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Appunti rielaborati delle lezioni di Storia della Scienza (prof.ssa Azzolini), Appunti di Filosofia della Scienza

Appunti di tutto il corso di Storia della Scienza rielaborati e organizzati, suddivisi non per lezione, ma quei per macro-argomenti che sono stati i fili conduttori delle lezioni (la meraviglia, i mirabilia, le accademie, i rapporti tra scienza e religione, le discipline come alchimia e astrologia...). Sono presenti molte citazioni e alcune immagini usate a lezione.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 04/04/2023

sofia.cherubini
sofia.cherubini 🇮🇹

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Scarica Appunti rielaborati delle lezioni di Storia della Scienza (prof.ssa Azzolini) e più Appunti in PDF di Filosofia della Scienza solo su Docsity! STORIA DELLA SCIENZA SCIENZA Questo termine, con il significato attuale, inizia ad essere utilizzato soltanto nel corso del Novecento. In età Antica e Medioevale si utilizzava il termine filosofia naturale, che comprendeva, in senso estremamente ampio, lo studio di tutto ciò che è naturale (dal cielo alla terra, dagli elementi al corpo e alla mente umani…). Non c’è una netta cesura tra scienza e filosofia, quindi, né tra sapere scientifico e sapere umanistico, di matrice moderna. Ad interessarsi di questi temi sono infatti coloro che passano alla storia prevalentemente sotto la categoria dei filosofi: Aristotele, forse il più celebre esempio, Lucrezio, autore addirittura di un poema di argomento scientifico, Agostino, Hobbes, Bacone, Cartesio, Voltaire… In un contesto medioevale e universitario, con filosofia naturale si intende quel sapere di matrice aristotelica che vuole indagare le cause dei fenomeni e degli eventi naturali. Accanto a questa disciplina, e a questa alternativa, si sviluppa poi la storia naturale, un sapere di natura descrittiva che non ha la pretesa di individuare cause e teorie, ma solo di narrare il naturale, esigenza che inizia a farsi sentire particolarmente dopo la scoperta dell’America, quando ci si trova davanti a un mondo nuovo e sconosciuto, che innanzitutto deve essere descritto. Il termine scienza deriva etimologicamente dal latino scientia, che ha però un significato diverso. Inserita in un orizzonte aristotelico, fa riferimento a un tipo di sapere certo in quanto corretto, ottenuto per mezzo dello strumento logico del sillogismo basato su premesse indiscutibilmente vere. “Scientia significa certezza della conoscenza ottenuta per dimostrazione [da premesse vere e certe]” dice Tommaso D’Aquino. Questa concezione della scienza inizia a trasformarsi dall’inizio dell’età Moderna, nel momento in cui inizia a servirsi della matematica e a costruirsi un linguaggio diverso da quello delle discipline più prettamente umanistiche. In questo contesto operano i grandi scienziati (Copernico, Keplero, Galileo…) che la storiografia classica ricorda come i protagonisti della Rivoluzione Scientifica. Viene a formarsi quindi una nuova scienza, che prende le mosse dalla decostruzione dell’aristotelismo e che ha due anime che vanno a fondersi, quella razionale Cartesiana e quella empirica Baconiana. Altra fondamentale innovazione proposta da Bacone è l’introduzione della tecnologia nell’ambito della scienza; concepita come il prodotto dell’uomo artifex, come quello strumento che permette all’uomo di alterare la natura, porta per la prima volta a concepire la scienza come uno strumento di dominio della natura da parte dell’uomo, come esprime perfettamente la sua celebre massima “sapere è potere”. In un orizzonte positivista, con M. Weber scienza significa disvelamento, la scienza è il trionfo del dato e dell’oggettività ed è strettamente legata alla tecnica. Nella contemporaneità invece la portata di verità e di oggettività della scienza è stata profondamente ridimensionata, si prende atto delle componenti culturali della scienza e si è consapevoli della sua dipendenza dal suo sistema di riferimento. NATURA Canonicamente è l’oggetto di studio della scienza. A seconda dell’orizzonte scientifico-filosofico di riferimento se ne dà una definizione diversa. Per Aristotele, la natura è “la materia che per prima fa da sostrato a ciascun oggetto il quale abbia in se stesso il principio del movimento e del cangiamento”. Costituita da sostanza e forma, la natura viene conosciuta per Aristotele per mezzo dello studio e della ricerca delle sue cause, e in essa si riscontra una fondamentale regolarità (che non è però una legalità inviolabile) che va a costituire l’unico ambito del naturale che può essere davvero oggetto di scienza. I protagonisti della rivoluzione scientifica tendono a leggere la natura attraverso la matematica, esemplare è la posizione di Galileo, che la definisce un libro scritto in caratteri matematici, stavolta caratterizzata da leggi eterne e inviolabili, non più solo comuni. In questo contesto emerge anche l’idea della natura come possesso dell’uomo, da modificare per mezzo della tecnica, da rendere migliore e più efficiente, e, inserita in un contesto capitalistico, orientata alla possibilità di trarne profitto. Idea, questa, totalmente estranea tanta all’Antichità quanto al Medioevo, che l’avrebbe considerata al limite dell’eresia, dal momento che la natura è il creato per eccellenza, il teatro della Provvidenza Divina, una deviazione della quale si configura come peccato. STORIOGRAFIA Da un punto di vista storico-filosofico risulta particolarmente importante e interessante la ricostruzione storiografica dello svolgersi del discorso scientifico. Nel fare ciò, lo storico si trova davanti a una serie di problematiche. Innanzitutto, si devono fare i conti con la profonda dicotomia che attraversa tutta la cultura occidentale, che separa nettamente un sapere umanistico teorico da uno scientifico pratico. Soltanto conciliando questi due ambiti, argomenta C. P. Snow, si potrebbe ottenere una formazione davvero completa. Questa cesura risulta inoltre estremamente dannosa per la storia della scienza: in questo modo infatti quest’ultima risulta scritta o da scienziati privi di una cultura umanistica e di competenze metodologiche adeguate, o da umanisti privi di competenze scientifiche. In entrambi i casi, il risultato è parziale e inconcludente. Questa cesura è particolarmente difficile da superare perché ha radici estremamente antiche. Può essere ricondotta all’aristotelica divisione fra arti e teoria, fra sapere pratico, che a che fare con la creazione e non ha valore di verità, e sapere teoretico, puramente discorsivo, che non ha niente a che vedere con la tecnica, dotato di eternità e verità, e nettamente superiore al sapere pratico. In maniera più o meno lineare, questa dicotomia gerarchica permane, viene riproposta nelle Università medioevali, e, nonostante subisca pesanti critiche, come quella di Bacone, sopravvive fino all’età contemporanea. Uno degli esempi più eclatanti di questa sua permanenza è, in Italia, la Riforma Gentile del 1923, che permetteva l’accesso a tutte le università soltanto agli studenti che avevano conseguito la maturità classica. Altra grande questione è la valutazione storiografica della Rivoluzione Scientifica. Per molto tempo, la Rivoluzione Scientifica è stata considerata un evento di portata inestimabile, il vero discrimine tra Medioevo e Modernità. “La rivoluzione scientifica fa impallidire qualsiasi cosa nella storia dopo l’emergere del Cristianesimo […] la vera origine del mondo moderno e della mentalità moderna risiede in questo specifico momento” dice lo storico Herbert Butterfield, e con lui concorderà anche A. C. Crombie dicendo che “la Rivoluzione Scientifica è stata paragonata all’emergere della filosofia greca del VI e V secolo A.C. e il diffondersi del Cristianesimo nell’Impero Romano.” Queste valutazioni però vanno inserite nel contesto di una visione positivista della scienza e ricollegate a quella storia della scienza fatta più da scienziati che da umanisti che spesso tende a trasformarsi in apologetica dei grandi scienziati del passato. Si tratta di una valutazione che sta venendo sempre di più messa in discussione: gli storici tendono oggi a considerare la rivoluzione un evento molto meno traumatico, che ha, oltre agli evidenti punti di rottura con il passato, anche notevoli elementi di continuità con la scienza medioevale, che più che negati e ribaltati vengono Questo gusto per il meraviglioso viene recepito anche nel Tardo Medioevo, convivendo in maniera complessa e articolata con il rigido Aristotelismo delle Università. In questo contesto tali racconti, spesso ancora estremamente vicini a quelli di Plinio, vengono cristianizzati, e i mirabilia tendono ad essere letti come prodigi divini da interpretare. Ne dà testimonianza, ad esempio, la Cronaca di Norimberga, di Hartmann Schedel (1493), un testo che descrive, città per città, oggetti, eventi e fenomeni meravigliosi che si ritiene le abbiano caratterizzate, con descrizioni accurate e disegni esplicativi. Inoltre, nel corso del Medioevo il termine miracula, fino ad ora usato esattamente come sinonimo di mirabilia, senza alcuna accezione religiosa, acquisisce la sua specificità. Con il sentimento della meraviglia si confronta gran parte degli Scolastici, che, allo stesso tempo uomini medievali, e quindi non estranei allo spirito del loro tempo, e aristotelici, propongono soluzioni varie e particolari. Adelardo da Bath la riconduce all’ignoranza e ritiene che il filosofo debba superarla “poiché l’anima, impregnata di meraviglia e spaesata, quando considera da lontano, con orrore, gli effetti delle cose senza considerare le loro cause, non si è mai liberata della sua confusione. Guarda da più vicino, considera le circostanze e proponi delle cause: non ti meraviglierai degli effetti”; per Ruggero Bacone la meraviglia è sì testimonianza d’ignoranza, ma anche un’occasione da sfruttare al massimo per ampliare le proprie conoscenze; per Alberto Magno la meraviglia è collegata allo stupore, è causa di sorpresa che sconvolge e talvolta spaventa; Tommaso d’Aquino torna invece a connotarla in maniera negativa, definendola un defectum, “noi infatti ammiriamo qualcosa, quando vedendo l’effetto ignoriamo la causa […] la persona ignorante è costretta a meravigliarsene”. In senso generale si può comunque dire che per un largo numero di filosofi naturali accademici la meraviglia non è la risposta comunemente data al raro e all’ignoto, ma soprattutto l’ignoranza delle cause. Una valutazione più positiva è quella che propongono gli aristotelici arabi: Avicenna, ad esempio, vede in essa un importante stimolo per la filosofia e, in linea con il gusto del suo tempo, la lega al raro, all’eccezionale. Anche Leonardo da Vinci mette in relazione l’indagine del mondo naturale con il sentimento della meraviglia: “E tirato dalla mia bramosa voglia, vago di vedere la gran copia delle varie e strane forme fatte dalla artifiziosa natura, […] restato alquanto stupefatto e igniorante di tal cosa” in questi termini Leonardo giustifica la sua volontà di osservare e studiare l’Etna. La conoscenza scientifica è la risposta a questo desiderio, a questa bramosia, stimolata da ciò che la natura ha creato di eccezionale, di raro, di strano, riguardo al quale si è ignoranti, la ricerca si configura proprio come la soddisfazione di questo stimolo, la realizzazione di un desiderio: “paura e desidèrio; paura per la minacciante e scura spilonca, desidèro per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa”. Infine, non solo il naturale è fonte di meraviglia, ma si parla anzi anche di meraviglioso tecnologico: a suscitare meraviglia in questo caso è un automata, un oggetto creato artificialmente dall’uomo. Si abbandonano qui le scienze che Aristotele ha definito teoretiche e ci si addentra nell’ambito della pratica. L’interesse per questa dimensione in Europa viene originariamente importato dal mondo arabo, nel quale sono assai diffusi oggetti “automatici” costruiti come intrattenimento di corte. L’impiego di questi oggetti tecnologici si amplia poi sempre di più, fino a comprendere veri e propri strumenti di lavoro, di proto-ingegneristica, usati negli ambiti più vari. In Italia particolarmente importanti sono i lavori di Leonardo da Vinci, che, nonostante la rigidità della distinzione aristotelica fra arte e teoria, riesce a fondere la ricerca pura e lo scopo utilitaristico di diversi dei suoi studi. Particolarmente interessante sul versante della meraviglia tecnologica è la sua costruzione di un marzocco automatico dal cui interno escono dei gigli con il quale accogliere l’ingresso in Italia del Re di Francia: “In sull’ entrata del Re in Milano, oltre al altre ghale, Lionardo da Vinci, pictor famoso e nostro fiorentino excogitò una tale intramesse. Figurò un lione el quale colla brancha s’appersi il pecto e di quello trasse palle azurre piene di gigli d’oro […] fermòssi oltre ad tale spettacolo piaqueli e molto se ne allegrò.” Di Leonardo inoltre sono degne di note tutte le creazioni ingegneristiche sviluppate soprattutto alla corte milanese, alla quale viene assunto proprio per questo, più che come pittore. ARISTOTELISMO Cifra caratteristica della filosofia naturale medievale è l’egemonia dell’Aristotelismo. Con Aristotelismo si intende la recezione medievale delle dottrine aristoteliche, non sempre perfettamente coerente con la versione originale, profondamente cristianizzata (con l’importante eccezione però dell’Aristotelismo Arabo) e legata solo ad alcune opere, quelle allora conosciute. L’Aristotelismo caratterizza non soltanto le Università, ma è estremamente diffuso anche al di fuori di esse e prima del loro fiorire. Nell’Europa medievale Aristotele arriva attraverso la recezione che ne hanno avuto i filosofi arabi, con la quale gli europei entrano in contatto nella Penisola Iberica, realtà allora multietnica caratterizzata da una massiccia presenza della cultura araba, alla quale la scienza e la filosofia medievale devono moltissimo. Uno dei principali interpreti arabi di Aristotele è Avicenna, che studia, traduce e reinterpreta molte delle opere di Aristotele, in particolare quelle relative alla filosofia naturale, componendo testi che saranno poi fondamentali nei secoli successivi, uno su tutti il Canone, un trattato che sarà alla base di buona parte della