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Appunti Rinascimento perduto di Storia della stampa e dell'editoria, Appunti di Letteratura

Libro di Gigliola Fragnito che affronta le fasi della censura ecclesiastica dalla nascita della stampa a caratteri mobili fino alla redazione dell'Indice dei libri proibiti

Tipologia: Appunti

2018/2019
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Scarica Appunti Rinascimento perduto di Storia della stampa e dell'editoria e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! RINASCIMENTO PROIBITO Capitolo primo: Origini della censura ecclesiastica Fin dalle origini la chiesa esercitò forme di controllo sull’ortodossia attraverso la condanna di deviazioni dottrinali pronunciata da bolle pontificie e da decreti conciliari. Con la nascita tra Due e Trecento delle università, la vigilanza su docenti e studenti si fece più stretta e le facoltà di teologia si assunsero i compiti di: 1. condannare l’insegnamento di dottrine filosofiche e teologiche eterodosse 2. sorvegliare la produzione delle botteghe di copiatura. Si trattava di un sistema censorio che godeva di larga autonomia e i cui divieti spesso avevano applicazione solo in aree circoscritte. A indurre Roma a centralizzare il controllo sulla produzione intellettuale occorrerà attendere l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg nel 1450; ma questi provvedimenti non furono immediati. Inizialmente l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della stampa era decisamente favorevole e venne a crearsi una tacita alleanza tra il mondo dei tipografi (ragioni commerciali) e quello dei chierici (ragioni pedagogici). L’abbassamento dei costi e l’affermazione del volgare italiano a discapito del latino avevano consentito una più facile istruzione dei fedeli mediante la divulgazione di testi che fin dal Trecento erano stati di largo consumo: volgarizzamenti biblici, rappresentazioni sacre, Bibbie integrali, libri di meditazione e devozione, manuale per la confessione, raccolte di prediche, ecc. Il libro a stampa nasce religioso. Roma percepì i danni che potevano derivare dalla lettura di scritti non sottoposti al vaglio delle autorità ecclesiastiche e iniziò a prendere alcune misure. • 17 novembre 1487: papa Innocenzo VIII affidò la censura preventiva ai vescovi, al vicario penale e al Maestro del Sacro Palazzo, riservando loro il giudizio sull’ortodossia dei testi destinati alla stampa • 21 luglio 1542: venne creata la congregazione romana del Sant’Ufficio, con il compito di coordinare la lotta contro individui sospettati o imputati du adesione alle dottrine ereticali • 12 luglio 1543: l’Inquisizione incaricava propri delegati a Roma di farsi consegnare dai libri gli inventari dei libri in vendita, di vietare a stampatori e tipografi di pubblicare alcunchè senza previa licenza, di farsi sottoporre gli elenchi dei libri giunti alle dogane per poterli ispezionare e farsi consegnare dai detentori i libri eretici, erronei, temerari e sediziosi posseduti, di vietarne l’acquisto, il prestito, la lettura e l’ascolto Per poter eseguire tali ordini era però indispensabile essere a conoscenza di quali fossero i libri proibiti: • Indice Paolino (1558) Paolo IV Carafa affidò la compilazione alla Congregazione del Sant’Ufficio di un indice dei libri proibiti, che lo promulgò il 30 dicembre 1558. Tuttavia, il carattere approssimativo e devastante delle condanne, le resistenze delle autorità civili e delle popolazioni, oltre che la durezza delle sanzioni comminate ai trasgressori (scomunica estesa ai detentori o ai lettori di qualsiasi testo proibito) ne resero impraticabile l’applicazione. • Indice Tridentino (1564) Pio IV decise di incarica i padri riuniti a Trento inizialmente della revisione dell’indice del 1558, successivamente della redazione di un nuovo catalogo. L’indice Tridentino fu promulgato