituita di 3 sezioni; • a sx si trova Dio • a dx in basso gli animali che abitano la terra e sopra • in una stretta fascia, gli uccelli Niccolò nel rappresentare Dio scolpisce un’imponente figura, molto più rilevata rispetto alle altre, e occupa tutta l’altezza del riquadro. Il Creatore è caratterizzato dal nimbo crocifero, e colto nell’atto di benedire gli esseri cui ha appena dato vita col compito di popolare il mondo. La morbida veste drappeggiata si stringe sul robusto fianco destro ed è trattenuta davanti dalla mano sinistra; la mano destra è alzata CREAZIONE DI EVA Nella parte sx del riquadro il Creatore allunga la mano destra ad afferrare con fer- mezza il polso della prima donna, che nasce in questo momento dalla costola di Adamo addormentato. PECCATO ORIGINALE Lo sfondo questa volta è liscio e la scena è racchiusa da una semplice modanatura, sfondata dalla chioma tonda dell'albero, sul cui fusto si attorciglia un lungo serpente, e tra le cui foglie si intravedono dei frutti. I progenitori stanno finalmente in piedi, ancora di profilo, l'uno a sx dell'albero, l'altra a dx. Adamo sta già addentando il frutto proibito, e nel contempo allunga il braccio sx die- tro il tronco ad afferrare quello che Eva furtivamente gli porge, mentre a sua volta prende con la sx il pomo che il rettile maligno le sta offrendo con le fauci aperte. Niccolò volle qui rappresentare 2 momenti immediatamente successivi: quello in cui Eva porge il frutto ad Adamo e quello in cui egli lo addenta, men- tre la donna sta prendendo quello destinato a sé. Il rilievo successivo è la Cacciata dal Paradiso. A sinistra del protiro, nei primi due riquadri in basso sono raffigurate due scene di duello, in altri dieci riquadri sono raffigurati tredici episodi della vita di Gesù tratti dal Nuovo Te- stamento. In basso, immediatamente sopra lo zoccolo marmoreo della facciata, si trova scolpito un motivo a cassette con all'interno alcuni animali e mostri. Sulla facciata della chiesa di San Zeno, a destra del bellissimo protiro sono murati alcuni rilievi marmorei raffiguranti episodi del Vecchio Testamento e 2 scene di caccia, firmati da Niccolò. (Allievo di Willigelmo) (realizza Sagra di San Michele Piemonte , lunetta del protiro a Ferrara) Le due lastre del registro inferiore riportano il tema della Caccia infernale di Teodorico, che riprende un’antica leggenda germanica, durante la caccia viene trascinato agli inferi. 8180 La Cattedrale di Santa Maria Assunta è la costruzione più antica presente nella laguna: consacrata nel 639, è un esempio di stile veneto-bizantino. Essa fu poi riedificata nel 1008, anno della nuova dedicazione a Santa Maria Assunta: a tale ricostruzione ex novo risale l’attuale struttura della catte- drale. L’edificio ha una pianta basilicale, ha una facciata in laterizio composta di 12 lesene, collegate in alto da archetti a tutto sesto, ed è scandita da finestre. L’interno è diviso in 3 navate da 18 colonne di marmo, con capitelli in stile corinzio di epoche diverse. La controfacciata è interamente occupata da un mosaico raffigurante il Giudizio Universale mentre il presbiterio è separato dalle navate attra- verso un’iconostasi, formata nella parte alta da sottili colonne marmoree con capitelli bizantini e, in basso, da bassorilievi di pavoni e leoni e da una serie di tavole lignee con immagini sacre a fondo dorato. In alto, nel timpano, la Crocifissione, con la sola presenza della Vergine e di San Giovanni Evangelista. E’ usuale per i bizantini raffigurare la Vergine sotto la cupola dell’abside. Al di sotto è rappresentato un Cristo che calpesta il demonio e le porte degli Inferi; ai suoi fianchi si snoda il corteo dei salvati dal Limbo. Ancora sotto si trova il Giudizio finale, con il Cristo giudice dentro la mandorla di luce affiancato dal Battista e dalla Vergine, e dai 12 Apostoli e dietro degli Angeli. Si vede poi, al di sotto, l’Adorazione del trono vuoto, con angeli che suonano i corni e ai loro fianchi i morti che risorgono dal mare e dalla terra. Sopra la lunetta dell’ingresso è invece rappresentato a sx un angelo con bilancia, affiancato da demoni, che giudica (pesa) un’anima, a sx c’è una schiera di Eletti, e a dx corpi mozzi di dannati. Nell’ultimo registro sono poi rappresentati il paradiso e l’Inferno: sulla sinistra la porta del Paradiso con Madonna e alcuni santi e patriarchi in un giardino fiorito; sulla destra riquadri con scene di torture infernali. La decorazione spetta in gran parte a maestranze veneziane della fine dell’XI secolo o al massimo dell’inizio del XII. CATTEDRALE DI SANTA MARIA ASSUNTA Isola di Torcello Nel panorama delle città italiane sedi di importanti cantieri romanici, Venezia costituisce un caso a sé, caratterizzato dalla presenza dei canali d’acqua che lo attraversano e il contatto con l’Oriente. Nel 1063 fu fondata la basilica di San Marco, accanto al palazzo Ducale, su un’an- tica preesistenza risalente all’IX secolo, usata fino ad allora come cappella ducale e per conservare le reliquie di San Marco. L’edificio è una libera interpretazione della pianta a croce greca; si accede all’interno attraverso il nartece disposto su 3 lati, formato da campate cupola- te e rivestite di mosaici. Lo spazio della chiesa si distribuisce lungo 4 bracci divise in 3 navate da colonne e pilastri. Le navate centrali sono caratterizzate dalla presenza di 5 cupole alternate da grandi archi voltati, le navate laterali sono coperte a botte. La zona presbiteriale si erge su un’ampia cripta e termina sul fondo con 3 absidi. Il fronte anteriore della chiesa è suddiviso in 3 ordini: 1. uno inferiore, formato da 5 portali strombati 2. l’altro superiore, costituito da una terrazza sullo sfondo di 5 archi ciechi, 3. quello centrale, più ampio, ospita la quadriga di cavalli in bronzo giunta a Ve- nezia dopo la conquista di Costantinopoli, nel 1204 Intorno alla metà del 1200 le cupole originarie in muratura vengono rico- perte da strutture lignee rivestite da una sottile lamina in bronzo. Per quanto riguarda la decorazione musiva accanto al portale che immette alla chiesa si aprono alcune nicchie nelle quali sono accolti mosaici che rappresentano la madre di Dio, gli Apostoli e, nel registro inferiore, gli Evangelisti. Questi mosaici fanno parte della 1acampagna decorativa della chiesa. I restanti mosaici dell’edificio vennero aggiunti a partire dalla seconda metà del XII secolo, da artisti bizantini e veneziani. I mosaici dell’interno, per lo più del XII secolo, si ispirano ai princìpi dell’arte bizantina. Il Cristo Pantocratore nel presbiterio sta al centro di un trono gemmato, con la mano dx alzata in segno di benedizione e la sx che tiene il Libro aperto, ornato di pietre preziose che simboleggiano il valore spirituale del suo annuncio. Attorno 4 evangelisti scrivono l’inizio del proprio Vangelo. Al di sotto si trova la Vergine Maria, e ai suoi lati 2 donatori. Tutte le scene musive, immerse nell’oro che, secondo la tradizione orientale, sim- bolo della luce divina, sono completate da iscrizioni in lingua latina: brani bibli- ci, puntualmente trascritti o ripresi in forma riassuntiva, oppure preghiere e invoca- zioni in forma poetica medievale. Così come i marmi che decorano le superfici interne ed esterne e anche le co- lonne e i capitelli erano per la maggior parte materiali di spoglio provenienti da battaglie e crociate portate qui dai veneziani come bottino di guerra. I capitelli, soprattutto, richiamano il mondo bizantino con le loro forme tron- co-piramidali e le decorazioni vegetali e isomorfe che ricoprono completamente le loro superfici. Un esempio sono i pilastri acritani, bottino di guerra derivato da una battaglia tra Venezia contro i genovesi a Costantinopoli. BASILICA DI SAN MARCO Venezia Importante la deposizione in corrispondenza del pilastro del miracolo= leggenda narra che lì fosse stati ritrovati i resti di S Marco 8382 EMILIA-ROMAGNA Nel 1099 iniziano i lavori per la costruzione della cattedrale di Modena. Il progetto e la direzione dei lavori sono affidati a Lanfranco, che per le sue spiccate competenze progettuali e tecniche dimostrate nella costruzione della cattedrale, è talmente apprezzato da essere definito mirabilis artifex, come riporta un’epigrafe murata all’esterno dell’abside. Sono presenti delle miniature che descrivono Lanfranco che dirige i lavori, e ci sono gli artificex con la capiglatura ordinata e i manovali disordinata. Un’altra mostra il collegio dei Vescovi indetto per spostare temporaneamente il Santo, ed è presente Matilda di Canossa che cerca di convincerli (è colei che ha voluto la costruzione del Duomo, contro il volere del Vescono, che era antipapale, per ravvicinarsi al Papa) Lanfranco per convincere il collegio costruirà per prima la cripta per riporre il Santo il prima possibile. La facciata è a salienti corrispondenti alle diverse altezze delle 3 navate interne; il blocco della navata centrale è inquadrato da 2 contrafforti sporgenti e il portale centrale è sovrastato da un protiro sostenuto da 2 leoni stilofori. Il grande rosone e il pontile interno si devono ad un intervento nel XIII sec. La cattedrale di Modena presenta un impianto simile a quello di Sant’Ambrogio a Milano, originariamente invece doveva assomigliare a Santa Maria Maggiore: è suddivisa in 3 nava- te concluse da absidi; è priva di transetto e ha un ampio presbiterio soprelevato su una cripta. La copertura originale era a capriate lignee, come nelle chiese paleocristiane: pilastri compositi per le campate della navata maggiore, colonne per la scansione delle navate late- rali. Lanfranco rifiuta il sistema di copertura più innovativo dell’epoca, le volte a cro- ciera, (aggiunte poi nel XV secolo) preferendo una maggiore unitarietà dello spazio interno, associando una continuità tra esterno e interno. Sulla navata centrale si apre un falso matroneo, una sequenza di trifore che non affacciano su uno spazio praticabile. Il motivo architettonico delle trifore inquadrate da arcate cieche si ripete anche all’esterno, lungo tutto il perimetro. La cattedrale di Modena costituisce un esempio ben conservato di architettura medieva- le e un modello fondamentale per la conoscenza dello stile romanico. Nell’edificio l’architetto Lanfranco ha associato i caratteri dell’architettura paleocristiana, visibili nella pianta e nelle coperture lignee, con elementi del linguaggio romanico, quali l’alta cripta, i pilastri compositi delle navate e le trifore ad archetti poste all’esterno e all’in- terno. CATTEDRALE DI SAN GEMINIANO Modena MAESTRANZE A livello scultoreo il lavoro dei tanti maestri scultorei che sottostanno alle dipendenze e sotto la guida di Wiligelmo ha esiti importantissimi per la cultura e l’arte dell’epoca. I vari maestri, anonimi, sono identificati con nomi desunti dalle opere da loro scolpite. Il maestro di San Geminiano è autore delle scene, inserite nel portale dei principi, in cui si narrano la vita, la morte e la traslazione del campo del santo patrono. Al maestro di Artù si deve la narrazione delle storie scolpite nel portale della pescheria tratte dal ciclo arturiano. Al maestro delle metope si deve la lavorazione delle metope scolpite con soggetti allegorici e poste in origine al culmine dei contrafforti della navata. Tra le più celebri si annovera la metopa con gli antipodi, 2 figure sedute, in posizione speculare ma ribaltata, che ricordano un popolo leggendario posto ai confini della terra, immagine simbolica della potenza creatrice di Dio. I rilievi in pietra del duomo di Modena sono stati realizzati nel XII secolo. Wiligelmo, il cui nome compare nell’epigrafe ha scolpito retta da Enoch ed Elia, sicco- me sono beati sin da vivi, gloria terrena, stanno prima delle entrate. Su ciascuna lastra la narrazione si svolge da sx verso dx. 1. Il racconto della Creazione si apre con la figura di Dio nella mandorla, sostenuta da 2 angeli. Dio effonde la vita in Adamo, Eva è creata dalla mano del Padre mentre Adamo dorme sulle rive di un ruscello definito da movimentati segni curvilinei. La narrazione si conclude con la scena del peccato originale. 2. Nella 2a lastra le conseguenze del peccato sono rappresentate dal rimprovero di Dio e dalla cacciata dal paradiso a opera dell’angelo; la vita terrena è rappresen- tata dalla fatica del lavoro. 3. Nella 3a lastra Abele e Caino offrono a Dio i frutti del proprio lavoro. L’invidia di Caino per il favore di Dio verso Abele si manifesta nell’uccisione del fratello. Nell’ultima scena, Caino è al cospetto di Dio che gli chiede dov’è suo fratello. 