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Appunti relativi alla vita di Alfieri scritta da esso e al suo sonetto "Sublime specchio", Appunti di Letteratura Italiana

Appunti relativi alla vita di Alfieri scritta da esso e al suo sonetto "Sublime specchio"

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 18/01/2024

alessandra-iacovo
alessandra-iacovo 🇮🇹

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Scarica Appunti relativi alla vita di Alfieri scritta da esso e al suo sonetto "Sublime specchio" e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Ritratto datato 1693 ci porta in un’altra stagione di studi e attività poetica alfieriana, pittore Francois Javier Fabre anche autore di un altro celeberrimo ritratto. Ci serve come testimonianza iconografica del sonetto Autotritratto, è un’ulteriore forma di rappresentazione di sé alla quale alfieri si affida. Il sonetto è un sonetto che alfieri stesso decise di trascriverlo sul retro della tela composto qualche anno prima. Sonetto databile 9 Giugno 1786. Sonetto classico, tradizionale, anche per lo schema metrico. Sul sonetto si fonda la nostra tradizione lirica, la subalternità del sonetto come forma metrica ribadita da Dante nel De vulgari eloquentia, a ribadire la grandezza del sonetto arriverà Petrarca. Tra 700/800 il sonetto diviene una forma metrica tipica dell’autoritratto, anche Manzoni si è cimentato nella prova di ritrarre se stesso in una canzone. Questo sonetto ha lo schema metrico tradizionale, piuttosto nitido nelle due quartine ABAB, terzina CDC e DCD. L’autoritratto fisico e psicologico collide con l’aspetto cristallino e classico di questi versi, esiste una bipartizione molto forte e classica, la bipartizione di quartine e sestine trova una corrispondenza nel tema del sonetto anche il sonetto è bipartito. Verso chiave che segna la divisione “Pallido in volto…”. Un attraversamento veloce della tragedia alfieriana. Si parla di re sul trono, sovrano, Alfieri rievoca il mito possessivo della propria scrittura tragica. Nella prima parte sono realisticamente evidenziate le caratteristiche fisiche di Alfieri, nelle quartine, questo ritratto trova perfetta rappresentazione nel quadro citato prima. Bellezza eroica che traspare negli eroi tragici ma presente nelle rappresentazioni iconografiche. Il sonetto si accampa nella prima parte delle rime che contiene molti sonetti di alfieri, in particolare i componimenti scritti dal 1786 al 1788, questo uno degli ultimi. Il sonetto si apre con una citazione. Lo specchio è il quadro, allusione al quadro, il poeta vede la sua immagine riflessa, sembra che, nella fase iniziale Alfieri si rivolga a se stesso, è il sonetto che diviene lo specchio di se, sublime ma veritiero, un autoritratto poetico sublime ma in grado di narrare la verità, di non mentire, rema molto importante anche all’interno della filosofia settecentesca. Questo sonetto deve essere letto insieme all’introduzione della vita, alfieri riflesse sulla possibilità dell’arte di farsi specchio della realtà. “Lo specchio è in grado di mostrare in corpo e in anima al lettore quale io sono”. Alla poesia, alla lettura, all’arte è affidato il compito di descrivere il poeta, alla poesia alfieri affida il ritratto fisico ma anche spirituale, questo evidente nelle quartine, la giuntura dell’ottavo verso funge da introduzione al ritratto spirituale che è presente nella seconda parte del sonetto. Descrizione dei capelli che si fanno sempre più larghi sulla fronte, capelli rossi. Questa forma verrà ossessivamente ripresa. Alfieri era alto. Inizia una carrellata non solo fisica, capo dolcemente piegato quasi a terra, indicazione topica che descrive l’indole di Alfieri, denota lo stato di malinconica riflessione esistenziale del poeta. Era un uomo magrolino, qui torna tutto il brio della lingua alfieriana, persona sottile sostenuta dalle gambe dritte, sinonimo di prestanza fisica, “bianca pelle” bianco caratteristica di innata bellezza e salute, occhi azzurri e “aspetto buono” formula colloquiale per il linguaggio della medicina, sembianza di persona che sta bene. Segue una descrizione del naso, labbra e denti perfetti e bianchi. Rispetta tutti i canoni della bellezza maschile e virile del tempo. Si ferma qui la descrizione fisica con Il v. ottavo che conclude le quartine. “Pallido in volto più che un re sul trono”, non è un verso facile. Il candore si riferisce anche alla