il 24 marzo 1564, caratterizzato da più moderazione del precedente: a) criterio dell’espurgazione: potevano essere recuperati molti testi vietati indispensabili ai professionisti b) limitazione del divieto degli scritti di eretici a quelli che trattavano de fide c) eliminazione della lista degli stampatori la cui intera produzione era stata proscritta d) attenuazione della condanna di tutta l’opera di Erasmo e) abolizione del divieto tassativo delle traduzioni bibliche nelle lingue materne Pio IV formulava una fondamentale distinzione tra lettori di: - opere di autori eretici o sospetti di eresia: incorrevano nella scomunica e controllo di loro sarebbe stati lecito procedere giudizialmente per sospetto di eresia - opere proibite, ma non ereticali: macchiati di reato-peccato mortale e sarebbero stati puniti Episcoporum arbitrio Due delle dieci regole che formavano la cornice normativa dell’Indice tridentino riservavano all’esclusiva vigilanza dei vescovi due importanti settori della produzione editoriale e manoscritta: i libri lascivi e osceni e quelli di magia e astrologia. Il carattere moderato dell’indice conciliare e l’attribuzione ai vescovi di un ruolo preponderante nel controllo delle letture dei fedeli erano però destinati ad alimentare fortissime tensioni ai vertici della Chiesa. Il 5 marzo 1571 Pio V diede formalmente avvio alla revisione del catalogo predisposto al concilio. I membri scelti dal papa erano cardinali da lui creata e tutti appartenenti al clero regolare. Si tratta di una strategia volta a privilegiare una concezione della pastorale che invece di essere imperniata sulle strutture diocesane (come prescritto dal Tridentino), sarebbe stata prevalentemente incentrata sull’attività dei tribunali inquisitoria e degli ordini religiosi. La commissione procedette allo svuotamento della normativa tridentina: le dieci regole vennero smontate e ripristinati i singoli divieto del 1558, fino a giungere il 20 aprile 1572 alla decisione di reinserire nell’indice tutti i libri dell’Indice Romano cassati dall’Indice Tridentino. Nel 1571 papa Pio V dispose la creazione della Congregazione dell’Indice, che aveva il compito di tenere aggiornato l'Indice e reinviarlo periodicamente alle sedi locali dell’Inquisizione. 1 I lavori proseguirono durante il pontificato di Gregorio XIII sotto la direzione di Guglielmo Sirleto, che presiederà la Congregazione fino alla sua morte nel 1585. Sirleto non si discostò dalle scelte intransigenti dei primi membri: a) proibizione delle traduzioni vernacolare della sacra Scrittura e dei libri di controversia tra cattolici e protestanti b) ripristino di tutte le opere e di tutti gli autori condannato nel 1558 non riproposti nel 1564. Solo il 20 aprile 1584 venne data lettura alla congregazione dell’elenco definitivo redatto dal Sirleto. Alla morte di Gregorio XIII l’indice non era tuttavia andato in stampa e papa Sisto V Peretti congelò la congregazione che riprenderà a riunirsi solo l’8 febbraio 1587. Anche se la Congregazione, probabilmente per evitare la sovrapposizione di competenze con l’Inquisizione, non era autorizzata a emanare editti o decreti a stampa per dare vigore alle proprio determinazioni, vi provvedeva attraverso il Maestro del Sacro Palazzo, che di fatto agiva come suo commissario ed esecutore. Infatti, dal 1573 vennero trasmessi alla periferia editti e liste manoscritte sempre più consistenti di libri proibiti o sospesi in attesa di emendazione. Nel 1583 il cardinale Gabriele Paleotti, membro dell’Indice, protestò contro la redazione e diffusione di liste di proibizioni non approvate preventivamente dai cardinali, riuscendo a bloccarle; ma nei dieci anni che avevano preceduto questo intervento, si ebbero significative ricadute sulla cultura della penisola. La svolta rigorista impressa dal Sirleto da un lato incise sicuramente sulla produzione