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appunti seminario diritto internazionale terzo parziale, Appunti di Diritto Internazionale

appunti sul seminario sull'uso della forza integrato di tutte le letture necessarie per la terza prova parziale

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 25/10/2023

francifranci-788
francifranci-788 🇮🇹

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Scarica appunti seminario diritto internazionale terzo parziale e più Appunti in PDF di Diritto Internazionale solo su Docsity! 1 1° incontro: Diritto Internazionale 3° PARZIALE IL DIVIETO DELL’USO DELLA FORZA Esiste una norma generale che vieta l’uso della forza. Dobbiamo ricostruire la portata della norma, poi dobbiamo identificare le eccezioni che il diritto internazionale consente per le ipotesi legittime dell’uso della forza. La norma sul divieto della forza è sancita dall’art. 2.4 della Carta Nazioni Unite (1945): L'Organizzazione e i suoi membri, nel perseguire gli scopi enunciati all'articolo 1 (Purposes of the UN), agiscono conformemente ai seguenti principi. 4. Tutti i membri devono astenersi, nelle loro relazioni internazionali, dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, o in qualsiasi altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite. Tuttavia, questa norma sul divieto della forza ha dei problemi di interpretazione. Innanzitutto, bisogna identificare quali sono le eccezioni per l’uso legittimo della forza. A ciascuna di queste eccezioni (5) dedicheremo una lezione. Le eccezioni sono 5 in totale: - 2 sono delle eccezioni sicure (non controverse). Possono esserci dei problemi interpretativi relativamente a queste due eccezioni, ma l’ipotesi in sé non è oggetto di dibattito nella comunità internazionale 1. la prima è la legittima difesa, ad attacco armato già sferrato 2. la seconda è la possibilità dell’uso della forza da parte del consiglio di sicurezza. (Capitolo VII della Carta UN) - 3 sono soggetto di discussione, dove parti della comunità internazionale che ne richiedono la legittimità e altre parti che le contrastano oppure sono meno convinte al riguardo. Sono ipotesi che sono sul tavolo, talvolta discusse e invocate nella pratica, ma non possono dirsi oggi ammesse con sicurezza. Non è ancora chiaro l’assetto che la comunità internazionale prende intorno ad esse. Le ipotesi controverse sono: a. la possibilità di fare uso della forza per fini umanitari (finalità giustificata da esigenze umanitarie). Esempio: Abbiamo un paese con una grave emergenza umanitaria sotto vari aspetti, molto spesso questa è creata dallo stesso paese o dal governo sul cui territorio questa situazione si verifica. Il problema degli stati terzi è capire se si può usare la forza per alleviare questa situazione di emergenza umanitaria. Questo accade quando si verificano 2 situazioni particolari:  la prima è nel caso lo Stato non dà il consenso per l’uso della forza,  la seconda è che il consiglio di sicurezza non riesce a deliberare, come nel caso di veto da parte delle grandi potenze. Perché se ci riuscisse, rientreremmo nella seconda ipotesi condivisa (uso della forza deliberata dal CDS). Ma può avvenire che per il veto di grandi potenze il CDS non riesca ad attivarsi. Il problema riguarda se stati terzi unilateralmente possano usare la forza per ragioni umanitarie. L’ipotesi problematica c’è ma c’è soltanto quando si prestano queste due condizioni. b. L’altra ipotesi controversa è la possibilità di uso della forza per reagire ad attacchi terroristici. Può darsi che il territorio di un paese sia colpito da un gruppo di terroristi privati (gruppi terroristici), allora in questo caso bisogna domandarsi se si può usare la forza per reagire contro questi attacchi provenienti da gruppi terroristici. Entriamo in un’ipotesi controversa solo se l’attività del gruppo terroristica non è afferibile ad uno 2 stato, mentre se fosse collegata ad uno stato (nesso) noi non siamo più in presenza di un attacco che proviene da un privato, ma di un attacco statale, perché esiste uno degli elementi soggettivi dell’illecito; quindi, rientriamo nella prima ipotesi dell’uso della forza, cioè una legittima difesa nei confronti di un attore statale.  Il problema è che se un attacco non è afferibile ad uno stato, tu andando a reagire andrai a colpire il territorio di uno stato (perché magari questi privati stazionano sul territorio di Stati terzi), la cui quella colpa non sarebbe imputabile perché manca l’elemento soggettivo. . c. L’ultima tematica è la legittima difesa preventiva o anticipata per difendersi non da un attacco già sferrato, ma quando si voglia difendersi da una minaccia futura di attacco armato. Dobbiamo capire se di fronte a questo pericolo ci sia la possibilità di usare la forza per prevenire all’attacco in via preventiva. Alcuni (molti), a certe condizioni, la ammettono; altri, secondo un’impostazione più rigida e tradizionale, tendono a non accettare questa ipotesi, secondo un’interpretazione più restrittiva. RICOSTRUZIONE DELLA NORMA CHE VIETA L’USO DELLA FORZA Prima della Prima Guerra Mondiale, e in particolare antecedentemente al Patto della Società delle Nazioni, definito anche Covenant (1919), il diritto internazionale considerava lecito l’uso della forza nei rapporti internazionali dalla dottrina giuridica (che la riteneva una potenzialità positiva per lo sviluppo delle relazioni internazionali perché veniva ricondotto all’uso della forza l’effetto di favorire l’evoluzione del diritto internazionale, che può evolvere pacificamente se tutti ci mettiamo d’accordo perché evolva, attraverso il cambiamento della consuetudine, oppure la formazione dei trattati), ma anche può evolvere più velocemente se viene provocata da un’evoluzione traumatica dell’uso della forza nell’ambito della comunità internazionale) e dai membri del diritto internazionale. Infatti, gli Stati godevano di un illimitato ius ad bellum, cioè di un illimitato diritto di ricorrere alla guerra. La guerra era un mezzo ammesso dall’ordinamento internazionale, che ne disciplinava le modalità di esecuzione con le regole del c.d. diritto bellico (ius in bello).  Pertanto, non era necessario dimostrare l’esistenza di un titolo giuridico per ricorrere alla guerra. Essa poteva venire dichiarata a tutela di semplici interessi ed era considerata un mezzo per la soluzione delle controversie internazionali, in particolare di quelle politiche e dunque veniva ricondotto alla capacità di promuovere lo stesso diritto internazionale in modo più “veloce” e positivo rispetto all’uso pacifico. L’uso della forza produce come effetti:  un cambiamento nella composizione dei membri della comunità internazionale  questo cambiamento della base sociale può determinare la necessità di adeguare la comunità ad un nuovo assetto della comunità = effetto modificativo e lo adegua a nuovi rapporti di forza.  