medicina medievale e rinascimentale. In Spagna entra in contatto con l’Aristotele di Avicenna e degli arabi in generale uno dei principali interpreti europei del filosofo greco: Adelardo di Bath (1080-1152). Adelardo scrive e traduce moltissimo, e in tutti i suoi testi si riscontra un’impostazione aristotelica, tutta centrata sulla ricerca delle cause, e non più sulla mera descrizione del naturale. Inserita in un contesto cristiano, la causalità aristotelica si trasforma: ogni fenomeno naturale ha dietro di sé una lunga serie di cause naturali, immanenti, incatenate tra di loro, che Adelardo chiama cause seconde, che culminano però tutte nell’unica causa prima, Dio. Nonostante questa riconduzione, in ultima istanza, a Dio, la filosofia naturale di Adelardo è focalizzata sulla ricerca e sull’analisi delle cause naturali molto più che sull’individuazione della Provvidenza Divina nel naturale, come invece è quella di S. Agostino. Adelardo identifica quindi, aristotelicamente, un ordine fondamentale interno al mondo naturale, di natura causale e quindi razionalmente conoscibile e studiabile. Questo ordine non è però costituito da leggi inviolabili, è più che altro un habitus, un’abitudine alla regolarità, che può però venir infranta dall’intervento divino, da un intervento demoniaco, da un errore di natura… Particolarmente rappresentativo dell’approccio di Adelardo e un suo scritto, le Questiones Naturales, impostato come una serie di domande sull’ordine naturale postegli dal nipote, che riguardano gli eventi e i fenomeni più svariati, alle quali si dà una risposta razionale basata sulla causalità regolare. Come in Aristotele, dunque, e al contrario dei cultori del meraviglioso, come Plinio o Gervasio da Tilbery, l’ambito del naturale degno di essere studiato è quello del regolare. Questi due diversi approcci allo studio del naturale caratterizzano tutta la filosofia medievale, talvolta in netta contraddizione, talvolta fondendosi in personalità particolari. A livello generale, si può dire che lo studio della regolarità sia proprio degli aristotelici più ortodossi e della cultura universitaria, mentre invece lo studio del particolare, quello che si ritrova in alcune opere meno note e meno rigorose di Aristotele, come la Meteorologia, venga portato avanti più da personalità individuali che da istituzioni. Questo approccio sopravvive circa fino al Seicento. Altri aristotelici fondamentali del Medioevo europeo sono poi i grandi protagonisti della cultura universitaria, primi fra tutti Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. UNIVERSITÀ Le Università sono il principale centro di veicolo di cultura nel Medioevo. Nascono in maniera piuttosto informale, come aggregazioni di specialisti, in particolare di medicina e di legge, che si riuniscono in un unico luogo, disposti a insegnare e a condividere il loro sapere. Il termina universitas si riferisce in questo momento alla moltitudine di giovani che da tutta Europa si presenta per assistere alle loro lezioni. Tutto ciò diventa sempre più organizzato e articolato, fino a quando, con l’ingresso dei Comuni nella gestione e nell’organizzazione di questi corsi le Università diventano a tutti gli effetti delle istituzioni. La cultura universitaria è fortemente improntata all’aristotelismo medievale. Fondamentale è la ripresa dell’aristotelica separazione fra theoria e ars, con profondo privilegio della prima. Qualsiasi sia la disciplina di studio, l’approccio universitario è estremamente teorico, e viene trascurata tutta la dimensione pratica, legata all’osservazione o alla sperimentazione. Si studiano e si commentano i testi, sia di Aristotele che, soprattutto, degli aristotelici, e le lezioni difficilmente esulano da queste attività di speculazione teorica e disputazione. Inoltre, è fortissimo il principio di autorità ed è impensabile la messa in discussione di un qualsiasi principio che viene ricollegato all’Ipse dixit di Aristotele. Vengono identificati tre ambiti del conoscibile, tra di loro ben separati. Il primo è quello della doxa, quello dell’opinione probabile, il secondo è quello dell’ars, la conoscenza congetturale, di natura pratica e particolare, e il terzo quello della filosofia, la pura teoria, un sapere certo e universale, che vede nel sillogismo aristotelico il suo strumento fondamentale; solo di quest’ultimo ambito si occupano le Università. Questo crea una netta dicotomia tra il sapere pratico, che è quello dell’artifex e che permette di conoscere gli effetti di un fenomeno, e il sapere teorico-filosofico, che è quello del doctor, e che permette di conoscere le cause, dicotomia concepita in termini gerarchici, che nel valorizzare la doctrina svaluta profondamente il lavoro manuale e l’esperienza pratica. Per quanto però considerate inferiori, le discipline pratiche, che si servono dell’osservazione e non sono legate al solo sillogismo come strumento conoscitivo, sono molto più libere di svilupparsi e progrediscono con più facilità, essendo meno statiche e legate all’autorità della filosofia aristotelica. Inoltre, sempre aristotelicamente, la cultura universitaria è una cultura del generale e dell’universale, che non prende mai il particolare come punto di partenza: “Discuteremo trattando per prima cosa del venire ad essere in generale; infatti, il modo naturale di procedere è che, avendo per prima cosa detto ciò che è comune a tutti i casi, da qui si passi a considerare le proprietà specifiche di ogni ambito particolare” scrive Aristotele nella Fisica. Il particolare è quindi, rispetto all’universale, posteriore e secondario. Questo fa sì che le Università si facciano le principali promotrici di quella filosofia naturale che studia il corso regolare della natura, senza concentrarsi sulle eccezionalità, sui prodigi, sui mirabilia… “Sto appagando la curiosità degli studenti piuttosto terra determina la bile nera, associata al temperamento melanconico, l’acqua la flegma, con il suo temperamento flemmatico, e l’aria il sangue, con il suo temperamento sanguigno. La maggiore o la minore concentrazione di questi elementi determina il temperamento prevalente di un particolare individuo, e un eccessivo squilibrio, dovuto a un particolare eccesso o difetto di un elemento, è associato a una condizione patologica. Da qui la necessità di riequilibrare gli elementi e di conseguenza gli umori, e uno degli strumenti più diffusi per farlo è la balneologia, lo studio cioè di particolari acque termali, ciascuna con la propria specificità, che si ritiene siano in grado di ristabilire l’equilibrio umorale. In generale, i balneologi sono medici e vantano una formazione universitaria, ma si interessano poi al particolare, al pratico e all’osservazione diretta, uscendo dal metodo universitario strettamente teorico, praticando anzi moltissimo come medici curanti, spesso legati alle corti nobiliari in un contesto di mecenatismo scientifico. Nella balneologia sapere teorico universitario, la teoria umorale e tutto ciò che ne consegue, e sapere pratico, lo studio della specificità delle singole sorgenti termali, si fondono in modo particolarmente efficace, e questa disciplina comprende tanto riflessioni teoriche sulle cause del potere curativo delle acque quanto indicazioni pratiche sul tipo di acqua termale adatto a esigenze diverse, basandosi sulle caratteristiche chimico-alchemiche delle particolari fonti, e sull’utilizzo terapeutico di queste acque, con bagni o abluzioni, oppure bevendole, o ancora con saune o fanghi… Sull’argomento vengono scritti diversi testi interessanti, ascrivibili a un genere letterario nuovo e particolare: la componente scientifico-speculativa di matrice aristotelica non viene mai meno, ma si tratta di testi profondamente diversi da quelli universitari. Fondamentale è la matrice autobiografica di questi scritti, che si presentano come raccolte di esperienze personali, legate quindi necessariamente a una dimensione esperienziale e particolare, talvolta anche sperimentale, anche se mai in maniera sistematica. Viene inoltre lasciato molto spazio anche alle credenze popolari relative a queste acque miracolose. Pensati per una larga diffusione presso una clientela aristocratica e urbana, questi testi non sono esclusivamente in latino, ma anche in volgare, e spesso sono illustrati. Alcuni titoli rilevanti sono il De mineralibus, di Alberto Magno, il De fontibus calidis agri Patavini, di Giovanni Dondi, il Tractatus de balneis, di Ugolino da Montecatini, il De balneis et thermis naturalibus omnibus Italiae, di Michele Savonarola e il poema De balneis puteolanis di Pietro da Eboli, autore che studia moltissimo la balneologia, descrivendo ben 33 bagni, sia legati all’Antichità Romana che di recente scoperta, con le loro proprietà curative e le malattie ad esse connesse. Oltre a tutto ciò, i bagni termali sono una risorsa fondamentale per la città che li ospitano, perché ad essi è legato un fiorentissimo “turismo della salute”: bagni particolarmente noti o specifici vengono raggiunti da nobili provenienti non solo da tutta Italia, ma anche da gran parte dell’Europa, come testimoniano gli scritti autobiografici di Michel de Montaigne, che visita diversi bagni italiani per cercare di curare i suoi calcoli renali. Come disciplina a sé stante, la balneologia nasce nel corso del Trecento, e si sviluppa poi nel Quattrocento, restando poi diffusa e condivisa anche per larga parte del Cinquecento, ma ha notevoli effetti positivi sulle scienze che si riflettono anche sui secoli successivi. Innanzitutto, all’interesse per i bagni termali si lega inevitabilmente un interesse per la Romanità e per le sue terme, che, in particolare nel XVI secolo si declina nel senso dell’archeologia, riportando alla luce, con scavi e ricostruzioni, importanti siti antichi. Una disciplina scientifica che deve moltissimo alla balneologia, dalla quale trae le sue origini più antiche, è invece la geologia: la balneologia studia la natura delle acque calde sotterranee e anche dei terreni che queste attraversano, e da qui sorgerà poi l’interesse per la composizione del suolo terrestre. Già in ambito balneologico sorgono le prime ipotesi sull’esistenza di fuochi sotterranei che scaldino queste acque, ipotesi che poi i geologi svilupperanno, arrivando a parlare del magma. Altra innovazione notevole della balneologia è la scoperta della possibilità di depurare le acque, o almeno di modificarne in parte la composizione, attività che sarà poi ripresa e ampliata in ambito chimico. MOSTRI L’indagine sui mostri, di natura descrittiva, empirica, e assolutamente legata al particolare e all’irregolare, si declina in maniera diversi in contesti diversi, ma caratterizza in modo pregnante e decisivo gran parte della riflessione sulla natura dall’Antichità, al Medioevo, alla prima Modernità. Con mostro si intende una creatura naturale, che può appartenere al mondo vegetale, animale o umano, che contravviene all’ordine regolare della natura in maniera evidente. Ci sono due categorie di mostri: da una parte il mostro come specie, un’intera categoria di piante, animali o uomini che esula dalla regolarità naturale, dall’altra il mostro come unicum, come singolare creatura mostruosa, senza simili. Con la scoperta dell’America, effettivamente popolata da una serie di specie animali e vegetali diverse e strane agli occhi degli europei, la prima categoria di mostri si arricchisce molto e in generale torna a fiorire l’interesse per i mostri, interesse legato al sentimento della meraviglia e a quella ricerca scientifica descrittiva che si concentra sul particolare e non sul generale. Quindi, in un contesto medievale, escludendo alcuni personaggi particolari viene condotta al di fuori delle Università. La tradizione della letteratura sui mostri è estremamente lunga e composita, e per quanto riguarda l’Antichità, trova in Plinio il Vecchio il suo principale esponente. Altro autore degno di nota è Giulio Ossequente, vissuto nel III secolo d.C., con il suo Liber de Prodigis, ristampato e diffuso fino all’Ottocento, una raccolta di prodigi verificatosi prima della nascita di Cristo. Nel corso del Cinquecento poi l’interesse per i mostri è molto diffuso e si trovano una serie di cronache e raccolte, spesso accompagnate da illustrazioni, come quella di Luca Landucci o la Mustrum Historia di Aldrovandi, opera di storia naturale estremamente lunga, dettagliata e precisa, arricchita da diversi disegni. Nella categoria del mostro rientrano moltissimi casi molto diversi tra loro: in primo luogo, diverse condizioni umane che oggi sono catalogate come malattie rare, come gli ermafroditi o i gemelli siamesi, coloro che soffrono di nanismo o di irsutismo, come ad esempio il duca Pedro Gonzales e i suoi figli, ma poi anche creature assolutamente leggendarie, ibride, semiumane o animali, o ancora animali strani e sconosciuti, che vengono considerati mostruosi e soprannaturali. Dei mostri si sono sempre date due interpretazioni alternative, una naturalistica, che ricerca le cause della generazione mostruosa all’interno della natura, l’altra teologica, che riconduce il mostro all’azione diretta degli Dei, in Età Antica, o di Dio nel Medioevo. Aristotele, ad esempio, considerava la nascita di gemelli siamesi, di nani o giganti, di persone prive di un arto… come il risultato di un eccesso o di un difetto della materia materna fornita nel momento della generazione, oppure Ippocrate riconduce la nascita di ermafroditi a uno squilibrio tra contributo materno e contributo paterno. Allo stesso tempo, però, è molto ricca e fiorente tutta la tradizione greco-romana che identifica nei mostri dei presagi mandati dagli dèi. Nel corso del Cinquecento, secolo di profonda crisi religiosa, con la Riforma Protestante e il conseguente scisma della Cristianità, caratterizzato anche da sconvolgimenti bellici degni di nota, uno su tutti le Guerre d’Italia, prevale un’interpretazione teologico-morale del mostro, interpretato come un segnale con il quale Dio mostra agli uomini (coerentemente con l’etimologia del termine) la propria collera per i loro peccati. In questo secolo si registra anche un notevole aumento della percezione della presenza dei mostri, legata da una parte alla crisi del secolo, caratterizzato dalla convinzione di star vivendo nel peccato, dall’altra dalla diffusione a mezzo stampa delle descrizioni