4. Nell’ultima lastra, il cieco Lamech uccide Caino scoccando una freccia; al cen- tro l’arca di Noè, richiama l’episodio del Diluvio universale e la conseguente salvezza di Noè. Ispirato dai sarcofagi classici romani, Wiligelmo unifica la narrazione con una cornice ad archetti traforati sostenuti da colonne e peducci e conclusa da una trabeazione decorata. I tratti accompagnati da didascalie incise palesano il significato di alcuni epi- sodi. La scultura a tema religioso del periodo romanico aveva lo scopo di istruire i fedeli sui principi della fede e i rilievi di Wiligelmo, attraverso un linguaggio chiaro, immediato, consentono al fedele di comprendere l’insegnamento. STORIE DELLA GENESI DI WILIGELMO Oltre ai temi tratti dall’iconografia religiosa, nelle chiese romaniche ricorrono, anche se più rari, temi legati a storie profane o cavalleresche. Una delle più originali e precoci rappresentazioni si trova nella porta della pesche- ria, sul lato settentrionale della cattedrale di Modena, realizzato intorno al 1130. L’archivolto della porta presenta il primo ciclo scultorio conosciuto rappresen- tante le Storie di Re Artù. All’apice dell’archivolto lo spazio è suddiviso simmetricamente dal castello dove la principessa Ginevra è tenuta prigioniera, riconoscibile dai nomi incisi al di sopra delle loro figure. Ai lati si dispongono i cavalieri di Artù, armati di lanci e scudo, anche questi ac- compagnati dai nomi. La presenza di questa storia profana e cavalleresca assume un valore simbolico: Artù e i suoi coraggiosi cavalieri vincono le forze del Male per far trionfare il Bene. La presenza del tralcio popolato da animali, protagonisti di episodi tratti da favo- le di origine classica (Esopo). PORTA DELLLA PESCHERIA I bassorilievi pri- ma del rinnova- mente del 1300 si trovavano sullo stesso livello. 8988 TOSCANA Il duomo di S. Maria Assunta, si trova al centro della famosa Piazza dei Mi- racoli, è un capolavoro del romanico pisano. La zona scelta era stata utilizzata come necropoli, al di fuori della cinta muraria a simboleggiare che la potenza di Pisa non aveva bisogno di protezioni. Fu iniziata dall’architetto Buscheto. In origine era a pianta greca, oggi è a croce latina immessa, divisa in 5 nava- te, si sviluppa su 10 campate e 2 campate dedicate al coro, per poi terminare con l’abside a coronare la sola navata centrale. Al centro 4 grossi pilastri sorreggono una grossa cupola ellittica. La decorazione esterna comprende marmi policromi e numerosi oggetti in bronzo, tra cui il Grifo, preso a Palermo ed utilizzato come decora- zione del tetto. Gli archi acuti richiamano le influenze musulmane del meridione. La facciata di marmo bianco e grigio fu edificata da Rinaldo. Inoltre la facciata a salienti diventerà di ispirazione per i monumenti della zona. I 3 portali sottostanno a 4 ordini di loggette divise da cornici con deco- razioni marmoree. La porta della facciata in bronzo massiccio fu realizzata da artisti fioren- tini, unica sopravvissuta di un incendio. È decorata con 24 formelle raffiguranti le storie del Nuovo Testamento. È una delle prime porte prodotte in Italia. L’interno è rivestito di marmi bianchi e neri, con colonne in marmo gri- gio. Anticamente il soffitto aveva una struttura con capriate lignee, poi sostituita da un soffitto a cassettoni in legno dorati, del seicento. La cupola è decorata con la rara tecnica di pittura a encausto (cera su muro), con l’immagine della Vergine in gloria e i santi, da Orazio e Girolami Riminaldi. Il grande mosaico absidale del Cristo in trono tra la Vergine e San Gio- vanni, opera di Cimabue, evoca i mosaici delle chiese bizantine. DUOMO DI PISA Pisa Nel basso medioevo la Toscana fu una delle realtà artistiche più vivaci della penisola: qui i motivi del romanico padano trovarono una grande varietà di interpretazioni, fondendosi con la tradizione locale e il persistere di una componente classica e tardoantica. Si tentò così una sintesi tra cultura classica e primo cristianesimo, facendo rivivere il respiro grandioso e luminoso delle prime basiliche paleocristiane. Il richiamo all’antico è forte in Toscana a causa di ragioni religiose: la diffusione nella regione di correnti portatori dell’aspetto più ascetico della regola di Benedettino e orientati verso modelli architettonici paleocristiani per offrire la massima dignità alle celebrazioni liturgiche. Firenze, per iniziativa della borghesia mercantile e artigiana, si era schierata contro l’imperatore appoggiando la marchesa Matilde di Canossa e il pontefice. Alla sua morte le istituzioni comunali erano pronte ad iniziare un percorso di ascesa. Nell’architettura fiorentina gli elementi strutturali, che nel romanico padano scandiscono le superfici creando giochi di pieni e vuoti, luci e ombre, perdono la concretezza fisica per perseguire effetti di superficie, cromatici e ottici, grazie all’uso di marmi colorati. Poco lontano dalla cattedrale, fu costruito secondo il progetto di Diotisalvi, con la richiesta di ispirarsi al Santo Sepolcro di Gerusalemme. L’edificio ha pianta circolare ed è coperto da un’alta cupola a forma di cono, che successivamente fu parzialmente nascosta da una seconda cupola semi- sferica. Si adegua alla facciata della cattedrale, riproponendo i marmi bicromi e le arcate cieche. La loggetta superiore con le edicole cuspidate e i pinnacoli ha un aspetto gotico, per via del lavoro compiuto da Nicola Pisano che la concluse. Venti anni dopo fu cominciata la costruzione della torre campanaria, che ebbe numerosi problemi di stabilità. Di forma cilindrica riprende le arcate cieche nella parte inferiore per poi sa- lire con sei loggette coronate da una cella campanaria. L’edificio è a pianta ottagonale, con un’ampia esedra rettangolare collocata sul lato opposto dell’entrata principale. È coperto da una cupola divisa in 8 spicchi, racchiusa all’interno di un tiburio ottagonale con tetto a spioventi su cui svetta la lanterna. Tutte le 8 facciate sono scandite da 3 registri orizzontali sovrapposti, separati da cornici. I 2 inferiori sono tripartiti in senso verticale da paraste che sorreggono le arcate della loggia cieca, sotto le quali si aprono finte finestre ad edicola con timpani triangolari. Tutto il battistero è decorato da motivi geometrici. BATTISTERO E TORRE CAMPANARIA Pisa BATTISTERO DI SAN GIOVANNI e S. MINIATO AL MONTE Firenze CHIESA DI SAN MINIATO AL MONTE Firenze Altro prototipo è la chiesa di San Miniato al Monte, con un impianto basili- cale a 3 navate, coperto da capriate lignee con 2 arconi trasversali sorretti da pilastri, che suddividono la navata in tre lunghe campate. La decorazione delle pareti è affidata alle figure geometriche di intarsi mar- morei. La facciata è a salienti. 9190 LAZIO ABBAZZIA DI MONTECASSINO Roma Nel panorama italiano, il ruolo di Roma nell’IX secolo è condizionato dagli scontri politici con l’impero che si acuiscono nella seconda metà del secolo. La figura che incarna il culmine di questo scontro è Papa Gregorio VII che agisce per affermare supremazia del potere papale, sia a livello temporale che a livello spirituale e per realizzare un’ampia riforma della Chiesa. La presenza a Roma della sede papale e il valore della tradizione antica e paleocristiana determinarono uno sviluppo artistico in continuità con il passato, rispondente all’idea, propria della riforma gregoriana, che la renovatio Romae dovesse ispirarsi alla chiesa delle origini. Ne derivò uno stile che richiamava le forme della Roma di Costantino con motivi figurativi che appartenevano alla cultura paleocristiana. Ciò avvenne per un insieme di ragioni sia di ordine pratico, sfruttare la bellezza passata anche attraverso il reimpiego di modelli e materiali antichi, sia ideale, nobilitare e rendere degne della tradizione le nuove opere e richiamarsi ai tempi eroici del primo cristianesimo. L’impianto basilicale con colonne di reimpiego, la terminazione unica dell’abside e il quadriportico di ingresso sono gli ele- menti dell’architettura paleocristiana ad avere più successo. RIFORMA GREGORIANA La basilica di San Clemente a Roma, dedicata a Papa Clemente I, sorge nella valle tra l’Esquilino e il Celio. La basilica che oggi vediamo è stata edificata nel XII secolo ed è collegata al convento domenicano. Il complesso riveste una grande importanza perché si trova al di sopra di antichi edifici interrati per 2 livelli di profondità, il più antico dei quali risale al I secolo d.C. All’esterno fu arricchita di un protiro a colonne e da un quadriportico. L’instabilità dei terreni ha fatto sì che anche le nuove strutture siano ormai infossate rispetto alla quota attuale. La nuova basilica è a 3 navate, senza transetto, concluse da un’abside semi- circolare, lunga quanto la precedente ma più stretta, con 16 pilastri alternati ad antiche colonne lisce o scanalate romane di spoglio. Nel mezzo della navata centrale è collocato un recinto realizzato con ele- menti appartenenti alla chiesa inferiore: un recinto con plutei e transenne la divide dal presbiterio. Il catino absidale è decorato da un mosaico a fondo oro con il Trionfo della Croce. In esso vi è rappresentato Cristo in Croce, sui cui bracci pog- giano 12 colombe bianche a rappresentare gli apostoli, tra la Vergine e San Giovanni. Nell’arco trionfale è raffigurato Cristo, all’interno di un clipeo, affiancato da simboli dei 4 evangelisti e dalle figure dei Dottori della Chiesa, affiancati da figure dei fedeli. La basilica inferiore non aveva una vera e propria parete d’ingresso ma era delimitata da 5 grandi arcate con colonne che, in seguito ai lavori di costru- zione della basilica superiore, vengono chiuse, per mascherare poi le apertu- re e creare una unica parete vengono poi realizzati degli affreschi che rappre- sentano scene sacre e scene della vita di San Clemente. BASILICA DI SAN CLEMENTE Roma L’abate Desiderio (1027-1087) è una figura di straordinaria importanza dello sviluppo storico e artistico del Meridione italiano. Nel 1058 è chiamato alla guida del cenobio di Montecassino, nel 1059 diviene cardinale e vicario papale nel sud della penisola, finché nel 1086 ascende al soglio pontificio con il nome di Vittore III. La chiesa richiama in modo evidente San Pietro in Vaticano in quanto la volontà era quella di rinnovare la chiesa secondo gli antichi dettami. Desiderio succede ad una lunga serie di abati tedeschi dando inizio ad un periodo di grande splendore e potenza dell’Abbazia di Montecassino che trova massima affermazione nella consacrazione della nuova chiesa abbaziale, avvenuta nel 1071. I riferimenti culturali dell’abate longobardo sono chiari e tutti rivolti alla messa in opera delle energie migliori tratte dall’offerta artistica del tempo: egli chiama architetti lombardi e amalfitani per definire l’impianto architettonico dell’abbazia; la chiesa viene ricostruita sullo schema delle basiliche paleocristiane romane con materiale di spoglio; la decorazione è affidata a mosaicisti greci espressamente chiamati dal committente; alcuni affreschi con episodi del Testamento ornano l’edificio e la profusione di ma- teriali preziosi e della suppellettile liturgica denota il tono aulico che investe l’intera chiesa. Dell’edificio e del suo ricco apparato, quasi completamente distrutto da un terremoto verificatosi a metà del Trecento e in seguito ricostruito sempre in forme diverse, rimangono pochi frammenti (per lo più lastre marmoree con motivi vegetali che incorniciavano le antiche porte d’ingresso) e, soprattutto, testimonianze scritte tra le quali Leone Marsicano: Che scrisse circa la costruzione della abbazia di montecassino, renovatio desideriana, intesa come recupero di Roma, dell'arte ro- mana, dei suoi modelli architettonici e decorativi. Una proiezione della magnificenza dell’antica chiesa abbaziale di Montecassino ci è pervenuta nell’altra fondazione desi- deriana, ovvero la splendida chiesa di Sant’Angelo in Formis presso Capua che ha conservato in gran parte la decorazione originaria. L’edificio s’innalza sul podio e in parte sul pavimento di un preesistente tempio dedicato a Diana; la tradizione classica è ancora affermata dall’impianto basilicale (a tre navate con terminazioni absidate) dove sono utilizzate colonne e capitelli di spoglio mentre la decorazione a fresco, eseguita tra il 1072 e il 1078 circa, si collega a maestranze locali educate, per volere di Desiderio, sulla cultura bizantina abside in due registri. Sopra Cristo in Maestà seduto sul trono gemmato e affiancato dai simboli degli evangelisti sotto tre arcangeli di cui quello al di sotto del Cristo è solennemente avvolto nel loros, ovvero la lunga fascia ricamata di pietre preziose tipica dell’abbigliamento imperiale bizantino. Elementi di fondazione benedettina: lati delle figure angeliche si trovano raffigurati san Benedetto e l’abate Desiderio; quest’ultimo è ritratto con nimbo quadrato che lo qualifica come vivente e con il modellino della chiesa tra le mani che lo immortala in veste di offerente. • Navata centrale: storie di cristo • Navate laterali: vecchio testamento • Controfacciata: giudizio universale 9392 CAMPANIA La chiesa, dedicata a San Michele Arcangelo sorgeva al di sopra dei resti del tempio dedicato a Diana Tifatina. I resti furono rinvenuti nel 1877, e si è notato che la basilica ne ripercorre il perime- tro, aggiungendo le absidi al termine delle navate. La 1a costruzione della basilica si può far risalire all’epoca longobarda. La facciata è preceduta da un porticato a 5 arcate, quella centrale più alta è realizzata con elementi marmorei di reimpiego. Le arcate sono sorrette da 4 fusti di colonna, 2 a dx in marmo