La guerra ha l‘effetto di sanzionare nuovi rapporti di forza che si vengono a creare nell’ambito della comunità internazionale  questo mutamento può avere l’effetto positivo di modificare ed evolvere il diritto internazionale rispetto alla posizione presa da parte della comunità internazionale. In seguito alla fine della guerra tra Russia e Ucraina cambieranno i rapporti giuridici, ma anche il diritto consuetudinario verrà modificato (il diritto bellico): per questo ha un effetto innovativo. La dottrina dell’epoca, con approccio positivista si preoccupava di studiare il diritto come un fenomeno giuridico, privo di considerazioni valoriali: considerava la guerra positiva perché mutava velocemente il diritto internazionale e lo adeguava ai nuovi assetti della comunità internazionale. Anteriormente al Covenant c’erano diverse tipologie di uso della forza:  La guerra come specifico uso della forza: considerata sempre lecita per questo effetto positivo, perché adeguava la comunità internazionale a nuovi assetti. 5 a. il primo è per cosa si intende con il termine di forza. Ci sono due problemi interpretativi: 1) al fine di determinare se l’oggetto della proibizione sia soltanto la minaccia e l’uso della forza armata o, al contrario, anche la coercizione economica (quindi se con forza si intende solo l’uso della forza bellica o l’uso della forza di carattere economico che può avere le stesse finalità dell’uso ella forza bellica, ovvero far rispettare un determinato trattato, cambiare regime…).  Ci sono stati che possono esercitare pressioni di carattere economico che hanno la stessa finalità della forza bellica. Ad esempio: provocare cambi di regimi percepiti come ostili. o Caso della Cecoslovacchia per la cessione dei Sudeti. o Ma anche le misure economiche che gli USA hanno preso nei confronti di CUBA avevano l’intenzione dichiarata di provocare un cambiamento di regime e ottenere una finalità equivalente a quella che si può ottenere con mezzi militari.  Durante la Conferenza di San Francisco, che portò all’adozione della Carta, c’erano paesi che erano favorevoli a questa estensione: in particolare i paesi in via di sviluppo e il Brasile, che chiedeva di includere anche la forza di tipo economico. Ma l’emendamento brasiliano fu respinto. Né maggiore successo hanno avuto i tentativi posteriori effettuati in sede di elaborazione di talune importanti Dichiarazioni di principi da parte dell’Assemblea Generale. Quindi l’ambiguità si è risolta usando il criterio interpretativo: si è risolta in senso restrittivo. o Pertanto, ad oggi per il diritto internazionale la forza ha un significato esclusivamente bellico. Questo non significa che le pressioni economiche siano lecite: non sono vietate da questo articolo, ma lo sono da altre norme consuetudinarie. Il senso di dire che esiste un divieto ma stabilito da una norma diversa è quello di incidere sulle possibili conseguenze: un conto sono le conseguenze che sono possibili se viene violato l’art. 2.4; un altro conto è violare un’altra norma, percepita come meno importante. 2) Sapere se viene in rilievo solo la forza nei rapporti internazionali (forza che passa i confini di uno Stato) o la forza che avviene in ambito interno. Può integrare l’aggressione anche l’ipotesi di uso della forza interna, particolarmente qualificata da parte di uno Stato (anche se non vengono valicati confini, vengono colpiti obiettivi così importanti da integrare concetto di aggressione). Nello specifico:  L’uso della forza fatto in violazione del principio di autodeterminazione dei popoli: l’uso della forza per costringere un popolo ad essere sottoposto ad un dominio di tipo coloniale o straniero come quello che si sta facendo nel Sahara occidentale da parte del Marocco. Questo uso della forza è internazionale o interno? Tecnicamente è interno, poiché viene fatta dal Marocco all’interno di un territorio occupato. Infatti, la parte prevalente della dottrina la vede come un uso della forza interno (per cui non vietato dall’art. 2, ma da un’altra norma, che vieta il mancato rispetto del principio di autodeterminazione dei popoli). Tuttavia, ci sono molti movimenti che lo considerano come un uso della forza internazionale (perché collide con il principio di autodeterminazione dei popoli), la stessa CIG l’ha previsto in diversi casi. Idem il diritto dei conflitti armati.  L’uso della forza che colpisce le ambasciate: il punto è che le sedi delle ambasciate non sono territorio dello stato dell’ambasciata, ma territorio dello stato ospite da un punto di vista giuridico. Quando viene colpita con uso della forza la sede diplomatica non viene colpito un territorio di un altro stato, ma il proprio territorio. Dunque si assiste ad un uso della forza intern e quindi non vietata dalla norma 2, par.4; tuttavia, questo tipo di uso della forza viene vietata da una norma che vieta di violare la protezione dovuta alla sede diplomatica e consolare. 6 b. Il secondo è per cosa si intende con il termine minaccia. Un caso eclatante è quello di un ultimatum (minaccia esplicita), vietato quindi da questo art.2, par.4. Questo metodo è caduto molto in disuso nella prassi internazionale, mentre durante la Prima guerra mondiale venne molto usato: avveniva perché la forza era ammessa, ma anzi l’ultimatum era richiesto come condizione preliminare prima di agire con la forza. Il disuso è dovuto dal fatto che l’uso della forza non è più possibile, per cui gli stati si sono astenuti dal fare ultimatum. Solo nei casi in cui l’uso della forza era legittimo, ancorché problematica come ipotesi, c’è stata una forma di ultimatum  Casi in cui Stati rivendicano come lecito uso della forza dal loro punto di vista: USA VS IRAQ. Usa lanciò un ultimatum a Saddam Hussein, perché gli USA rivendicavano la leicità del loro uso della forza per vari titoli. Al di fuori di questi casi, l’ultimatum non è stato più fatto per sottrarsi a una palese violazione di questo tipo.  Ipotesi problematiche circa l’uso della forza:  se un paese procede al riarmo convenzionale, noi siamo in presenza di una minaccia? Nel Caso NICARAGUA CONTRO USA, gli USA si giustificarono dicendo che i primi procedettero ad un riarmo e quindi reagirono in merito a questa minaccia. La CIG disse che il possesso di armi convenzionali è lecito e non limita la quantità. Dunque, il riarmo, che sia fatto in termini rapidi o meno, è lecito e non può costituire una minaccia vietata ai sensi dell’art. 2.4. appunto perché non è ricostruibile un’opinio che vada a limitare la quantità di armi convenzionali. Un Paese può possedere tutte le armi che vuole. Se dovessimo riarmarci frettolosamente, non faremmo infrazione dell’art. 2.4 (se si parla di armi convenzionali). Armi non convenzionali, in primis nucleari.  Le armi nucleari, ancorché siano tradizionalmente viste come non convenzionali, però non sono armi di distruzione di massa, perché quest’ultime sono le armi che se usate non sono in grado di discriminare e distinguere tra obbiettivi militari leciti e civili illeciti. E i tipici casi sono le armi chimiche e batteriologiche. o Le armi nucleari, secondo l’opinione prevalente, sono in grado di distinguere obbiettivi militari e civili. Se vengono impiegate in modo preciso e oculato vengono colpiti solo obbiettivi militari e non civili. Opinione molto controversa perché la vastità della azioni è ampia e le radiazioni possono essere trasportate dall’aria. o Comunque, per queste armi di distruzione di massa c’è un opinio diversa che si è sentita quando la CIG è stata chiamata per esprimersi su una questione: la Francia aveva proceduto ad esperimenti nucleari nel Pacifico e l’Assemblea Generale delle NU ha chiesto un parere circa la leicità della armi nucleari. La CIG, di fronte ad un’opinio frammentata, ha distinto tra uso e possesso dell’arma nucleare. i. POSSESSO: non ci sono violazioni perché non vengono violate delle norme che vietano anche il possesso. j. USO: Diverso è il l’uso delle armi in deterrenza: mettere le armi in assetto puntate contro un altro paese è una minaccia nucleare. La CIG disse che la deterrenza nucleare è una minaccia e quindi è vietata dall’articolo 2, par.4, a meno che non sia giustificata dal fatto di reagire da una minaccia nucleare altrui (legittima a titolo di contromisura). Ma di per sé la minaccia nucleare unilaterale sarebbe una minaccia, pertanto vietata dall’art. 2.4.  