dei mostri. “Non è necessario andare nel Nuovo Mondo per trovare esseri di tale sorta; molti di questi e altri ancora più orrendi si possono anche trovare qua e là in mezzo a noi, ora che le regole della giustizia sono calpestate, la natura umana beffeggiata e ogni religione fatta a pezzi” scrive Cornelius Gemma, professore di medicina di Lovanio. Di conseguenza, quindi, del mostro si dà una lettura allegorica, associando le sue caratteristiche al peccato contro il quale Dio ha voluto ammonire. Esemplare è l’interpretazione che propone il cronista francese Johannes Multivallis di una presunta creatura mostruosa inviata da Dio come ammonimento e rimprovero: “Il corno [indica] orgoglio; le ali la leggerezza mentale e l’incostanza; la mancanza delle braccia, una carenza di opere buone; il piede da rapace, cupidigia, usura e ogni tipo di avarizia; l’occhio sul ginocchio, un orientamento morale esclusivamente per le cose terrene; il doppio sesso, sodomia”. Da sottolineare inoltre che l’ammonimento costituito da un mostro è riferito all’intera popolazione all’interno della quale viene inviato, non tanto alla famiglia o alla donna dalla quale viene fatto nascere. Questa interpretazione del mostro come presagio divino rimane diffusa, soprattutto a livello popolare, ma non soltanto, anche nel mondo Protestante, nonostante la congruenza non perfetta con la dottrina della Riforma. Degno di nota il testo di Casper Peucer, intellettuale tedesco e genero di Melantone, che propone delle chiavi di interpretazione dei mostri come segnali divini. In generale, come presagi divini, dipendentemente dal caso come punizioni o ammonimenti, generalmente negativi, vengono interpretati tutti quegli eventi naturali che esulano dalla regolarità, come le eruzioni vulcaniche, i terremoti, le comete, le eclissi…, ma anche in questo caso, con queste interpretazioni religiose coesistono spiegazioni naturali e di ispirazione scientifica. Si torna invece a prediligere una spiegazione naturalistica dei mostri dal Settecento in poi, quando si comincia a considerare Dio sempre meno operante in maniera diretta nel mondo naturale, e più legato al contrario alla sua dimensione trascendente e abissale. RECEZIONE DEL MOSTRO Secondo le storiche della scienza L. Daston e K. Park, a livello umano sono tre le modalità nelle quali il mostro viene recepito, dipendentemente dalla concezione che si ha di esso e dall’approccio che si tiene. Si tratta di reazioni che coesistono tra loro, che non vengono più proposte (come le due storiche avevano fatto in un articolo, poi ritrattato) in modo cronologico, concepite come l’una l’evoluzione dell’altra; si può al massimo rilevare che una di queste sia la prevalente in un determinato periodo, senza però che escluda mai del tutto le altre due. -Orrore: in alcuni casi la risposta emotiva al mostro è una genuina e autentica paura, un sentimento di puro orrore. Viene accostato prevalentemente all’interpretazione del mostro come presagio divino, come la testimonianza dell’ira divina per i peccati dell’uomo. Si dà del mostro una lettura allegorica che lo metta in relazione con la decadenza morale della comunità nella quale Dio lo invia, e viene a configurarsi come una punizione per questa decadenza. Per questi motivi, la reazione di dove sia classificata e inclusa qualunque cosa la mano dell’uomo con arte o strumenti raffinati abbia fatto di raro nel materiale, nella forma o nel moto”. ACCADEMIE Nel corso del Quattrocento e del Cinquecento si sviluppano, in Italia e non solo, delle realtà alternative e complementari a quella delle Università per lo sviluppo delle scienze. Si tratta, da una parte, delle corti nobiliari, che con il loro mecenatismo scientifico attraggono medici e uomini di scienza, è il caso ad esempio di Leonardo da Vinci alla corte degli Sforza a Milano, e dall’altra invece della nuova dimensione dell’Accademia. Le Accademie nascono in maniera informale, come gruppi di eruditi che si riuniscono per discutere di interessi comuni al di fuori della rigidità dell’ambiente universitario, come una sorta di circoli culturali indipendenti, in un primo momento di carattere umanistico-letterario, la più nota in quest’ambito è l’ancora esistente Accademia della Crusca, ma poi anche di carattere scientifico. Queste due tipologia diverse di Accademia tendono a collaborare e a supportarsi nelle loro opere culturali: degna di nota è la collaborazione tra l’Accademia della Crusca e l’Accademia del Cimento per la creazione di un lessico scientifico in volgare. Con il tempo le Accademie si istituzionalizzano sempre di più, e ognuna si definisce in maniera precisa e rigorosa, differenziandosi dalle altre. -Accademia dei Lincei Viene fondata nel 1603 da Federico Cesi, duca di Acquasparta, nobile di una casata minore, figlio di un’Orsini, e resta sempre molto legata alla sua figura, tanto che dopo la sua morte, nel 1631, entra in una fase di profonda crisi, anche a causa della scarsità delle risorse economiche, fino allo scioglimento nel 1651. Viene poi rifondata nel 1801, in un contesto risorgimentale, ed esiste tutt’oggi. L’Accademia dei Lincei è una delle poche che si dota di uno Statuto ufficiale che regola in maniera molto precisa e rigorosa le attività, sia professionali che personali, dei membri: nei periodi di studio, ad esempio, gli accademici non possono avere rapporti con le proprie famiglie. Il simbolo dell’Accademia è la lince, animale caratterizzato dalla sua ottima vista, e la sua scelta è in parte dovuta all’influenza che ha l’umanista G.B. della Porta, particolarmente legato a questa simbologia, su Cesi, anche se Della Porta indaga molto il preternaturale, mentre i Lincei tendono a restare legati alla dimensione naturale. Ad ogni modo, la lince rimanda alla centralità che ha l’osservazione nel metodo e nell’approccio degli accademici. La scienza dei Lincei è molto diversa da quella universale e speculativa, basata sui testi d’autore, degli universitari, ma anzi fa dell’osservazione diretta del particolare il suo imprescindibile punto di partenza. Si avvicina più alla storia naturale che alla filosofia naturale: i suoi obiettivi primi sono osservare, descrivere e catalogare il mondo naturale, piuttosto che ricercarne le cause. In questo contesto viene valorizzato moltissimo il disegno, che spesso risulta molto più efficace di un testo scritto per descrivere un oggetto naturale, soprattutto quando si tratta di elementi esotici e strani, come quelli provenienti dal Nuovo Mondo, ai quali i Lincei sono molto interessati. Coerentemente con questo approccio prevalentemente descrittivo, manca totalmente la dimensione dell’esperimento. In questo contesto, infine, l’osservazione viene portata all’estremo: in quanto primo e principale strumento di conoscenza, si cerca di rendere osservabile anche ciò che di per sé non lo sarebbe. Esattamente in linea con questa volontà è l’invenzione del telescopio da parte di uno dei membri più illustri dell’Accademia, Galileo Galilei, che applica il metodo dell’osservazione non soltanto alla dimensione terrestre, ma anche ai cieli. Per Galileo la sua appartenenza all’Accademia dei Lincei è estremamente importante, la sottolinea ripetutamente e tende a firmarsi ‘Galileo Linceo’, ricordando anche con la stessa frequenza il suo rapporto con i Medici e in particolare con Cosimo I, come testimoniano bene le sue ‘Stelle Medicee’. Parallela all’invenzione galileiana del telescopio c’è quella, sempre riconducibile ai Lincei, del microscopio. Gli Accademici riescono a portare avanti far fronte ai costi di questo progetto presentando il microscopio come strumento che avrebbe permesso uno studio approfondito delle api, simbolo della famiglia Barberini, di cui fa parte il Cardinale Maffeo Barberini, futuro Papa Urbano VIII, principale finanziatore dell’Accademia. -Accademia del Cimento Viene fondata dagli studenti di Galileo, Evangelista Torricelli e Vincenzo Viviani, nel 1657 a Firenze, e vede nel Cardinale Leopoldo de’ Medici e nel Granduca di Toscana, Ferdinando II, i suoi principali finanziatori. Memori della sorte di Galileo, gli accademici sono estremamente restii a pubblicare i testi, e operano una sorta di autocensura su tutte le loro scoperte di carattere astronomico. Se da una parte, quindi, al loro produzione manoscritta è estremamente ampia e varia, dall’altra danno alle stampe una sola opera, una raccolta di Saggi di Naturali Esperienze. Il loro approccio è molto diverso da quello delle Università, ma anche da quello dei Lincei: anch’esso fa dell’osservazione del particolare il suo punto di partenza, ma non si limita alla descrizione. Il motto dell’Accademia è “Provare e Riprovare”, centrale è quindi la dimensione dell’esperimento, che permette di comprendere le dinamiche interne e le cause dei fenomeni. Dell’Accademia del Cimento fa parte Francesco Redi, membro anche dell’Accademia della Crusca, colui che riesce a dimostrare la falsità dell’antica teoria della generazione spontanea degli insetti, anche grazie all’utilizzo del microscopio. Sull’argomento ricercano e indagano molto anche l’italiano Lazzaro Spallanzani e l’olandese Jan Swammerdan, che comprende che tutti gli insetti si riproducono secondo un’unica modalità, da uova, e che alcuni insetti passano direttamente da uovo a insetto adulto, mentre altri crescono attraverso processi intermedi. Per Swammerdan queste conclusioni sono importanti non solo per motivi scientifici, ma anche teologico-morali: permettono che la generazione degli insetti risponda a un ordine naturale e non al caso. Nonostante queste smentite, la teoria della generazione spontanea continua ad essere molto diffusa: la condivide a pieno Paracelso, con i suoi studi sull’homunculus, e addirittura, nei primi anni di attività, Boyle, che addirittura propone una ‘ricetta’ per generare uova di rospo o serpente dal cadavere di un’oca o di un’anatra, tutte teorie poi rinnegate dallo stesso Boyle. -Royal Society of London for Improving Natural Knowledge Viene fondata nel 1660 a Londra, riconosce in Bacone il proprio padre spirituale. Ottiene approvazione dal re d’Inghilterra, Carlo II, nel 1663, e da quel momento è sempre legata alla famiglia reale. Il suo motto, “nullius in verba”, rispecchia la sua volontà di attenersi ai fatti e di non fare scienza speculativa. -Académie Royale des Sciences Viene fondata sotto suggerimento del ministro delle finanze Jean-Baptiste Colbert nel 1666 e viene finanziata e promossa da Luigi XIV. -Akademie der Wissenschaften di Berlino Viene fondata nel 1700 da Federico III, principe elettore del Brandeburgo, poi Re di Prussia. La spinta intellettuale è quella di Leibniz, e si occupa tanto di discipline scientifiche quanto di quelle umanistiche. NUOVO MONDO Dalla scoperta dell’America tutto ciò che proviene dal nuovo continente risulta estremamente interessante per i filosofi e gli storici naturali europei, sotto i più svariati punti di vista, tanto quello più puramente scientifico e teorico quanto una serie di interessi pratici, legati alla medicina, all’agricoltura, all’arte culinaria… Inoltre, le piante e gli animali provenienti dal nuovo continente risvegliano in Europa il gusto del meraviglioso, presentandosi come intere specie esotiche e sconosciute, al limite del mostruoso. Questo interesse, declinato nel senso della storia della scienza, porta alle realizzazione e alla diffusione in Europa di diversi trattati che raccolgono descrizioni precise e illustrazioni di piante e animali che caratterizzano il continente americano, composti dagli esploratori o dai missionari che viaggiano nelle Indie. Tra questi, degni di nota sono la Storia Generale e Naturale delle Indie, di G. Fernandez de Oviedo, o l’Herbario illustrato di Castore Durante, del 1585 e il Codex Badianus, composto su commissione del viceré spagnolo, arriva poi in Italia e diventa proprietà del Cardinale Barberini e poi della Biblioteca Vaticana, dalla quale in tempi recentissimi, sotto il pontificato di Papa Giovanni Paolo II, è stato restituito al Messico. La peculiarità di questo codice è il fatto che contenga, accanto alle traduzioni, i nomi in lingua indigena originale delle piante e degli animali in esso raccolti, caratteristica che si ritrova anche in un altro di questi testi, il Codex Florentinus, di Bernardino de Sahagún, scritto in parte in spagnolo e in parte Nahuatl. Questi testi contengono, oltre alla descrizione delle piante, l’elenco delle loro proprietà caratteristiche e dei suggerimenti per sfruttarle al meglio, e stanno alla base di una nuova farmacologia, che si sviluppa parallelamente a quella preesistente di matrice greca. Un altro importante testo di questo genere è quello composto dall’umanista e medico della corte spagnola Francisco Hernandez, che esplora le Americhe su mandato del re Filippo II per individuare il potenziale commerciale della flora e della fauna messicana. Hernandez, facendosi aiutare da artisti e medici locali, raccoglie moltissimi dati e invia al sovrano 16 manoscritti illustrati; per Filippo II si tratta di troppo materiale, senza un effettivo riscontro utilitaristico, e chiede di fare una cernita all’umanista napoletano Leonardo Antonio Recchi, che analizza gli scritti di Hernandez e selezione soltanto ciò che potrebbe produrre un profitto economico. Compone quattro testi, dei quali soltanto uno è conosciuto, una copia del quale viene riportata in Italia da Recchi stesso. Questo testo viene acquistato da Cesi, che, nell’ambito dell’Accademia dei Lincei, lo fa copiare e riprodurre da Johannes Schreck, da Johannes Faber e da Fabio Colonna, con l’aggiunta di una serie di annotazioni e commenti. Ne risulta un’opera magistrale, il Tesoro Messicano, che vede la luce sono nel 1651 (circa vent’anni dopo la morte di Cesi) un testo lunghissimo e completamente illustrato che si ripropone di compendiare tutta la conoscenza che hanno gli europei sulla flora e sulla fauna americana, un progetto estremamente costoso che manderà in bancarotta l’Accademia dei Lincei. Questi accademici sono estremamente interessati alle Americhe, e pubblicano moltissimo sul tema, anche se la loro descrizione è quasi esclusivamente descrizione di seconda mano: a viaggiare e a raccogliere informazioni non solo loro, ma i missionari, che riportano resoconti dettagliati agli accademici. Questo studio e questo interesse riguardano