nobiltà, il pallore ci precipita dal ritratto fisico al ritratto intimo e morale, ci riporta gli affanni dell’uomo, Alfieri è più pallido di tutti i re e tiranni che ha raffigurato perché sempre preoccupati di perdere il potere, pallore politico, quello di alfieri allude a un tormento interiore. Si passa alla descrizione interiore. Alfieri si rappresenta in piedi, sembra guardarsi davanti a questo metaforico specchio al quale tende una indicazione vera e propria. La descrizione fisica è piuttosto realistica e dettagliata fino all’ottavo verso, questo consente una sfumatura che include anche nel sonetto la presenza dell’allusione al politico, ossessivo nelle tragedie che torna nel sonetto. Incursione motivo politico così sentito. Capacità di Alfieri di utilizzare sapientemente l’ossessione al motivo politico come vera e propria cerniera tra il ritratto fisico e morale, serve perché prelude questo verso alla descrizione dell’inquietudine alfieriana che domina le terzine. Si nota dal punto di vista sintattico che non c’è un punto, sintassi paratattica in cui prevalgono sapientemente dosate le correlazioni antitetiche. Queste donano al componimento una certa orizzontalità, una superficie piana. Questa chiusura antitetica della descrizione di se è evidente anche nell’utilizzo di coppie di parole di significato opposto. Riferimento all’identità di Alfieri, rigido ma arrendevole, straordinariamente mite. Con ira Alfieri usa un’accezione specifica, non è l’ira dell’uomo volgare che si accende di ira, è furor dell’uomo che si accende per le ingiustizie, furor creativo e non maligno mai, non un uomo che malignava sugli altri ma che tentava con la sua opera di insegnare la morale, letteratura cin funzione morale. Mente e core sempre in subbuglio al furor creativo e alle passioni. “meco” per interiorizzare ancora di più il contrasto. La terzina rincorre alle antitesi di elementi opposti. Conclusione con un omaggio alla classicità, guarda alla tradizione, la innova con rispetto ossequio. Riferimento all’Iliade, ad Omero, ad Achille. Opposizione tra il più vile antieroe per eccellenza e Achille. Alfieri ci dice di esserci trovato spesso nei panni di entrambi. In questo autore non c’è solo la grandezza ma anche l’autoironia, il satirico, il grottesco, il rovescio della medaglia a descrivere l’animo umano. Tutto subisce un’accelerazione nel finale, la terzina culmina dapprima in un interrogativo dilaniante, allo specchio si fa una domanda difficile “sei Achille o Tersite”, poi la risposta. Interrogativo che rivolge a se stesso ma anche un po’ a noi. La morte non è la fine ma è la rivelazione di sé, i personaggi tragici spesso con la morte. Morte come momento di rivelazione di sé. Ritratto del corpo e dell’anima: la descrizione del corpo di Alfieri non nasce dal nulla, ma è il frutto di una nuova concezione dell’uomo che matura lentamente nel corpo del 600 e negli ultimi anni quando il sonetto viene composto si mostra l’uomo come corpo e anima, non corpo inferiore all’anima. Prima il corpo racchiude solo l’anima. La filosofia sensista inizia a guardare il corpo in maniera diversa, il corpo è importante quanto l’anima, la conoscenza non deriva anche dalle sensazioni del corpo. Periodo di profonda rivalutazione del corpo. Il ritratto dell’anima è invece estremamente innovativo, Alfieri decide di sigillare con il riferimento alla tradizione classica e alla sentenziosità di un altro autore ovvero Tacito, convocato da Alfieri anche nell’introduzione alla vita. Foto di Alfieri con un anello che lui stesso fece coniare con una F gigantesca, sceglie di frasi ritrarre insieme a Dante. La vita si apre con alcune necessarie citazioni, prima di quella da Tacito ce n’è un’altra di Pindaro che ricorda quanto effimera sia la vita. Alfieri poi ci spiega quali sono le ragioni che l’hanno spinto a parlare di sé. In Alfieri forte la vocazione tragica quanto quella autobiografica. Lo scrivere di se stesso nasce senza dubbio dal molto amor per sé, dice di non voler far precedere a questa sua vita giustificazioni o falsità ma solo veridicità. Manifesto programmatico della funzione dell’autobiografia. Quel che balza in primo luogo è l’impulso narcisistico che muove la scrittura autobiografica. Il 700 è il secolo del trionfo del genere dell’autobiografia. In particolare in Europa in Francia e in Italia, primato in dubbio. In Alfieri
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