Le armi chimiche e batteriologiche sono, per loro natura, avvertite come una minaccia vietata, ai sensi dell’art. 2.4. Il Paese che se ne dotasse, anche solo al livello di uso, sarebbe un Paese che commette e viola questa norma. 7 2 incontro LA LEGITTIMA DIFESA L’articolo 51 prevede la legittima difesa di fronte ad un attacco armato già sferrato, anche previsto dal diritto consuetudinario.  Questo articolo si trova nel capitolo VII che tratta del sistema collettivo che attribuisce il monopolio dell’uso della forza al Consiglio di sicurezza, con questa eccezione che consacra il diritto alla legittima difesa, prevedendo la possibilità di usare la forza reagendo in modalità unilaterale anche senza l’autorizzazione del Cds, nel caso in cui il sistema collettivo non riesca a funzionare rispetto a una situazione di aggressione, poiché è un diritto inalienabile. Questo articolo è composto di due parti: 1. Una prima parte che proclama il diritto alla legittima difesa individuale e collettiva, qualificandolo come un diritto naturale: ha un preciso significato che possiamo cogliere in due aspetti.  Sottolineiamo il carattere fondamentale di questo diritto inalienabile (come una sorta di diritto inalienabile, che non si può togliere a nessuno, poiché chiunque è legittimato a difendersi se viene attaccato),  il secondo aspetto deriva dal fatto che sottolinea che si tratta di un diritto già previsto dal diritto consuetudinario preesistente alla Carta stessa e che qui viene ripreso e codificato. 2. La seconda parte Prevede una sorta di onere nei confronti dello stato che vuol agire in legittima difesa, ossia l’onere di riferire immediatamente le azioni prese comportanti la forza al CdS. In questo modo si evitano le guerre segrete, o abusi della forza: se usasse la forza in modo pretestuoso, la comunicazione farebbe accertare il CdS di eventuali abusi. Inoltre, l’obbligo di comunicazione è previsto anche per consentire al CdS di intervenire nel caso di specie al fine di adottare le misure necessarie, in base al Cap VII della Carta, che il Consiglio ha il potere di mettere in atto. Questo significa che il diritto di agire in legittima difesa e di invocare questo titolo sussiste fino a quando il Cds non sia intervenuto in modo adeguato rispetto a quel tipo di situazione. Se questo interviene cessa il diritto di usare la forza in modo unilaterale sulla base del diritto di legittima difesa, perché a quel punto si sostituisce a questo diritto il sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta. Però perché il diritto cessi l’intervento deve essere un intervento in cui il CdS abbia adottato le misure necessarie per far fronte alla situazione. Se questo non dovesse avvenire (se le misure adottate non fossero considerate necessarie e adeguate anche dallo Stato vittima), il diritto alla legittima difesa permane nonostante l’intervento del Consiglio di Sicurezza. Mentre la prima parte di questo articolo corrisponde al diritto consuetudinario, la seconda parte è una previsione di carattere convenzionale che vincola soltanto gli stati che sono parti contraenti della Carta o per i quali, per un motivo o per un altro la Carta può trovare applicazione (non c’è una norma consuetudinaria corrispondente alla seconda parte dell’articolo). Questo perché il Cds non è l’organo della comunità internazionale nel suo complesso, ma è un organo previsto dalla Carta. Per cui se ci poniamo fuori dalla carta il Cds non funziona più. Per cui sarebbe illogico pensare che la seconda parte possa essere oggetto di un obbligo previsto del diritto generale. Il diritto alla legittima difesa pone però diversi problemi:  Presupposto in base al quale il diritto alla legittima difesa può essere invocato da questo o da quello Stato sia per la legittima difesa individuale che collettiva attuando un attacco armato. Anche l’articolo 51 individua questo presupposto, ma la Carta non lo definisce. Quindi la ricostruzione rimane problematica dal punto di vista del diritto internazionale.  Com’è stato possibile riuscire a individuare una definizione di questo concetto? Il leading case è NICARAGUA VS. USA (la Carta non era applicabile per una riserva applicata dagli USA), in qui è stato definito il concetto di aggressione, ricostruito sulla base di elementi preesistenti nell’ambito del diritto internazionale, sia con riferimento alla prassi che con riferimento 10 meri incidenti di frontiera. A cosa si riferisce la CIG per ricostruire che esista un’opinio che vada in questa direzione? Si riferisce sempre alla risoluzione sulla definizione aggressione 3314 all’articolo 2, che dice che è necessario l’elemento di intensità perché si possa parlare di aggressione. Come facciamo a sapere se siamo in presenza di un mero incidente di frontiera rispetto all’aggressione? La CIG non ci dice i criteri per distinguere un mero incidente di frontiera da un’aggressione. Quindi, rimane il problema di sapere come facciamo a distinguerli. Dalla giurisprudenza della CIG noi possiamo prendere a criterio di riferimento il carattere sporadico, discontinuo, isolato dell’evento o il suo carattere massiccio, sistematico, continuato. Se fosse un evento isolato, discontinuo, ancorché di attività isolata, siamo in presenza di incidente di frontiera. Se invece ci troviamo di fronte ad azioni di carattere massiccio, allora è un’aggressione. Se siamo di fronte ad un atto discontinuo non abbiamo bisogno di reagire con l’uso della forza in legittima difesa per far cessare l’illecito, perché è già cessato, al massimo si potrà richiedere una riparazione. Se siamo in presenza di un mero incidente di frontiera lo stato vittima cosa può fare? Dal caso Nicaragua-Usa, la CIG esclude la legittima difesa collettiva. Per cui se siamo in presenza di un incidente di frontiera stati terzi non possono avvalersi del diritto di usare la forza per agire in difesa collettiva, perché non c’è aggressione. Perciò nel leading case la CIG non dice se lo Stato che ha subito l’incidente di frontiera non possa reagire in legittima difesa individuale: c’è un dibattito tra quelli che pensano che lo Stato che l’ha subito possa usare la forza in legittima difesa individuale e quelli che pensano di no perché l’azione è cessata; per cui lo stato vittima può chiedere una riparazione, sospendere altri obblighi, ma non usare contromisure violente nei confronti dello Stato autore degli incidenti, rimanendo un PUNTO CONTROVERSO. Se tutti questi elementi si verificano noi possiamo invocare la legittima difesa, ma questa incontra dei limiti? Proporzionalità, immediatezza, necessità. La legittima difesa deve essere necessaria, immediata e proporzionale (limite generale all’autotutela).  