giuridica, filosofica e scientifica, danneggiando professionisti e docenti universitari; dall’altro lato si abbatte su settori di largo consumo dell’editoria, lasciando tracce profonde e durature sulla cultura e sulla religiosità di uomini e donne di ogni ceto sociale, accomunati dall’ignoranza del latino. In conclusione, la foga censoria finì per colpire un patrimonio librario largamente condiviso, investendo soprattutto la letteratura devozione di contenuto biblico e la letteratura di evasione. Un mutamento di rotta si ha con l’ascesa di Sisto V, che nel 1587 rinnovò quasi integralmente la composizione della Congregazione dell’Indice. I nuovi membri, non ritenendo vincolanti e definite né le prescrizioni del Sant’Ufficio successive al 1564, né le scelte dei loro predecessori, le rimisero in discussione. L’insanabile contrasto sulla rielaborazione da parte dei cardinali delle dieci regole tridentine (alle quali il papa apportò pesanti alterazioni volte a inasprire la normativa censoria e a dilatare il concetto di eresia) aprì una nuovi crisi nei rapporti tra Congregazione e pontefice, destinata a risolversi solo con la morte di quest’ultimo il 27 agosto 1590. • Indice Sisto-Clementino o Clementino (1596) Nel 1592 riprese l’elaborazione del catalogo sotto il controllo di Clemente VIII. I cardinali membri della Congregazione apportarono alle precedenti stesure sostanziali modifiche in senso moderato e ripristinando l’impianto dell’Indice Tridentino con le sue dieci regole immodificate. Nel febbraio 1593, terminata la stampa dell’elenco dei libri proibiti e sospesi, venne affrontato il problema degli indici “nazionali”: opere nelle lingue vernacoli che avrebbero dovuto figurare in appendice al catalogo universale redatto in latino. Il testo definitivo venne presentato l’8 luglio 1593 in una riunione dell’Inquisizione, ma l’indomani Clemente VIII ingiunse alla Congregazione di non divulgarlo. Le ragioni erano molteplici: a) perplessità dovute al catalogo dei libri volgare italiani b) pressioni dell’oratore veneziano a Roma Paolo Paruta perché venisse eliminato il catalogo dei libri proibiti italiani, per i danni gravissimi che la condanna di un numero spropositato di opere letterarie avrebbe arrecato all’editoria veneziana → accordo del 1594 sull’eliminazione dell’appendice con gli indici nazionali c) radicata avversione del papa nei confronti dell’indice inquisitoriale del 1558 → critica nei confronti della Congregazione di averne riproposto la severità, invece di attenersi all’indice conciliare d) elaborazione della normativa premessa all’indice che, se da un lato, per facilitarne l’accettazione da parte delle autorità civili, assottigliava l’elenco delle opere esplicitamente sospese, dall’altro però sollevava problemi di competenza diocesani e inquisitori. Dopo averlo sottoposto a ripetuti esami, il 27 marzo 1596 Clemente VIII promulgò l’Indice Clementino. Tuttavia, il Sant’Ufficio ne chiese la sospensione per poter ripristinare i divieti da esso emanati non recepiti nell’ultima stesura. Seguì allora una lunga e tesa trattativa tra Clemente VIII e il cardinale Giulio Antonio Santori, il cui intento era di imporre tutte le proibizioni l’indice del 1558. Il pontefice si arrese su alcune (divieto assoluto delle traduzioni bibliche e dei libri di contenuto biblico nelle lingue materne, non cedette al ripristino integrale dell’indice del 1558. Infatti, usando il pretesto del ripristino dei propri divieti, il Sant’Ufficio intendeva riaffermare il proprio potere autonomo rispetto a quello del pontefice. Capitolo secondo: Liste semiufficiali e regole È in realtà esiguo il numero di testi e di autori esplicitamente condannati o sospesi in attesa di emendazione: • Indice Paolino: alcuni autori vi figurano perché ritenuti eretici o sospetti di eresia, altri per le loro opere giudicate irriverenti nei confronti delle