e 2 a six in granito grigio, con capitelli corinzi diversi tra loro. Alla dx della facciata vi è il campanile: presenta il basamento costruito con blocchi di reimpiego, disposti in modo regolare e vi è inserito un fregio con decorazioni zoomorfe, mentre il secondo piano è deco- rato da bifore. Dal portico si accede all’interno, a pianta basilicale, senza transetto, con 3 navate, ciascuna delle quali termina in un’abside. Le colonne che dividono le navate, con fusti di diverse varietà di marmi e capitelli corinzi, sono ugualmente di riutilizzo da edifici di epoca romana. All’interno è possibile cogliere l’ispirazione bizantina, dovuta probabilmente alla mano delle maestranze orientali. Il programma decorativo occupa le navate, le absidi e la controfacciata. Nella parete della navata centrale sono rappresentate scene del Nuovo Testamen- to disposte su 2 registri. Nei pennacchi delle arcate sono rappresentati i profeti. Nelle pareti delle navate laterali sono rappresentate scene dell’Antico Testamento. Al di sotto sono collocati dei medaglioni con i ritratti degli abati di Montecas- sino. Nella controfacciata è raffigurato invece il giudizio universale. Nell’abside maggiore è invece rappresentato Cristo in trono tra i 4 simboli degli evangelisti. L’abside minore del lato sud presenta invece la vergine tra 2 angeli. ABBAZIA DI SANT’ANGELO IN FORMIS Capua Il duomo di Salerno fu costruito tra il 1080 ed il 1085 dopo la conquista della città da parte di Roberto il Guiscardo. La chiesa fu consacrata nel giugno del 1084 dal papa Gregorio VII, ospite in esilio della cit- tà, venne costruita su un’omonima chiesa paleocristiana dedicata a santa Maria degli Angeli, sorta a sua volta sulle rovine di un tempio romano. I progetti furono ampliati successivamente con il ritrovamento delle spoglie di san Matteo, tumulate nell’antica chiesa il 4 maggio 954 e venute alla luce con la progressiva demolizio- ne di questa. La forma della chiesa, come doveva essere, fu scelta da Alfano I, arcivescovo di Salerno e monaco benedettino era un assiduo frequentatore dell’Abbazia di Montecassino. Come l’edificio desideriano anche la cattedrale di San Matteo presenta una pianta articolata in un corpo longitudinale con il transetto, 3 absidi, e quadriportico. La chiesa è un edificio massiccio, a 3 navate di cui quella centrale è sormontata da una volta a botte mentre il transetto presenta delle capriate in legno. Sebbene all’interno domini uno stile seicentesco, sono state rinvenute tracce dei trascorsi medioevali e in una delle navate laterali è possibile ammirare affreschi di scuola giottesca che emergono dalla più recente muratura. DUOMO DI SALERNO Salerno Il sarcofago romano che custodì le spoglie di Ruggero I e che oggi si conserva presso il Museo Archeologico di Napoli è probabile provenisse da Roma o Ostia, ma non è escluso che possa essere stato costruito in Campania. Il manufatto è in marmo bianco inciso con scanalature a forma di onde disposte in senso verticale, forme strigilati. E’ decorato su 3 lati, mentre il 4o lato poggiava in origine al muro. Sul pannello centrale compare scolpita una porta a 2 battenti, con il batten- te destro socchiuso a simboleggiare il passaggio del defunto nel mondo dei morti. Alcun elementi decorativi, come la sella curule e le corone di alloro scol- pite su entrambi i lati del sarcofago, fanno ritenere che esso possa essere appartenuto ad un magistrato. Presenta un coperchio a forma di tetto di casa, con alle estremità 2 busti, oggi acefali, di un uomo e di una donna, forse l’antico proprietario e sua moglie. Si suppone che in origine i lati del coperchio possano essere stati ornati dai volti di due Gorgoni con capelli serpentini ma che all’epoca di Rug- gero questi siano stati sostituiti dal simbolo cristiano della croce greca. Per secoli il sarcofago di Ruggero I era collocato presso la chiesa abbaziale della santissima trinità di Mileto. Nel 1783 un terremoto devastò la Calabria, radendo al suolo gran parte della città di Mileto. Tra i tanti monumenti danneggiati dal sisma vi fu questa chiesa. Il sarcofago restò sepolto sotto le macerie fino al 1813, quando fu recuperato dalle autorità cittadine e custodito nella nuova Mileto. Fu durante il regno di Ferdinando II che l’amministrazione Borbonica decise di spostare il sarcofago da Mileto a Napoli, presso il museo archeologico nazionale. SARCOFAGO DI RUGGERO I Importanti gli affreschi perchè ci danno un’idea degli affreschi dell’ab- bazia di Montecassino, oggi perduti. Chiari sono i riferimenti alla pittura bizantina: lo schematismo delle fitte pieghe delle vesti, lineari e senza volume, i contorni marcati, i visi realizzati con un lungo naso a cannula che si collega alle sopracciglia, le figure sono inoltre rigide, frontali e nella divisione delle scene in colonnine. Abbate Desiderio con in mano il modellino della Chiesa. Esame Lunetta della Pieve di San Michele, realizzata probabilmente da Niccolò, in cui è raffigurato l’Arcangelo Michele. 9998 SICILIA Antica provincia dell’impero bizantino, sottomessa agli arabi dall’826 al 1061, poi dai normanni fino al 1194, la Sicilia si presenta in età medievale come un crocevia di culture diverse, favorite anche dalla posizione geografica dell’isola, al centro dei traffici commerciali con l’Africa, con le colonie in Oriente e con Costanti- nopoli, e facilmente raggiungibile via mare anche dall’Inghilterra e dalla Francia. Fu Ruggero I d’Altavilla a conquistare l’isola per i normanni, mentre in seguito suo figlio Ruggero II unificò tutta l’Italia meridionale, annettendo la Puglia e creando il regno di Sicilia. Ruggero II favorì il rinnovamento artistico della capitale: riconoscendo la supremazia culturale dei bizanini, ne assimilò le procedure di amministrazione e si avvalse di maestranze di Costantinopoli per la decorazione musiva dei nuovi edifici. Costruito intorno al X secolo dagli emiri arabi, fu concepito dai re nor- manni come residenza e fortezza. Il palazzo, come per i complessi imperiali di Costantinopoli, non risulta collocato al centro della città ma viene posto in un punto periferico. Questo fa si che il palazzo aderisca alle mura della città facendo assume- re all’ intera struttura la configurazione di una fortezza. Le fondamenta della struttura ripercorrono la storia, dal momento che sono formate da stratificazioni dei primi insediamenti fortificati d’origine feni- cio-punica, che formavano la paleopolis, un aggregato contrapposto alla zona sacra. Greci, romani, bizantini, normanni, spagnoli, e molti altri popoli hanno lasciato tracce del loro passaggio tra le mura della dimora, i cui raffinati ambienti furono testimoni della più importante cultura europea dell’epoca normanna, ai tempi in cui gli imperatori radunavano grandi scienziati, poeti, musicisti, e pittori del tempo. All’interno del Palazzo dei Normanni erano custoditi opifici e laborato- ri tessili per produrre manufatti di fine pregio orientale. PALAZZO DEI NORMANNI MANTELLO RE RUGGERO II La cappella palatina era adornata da tessuti ricamati in oro con pietre prezio- se, come ad esempio il mantello di Ruggero II. È in seta rossa con ricami in seta blu e oro e trapunti di perle, sicuramente ispirato all’Oriente. Vi figurano in modo speculare, divisi da una palma, 2 leoni normanni che hanno sopraffatto 2 cammelli; simbolo della conquista normanna e del nuovo ordine che regnava in Sicilia. Situata nel centro storico di Palermo, fu fondata per volere di Giorgio d’An- tiochia al servizio di Ruggero II. La chiesa possiede una pianta a croce greca, prolungata dal nartece e l’atrio. L’edificio era decorato con archi a sesto acuto e pennacchi di gusto isla- mico. Successivamente le case attorno, adibite a monastero verranno inglobate. Le pareti interne e la cupola sono decorate a mosaico. Nella cupola la figura del Cristo in trono similare a quello di Cefalù, scendendo troviamo gli arcangeli e i patriarchi, nelle nicchie ci sono gli evangelisti e nelle volte rimanenti gli apostoli. Ci sono 2 mosaici commemorativi che rappresentano d’Antiochia ai pie- di della Madonna e Ruggero II incoronato da Cristo. SANTA MARIA DELL’AMMIRAGLIO MARTORANA Palermo Nel mosaico è rappresentato Ruggero II incoronato da Cristo Pantocratore, l’Onnipotente. Straordinaria è la somiglianza delle due figure: quello che, questo mosaico vuole indicare è che il Re normanno altro non è che il rappresentante del figlio di Dio sulla terra. È inoltre importante ricordare che in questo mosaico le uniche finire rap- presentate sono Cristo e il re normanno come a sottolineare che per Rug- gero II il rapporto tra lui e l’Onnipotente era un rapporto diretto, senza alcun intermediario. Quell’immagine significa anche che Ruggero II si riservava la totale so- vranità sulla Sicilia, distinguendola da quella dell’Italia meridionale, per la quale invece accettava la mediazione papale. CHIESA DI SANTA MARIA DELL’AMMIRAGLIO Per favorire la presenza normanna in Sicilia riprendono lo stile biazantino, per legittimare il potere regale. 101100 Quando Ruggero II divenne re, la sua residenza venne stabilita nel palazzo dei Normanni. Al suo interno, la cappella privata dedicata ai santi Pietro e Paolo diven- ne il fulcro religioso e politico della dinastia normanna. L’edificio con impianto basilicale a 3 navate separate da colonne in granito e marmo cipollino con capitelli compositi che sorreggono una struttura di archi. Completa la costruzione la cupola, eretta sopra la crociera del presbiterio, quest’ultima area sopraelevata e recintata rispetto al piano di calpestio delle navate. La cupola, il transetto e le absidi sono interamente decorate nella parte superiore da mosaici bizantini raffiguranti scene bibliche varie, gli evan- gelisti e il Cristo Pantocratore benedicente. I cicli musivi si distinguono in 2 epoche, la prima prettamente normanna seguita da quella borbonica. Sulla parete superiore del trono è raffigurata la Maestà di Cristo fra gli Apostoli Pietro e Paolo. Cristo ha una aureola a croce greca, abbiglia- mento regale, in atto benedicente con la mano dx mentre la sx tiene chiuso il Vangelo. Al centro della cupola è raffigurato il Cristo Pantocratore, in atto benedicente con la mano destra. L’aureola a croce greca e le vesti ricordano gli abiti cerimoniali degli impera- tori bizantini. Cristo rappresentato sul catino absidale, novità normanna, rielaborazione di un modello bizantino, di solito raffigurato sotto la cupola. Cristo è posto al centro del cerchio circondato dagli 8 arcangeli a loro volta abbi- gliati in abiti regali, con lo scettro nella mano dx, simbolo di potenza, e il globo nella sx. Oltre ai mosaici bizantini e i pavimenti cosmateschi, la Cappella Palatina è cele- bre per i soffitti intagliati, espressione artistica tipica degli edifici arabi. (Muqarnas, scultura lignea araba, assomigliano a delle stalattiti geometriche rego- lari, presenti nella navata centrale) Le piccole nicchie dei cassoni lignei, dipinte con immagini rare e iscrizioni, presen- tano ornamenti fitoformi e zoomorfi, uccelli, animali fantastici e mitologici, tra cui figure umane. Pavimenti, scale, spalliera e braccioli presentano una ricca decorazione con intarsi in marmo e mosaici ove predomina lo stile cosmatesco in armoniosa sintonia con motivi geometrici e floreali di matrice araba. Al lato opposto al presbiterio è presente il trone del re, aula regis, dove il re tiene udienza. Vi sono rappresentate raffigurazione differti, non sono presenti scene religiose, ma laiche, scene di banchetti di gusto arabo. CAPPELLA PALATINA Palermo Il duomo di Cefalù, nome con cui è nota la basilica cattedrale della Trasfig razione, è una basilica minore che si trova a Cefalù. L’architettura del Duomo di Cefalù segue il modello delle grandi basiliche benedettine con uno stile romanico normanno nord europeo. La facciata è inquadrata da 2 possenti torri che richiamano il Westwerk e che risultano alleggerite da eleganti bifore e monofore e sormontate da cuspidi piramidali aggiunte nel Quattrocento. Le torri sono diverse l’una dall’altra: • una a pianta quadrata e con merli a forma di fiammelle, che simboleggerebbe il potere della Chiesa • l’altra, a pianta ottagonale e con merli ghibellini, la corona reale Il portico quattrocentesco precede la facciata, con 3 archi, 2 ogivali ed uno a tutto sesto, sorretti da 4 colonne e con volte a crociera. L’interno è a croce latina, diviso in 3 navate da 2 file di colonne antiche di spoglio: 14 fusti di granito rosa e 2 di cipollino. Il coro è coperto da 2 volte a crociera anche questo di origine anglo-fran- co-normanna. Il presbiterio, rialzato di alcuni gradini rispetto al resto della chiesa, occu- pa interamente la crociera e l’abside ed è estremamente profondo. Anche le navate laterali culminano con i loro rispettivi absidi, molto più pic- coli rispetto a quello centrale. La decorazione musiva, forse prevista per tutto l’interno, fu realizzata solamente nel presbiterio e ricopre attualmente l’abside e circa la metà delle pareti laterali. La figura dominante è quella del Cristo Pantocratore: sulla mano dx alza indice e medio uniti a indicare le 2 nature del Cristo, divina e umana. Sotto c’è la Madonna in preghiera, con le mani alzate e i piedi su un cu- scino regale, affiancata dai 4 arcangeli. Nella terza fascia, ai lati della finestra, sono raffigurati i santi Pietro e Paolo e gli evangelisti. Nella fascia più bassa ci sono gli apostoli. Ciascuna figura è accompagnata da una scritta con il nome in latino e in greco, che ne permette l’esatta identificazione. Accompagnano queste figure, tutte su fondo dorato, motivi geometrici o vegetali stilizzati. Anche l’intradosso della finestra e le colonne adiacenti sono coperti da mo- saici. I mosaici della crociera illustrano cherubini e serafini, mentre quelli delle pareti, che sono storicamente gli ultimi, rappresentano profeti e santi. CATTEDRALE DI CEFALU’ Cefalù Torri campanarie attaccate alla facciata, come San Nicola di Bari. Scritta in greco e latino, per la natura duplice del popolo. I contorni di occhi, bocca, partico- lari ridipinti per renderli più evidenti. Posizione insolita per il Cristo, di solito è pre- sente la Vergine nel catino absidale. 