Il principio di proporzionalità incide sul tipo di armi che tu puoi usare in legittima difesa o no? La proporzionalità implica in legittima difesa che si possano colpire obbiettivi stranieri presenti sul tuo territorio, ma non il territorio dello Stato attaccante o no? L’Ucraina può colpire obbiettivi che stanno in Russia o no? O solo l’esercito russo? 3 incontro IL SISTEMA DI SICUREZZA COLLETTIVO L’uso della forza da parte del Consiglio Di Sicurezza è un’eccezione del divieto dell’uso della forza non controversa su cui tutti sono d’accordo. Ma chi è il CDS e come lavora? Il Consiglio di Sicurezza è composto da 15 membri, nel passato erano meno poi c’è stato un allargamento negli anni ‘60 con una riforma. Attualmente ci sono 5 membri permanenti e 10 non permanenti.  I membri permanenti sono le potenze alleate che hanno vinto la guerra mondiale: Stati Uniti, Federazione Russa (ha sostituito l’URSS), la Cina (prima era la Cina nazionalista, poi si è sostituita la Cina popolare dopo la rivoluzione successione automatica), Francia e Regno Unito (vincitori della Seconda guerra mondiale ugualmente). Si capisce perché questi sono quelli permanenti, perché se queste controllavano tutto il pianeta direttamente (Francia e Regno Unito per i loro impegni coloniali) e indirettamente per le zone di influenza sul pianeta; per cui erano più che rappresentative della comunità internazionale dell’epoca.  Gli altri 10 membri non sono permanenti cioè vengono eletti ogni due anni a rotazione dall’Assemblea Generale. L’Assemblea Generale deve assicurare una certa rappresentatività mondiale, ma comunque permane una sovrarappresentazione del continente europeo. Vengono eletti due paesi dell’Europa occidentale (uno grande e uno piccolo), un paese dell’Europa 11 orientale, poi altri paesi delle altre parti geografiche (America del nord, America latina, Africa, Asia, Oceania). Come vota il CdS per la votazione delle sue delibere? Meccanismo della maggioranza qualificata, 9 voti su 15. Però all’interno di questi novi voti positivi devono essere compresi i voti dei membri permanenti che hanno il diritto di veto (possono bloccare qualsiasi risoluzione). Per prassi l’assenza di un membro permanente equivale a veto (inaugurata dall’URSS). L’astensione non blocca l’adozione della risoluzione. Sempre dando uno sguardo alla prassi si scopre che i paesi che più hanno esercitato il diritto di veto sono la Russia e la Cina; la Francia meno in assoluto ha esercitato diritto di veto all’interno del CDS. Sul diritto di veto ci sono due elementi che devono essere considerati:  Prassi più antica: questione del doppio veto che, non spesso, ricorre nel CDS; il diritto di veto sussiste solo per le questioni sostanziali, cioè quando il CDS è chiamato a pronunciarsi sui contenuti di una questione, mentre non c’è per le questioni procedurali (hanno solo una maggioranza qualificata). Però non c’è una definizione di entrambe le questioni. Una certa questione viene qualificata come sostanziale o procedurale a seconda dell’accordo che si forma all’interno del CDS. A volte c’è conflitto su classificare una questione sostanziale o procedurale, per cui a volte si aprono dei dibattiti sul diritto di veto. Dunque, si vota due volte: la prima per valutare se una questione è sostanziale o procedurale (c’è diritto di veto) e in base al risultato del voto si tratta la questione come tale.  Se viene decisa come procedurale si procede al meccanismo di voto a maggioranza qualificata. Se viene decisa come sostanziale: c’è il veto (secondo veto). Quindi, c’è un primo voto sulla classificazione della questione (se è procedurale non c’è problema, se è sostanziale c’è il doppio voto su cui si può mettere il veto).  La possibilità di definire l’ordine del giorno di cui il CDS si deve occupare ed è un problema di carattere procedurale: se voi mettete la questione all’ordine del giorno significa che su quella questione c’è un dibattito, se non ci viene messa allora significa che non c’è un dibattito a questo livello (questione palestinese esclusa per molto tempo). La competenza a formulare l’ordine del giorno spetta al paese che ha la presidenza del CDS, consultandosi con il resto dei membri.  Più innovativa è invece la raccomandazione (non vincolante) di motivare il veto per circoscrivere la possibilità di esprimere il diritto di veto, sforzandosi di trovare delle ragioni che rispondono al bene comune della società internazionale. Seguendo questa risoluzione il membro permanente ha il dovere di dare una spiegazione. L’onere di doverlo motivare rappresenta un peso verso il paese permanente. Non può fornire delle spiegazioni individualistiche, che magari sono quelle che sono all’origine del veto: forma di condizionamento, anche se non c’è un cambiamento sostanziale. Il consiglio di sicurezza è un organo abbastanza democratico e rappresentativo quando riesce a deliberare, mentre questo carattere viene a mancare quando non riesce a deliberare a causa di un veto di una grande potenza. Competenze del Consiglio di Sicurezza Quali sono i presupposti in presenza dei quali il CDS può far uso della forza? Questi sono disciplinati all’art.39 del capitolo VII:  minaccia alla pace,  violenza alla pace,  atto di aggressione Il CDS stabilisce se ci sono uno di questi tre presupposti. Circa l’uso di queste disposizioni nella prassi, il consiglio non ha mai classificato una situazione come aggressione ma semplicemente come violazione della pace: anche nel caso dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, che era un caso di aggressione, il CDS si è astenuto di parlare di aggressione, ma ha parlato di violazione della pace. Perché il CDS è così cauto nel definire le situazioni? Atteggiamento molto prudente per 2 ragioni: 12  C’è un elemento procedurale, sono ipotesi di intensità a scalare. Dato che tutti e tre permettono al CdS di intervenire (e di avere quindi competenza), è più facile usare il presupposto meno grave, così da evitare il veto e non andare in contrasto con gli obiettivi del CdS, ovvero il mantenimento della pace. Anche il paese che si appella al CdS usa un termine meno grave.  Se il CDS qualifica una situazione come aggressione, questo ha un effetto legittimante per ciascuno stato della comunità internazionale di usare la forza invocando la legittima difesa individuale e collettiva e pertanto il CDS otterrebbe l’effetto opposto di quello che il CDS auspica, e cioè una riduzione delle situazioni di conflitto: se legittima chiunque ad esercitare questo diritto, allora ci sarebbe un difetto distorsivo, cioè una escalation dei conflitti. Il CDS evita di usare sempre il concetto di aggressione. Poche volte il CDS ha usato la definizione di violazione della pace (Iraq vs Kuwait), mentre parla più spesso di minaccia della pace che è comunque sufficiente. Che cos’è una minaccia alla pace? Il CDS non definisce cos’è la minaccia della pace. Sorge spontanea questa domanda: in base a quali parametri di riferimento ci troviamo di fronte ad una minaccia alla pace? Che tipo di definizione possiamo ricavare di minaccia alla pace? Cosa dobbiamo andare a prendere in mano? Mancando una definizione scritta, possiamo riferirci unicamente ai comportamenti che ravvisiamo nella comunità internazionale e in particolare alla prassi seguita dal consiglio di sicurezza. Dalla prassi capiamo che il CdS è libero nella definizione della minaccia alla pace. L’unico limite reale è di carattere procedurale. Il CdS definisce un concetto di minaccia alla pace tutte le volte che vuole a patto che ci sia l’accordo con maggioranza senza veto che esso sia tale. Può definire tale qualunque cosa.  