Proprio per questo motivo, Galileo, a differenza di Copernico, sostiene l’eliocentrismo come descrizione fisica del reale, non come ipotesi matematica. In due lettere private, la prima all’amico e studente Benedetto Castelli e la seconda alla Duchessa Cristina di Lorena, la madre di Cosimo II, Galileo conferma la sua piena adesione al modello copernicano. La lettera a Castelli viene però resa pubblica e nel 1615 un domenicano fiorentino, Lorini, la invia all’Inquisitore romano accusando Galilei di supportare l’eliocentrismo in maniera eretica. Bellarmino, in risposta, in un primo momento raccomanda a Galileo di trattare la teoria eliocentrica come mera ipotesi, come aveva fatto Copernico, per poi, imporgli di astenersi dal promuovere le teorie eliocentriche in quanto contro la fede l’anno successivo. Quando sale al soglio pontificio il cardinale Barberini, che era stato membro dei Lincei insieme a Galileo, come Urbano VIII, confidando nella vecchia amicizia personale con il papa Galilei torna a parlare di eliocentrismo, pubblicando nel 1632 il Dialogo sopra i Due Massimi Sistemi, mettendo però le teorie geocentriche condivise dalla Chiesa in bocca a un personaggio poco credibile e piuttosto negativo, chiamato emblematicamente Simplicio, e, anche se non prende esplicitamente posizione, è chiaro quale sia la tesi da lui supportata. Il Papa si sente a questo punto chiamato in causa, mette il testo all’Indice, convoca Galileo a Roma e da qui ha inizio il celebre processo. A Galileo viene imposto di ritrattare tutte le sue teorie, e nel 1633 pronuncia l’abiura: “Io Galileo […] dell’età d’anni 70, […] giuro che ho sempre creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la S. Cattolica e Apostolica Chiesa. […] Lasciare la falsa opinione che il Sole sia al centro del mondo e che non si muova e che la Terra non sia al centro del mondo e che si muova, […] detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura”, alla quale seguono gli arresti domiciliari. La questione di Galileo ha poi una vita estremamente lunga; il Dialogo sopra i Due Massimi Sistemi viene eliminato dall’Indice soltanto nel 1824 e nel 1981 papa Giovanni Paolo II istituisce una commissione per la riabilitazione di Galileo, che avviene in maniera compiuta soltanto nel 1992, anche se alcuni storici e anche alcuni membri della Chiesa la ritengono parziale e insufficiente. -I Gesuiti In generale, l’ordine religioso più sensibile al discorso scientifico è quello dei Gesuiti. Il principale centro d’educazione dei Gesuiti è il Collegio Romano, nel quale si insegna la filosofia naturale, senza mai negare l’Aristotelismo, ma allo stesso tempo aprendosi a importanti innovazioni verso la direzione della matematizzazione del mondo naturale e della sperimentazione. Si concentrano particolarmente sulle osservazioni astronomiche: Giovanni Domenico Cassini prima, con le sue osservazioni con le Meridiane, fatte direttamente dentro le Chiese, e G. Riccioli e F. M. Grimaldi poi, sono tra i primi a confermare la teoria delle orbite ellittiche di Keplero, inizialmente negata dalla Chiesa per ragioni dottrinali, legate alla considerazione del cerchio come forma perfetta. In questo contesto il mondo naturale viene considerato il creato per eccellenza, la più chiara manifestazione di Dio, e in questo senso lo studio della natura avvicina a Dio; i Gesuiti così si approcciano a moltissimi ambiti delle scienze naturali senza però mai slegarli dalla religione. Una personalità emblematica è quella di Athanasius Kircher, che si interessa a moltissime discipline diverse, e studia, con metodi e obiettivi diversi, il magnetismo, i giochi di luce e gli specchi, prova a parlare in maniera scientifica del diluvio universale, ipotizza la presenza del fuoco al centro della terra, teoria che verrà poi ripresa dai primi geologi, si approccia ai geroglifici egizi… I Gesuiti si impegnano inoltre anche per contribuire al rinnovo dello studio universitario, proponendo dei nuovi testi, come fa ad esempio Cristoforo Clavio. Da una parte, infatti, una delle occupazioni principali dei membri dell’ordine è quella di diventare precettori privati, istruendo i figli dei nobili, dall’altra invece i Gesuiti sono una grandissima parte degli uomini di Chiesa che partono per il Nuovo Mondo o per l’Oriente con l’intento di cristianizzarli. In particolare, risultano estremamente proficui da un punto di vista culturale e scientifico i viaggi in Cina. I Gesuiti si inseriscono bene alla corte cinese e danno il via a un importante scambio interculturale positivo e produttivo per entrambe le parti. Gli europei si dotano di una serie di strumenti tecnologici di precisione a loro sconosciuti ed entrano in contatto con approcci nuovi e particolarmente floridi nei confronti di discipline esistenti, come la medicina, le scienze della terra e l’astronomia, mentre i cinesi apprendono i calcoli astronomici europei che permettono di calcolare eclissi e altri fenomeni celesti ed entrano in contatto con la matematica europea. Diverso è invece il rapporto con l’altra grande meta di evangelizzazione, l’America. Priva sia della lingua, elaborata e completa, che del sistema governativo, chiaro e centralizzato, che caratterizzavano la Cina, i Gesuiti non gestiscono la relazione nell’ottica della parità, non istituiscono una scambio, ma uno scontro concepito in termini colonialisti, imponendo una conversione forzata e violenta. È comunque vivo e forte l’interesse per il mondo naturale americano, nel quale tendenzialmente non rientrano solo piante e animali, ma anche le popolazioni locali. Lo studio della natura americana, che fa dell’osservazione del particolare il suo punto di partenza, non solo modifica in maniera definitiva alcune discipline come la botanica e la farmacopea, ma mette anche in crisi alcune teorie aristoteliche, come la convinzione che per gli uomini fosse impossibile, per motivi climatici, vivere all’altezza dell’Equatore. FRANCESCO BACONE Francis Bacon, italianizzato in Francesco Bacone, è uno dei protagonisti della scienza europea tra Cinquecento e Seicento. Nasce in una famiglia estremamente nobile, strettamente legata alla Corte dalla parte del padre, i cui membri svolgono ruoli governativi di rilievo nel corso del regno della regina Elisabetta I, il più potente dei quali è forse il tesoriere regale, Sir William Cecil, Lord Burghley, e composta da importanti umanisti dalla parte della madre. Bacon ha una formazione piuttosto particolare: studia per un breve periodo filosofia naturale al Trinity College a Cambridge, ma lo abbandona presto, profondamente deluso dall’approccio universitario, speculativo e acritico, troppo legato all’Aristotelismo. Abbandona quindi temporaneamente la scienza e si iscrive alla facoltà di Legge, inserendosi poi nella vita politica con ottimi risultati, iniziando come deputato della Camera Bassa, per diventare poi membro della Camera dei Lord e infine Cancelliere nel corso del regno di Giacomo I, al quale resta sempre molto legato. Si allontana poi progressivamente dalla politica, anche se resterà comunque fra i suoi interessi, per tornare a dedicarsi alla filosofia naturale, concepita in maniera molto distante dall’approccio universitario, e nella formulazione del suo nuovo metodo influirà in maniera particolare anche la sua formazione giuridica. Bacone si interessa al nuovo approccio scientifico sviluppato dagli scienziati iberici e utilizzato soprattutto in relazione al continente americano: si pone l’accento sull’osservazione diretta di un mondo naturale che ci è fondamentalmente estraneo e lo si studia cercando di prescindere dai pregiudizi aristotelici. La conoscenza si fa quindi empirica, pratica, sperimentale, e, in una certa misura, descrittiva. In ambiente spagnolo, questo nuovo approccio ha anche un importante risvolto pragmatico, dal momento che a orientare e motivare le ricerche scientifiche è in larga misura la possibilità di trarre da esse un profitto economico, e, anche se con un’accezione diversa, più legata alla tecnica che al profitto, la componente utilitaristica è molto presente anche nella scienza baconiana. Per rinnovare davvero il metodo scientifico è necessario, nell’ottica di Bacone, fornirlo di nuovi strumenti logici che vadano a sostituire quelli aristotelici sui quali era stato impostato fino ad allora, per questo motivo scrive il Novum Organum, pubblicato nel 1620, testo che già dal titolo dichiara la volontà di sostituire l’Organon aristotelico. Centrale è la critica al sillogismo aristotelico, considerato sterile e incapace di produrre sapere non speculativo, accompagnata da una profonda rivalutazione dell’utilizzo dei sensi, che devono essere riscoperti e liberati dalla loro tendenza a soggiacere ai fantasmi dell’immaginazione. Questo grande interesse per l’osservazione diretta e sensoriale del particolare denota la volontà di rifondare la filosofia naturale a partire dalla storia naturale, che viene valorizzata moltissimo, concepita come un grande magazzino che contiene tutto quel materiale, che deve essere abbondante, di buona qualità e ben ordinato, con il quale sarà possibile costruire la nuova filosofia naturale. Il mondo sensibile è una confusa ‘selva di fenomeni’ che il filosofo riuscire a mettere in ordine osservando, interpretando e catalogando, procedendo quindi a un’alfabetizzazione scientifica dell’esperienza sensibile. Con un procedimento opposto a quello delle università aristoteliche si vuole quindi partire dal particolare per poter poi da esso dedurre il generale, servendosi quindi del metodo induttivo. Tutta l’esperienza sensibile diventa quindi il punto di partenza della conoscenza scientifica, e in quanto tale viene estremamente valorizzata: “Non solo occorre avvertire gli uomini che si rimettano all’esperienza e smettano di confidare nelle invenzioni dell’intelletto e nella parvenze create dall’attività di pensiero, ma che tra gli esperimenti o istanze non disprezzino o rigettino le cose di poco conto in quanto futili, le cose ordinarie in quanto superflue, quelle meccaniche come di poco valore, quelle volgari in quanto indegne, quelle anomale in quanto importune o infauste.” La volontà è quindi quella di osservare tutti gli elementi naturali, senza escluderne nessuno, per poi poterli mettere tra di loro in relazione e ordinarli in modo tale che acquisiscano un nuovo senso e possano essere ricondotti a forme o schemi generali dai quali poi dedurre delle leggi che hanno valore di certezza. In questo contesto non esistono quindi fenomeni sovrannaturali, tutto deve essere osservato in maniera adeguata e ricondotto alla sua causa naturale, che permette di inserirlo all’interno di uno schema generale e regolare. Da questo approccio emerge la visione della natura come un tutto ordinato e potenzialmente conoscibile in tutte le sua componenti, e da qui sorge l’anelito verso una scienza universale, che possa descrivere in maniera adeguata l’intero mondo naturale. Per Bacone si danno tre stati della natura, tutti e tre degni di essere indagati con questo approccio e riconducibili a una conoscenza di tipo scientifico: la natura nella sua forma, caratterizzata da libertà e spontaneità, composta da fenomeni regolari e ordinari; la natura nelle sue eccezioni, caratterizzata dalla deviazione rispetto alla norma, quella valorizzata da tutta la storiografia dei mirabilia; la natura modificata, sulla quale agisce l’uomo con le arti meccaniche per ricondurla alla norma e all’equilibrio oppure per renderla conforme al proprio utile. A questo punto Bacone procede a una descrizione analitica del proprio metodo, composto da una pars destruens, che vuole liberare il campo da tutti i retaggi dell’approccio precedente e delle naturali tendenze della mente umana, consapevoli e inconsapevoli, presentata come una vera e propria ‘medicina della mente’, e da una pars costruens, che descrive di fatto la sua nuova proposta. In primo luogo, per avere una conoscenza è necessario liberare, per mezzo di un procedimento di autoanalisi, la propria mente dagli idola, quei preconcetti o rappresentazioni errati sui quali ci basiamo per organizzare il pensiero. Bacone descrive idola di vario tipo: gli idola tribus, quelli propri di tutti gli uomini, legati alle caratteristiche proprie dell’intera specie umana, gli idola specus, errori di matrice culturale, legati alla formazione e all’educazione del singolo, gli idola fori, quelli dovuti all’ambiguità del linguaggio, e gli idola theatri, quelli dovuti all’assunzione acritica di teorie filosofiche precedenti non più condivisibili. Particolarmente importanti nel discorso baconiano risultano gli idola fori, poiché si legano a una più ampia riflessione sulla fallacia del linguaggio, che per poter essere visti nel dettaglio ad occhio nudo, in primo luogo gli insetti, interesse riconducibile anche alla volontà di Bacone di indagare tutto il mondo naturale, senza tralasciare ciò che sembra quotidiano e insignificante. La Royal Society conta tra i suoi membri alcune personalità degne di note, tra i grandi protagonisti della scienza europea. Robert Boyle, un nobile anglo irlandese, è uno dei primi membri, collega e amico di John Evelyn, e i suoi lavori sono particolarmente importanti perché mettono in discussione in maniera originale l’impianto aristotelico-scolastico sul quale ancora molta scienza europea si basa. Si oppone innanzitutto all’idea di una natura saggia, benevola e teleologica, nega che nella natura agisca un qualsiasi spirito divino che assicuri l’ordine universale, e rigetta inoltre sia la teoria dei quattro elementi di Aristotele che quella delle tre sostanze di Paracelso, presentando invece l’innovativa teoria secondo la quale la materia sarebbe corpuscolare e i fenomeni chimici non sarebbero altro che il risultato della collisione di particelle in moto. Altro membro interessante dell’accademia è Joseph Glanvill, che riformula i concetti di naturale, supernaturale e praeternaturale, connettendo quest’ultimo non più al divino o a forze occulte di varia natura, ma alla dimensione umana, e concependo queste attività, umane ma irregolari e contronatura, in maniera estremamente negativa. Queste sue teorie, che condannano profondamente tutte le pratiche considerate legate alla magia e allo stesso tempo, eliminando l’elemento demonico, colpevolizzano completamente l’uomo