103102 L’ARTE GOTICA L’arte gotica nasce in Francia intorno al 1150 e raggiunge la sua fase matura verso il 1350, dopo essersi diffusa nel resto del continente europeo. Nell’arco di questi 200 anni, l’Europa è protagonista di importanti tra- sformazioni innanzitutto nell’assetto politico e sociale. Alla base del fermento edilizio che in questo periodo porta alla costruzione di cattedrali gotiche in Francia vi è innanzitutto un incremento degli abitan- ti e dei commerci nelle città, che facilita gli scambi a largo raggio e dà vita alle prime attività finanziarie. LUOGHI SACRI Le cattedrali diventano simbolo collettivo della prosperità raggiunta: i commercianti e i banchieri ne finanziano generosamente la costruzione nel timore che l’eccessiva ricchezza impedisca loro, dopo la morte, l’ingres- so nel Regno dei Cieli. La rapidità con cui si sono innalzate le prime cattedrali è dovuta anche alla particolare situazione politica del paese: i re riescono a limitare sempre più i feudatari e i vescovi nel gestire in autonomia i territori loro affidati, e iniziano a poter contare su entrate re- golari derivanti dalla riscossione dei tributi, devolvendone una parte al finanziamento delle chiese. Sulle facciate e negli spazi delle cattedrali viene così celebrata la monar- chia, con statue che raffigurano i re con gli attributi del loro potere (spada, corona, scettro) come unici delegati a mantenere l’ordine tra gli uomini nel suo nome. SCULTURA La scultura, pur restando in prevalenza legata all’edificio della chiesa, riacquista la figura a tutto tondo, scomparsa con la tarda antichità. Ai rilievi romanici, ancora intesi come decorazione degli elementi architetto- nici, si sostituiscono le statue che sfruttano l’architettura come supporto per costruire, attraverso sempre maggiori plasticità, dinamismo ed espressività, una narrazione della storia sacra che assomiglia a una rappresentazione tea- trale. IMMAGINARIO GOTICO La visione del mondo e dell’uomo diventa più ottimistica. Dio è concepito come portatore di luce già nel presente e non solo dopo la morte; il male può essere respinta dal singolo uomo ispirandosi ai modelli delle vite dei santi, dei profeti e degli apostoli. L’arte è quindi un potente mezzo di elevazione spirituale e l’architettura delle nuove chiese si fa metafora del mondo: lo sviluppo verticale delle cattedrali gotiche, che si stagliano verso il cielo, è l’espressione dello slancio del fedele verso il divino e la luce che filtra al loro interno attraverso le vetrate è simbolo della luce di Dio che illumina le tenebre del male e del peccato. La progressiva messa a punto di soluzioni costruttive che vengono riprese e perfezionate. Queste soluzioni costruttive che innovano la struttura dell’edificio della chiesa sono: • L’adozione di volte a crociera costolonate su archi a tutto sesto acuto, in luogo di quelli a tutto sesto • L’impiego di una sequenza molto fitta di pilastri a delimitare la navata centrale; con la formazione di campate rettangolari ampie ma brevi • L’uso, all’esterno dell’edificio, di contrafforti perimetrali molto profondi, liberando la parete perimetrale da ogni funzione portante e consentendo l’ apertura di finestre vetrate ampie quanto tutto lo spazio intermedio tra pilastri o contrafforti contigui • L’adozione, all’esterno, degli archi rampanti, mezzi archi in salita che collegano i contrafforti con i pilastri che delimitano la navata centrale • L’uso di guglie, strette strutture piramidali che, all’esterno, sui contrafforti e sui pilastri, contrastano la spinta laterale trasmessa dagli archi rampanti • L’eliminazione dei matronei all’interno dell’edificio, che sono sostituiti dagli archi rampanti; al loro posto viene introdotto il triforio, una stretta galleria ricavata dallo spessore della parete, funzionale a Toglierle compattezza • La lavorazione della superficie dei pilastri interni con una trama di sottilissime colonnine scolpite che donano un’il- lusoria apparenza di leggerezza Le soluzioni costruttive adottate nelle nuove chiese gotiche francesi non solo ne innovano la struttura ma rendo- no anche possibile una nuova spazialità. Dal punto di vista della pianta, esse differiscono di poco dalle abbazie romaniche: sono chiese a 3 o a 5 navate quasi sempre dottate di transetto, concluse da un’abside maggiore cinta da 1 o 2 de- ambulatori su cui si aprono cappelle a raggiera. Il grande avanzamento tecnico ecostruttivo ne permette un impressionante sviluppo verticale. La sensazione visiva della verticalità, che caratterizza le nuove chiese gotiche, è aumentata dalle immense vetrate, che inondano di luce lo spazio interno della chiesa. 109108 ITALIA Sopratutto nell’Italia centro-settentrionale, il fenomeno della rinascita urbana e dei comuni raggiunse l’abside. In molti casi si passò da una prima fase in cui dominavano ancora le famiglie aristo- cratiche a una in cui diviene centrale il ruolo della borghesia associata a banchieri, mercanti e maestri artigiani. Divisi tra guelfi (Papa) e ghibellini (imperatore), i comuni espressero una rivalità che che sfociò spesso in conflitti, connessi in realtà a questioni locali che al seguito del Papa o dell’imperatore. Nella seconda metà del Duecento, il bisogno di una maggiore stabilità politica spin- se la borghesia cittadina a favorire l’ascesa al potere di famiglie della vecchia nobil- tà che rappresentassero i suoi interessi. Nacquero così le grandi signorie: a Milano prima i Visconti, a Verona i Della Scala, a Padova i De Carrara, a Ferrara gli Este, a Rimini i Malatesta e a Urbino i Monte- feltro. Accanto a questa molteplicità di minuscoli Stati, tuttavia, esistevano 2 realtà politi- che maggiori: lo Stato della Chiesa, che includeva un’estesa fascia centrale della pe- nisola, e il Regno della Sicilia, che alla morte di Federico II era passato a Manfredi. In Italia l’architettura, fortemente legata alla tradizione, non fu interessata dal- le ricerche che nel XII secolo portarono alla nascita dell’arte gotica. Alcune novità elaborate in Francia furono portate in Italia nella forma mode- rata e austera apprezzata dai monaci cistercensi. L’architettura cistercense ebbe grande successo non solo in Francia: a partire dalle cinque abbazie madri carte all’inizio del XII secolo, l’ordine si diffuse in Eu- ropa, tanto che nel XIV secolo si contavano ben 725 filtrazioni, di cui 80 in Italia. Inoltre, grazie alla conoscenza delle tecniche dell’edilizia, in Italia cistercensi ven- nero anche consultati per la realizzazione di edifici civili e militari. In seguito il nuovo stile si diffuse nella penisola sopratutto grazie agli ordini mendi- canti, francescani e domenicani, che lo adottarono per le loro costruzioni. Il gotico italiano presenta quindi caratteri del tutto originali, che lo distinguono da quello degli altri paesi del continente. Anche da punto di vista cronologico, la stagione del Gotico in Italia non coinci- se con quella del resto d’Europa e fu relativamente breve. Escluse le fondazioni cistercensi, essa diede i suoi primi frutti intorno agli anni venti del XIII secolo, mentre può dirsi già conclusa all’inizio del XV secolo, quando in- vece risulta ancora fiorente nelleregioni europee. Diversa era anche la committenza: mancava in Italia un potere centrale forte, che in molti altri paesi attraversati dalla diffusione del nuovo stile era rappresenta- to dall’unione della corona e del clero, in grado di promuovere un’architettura unitaria e grandiosa. Gli edifici gotici italiani erano frutto di un processo che veniva dal basso, pro- dotto di una civiltà, quella comunale, che attraverso gli edifici più rappresentativi aspirava a creare una propria identità. In questo caso i mezzi a disposizione erano più limitati e le turbolente vicende della storia segnarono a fondo l’esito di progetti, costringendo spesso a a ri- mandare i più ambiziosi. In linea generale nelle chiese gotiche italiane mancano il verticalismo e la leg- gerezza del gotico d’Oltralpe: le pareti non furono mai annullate a favore delle vetrate e continuarono a svolgere la duplice funzione di scheletro portante e di sede privilegiata della decorazione pittorica, secondo le interazioni educative degli ordini religiosi. Uno dei primi esempi gotici in Italia è la chiesa abbaziale di Sant’Andrea Vercelli, commissionata da un cardinale originario di questa città che per alcuni anni viaggiò in Inghilterra e in Francia come ambasciatore del Papa. Grazie alle esperienze all’esterno egli entrò in contatto con il nuovo linguag- gio gotico, tanto da condurre in Italia alcuni canonici dell’arte gotica perché potessero seguire la costruzione del complesso abbaziale di Sant’Andrea a Vercelli. La chiesa, cui si affianca un ampio chiostro su modello delle abbazie ci- stercensi, fonde elementi romanici insieme alle novità porta in Francia. Ancora legata alla tradizione romanica è la facciata a capanna, che pre- senta effetti cromatici originati dall’accostamento di materiali diversi, una doppia loggia orizzontale e tre portali a tutto sesto profondamente strombati. Questi elementi sono rinnovati in senso gotico dalla presenza del grande rosone centrale, da due contrafforti tubolari e dalla presenza di due alte torri cuspidate. Gotici sono poi gli archi rampanti e i contrafforti sui fianchi, come il coro e il transetto, che hanno facciate autonome con piccoli pinnacoli. Anche il tiburio ottagonale romanico si sviluppa in altezza diventando una torre, decorata su ogni lato da snelle torri cilindriche. All’interno la pianta rimane tradizionale, come i muri pieni e le dimensioni ridotte delle aperture. L’alzato è semplice e lineare, paragonabile nella struttura a quello delle chie- se cistercensi: privo di trifore e matronei, presenta un alto cleristorio su cui si aprono piccole finestre a tutto sesto. Richiamano i modelli francesi le volte ogivali dai profili marcati e i pilastri a fascio, da cui si dipartono sottili colonnette che percorrono in altezza la chiesa. BASILICA DI SANT’ANDREA Vercelli 111110 L’abbazia di Chiaravalle è un complesso monastico cistercense fondato nel XII secolo da san Bernardo di Chiaravalle. La chiesa costituisce uno dei primi esempi di architettura gotica in Italia. La facciata della chiesa è quella precedente il rifacimento seicentesco, re- staurata nel 1926 per riportare alla luce il progetto originario. Si intravedono ancora, nella struttura attuale e in particolare nelle due en- trate laterali, i segni del rifacimento e alcuni elementi architettonici non ben integrati col resto della struttura. Il nartece d’ingresso seicentesco è tuttora conservato e sostituisce l’originale duecentesco, del quale si conservano le murature laterali. La facciata è divisa in tre ordini principali: il più basso è occupato da un por- ticato con massicci pilastri in laterizio coperto da un tetto a spiovente. Il secondo ordine, centrale, è occupato dal grande rosone circolare, già carat- teristica dell’architettura gotica. La pianta è a croce latina, disposta su tre navate con volta a crociera, sorrette da piccoli pilastri ai lati, e con abside piatta. Il corpo principale è formato da quattro campate, mentre una quinta più pic- cola forma il presbiterio. I bracci del transetto sono formati da due campate di forma rettangolare, mentre l’incrocio viene deformato dalla cupola della torre. ABBAZIA DI SANTA MARIA Chiaravalle Nel luogo della morte di san Galgano fu edificata una cappella terminata intorno al 1185. La chiesa ha l’abside volta a est, e ha una facciata a doppio spiovente che dall’esterno fa capire la divisione spaziale interna, in questo caso a tre navate. Nella parte inferiore della facciata vi sono quattro semicolonne addossate a lesene che avevano il compito di sostenere un portico, mai realizzato. L’in- gresso all’aula è affidato a tre portali con arco a tutto sesto. Il portale maggiore è decorato con un fregio in cui sono scolpite delle figure fitomorfe a foglie di acanto. Nella parte superiore della facciata, forse rimasta incompiuta, sono col- locate due finestre a sesto acuto; la parte terminale è stata reintegrata all’i- nizio del XX secolo con laterizi. La chiesa ha una pianta a croce latina ed è conclusa con un ampio transetto. Lo spazio interno è diviso longitudinalmente in tre navate di 16 campate di pilastri cruciformi. Sia le cappelle sia le campate minori del transetto mostrano ancora l’ori- ginaria copertura con volte a crociera poggianti su costoloni. In queste cappelle venivano effettuate delle funzioni liturgiche: a testimo- nianza di ciò nelle pareti sono visibili due nicchie, la minore usata per cust dire le ampolle e la maggiore come lavabo. Nella parete di fondo del tran- setto sinistro vi sono due porte: una dà accesso alla scala a chiocciola che conduceva nel sottotetto e l’altra al cimitero. Nella parete di fondo del transetto destro si trova la porta che dava accesso alla sagrestia. ABBAZIA DI SAN GALGANO Siena 113112 L’Abbazia di Fossanova costituisce il più antico esempio d’arte gotico-ci- stercense in Italia. Il complesso nacque alla fine del XII secolo dalla trasformazione di un pre- esistente monastero benedettino, forse risalente al VI secolo, di cui rimane una flebile traccia al disopra del rosone della chiesa. Gli edifici del complesso monumentale sono recintati così da apparire come un borgo, per altro arricchito dai resti di una villa romana del I secolo a.C., visibili proprio di fronte alla chiesa. La facciata, che doveva essere preceduta da un portico, ha al centro un portale fortemente strombato. Al di sopra del portale, la facciata è adornata da un grande rosone. 