Conflitti interni, in cui non c’è un passaggio di frontiera. Esempio più vicino a noi di conflitto interno: guerra civile in Libia. In queste situazioni il CDS ha cura di indicare che probabilmente ci saranno dei riflessi di questa crisi sul contesto internazionale. il fatto che il CDS metta in luce questi riflessi viene fatto per dare soddisfazione alla Cina che non vuole intervenire nelle situazioni interne. Ad esempio, rientrano in questo campo il terrorismo nazionale e internazionale e questioni umanitarie, come la Somalia, Rwanda, Libia.  Emergenza: in questo caso non è necessario che ci sia una violazione di una norma internazionale e quindi la commissione di un illecito internazionale. Il CDS ha ritenuto che la decisione dell’Iran di possedere le armi nucleari sia una minaccia alla pace. Non è illecito per il diritto internazionale generale. Ma la situazione, il contesto e il regime fanno temere il CDS che questa volontà sia un pericolo alla pace.  Caso Lockerbie: È il caso più importante in cui il CdS è intervenuto in cui non c’è illecito ed è stato un conflitto tra alcuni paesi (Usa, FR, UK) e la Libia. Esso fa seguito alla caduta di un aereo abbattuto nei cieli della scozia da un attacco terroristico. I sospettati si rifugiarono in Libia e gli USA chiese la consegna ma la Libia si rifiutò in quanto vuole giudicarli da sé (avendo il diritto di farlo secondo la Convenzione di Montreal, secondo il principio di dedere aut judicare). Dunque, gli USA ricorsero al Consiglio di Sicurezza che chiese alla Libia di consegnare i sospettati ma quest’ultima si rivolge alla CIG (contro USA, Francia, UK), con un potenziale conflitto nelle decisioni tra l’organo politico e giurisdizionale: il CdS ha qualificato la ritrosia della Libia come minaccia alla pace. La Libia, si è rivolta alla CIG contro USA perché subisce una violazione di una norma che gli conferiva diritti specifici. Ha innescato un conflitto tra l’azione politica del CdS e la possibile azione giuridica della CIG, mettendo in conflitto i due organi fondamentali su cui si regge il contesto internazionale. La questione è stata risolta prima con un accordo tra le parti in cui vennero giudicati in Olanda (dove vi era una Corte che applicava il diritto scozzese) e quindi la CIG ha radiato il caso dal ruolo, ma potenzialmente avremmo potuto avere un caso di un conflitto tra CDS e CIG. Ma comunque attualmente 15 dei 5 paesi membri permanenti del consiglio di sicurezza che invece avrebbe la direzione sul campo militare (l’autorità militare dei membri permanenti). La composizione di questo comitato di stato maggiore si può allargare dicono gli art.43 e seguenti , nel caso in cui nella situazione intervenga un contigente di paesi non membri permanenti, allora in questo caso il comitato di stato maggiore si allarga per ospitare il paese che ha inviato quei contingenti. Tuttavia, non esiste un esercito vero e proprio dell’ONU, quindi lo schema che la carta aveva in mente quando è stata scritta (art 43 -> 50) non può essere attuato anche se non ha impedito l’attuazione della forza, con modalità diverse da quelle specificate dalla carta, che si sono consolidate nella prassi:  i caschi blu sono un uso della forza di peace-keeping: c’è accordo preliminare tra paesi coinvolti e quindi vengono inviati i caschi blu come forza di interposizione per consentire la risoluzione della controversia. Questa forza ha un mandato limitato (solo per difesa) e organizzativamente sono sotto il comando del segretario generale ONU che riferisce direttamente al consiglio.  peace-enforcement: imposizione della pace attraverso la forza anche se contro la volontà dei paesi in cui si attua. Modalità aggressiva e ampio mandato per IMPORRE la pace. Risoluzione con cui si autorizza il paese che ne fa richiesta ad avvalersi dell’uso della forza contro il paese o i paesi interessati. Non si opera sotto il consiglio di sicurezza ma sotto responsabilità militare dei paesi che attuano il peace-enforcement, con regolari rapporti. Questo è un modello opposto rispetto a quello disciplinato dalla carta, con delle risoluzioni unilaterali di autorizzazione e con missioni sotto il comando dei singoli stati, con quindi un uso lecito della forza spogliato delle sue prerogative, modello simile a quello della WWII. Le risoluzioni di peacekeeping e peace enforcement non sono contemplate dal cap.7, quindi non hanno una loro base giuridica, poiché il cap.7 aveva in mente un’altra cosa. Quindi la base giuridica va trovata fuori dalla carta. Nel peacekeeping, I giuristi vanno a cercare la base e giuridico e cercano di trovare una soluzione con uno sforzo minore, per evitare di forze il sistema giuridico, criterio metodologico, per questo è sufficiente il consenso come causa di giustificazione (la risoluzione viene ottenuta dal consiglio di sicurezza). Nel peace enforcement non c’è la consuetudine, poiché il sovrano non vuole collaborare il consenso non è sufficiente; quindi serve una norma ad hoc abilitando il consiglio di sicurezza a questa risoluzione. 4° incontro GLI INTERVENTI DI NATURA UMANITARIA Origini dell’intervento umanitario L’intervento esiste come ipotesi di discussione dalla Seconda guerra mondiale in poi; infatti, prima si parlava dell’intervento d’umanità: intervento che lo stato fa a protezione dei propri cittadini all’estero, che implica l’uso della forza. Questo tipo di intervento si è cominciato ad affermare con il sorgere della comunità internazionale, visto il sorgere delle regole sulla protezione degli stranieri. Lo stato nazionale può intervenire con l’uso della forza a protezione dei propri cittadini all’estero.  Viene ammesso del diritto internazionale verso la fine dell’800, in particolare su rivendicazione dei paesi europei, dominanti nell’ambito della comunità, che l’hanno imposto al resto della comunità internazionale. Se all’epoca era lecito, lo era sull’inosservanza di condizioni rigide e strette che lo limitavano significativamente, per lo meno sotto due profili:  con riferimento alle modalità circa l’uso della forza (proporzionato al tipo di obbiettivo: si poteva penetrare nel territorio di un altro stato ma solo per prelevare i propri cittadini per riportarli nel proprio stato),  secondo aspetto: uso della forza non doveva essere abusivo e avere secondi fini, quali quelli di cambiare il regime dello stato in cui si intervenire, venire meno all’indipendenza, integrità territoriale. Quindi si lasciavano le cose così com’erano. Solo entro questi limiti la lesione della sovranità era lecita. Se ne fecero parecchi via nave (non c’era una flotta aerea). 