istituzioni della Chiesa, o perché giudicate moralmente scabrose, oscene o sconvenienti • Indice Tridentino: attenua il rigore dell’indice inquisitoriale • Indice Clementino: riproduce integralmente le sospensioni e i divieti tridentini, con l’aggiunta di titoli e autori apparsi dopo il 1564 o precedentemente Le Regole vennero introdotte dall’indice tridentino e aprirono un varco anche ai testi letterari; costituivano la cornice della lista degli autori: 2 competenze a trasgressioni tradizionalmente affidati ai confessori. Tant’è che Paolo IV nel 1557 affidò al Sant’Ufficio la giurisdizione sui crimini di omosessualità e sui rapporto sodomitici tra uomo e donna. Assume allora un carattere più aggressivo l’assalto alle opere letterarie percepite sempre più come una delle principali cause della licenza dei fedeli e come veicolo di perversione morale soprattutto tra donne e giovani. Si fece quindi più stretto il nesso tra licenziosità ed eresia, in conseguenza dello slittamento della sfera sessuale in quella dei reti di fede e adottano misure drastiche nei confronti dei trasgressori. Con la dilatazione della categoria di eresia la caccia a posizioni non conformi all’ortodossia o presunte tali presenti nelle opere letterarie si fece inevitabilmente più assillante. Parole come destino, fato, fortuna, precedentemente rifiutate per il loro sapore pagano, ora venivano interpreta come riferimenti alle dottrine protestanti. Si delineava un progetto di formazione dei giovani, intimamente legato al sistema di vigilanza sulla stampa elaborato dalla Chiesa. Ciò comportava che stampa ed espurgazione fossero due momento fondamentali di un medesimo processo, mediante il quale non solo un’infinità di testi scomparve dal mercato, ma quelli che sopravvissero circolarono manipolati, amputati, riscritti, stravolti nel loro significato. In sostanza, c’era una ferrea volontà degli organi censori di affermare il loro potere governando le menti e le coscienze attraverso il controllo di una produzione editoriale dal vasto consumo da parte di tutti i ceti sociali, i libri per tutti. Capitolo quarto: Sequestri e roghi Le evidenti incongruenze presenti nelle liste diramate da Roma a partire dal 1574 e l’assenza di espliciti riferimenti alle opere ivi vietate o sospese nella versione definitiva del cementino, misero a dura prova non solo gli esecutori più coscienziosi ma anche la stessa Congregazione dell’Indice, cui Clemente VIII aveva affidato la responsabilità di sciogliere i dubbi che fossero sorti al momento della sua applicazione e di dirimere le eventuali controversie. Un primo intervento chiarificatore venne il 15 novembre 1596, quando venne decretato che fossero osservate le liste inoltrate in periferia dal 1574, e si sottolineò l’importanza delle regole nell’individuazione delle opere passibili di correzione. Nella pratica però le regole venivano spesso alterate, ma con la dichiarata volontà che le modifiche apportate non venissero rese pubbliche. In questo contesto era inevitabile che la genericità delle regole, le contraddizioni presenti nelle liste, l’inadeguatezza della comunicazione tra gli uffici romani e le autorità ecclesiastiche locali avessero gravi ripercussioni sull’opera di rastrellamento dei libri effettuata all’indomani della promulgazione del terzo catalogo. Per capire la sorte riservata alle opere letterarie sia negli indici “ufficiali” e nelle liste, sia al momento dell’esecuzione del clementino, ci si può concentrare su un singolo letterario, Anton Francesco Doni: figura dedicata all’attività editoriale e alla collaborazione con stampatori di varie città, fu anche scrittore prolifico e nelle sue opere si intrecciano simpatia riformate e interessi per le scienze occulte e la cabala, che non potevano non destare i sospetti della censura. Se negli indici del 1558 e del 1564 venivano proibite solo le Lettere, nelle