24 colonnine binate, sui cui capitelli si impostano archetti a sesto acuto, fan- no da armatura della vetrata. La facciata è scandita da contrafforti che evidenziano la tripartizione delle navate interne. La struttura della chiesa, costruita interamente in travertino, è basilicale. Ha una pianta cruciforme e il braccio longitudinale, diviso in tre navate. La navata centrale termina nel presbiterio e nell’abside che formano un unico corpo rettangolare. Nei due bracci, invece, sono ricavate quattro cappelline: dalle due alla sini- stra dell’altare scende la scala con la quale i monaci dal dormitorio passav no direttamente in chiesa. Una cornice di semplice fattura, tipicamente borgognona, corre lungo i due lati della navata centrale a spezzare il verticalismo dell’ambiente. Il complesso cistercense, inoltre, segue nell’impianto spaziale le regole tradi- zionali dell’architettura monastica: al centro, dal chiostro si accede a tutti gli altri locali ed intorno alle dipendenze abbaziali necessarie al sostentamento dei monaci: laboratori, magazzini, stalle, ecc. ABBAZIA DI FOSSANOVA Priverno La basilica di San Francesco venne costruita a partire dal 1228 come santuario per conservare il corpo di San Francesco, morto nel 1226, ma anche come cappella papale: infatti Papa Gregorio IX, sostenitore del nuovo ordine francescano e consapevo- le sia della portata innovativa sia della rapida diffusione della sua spiritualità, volle legare a Roma quello che era destinato a diventare uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio della cristianità, con l’intenzione di avvicinare la chiesa ai fedeli. L’edificio fu progettato da frate Elia, discepolo di francesco d’Assisi, divenu- to ministro generale dell’ordine francescano. Sfruttando la posizione rilevata e il fianco del monte, egli concepì il santua- rio su 2 livelli, con una duplice funzione: • la chiesa inferiore era destinata a ospitare le reliquie • quella superiore doveva essere usata per la predicazione. La costruzione iniziò dalla chiesa inferiore: qui Elia fece realizzare un luogo di cul- to di dimensioni pari a quelle della chiesa superiore, a cui serve da basamento. La facciata è ancora legata, per la sua semplicità, al romanico umbro: in pietra chiara locale, ha profilo a capanna ed è ripartita orizzontalmente. Anche il campa- nile è a pianta quadrata. Al romanico rimandano il rosone mediano e il portale strombato ad arco ogi- vale. Più spiccati sono i caratteri gotici dei fianchi e dell’abside, con i contrafforti se- micilindrici in marmo rosa, gli archi rampanti, le testate del transetto con i grandi finestrini ogivali e, nel lato sinistro, le alte aurate del convento adiacente. La chiesa superiore ha pianta ad aula unica, con abside poligonale e senza cappel- le. Sono elementi gotici le volte a sesto acuto, le cui nervature si prolungano lungo le pareti raggruppandosi con i sottili pilastri a fascio addossati al muro. Lungo le pareti si possono riconoscere un alto basamento, un registro centrale desti- nato adaccogliere gli affreschi e le finestre ogivali. L’interno è caratterizzato da una notevole luminosità, che raggiunge l’apice nella zona absidale, in cui si aprono 3 grandi finestre gotiche, con vetrate realiz- zate da maestranze tedesche e francesi. Il presbiterio, quasi per nulla sopraelevato rispetto alla navata, contribuisce a creare un forte senso di unità spaziale. Tutt’altra atmosfera si respira nella chiesa inferiore, cripta-santuario nonché fon- damento materiale e spirituale di quella superiore . A navata unica con abside semicircolare e transetto voltato a botte, venne am- pliata con alcune cappelle private nel corso del XIV secolo, quando fu allargato il nartece, sul cui fianco si trova l’ingresso. Nella navata, in contrasto con la chiesa superiore, le amplissime volte a crociera a tutto sesto ribassate e decorate, scandite da massicci pilastri uniti da archi a loro volta decorati, creando un’atmosfera raccolta e in penombra. BASILICA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI Assisi 119118 NICOLA PISANO 1220-1284 Il pergamo presenta una struttura esagonale, al posto del tradizionale modello qua- drangolare, sostenuta da sei colonne angolare e una centrale, tutte in breccia, con capitelli che costituiscono un’interpretazione gotica di quelli classici corinzi. Sorretta da sei archi trilobati a tutto sesto. Nicola introduce un elemento di novità: stacca il pulpito dalla parete, contro la quale nei secoli precedenti era tradizionalmente collocato, e lo dispone con piena libertà nello spazio. Questo di Nicola e altri pulpiti erano utilizzati non solo a scopi religiosi ma anche civili. In origine l’opera era caratterizzata da una componente cromatica, di cui non restano che piccole tracce: occhi, capigliature, vesti e fondi erano illuminati da tes- sere musive. Tre colonne del pulpito poggiano a terra mentre tre sono rette da leoni silofoni, con prede trattenute tra le zampe. Il sostegno centrale ha invece una base quadrangolare con telamoni e figure di ani- mali fantastici. Nei pennacchi degli archi vi sono evangelisti e profeti raffigurati come le vittorie classiche degli archi trionfali romani. Sopra i capitelli poggiano sei statue a tutto tondo, le 4 virtù cardinali (Giustizia, Prudenza, Fortezza, temperanza), San Giovanni e Arcangelo Gabriele. Queste ultime sono quasi delle statue antiche, per la monumentali e plasticità delle figure, i panneggi e nella resa anatomica. Funzione didattica, grandezze gerarchiche, emozioni, riferimenti al romano antico. Influenza anche gotica nella preziosità di dettagli delle vesti, naturalismo, modelli ro- mani dei sarcofagi. La presenza della firma del Pisano è simbolo di orgoglio per se stesso. Nel raffigurazione della Natività, vi è la scena dell’annunciazione in cui la Vergine è rappre- sentata come matrona romana. Presentazione al tempio: si rifà a Dioniso Ebbro che si appoggia col gomito a un putto per la figura del vecchio a destra, riferimento classico. PULPITO DEL BATTISTERO DI PISA Pisa Nella prima metà del XIII secolo botteghe di architetti e scultori legati alla moderna cultura figurativa del meridione Svevo iniziarono a operare in Italia Centrale, grazie a cantieri avviati da Federico II nelle città filoimperiali italiane e alla diffusione dell’ordine cistercense. Nicola pisano, attivo per lo più tra Pisa e Siena, era forse originario della Puglia. Negli anni della formazione Nicola ebbe modo di conoscere architetti e artisti, anche di provenienza straniera, e sopra- tutto potè studiare i reperti antichi conservati in terra pugliese. Proprio dal confronto con le sculture classiche nacque l’esigenza di restituire volume, movimento e autonomia spa- ziale alla figura umana, che nei secoli si era appiattita e sproporzionata, risultando subordinata all’architettura. Al tempo stesso Nicola era animato dalla sensibilità gotica propria del suo tempo, che lo portava a postare atten- zione al dato naturalistico e alla rappresentazione realistica dei sentimenti. I frutti di questa sinergia si concretizzarono nelle opere da lui eseguite in italia centrale, prevalentemente a a Pisa e Siena. Pulpito del duomo di pisa 1301 Non usa colonnine a dividere le scene ma statue aggettanti pannelli sono leggermente incurvati, dando un’idea di circolarità nuova nel suo genere. Lo straordinario senso di movimento è dato dalle numerosissime figure che riempiono ogni spazio vuoto. 2 scene in più= giudizio universali e strage degli innocenti. Nicola Pisano fu portatore di un importante rinnovamento nella scultura del XIII secolo, abbandonando i caratteri dello stile romanico per dare spazio ad una rappresentazione più realistica delle figure e dello spazio. La grande novità portata da Pisano, consisteva nel modo di rappresentare le figure e lo spazio circostante: le forme solide dei personaggi emergono dallo sfondo con naturalezza e sono disposte in maniera tale che lo spazio di fondo sembra quasi eliminato. La tensione drammatica dell’opera è notevole: il Cristo morto, rappresentato secondo l’iconografia del Christus Patiens, si accascia su Giuseppe d’Arimatea suscitando forte coinvolgimento nello spettatore, come affermavano i dettami imposti dagli ordini mendicanti. I volti sono estremamente espressivi e attraverso la plasticità degli abiti si percepiscono i volumi dei cor- pi che sono disposti nello spazio in modo razi nale ma concitato, con le figure quasi ammassate l’una all’altra, senza lasciare spazi vuoti, creando un’atmosfera quasi soffocante. PORTALE NORD DEL DUOMO DI LUCCA Lucca L’arca di san Domenico è il monumento sepolcrale realizzato per Domenico di Guzmán che si trova nella basilica di San Domenico di Bologna, più precisamente nella cappella di San Domenico. 4 lati del sarcofago parallelepipedo sono decorati dai 6 pannelli scolpiti ad altori- lievo da Nicola Pisano e allievi. Questi rappresentano le Storie della vita e miracoli di san Domenico, intervallate da sei statuette. Cronologicamente la storia di san Domenico parte dal pannello di destra posto sul lato lungo del sarcofago rivolto verso l’entrata e si procede poi verso sinistra in senso orario. Dall’analisi stilistica di molte figure scolpite che presentano caratteristiche più goticheggianti, con lineamenti più marcati, ma soprattutto per il fatto che dal 1265 Nicola era contemporaneamente impegnato a Siena per l’importante com- missione del pergamo del Duomo, gli studiosi sono concordi nel vedere un’ampia partecipazione della bottega: fu scolpita prevalentemente da Arnolfo di Cam- bio e dal converso domenicano Guglielmo da Pisa, oltre che da due altri allievi. ARCA DI SAN DOMENICO Bologna 121120 La fontana monumentale fu realizzata tra il 1275 ed il 1277 per celebrare l’arrivo dell’acqua nell’acropoli della città, grazie al nuovo acquedotto. La fontana, predisposta in bottega e poi montata al centro della piazza, fu realizzata in pietra di Assisi. È costituita da 2 vasche marmoree poligonali concentriche sormontate da una tazza bronzea ornata da un gruppo bronzeo di figure femminili (forse ninfe) dal quale sgorga l’acqua. La vasca inferiore è costituita di 25 specchi ciascuno suddiviso in 2 formelle che descrivono i 12 mesi dell’anno, ognuno dei quali è accompagnato dal simbolo zodiacale. Ad ogni mese sono associati momenti della vita quotidiana e il lavoro agricolo che lo contraddistingue. Nella vasca superiore, sono 24 statue poste agli spigoli, che rappresentano Santi e personaggi mitologici e biblici, del nuovo e vecchio testamento. La vasca si legge come una rosa dei venti, in ogni punto cardinale ci sono dei personaggi fondamentali, ciascuno di loro è collegato ad altri personaggi pertinenti. FONTANA MAGGIORE Perugia GIOVANNI PISANO 1248-1315 Giovanni Pisano si formò presso la bottega del padre Nicola, collaborando al pergamo del duomo di Siena e alla decorazione dell’esterno del Battistero di Pisa, per il quale realizzò statue di profeti ed evangelisti che presentano già uno stile autonomo. Egli si stacca dalla compostezza classica delle opere paterne per enfatizzare due aspetti propri dell’arte gotica del suo tempo: espressività e realismo. Le figure si caricano di sentimenti che si manifestano non solo nei volti ma anche nelle pose del corpo, libero di muoversi nello spazio. Questa forza espressiva, ancora poco presente nella tradizione italiana, trovava i propri modelli nella scultura gotica francese e tedesca, che accentuava l’aspetto patetico, ossia