16 In questa forma l’intervento d’umanità è stato ritenuto ammissibile fino alla WWII, quando con l’affermarsi di altri poli della comunità internazionale si è messo in discussione l’intervento d’umanità: in particolare venne contestato dal polo comunista e il polo delle ex colonie, perché in contrasto con la sovranità e l’autodeterminazione degli stati (fase di contestazione). Con la fine della guerra fredda molti paesi dell’ex parte comunista e delle ex colonie hanno iniziato a sostenere l’intervento d’umanità: si pensa che ci sia una norma che ne ammette la liceità in base al diritto internazionale attuale (Federazione Russa che rivendica questa possibilità; perché? Con lo smembramento dell’URSS si sono formati molti stati indipendenti dove ci sono molti cittadini russi, quindi, la Federazione vuole giustificare questi interventi per intervenire. Per il caso della Crimea, la Federazione intervenne anche per proteggere i cittadini russi in Crimea: l’intervento della Russia non rispetta nessuna delle condizioni all’interno delle quali questo intervento può essere lecito, dunque è un intervento sproporzionato: uso della forza che va al di là della liceità, e poi ci sono secondi fini: emerge dal fatto che la Crimea sia stata annessa). Ciò nonostante, l’intervento umanitario ha delle differenze rispetto all’intervento d’umanità: o L’intervento d’umanità si fa a favore di cittadini stranieri all’estero, mentre quello umanitario vuole portare sollievo all’intera popolazione civile (ai cittadini di quello stato lì, quindi bisogna andare in un altro paese, anche contro la volontà del sovrano di quel paese e quindi c’è un uso della forza con una dimensione diversa, assimilabile ad una guerra); o L’intervento umanitario vuole un intervento efficace che ha luogo attraverso un cambiamento del regime, perché se lo lasciassimo così com’è l’emergenza umanitaria ritornerebbe. Se voglio intervenire in Myanmar per proteggere la popolazione civile, devo cambiare il suo regime (giunta militare) e sostituirlo. Ha una dimensione che l’intervento d’umanità non ha. Da qui il problema della legittimità dell’intervento umanitario. Ci sono dei quadri o dei contesti giuridici in cui l’intervento umanitario è lecito? 1. Consenso del sovrano territoriale: intervento lecito e non c’è nessuna collisione con norme internazionali. Italia è intervenuta in Libano con il suo consenso negli anni 80 (intervento unilaterale). Ipotesi non priva di problemi: questo consenso per giustificare l’intervento che caratteristiche deve avere? Quando un consenso giustifica l’intervento? Che qualità deve avere questo consenso? Deve pervenire dal sovrano legittimo che detiene il potere all’interno di quello stato, ma chi è il sovrano legittimo in un determinato stato?  Non importa il tipo di regime dello stato, il sovrano legittimo è colui che in carica in quel determinato stato in un determinato momento; i ribelli e gli insorti non sono i legittimi titolari del potere: se si intervenisse con il consenso di questi insorti e ribelli si violerebbe il principio di non intervento. Anche lo stato fantoccio non legittima il consenso, perché è lo Stato che è stato messo su dal paese che è vuole intervenire.  Il consenso deve essere libero da vizi (dolo, inganno, corruzione) che non rendono il consenso genuino. Nel caso della Cecoslovacchia che cedette i Sudeti, il consenso era viziato, in quanto espresso sotto una forma di minaccia tedesca e quindi è un consenso invalido. 2. Consenso del Consiglio Di Sicurezza: con una risoluzione, attivando il meccanismo del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Quale operazione giuridica deve fare il CDS nella risoluzione per poter intervenire? Cosa deve scrivere? Il Cds deve constatare la presenza di un’emergenza umanitaria come una minaccia alla pace (non parliamo di violazione della pace e di aggressione perché sono dei casi poco usati). Questa emergenza può essere provocata da uno Stato, però può essere determinata anche da elementi non causati dall’uomo ma anche da eventi naturali (disastri naturali). Che tipo di uso della forza deve essere previsto dalla risoluzione per fare un intervento umanitario? Il CDS quando vuole fare un uso della forza come fa? Che cosa prevede la Carta a questo proposito? L’articolo 42 attribuisce al CdS la possibilità di usare la forza, ma quali sono queste modalità previste dalle Nazioni Unite? La Carta negli articoli 43 e seguenti prevede che le competenze siano usate mediante un esercito delle Nazioni Unite, che si sarebbe dovuto costituire 17 mediante accordi tra gli stati membri (mettevano a disposizione questi contingenti) e il CdS, con dei contingenti posti sotto l’autorità politica del Consiglio di Sicurezza e militare del Comitato di Stato maggiore. Ogni volta che il CdS avrebbe voluto intervenire, doveva dire al Comitato di mandare l’esercito lì ad esercitare l’azione militare, ma ovviamente non c’è un esercito delle Nazioni Unite, perché manca la fiducia sufficiente tra gli stati per farlo. Quindi, il CdS quando vuole usare la forza mette in atto delle operazioni di peace-keeping o peace-enforcement. a. Nel primo caso: il CdS raggiunge un accordo tra i contendenti e manda in quell’emergenza umanitaria un contingente al mantenimento della Pace (che è già stata raggiunta attraverso un accordo): questo contingente di caschi blu (peace-keeping) sono una forza d’interposizione, e non può fare niente, non ha dei mandati. L’unica cosa che può fare se viene attaccato (direttamente) è agire in legittima difesa, ma il mandato circa l’uso della forza finisce lì. b. Il secondo modello funziona per raggiungere la pace, che deve essere imposta e quindi, i contingenti che vengono inviati devono neutralizzare il conflitto: ma cosa possono fare? Hanno un’autorizzazione dell’uso della forza, simile a quello della guerra che deve essere fatta contro lo Stato che deve essere frenato. Deve essere fatta un’autorizzazione dell’uso della forza rivolta agli Stati che sono autorizzati ad usare la forza contro gli Stati Target, usando la forza con modalità aggressive. Nel peace-keeping i contingenti vengono dati alle NU e operano sotto la sovranità del Segretario generale delle Nazioni Unite, operano sotto un’unica bandiera. Nel secondo caso, non c’è nulla di questo perché viene data un’autorizzazione agli stati ad usare la forza contro un obbiettivo e ciascun contingente rimane sotto l’autorità del proprio esercito nazionale e non delle Nazioni Unite (che non ha il controllo delle operazioni sul campo). Il modello del peace enforcement è opposto a quello voluto dalla Carta delle Nazioni Unite: con le risoluzioni di autorizzazione, le Nazioni Unite si spogliano di questo compito, andando contro il modello della Carta. Ma il peace-keeping e il peace-enforcement sono modelli legittimi? Dove trovano la loro base giuridica? Il capitolo VII non prevede questi modelli. Il peace enforcement trova il suo fondamento giuridico nella prassi (nel tempo si è formata una norma consuetudinaria che deroga alla Carta e che fonda giuridicamente la legittimità di queste risoluzioni), mentre il peace-keeping trova il suo fondamento nel consenso dello Stato in cui si interviene.  