liste inviate da Roma a partire dal 1574 l’elenco andò allungandosi; nell’Indice di Parma del 1580 tutte le sue opere venivano condannate in blocco, mentre tre anni dopo figuravano tra quelle espurgabili. È quindi in una situazione caotica che si procedette all’esecuzione dell’indice clementino. Alla richiesta della Congregazione dell’indice dell’8 marzo 1597 di inoltrare a Roma le liste dei libri vietati e sospesi depositati negli archivi vescovili o inquisitoria e di quelli andati al rogo, la replica quasi unanime fu che erano stati già bruciati, senza alcuni rispetto della normativa che prevedeva la registrazione da parte di un notaio dei titoli dei libri dati alle fiamme e del numero di esemplari. Pur con questi limite, le liste consentono di illustrare comportamenti inevitabilmente incoerenti degli esecutori nei confronti delle opere del Doni. Alcuni elenchi pervenutici cumulano senza specificazione libri proibiti e libri sospesi, considerano probabilmente i sospesi come proibiti fin quando non fossero stati corretti; altri, pur senza operare distinzioni, precisando che i libri elencati appartengono alle due categorie, quella dei libri proibiti e quella dei libri sospesi; altri ancora indicano quali sono le opere sospese e quali le proibite. Ma l’incertezza su come inventariarli era grande. Le opere del doni figurano prevalentemente nelle due prime tipologie di elenchi (che non danno distinzione tra libri proibiti e libri sospesi). Ci sono grandi difficoltà nel cercare di individuare i criteri che presiedettero a sequestri e roghi di libri che non firmavano nell’indice del 1596, né come proibiti né come sospesi donec corrigantur. Ad aggravare la sorte delle opere letterarie contribuivano editti di pubblicazione dell’indice clementino che equiparavano testi dottrinalmente ereticali a testi licenziosi. Gli esecutori trovano un sicuro argomento e incentivo per scatenarsi contro le opere letterarie (la cui presenza nelle liste inviate a Roma è massiccia) e per non risparmiare alcun genere letterarie, sottraendo ai proprietari opere che godevano di grande popolarità presso tutte le fasce della società. Insieme ai volgarizzamenti biblici, le opere letterarie costituiscono la categoria contro la quali i censori si accanirono di più. C’era infatti un’ossessione riservata alle opere che trattavano specificamente materie amorose e un tentativo di farle rientrare nella tipologia dei libri licenziosi. Bastava infatti la presenza nei titoli di vocaboli come “amore”, “innamoramento”, “innamorato” ecc. per far scattare l’intervento dei censori. 5 È opportuno rilevare l’approssimazione e la sommarietà con cui si procedette alla disinfestazione di biblioteche pubbliche e private e di botteghe di librai. A motivare interventi così drastici concorrevano vari fattori: la profonda avversione dei proprietari dei libri nei confronti degli esecutori e la diffidenza verso la sorte riservata ai loro libri. Le liste venivano per giunta compilate con criteri diversi: alcuni esecutori chiedevano a chi sapeva scrivere di elencare tutti i libri in suo possesso e a chi non sapeva scrivere di affidarne la compilazione a chi era in grado di farlo. Altri invitavano chi disponeva dell’indice a registrare solo i libri che risultavano proibiti o sospesi in suo possesso. Capitolo quinto: L’espurgazione dei libri sospesi Le liste dei libri sequestrati tra fine Cinquecento e inizio Seicento, pur con contraddittorio discrimine tra opere completamente proibite e opere sospese o da correggere, lasciavano intravedere pile di testi affastellati nei depositi inquisitoriali e vescovili in attesa dell’azione purificatrice di qualche censore che potesse rimetterli in circolazione con brani inchiostrati, pagine tagliate o incollate, o grazie a indici espurgatori o a nuove edizioni corrette, con manipolazioni e amputazioni spesso non dichiarate. A