la tensione drammatica, della rappresentazione, attraverso l’inarcamento laterale o la torsione delle figure e le marcate espressioni del voto. Giovanni non abbandonò l’amore per l’arte antica appreso dal padre, ma adottò l’amore per l’arte antica at- traverso il padre, ma adottò più spesso come modello la scultura ellenistica. MARGHERITA DEL BRAmANTE 1310 Monumento funebre all’imperatrice, voluto da Arrigo VII di lussemburgo. Sua ultima opera, erano 3 figure perse, mezzobusto della donna, trasportata dagli angeli in cielo. Angeli vestiti come diaconi Dinamico, corpo avvitato nell’ascensione, verso la gloria, sguardo estatico MADONNA CON IL BAmBINO, sCROvEGNI 1280 Si collega a giotto con la madonna con il bambino nella cappella degli scrovegni. Scultura a tutto tondo. Influenza gotica e francese= forme allungate Lui porta la scultura gotica in italia e Giotto la pittura Plastico e naturale come Giotto Nelle formelle, leggermente ricurve, sono scolpiti con un linguaggio espressivo gli episodi della Vita di Cristo. La struttura è poligonale, come gli analoghi esempi precedenti, nel battistero di Pisa, nel duomo di Siena e nella chiesa di Sant’Andrea di Pistoia, ma per la prima volta i pannelli sono leggermente incurvati. Al posto degli archi troviamo delle mensole ricche di decorazioni mentre alcune colonne sono sostituite da statue di figure femminili e maschili. I leoni tilofori tengono fra le zampe la preda e volgono la testa in modo fiero, carat- terizzata da una folta criniera. Questa opera presenta dei rilievi con un linguaggio un po’ più compassato, rispetto al dirompente dinamismo del pergamo pistoiese, mentre sono più rilevanti le novità architettoniche. Il carattere dinamico dell’opera è evidenziato dalla grande varietà delle pose dei personaggi e degli animali e dalla presenza tipicamente gotica di ritmi ele- ganti e curvilinei. Secondo l’uso medievale, scene cronologicamente successive sono inserite nello stesso riquadro: possiamo vedere contemporaneamente i tre Magi svegliati dall’an- gelo, alla ricerca del Messia neonato, e già giunti alla capanna della Sacra Famiglia. Lo svolgimento della storia è anche animato da cani, cavalli nonché da animali esotici come i cammelli, mentre sullo sfondo si osservano brani di paesaggio aventi un gusto naturalistico. PULPITO DI SANT’ANDREA Pistoia STRAGE DEGLI INNOCENTI Il rilievo con la strage degli innocenti costituisce il vertice espressivo del monumento di Pistoia. La scelta di inserire questo episodio è motivata dalla sua tensione emotiva che consente a Giovanni di darne un’inter- pretazione carica di pathos e concentrata sul movimento. A livello compositivo la scena trae origine dalla figura di Erode che ordina di eseguire la carneficina. Dal braccio proteso di Erode si genera un vortice di violenza e di disperazione, solo apparentemente placato dal compianto delle madri sui f gli uccisi, nella parte inferiore della lastra. La scena è straziante: soldati che strappano i figli alle madri mentre queste tentano si proteggerli con il proprio corpo, bambini che giacciono privi di vita e donne che urlano. Risaltano nel vortice di figure i volti devastati dal dolore, quelli crudeli del carnefice e i gesti delle donne e dei soldati. Non mancano nell’opera i nessi con la tradizione antica: è evidente la relazione tra la scena della strage degli innocenti e alcuni rilievi della colonna traina che rappresentano le punizioni compiute ai danni dei dati sconfitti. 123122 Fu Siena, centro di origine romana la cui importanza crebbe nel Medioevo per la posizione strategica dal punto di vista commerciale: si trovava infatti sulla via Francigena. L’edificio ebbe un’evoluzione singolare, nella quale si succedettero diver- si progetti e differenti fasi costruttive. I lavori iniziarono nel 1226, a partire da un progetto del 1215, e continuarono fino al completare il coro. Le volte presbiteriani e la cupola. Protagonisti principali di questa prima fase furono i cistercensi della Abbazia di San Galgano, chiamati a dirigere il cantiere per la loro conoscenza delle pratiche costruttive. Dal 1245 furono affiancati da Nicola Pisano. In questa prima fase sono molto più marcati gli elementi di continuità con la tradizione romanica toscana nell’uso degli archi a tutto sesto e nella bicromia dei pilastri mentre nelle parti più recenti la successione delle fasce è molto più allentata. Anche in pianta notiamo alcune incoerenze rivelano la travagliata vicenda progettuale dell’edificio: su una struttura a croce latina è innestata un’a- rea presbiterale molto sviluppata come nelle cattedrali francesi. Lo scivolamento del transetto fa si che la cupola venga a trovarsi in posizio- ne non centrata rispetto all’asse trasversale della costruzione. Il ritmo serrato dei pilastri a fasce bicolori, lo sviluppo della zona pre- sbiterale e lo sfasamento della cupola generano all’interno del duomo la sensazione di uno spazio smisurato. A tale effetto concorre anche la luce dell’ampio rosone. Lo slancio verso l’alto è impedito dalla solidità della struttura e risulta come bloccato dall’o- rizzontalità dei paramenti decorativi bicorni e del cornicione, sia dall’uso dell’arco a tutto sesto. La stessa funzione è svolta dalla cornice che corre al di sopra degli archi. Vent’anni dopo la conclusione dei lavori ebbe inizio una nuova campa- gna costruttiva sotto la direzione di Giovanni Pisano. A lui si deve il prolungamento dell’edificio e la progettazione della fac- ciata. Appoggiata al corpo del duomo questa richiama il gotico francese. I 3 grandi portali, profondamente strombati e decorati, sono completati da spazi triangolari cuspidati, che ne accentuano lo slancio. La lavorazione è massima nelle torri laterali che inquadrano il prospetto e nel livello medio-alto sopra i portali. Rimasta interrotta per sopraggiunti dissidi tra Giovanni Pisano e i membri del consiglio che gestiva la fabbrica della cattedrale, la cui metà fu terminata solo nella seconda metà del Trecento. DUOMO DI SIENA Siena PROfETI DELLA fACCIATA pREssO MUsEO DELL’OpERA DEL DUOmO Giovanni condusse la decorazione della facciata, capolavoro di decorazione scultorea, ispirata ai modelli delle cattedrali d’oltralpe ma più libera nella di- sposizione delle figure. Ciò vale, in particolare, per le statue che raffigurano filosofi, profeti e apostoli, Maria di Mosè e Isaia. Tutte queste figure si collocano nello spazio in maniera del tutto nuova: poste davanti a nicchie poco profonde dei pinnacoli e nelle torri di facciata, esse emergono con decisione dal piano, muovendosi libere, completamente svinco- late dall’architettura che funge da fondale. In particolare la statua di Maria e di Mosè è caratterizzata da un accennato espres- sionismo che si accompagna alla tensione del corpo allungato e avviato su sé stesso. Il riferimento al mondo classico viene mascherato dalla maggiore attenzione per i movimenti, per l’espressività e per la resa psicologica. Questa vitalità dei gesti e dei volti, ancora presente nella tradizione scultorea della penisola italiana, deriva probabilmente da modelli francesi noti all’arti- sta. CROCIfIssO IN LEGNO pOLICROmATO GIOvANNI PIsANO Di sue sculture in legno ci resta una serie di Crocifissi che sono le uniche opere a noi note che egli eseguì in questa materia. Sono ormai riconoscibili a Giovanni 6, mentre altri gli sono stati attribuiti da riferire piutto- sto alla sua bottega o a seguaci. Si deve infatti a Giovanni la creazione di una nuova iconografia del Cristo scolpito che ebbe larga diffusione nel Trecento. Il Crocifisso è l’unico ad aver conservato la Croce originale nella rara forma a ypsilon e con il cranio di Adamo alla base. La sua colorazione non è originale, ma antica, mentre originale è la doratura del perizoma. La figura di cristo sembra quasi a spiccare un volo dove i lunghi e sottili bracci di que- sta si assimilano ad ali levate. Le articolazioni si snodano ancora con una certa fluidità lineare, senza brusche fratture, sì che la costruzione della figura appare affidata soprattutto alla continuità delle linee da cui nasce un modellato più unito e morbido. PULpITO DEL DUOmO DI SIENA DI NICOLA PIsANO E ARNOLfO DI CAmBIO Il pulpito, a pianta ottagonale, poggia su 9 colonne dotate di capitelli in stile corinzio. La colonna centrale poggia su una base ottagonale adornata con le figure delle arti liberali e della filosofia. Queste raffigurazioni sono presenti per la prima volta su un oggetto di arte sa- cra e trovano un loro significato in quanto arti nobili in grado di elevare il cristiano verso Dio. 4 delle 8 colonne laterali poggiano su leoni stilofori e le altre 4 direttamente sul terreno. Le colonne erano originariamente in marmo e nel corso del XIV secolo sostituite con l’attuale diaspro colorato. Le 8 colonne laterali sorreggono archi a tutto sesto trilobati sui cui lati sono presenti coppie di Profeti o Evangelisti. Esplicativa delle novità dell’opera senese è la scena dell’adorazione dei magi in basso a sinistra e l’adorazione del bambino in alto a destra: sono scomparse le figure classiche e grandiose della scena del Pergamo di Pisa, i personaggi sono più piccoli e numerosi, l’affollamento produce una maggiore concitazione sottolineata dalla gestualità. I personaggi hanno volti espressivi e sembrano comunicare tra loro anche con gesti e sguardi, che hanno il momento di maggiore intensità nell’adorazione del bambino. Siena il retaggio classico è meno forte di Pisa ed è possibile che i committenti aves- sero optato per una rappresentazione più patetica e sovraccarica. 129128 GIOTTO 1267-1337 Giotto di Bondone è il maggiore interprete della rivoluzione in senso naturalistico che attraversa la pittura italiana a cavallo tra il Duecento e il Trecento. Giotto è colui che rompe definitivamente gli schemi bizantini, il primo artista moderno che torna a guardare alla natura, ingan- nando l’occhio di chi osserva con le sue figure tridimensionali, espressive, visive, che si muovono in spazi coerenti e unitari. Nelle opere di Giotto la narrazione fluisce chiara, ogni cosa è organizzata in composizioni semplici, dirette, eppure gli spazi sem- brano aprirsi oltre le superfici dipinte, i personaggi ci invitano a entrare nelle scene. Giotto si lascia alle spalle la tradizione bizantina per riallacciare la pittura alle evoluzioni della scultura, in particolare quella di Arnolfo, che il pittore conosce probabilmente a Roma. CROCIFISSO DI PADOVA Dipinta su entrambi i lati, è incastonata in una cornice, intagliata lungo i bordi con motivi vegetali. Completa anche nei tabelloni accessori, mostra la croce col Cristo, la rappresenta- zione del Calvario col teschio di Adamo in basso, Maria e Giovanni, a mezzo busto, ai lati e il Redentore nella cimasa. I bordi della croce sono decorati con motivi ornamentali derivati dall’arte tessile. Tutto il corpo di Cristo sprofonda verso il basso, gravato dal suo stesso peso. La testa, le dita della mano e le ginocchia sporgono in avanti, i piedi sono sovrap- posti l’uno sull’altro, dando la sensazione di profondità spaziale. I chiaroscuri sono resi con una stesura pittorica densa e morbida a rendere pas- saggi fumosi tra le zone chiare e quelle più scure. Inoltre c’è un’attenzione per l’unica fonte di luce e tutti i passaggi chiaroscurali sono resi tenendo conto della sua provenienza. La luce è al tempo stesso intensa e morbida, e mette in risalto le membra, ripor- tando anche le vene, i tendini, lo schema osseo della gabbia toracica. L’espressione del Cristo è sofferente ma dignitosa, e trasmette una drammaticità maggiore rispetto alle precedenti croci. Il retro è molto più rovinato e mostra l’Agnello mistico con i simboli degli evan- gelisti alle estremità dei bracci della croce. POLITTICO DI BADIA Il Polittico di Badia è un dipinto a tempera su tavola di Giotto, databile al 1300 circa. È composto da 5 scomparti sagomati e raffigura i busti della Madonna col Bambino e, da sx, i santi Nicola di Bari, Giovanni evangelista, Pietro e Benedetto, identificabili sia per gli attributi che per il nome in basso. Le cuspidi contengono tondi con busti di angeli e in quella centrale, un Cristo benedicente. Le figure hanno sguardi intensi e sono collocate saldamente nello spazio, come la ricca veste e il pastorale dorato di San Nicola, il gesto affettuoso del Bambino che afferra con la mano la scollatura di Maria o il drappo della stola di san Pietro che girando attorno al corpo ne esalta la volumetria. I santi appaiono seri e gravi, in quanto figure di antica venerazione. MADONNA DI S. GIORGIO ALLA COSTA Firenze, S. Stefano al Ponte La Madonna di San Giorgio alla Costa è un dipinto a tempera e oro su tavola attri- buito a Giotto, databile al 1295. La Vergine è rappresentata su un trono marmoreo decorato. Il trono è raffigurato frontalmente con i lati aperti. È fissato un drappo di broccato che nasconde in parte il trono e attenua l’effetto tridimensionale. Il trono è coronato da una cuspide decorata la cui sommità si intravede appena dietro il nimbo della Vergine. La Vergine mostra il Bambino alla sua sx, appoggiandolo