Quando il CdS vuole fare un intervento umanitario e qualifica la situazione come una minaccia alla pace, che intervento deve fare? devo fare un’operazione di peace-enforcement, perché se ci fosse il consenso dello stato territoriale, la risoluzione del CdS non sarebbe necessaria. In questo modo invece costringo il sovrano a fare delle cose per proteggere la popolazione civile. Un esempio di risoluzione che evoca questa situazione di finalità umanitaria? Risoluzione 1973 del 2011. Elementi chiave di quello che abbiamo appena detto:  autorizza gli Stati membri ad agire o individualmente o collettivamente (organizzazioni regionali) a prendere tutte le misure necessarie (non usa l’espressione uso della forza, ma usa sempre questa espressione: tutte le volte che la troviamo, siamo sicuri che il CdS includa l’uso della forza e quindi li autorizza a fare questa cosa), perché ha constatato che c’è un problema di protezione dei civili che sono sotto attacco da parte del sovrano legittimo della Libia.  una volta vinta la resistenza dell’avversario, cioè una volta che si riesce ad essere presenti sul terreno, vengono poi aggiunte componenti che mirano a realizzare questo lato dell’intervento: molto spesso, non componenti militari e basta ma anche civili.  L’operazione di peace-enforcement diventa di peace-building: ricostruzione istituzionale, sociale ed economica; sono operazioni rare (molto costose), fatte negli anni ‘90 in Cambogia. Ad esempio, l’Italia aveva il compito di costruire la giustizia in Afghanistan, però il risultato è stato basso. Ci sono altri contesti e altri quadri giuridici che si possono richiamare: 20 perché ci sono degli aspetti criticabili, che portano un’altra parte della comunità internazionale a contestare queste proposte avanzate. 1. TEORIA UNWILLING OR UNABLE: ad esempio, la Siria è incapace di debellare il gruppo terroristico: per questa ragione gli USA si sentono in dovere di intervenire, anche se non c’è il consenso della Siria, ma nemmeno del CdS e ovviamente l’azione dei terroristi non può nemmeno essere imputabile alla Siria, che è incapace di contenere l’azione. Tra i terroristi e la Siria, quindi, non c’è nessun rapporto.  Gli USA nelle loro argomentazioni per giustificare i loro attacchi hanno anche sostenuto un’altra cosa: questa possibilità di sferrare attacchi contro stati unable sarebbe ammessa dal fatto che sia presente un opinio e una prassi e quindi una norma consuetudinaria che ammette questa possibilità. La legittima difesa in risposta ad un’aggressione statale è accompagnata da una legittima difesa nei confronti di uno stato incapace di contenere l’aggressione di attori non statali presenti sul suo territorio. Quali sono i problemi di questo? La violazione della sovranità sarebbe consentita dal fatto venga permesso dal fatto che esiste una norma consuetudinaria. Tuttavia, questa opinio non c’è, perché anche i paesi alleati degli USA in realtà non hanno fatto propria questa azione e non l’hanno accolta e non è stata nemmeno accolta dal resto della comunità internazionale che aveva visioni opposte da quelle difese dagli USA. Per cui attraverso un’analisi della prassi di paesi della comunità internazionale, scopriamo che non possiamo dire che la norma consuetudinaria non si è formata e che questo titolo sussista. Per cui, l’opinio manca di coerenza, e quindi manca uno degli elementi per dire che si sia formata una norma consuetudinaria. Perché mai un’opinio non si è formata? La comunità internazionale è reticente e la ragione essenziale è l’arbitrarietà (difficilmente controllabile) di questa idea, poiché dopo qualunque stato della comunità potrebbe dire che ci sia uno stato incapace a contenere l’azione di gruppi terroristi, per attaccarlo non si deve dimostrare chissà cosa. Noi ci esporremmo ad una situazione dove chiunque potrebbe dire qualunque cosa per attaccare chiunque; questo scardinerebbe il sistema di sicurezza collettiva che si è formato dopo la 2WW che dà il monopolio del controllo dell’uso della forza al CdS e sull’accertamento delle situazioni di minaccia alla pace, violenza e aggressione: in questo modo l’ordine non ci sarebbe più, ci sarebbe il caos più totale e il sistema di sicurezza collettivo diverrebbe inutile: il suo funzionamento non ti interessa più perché ognuno potrebbe intervenire quando e come vuole. Gli USA, dunque, non hanno chiesto il consenso alla Siria perché sapevano che non l’avrebbero mai ottenuto.  Se noi abbiamo l’autorizzazione del CdS, questa è un’autorizzazione che autorizza il peace-enforcement limitatamente alle zone dove si trovano i gruppi, ma non è un’autorizzazione che riguarda lo stato in generale. Inoltre, l’autorizzazione non è mai automatica, soprattutto per il veto: la Russia, ad esempio, si è sempre opposta all’intervento in Siria, ritenendola uno stato di intervento proprio russo, per il legami che aveva con il governo di Assad. L’accordo tra i paesi membri del CdS non si è mai raggiunto. In presenza di questa situazione dobbiamo trovare qualcos’altro, ed è per questo che gli USA tirano fuori questa questione della norma consuetudinaria che secondo loro si era formata. 2. TEORIA DELLA COMPLICITÀ: quando c’è tra il gruppo informale e lo stato un supporto (sostegno logistico, finanziaria), allora questa complicità sarebbe sufficiente per consentire l’imputabilità di quello che è stato dai gruppi informali allo stato. Quindi, questa idea si basa sul tentativo di flessibilizzare i criteri tradizionali di imputazione dell’illecito, che non sono più rigidi come il controllo, ma vengono estesi anche a forme di supporto. Il controllo chiede un controllo molto stretto (catena di comando fattuale sulla specifica azione, invece, con l’idea di complicità verrebbero ricomprese delle azioni di fiancheggiamento). Questa idea è diversa dall’unable, perché è più stretta. Perché secondo l’idea della complicità lo stato deve 21 almeno essere complice nei confronti del gruppo privato, per cui non si può imputare nulla allo stato unable (sono esclusi da responsabilità), perché loro non hanno fatto nulla di supporto al gruppo privato. Questa idea non è nuova, ma si ritrova nell’articolo 16 (tra stato e stato). L’aiuto di uno stato ad un altro, determina per lo stato che aiuta una responsabilità per la commissione dell’illecito commesso dallo stato aiutato, ovvero un illecito di aggressione: lo stato che aiuta mettendo a disposizione il proprio territorio per perpetuare un’aggressione è anch’esso responsabile di aggressione. Ad esempio, la Bielorussia che mette a disposizione il proprio territorio alla Russia per attaccare l’Ucraina è ugualmente responsabile.  Questa idea riprende la complicità tra stato e stato e la applica ai rapporti tra attori informali e attori statali. Questa trasposizione implica una trasposizione delle condizioni. Per cui, lo stato che aiuta è responsabile ma è necessario che ne sia consapevole di aiutare qualcuno a commettere un illecito. Anche in questo caso ci sono delle critiche, in quanto si alzerebbe molto la soglia della responsabilità statale: se tu dici che uno stato è responsabile per semplice complicità, lo stato diventerebbe responsabile per tutte le azioni dei privati e che non è sotto la tua volontà di Stato. Quindi, te dai soldi ai privati, poi questi commettono un genocidio, vuol dire che questo stato è responsabile di genocidio; uno stato che è complice ha già una responsabilità propria per il fatto di intervenire negli affari interni di un altro stato, infatti, tu non puoi appoggiare l’azione di gruppi informali che possono produrre azioni in stati terzi. Se noi diciamo che la complicità comporta l’imputabilità allo stato per le azioni commesse dai privati, daremmo una responsabilità ulteriore. Purtroppo, però a priori non si possono prevedere. È per questo la CIG nel caso Nicaragua contro USA, confermato nel caso relativo alla Bosnia sul genocidio, ha escluso che la complicità comporti responsabilità, dicendo che affinché ci sia responsabilità sia necessaria il controllo, per evitare di alzare troppo la soglia della responsabilità statale. Il Tribunale sull’Ex Jugoslavia ammette la complicità sulla base dell’idea dell’overall control. Tuttavia, la sua giurisprudenza è rimasta isolata da questo proposito e non seguita dalla CIG e si spiega perché quel tribunale era composto da Cassese che era sostenitore di questa idea della complicità. Si distingue dal primo caso per il fatto che si parla anche di unable. 