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appunti sociologia dei processi culturali, Appunti di Sociologia Dei Processi Culturali

il documento contiene gli appunti delle lezioni di "sociologia dei processi culturali"

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 09/09/2020

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ludovica-gamba 🇮🇹

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Scarica appunti sociologia dei processi culturali e più Appunti in PDF di Sociologia Dei Processi Culturali solo su Docsity! La nascita del concetto scientifico di “cultura” Il concetto di cultura è uno strumento che nasce in relazione con l’esperienza ed è rivelatore della storia culturale della società occidentale. Ma come possiamo usare un concetto appartenente ad un determinato contesto specifico (quello occidentale) per studiare in generale ogni società umana anche quelle che non possiedono questo concetto? Il modo per rispondere a questa domanda è quello di ricordare che la cultura fa parte di una “cassetta degli attrezzi” degli scienziati sociali con cui essi cercano di comprendere il comportamento degli individui in società. 1. Dalla concezione classica alla concezione moderna Gli usi del linguaggio comune attuale si riferiscono a due concezioni di cultura, la concezione classica e quella moderna. La parola cultura ha un’origine latina dal verbo colere ed era utilizzata per indicare il lavoro della terra. Seguendo l’evoluzione della parola nella lingua francese si può osservare che l’idea di cultura rispecchia l’umanesimo dei philosophes, appartiene all’uomo ed è quindi radicata nell’idea di progresso. La nozione di cultura si avvicina sempre di più alla concezione di civiltà o civilizzazione . Nel 1800 mettew Arnold sostenne che la cultura è “quanto di meglio è stato pensato e conosciuto” più che un fine esso è un mezzo per contrastare il male dell’industrializzazione. A mano a mano il termine cultura assume un significato sempre più ampio e non si riferisce più esclusivamente ai prodotti dell’elite intellettuale. Alcuni pensatori tedeschi come Herder hanno contrapposto all’universalismo astratto dei lumi la particolarita della cultura di ogni singolo popolo. Egli afferma quindi la diversità tra le culture. La storia consiste nell’incastro tra le diverse individualità culturali, ciascuna delle quali costituisce una comunità specifica in cui l’umanità esprime ogni volta un aspetto di se stessa. Nel 19 secolo i pensatori romantici legheranno il termine cultura all’idea di nazione. Qui la cultura è espressa quindi come un insieme di tradizioni che esprimono lo spirito più profondo di un popolo. Si avanza l’idea che la nazione culturale preceda la nazione politica. 2. I caratteri della cultura nell’antropologia L’evoluzione del significato dei concetti ci aiuta a capire quanto le classificazioni della realtà dipendano dall’epoca storica e dal contesto sociale in cui nascono. Anche il concetto scientifico di cultura ha una sua storia che inizia quando tra 800 e 900 entrano in campo le varie scienze sociali dalla psicologia alla sociologia e si diffonde un nuovo modo di guardare il mondo e la società. Questo nuovo atteggiamento risente molto della stagione dei grandi viaggi, gli avventurieri tornavano con documentazioni fotografiche di “altre” popolazioni che vivevano in condizioni primitive e non erano mai venute a contatto con la nostra civiltà. È proprio questa diversità di abitudini e costumi a formare il nuovo contenuto della nazione di cultura. La cultura non si applica più all’individuo ma alla collettività. Viene smentita la concezione umanistica di cultura universale e unitaria. La sfida lanciata dalle scienze sociali consiste quindi nel pensare l’unità dell’umanità attraverso la diversità delle culture. L’antropologia è la scienza che ha tentato di fondare la propria autonomia disciplinare sul concetto di cultura facendo di quest’ultima l’oggetto di ricerca. Taylor, tra i fondatori dell’antropologia, diede una definizione antropologica di cultura, ancora considerata come sinonimo di civiltà: “la cultura è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”. Si può notare in questa affermazione la presenza di una cultura primitiva del tutto trascurata dalla tradizione illuminista. Come per Durkheim, anche per Taylor il problema era quello di rendere comprensibili fenomeni nuovi, che agli occhi degli occidentali potevano sembrare bizzarrie. Bisognava ampliare il termine cultura per poter comprendere ciò che poteva apparire illogico. Da questa descrizione di taylor di tipo descrittivo, si possono enunciare 3 caratteri fondamentali della cultura: 1. Ciò che gli individui pensano (complessi di norme, credenze) 2. Ciò che gli individui fanno (costumi, abitudini) 3. I materiali che producono (artefatti) I caratteri principali della cultura sono soprattutto 3: 1. La cultura è appresa. Tutto ciò che è frutto di apprendimento e non di reazione geneticamente programmata appartiene alla cultura. La cultura è qualcosa di specificatamente umano che distingue l’essere umano dagli animali, esso si distingue dagli animali per la variabilità dei suoi costumi, si avanza l’idea che la vera natura dell’uomo sia culturale. Queste teorie subiscono delle variazioni in concomitanza con gli studi etologici e sulle scoperte che vengono fatta in merito alla capacità degli animali di apprendere. La comunicazione non è un attributo puramente umano. L’umano quindi si distingue dall’animale per la sua caapacità di apprendere al livello simbolico. Geertz nel sostenere che la natura umana si è costituita in base all’abilità di acquisire sistemi di simboli scirve:” questi simboli non sono semplici espressioni della nostra esistenza biologica, sociale e psicologica, ne sono i prerequisiti. Senza uomini non c’è cultura, senza cultura non ci sarebbero gli uomini”. Ma gli studi sulle scimmie hanno dimostrato quanto anche loro facciano uso di richiami simbolici. Levi Strauss arriva quindi a considerare quanto la differenza stia nella complessità dei simboli utilizzati dall’uomo. 2. La cultura rappresenta la totalità. Il concetto di cultura per gli antropologi finisce per sovrapporsi totalmente al concetto di società. Il carattere totale della cultura comporta anche l’idea dell’individualità e organicità del patrimonio culturale di ogni popolo. 3. Condivisione. Per essere definito culturale un fenomeno deve essere condiviso da un gruppo. Se questa immagine di cultura è stata pervasiva ed influente è perché l’antropologia ha identificato il proprio oggetto di studio nelle popolazioni primitive, privilegiando quindi la società in scala ridotta. Hannerz ha riassunto i tipo di processi culturali che vi si svolgono cioè i modi in cui la cultura viene trasmessa e si sviluppa. 1. Si tratta di una società faccia a faccia in cui gli individui interagiscono tra di loro all’interno di un ambiente limitato geograficamente. Il flusso comunicativo è continuo 2. Tutti si conoscono fin da piccoli e usano gli stessi linguaggi dalla culla alla tomba L’idea di cultura in tre tradizioni sociologiche La sociologia a differenza dell’antropologia sin da subito aveva l’ambizione di essere una scienza generale dei fenomeni sociali. Mentre l’antropologia aveva scelto come oggetto specifico di studio le popolazioni primitive, la sociologia era sorta con l’intento di determinare la struttura della moderna società industriale. La cultura cosi come era affrontata dagli antropologi non era il tema principale delle scuole di pensiero che si stavano affermando. Altri temi tra cui l’inurbamento risultavano più importanti. Fin da subito i rapporti tra le due discipline furono abbastanza stretti. I lavori e i metodi antropologici influenzarono alcuni studi sulle comunità urbane che per certi versi somigliavano alle società in scala ridotta. La sociologia elaborava la teoria per sistematizzare i dati empirici forniti dall’antropologia. La prima strada è stata imboccata dalla sociologia americana nei primi del 900, la seconda dalla sociologia francese tra 800/900. Altri tradizioni come quella tedesca mantennero un distacco dall’antropologia, attratte più dal risultato della storia e dell’economia. Da questi rapporti non poteva non sorgere il problema nella sociologia di ridefinire il termine cultura. LA SCUOLA DI CHICAGO: LA DIVERSITA’ CULTURALE DELLE METROPOLI D. stabilisce un’equivalenza tra le caratteristiche delle rappresentazioni collettive e il fatto che non siano spiegabili a partire dall’individuo. I concetti e le credenze operano entro i contesti sociali da cui dipendono, essi non esistono isolatamente nelle menti degli individui