o la donna che le mettono in atto, ricoprono un ruolo importante nella persecuzione delle streghe, stanno alla base di diversi manuali legali impiegati nei processi di stregoneria e in particolare sono centrali nel celebre processo di Salem. Della Royal Society, infine, fa parte anche Isaac Newton, uno dei più noti e importanti scienziati non soltanto dell’Inghilterra del Seicento ma di tutta la storia della scienza. ASTROLOGIA L’astrologia è una componente degli studi scientifici estremamente importante in Età Medievale e nella prima Età Moderna, ma è forse la disciplina che risente di più della storiografia positivista che si è occupata di ricostruire la storia dello sviluppo scientifico nei primi secoli della scienza moderna. Questo tipo di ricostruzione risulta estremamente parziale, dal momento che dà credito soltanto a quelle discipline che continuano ad essere ritenute scientifiche e ad essere praticate dopo la rivoluzione scientifica, che sono poi generalmente anche le discipline di studio degli scienziati che si occupano di tale ricostruzione, senza tener conto dell’importanza di altre discipline che hanno influenzato profondamente la scienza successiva, anche se in essa non sono state riaccolte, prima fra tutte l’astrologia. Emblematica è la posizione di George Sarton, il padre della storia della scienza negli Stati Uniti, che definisce l’astrologia “il detrito superstizioso del vicino Oriente”, “una terribile collezione di presagi, astrologia di bassa lega e una collezione variata di cose senza senso.” Anche se in numero minore e al di fuori della storiografia istituzionale almeno fino agli anni ’80-’90, esistono comunque una serie di storici che valorizzano l’astrologia, come Franz Cumont e Lynn Thorndike, che la studiano ponendosi al di fuori del pregiudizio moderno con lo scopo di capire quale ruolo abbia ricoperto questa disciplina, così centrale e studiata, nelle trasformazioni scientifiche. L’astrologia ha una storia estremamente lunga. Inizia ad essere diffusa e praticata già in Età Ellenistica, concepita come sintesi di astronomia, matematica e geometria, è basata sull’interpretazione di una serie di dati e viene considerata una tekne, non una scienza pura. In questo contesto, uno dei primi e dei principali astrologi è proprio Tolomeo, le cui teorie hanno vita lunghissima e restano alla base dell’astrologia di tutto il Medioevo e di buona parte della prima Età Moderna, anche in forza della loro coerenza sia con Aristotele che con le Scritture. Elemento centrale di queste teorie è la convinzione che esista un profondissimo legame tra la dimensione celeste e quella terrestre e che ciò che accade sulla terra, in ogni ambito e sotto qualsiasi aspetto, sia direttamente influenzato dai movimenti degli astri, che devono per questo essere studiati e messi in relazione con i fenomeni terrestri. L’astrologia viene poi praticata e studiata moltissimo anche nel mondo arabo, con una floridissima produzione di manoscritti che circolano moltissimo anche in Europa: tra le due realtà infatti in fatto di astrologia ci sono continui scambi e contatti. Una delle più condivise teorie astrologiche arabe è quella di Albumasar sulla ‘Grandi Rivoluzioni’, secondo la quale ogni grande stravolgimento terrestre (una crisi politica, un disastro naturale, un’epidemia, una carestia, una grande guerra, un conflitto religioso…) possa essere ricondotto a una particolare congiuntura astrale, nella quale viene identificata la sua origine profonda. Si tratta di teorie estremamente diffuse sia a livello popolare, dove si registra grande attenzione e soprattutto grande paura per questo tipo di allineamenti di astri, che a livello accademico. L’astrologia è infatti molto studiata e diffusa anche nelle Università, dove viene studiata a livello accademico, in genere come disciplina propedeutica alla medicina. Di astrologia si occupano la gran parte degli universitari e degli accademici, ma anche moltissimi filosofi Scolastici, basti pensare alla traduzione fatta da Alberto Magno degli scritti di Albumasar. Con astrologia si intende in realtà un’area di studio estremamente ampia, che contiene al suo interno una serie di discipline particolari. All’astrologia si riconducono la corografia, lo studio cioè di una regione dal punto di vista antropologico, che mette in relazione le caratteristiche di un popolo con l’influsso che hanno gli astri su quella particolare zona della terra, la meteorologia, lo studio di tutti i fenomeni atmosferici, la fisiognomica, la convinzione cioè che esista una correlazione diretta tra i tratti somatici di un individuo e le sue caratteristiche comportamentali, psicologiche e morali, e che entrambi questi fattori debbano essere ricondotti all’influenza degli astri sulla vita del singolo, e la divinazione, disciplina estremamente varia e articolata, che si propone di prevedere il futuro osservando i movimenti degli astri. Alcune di queste discipline hanno una vita autonoma al di là dell’astrologia e della dimensione universitaria nella quale questa scienza si sviluppa, in particolare la fisiognomica e la divinazione. Alla fisiognomica, ad esempio, si riconducono gli studi del linceo Dalla Porta, che associa particolari tratti somatici umani all’aspetto di un animale e da queste analogie trae delle conclusioni che, basandosi anche sui bestiari medievali, hanno lo scopo di definire il carattere di questi individui. Questi studi staranno poi anche alla base delle riflessioni di Lombroso, che porta queste teorie alla loro formulazione più compiuta. Dal momento che la fisiognomica viene considerata in questo contesto una scienza a tutti gli effetti spesso viene anche usata in sede processuale, in relazione al collegamento che viene fatto tra l’indole del criminale e alcune precise caratteristiche fisiche. Altrettanto vasta è l’area di influenza della divinazione, alla quale si lega un’intera sezione dell’astrologia, l’astrologia giudiziale, quella dimensione cioè più pratica dello studio astrologico che si occupa di fare oroscopi, che possono essere le carte natali, gli oroscopi annuali, o interrogazioni ed elezioni fatte in situazioni particolari e singolari, i cui responsi influenzano personalmente le vite personali degli individui ai quali sono rivolti. Fare oroscopi è una pratica estremamente diffusa, se ne occupano i professori universitari, ai quali qualsiasi studente poteva richiederne uno, e faceva oroscopi addirittura Galileo, il che testimonia bene come la rivoluzione scientifica non si sviluppi in totale contrapposizione all’astrologia, rinnegandola, ma anzi le rimanga parallela. Altra branca dell’astrologia è l’astrologia medica, alla cui base sta la convinzione che ad ogni parte del corpo si potesse collegare un preciso segno zodiacale, e che le condizioni astrologiche della costellazione cui quel segno fa riferimento potessero influenzare la salute o la malattia di quel particolare organo. Questa teoria si lega poi alla medicina umorale, con l’associazione di ogni umore particolare a una serie di segni zodiacali; in questo modo l’equilibrio umorale deve molto anche alla posizione degli astri, che influenza attivamente la pratica medica e le decisioni dei dottori sia nelle diagnosi che nella selezione delle terapie. Infine, da non trascurare è l’importanza che ha avuto l’astrologia nello sviluppo della moderna astronomia: componente essenziale dell’astrologia è l’osservazione diretta del cielo e dei movimenti degli astri, soprattutto in relazione alla pratica divinatoria, che per essere efficace ha bisogno di dotarsi di una conoscenza il più possibile accurata e adeguata del cosmo, che viene ottenuta per mezzo di nuovi strumenti di calcolo che risultano particolarmente efficaci, come le sfere armillari, i quadranti, gli astrolabi. Ed è in parte anche a questa volontà che si può ricondurre la valorizzazione dell’osservazione diretta del cielo, a scapito delle teorie accettate per autorità, dalla quale emergono una serie di incongruenze che, in relazione a un contesto culturale che viene sempre di più differenziandosi da quello medievale, portano alla nascita di paradigmi scientifici e astronomici diversi da quello aristotelico tolemaico, fino ad arrivare alla teoria eliocentrica. ALCHIMIA Un’altra disciplina che non viene affatto valorizzata dalla storiografia positivista, nonostante l’effettiva importanza che ha avuto, soprattutto in Età Rinascimentale, è l’alchimia. Anch’essa, come l’astrologia, è nata in epoca Ellenistica, in particolare nell’Egitto del I secolo d.C., ed ha avuto un florido sviluppo nel mondo arabo, dal quale è poi arrivata in Europa grazie a una lunga serie di scambi e contatti e culturali, anche se ne troviamo tracce anche in regioni molto remote, come l’India e la Cina, permettendoci così di considerare l’alchimia una disciplina globale e trasversale alle varie culture. In un primo momento l’alchimia è essenzialmente concentrata sulla pratica della trasmutazione dei metalli con l’intenzione di creare la mitologica pietra filosofale, una pietra miracolosa capace di trasformare qualsiasi metallo in oro e dalla quale poteva essere prodotto un elisir di lunga vita capace di garantire l’immortalità. Il campo d’interesse degli alchimisti nel tempo si allarga, e hanno risvolti alchemici tutte quelle teorie che concepiscono la natura come un tutto essenzialmente relazionale e vivo. Nell’alchimia si possono individuare due filoni contrapposti. Il primo, che fa riferimento alla figura quasi mitologica di Ermete Trismegisto, alchimista arabo i cui testi stanno alla base di moltissima alchimia europea, è più teorico e filosofico, molto legato alla dimensione spirituale e talvolta speculativa. Il secondo, invece, si rifà a un altro alchimista arabo, Geber, considerato il padre dell’alchimia sperimentale, ed è più pratico, legato appunto agli esperimenti di laboratorio, mossi da motivazioni più utilitaristiche che teoretiche. In seno a questo secondo approccio alchemico inizia chirurgiche, che agiscono sui singoli organi o sulle singole zone ferite o malate, trascurando l’equilibrio olistico e operando in maniera più o meno meccanica. La diffusione di tali pratiche è ben testimoniata da una rappresentazione che diventa estremamente diffusa e comune tra i medici: si tratta dell’“uomo ferito”, un’immagine didascalica che rappresenta une serie di ferite che potevano essere causate da guerre, pestilenze, o altri eventi di natura violenta e indica il trattamento adatto ad ognuna di esse. Questa immagine inizia a comparire in manoscritti di chirurgia alla fine del Quattrocento, soprattutto nel sud della Germania, e ha un’enorme diffusione, diventando così popolare da essere riprodotta anche nei libri a stampa. Da questa rappresentazione risulta chiaro come non si intenda più trattare queste ferite in relazione agli umori o all’equilibrio olistico, ma in maniera diretta, agendo direttamente sull’organo ferito in modo meccanico. Allo sviluppo di questa neonata chirurgia si affianca un crescente interesse per la conformazione interna del corpo umano, che porta a un notevole incremento delle conoscenze anatomiche. Dal momento, infatti, che si intende curare una ferita agendo sull’organo interessato in maniera diretta e meccanica, diventa fondamentale una conoscenza adeguata di tale organo. Il principale strumento di indagine anatomica è la dissezione. La pratica della dissezione ha una storia articolata e complessa, spesso costellata di falsi miti, il più notevole dei quali è forse la convinzione della ferrea opposizione della Chiesa. In realtà la Chiesa non fu mai contraria alla dissezione in sé, ma alla pratica di asportare alcune componenti di un cadavere per seppellirle in luoghi diversi, pratica che spesso avveniva a seguito a una dissezione. Le motivazioni sono di carattere dottrinale: tendenzialmente, infatti, queste asportazione venivano fatte a cadaveri di crociati, questi resti venivano poi portate in Europa e diventavano oggetti di idolatria, senza però il processo di canonizzazione ecclesiastica. Questa pratica va messa in relazione con il diffusissimo culto delle reliquie dei santi, estremamente venerate a livello popolare, considerate dei potentissimi strumenti di protezione, dotati di poteri taumaturgici. Il tabù non è quindi tanto legato alla dissezione in sé, o al contatto con un cadavere, quanto alla rivelazione dell’identità del defunto, che veniva esposto nudo e trattato come un oggetto di studio. Per questo motivo le dissezioni venivano per lo più fatte su cadaveri di condannati a morte o comunque di persone che avevano condotto una vita ai margini della società, e preferibilmente, quando era possibile, di stranieri, in modo da non coinvolgere in nessun modo nella vergogna i parenti. Con il tempo la dissezione diventa sempre più importante nella formazione dei medici, gli studenti assistono a una serie di dissezioni svolte dai loro insegnanti e queste esperienze sono considerate tappe fondamentali del loro corso di studi, andando a testimoniare lo sviluppo di un approccio medico parallelo a quello classico, basato più sull’osservazione diretta che sull’autorità dei grandi autori del passato. Nel tempo queste pratiche diventano sempre più diffuse e comuni, al punto che nel Seicento la gran parte delle università europee ha inserito corsi di anatomia caratterizzati dalle dissezioni nei loro curricola di medicina, e in alcuni contesti l’interesse è tale che le dissezioni sono talvolta pubbliche e diventano una sorta di spettacolo cittadino, con moltissimi spettatori che non fanno parte dell’ambiente medico. Figure centrali nello sviluppo e nella diffusione di questa nuova medicina, chirurgica e anatomica piuttosto che umorale e olistica, sono il medico e professore universitario bolognese Berengario da Carpi, che tra le altre cose è stato anche il medico curante del Papa, e Mondino de’ Liuzzi, anche lui bolognese, autore di un trattato, Anothomia, che sarà un punto di riferimento per gli studi anatomici fino alla metà del XVI secolo. Allo studio dell’anatomia si lega poi un interesse per tutto ciò che nel corpo umano è in qualche modo occulto, invisibile, nascosto, primo fra tutti il processo della generazione, oggetto di discussione sia in ambito filosofico, soprattutto in relazione alla generazione dell’anima e della sua collocazione all’interno