mettere in moto formalmente la pratica espuragtoria era stato l’indice tridentino con lo scopo di recuperare per il cultori delle belle arti liberali opere di eretici che non trattassero di religione e di restituire al comune lettore qui pochi scritti letterari espressamente segnalati. La smania di disinfestare i testi letterarie rientrava però in una temperie che aveva indotto alcuni letterati, indipendentemente da direttive romane, a riscrivere o a censurare opere di grande successo (es. il Canzoniere di Petrarca, riscritto in chiave spiritual, e l’Orlando Innamorato del Boiardo, moralizzato). Di fronte al moltiplicarsi di liste di libri proibiti e sospesi inviate da Roma, gli stampatori incaricarono correttori più o meno improvvisati di rivedere i testi sospesi. Il problema dell’espurgazione dei testi si era posto sin dalla creazione della Congregazione dell’Indice, istituita con il duplice scopo di aggiornare e rivedere il catalogo del 1564 e di predisporre l’indice espiratorio, annunciato dal Concilio di Trento. Di conseguenza, già durante la prefettura Zirlato, vennero ad accatastarsi negli uffici romani pareri e memoriali relativi a scritti di cui si discuteva se inserirli tra i vietati o tra i sospesi nell’indice di preparazione. Si creò così un ingorgo, cui si sommarono le sovrapposizioni di competenze tra Indice, Inquisizione e Maestro del Sacro Palazzo, che finirono col causare l’affossamento dell’indice espiratorio romano e col proiettare all’esterno un’immagine di totale inefficienza degli organi censori curiali. A pagare lo scotto fu la letteratura italiana. Tuttavia, nel corso della revisione delle regole tridentine, il problema della moralità si affacciò più volte. Vi fu infatti un dibattito che metteva in discussione l’estensione della categoria di eresia anche ai libri lascivi e osceni. Vi fu chi giudicò che si dovesse operare una distinzione tra: • libri proibiti, in quanto contrari alla dottrina cattolica • libri con oscenità o sprezzanti nei confronti dei sovrani Di fatto la tutela della moralità venne affidata ai trattati di teologia morale, ai manuali per confessori, alle istruzioni per la donna cristiana, all’azione pastorale di vescovi, parroci e predicatori. Tuttavia, negli anni del Sirleto, nonostante questi accessi dibattiti, non sembra esservi stato alcun diretto impegno per il recupero delle opere letterarie da parte della Congregazione, interessata piuttosto alla correzione di opere filosofiche, mediche, giuridiche, teologiche, ecc. Ne derivò un’anarchica proliferazione di revisori dilettanti che indussi i cardinali dell’Indice a porsi il duplice problema del controllo degli organi centrali sull’attività espiratoria e della formulazione di regole specifiche. Ciò avvenne però solo nel 1587 dopo il rinnovamento della Congregazione da parte di Sisto V. Più inclini a condannare che a recuperare testi sospesi, i nuovi membri decisero che tutte le opere espurgate, prima di poter circolare, avrebbero dovuto essere sottopose alla loro approvazione; inoltre si impegnarono alla compilazione di norme espiratorie da inserire nell’indice in preparazione. La decisione del 25 giugno 1587 affidava ai consultori della Congregazione, ai procuratori degli ordini religiosi e a uomini dotti e pii dei loro conventi, sudditi in classi, la revisione di una serie di opere. Questa accelerazione dei lavori permise di programmare in maniera più concreta la pubblicazione dell’indice espurgatorio. Furono in vari a ritenere che le opere oscene ex professo dovessero essere esplicitamente elencate affinché non ci si potesse giustificare accampando l’ignoranza di quali esse fossero oscene. Tuttavia sotto Sisto V l’indice non vide la luce e fu solo con Clemente VIII che venne dato nuovo impulso alla sua stesura. Il ricorso all’ampia connessione di licenze di lettura dei libri emendabili era il risultato