ma sono il frutto di un’attività cooperativa, accostando le rappresentazioni collettive al linguaggio si elabora l’idea che le norme e le categorie mentali hanno bisogno del sostegno dei rituali per diffondersi e mantenersi. D. riteneva che solo in quanto fatti sociali le rappresentazioni collettive potessero essere indagate scientificamente, egli pensava che le credenze comuni ad una società non contassero per la loro veridicità ma per il fatto di costruire un elemento ordinatore e regolativo del comportamento individuale. Oggettivo e collettivo coincidono. Le rappresentazioni collettive ci costringono entro regole e logiche che nonostante siano gli esseri umani a produrle non sono comunque in grado di controllarle. La tradizione sociologica tedesca: il problema del significato e il ruolo attivo delle idee. Non si può parlare degli autori tedeschi come di una “scuola” sociologica. Il contenuto tedesco risente fortemente di due importanti dibattiti 1. Il dibattito metodologico. Il fuoco del dibattito verteva sulle modalità di comprensione dei fenomeni culturali intesi come storici e sociali. Il movimento storicistico tedesco rivendicava la diversità qualitativa delle scienze dello spirito sostenendo che in queste non potessero esistere leggi universali come nelle scienze della natura. Al metodo nomotetico (scienze naturali) si opponeva quello idiografico. In questa discussione si era arrivati a distinguere tra spiegazione(fatti naturali) e spiegazione (fatti sociali). Simmel e Weber si collocano inizialmente in questo dibattito. Però entrambi assumono una posizione innovativa, pur riconoscendo la distinzione tra le due scienze vedono comprensione e spiegazione come due aspetti dello stesso processo conoscitivo. Secondo Simmel qualsiasi tipo di scienza non può affermare una verità assolutamente indiscutibile, ma indiscutibile fino a prova contraria. Weber sostenne che conoscenza intuitiva e causale non sono antitetiche le differenze tra esse non riguardano l’oggetto di indagine né tantomeno il metodo, bensì lo scopo conoscitivo del ricercatore. Non era completamente abbandonata la tradizione di D. della verifica empirica ma veniva integrata con la ricerca dei significati soggettivi che muovono l’azione sociale. Per Weber gli esseri umani sono esseri culturali poiché annettono un significato al proprio comportamento e le scienze della cultura si occupano dell’agire sociale. Weber definisce la cultura una sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire del mondo alla quale è attribuito senso e significato dal punto di vista dell’uomo. Questa definizione ha un uso metodologico e sostantivo dal punto di vista metodologico indica il modo in cui le scienze della cultura possono raggiungere l’oggettività scientifica: è sulla base dei valori che lo scienziato sceglie il dato empirico selezionandolo dalla molteplicità del reale questa definizione ha anche un uso sostantivo, gli individui attribuiscono significato alla realtà e agiscono. 2. Oltre al dibattito sul metodo vi è la controversia tra idealismo e materialismo a metà del 19 secolo, dopo la critica di Marx all’idealismo della filosofia hegeliana si sviluppa una controversia sul ruolo dei fattori culturali. La questione può riassumersi così: se i fattori culturali possiedono una loro autonomia o se invece rappresentano un epifenomeno della struttura economico-sociale cioè il riflesso di una realtà sottostante. Weber polemizzò con l’idea che le forme del pensiero siano il prodotto della condizione economica della società. Tutto il suo operato è volto a sottolineare il ruolo cruciale svolto dalle credenze e dai valori nell’orientare il comportamento umano e quindi nell’influenzare il corso degli avvenimenti. La tesi di Weber secondo cui la tendenza al profitto tipica del capitalismo sia stata favorita dal diffondersi dell’etica religiosa del protestantesimo non deve essere intesa in senso unidirezionale. Questa causa (la religione) non esclude altre cause di tipo economico sociale o politico. È opportuno prendere in considerazione sia l’influenza della religione sull’economia sia viceversa percependolo quindi come un condizionamento reciproco. Questa prospettiva teorica di Simmel e Weber ha conseguenze importanti sull’approccio che comincia a delinearsi nei confronti dell’analisi culturale. 1. In primo luogo la cultura e la società non sono intesi come ambiti coestensivi (come avveniva nell’approccio antropologico) ma viene precisata la distinzione di tipo analitico che riguarda il livello concettuale e non ontologico. La cultura è un concetto con cui classifichiamo i fenomeni sottolineandone gli aspetti importanti al fine della comprensione. 2. In secondo luogo le credenze e i valori sono una cultura collettiva si tratta quindi di concezioni del mondo pubbliche. La cultura moderna per Simmel è una cultura oggettiva. Questa situazione è il frutto della crescente divisione del lavoro, diversamente da D. , Simmel analizza il portato psicologico dell’individualismo prodotto dalla differenziazione sociale. Egli descrive la condizione culturale in cui vive l’individuo tra eccedenza (cultura oggettiva) e atrofia (soggeettiva). Le metropoli sono i veri palcoscenici di questa cultura. Da una parte la vita viene resa facile poiché le si offrono da ogni parte stimoli e interessi, dall’altra la vita è costituita sempre di più da contenuti e rappresentazioni impersonali. 3. In terzo luogo viene meno l’equivalenza introdotta dall’antropologia tra cultura e tradizione. La cultura non è solo consuetudine ovvero abitudini trasmesse da generazione in generazione in maniera fondamentalmente passiva, ma è innovazione e implica un ruolo attivo delle idee. Questo punto è importante perché identifica la differenza principale tra l’impostazione di Weber e quella di Durkheim rispetto alla cultura. In D. le rappresentazioni collettive sono viste come un sistema chiuso, come prodotti anonimi di forze e meccanismi sociali che operano alle spalle degli attori indipendentemente dalla loro coscienza. In Weber invece le concezioni del mondo e le idee hanno una loro logica e dinamica interna e sono creazioni di individui o gruppi sociali. In germania, negli anni 20 del secolo scorso emerse un tentativo di dare vita ad una nuova disciplina “sociologia della cultura”. A Karl Mannheim si deve l’elaborazione dei fondamenti della “sociologia della conoscenza” espressione più ampia della sociologia della cultura, essa doveva occuparsi del condizionamento sociale del pensiero e delle idee. M. sviluppò la sua analisi in direzione dello studio delle ideologie politiche e delle credenze utopiche, ma non riuscì a chiarire attraverso quali meccanismi i diversi sistemi conoscitivi fossero connessi alla struttura sociale. Le idee per M. non sono mai dei riflessi meccanici ma devono essere comprese a partire dalle motivazioni degli attori che operano e inserite entro strutture di senso. Il concetto di prospettivismo elaborato da M. mette in luce il carattere socialmente situato nel mondo di formulare i problemi che è all’origine della forma e del contenuto della nostra percezione. M. esclude le scienze naturali dal condizionamento sociale. LA CULTURA COME INSIEME COMPLESSO CAP2 I sociologi classici e il distacco della concezione antropologica della cultura. L’antropologia classica sviluppa teorie in cui la cultura assume un posto centrale nell’interpretazione dei fenomeni sociali ed è considerata un elemento centrale della società. 1. Il primo aspetto: la distinzione analitica società/cultura è particolarmente rilevante nella scuola francese 2. Il secondo aspetto è tipico della tradizione americana e di quella tedesca: l’enfasi sulla differenziazione interna della cultura. Si mette in luce la flessibilità delle culture. 