sul ginocchio sinistro, mentre questo è raffigurato frontalmente in posizione composta e solenne, come se fosse un Bambino già adulto, con un rotolo nella mano sx e il segno della bene- dizione con quella dx. La Vergine è avvolta nel suo manto blu con la cuffia rossa che le copre la testa. La sua testa si torce leggermente verso il Bambino. Il Bambino è vestito di blu e porta un mantellino rosa. La sua posa composta è tradita dall’irrequieto movimento del piede destro. Gli angeli hanno una raffigurazione a metà strada tra quella pienamente frontale e di profilo. Il dipinto contiene i caratteri tipici della produzione giovanile di Giotto. Il trono è inserito in una prospettiva centrale, formando quasi una “nicchia” ar- chitettonica che suggerisce un senso della profondità, anche se non ai livelli della Madonna Ognissanti. Anche il principio dell’unica fonte luminosa, sconosciuta ai pittori precedenti, rende le figure e la loro collocazione nello spazio più realistici. MAESTÀ OGNISSANTI La maestà segna un decisivo punto di svolta nella tipologia di questa pala per la verosimiglianza spaziale. Se la struttura cuspidata, le grandi dimensioni, la gerarchia dei personaggi e il fondo dorato si ispirano alla madonna con bambino di Cimabue e Duccio, le novità introdotte da Giotto vanno individuate in più elementi. Il trono, che appare come un’area ed elegante architettura gotica, sembra sfon- dare la parete dorata e allo stesso tempo dà la sensazione di uscire dalla cornice. Una novità è rappresentata dai santi che si affacciano alle pareti aperte del trono come a finestre di un esile edificio gotico. Colpisce quindi, rispetto alla tradizione, il volto della Madonna dolce, lo sguardo obliquo e, studiato in rapporto al punto di vista del fedele. Le figure sono volumetriche e tridimensionali: il corpo della Madonna si intuisce sono il mantello, teso all’altezza delle ginocchia, mentre la veste di Gesù è tutta giocata sulle trasparenze. Le 2 figure ruotano leggermente in posizione opposta: quella di Maria verso sx, quella del bambino dalla parte opposta. Giotto individua una fonte luminosa precisa, da dx, che illumina in modo differen- te i lati del trono. 131130 POLITTICO STEFANESCHI Il Polittico Stefaneschi è una tempera su tavola di Giotto e aiuti di bottega, realizzata nel 1320 circa. Nei pannelli laterali sono rappresentati: il martirio di Pietro rappresentato secondo l’iconografia tradizionale, a testa in giù; la scena, a cui assiste un folto gruppo, è posta tra due edifici. La Decollazione di san Paolo in cui la scena è ambientata in un paesaggio tra due colli ed è presente una piccola costru- zione a pianta centrale; anche in questo caso il Santo nella cuspide è raffigurato mentre sale in cielo portato da angeli. I 3 scomparti della predella raffigurano la Vergine in trono col Bambino tra angeli, San Pietro e san Giacomo in posizione centrale, e ai latri 5 apostoli per parte. Sul verso è rappresentato: Al centro San Pietro in trono tra angeli e offerenti: il pontefice Celestino V, in abito mona- cale, sta offrendo a Pietro il modellino del trittico e un manoscritto. Il modellino del polittico è uguale al vero. Nei pannelli laterali ci sono: San Giacomo e san Paolo a sinistra e Sant’Andrea e san Giovanni Evangelista a destra. Nel retro della predella, l’unico pannello superstite riproduce Santo Stefano e 2 Santi non identificabili. Nelle cuspidi sono presenti tondi con angeli e santi o profeti. Notevole appare la varietà cromatica, a scopo decorativo, ma le figure presentano una minor evidenza plastica rispetto ad altre opere di Giotto. CROCIFISSO DI RIMINI Nel crocifisso di Rimini Cristo è raffigurato sulla croce abbandonato al peso del proprio corpo, con il capo reclinato, gli occhi chiusi, l’espressione affaticata e sofferente ma dignitosa, il corpo magro, le gambe protese in avanti con le ginoc- chia e i piedi inchiodati a un unico chiodo. I tabelloni ai lati di Cristo sono occupati da decorazioni geometriche che simu- lano preziosi tessuti mentre in alto, su sfondo rosso, si trova un’iscrizione estesa dell’INRI (Gesù Nazareno Re dei Giudei). Gocce e rivoli di sangue escono dalle ferite, stimolando le sofferenze di Cristo. Forte è la luce, che stacca nettamente la figura dallo sfondo piatto, evidente soprattutto nelle braccia, di straordinaria resa anatomica, e nel busto, mentre più scolorite sono le gambe, coperte per metà da un perizoma trasparente, come già aveva fatto Cimabue. La figura è allungata, sottile ed elegante, con una linea di contorno che sottoli- nea i particolari anatomici. Il cromatismo è raffinato e modulato da un sapiente gioco di ombre. CROCIFISSO DI SANTA MARIA NOVELLA Il crocifisso di santa Maria novella è considerato tra le opere giovanili di Giotto, eseguito probabilmente dall’artista tra il 1285 e l’inizio degli anni novanta. L’intera iconografia della croce rappresenta un cambiamento di rotta rispetto alla tradizione e la novità principale consiste nel rappresentare Cristo non più come una icona sacra ma come un uomo vero. Il tronco è ripiegato su sé stesso e non si incurva più innaturalmente vera dx , ma ricade dalla parte opposta sotto il peso del bacino. Le braccia hanno una muscolatura assottigliata dal peso del corpo, le mani sono scorciate con i pollici in prospettiva e non più appiattite. I muscoli tesi delle braccia fanno da contrappunto alla pesantezza delle gambe. Il viso, reclinato su un lato, gli occhi sono socchiusi, a bocca è semiaperta e il ventre è anatomicamente credibile e non tripartito come nella tradizione duecen- tesca, oltre che leggermente rigonfio come accadeva in caso di morti violente. Le ginocchia, cedono e si piegano, le vene pulsano e i tendini si gonfiano, il sangue scorre dai piedi e si insinua tra le pietre e si raggruma vicino al teschio di Adamo. Il senso di gravità è accentuato dal fatto che i piedi sono inchiodati con un solo chiodo. La verità anatomica del corpo di Cristo, non più disegnato utilizzando gli stilemi della tradizione bizantina, è ottenuta anche grazie al chiaroscuro che, conferisce al corpo una tridimensionalità. Per costruire la volumetria dell’incarnato Giotto usa pennellate sottili e decise, che non si fondono mai del tutto. STIGMATE DI SAN FRANCESCO Stigmate di san Francesco è un dipinto tempera e oro su tavola di Giotto, eseguito per la chiesa di San Francesco di Pisa. La tavola cuspidata con fondo oro mostra nella scena principale San Francesco che riceve le stimmate durante la preghiera sul Monte Alverno, da Cristo volante che gli appare in forma di serafino, con le ferite che emettono raggi di luce che vanno a colpire le rispettive zone del corpo di Francesco. Lo sfondo mostra gli sforzi di collocare realisticamente la scena nello spazio, sebbene vi si ritrovino alcune convenzioni bizantine, come le montagne scheg- giate e gli elementi paesaggistici rimpiccoliti. Il forte chiaroscuro sul volto di Francesco dona intensità espressiva e ne modella il volume. La predella mostra 3 scene della vita del Santo che sono in stretta relazione com- positiva con gli affreschi di Assisi. La scena del Sogno mostra il crollo del Laterano con la chiesa inclinata ma con una colonna già spezzata. Anche la presenza di san Pietro che indica al Papa dormiente la visione è un’in- novazione. La Conferma della Regola è invece ambientata in una stanza del tutto analoga con gli archetti e le mensole disposte in prospettiva. La Predica agli uccelli spicca poi per semplicità e astrazione, grazie allo sfondo do- rato privo di notazioni, si possono qui apprezzare la varietà e la vivacità descrittiva nella rappresentazione degli uccelli, appartenenti alle specie più varie. In generale lo stile di queste scene mostra, rispetto agli affreschi assisiati, una maggiore eleganza gotica, data dall’assottigliamento delle figure. 133132 CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI Padova La cappella degli Scrovegni a Padova è considerata l’opera più impegnati- va della carriera di Giotto. Iniziata attorno al 1303 fu terminata entro il 1305. La cappella è formata da un unico vano voltato a botte, che termina in un’abside preceduta da un barcone. L’interno è illuminato da una trifora in facciata, 6 monofore sul lato destro e 2 absidali. Il presbiterio, dove si trovano le tombe dei committenti, è successivo e voltato a crociera e affrescato in stile giottesco. La decorazione prese avvio dell’alto. La volta è attraversata da 2 ampie fasce decorative con busti di patriarchi, e profeti, apostoli, santi e sante inserite in cornici polilobate dipinte. Le pareti sono suddivise orizzontalmente in 4 registri da finte cornici cosmate- sche: le scene sono separate sul lato dx dalle finestre e su quello sx da fasce decorative con riquadri in cui sono raffigurati episodi dell’antico testamento che prefigurano gli elementi del nuovo testamento eseguiti nei riquadri principali. La narrazione occupa 3 registi e inizia dalla parete di dx in alto a partire dall’ar- co trionfale: nella lunetta, Dio padre in trono, circondato da schiere angeliche, è raffigurato mentre manda il proprio messaggero sulla terra. Si prosegue poi prima sulla parete di dx e poi sulla sx: alle storie di Anna e Gio- acchino seguono le storie della Vergine e le storie dell’infanzia, della passione e della morte di cristo, secondo il racconto evangelico. Il ciclo si conclude con il giudizio universale posto nella controfacciata. Il registro inferiore delle pareti è decorato come un finto zoccolo di marmi con nicchie che ospitano le personificazioni di virtù teologali e cardinali e vizi. Le figure sembrano statue classiche, reinterpretate alla luce della scultura di Gio- vanni Pisano. Il percorso devozione si concluse nel giudizio universale, tradizionalmente affresca- to nella controfacciata. Qui colpisce la concezione unitaria della scena, dominata dalla figura centrale di Cristo Giudice, affiancato dagli apostoli e, più in alto, dalle 9 schiere angeliche. In basso, ai lati di una croce retta da angeli, si contrappongono la gioia dei santi e degli eletti e la disperazione dei dannati, perseguitati dai demoni. Ai piedi della croce, il committente della decorazione, in ginocchio, offre alla vergine accompagnata da san Giovanni evangelista e santa Caterina d’Ales- sandria il modellino della cappella. Sulla parte alta, nei 2 angoli a fianco della trifora, 2 angeli arrotolano il cielo lasciando intravedere le porte dorate e gemmate della Gerusalemme celeste, e con esse la promessa di una vita eterna. Elemento di novità è il cielo non oltremarino ma di un azzurro chiaro e reale e la fusione dello spazio reale e dipinto. Nel compianto sul Cristo morto nel cielo 10 angeli scor- ciati lasciano trasparire il dolore attraverso i tipici ge- sti medievali, come asciugarsi le lacrime, graffiarsi le guance e tirarsi i capelli. La loro disposizione conduce l’occhio dell’osservatore verso il basso, dove Maria fissa il volto del figlio, il cui capo si arrovescia all’indietro ed è sorretto un’altra donna. A dx Maria di Cleofa tiene le mani di cristo mentre Maria Maddalena, i capelli sciolti e il volto segnato dal dolore, ne sorregge i piedi. Le figure di spalle rispecchiano la tradizione del com- pianto funebre a Firenze ai tempi di Giotto: le donne si disponevano accanto al corpo del defunto per il lamento, talvolta togliendosi il velo, strappandosi i capelli, battendosi e graffiandosi le guance. Questi elementi rivelano l’attenzione all’immagine umana e la contemporaneità con cui l’artista propone l’episodio sacro. Per sottolineare la drammaticità Giotto sceglie di spo- stare il fulcro dell’episodio lateralmente, accentando il movimento dell’intera scena. 