del corpo, che oscillava dal cuore, al cervello, al fegato, che in ambito medico. C’è un nuovo e particolare interesse quindi per gli organi genitali, in particolare quelli femminili, che essendo interni sono essenzialmente sconosciuti, e per l’intero processo di gestazione e per gli organi ad esso associati. In realtà l’intero corpo femminile diventa un oggetto di studio particolarmente interessante in questo momento: se fino a quel momento la salute femminile, e con essa sia la gravidanza che il parto, era stata una questione prettamente femminile, della quale si occupavano altre donne in maniera empirica e pratica, fondamentalmente esclusa dalla riflessione medica universitaria, portata avanti da uomini per gli uomini, adesso inizia a diventare interessante anche in ambiente universitario. Rimanendo fedeli alle teorie aristoteliche, la donna viene considerata biologicamente diversa e inferiore rispetto all’uomo, e tutta la riflessione medica sul corpo femminile viene portata avanti all’impronta della diversità: della donna, esclusivamente oggetto di scienza, mai soggetto, vengono evidenziate tutte quelle caratteristiche fisiche e tutte quelle patologie peculiari e diverse da quelle maschili. Particolarmente interessante in questo contesto risultano tutte le generazioni anomale, in particolare i parti gemellari, che, per quanto pericolosi e fuori dall’ordinario, non sono concepiti in maniera negativa, in relazione anche ai numerosi esempi biblici di coppie di gemelli. L’interesse per i gemelli degli studi anatomici Quattro-Cinquecenteschi si pone al culmine di una lunga tradizione, che vede la sua origine nelle antiche raccolte di mirabilia, come la Cronaca di Norimberga, e trova in Leonardo da Vinci uno dei suoi principali esponenti. Se in generale i gemelli sono mirabilia positivi, i gemelli siamesi sono invece presagi negativi, dal momento che la loro sopravvivenza è estremamente rara. Sono inoltre anche al centro di una disputa teologica: non c’è una dottrina ufficiale, infatti, che si pronunci sul fatto che questi fratelli abbiano due anime o una sola anima condivisa. Esemplare è il caso dell’autopsia svolta su due sorelle siamesi, morte appena nate, a Hispaniola nel 1533, per valutare se il parroco che le aveva battezzate aveva fatto bene a supporre che le bambine avessero due anime separate e quindi a battezzarle entrambe: in questo caso l’autopsia sembra dar ragione al parroco, dal momento che le bambine non avevano in comune nessuno dei tre organi, cuore, cervello e fegato, che poteva essere il sito dell’anima. Un ultimo ambito nel quale si sviluppa questo nuovo approccio alla medicina è quella che oggi chiameremo chirurgia estetica, prevalentemente per gli uomini, in relazione sia agli sfregi dovuti a ferite di guerra o ai duelli, che alla sifilide, sempre più diffusa anche tra i nobili europei. L’estetica ricopre un ruolo estremamente importante a livello sociale, l’aspetto è una componente fondamentale della virilità degli individui, specialmente tra i nobili, e da qui l’importanza sociale di questa nascente disciplina medica, che si lega anche alla fisiognomica e alla discussione artistico- filosofica sulla bellezza. Un nome fondamentale è quello del bolognese Gaspare Tagliacozzi, che viene considerato il primo chirurgo estetico della storia, che perfeziona e canonizza la pratica dell’impianto cutaneo. I suoi testi, mai soltanto medici, ma sempre corredati di elementi eruditi e umanistici, hanno un’enorme diffusione e le sue pratiche mediche sono molto richieste negli strati sociali più alti. PRATICA MEDICA La dimensione pratica della medicina è estremamente ampia e piena di risvolti e vive uno sviluppo parallelo a quello della teoria medica, entrando in contatto con una serie di discipline diverse, legandosi ad esse o inglobandone in sé alcune componenti, e adeguandosi ai diversi contesti sociopolitici nei quali si ritrova. Un elemento da sottolineare è la dimensione etica della pratica medica. Il riferimento più importante in questo contesto è il Giuramento di Ippocrate, che risale al mondo greco, formulato da colui che viene considerato il padre della medicina occidentale. Questo giuramento, pronunciato in nome delle divinità classiche collegate alla medicina da tutti i neo-medici, definisce innanzitutto quelle che sono le caratteristiche dell’‘ordine dei medici’. Viene presentato come un ordine piuttosto chiuso, caratterizzato da una deontologia del silenzio e da una cultura del segreto professionale, del quale fanno parte persone che hanno tra di loro vincoli molto forti, se possibile addirittura rapporti familiari, sottolineando infine quanto debba essere stretta e profonda la relazione tra un maestro e il suo allievo. In seguito, viene trattata la questione strettamente etica: il caposaldo che guida l’azione del medico deve essere l’intenzione di fare del bene al paziente, indipendentemente da qualsiasi cosa, anche dalla volontà del paziente, con quindi una condanna esplicita dell’eutanasia e dell’aborto. Viene infine sottolineato che il rapporto tra un medico e il suo paziente debba essere autentico e sincero, con la promessa da parte del medico di mantenere segrete le confidenze fattogli dal paziente. Questo giuramento ha vita lunghissima e sopravvive, sostanzialmente invariato, dal mondo Greco a quello Arabo, per arrivare poi nell’Europa Medievale e sopravvivere in quella Rinascimentale. La figura del medico che emerge da questa descrizione è estremamente positiva, ai limiti dell’idealizzazione, concezione che nel corso dei secoli verrà poi più volte messa in discussione. Emblematica è l’invettiva contro i medici di Petrarca, inserita in un programma di valorizzazione del sapere umanistico a scapito della conoscenza scientifica legata al contesto universitario, nella quale l’umanista riprende una disputa avuta personalmente con un medico accusato di incompetenza, sottolineando come i dottori siano estremamente bravi a nascondere i propri errori, facendo passare l’aggravarsi di una malattia o addirittura la morte di un paziente come il naturale decorso di una patologia sconosciuta al paziente o alla sua famiglia. Al di là dei dissapori personali e estremizzati di Petrarca, i rapporti tra medici e pazienti nel Tardo Medioevo e nel Rinascimento sono molto meno idilliaci di quelli presentati da Ippocrate: come sottolineano gli studi di Gianna Pomata, la relazione tra medico e paziente è generalmente regolata da un contratto, che può essere scritto o orale, e esistono addirittura delle istituzioni che si occupano di siglare questi contratti e di gestire gli eventuali ricorsi sporti da una della due parti, come ad esempio il Protomedicato di Bologna, nei quali iniziano a lavorare insieme medici e giuristi. Un altro fondamentale punto di contatto fra legge e medicina, due delle discipline cardine, tra l’altro, del sapere universitario, è la nascente medicina legale. Dalla fine del Duecento, infatti, iniziano a verificarsi le prime richieste di autopsie da parte dei tribunali, in modo che un medico potesse scoprire le cause di una morte sospetta; uno dei primi casi testimoniati di autopsia per motivi legali è quella di Azzolino degli Onesti, richiesta dalla famiglia del defunto che sospettava che fosse stato avvelenato. Personalità centrale in questo processo è quella di Paolo Zacchia, considerato il padre della medicina legale, dal 1638 membro del Protomedicato di Roma, lavora poi all’ospedale romano del Santo Spirito in Sassia ed è un importante consulente del tribunale ecclesiastico della Sacra Rota. La sua carriera si muove quindi a metà tra la dimensione medica e quella giuridica, con la volontà di Il rapporto tra scienza e guerra non riguarda solo la prima Età Moderna, ma anzi è fondamentale nel corso di tutto il Novecento, in particolare in relazione alle due Guerre Mondiali, che vedono nel monopolio di una serie di innovazioni scientifiche delle importantissime armi offensive. Dai sottomarini ai gas asfissianti, per culminare con la bomba nucleare, le due guerre si combattono non soltanto sul campo, ma anche sul fronte scientifico, con tutte le questioni etiche che ne conseguono. CIRCOLAZIONE della CONOSCENZA Per portare avanti un discorso sulla storia della scienza che non sia prettamente eurocentrico, ma che sia anzi aperto al riconoscimento dell’importanza che hanno avuto i vari incontri culturali vissuti nei secoli per lo sviluppo della scienza occidentale, è estremamente importante concentrarsi anche sulle modalità nelle quali tali incontri avvenivano e nelle quali circolavano testi, idee, conoscenze, convinzioni… I veicoli di trasmissione del sapere, sia dall’Europa ad altri continenti che viceversa, sono moltissimi e molto vari. In alcuni casi la circolazione della conoscenza è un effetto collaterale di viaggi e azioni finalizzate ad altro. È il caso dei mercanti, che nei loro viaggi si portano dietro, in entrambe le direzioni, una serie di manufatti di grande interesse culturale e scientifico, oltre a moltissimi racconti e storie di grande valore (la gran parte delle storie dei mirabilia provengono dai racconti dei mercanti), ma anche degli agenti imperiali che dalla Spagna viaggiano nelle Americhe, il cui obiettivo primario è di matrice economica, ma che ha anche un notevole risvolto culturale e scientifico, basti pensare al lavoro di Francisco Hernandez. In altri contesti la circolazione di teorie e conoscenze è proprio il fine ultime di questi viaggi, come nel caso degli intellettuali, che esplorano regioni esotiche esclusivamente per motivi culturali, o dei traduttori, soprattutto in relazione al sempre più sviluppato interesse per la linguistica, che porta a tradurre le grandi opere scientifiche prodotte in realtà extraeuropee, o, ancora, dei mediatori culturali, personalità che hanno, per vari motivi, talvolta sono nativi americani convertiti, in altri casi europei che hanno vissuto a lungo in America, il bagaglio culturale di due realtà ben distinte, e che riescono quindi in questo modo a fare da ponte tra le due. A metà strada tra queste due tipologie di approccio si colloca l’opera dei missionari: la motivazione centrale dei loro viaggi è la conversione dei popoli con i quali entrano in contatto, ma la volontà di far circolare, o, in alcuni casi, di imporre, il proprio sistema culturale anche al di là della sola religione, entrando quindi in questo modo necessariamente in contatto con il sistema culturale delle popolazioni che incontrano, è una componente essenziale della loro missione. Secolo caratterizzato in maniera particolare da questo tipo di scambi è il Seicento. Innanzitutto, il viaggio a scopo esclusivamente culturale inizia ad essere introdotto e valorizzato anche a livello universitario, smettendo di essere l’iniziativa personale di alcuni privati, in un primo momento rivolto soltanto ad altri paese europei, per allargarsi poi anche ad altri continenti, come l’America o la Cina. Il Seicento è inoltre il secolo nel quale viene formalizzato un sistema postale il più possibile globale, con il conseguente enorme sviluppo di tutte le vie di comunicazione e del sistema di trasporti, via terra e via mare. Iniziano così a costituirsi una serie di vie e direttrici di viaggio lungo le quali viaggiano merci, lettere, accademici, esploratori, missionari, mercanti… incontrandosi in una serie di località che diventano importantissimi centri di scambio e contatto interculturali. L’Età Moderna, e in particolare il Seicento, sono caratterizzati, in questo contesto, da un grande valorizzazione della testimonianza e del racconto, che risulta in un’enorme produzione di testi scritti di vario genere che descrivono, con varie modalità, le tutto ciò con cui si entra in contatto in queste regioni esotiche. Lo storico moderno si trova quindi davanti una mole enorme di materiale di natura molto diversa, dalle lettere, ai trattati, ai resoconti, ai libri veri e propri, che risulta interessante, da punti di vista diversi, riguardo all’ampio tema dello scambio interculturale tra l’Europa e il resto del mondo. Il suo compito a questo punto è quello di comprendere bene i documenti che si trova davanti, scoprendo quanto effettivamente questi fossero diffusi e da chi fossero stati letti, in modo tale da poter valutare che tipo di influenza possano aver avuto sulla cultura europea o quanto, al contrario, possano essere rimasti marginali e di nicchia. In questo contesto hanno un’enorme importanza le lettere, che, nel loro carattere quotidiano, personale e narrativo, sono talvolta rivelative dell’effettiva diffusione di particolari teorie o sistemi culturali. Una descrizione, piuttosto idealizzata, di questa rete di contatti culturali internazionali è quella proposta da Bacone nella Nuova Atlantide. Sull’isola di Bensalem la conoscenza è concepita in tutti i sensi come un ‘viaggio di scoperta’, e gli esploratori inviati in giro per il mondo hanno un ruolo fondamentale. Si tratta di specialisti esperti e capaci, che raccolgono tutto ciò che trovano interessante nei sistemi culturali stranieri e, tornati in patria, sono pronti a mettere le proprie conoscenze al servizio della comunità, dal momento che il fine ultimo della scienza resta sempre il miglioramento sociale. Si possono identificare una serie di analogie con la realtà della Spagna seicentesca, senza però l’idealità dell’utopia baconiana: raramente gli esploratori sono scienziati esperti e soprattutto l’obiettivo con il quale si raccolgono queste informazioni, specialmente in America, non è tanto il miglioramento sociale o il progresso scientifico-culturale dell’Europa, quanto il profitto economico. La realtà, infine, nella quale si assiste in maniera forse più compiuta e esemplare a questi contatti interculturali, testimoniati minuziosamente e trasmessi tempestivamente, è l’ordine religioso dei Gesuiti, protagonista delle missioni di conversione, e allo stesso tempo molto legato alla dimensione culturale e all’istruzione, che non a caso nel primo quarto del Seicento vive un’enorme espansione: a inizio secolo si contano circa 5.000 membri, con 144 collegi in 21 province, nel 1625 i membri sono più di 15.000 e i collegi sono diventati 444 in 36 province. I Gesuiti viaggiano moltissimo, le loro mete privilegiate sono la Cina, con la quale lo scambio culturale è estremamente florido e positivo, impostato