3. AMPLIAMENTO L’APPLICABILITÀ DEGLI ARTICOLI 2.4 E 51: il primo articolo vieta l’uso della forza tra gli stati membri (solo tra stati). Quindi abbassare la soglia dell’articolo 2.4 significherebbe vietare l’uso della forza anche per gli attori non statali. L’articolo 51 si può prestare a questo concetto? L’art. 51 riconosce il diritto alla legittima difesa a favore degli stati quando questi subiscono un’aggressione da parte di qualsiasi soggetto, non specifica da chi provenga questa aggressione. Cioè potrebbe anche provenire anche da attori non statali. Quindi, si potrebbe sostenere che l’art.51 sostenga la legittima difesa allargata (è possibile quando l’aggressione proviene da un attore non statale). In realtà questa interpretazione non viene accettata perché l’art.51 è costruito come un’eccezione all’art.2.4, per cui si ritiene implicito che faccia riferimento all’aggressione che proviene da attori statali. Per ammettere questa idea bisognerebbe modificare entrambi gli articoli, ma in assenza di questo potremmo comunque dire che si è formata una norma consuetudinaria in deroga alla Carta che ammetterebbe questa legittima difesa allargata, se ci fosse un opinio consolidata.  Perché manca questa opinio? Se noi diciamo che esiste un diritto di legittima difesa allargata, vuol dire che l’uso della forza da parte di attori non statali è vietato sempre allora, sia nei confronti di stati terzi, che nell’ambito interno contro il livello legittimo. Questo accadrebbe anche nei confronti dei ribelli e degli insorti: la loro azione è indifferente per il diritto internazionale. Il diritto internazionale è sempre rimasto su questo livello perché non ha mai voluto interferire nella questione di formazione di uno stato (questa idea è confermata dal caso del Kosovo): togliere la possibilità di usare la violenza agli insorti e ai ribelli, sarebbe una questione importante. Per cui il diritto internazionale non se la sente di dire che l’uso della forza dei gruppi informali è illecito, perché avrebbe il senso di vietarlo anche nell’ambito 22 6° incontro interno, con la possibilità anche dei governi legittimi di avvalersi del diritto internazionale quando c’è una ribellione interna. Il rischio di interpretazioni allargate e il rischio di snaturare l’assetto che la comunità internazionale ha avuto finora è rilevante. Quindi si continua a dire che i gruppi informali possono fare quello che vogliono, ma questo non esclude il fatto che il problema dell’uso della forza di questi soggetti, che abbia come oggetto gli stati terzi e quindi una proiezione transazionale, sia un problema insoluto che non ha trovato delle risposte chiare e univoche. DIFESA PREVENTIVA (SESTO INCONTRO) Abbiamo già dichiarato che la legittima difesa è legittima dopo che l’attacco sia stato sferrato, ora dobbiamo verificare quando è legittimo PRIMA dell’attacco. Questo tema è diventato famoso con la guerra al terrorismo: le prime discussioni tuttavia risalgono al 1837, al caso di specie dell’incidente Caroline. L’incidente Caroline l'incidente del Caroline in sé non è stato un evento di grande portata. I fatti non sono del tutto chiari dalla corrispondenza, ma sembra che nella notte tra il 29 e il 30 dicembre 1837 morirono al massimo due persone (Amos Durfee e un mozzo, noto come "piccolo Billy"). L'incidente avvenne nel contesto di un periodo difficile per le relazioni britannico-americane, non molto tempo dopo la Guerra del 1812. Nell'Alto Canada (oggi Ontario), allora colonia britannica, era in corso una ribellione e alcuni chiedevano (invano) di dichiarare l'indipendenza dalla Gran Bretagna e di istituire una "Repubblica del Canada". I cittadini americani aiutavano e assistevano i ribelli canadesi con armi e uomini dal lato americano del confine. A metà dicembre 1837, due leader dei ribelli, McKenzie e Rolfe, tennero riunioni pubbliche a Buffalo, New York, alla ricerca di uomini, armi e munizioni che vennero raccolte presso la taverna Eagle. Il 13 dicembre 1837, alcuni dei ribelli e delle reclute si stabilirono a Navy Island, una piccola isola dell'Ontario appena sopra le cascate del Niagara, dove vennero riforniti dalla costa americana da un piccolo vascello noto come Caroline. Nella notte tra il 29 e il 30 dicembre 1837, le milizie britannico-canadesi partirono per catturare il Caroline. Scoprendo che era partita da Navy Island, la rintracciarono a Schlosser, sulla costa americana, dove sbarcarono l'equipaggio e i passeggeri, uccidendo nel frattempo Amos Durfee e forse il mozzo. Poi diedero fuoco all'imbarcazione, la trascinarono nel canale del fiume Niagara e la lasciarono andare oltre le cascate. Le notizie sul numero dei dispersi e dei morti furono molto esagerate e il corpo di Amos Durfee fu esposto in una taverna di Buffalo, il che causò "grande eccitazione" e "un certo grado di commozione". Un primo scambio di note ebbe luogo tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna all'inizio del gennaio 1838. Tuttavia, la questione probabilmente non sarebbe stata approfondita se non fosse stato per l'arresto di Alexander McLeod a New York nel 1841. Come sintetizzato da Jennings, "nel 1841 la condizione delle relazioni anglo-americane era tale che la corrispondenza desultoria doveva essere sostituita da un deciso sforzo per una pace".  La Gran Bretagna sostenne la legittima difesa, asserendo che era assolutamente necessario come misura di precauzione per il futuro e non come misura di ritorsione per il passato. Ciò che era stato fatto in precedenza è importante solo in quanto fornisce una prova irresistibile di ciò che sarebbe avvenuto dopo. Questo a due condizioni per giustificare la legittima difesa anticipata: 2 criteri/CONDIZIONI per la difesa preventiva: o Sebbene fosse vero che l’attacco non era stato ancora sferrato, ma l’attacco era CERTO e IMMINENTE o non c'era altra possibilità di risolvere la questione con la controparte attraverso l’uso della forza Queste due condizioni sono molto rigide e viene definita come LEGITTIMA DIFESA ANTICIPATA e il Regno Unito, nella corrispondenza con gli US cercò di giustificare questo comportamento. Dall’altra parte gli Stati uniti svilupparono una difesa chiamata Caroline, sostenendo che il criterio di imminenza posto dal UK non sussisteva: gli US concordavano sulle condizioni ma si sosteneva che non sussistessero nel caso di specie. A questo proposito si sviluppò la dottrina Webster. Il Regno Unito
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