inevitabile dei ripetuti inceppamenti di ingranaggi censori che giravano a vuoto. A denunciare questa situazione di stallo furono in molti, tra cui Girolamo Giovannini di Capugnano, che si rivolse al segretario della Congregazione Paolo Pico e gli chiese di poter far esaminare e approvare a Venezia dall'inquisitore e da alcuni gesuiti i suoi interventi censori. … Non è un caso che in questa situazione caotica i cardinali ottennero dal papa la facoltà di dirimere le controversie e sciogliere i dubbi che fossero sorti nel corso dell’applicazione. La Congregazione cercò di cogliere quell’occasione unica per insediarsi nel territorio alla pari del Sant’Ufficio e per sostituirsi ad esso nella vigilanza sulla produzione e circolazione dei libri. A tal fine progettò una riorganizzazione del sistema di controllo per definire e distinguere chiaramente la sfera di azione dei due dicasteri. Il nuovo sistema faceva perno essenzialmente sui vescovi, invitati a istituire nelle loro diocesi propaggini del dicastero romano: queste congregazioni dell’Indice locali, cui avrebbero partecipato consultori laici ed 6 ecclesiastici dalle varie competenze disciplinari, avrebbero dovuto riunirsi con regolarità nel palazzo vescovile per attendere all’esecuzione dell’indice. Nel complesso, grazie all’assiduità e all’accuratezza con la quale i cardinali controllarono l’operato delle sedi locali e grazie ai frequenti interventi del Sant’Ufficio sui propri funzionari periferici, la prima fase dell’esecuzione fu sistematica e capillare e sequestri e roghi causarono danni difficilmente calcolabili. Questi tuttavia non furono gli unici: durante la seconda fase, che prevedeva l’espurgazione delle opere sospese, emerse in maniera evidente l’inadeguatezza della Congregazione dell’Indice ad assolvere l’ambizioso compito che si era prefissa. Infatti, non si trattava di correggere solo i libri espressamente sospesi nell’indice donec corrigantur, bensì una moltitudine di testi che ricadevano sia sotto le regole tridentine, sia sotto quelle clemente e sia sotto condanne generali dell’Indice stesso. Tutto ciò comporto un impegno che la “congregazione locali” non furono in grado di sostenere. Tra le maggiori difficoltà, quella più frequentemente denunciata fu la carenza di persone capaci di farsi carico dell'espurgazione di opere di varie discipline e l’impossibilità stessa di istituire le “congregazioni”. Al di là degli ostacoli organizzativi, fortissimo era lo scetticismo nei confronti delle modalità adottate dalla Congregazione e incomprensibile ai più la scelta di fare espurgare la medesima opera in più sedi. A ciò si aggiungeva l’inosservanza da parte di Roma della normativa, che prevedeva che le opere sospese fossero conservate localmente da più revisori e che le emendazioni, sottoscritte da almeno tre di loro e approvate dall’ordinari e dall’inquisitore, fossero riunite in un “indice espurgatorio” a stampa a uso locale. Tuttavia, diffidente verso i responsabili periferici della censura, la congregazione volle esaminare le espurgazioni e autorizzarne l’uso nella sede di provenienza solo dopo la propria informale approvazione. La richiesta di raccogliere a Roma le censure locali aveva però anche lo scopo di uniformarle in vista della pubblicazione dell’indice espiratorio romano che avrebbe avuto vigore universale. Tale atteggiamento contribuì ad alimentare la convinzione che dedicarsi alla correzione dei testi fosse tempo perduto. Sicuramente, nella mente dei cardinali, il sistema avrebbe dovuto garantire innanzitutto che le opere più richieste venissero effettivamente emendate. Ma essi volevano anche assicurarsi che la correzione dei libri fosse fatta con quella perizia e ponderatezza che facevano spesso difetto a revisori dilettanti. Dopo un’iniziale e non disinteressata adesione all’invito che li autorizzava a tenere o a procurarsi opere