all’insegna della collaborazione tra pari, e l’America, dove la situazione è meno positiva, caratterizzata dalla mentalità imperialista e suprematista tipica dell’Europa dell’epoca nei confronti dei nativi, e soprattutto comunicano moltissimo tra di loro, generalmente in latino, dal momento che, a livello europeo, quello dei Gesuiti è un ordine estremamente internazionale. Già nel 1558 Ignazio de Loyola e Juan de Polanco formalizzano la pratica dello scambio di lettere tra periferia e centro, tra missionari e i loro superiori, e gli esploratori vengono istruiti a redimere relazioni di viaggio chiare ed efficaci; si va in questo modo a costruire una rete particolarmente estesa di lettere redatte con grande attenzione, anche grazie all’importanza che i Gesuiti tendono a dare, per la loro formazione scientifica, all’osservazione, che oggi sono custodite nell’Archivio dei Gesuiti, a Roma, una fonte di fondamentale importanza per gli storici. COMUNICAZIONE della CONOSCENZA Prima dell’invenzione della stampa, le conoscenze scientifiche circolano e vengono trasmesse solo per mezzo dei manoscritti. Questo, unito al dilagante analfabetismo, limita moltissimo la diffusione della conoscenza, dal momento che questi manoscritti sono molto rari ed estremamente costosi, accessibili solo alle classi sociali più alte. Sotto questo punto di vista la rivoluzione arriva a metà del XV secolo, con l’invenzione della stampa. Nel 1448 l’orafo e tipografo tedesco Johannes Gutenberg mette in atto la prima stampa a caratteri mobili, stampando 180 copie della Bibbia, poi vendute al mercato libraio di Francoforte. La stampa stravolge profondamente la circolazione dei testi e con essa il modo di comunicare la conoscenza: vengono abbattuti sia i tempi di produzione che i costi dei libri, anche se rimangono comunque dei beni piuttosto di lusso. Quella della stampa diventa presto un’industria estremamente florida e particolarmente composita, che comprende al suo interno non soltanto gli stampatori, ma anche una serie di editori, rivenditori, librai… Le stamperie acquisiscono un peso economico sempre più rilevante e iniziano a espandersi al di fuori della Germania. In Italia la stampa arriva nel 1467, e il principale centro di stampa, soprattutto scientifica, diventa la città di Venezia, nella quale lavorano anche degli stampatori tedeschi particolarmente noti, il più importante dei quali è Erhard Ratdolt, attivo a Venezia dal 1476 al 1486. Ratdolt dà alla stampa una serie di testi fondamentali nella cultura scientifica europea, come il Calendarium di dell’astronomo-stampatore tedesco Regiomontanus, gli Elementi di Euclide (si tratta tra l’altro della prima edizione a stampa di questo testo), il De Sphaera di Giovanni da Sacrobosco, e molti altri testi astronomici. Nei primi anni i testi stampati sono piuttosto semplici e scarni, limitati al solo testo, poi lentamente si iniziano ad integrare le figure, prima geometriche e poi dei disegni a mano libera, in alcuni casi si inserisce addirittura il colore, appaiono le prime decorazioni puramente estetiche, la copertina acquisisce sempre più importanza… Questi libri così elaborati hanno un valore elevatissimo, di nuovo accessibili solo per l’alta nobiltà, e sono allo stesso tempo un simbolo del prestigio del suo possessore. Anche i libri semplici, con il solo testo, però non diventeranno un bene di largo consumo, accessibile più o meno a tutti, per moltissimo tempo, rimanendo disponibili solo per una cerchia ristretta. In questo contesto, un fattore non trascurabile che concorre all’elitarismo della cultura è il costo del principale veicolo di trasmissione della conoscenza, il libro. Uno strumento alternativo al libro di divulgazione del sapere sono le lettere che gli intellettuali, in particolare i membri delle Accademie, si scambiano tra di loro, lettere che girano moltissimo e spesso vengono anche pubblicate. Emblematica, da questo punto di vista, è la Repubblica delle Lettere della Royal Society. In un primo momento queste lettere sono essenzialmente le trascrizioni delle sedute o le descrizioni di osservazioni ed esperienze, ma nel tempo iniziano ad essere sempre più articolate e complete, diventando dei veri e propri articoli pensati per la pubblicazione e la divulgazione. Dall’evoluzione della pubblicazione di queste lettere nascono le riviste scientifiche, come quella, una delle più antiche, che inizia a pubblicare la Royal Society, le Philosophical Transactions. Queste riviste, molto più brevi di un libro, sono anche molto più economiche di questi ultimi e sono anche piuttosto facili da reperire. Questo tipo di pubblicazione si diffonde sempre di più, tutte le principali accademie iniziano a dotarsene e le riviste diventano sempre più curate e specializzate. Dalla circolazione a stampa restano però tendenzialmente escluse quelle discipline e quelle scienze che consapevolmente scelgono di evitare la grande diffusione perché legate a una deontologia del segreto e a una dimensione in qualche misura misterica, come l’alchimia, la magia naturale, tutte quelle discipline che fanno riferimento all’occultismo e al preternaturale… Infine, l’invenzione della stampa è anche un tema fondamentale e molto discusso della riflessione storiografica. Degna di nota è la teoria di E. Eisenstein, che sostiene che senza la stampa non prive di fonti. L’espressione ‘ad vivum’, usata anche da Gessner, ha quindi qui un significato diverso: un disegno sì non riconducibile alla fantasia o all’inventiva dell’autore, ma basato stavolta su una serie di testimonianze scritte e fonti ritenute autorevoli, non sull’osservazione diretta. In questo senso quindi Gessner è molto più vicino, rispetto a Fuchs, a quella cultura universitaria ancora legata al principio di autorità, non necessariamente sistematica e priva di quell’attenzione per l’osservazione che caratterizza tutto quel filone scientifico che culmina nel metodo di Bacone. DONNE e SCIENZA Tutta la storia della scienza tradizionale è una storia fatta da uomini per uomini. L’esclusione, più o meno consapevole e volontaria, dalla ricostruzione storica della partecipazione delle donne alla ricerca scientifica, che corre parallela al tentativo, più o meno riuscito, di escludere le donne direttamente dalla ricerca scientifica, ha radici profonde di natura culturale che risalgono all’Antichità Classica. La Modernità occidentale ha in fatti fatto propria la concezione aristotelica della differenza di genere, che, in maniera dicotomica e gerarchica, associa al maschile la dimensione mentale e la razionalità e al femminile la dimensione corporea e l’emotività. La donna quindi, concepita soltanto come alterità dell’uomo, e rispetto ad esso incompleta, ha tutta l’instabilità e l’irregolarità della dimensione passionale, dimensione dalla quale buona parte della filosofia Seicentesca, formalizzando istanze già presenti in vari contesti, ritiene ci si debba purificare per poter pensare ed agire in maniera davvero razionale. Non si discosta molto da questa prospettiva il Cristianesimo, che, oltre a ribadire l’emotività e lo scarso controllo che caratterizzano il sesso femminile, fa della donna la causa del Peccato Originale, dando vita a una rappresentazione del femminile che avrà una storia molto lunga, quella della donna come creatura impura e costitutivamente debole, incapace di resistere alle forze demoniche, che diventa a sua volta quindi tentatrice e causa di rovina per l’uomo. Questo sistema culturale, che sopravvive, camuffato e talvolta in maniera inconsapevole, ancora oggi, ha costruito una rappresentazione della donna che è quanto di più distante dallo scienziato che possa essere immaginato: debole ed emotiva, assolutamente incapace di controllarsi, legata alla dimensione demonica più che a quella divina cui afferisce la natura che l’uomo di scienza vuole indagare, e, soprattutto, controparte assoluta della razionalità maschile. Risulta quindi abbastanza semplice capire perché, come dice lo storico Jan Golinski, “negli anni intorno al 1930, quando gli studiosi iniziarono a formulare l’idea che l’Europa del XVI e XVII secolo avesse vissuto una Rivoluzione Scientifica, nessuno pensò di porsi la domanda: come mai tutti i leader della rivoluzione scientifica sono uomini?”. Allo stesso modo, risulta giustificata l’osservazione di C.P. Snow quando, nel 1959, dice che “qualsiasi cosa uno finisca per dire, non consideriamo veramente le donne adatte a perseguire carriere nelle scienze”. A livello storiografico le cose continuano a cambiare dopo la metà del Novecento, e in questo contesto sono particolarmente interessanti le teorie eco-femministe proposte intorno agli anni ‘80. Con la volontà di criticare tanto l’impianto misogino che quello utilitarista-capitalistico che stanno alla base, in maniera più o meno esplicita, della concezione moderna della scienza e della sua ricostruzione storica, si iniziano a proporre teorie nuove che si pongono su prospettive diverse. Carolyn Merchant, ad esempio, con un approccio piuttosto filosofico, si propone di riscoprire il concetto medievale della natura come una madre benevola, associata quindi alla dimensione femminile, che la scienza vuole conoscere, ma non sezionare, sfruttare, dominare, tutte attività legate, dal punto di vista dei Gender Studies, a concezioni machiste e misogine, e dal punto di vista scientifico, a concezione utilitariste, che fanno capo alla scienza baconiana. Approccio più storico è invece quello di Londa Schiebinger, che esplora le barriere culturali che hanno impedito, nel tempo, alle donne di fare scienza, soffermandosi anche sul fatto che a lungo la donna sia stata concepita come un oggetto di studio scientifico, piuttosto che come un soggetto capace di portare avanti tali studi. In ambito anatomico, infatti, uno degli oggetti di studio più interessanti è proprio il corpo femminile, del quale affascinano tutti quegli organi legati in qualche modo alla gestazione e al parto. Il corpo delle donne si trova però in questo contesto in una posizione piuttosto ambigua: se da una parte viene declassato a oggetto, dall’altra non si perde mai la consapevolezza della sua natura particolare, e per questo tende ad essere rappresentato in maniera estremamente sensuale, con una grandissima attenzione all’estetica, generalmente assente nelle rappresentazioni di dissezioni di corpi maschili e assolutamente irrilevante ai fini dello studio, testimoniando che un corpo femminile non è mai neutro, ma è anzi sessualizzato anche nelle situazioni nelle quali risulterebbe più assurdo pensarlo. Nonostante gli enormi impedimenti sia nel fare scienza sia nell’essere incluse nella narrazione di questa scienza, abbiamo testimonianza di diverse donne che hanno partecipato attivamente allo sviluppo della scienza europea. Avere fonti riguardo alle donne di scienza prima del Cinquecento è particolarmente difficile, perché quest’ultime erano quasi completamente escluse dall’istruzione e quindi, ipotizzando che facessero, come anche molti uomini hanno fatto, scienza a livello pratico, non potevano trascrivere e quindi tramandare i propri risultati. Le cose cambiano tra Cinquecento e Seicento, quando una serie di donne nobili iniziano ad avere accesso all’istruzione in un contesto domestico, in particolare affiancandosi ai propri fratelli, e riuscendo quindi ad emanciparsi a livello intellettuale. -Alchimiste e Illustratrici Non tutti gli ambiti scientifici sono uguali dal punto di vista della loro accessibilità per le donne, il più possibile escluse dalle cosiddette ‘scienze dure’. Ambito nel quale, invece, la presenza femminile viene riconosciuta e testimoniata è l’alchimia, soprattutto nella sua dimensione pratica. Ci sono diversi esempi di donne, prevalentemente, anche se non esclusivamente, nobili, legate a un contesto alchemico. Ne sono esempi Caterina di Sforza, la sorella di Ludovico il Moro, donna molto istruita e appassionata di alchimia, autrice di un ricettario alchemico legato alla cosmesi ma anche alla medicina, come sottolineano gli studi di Meredith K. Ray, o Anna di Sassonia, che assorbe l’interesse per la chimica proprio del marito e lo declina in particolare in ambito medico, ma anche personalità di estrazione sociale più bassa, come Anna Zieglerin, alchimista che sostiene di poter creare dei bambini grazie a processi alchemici. Senza la protezione sociale che garantisce la nobiltà, però, l’alchimia risulta pericolosa per le donne: Zieglerin, infatti, verrà condannata come eretica. Altro ambito nel quale la presenza femminile, seppur rara, è relativamente tollerata è quello dell’illustrazione scientifica, dell’arte naturalistica, a cavallo quindi tra arte e scienza. Figura rilevante è quella di Maria Sibylla Merian, figlia di uno stampatore e figliastra di un pittore di un pittore di nature morte, e quindi già legata, per motivazioni biografiche, all’illustrazione scientifica. Lavora molto come artista e disegnatrice, e si reca addirittura nel Suriname, dove commercia il secondo marito, per studiare e rappresentare la natura di quelle località esotiche. Degno di nota è il suo trattato sugli insetti, che va al di là delle sole descrizioni e rappresentazioni pittoriche, ma è impostato in maniera prettamente scientifica, con particolare attenzione alla loro generazione e alle loro metamorfosi. -Camilla Erculiani Camilla Erculiani, vissuta a Padova nella seconda metà del Cinquecento, si autodefinisce ‘speziala’: moglie, infatti, di un farmacista, condivide l’attività del marito, presso il quale segue un vero e proprio apprendistato, situazione non particolarmente diffusa ma neanche unica. Il contesto è quindi sempre di scienza pratica, legata non a un contesto universitario o accademico, ma a un mestiere, ma in questo ambito la Erculiani acquisisce sempre più importanza e prestigio, entrando a far parte della Corporazione degli Speziali e avendo contatti sempre più frequenti e fruttuosi con diverse personalità legate all’Università di Padova. Si interessa in questo modo anche alla filosofia naturale, nei limiti impostogli dalla sua ignoranza del latino, e inizia a scrivere lettere e brevi testi di argomento scientifico. Degno di nota è la sua eccezionale consapevolezza della particolarità della sua condizione di ‘donna scienziata’, condizione che non cerca di far passare sotto silenzio