3. Il terzo aspetto sottolinea la capacità creativa e innovativa della cultura rispetto a quella della tradizione e della ripetizione, sono in particolare la scuola americana e la tradizione tedesca ad averla messa in luce. esse hanno sottolineato l’esistenza di contraddizioni nei sistemi culturali moderni dovuti alle differenze tra gruppi sociali. Ad esempio Max Weber utilizza il concetto di “carisma” per spiegare l’origine dei nuovi sistemi di idee 4. La quarta caratteristica sottolinea l’importanza delle forme dell’interazione sociale mettendo a fuoco la dialettica che si instaura tra gli individui e le “agenzie di socializzazione” (famiglia, insegnanti, amici). Questa caratteristica è la meno sviluppata dalla tradizione sociologica. La scuola francese sembra adottare un modello più vicino all’antropologia dove la trasmissione culturale è vista come un processo di condizionamento che programma i membri più giovani della società a comportarsi in maniera conforme alle regole e ai valori della comunità sociale. Gli esponenti della tradizione americana hanno dato l’avvio ad una diversa considerazione dei modi in cui gli individui vengono socializzati, la reciprocità delle relazioni e la natura del contesto di interazione svolgono un ruolo importante. Simmel rileva che le norme sono una realtà con cui gli individui si confrontano e che oltre a recepire sono in grado di modellare e interpretare. L’approccio sociologico allo studio della cultura si è dunque affermato tra la fine dell’800 e i primi decenni del 900. Da Parsons alla nuova sociologia della cultura. Alla sensibilità dei sociologi classici ha fatto seguito un declino dell’interesse sociologico. Le ricerche sul rapporto tra idee e struttura sociale subiscono un arresto. Ne sono conseguiti un processo di marginalizzazione accademica e l’assenza di un’istituzionalizzazione disciplinare della sociologia della cultura delle università. Dalla fine degli anni trenta agli anni 50 vi sono stati singoli contributi anche molto rilevanti ma che sono rimasti isolati. Come quelli di Merton sul rapporto tra scienza e società. Negli anni 50 negli stati uniti, la prospettiva empirica e pragmatica della scuola di Chicago lascia spazio a quella più teorica dello “struttural-funzionalismo” elaborata da Talcott Parsons, questa rappresenta il maggiore tentativo di elaborare una teoria generale dell’azione sociale, che si poneva l’obbiettivo di costruire un quadro teorico in grado da definire la sociologia una scienza autentica. Questo sforzo teorico attribuiva un posto importante alla cultura, egli compie una svolta rispetto al significato totale attribuito alla cultura dall’antropologia che la concepiva come l’insieme dei costumi e delle abitudini acquisiti dall’uomo i quanto membri di una comunità sociale. Egli si ricollega alla tradizione sociologica europea in particolare a Weber e Durkheim che ancora erano poco conosciuti negli stati uniti. Parsons opera una restrizione dell’ambito semantico del concetto di cultura, giunge ad indentificare il carattere astratto che deve essere accertato e verificato ma che non esiste come realtà constatabile immediatamente. È sufficiente rilevare due aspetti molto importanti che parsons da alla cultura: 1. In primo luogo, l’accento si sposta dal carattere adattivo che rivestiva (intesa come l’insieme di abitudini e costumi che favorivano la sopravvivenza di un gruppo sociale) a carattere normativo della cultura. Questa viene definita come l’insieme dei modelli di comportamento che la società ritiene validi su cui esiste un consenso sociale e una condivisione che i membri sono tenuti a rispettare e trasmettere alla generazione successiva. Questo aspetto connette la cultura agli aspetti motivazionali dell’azione fornendo agli individui i criteri in base ai quali orientare il loro comportamento. Affinchè la cultura possa svolgere questa funzione regolativa è necessario che abbia un certo grado di coerenza, è necessario cioè che si fondi su un sistema di valori. Fare questo significa formulare delle ipotesi e trovare degli indicatori in base ai quali ricostruire la struttura interna di questo sistema. 2. In secondo luogo, parsons rende esplicità la necessità di mantenere analiticamente distinte cultura e società, egli sottolinea 4 sottoinsiemi che intervengono nell’azione sociale: a) la personalità b) la cultura c) il sistema sociale d) l’organismo biologico. L’organismo biologico svolge la funzione di adattamento stabilisce quindi un rapporto con l’ambiente fisico adattandosi ad esso e a volte trasformandolo. La personalità svolge la funzione del conseguimento, nel senso che essa mobilita le energie e le risorse necessarie a raggiungere gli scopi considerando la persona nel suo complesso. Si comporta in maniera specifica ad esempio il medico con il paziente, in maniera diffusa la madre nei confronti del figlio. Le norme anche se la sfera delle norme e quella dei valori non sono sempre concretamente separabili, da un punto di vista analitico il sociologo distingue le prime dai secondi in base al fatto che sono più specifiche e socialmente imperative di quanto non siano i valori. La sua efficacia sociale dipende dalla presenza di una sanzione, a differenza dei valori, la norma per essere efficace deve essere rinforzata da forme di controllo, la norma che impone o vieta un certo comportamento prevede una punizione (sanzione negativa) per chi non vi si conforma. Questo legame tra norma e sanzione è solitamente sotto forma di giudizio ipotetico, se A allora B. mentre i valori vengono appresi e interiorizzati presto nella vita di un individuo, le norme vengono apprese nel corso dell’intero ciclo vitale. Le norme si distinguono dalle massime di esperienza che come le prime producono uniformità nei comportamenti sociali. È difficile distinguere un comportamento dovuto da una norma da uno dovuto dall’esperienza. È difficile distinguere i comportamenti regolari dai comportamenti regolati, eppure la differenza esiste. Un criterio per distinguerli è di considerare il loro significato: se i soggetti si comportano in un certo modo per abitudine allora si tratterà di comportamento regolare, se invece seguono un modello di comportamento obbligatorio, il comportamento oltre che regolare sarà regolato da una norma. Gli scienziati sociali hanno classificato la varietà di norme sociali in alcuni tipi. Searle ha distinto le norme costitutive dalle norme regolative; le prime definiscono e creano una pratica che quindi non esiste prima delle regole che la mettono in essere. (le regole dei giochi, il matrimonio), le seconde regolano pratiche già esistenti. Si intende inoltre distinguere le norme in base al -contenuto e al grado di formalizzazione, in base al contenuto possono esserci molteplici tipi di norme, almeno quanti sono i contesti sociali che regolano. In base al - grado di formalizzazione, si possono distinguere le norme statuite da quelle consuetudinarie. Le prime promanano da un’autorità a cui è riconosciuto il potere di emanare norme, sono ritenute più vincolanti a livello sociale; le seconde si sviluppano spontaneamente e sono ritenute meno vincolanti. A un massimo grado di formalizzazione troviamo le norme giuridiche, emanate dal potere legislativo, al livello minimo di formalizzazione troviamo le norme della morale quotidiana o dell’interazione sociale, chiamate da Goffmann “microrituali”. Tra questi due poli troviamo una varietà di norme come quelle deontologiche che definiscono specifiche etiche professionali. Credenze Le credenze stabiliscono cosa sia la realtà intorno a noi. Troviamo tra queste la classificazione dei rapporti di parentela, la credenza nella reincarnazione etc. per far chiarezza in questo ambito variegato , vi è chi ha distinto tra credenze fattuali e rappresentazionali. Le fattuali sono cose che si sanno, mentre le rappresentazionali sono le opinioni, convinzioni. Le credenze sono sempre rappresentazioni mentali. Le prime sono definite anche proposizionali, in quanto bastano a identificare una sola proposizione, potremmo dire che il loro significato è univoco. Queste credenze sono sottoposte alla logica del principio di non contraddizione. A volte le norme e le credenze sono tra loro strettamente collegate, nel senso che le une implicano le altre. I simboli Il simbolo è stato spesso definito come un segno, sia convenzionale (matematica) sia analogico (capace di evocare una relazione tra un oggetto concreto e una realtà astratta). Nell’universo dei segni i simboli vanno separati dai segnali. Questi hanno un valore prevalentemente informativo. I simboli hanno un carattere diverso dai segnali:  In primo luogo, hanno un carattere intersoggettivo ossia sono condivisi da un gruppo sociale;  In secondo luogo, fanno parte della dimensione implicita della cultura, rappresentano un sapere che gli individui sono in grado di esprimere. I simboli secondo la semiologia sono significanti associati a significati taciti. La sociologia studia la funzione sociale e comunicativa dei sistemi simbolici che mettono in opera processi di identificazione. Il denaro diventa la più adeguata espressione simbolica della modernità. Dimensioni della cultura Dimensione di coerenza Nella teoria sociologica si è spesso confusa la coerenza del sistema culturale con l’integrazione della società, cioè con l’uniformità dei comportamenti assumendo che dall’una derivassero gli altri. Sorokin fu uno dei primi sociologi ad aver studiato le dinamiche dei processi culturali, aveva un’idea della