altrimenti vietate, universitarie e accademici addussero ogni sorta di impedimenti professionali e familiari, paralizzando i lavori delle congregazione quasi ovunque e costringendo vescovi e inquisitori a gettare la spugna. Capitolo sesto: Il poema epico. La Gerusalemme liberata e L’orlando furioso di fronte ai censori Dalla metà del Cinquecento oltre a singoli casi di autori e opere, intere categorie di scritti vennero a trovarsi nel mirino dei censori. • La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso Al momento della stesura dell’opera, Torquato Tasso si era rivolto ad amici letterati residenti a Roma perché rivedessero di volta in volta i canti che andava scrivendo. Il problema fondamentale riguardava l’adeguamento della creatività artistica alla normalizzazione classicistica. La prima manifestazione di timori legati alla censura ecclesiastica di Tasso risale alla primavera del 1575, quando da Roma vennero diramate liste che registravano un numero sempre più consistente di opere letterarie; da quel momento Tasso sente una crescente ansia per le sorti della Gerusalemme. Tasso si vide allora rassegnato a rivedere il poema alla luce dei giudizi romani, che toccavano la materia amorosa, i rapporti tra vero verosimile e meraviglioso, tra verità storica e finzione poetica; Tanto che nel 1576 lascia la Gerusalemme liberata incompiuta. Ciò è il riflesso di un mutato clima culturale e di una sempre più pervasiva vagliata sulla produzione editoriale. I pareri e le censure prodotti in quegli anni colpivano gran parte della letteratura italiana, operando una “disinfestazione” delle opere letterarie. Le critiche dei revisori amici di Tasso erano pesanti: dalla sensualità e lascivia delle manifestazioni dell’amore, alle sfrenate passioni viste come minaccia all’esercizio del libero arbitrio, all’attribuzione al fato e alla fortuna di un ruolo preminente nelle vicende umane. Queste critiche rispecchiavano quel progressivo slittamento del reato di eresia dalla fede alla morale cattolica. Di qui l’ansia del Tasso per una revisione preventiva del poema anche sotto il profilo “religioso”; accettò il suggerimento di mutare alcune parole o versi che potevano essere mal interpretati, e di eliminare le parti giudicate lascive o che riguardavano incanti e meraviglie. Tasso finì con convincersi dell’ineluttabilità della censura e della necessità di procedere all’elaborazione di scudi, dispositivi tattici di elusione o di evasione per neutralizzare i censori in agguato. • L’Orlando furioso di Ludovico Ariosto Anche se da decenni in molti si scagliavano contro la letteratura cavalleresca, fu solo con l’irrigidimento nei confronti delle opere d'evasione verificatosi con Paolo Costabili negli anni Settanta del Cinquecento che i censori cominciarono a interessarsi al Furioso e a prodigarsi in una intensa attività espurgatoria che li occupò fino a Seicento inoltrato. Tuttavia l’opera non è registrata in nessun indice, né nelle liste semiufficiali né negli indici nazionali. Il motivo di questo era che si trattava di un’opera che aveva raggiunto il rango di classico e che aveva goduto a continuava a godere di una straordinaria popolarità; insomma, era un best seller. Tuttavia, il percorso del poema negli uffici delle Congregazioni romane e delle sedi vescovili e inquisitoriali non fu pacifico. Indubbiamente pesò sulla sua sorte il passaggio dalle forme di intrattenimento dei cantastorie legate all’oralità a una narrativa fissata in testi a stampa, legata ai modelli della lettura che, trasformando i romanzi di cavalleria in un prodotto editoriale assai più accessibile, e quindi temibile, aveva accentuato la diffidenza del clero. Il Furioso non appare nelle liste inviate da Roma, ma vi erano comunque mezzi più sottili per impedirne la circolazione e il Costabili seppe 7
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