o di trascurare, ma che anzi rimarca e affronta di petto; una delle sue pubblicazioni è infatti aperta da una breve poesia nella quale la Erculiani rivendica la propria femminilità, sperando che le sue parole siano prese in considerazione. -Lucrezia Marinella Nobildonna veneziana, Lucrezia Marinella, educata dal padre medico insieme al fratello, è una donna estremamente colta e istruita tanto nelle discipline umanistiche quanto in quelle scientifiche. Ha una diatriba particolarmente accesa con un intellettuale veneziano del tempo, autore di un trattato di matrice scientifica ‘sui difetti e le debolezze delle donne’. Marinella risponde a tono all’interlocutore, facendo riferimento alle stesse fonti erudite utilizzate dall’uomo e nel 1601 scrive un testo intitolato “La nobiltà e l’eccellenza delle donne e i difetti e i mancamenti degli uomini”, capovolgendo specularmente lo scritto dell’avversario. Si dedica poi per un periodo a opere letterarie, ma smette completamente di pubblicare dopo essersi sposata e aver avuto figli: il matrimonio, infatti, assolutamente indiscutibile per una donna dell’epoca, soprattutto se nobile, alternativo soltanto al convento, comportava il totale abbandono della dimensione pubblica e la necessità di ritirarsi completamente nella realtà domestica. Quello di Lucrezia Marinella non è assolutamente l’unico caso nel quale un matrimonio stronca una potenziale e nascente carriera scientifica. - Émilie du Châtelet Proveniente da una famiglie estremamente nobile della Francia dell’inizio del Settecento, Émilie du Châtelet ha una formazione eccellente, incoraggiata e sostenuta dal padre, che vede in lei moltissime potenzialità; fin da bambina, infatti, ha risultati straordinari nei suoi studi. In un primo momento viene istruita da una serie di precettori privati, ma poi, sempre grazie alla spinta del padre, entra in contatto con l’Accademie du Science, la principale accademia francese. Riceve un’educazione ampia e completa, sia scientifica che umanistica. Anche lei, come tutte le donne del suo tempo e del suo ceto, deve sposarsi e avere figli, ma il suo non è un matrimonio particolarmente felice e, dopo alcuni anni esclusivamente ‘domestici’, torna dedicarsi agli studi, concentrandosi questa volta sulla matematica, disciplina fino ad allora quasi esclusivamente maschile. Ha contatti con molti intellettuali dell’epoca, e in particolare con Voltaire, con il quale ha una relazione peculiare, tanto che il filosofo la definisce la sua musa. Émilie du Châtelet scrive e pubblica moltissimo, sia traduzioni e commenti che testi propri. Particolarmente interessante è il suo Institutions de Physique, un trattato di fisica impostato come una serie di lezioni pensate per il figlio, forma, questa, che, riavvicinando l’autrice a un contesto domestico, rende accettabile a livello sociale il fatto che una donna scriva di fisica, disciplina anch’essa prettamente maschile; nei testi più accademici e filosofici, infatti, può permettersi di usare forme saggistiche. Inoltre, Émilie du Châtelet Nei primi anni del Settecento il dibattito sulla meraviglia è molto acceso: abbastanza condivisa è la sua associazione con l’ignoranza, ma alcuni intellettuali la concepiscono in maniera positiva, come Boyle, che la considera la naturale ammirazione per l’opera di Dio, altri in maniera molto più negativa, come fa J. Glanvill, che ritiene che stia alla base di “un’immotivata paura di eventi straordinari, accidentali o naturali” e che sia compito dell’autentica filosofia naturale superarla e estirparla anche dal popolo. Più accordo esiste invece, generalmente, sulla valorizzazione della curiosità intellettuale dell’erudito. A seguito di questi lunghi e accesi dibattiti, si fa sempre più diffusa la posizione sostenuta da gran parte dell’Illuminismo e, in particolare, da David Hume: un’aspra critica della meraviglia, che deve essere esclusa in maniera assoluta da qualsiasi conoscenza che voglia presentarsi come scientifica. Hume considera la meraviglia un sentimento popolare, provato da menti semplici, totalmente estraneo alla riflessione razionale, tanto che le tesi di un uomo che ha provato meraviglia nel formularle diventano poco attendibili. Propria dell’individuo razionale è invece la curiosità, assolutamente slegata dal meraviglioso e da sentimenti di stupore. ANTIMERAVIGLIOSO La mentalità Illuminista è caratterizzata da un’aspra critica nei confronti del sentimento della meraviglia, associato ormai in maniera incontestabile all’ignoranza del volgo, accettabile al massimo in un contesto ludico, in riferimento eventi o spettacoli particolari. La storiografia si è a lungo interrogata sulle motivazioni di questa assoluta decadenza della meraviglia, e tradizionalmente si è trovata una risposta nella ‘nuova scienza’, tutta razionale, che è in grado di spiegare scientificamente gran parte di quegli eventi che suscitavano meraviglia. Recentemente, però, questa tesi è stata messa in dubbio. Le spiegazioni razionali di eventi considerati prodigiosi, infatti, si cominciano ad avere ben prima dell’Ottocento, basti pensare agli studi di Halley sulla cometa che prenderà il suo nome condotti alla fine del Seicento, esempio perfetto di fenomeno prodigioso del quale si scopre la regolarità con strumenti scientifici e razionali. Questo non basta però a far decadere la meraviglia, il che fa credere ad alcuni storici, tra i quali Daston e Park, che le motivazioni di tale trasformazione vadano ricercate in un nuovo modo di concepire la natura, che inizia a diffondersi proprio tra Settecento e Ottocento: la regolarità identificata nel mondo naturale già da Aristotele non è più soltanto un habitus, ma diventa una legalità inviolabile. Non si danno più eventi contronatura né fenomeni prodigiosi, ogni avvenimento ha una causa precisa e viene ricondotto a una legge che, per quanto anomala, è razionale e studiabile. L’invisibile, l’apparentemente imprevedibile, non viene più messo in relazione con l’occulto, il demonico o il divino, ma con la scienza, e diventa un oggetto da studiare, non da ammirare. In questa nuova natura ordinata da leggi inviolabili, Dio diventa sempre più marginale e, ricondotto in maniera sempre più convinta alla dimensione trascendente, le sue azioni dirette nel mondo degli uomini sono ridotte al minimo. Di questa operazione di allontanamento di Dio si trovano delle tracce già in autori precedenti, esemplare è l’opera di Hobbes, che tenta di ridimensionare il più possibile la serie di quegli eventi che sono effettivamente definibili miracoli. In questo nuovo contesto, quindi, la natura, sia che la si concepisca in maniera prettamente meccanicistica o che si faccia riferimento a concezioni più spirituali, ha un proprio codice, comprensibile a livello razionale e autonomo da Dio, che, dopo la Creazione, non interviene più direttamente nel Creato. In questo modo, la scienza inizia gradualmente a farsi laica. Oltre che priva di Dio, la natura degli Illuministi non è più neanche giocosa o fallace: non si danno più giochi o errori di natura, tutto è iscritto nell’ordine razionale della natura, anche ciò che non lo sembra ed era quindi stato considerato mostruoso o prodigioso. Alla base dell’antimeraviglioso illuminista gli storici identificano un’ulteriore motivazione, di matrice stavolta più politica che scientifica: gli Illuministi ritengono che la meraviglia sia facilmente convertibile in paura e che in questa nuova forma sia estremamente facile da strumentalizzare. In mano a persone in posizione di potere, infatti, miracoli e prodigi diventano strumenti manipolatori estremamente potenti e pericolosi, con i quali incrementare il fanatismo religioso e stimolare disordini politici nelle fasce popolari o comunque meno istruite; tesi, questa, ben supportate dalle guerre che hanno destabilizzato l’Europa nei secoli precedenti, costellate da prodigi interpretati in maniera religiosa. La critica razionale propria dell’Illuminismo si configura come l’antidoto a questa strumentalizzazione. Da qui, l’aspra critica della meraviglia popolare, che nei paesi dell’Europa del Sud, in maggioranza cattolica, viene definita superstizione, e in quelli del Nord, protestanti, entusiasmo, sentimento che dovrebbe essere assolutamente estraneo all’intellettuale. Se infatti il popolo tende istintivamente alla credulità, a meno che non gli vengano presentate delle smentite, l’Illuminista è per natura incredulo, a meno che non gli vengano fornite delle prove. In questa concezione, non priva di elitarismo, il popolo quindi, e in particolare le sue componenti più deboli, quindi donne, bambini e in generale persone non istruite, è preda estremamente facile di queste strumentalizzazioni, e vengono dunque scritti una serie di testi di matrice illuminista che non sono altro che lunghe smentite di miracoli contraffatti, dei quali vengono fornite delle spiegazioni scientifiche, con lo scopo di smascherare gli interessi che stanno dietro di essi e demistificare i loro autori. Altro oggetto di profonda critica in questo contesto è l’immaginazione, facoltà che allontana dal reale e avvicina alla superstizione, ponendosi al servizio del gusto per il meraviglioso e della conseguente paura, incrementando quindi la problematica credulità del popolo. Immaginazione e superstizione in alcuni casi vengono addirittura patologizzate e definite malattie popolari. Immaginazione, meraviglioso e devozione religiosa sono i principali obiettivi critici di buona parte dell’Illuminismo, e in questo frangente sono particolarmente importanti le teorie di Paul Henri Thiry ed Étienne de Condillac. Questa nuova sensibilità ha anche un importante risvolto a livello artistico: agli anni dell’Illuminismo si associa una nuova estetica dell’ordine, critica di ogni eccesso e stravaganza fine a sé stessa, che vede il suo culmine nel Neoclassicismo. L’Ottocento, però, non è affatto un secolo privo di contraddizioni: è, da una parte, il secolo dell’Illuminismo, ma dall’altra è anche quello del Romanticismo, che riscopre il senso del meraviglioso, l’interesse per il popolo e le sue superstizioni, valorizza estremamente l’immaginazione… SCIENZIATO Il termine ‘scienziato’ è estremamente recente: inizia ad essere utilizzato verso la fine dell’Ottocento ed entra nel linguaggio comune solo nel Novecento. In precedenza, veniva usato i più generico ‘filosofo naturale’, che si portava dietro però una serie di retaggi aristotelico-scolastici che già da tempo venivano messi in discussione. Anche il termine scienza, già esistente, aveva prima dell’Ottocento un significato piuttosto diverso da quello attribuitogli oggi: era scienza qualsiasi discorso dotato di verità e certezza, definizione nella quale sono compresi diverse discipline speculative, una fra tutte la teologia, oggi considerate molto lontane dal discorso scientifico. Testimonianza dell’ampiezza del campo semantico della scienza è il ‘Discorso Universale in lode delle Scienze’, contenuto ne ‘La Piazza Universale di tutte le Professioni del mondo’, testo pubblicato nel 1585 da Tomaso Garzoni da Bagnacavallo. In questo contesto, ‘scienze’ vengono definite, oltre a tutte le discipline riconducibili alla filosofia naturale universitaria, tutte le arti liberali, una lunga serie di saperi oggi umanistici e anche alcune discipline prettamente pratiche, in seno a quel progetto di rivalutazione delle scienze meccaniche, già avviato a fine Cinquecento, ma comunque estremamente lento. Ciò che è costante e condiviso da tutti questi intellettuali, estremamente diversi tra di loro, è la loro formazione umanistica, considerata un dato imprescindibile per qualsiasi erudito, anche in ambito scientifico, in un contesto nel quale la cesura tra discipline umanistiche e discipline scientifiche non è assolutamente netta né escludente come lo è oggi. Nel corso del Seicento, quando si cerca di svincolare la scienza dal rigore universitario e dal principio di autorità, questa cesura viene intensificandosi: si iniziano a separare quei saperi conclusi e davvero centrati sul principio di autorità, primo fra tutti la teologia, da quei saperi ancora aperti e disponibili all’innovazione, al di là di qualsiasi tradizione , cioè le scienze. Tentando di liberare le scienze dall’autorità scolastico-aristotelica si gettano però le basi per la separazione delle due grandi aree disciplinari di saperi umanistici e scientifici, separazione che sarà però molto lenta e diluita nel tempo: per moltissimo tempo ancora la formazione umanistica sarà ritenuta se non fondamentale almeno preferibile anche per coloro che si dedicano alle scienze. Un’altra grande differenza tra Medioevo ed Età Moderna da una parte e Contemporaneità dall’altra riguarda direttamente la figura dell’erudito in genere: se in precedenza si privilegiava l’ampiezza delle conoscenze di ogni intellettuale, oggi se ne privilegia la specializzazione. In passato l’obiettivo era formare individui con un enorme bagaglio culturale, capace di toccare più ambiti disciplinari possibile, passando dalle scienze, alle discipline umanistiche, alle arti pratiche… senza eccessive cesure, andando a costituire quell’intellettuale a tutto tondo ben simboleggiato da personalità come quella di Leonardo da Vinci. Oggi invece ci si concentra su un singolo ambito, talvolta anche estremamente ristretto, con l’intento di formare specialisti estremamente esperti riguardo al loro ambito, molto più di quanto potessero esserlo gli intellettuali medievali o rinascimentali, ma privi della cultura enciclopedica e varia di questi ultimi. In questo si legge il compimento di quel programma di separazione delle scienze avviato già in Età Moderna, che, estremizzato, tende a parcellizzare, ma anche a rendere più specialistico e approfondito, il sapere. Infine, la scienza moderna è estremamente legata alla dimensione pratica, ben calata nel contesto economicamente capitalista e culturalmente utilitarista nel quale si è sviluppata. Se questo costituisce uno stimolo per tutta quella parte pratica della scienza, che produce concretamente qualcosa di utile, dall’altro lato ostacola in maniera non indifferente tutta la ricerca pura, teoretica, che non sembra avere immediati risvolti pratici, ma senza la quale in realtà anche le discipline pratiche sono estremamente limitate.
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