cultura come di un insieme molto coerente. Altri autori come simmel hanno sostenuto che il conflitto non è sempre un fattore di disgregazione ma può essere un elemento di ordine. Aspetti contraddittori e conflittuali non riguardano solo gruppi diversi, ma possono essere presenti nello stesso gruppo. Weber sostiene che possono coesistere di fatto diverse concezioni del senso di un sistema normativo o addirittura una pluralità di sistemi contraddittori. Il grado di integrazione di una cultura varia da una cultura all’altra, è più elevato nelle società semplici rispetto che nelle società più differenziate. La crescita della complessità sociale cioè l’aumento della specializzazione e della possibilità di scelta dell’individuo, ha come esito un aumento del grado di differenziazione simbolica. Gli individui però si trovano sempre più spesso a confrontarsi con modelli culturali contrastanti il che genera forme di conflitto di identità e dissonanze di tipo cognitivo. Inoltre si è ipotizzato che in condizioni di complessità sociale la cultura collettiva sia caratterizzata da “alta indeterminazione” e da una situazione di eccedenza culturale che comporta una dilatazione dell’immaginario collettivo . nelle società complesse diventa quindi sempre più difficile la comprensione dei comportamenti in termini di conformità morale e giuridica. È per far fronte alla crescente complicazione della vita sociale che si sviluppa l’interpretazione. Bell definisce la cultura contemporanea come un “bazar psichedelico” e suggerisce che il capitalismo sia investito da contraddizioni culturali profonde. Dimensione soggettiva e oggettiva La cultura è collettiva in quanto le proposizioni da cui è costituita sono codificate entro rappresentazioni di gruppi sociali. La cultura è oggettiva nel senso che il suo significato è accessibile anche a chi non appartiene alla comunità, ciò non esclude che ad essa sia attribuibile anche una connotazione soggettiva quando si fa riferimento alle interpretazioni personali. Non tutti i sociologi sono d’accordo su questo punto, D. esclude che la cultura possa essere soggettiva, poiché secondo lui la sociologia è la scienza del collettivo e la psicologia dell’individuale. Diversamente da quanto sostenuto da D. altri autori hanno ritenuto che essa sia analizzabile sia soggettivamente che oggettivamente. Quando le proposizioni culturali sono apprese dai soggetti, il significato è collocato nelle loro menti, ciò vuol dire che esiste un livello soggettivo della cultura formato dalle rappresentazioni mentali degli attori sociali. Come dice Spiro: “se distinguiamo tra i significati dei simboli culturali e i significati che essi hanno per gli attori sociali, il ventaglio di significati che la cultura ha per gli attori sociali è più ampio del ventaglio di significati dei simboli culturali. Chiunque può imparare una cultura”. Dimensione esplicita e implicita Esiste una cultura tacita, non detta, che fa riferimento ai giudizi che gli attori esprimono in maniera regolare ma che non sempre sono capaci di argomentare. La cultura esplicita è quella apertamente divulgata, spesso elaborata in forma teorica e consapevolmente trasmessa. Molte norme e regole sociali si collocano invece al livello implicito, ad esempio riteniamo offensiva una frase detta in una determinata circostanza, pensiamo che essa violi un comune sentimento di convivenza ma non siamo in grado di dire su quale criterio fondiamo la nostra riprovazione. NATURA, CULTURA, SOCIETA’ CAP3 La definizione di cultura adottata dalla sociologia ha implicazioni riguardo ciò che il termine non disegna. Essa non comprende i comportamenti anche se può essere considerata un fattore di orientamento di questi. Le relazioni e le azioni sociali hanno caratteri e determinanti sia culturali sia non culturali. I modelli culturali quindi non possono essere semplicemente dedotti dai comportamenti manifesti. Questa è una prospettiva antibehaviorista ( per behaviorismo si intende una corrente di pensiero elaborata da studiosi americani nel 900 che rifiutava come oggetti scientifici i processi soggettivi). La distinzione tra cultura e società è quindi centrale per ogni analisi sociologica: mentre la prima fa riferimento a rappresentazioni sulla natura, la società fa riferimento alla struttura delle relazioni sociali. Questa distinzione implica un’autonomia della cultura e la necessità di considerare questo rapporto (cultura/società) come un rapporto bidirezionale. D. e Weber sono stati spesso considerati come interpreti di questo rapporto unidirezionalmente. D. avrebbe teorizzato la stretta determinazione sociale dei fenomeni culturali e weber avrebbe fatto il contrario, il ruolo dei fattori culturali sul comportamento sociale. L’esigenza di distinguere il piano culturale da quello sociale ha un riscontro concreto nello sviluppo sociale raggiunto dalla società moderna che crea nuovi livelli di autonomia e di specializzazione della cultura. Seguendo lo schema comparativo ed evolutivo di Parsons, l’evoluzione sociale ha comportato l’affermazione della cultura nella vita sociale. Ad esempio con la scrittura, la cultura è divenuta molto più stabile, secondo Parsons la scrittura ha reso possibile distinguere la cultura da altre sfere di azione creando la possibilità della sua affermazione come sistema. Secondo lui il passaggio alla società moderna è avvenuto con il diritto, anche il diritto ha accresciuto la stabilità della cultura, esso fissando regole e norme tende ad istituzionalizzare idee, con esso i costumi acquistano un riconoscimento che da loro efficacia e legittimità. Nelle società premoderne la socializzazione era attribuita alla famiglia, nelle società moderne nascono le scuole. L’esito di questo processo è una cultura autonoma, differenziata da altre sfere sociali La cultura come bussola Il livello inconscio è importante quanto il livello conscio nella cultura, in quanto attraverso i significati inconsci dei simboli la cultura si connette al mondo delle emozioni. È merito di Weber se i sociologi si sono resi conto dell’importanza delle azioni sociali, egli ha detto che la cultura è ciò che conferisce significato all’azione poiché è tipico dell’uomo dare un ordine ad un mondo altrimenti caotico. Dare senso al mondo è la caratteristica degli esseri umani in quanto tali. Molti altri autori hanno elaborato, sulla scorta delle riflessioni di Weber l’idea che la funzione della cultura consista nel dare senso alle azioni costituendo una sorta di “bussola” del comportamento. Geertz ha espresso questo concetto paragonando il ruolo della cultura a quello del software di un computer:” la cultura è concepita come una serie di meccanismi di controllo per orientare il comportamento”. Come mai ci serve una bussola per orientarci? Antropologi e sociologi studiando la posizione dell’uomo nel mondo animale sostengono la tesi che l’ordine culturale sia la risposta alla carenza dell’organizzazione istintuale dell’uomo. Negli animali i modelli di comportamento fanno parte della loro dotazione genetica, anche se gli scienziati hanno scoperto che alcuni dei loro comportamenti sono appresi, la maggior parte restano istintivi. Il comportamento umano è esente dal controllo genetico, ovviamente abbiamo dei comportamenti riflessi e delle pulsioni cioè dei bisogni biologici innati. Ma l’enorme varietà delle risposte che gli uomini hanno offerto per controllare l’ambiente non è imputabile alla loro costituzione biologica. Berger e Luckmann hanno descritto l’essere umano come “animale non definito”, un essere manchevole caratterizzato da una organizzazione istintuale non sviluppata che lo rende vulnerabile ed esposto al rischio ma lo dota però di una “apertura culturale” verso il mondo. L’uomo è rinviato costituzionalmente a oggettivarsi nel mondo e ad auto porsi dei vincoli normativi, culture degli immigrati. Un metodo qualitativo molto utilizzato fin dalle ricerche della scuola di Chicago è il metodo etnografico.  Il metodo strutturale di interpretazione dei simboli. Non solo i valori, anche i simboli sono stati studiati con metodi formali che rientrano tra le metodologie quantitative. Si tratta di studi che intendono individuali i significati istituzionali piuttosto che individuali, con l’obbiettivo di ridurre le complesse raccolte di dati in strutture di significato. Per lo strutturalismo- nella tradizione di De Saussure- il significato è costituito da distinzioni semantiche che differenziano tra loro: parole, segni, suoni. L’analisi fornita da questo tipo di rilevazione è quasi sempre un’analisi testuale.  Ricerca genetica sull’evoluzione delle norme La ricerca empirica comparata risponde alla domanda “perché?” configurazioni di valore si presentano in una società, quali sono i fattori che affermano la loro influenza sull’azione sociale. I metodi qualitativi di ricerca sui valori rispondono alla domanda su “come?” certe dimensioni si legano ad altre. Anche il metodo strutturale di interpretazione dei simboli, pur essendo formalizzato si pone il problema del come i codici simbolici si organizzano all’interno di un sistema culturale dato. La ricerca genetica invece si domanda il perché un dato fenomeno sociale si è evoluto nel tempo. Le origini vengono quindi radicate nel passato. Questo tipo di ricerca può riguardare ambiti diversi. (Max Weber origini dello spirito del capitalismo) un altro esempio illustre è quello di Elias sull’evoluzione delle norme dell’etichetta del medioevo all’800 nell’Europa occidentale. Come è stato possibile raggiungere quel grado di civilizzazione che oggi conosciamo? La sua tesi è basata su una documentazione storica, basta su opere letterarie che offrono testimonianze sui modelli di comportamento. LA DIFFERENZIAZIONE CULTURALE NELLE SOCIETA’ MODERNE Il pluralismo culturale Le società occidentali contemporanee non sono del tutto omogenee. I moderni stati-nazione nascono dall’unificazione politica di gruppi e popolazioni spesso eterogenee per quanto riguarda l’etnia, la lingua, la religione. A queste differenze “originarie” se ne sono poi aggiunte altre create dalla divisione del lavoro e dalla secolarizzazione, differenze legate alla classe sociale, alle generazioni, alle religioni. A queste distribuzioni corrisponde da un lato una diversa distribuzione sociale della conoscenza, dall’altro una diversità per quanto concerne i valori e le norme sociali. Per descrivere questo fenomeno si utilizza l’espressione “pluralismo culturale”. Non solo nelle società moderne vi sono pluralità di opzioni, anche nelle società agricole del passato esisteva una forte differenziazione culturale, ma con caratteristiche diverse dal pluralismo moderno. In queste società la cultura era segmentata orizzontalmente, era possibile stabilire tra la popolazione nette divisioni di stato e mantenerle senza creare conflitti. Le cose cambiano con la società industriale che è mobile e instabile. Nelle società industriali vengono rafforzate le linee divisorie tra nazioni, mentre quelle tra classi sono più flessibili e modellabili. Se è stato possibile identificare cultura con nazione è perché il nazionalismo del 19 secolo è l’imposizione di una cultura superiore in una società in cui in precedenza culture inferiori dominavano la vita della maggioranza della popolazione. Ciò che ha creato l’idea di “omogeneità culturale” è la diffusione generalizzata di una lingua trasmessa da istituzioni predisposte allo scopo. Il pluralismo è legato ad una società industrializzata in cui esiste un’alta mobilità geografica e sociale. Durkheim e Simmel avevano colto due caratteristiche di questa nuova complessità sociale: la prima riguarda l’aumento del numero e della varietà degli elementi del sistema, la seconda riguarda la moltiplicazione delle relazioni di interdipendenza. È in questo quadro che si ridefiniscono i rapporti tra individuo e società. Simmel osserva che nella società premoderna, l’individuo non usciva mai dal proprio mondo, con la complessità sociale l’individuo si trova a partecipare a più gruppi e associazioni che possono avere uno scarso rapporto reciproco. Il termine pluralismo sottolinea due aspetti della cultura moderna:  Il primo è la coesistenza di diversi sistemi simbolici  Il secondo è costituito dalla specifica situazione dell’individuo che difronte alla pluralità di opzioni è portato a pensare che la scelta tra valori diversi sia irrinunciabile. Il pluralismo diventa quindi un ideale della società moderna. Subculture Il termine subcultura ha assunto nel tempo significati diversi  Il primo è indicato dal prefisso “sub” che descrive la cultura di un gruppo come subalterna rispetto alla cultura nella sua interezza, essa si presenta quindi come una “nicchia” della cultura in senso intero. I gruppi che appartengono alle subculture sono definiti dagli altri e da se stessi come “devianti” rispetto ai fini e alle norme della società. Questo è ad esempio il caso delle subculture delinquenti.  Il secondo tratto distintivo è che il concetto subcultura si basa su differenze di classe, di etnia, di età o semplicemente geografiche; una subcultura quindi è un settore ben determinato di una cultura che l’ingloba rispetto alla quale non è autonoma.  Il terzo tratto è stato messo in luce da Cohen “ queste sottoculture hanno in comune una cosa, vengono acquisite solo per interazione con quanti già condividono il modello culturale” perché si possa parlare di subcultura quindi bisogna che ci sia un’interazione al livello microsociale che esprimono specifici modelli culturali. Essa presenta aspetti di coesione che la avvicinano ad una comunità, essa però rispetto alla comunità non è sempre stabile nel tempo ed è in gran parte separata dalle relazioni familiari. Lo studio delle subculture ha origine nella scuola di Chicago in un periodo che va dagli anni ’20 agli anni ’60. È con lo studio di Cohen sulle bande giovanili che popolano i quartieri della malavita che viene esplicitato il concetto di subcultura. Egli sostiene che le subculture emergono dall’interazione di attori sociali che hanno simili problemi di adattamento sociale, si tratta quindi di una strategia collettiva di risoluzione ai problemi. Un secondo importante filone di ricerca delle subculture è legato al centre of contemporary cultural studies dell’università di Birmingham, il fuoco qui si sposta sulle subculture giovanili, l’approccio teorico è influenzato dal marxismo, il marxismo di Williams viene integrato con quello di Antonio Gramsci entro una prospettiva che privilegia l’analisi interdisciplinare. Le subculture giovanili hanno una collocazione di classe: classe operaia, essi adottano tratti della cultura dominante rielaborati. La subcultura costruisce la sua specifica identità attraverso l’uso di oggetti, la predilezione di un certo tipo di musica combinati in maniera da formare uno stile distintivo. Tali subculture hanno una base economica nella società degli anni ‘50/’60, nella crescita del reddito disponibile per gli adolescenti della classe operaia. Si è aperto nell’ultimo decennio un interesse per le culture urbane. Cultura alta, cultura popolare, cultura di massa La sociologia ha cercato di operare una distinzione tra “cultura alta, cultura popolare e cultura di massa”. Il dibattito sulla cultura di massa inizia negli anni ’20 con l’avvento della radio, del cinema, con la nascita del fascismo e del suo uso propagandistico dei nuovi mass media ed emerge pienamente negli anni ’50 quando si afferma l’industria della cultura volta alla produzione e al consumo di massa. La necessità di distinguere tra cultura alta e cultura popolare nasce dalla separazione tra la società del passato e quella attuale. Nella società preindustriale e premoderna ad una cultura alta(arte) si affiancava una cultura di costumi e tradizioni locali. Il passaggio alla società industriale con la creazione di una produzione industriale di massa produce degli effetti negativi sulla cultura popolare che subisce una metamorfosi in direzione di una degenerazione. I suoi caratteri sarebbero la passività, la sottomissione alla logica del consumo, la standardizzazione e la superficialità. Volendo dare una definizione della cultura di massa si potrebbe dire che essa è “ la cultura popolare che è prodotta dalle tecniche industriali di produzione di massa che è venduta al fine di ottenere un profitto al pubblico di massa dei consumatori”. La nozione “cultura di massa” ha insieme un carattere descrittivo e valutativo: descrive le caratteristiche che la cultura assume quando emerge un nuovo ordine della società (società di massa) dall’altro la considera negativamente come degradata rispetto alla cultura elevata propria dei ceti intellettuali. Si possono notare delle somiglianze tra la cultura di massa e la “semicultura” proposta dalla scuola di Francoforte i cui principali protagonisti si erano trasferiti in America a seguito delle persecuzioni razziali. Sono alcuni dei principali esponenti di questa scuola ad aver analizzato e criticato” l’industria culturale” basata su mezzi di comunicazione di massa a cui si attribuisce il ruolo di manipolazione. La cultura viene ridotta a merce sostituendo il valore d’uso dei beni culturali con il loro valore di scambio, la trasformano in semicultura, cioè una cultura frammentata. La nozione di “cultura di massa” non è precisa ed è ambigua, rinvia allo stesso tempo a proprietà qualitative della cultura, ai mezzi attraverso i quali è trasmessa e alle modalità della recezione e del consumo da parte degli utenti.  Se i messaggi hanno una certa uniformità questo non significa che essi siano recepiti in maniera uniforme dagli individui. Katz e Lazarsfeld hanno mostrato attraverso una ricerca sui flussi di influenza in una città degli stati uniti che il pubblico dei mass media non è un pubblico atomizzato come si pensa parlando di “massa” e che i messaggi vengono recepiti in maniera selettiva dagli individui. Fra i mezzi di comunicazione e la massa si interpone una rete di relazioni che è in grado di mediare i messaggi. L’influenza esercitata dai mezzi di comunicazione di massa avviene in maniera indiretta attraverso i “leader d’opinione”, i contesti sociali e il gruppo in cui l’individuo è inserito.  In secondo luogo, l’idea di una cultura di massa orientata verso il basso che presuppone una distinzione tra una cultura alta ed una popolare non risponde all’esigenza di analizzare i rapporti tra cultura alta e popolare e di evitare il rischio sia di annullarli in una onnicomprensiva cultura di massa sia di considerarli domini culturali distinti e chiusi. La cultura dotta e la cultura popolare sono e sono state in comunicazione. I nuovi studi sulla cultura popolare che si richiamano alla tradizione sociologica americana della scuola di Chicago hanno criticato l’uso del concetto di cultura di massa, mantenendo la distinzione tra cultura alta e cultura popolare ne hanno messo in luce i rapporti reciproci e le trasformazioni nei sue sensi, di “ascesa” dei contenuti della cultura popolare e di “discesa” di quelli della cultura alta. Va osservato che gli studi sociologici più recenti hanno finito per ribaltare l’approccio critico della scuola di Francoforte per la cultura di massa e ai prodotti dell’industria culturale. Essi mettono in luce che tra l’industria culturale e i molteplici che recepiscono e consumano si instaura un rapporto reciproco in cui i riceventi istaurano un ruolo più attivo di quanto si supponesse in passato. I significati dei prodotti dipendono dal contesto della loro fruizione. Cultura e classi sociali Anche la distinzione tra cultura alta e cultura popolare risulta imprecisa. Molti autori ritengono che sia preferibile distinguere la cultura in base al settore centrale o periferico dell’industria che la produce. Secondo questa prospettiva si dovrebbe distinguere tra le culture urbane( prodotte dall’industria culturale centrale, il cui pubblico è ancora specificato per classe) e culture periferiche in cui la classe sembra aver perso importanza. Questa distinzione riguarda specificatamente i prodotti dell’industria culturale verso cui si esprimono le preferenze o i gusti dei consumatori. La sociologia però ha sviluppato una prospettiva più generale che collega la variabilità di valori e tendenze di una società che orientano in parte le scelte di consumo. I valori e le tendenze seguono le linee di divisione sociale. Alcuni pensano che anche il genere predispone ad attribuire maggiore importanza a determinati valori. Tuttavia sono le condizioni sociali ad essere prese maggiormente in considerazione, in particolare la classe sociale e le generazioni. Classe e coscienza di classe secondo Karl Marx Le società complesse sono caratterizzate da una stratificazione sociale ossia da una struttura di disuguaglianze economiche e sociali. Queste disuguaglianze vengono riassunte con il nome di “classi”. Karl Marx che fu un teorico e un attivista politico ci ha lasciato una serie di considerazioni sia dal punto di vista filosofico che storico-sociologico sulle classi sociali. Queste hanno influenzato anche i teorici che hanno trattato dopo di lui lo stesso problema. Anche se Marx non ha mai definito in maniera precisa il concetto di “classe”, le classi sociali sono al centro di tutta la sua opera. Esse hanno un fondamento economico in quanto dipendono dalle forme di controllo che caratterizzano le relazioni di produzione. Per lui nella società capitalistica vi sono due tipi di classi principali: la borghesia che è proprietaria dei mezzi di produzione, e il proletariato che possiede solo la forza lavoro ed è costretto a venderla per sopravvivere. Secondo Marx è tra la lotta di queste due classi sociali nella dialettica tra rapporti di produzione e crescita attraverso i gusti e le preferenze di costumi che nelle società capitalistiche contemporanee si combatte una lotta da parte delle classi superiori per distinguersi dalle altre e per affermare il proprio sistema di classificazione sociale. Il gusto trasforma le cose in segni distinti e distintivi ed è quindi una vera a propria arma sociale. B. rileva tre differenti maniere di affermare la propria distinzione rispetto alla classe operaia. alimentazione, presentazione, cultura. Esiste inoltre una stretta correlazione tra capitale culturale e gusti artistici come ad esempio i gusti musicali, musica classica nelle classi sociali più alte e musica western in quelle più basse. Alle culture di classe si sostituiscono le culture di “gusto” i cui membri sono accumunati da stili di vita che attraversano diverse classi sociali. Nel riconoscimento di un affievolirsi del rapporto tra classi sociali e consumi si muovono una serie di ricerche che ridimensionano le tesi di bourdieu di una costruzione di classe gerarchica del gusto, mettendo in luce la dinamicità dei consumi. Vanno ricordati gli studi sul consumatore “onnivoro” di Peterson , questi mostrano l’affermarsi di uno stile “onnivoro” che privilegia la varietà e la mescolanza di prodotti diversi rendendo difficile una corrispondenza tra gerarchia sociale e culturale. Nelle società post industriali la crescita del tempo libero comporterebbe un legame più stretto con il consumo di oggetti materiali che diventano segni di distinzione e di appartenenza. Selo stile di vita in B. era legato alle classi, in altri autori diventa legato direttamente all’identità culturale. Vi è ancora un lungo lavoro da fare di tipo teorico per arrivare a una teoria soddisfacente della cultura delle società industriali avanzate o post industriali. Mcclelland riprende le tesi di W. Sullo spirito del capitalismo e definisce la società industriale contemporanea “the achieving society” in quanto ritrova nella sua cultura il valore dominante dell’achievement ovvero l’ispirazione al successo. Egli mostra una forte presenza di “achievement” nei sistemi educativi delle società altamente industrializzate. Tuttavia la cultura delle società industriali presenta delle ambivalenze. L’aspirazione al successo non coinvolge allo stesso modo tutti gli strati sociali, quelli situati al livello più basso della stratificazione sociale sono meno motivati. Dagli anni 70 in poi Inglehart ha sostenuto che una rivoluzione silenziosa ha sostituito i valori materialisti dominanti con valori post materialisti basati sulla qualità della vita e la difesa della natura. Ciò che interessa mostrare è che sembra essersi verificato un rovesciamento nel rapporto tra orientamenti di valore e stratificazione sociale. I valori post materialisti sono permeati nelle classi sociali medio alte, negli anni 80 i valori post materialisti superano quelli materialisti nelle classi sociali sopra citate. Lo studioso ritiene che ci sia una dinamica generazionale dovuta alla particolarità di generazioni nuove cresciute in un periodo di pace e benessere. Cultura e generazioni Solitamente utilizziamo il termine “generazione” per dare senso alle differenze tra diversi gruppi di età. Il trattamento più sistematico si deve a Karl Mannheim che in “il problema delle generazioni” affronta la generazione da un punto di vista sociologico. Egli inizia il suo saggio con una critica ai due diversi modi di affrontare il tema delle generazioni, quello positivista e quello romantico storicista. Secondo i positivisti la generazione è una realtà solo biologica, è tuttavia difficile anche per loro stabilire la durata di una generazione che viene stabilita sempre in modo diverso. La seconda concezione viene criticata perché intende la generazione come un’entità spirituale misteriosa. L’intervallo di tempo che separa le generazioni è un tempo in cui si ha un’esperienza soggettiva, essa è quindi un’unità temporale storicamente costruita. Far parte della stessa generazione significa condividere le stesse esperienze significative. Il problema delle generazioni va compreso nell’ambito storico-sociale. M. distingue tra collocazione e gruppo concreto la collocazione indica una condizione comune a più individui che restringe la gamma di modi per interpretare la realtà socio culturale, la collocazione predispone verso determinati modi di pensare e comportarsi, in una collocazione ci si ritrova senza averne coscienza, il gruppo concreto è invece formato da individui che hanno coscienti relazioni tra loro. Egli distingue inoltre legame di generazione e unità di generazione; il primo indica la possibilità che persone di una stessa generazione prendano parte a problemi comuni del periodo storico in cui vivono. Le unità generazionali sono gruppi che elaborano diversamente le stesse esperienze e risolvono diversamente gli stessi problemi in funzione ad esempio delle loro esperienze formative. Nella generazione si intersecano due strutture temporali, quella della biografia individuale e quella della storia della società. Una generazione è composta quindi da persone ceh hanno più o meno la stessa età e che hanno vissuto gli stessi eventi politici rilevanti. Secondo Merton i gruppi dei giovani devianti si collocano come “innovatori”, aderiscono alle mete culturali dominanti nel mondo adulto ma rifiutano i mezzi prescritti. Secondo Erikson la gioventù è una fase distints , diversa dall’infanzia e dall’età adulta solo nelle società capitalistiche avanzate. La gioventù è libera da obblighi specifici, a questo esito ha contribuito la secolarizzazione di massa e l’allontanamento dall’ingresso del mondo del lavoro. L’aspetto che viene sottolineato è il declino del controllo familiare. La crisi di identità attraversata dai giovani di oggi è secodo lui la conseguenza della creazione della gioventù come fase di attesa Cultura e identità  L’identità personale è sempre anche sociale nel senso che è formata dalle molteplici appartenenze dell’individuo. Nella vita ci consideriamo membri di numerosi gruppi che possono essere molto diversi tra loro, ma ognuno di essi contribuisce a conferirci una identità e nessuno di essi può essere considerato come unica categoria di appartenenza.  Vi è una seconda ragione che spiega il rapporto tra appartenenze e identità , l’identità non riguarda solo gli individui ma gli interi gruppi sociali che accentuano la propria differenza rispetto ad altri gruppi e favoriscono il sentimento di appartenenza. Non è sempre vero che diversità culturali assumono il carattere di identità collettive. Affronteremo diversamente la questione di identità e quella di identità culturale. L’identità presenta due volti solo in apparenza opposti:  Il primo sottolinea l’uguaglianza con gli altri  Il secondo la differenza dagli altri, gli aspetti che ci rendono persone uniche e irriducibili. L’identità risulta composta da l’identificazione e l’individuazione. L’identità indica la capacità di un soggetto di stabilire una continuità temporale, essa svolge una funzione locativa colloca il soggetto in un sistema di relazioni tracciando dei confini, distinguendo tra se e gli altri e una funzione integrativa in quanto consente di stabilire una discontinuità con l’altro e una continuità con se stessi. Queste due dimensioni riguardano anche i gruppi sociali. Molti di questi sono caratterizzati da un’identità collettiva che consente di delineare i confini del gruppo e quindi di identificarlo e distinguerlo dagli altri gruppi. La differenza tra l’identità personale e l’identità collettiva non riguarda le dimensioni analoghe ma la loro diversa collocazione. Mentre le due componenti del sé soggetto/persona sono nella medesima unità fisica, nel soggetto collettivo no. L’identità di una persona è l’esito di un processo di socializzazione quella del gruppo rappresenta il prodotto di un processo storico. L’identificazione e l’individuazione tendono a raggiungere un equilibrio. Per quanto riguarda le migrazioni, le cose sono cambiate dagli studi della scuola di Chicago, oggi la maggior parte dei paesi è caratterizzata da diversità etniche e culturali, la nuova importanza assunta da queste differenze dipende da due processi distinti:  Il primo processo riguarda i flussi migratori dal sud e dall’est del mondo verso il nord e l’ovest più sviluppati economicamente, favorita dall’accelerarsi della globalizzazione. Era entrata in uso l’espressione americana “melting pot” (assimilazione delle diverse culture in una unica) a partire dagli anni 70 l’atteggiamento assimilazionista è stato abbandonato per consentire agli immigrati di conservare aspetti della propria cultura come la religione o l’alimentazione  Il secondo processo riguarda la persistenza e la rivitalizzazione di comunità e popoli contraddistinti da specifiche differenze linguistiche che costituiscono delle “minoranze culturali” la loro storia è quella della conquista o della colonizzazione. Per esprimere entrambi i processi si usa il termine “società multiculturale” SOCIETA’ E CULTURA: COME LA SOCIETA’ INFLUENZA LA CULTURA Quattro approcci teorici Si è detto che la sociologia della cultura si occupa dei rapporti che esistono tra la cultura e specifici contesti storico sociali, il rapporto è molto complesso e non è a senso unico; l’idea è che i valori, simboli credenze etc operino entro contesti e forme di vita sociale, essi diventano comprensibili se considerati parte di un sistema più ampio. Ad esempio Elias dice che “le buone maniere” sorgono in contesti sociali particolari, d’altro canto la cultura influisce sulle relazioni sociali, vuoi conferendo loro stabilità vuoi favorendo la diffusione di certi comportamenti. Il rapporto tra cultura e società è quindi bidirezionale. Le più importanti questioni sollevate dalla tradizione sociologica possono essere definite sotto tre principali titoli che riguardano questo rapporto: a) La dipendenza, la cultura viene presa in considerazione come una variabile dipendente ovvero essa si può spiegare e comprendere in base ad altri fattori. Si può dire che dalla sociologia classica l’interesse riguardava proprio il rapporto dalla società alla cultura che implica lo studio dei modi in cui i contesti sociali influenzano la cultura. b) Il ruolo, in questo caso la cultura è intesa come una variabile indipendente ovvero una variabile che spiega altri aspetti e comportamenti sociali come la ricerca di Weber sul rapporto tra etica protestante e capitalismo. c) I processi sociali, mentre la prima questione riguarda la genesi delle forme culturali, la seconda riguarda gli effetti, questa riguarda i meccanismi attraverso i quali la cultura entra a far parte dell’universo soggettivo delle persone. Si può prendere in considerazione l’uno o l’altro modo di concepire il rapporto ma non bisogna definirlo un rapporto unidirezionale. I programmi di ricerca oggi conferiscono un carattere bidirezionale al rapporto tra cultura e società anche se poi si occupano solo di uno dei due sensi. Vi sono però state teorie che postulano qualche tipo di determinismo e che pretendono quindi di stabilire delle relazioni univoche fra dati strutturali e forme culturali. La sociologia è stata influenzata da teorie filosofiche unidirezionali che sono state poi riprese recentemente. La tradizione sociologica tedesca si è misurata con il dibattito idealismo/ materialismo. Weber e Simmel hanno preso le distanze dall’idealismo con cui spesso sono stati identificati. Ma anche la tradizione sociologica francese è stato spesso identificata con la posizione deterministica opposta ovvero con il determinismo sociale e non sempre a torto: basta pensare a D. con le rappresentazioni collettive come prodotti dell’organizzazione sociale. Molti punti dell’opera di D. però affrontano la questione dell’autonomia relativa alla cultura. La discussione scientifica si è spostata sull’altro asse: influenza reciproca/autonomia. Si possono individuare 4 modelli principali che riguardano l’emergere delle forme culturali: modelli funzionalisti, modelli causalisti, modelli interazionisti, modelli strumentali; un quinto modello strutturalista potrebbe essere tralasciato perché non si occupa di chiarire i rapporti tra contesti sociali e struttura. La cultura può emergere attraverso associazione di azioni di individui e gruppi, l’attore sociale può essere inteso come attivo, ossia che attribuisce significato alle proprie azioni o come un soggetto passivo dominato da forze che sfuggono alla sua consapevolezza. Modelli funzionalisti: il termine funzionalismo nasce negli anni ’30, le scienze sociali intendono individuare la funzione che la cultura svolge nello stabilire e mantenere il sistema sociale. Malinowski sosteneva che la funzione della cultura fosse la capacità di soddisfare i bisogni degli individui, secondo Brown la funzione si raggiugeva attraverso la conservazione della struttura sociale complessiva. La prospettiva di quest’ultimo segue quella di D. che aveva sottolineato la funzione integrativa della religione che rafforza i legami che connettono l’individui alla società in cui vive. I simboli sono indispensabili al mantenimento dell’ordine sociale. In questo modello sono compresi Parsons e Merton che presentano due modi diversi di intendere il termine “funzione”:  Parsons riferendosi alla propria posizione con il termine struttural-funzionalismo cerca di stabilire una congruenza tra il sistema di valori e la struttura sociale. L’analisi funzionale consiste nel presentare le norme deontologiche come soluzione ai problemi di asimmetrie di potere da cui è caratterizzata la relazione tra professionista e cliente. Ideologia come sistema culturale Che cosa è l’ideologia? L’ideologia come termine viene usato in una varietà di accezioni, nelle diverse accezioni che si sono succedute nel tempo, si coglie la preoccupazione di individuare i mutati fattori nell’interpretazione di fenomeni ideologici. L’identificazione di un fenomeno ideologico nasce dalla percezione che le religioni cristiane, nei paesi occidentali entrano in competizione con altre fonti di legittimazione che fondano la vita sociale su sistemi di idee e di valori secolari. Toynbee parla delle ideologie post cristiane rifacendosi al nazionalismo, all’individualismo liberale e al comunismo. Si può non essere d’accordo sull’idea che le ideologie sostituiscano le religioni. I criteri che consentono l’individuazione di una ideologia sono: a) una visione del mondo con una grande coerenza interna; b) prodotto da gruppi di intellettuali ma diffuso in tutta la popolazione; c) ha la funzione di legittimare o giustificare i rapporti di potere; d) si richiamano all’autorità scientifica e nona fonti ultraterrene. Il concetto di potere e quello di ideologia sono sempre strettamente legati. Il potere indica la capacità di un individuo di far valere i propri interessi anche di fronte alla resistenza altrui, l’esercizio di potere comporta spesso l’uso della forza e della violenza ma è accompagnato dallo sviluppo di idee he giustificano l’azione di chi lo detiene. La risorsa autentica è la “legittimità” concetto utilizzato da Max Weber. Un potere diventa legittimo quando è capace di far accettare le proprie posizioni come ben fondate. L’ideologia è un tipo possibile di giustificazione del potere su cui chi detiene il potere fonda la sua legittimità. ( ideologia di colonizzare territori selvaggi per civilizzarli). Un’osservazione sulla legittimazione svolta dall’ideologia è stata fatta dal sociologo Luhmann che la distingue dalla legittimazione per convinzioni e valori tradizionali. Egli la chiama “legittimazione ponderata” sottolinea che l’ideologia stabilisce una graduatoria dai valori delimitando le conseguenze delle azioni che vale la pena prendere in considerazione. L’ideologia stabilendo un ordine di priorità integra valori contraddittori attribuisce loro ambiti segmentati di validità e scarta alcune possibilità di azione. Le ideologie secondo lui costituiscono la condizione dell’azione razionale e sono una componente essenziale della tecnica sociale moderna. Questa osservazione basterebbe a rispondere alla tesi della fine delle ideologie che sosteneva che la struttura dello stato del benessere avrebbe risolto le più importanti questioni sociali sostituendo il ruolo degli ideologi con quello degli esperti. Esempi opposti di legittimazione ideologica del potere sono stati il comunismo di Stalin e Lenin e il nazionalsocialismo entrambi mantennero caratteri mitico religiosi che hanno fatto parlare alcuni studiosi di “religioni politiche”. L’esempio del nazionalsocialismo consente di rilevare con chiarezza gli aspetti centrali di un sistema ideologico perché sono “radicalizzati”. Concezioni e modi di operare dell’ideologia Lo studio dell’ideologia ha seguito diversi percorsi teorici di ricerca a partire dall’età dell’illuminismo borghese fino ad oggi. Si possono individuare 4 concezioni principali di ideologia ad esse corrispondono diverse ipotesi sul modo di operare. L’ideologia come difetto della ragione L’identificazione del fenomeno dell’ideologia ha riguardato le forme distorte del pensiero e le cause che producono tale distorsione. Il vero anticipatore della problematica ideologica è stato Francesco Bacone che aveva elaborato una teoria degli “idola” a cui si sono successivamente rifatti anche Marx ed Engles. Egli voleva analizzare gli elementi che possono influire sul pensiero umano. Bacone distingue 4 tipi di Idola, a) gli idola tribus (si basano sulla natura umana); b) gli idola specus (propri del singolo individuo); c) gli idola fori (derivano dal carattere sociale dell’esistenza umana); d) gli idola theatri (sorgono dalle idee e dalle opinioni tradizionali). Bacone apre la strada alla concezione secondo cui il pregiudizio si fonda su un complesso di impulsi irrazionali condizionati dagli interessi di dominio. In questa prospettiva, il pregiudizio viene considerato come una consapevole manipolazione. Il limite principale di questa impostazione risiede nell’idea semplicistica che un’ideologia si possa imporre ad un gran numero di persone attraverso l’inganno e la menzogna consapevole. Sappiamo invece che il miglior modo per persuadere gli altri è credere in quello di cui si vuole convincere. L’ideologia come falsa coscienza con Marx l’ideologia assume un carattere storico e sociale, l’ideologia viene vista in due modi diversi:  In” l’ideologia tedesca” l’ideologia è intesa come pensiero metafisico che capovolge i rapporti reali. All’origine del capovolgimento esiste un processo storico concreto individuato nella divisione del lavoro che separa il lavoro materiale da quello intellettuale e crea una categoria di individui occupati nella produzione di idee  C’è anche un altro tipo di capovolgimento ideologico analizzato ne il capitale che Marx chiama “reificazione” o “feticismo delle merci” questo teorizza il fatto che l’ideologia nel sistema capitalistico tratta i rapporti tra persone come fossero rapporti tra cose. L’idea marxiana che il modus operandi dell’ideologia sia la reificazione è stata ripresa ed estesa da numerosi autori per designare le forme di destoricizzazione, quando una certa situazione, esito di un processo storico o sociale viene trattato come un fenomeno naturale. In tutti e due i tipi di ideologia essa opera alle spalle di soggetti. L’ideologia è in termini di Marx una falsa coscienza ossia una rappresentazione falsa che si produce senza che ci la produce sappia della sua falsità. Marx utilizza un approccio causalista allo studio dell’ideologia. L’ideologia di Marx non è solo il risultato della divisione del lavoro è anche una condizione per il funzionamento del sistema della classe dominante, In quanto nasconde la reale relazione tra le classi facendo apparire armoniosi i rapporti in realtà conflittuali. L’universalizzazione degli interessi particolari (gli interessi di alcuni vengono visti come interessi collettivi) è un altro ripico modo di operare dell’ideologia. Ideologia come razionalizzazione L’oggetto più importante del trattato di sociologia di Pareto è l’analisi dell’uomo in quanto animale ideologico anche se egli non usa mai il termine ideologia. Secondo Pareto gli umani si distinguono dagli animali perché pur agendo mossi da impulsi ed istinti si affannano di presentarli sotto forma di ragionamenti razionali. Le forme ideologiche che lui chiama “derivazioni” operano come razionalizzazioni a posteriori da meccanismi psichici, gli uomini quindi non ne hanno coscienza, cosi come avviene per la falsa coscienza di Marx ma in quel caso i meccanismi non sono psichici ma sociali. Esse sono quindi pseudoragionamenti ovvero credenze fragili che tentano di attribuire nessi causali dove in realtà non ci sono. Esistono tre livelli attraverso cui le ideologie possono essere analizzate:  L’aspetto oggettivo (in base al nesso logico o non logico attraverso cui i dati sono collegati)  L’aspetto soggettivo (in base alle ragioni che gli individui hanno per accogliere l’ideologia)  Per la loro utilità sociale (quanto esse influiscano positivamente o negativamente sulla società) L’ideologia come concezione del mondo di un’epoca Manheim pensa che bisogna passare da una concezione particolare dell’ideologia (intesa come semplice menzogna) alla concezione totale dell’ideologia. Dobbiamo quindi iniziare ad affrontare la realtà di un’intera epoca storica o gruppo sociale. Egli prende posizione per un metodo interpretativo per lo studio dei prodotti culturali.
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