139138 MADONNA DEI FRANCESCANI Siena, Pinacoteca Nazionale Nella madonna dei francescani i 4 angeli sul fondo sono di tradizione bizantina mentre il drappo che sorreggono sembra ripreso sai codici miniati francesi molto diffusi a Siena. Il gusto cromatico e la realizzazione della veste della Vergine, priva di chiaroscu- ro e definita dalla linea di contorno dorata è tipica della scuola senese. Una nuova attenzione per la profondità spaziale, con le figure disposte una die- tro l’altra, si ritrova nel gruppo dei 3 frati adoranti in primo piano a sx, che la madonna copre con il lembo del mantello in senso di protezione. VETRATA DEL DUOMO DI SIENA SU CARTONE La realizzazione di questa vetrata si dimostrò da subito un’impresa complessa e delicata, giacché Duccio non era un maestro vetraio e non si era mai impegnato in lavori di questo tipo. È probabile che abbia inizialmente realizzato il disegno, che poi si sia avvalso della collaborazione di botteghe specializzate e che sia nuovamente intervenuto alla fine per eseguire, personalmente, le rifiniture. La vetrata raffigura la Morte della Vergine (in basso) la sua Assunzione (al centro) e Incoronazione (in alto). Ai due lati della Vergine Assunta sono raffigurati i 4 santi protettori della città di Siena, ovvero San Bartolomeo e Sant’Ansano a sinistra e San Crescenzio e San Savino a dx. Ai 4 angoli della vetrata sono invece raffigurati i 4 evangelisti seduti in trono e i loro simboli. Sebbene la realizzazione delle figure in una vetrata non consentisse a Duccio di esprimere tutto il suo repertorio di dettagli gotici, non mancano comunque virtuosismi di origine gotica, quali ad esempio le cornici dei 4 santi protettori di Siena e il linearismo delle sagome nella scena dell’Incoronazione. Numerose opere d’arte sono conservate all’interno del Duomo di Massa Marittima. La cappella dedicata alla Vergine (alla sx del presbiterio) ospita attualmente al suo interno l’opera di maggior pregio di tutto l’edificio, la frammentaria Maestà dipinta su tavola intorno al 1316 dal celebre pittore senese Duccio di Buoninsegna e dal- la sua bottega, in origine destinata all’altare maggiore del Duomo, raffigurante sul recto la Madonna col Bambino (la cosiddetta Madonna delle Grazie) e sul verso le Storie della Passione di Cristo. MAESTÀ DEL DUOMO DI MASSA MARITTIMA MAESTÀ DEL DUOMO DI SIENA L’opera più importante di Duccio è la grande Maestà commissionata nel 1308 dalla fabbrica del duomo di Siena. La maestà si presenta oggi come una grande pala rettangolare che consente solo in parte di farci un’idea sull’aspetto originario. Nella versione originale l’opera era inserita in una ricca cornice dorata, con una cimasa decorata da cuspidi e pinnacoli, una predella e una facciata posteriore dipinta. Nel 1506 la pala fu tolta dall’altare maggiore e, nel settecento, venne smembrata per distribuirne le parti su due altari distinti: in tali vicissitudini andarono persi o venduti 9 elementi della predella. Il retro, pensato per la contemplazione degli ecclesiastici, narra in 26 riquadri la passione di cristo. La predella presenta sul fronte storie dell’infanzia di Gesù e profeti e sul retro storie della vita pubblica di Cristo. Nel perduto coronamento della tavola erano dipinte storie della madonna ed episodi della vita di Cristo dopo la resurrezione. In questo motivo e nell’impostazione statica della scena sopravvivono un’iconografia e una solennità bizantina che Duccio rinnova infondendo alle figure grande naturalezza: lo mostrano l’umanità dei volti della madonna e del bambino, la postura della Vergine, non più frontale ma leggermente obliqua, le pose degli angeli, alcuni dei quali si appoggiano al trono. 141140 SIMONE MARTINI 1284-1344 Tra la fine del duecento e l’inizio del trecento Siena fu, insieme a Firenze, il laboratorio artistico più importante dell’Italia centrale, vivificato dai legami commerciali e culturali con la Francia, da cui affluivano soprattutto manufatti di oreficeria. A Siena si diffuse uno stile caratterizzato da grande raffinatezza ed espressività. Per queste ragioni, rispetto a Firenze si affermarono esperienze più vicine all’arte gotica. Un ulteriore elemento di differenza tra le due città era costituito dal rapporto con il potere pubblico, che a Siena risultava stret- tissimo: il governo comunale favoriva la produzione degli artisti senesi chiedendo loro opere che fossero strumenti di celebrazione delle città. MAESTÀ DEL PALAZZO PUBBLICO DI SIENA Siena, sala del consiglio cittadino Capolavoro di Simone Martini è la maestà, affrescata nella sala del consiglio cittadino. Maria regge in grembo il Bambino Benedicente ed è attorniata da una corte celeste di santi e arcangeli, mentre ai suoi piedi, in ginocchio, sono raffigurati 2 angeli, che offrono bacili colmi di rose e gigli, e i Santi patroni della città. Nella cornice a motivi vegetali si alternano lo stemma bianco e nero di Siena, quello del popolo senese con il leone in campo rosso, e tondi con il redentore, gli evangelisti, i pro- feti, i dottori della chiesa e la personificazione bicefala dell’antico e nuovo testamento. Gli stemmi cittadini tornano anche nelle pieghe del baldacchino, sorretto da Santi, a confermare il legame tra fede e politica. Nell’opera la Vergine non è più una creatura astratta, ma una creatura umana, così come il bambino paffuto e dalle guance rosee con una cascata di riccioli biondi che gli incorniciano il volto. L’assimilazione della spazialità giottesca è testimoniata dall’ampio respiro della com- posizione: il consiglio-tribunale si distende arioso, raffigurato attraverso un unico punto di vista frontale. La donna siede su un trono molto lavorato, la cui spalliera è alleggerita da due trifore gotiche. Quello che colpisce è il colore: è evidente la prevalenza degli azzurri che contrastano con il rosso del tessuto del baldacchino e l’oro. CICLO DI SAN MARTINO Cappella di San Martino ad Assisi La cappella di san Martino è interamente dedicata a un ciclo di affreschi sulla vita di San Martino, ad opera di Simone Martini. Fu realizzata dal maestro senese in cinque anni, dal 1313 al 1318. In queste opere Simone narra le storie di San Martino. 10 sono le scene narrate nei dipinti dell’artista, che, oltre a quelle della “morte” e delle “esequie”, ne raffigurò altre 8: 4 riguardanti la vita di Martino prima della conversione e 4 relative al periodo posteriore. Lo stile di Simone Martini in questi anni è realistico e oltretutto raffinato nei modi con cui vengono raffigurati i personaggi, i loro volti, le loro posture, il tocco delle loro mani. Simone è estremamente abile nella resa naturalistica della fisionomia dei volti dei per- sonaggi. In questi affreschi Simone mostra anche di ricevere l’influenza di Giotto, che proprio in questi anni stava affrescando il transetto destro della stessa basilica. Risultati di quest’influenza sono la collocazione delle scene in contesti architettonici resi con un’opportuna resa prospettica e una maggiore attenzione per le vere fonti di luce nella resa dei chiaroscuri. TRITTICO DI SANT’AGOSTINO Siena, Pinacoteca Nazionale La tavola, della quale è stata trasformata la forma della cuspide, da poligonale a rettango- lare con perdita delle peculiarità trecentesche, riprende con un gusto del tutto nuovo l’im- pianto distributivo che si impiegava nei tabelloni del secolo precedente, con al centro l’immagine del santo, ed ai lati, le storie relative alla sua vita. La tavola è suddivisa dalla cornice in 3 parti: una centrale e due laterali; quella centrale ha un arco ogivale ribassato e pentalobato; quelle ai lati hanno l’arco a “tutto sesto” trilobato. In alto, ubicati tra l’arco centrale e quelli laterali, stanno 2 medaglioni nei quali sono raffi- gurati i busti di santi eremiti dell’ordine agostiniano. Nella parte centrale viene raffigurata, con efficace gioco di controluce sullo sfondo au- reo, l’imponente immagine del beato Agostino tra 2 alberelli nei quali svolazzano molti uccellini. Il Santo sembra concentrarsi all’ascolto delle parole sussurrate da un piccolissimo an- gelo dalle ali verdi. Gli interventi del beato Agostino, tutti contraddistinti da una puntuale tempestività, vengono narrati nei 4 riquadri, distribuiti a due a due, ai lati della maestosa figura del Beato. In tutti e 4 gli episodi sono raccolti i successivi momenti dell’intervento del beato Agostino, e, quindi, la celebrazione del “rendere grazia” per il miracolo ricevuto. Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita Firenze, Galleria degli Uffizi Per l’altare di sant’Ansano, Simone dipinse nel 1333 il polittico dell’annunciazione. La cornice originale è andata perduta ed è stata sostituita da un rifacimento in stile di fine ottocento. L’angelo, dai lineamenti delicati e ancora in movimento, come dimostrano le ali aperte, porta alla Vergine l’annuncio della prossima maternità, materializzato nelle lettere d’oro a rilievo su fondo oro. Esso continua sui bordi della veste di Maria, che si ritrae spaventata, seduta su un trono prezioso e con un libro in mano. Il volto, reclinato verso dx, esprime un moto di pudore accentuato dalla torsione del corpo esile e quasi inconsistente. Lo stile, influenzato dai modelli del gotico francese, tende all’astrazione delle forme che risultano appiattite e semplificate. I personaggi non hanno quasi volume, mentre grande attenzione è rivolta alle linee fluide dei contorni. Anche la luce gioca un ruolo fondamentale: il consueto fondo oro risulta tanto luminoso che la figura dell’angelo, dipinto tono su tono, ne sembra quasi assorbita. Straordinario è poi il mantello celeste del messaggero, realizzato a graffito e rappresen- tato mentre è ancora sollevato in aria. POLITTICO ORSINI Il Polittico Orsini è un piccolo altare portatile dotato di 4 scomparti dipinti fronte-retro intorno al 1333- 1337. Il polittico raffigura l’Annunciazione, Scene della Passione di Gesù Cristo e gli stemmi della famiglia del committente (2 ante). Nelle scene della Passione di Cristo si osserva una massa urlante di personaggi, differenziata nelle posture, gesti, vesti e partecipazione emotiva. Notevole è la capacità del maestro senese di rendere effi- cacemente emozioni e volti, con risultati quasi ritrattisti- ci. La pennellata è raffinata, delicata e particolareggiata. Lo spazio è volutamente poco profondo, sviluppato quasi in verticale e dominato dalla tensione narrativa. 143142 PIETRO LORENZETTI 1280-1348 AMBROGIO LORENZETTI 1290-1348 STORIE DI SAN NICOLA Firenze Uffizi L’opera venne realizzata dall’artista senese durante il suo soggiorno a Firenze, quando si iscrisse all’Arte dei Medici e Speziali e ricevette numerose commissioni sfruttando anche il vuoto che Giotto aveva lasciato con la sua partenza del 1327. Le 4 storie rappresentano la Resurrezione di un bambino, il Salvataggio di Mira dal- la carestia con l’essiccazione e la moltiplicazione di sacchi di farina caduti in mare, il Regalo della dote a 3vergini e la Consacrazione di San Nicola come vescovo. Le scene sono caratterizzate da una graduale riduzione del fondo oro, confinato a spazi sempre più piccoli e marginali con l’architettura che occupa quasi tutto lo sfondo. Nella scena di San Nicola che resuscita il bambino strozzato dal demonio, il bam- bino protagonista è raffigurato 4 volte in altrettanti momenti successivi, che si svolgono nei 2 piani di un edificio: il pian terreno è aperto da un arco, mentre il piano superiore è visibile tramite una loggia. 1. Il diavolo si presenta in un’abitazione come un pellegrino e un bambino gli va incontro; 2. successivamente (a sx) lo strangola dietro le scale 3. il bambino sta poi morto sul suo letto 4. San Nicola, apparso in un nimbo in alto a sx, lo resuscita facendolo rialzare NATIVITÀ DELLA VERGINE Siena, Museo dell’Opera del Duomo Il trittico, dipinto per l’altare di san Savino nel duomo di Siena, è concepito come una loggia aperta, attraverso la quale il fedele può osservare lo svolgersi dell’e- vento sacro. Di fatto, pur mantenendo la tradizionale forma gotica del trittico, l’artista uni- fica lo spazio, anticipando alcune scelte stilistiche rinascimentali. Anche la cornice è inclusa nel gioco illusionistico perché i 2 pilastri alludono all’architettura dell’abitazione di Anna e Gioacchino. Al centro e a dx viene rappresentata la stanza in cui sant’Anna, assistita da 2an- celle, ha appena partorito Maria, raffigurata in primo piano. A sx, sotto un portico è seduto Gioacchino mentre riceve notizie sull’evento dal fanciullo con la veste blu. Pienamente coerente è il rapporto tra lo spazio abitativo e le figure, caratterizzate da una salda plasticità e gestualità. Lo spazio è unitario e scorciato secondo un unico punto di fuga che richiama la prospettiva di Giotto mentre la vivacità cromatica e la dolcezza dei volti de- rivano da Duccio. La caratterizzazione e l’espressione dei sentimenti e l’attenzione ai dettagli del quotidiano risente dell’influenza di Giotto. PRESENTAZIONE AL TEMPIO Firenze, Uffizi Nel 1342, per il duomo di Siena, Ambrogio dipinse un trittico di cui resta solo il pannello centrale con la presentazione di Cristo al tempio. Anche in quest’opera Ambrogio porta avanti l’indagine sulla rappresentazione illusionistica dello spazio appresa da Giotto. La scena si svolge all’interno di un tempio, chiuso da un tiburio poligonale, che si apre verso lo spettatore attraverso le arcate decorate in stile gotico fiammeggiante. Lo spazio sembra farsi reale e continua a dx e a sx al di là della cornice che ne interrompe la vista all’interno, ricco di marmi e decorazioni cosmatesche, vi è un presbiterio dietro il quale, dopo una fuga di colonne, è dipinta l’abside. Al centro troviamo: la Madonna, che tiene nelle mani il telo in cui era avvolto il Bambino, il Bambino, con i piedini irrequieti e il dito in bocca, e Simeone il Giu- sto, raffigurato nell’intento di proferire parola dopo aver preso in braccio il piccolo. All’estrema sx troviamo Giuseppe, preceduto da 2 accompagnatrici. All’estrema dx troviamo invece la Profetessa Anna che dispiega un cartiglio entro cui leggiamo un messaggio in latino. Dietro l’altare vediamo un sacerdote con i colombi da sacrificare nella mano dx e il coltello del sacrificio nella sinistra. Sull’altare, davanti a lui, arde la fiamma del sacrificio. Vero protagonista di tutta la scena è Simeone il Giusto, intento a contemplare il Bambino che ha in braccio e con la bocca aperta a dare il suo messaggio.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved