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appunti storia comparata dell'arte contemporanea, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

appunti delle lezioni del corso, a.a. 2023/2024 (III periodo). manca la lezione con intervento dell'ospite.

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 28/06/2024

beatricedalbello
beatricedalbello 🇮🇹

4.4

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21 documenti

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Scarica appunti storia comparata dell'arte contemporanea e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! STORIA COMPARATA DELL’ARTE CONTEMPORANEA Prof.ssa Cristina Baldacci A.a. 2023/2024 Lezione 1 05/02 Copertina del corso -> Pierre Huyghe, Untitled (Human mask), 2014, mostra a punta della dogana, biennale. Retrospettiva monografica. Relazione e comparazione tra storie dell’arte diverse, non solo contesti culturali, ma anche pratiche e linguaggi, che avviene a partire dal 1989. Crollo della grande divisione, politica, sociale e culturale, con cui si identifica la nuova apertura dell’Occidente al resto del mondo. Si aprirà anche questione del Global South. Da questa data inizia fenomeno (n.b. data emblematica, si tratta di un processo, che ha una sua continuità, che non nasce improvvisamente) del mondo globalizzato. Altra rivoluzione (consolidamento tra anni ’90 e inizio del nuovo millennio) = passaggio al digitale, la grande diffusione delle tecnologie digitali. Quindi ampio spettro sulle arti. Attenzione anche sulla maggiore mobilità degli artisti, a partire proprio da questa apertura, sia effettivamente fisica nel mondo, quindi dal punto di vista geopolitico, sia virtuali grazie alle nuove tecnologie. Circolazione maggiore delle informazioni, sapere condiviso. Altra immagine, frame tratto dal film Untitled (human mask): emblematico perché la protagonista è una scimmia che indossa una maschera che ricorda un volto privo di espressione tipico del teatro giapponese ma non solo, anche d certi avatar del mondo tecnologico. Riferimento a una relazione tra umano e non umano (ambito del post-umano che verrà analizzato durante il corso), perché il primate nostro antenato che indossa maschera umana, inespressiva, e che quindici atteggia da essere umano e soprattutto relazione con i grossi sconvolgimenti dell’ambiente, perché film ambientato a Fukushima, 2011 un episodio tragico legato al cambiamento climatico, tsunami che distrugge centrale nucleare. Disastro ecologico e nucleare che ha inciso ancora di più sul paesaggio. Quindi relazione tra paesaggio naturale e antropico. Due motivi per cui questo film è importante, è del 2014. Altro motivo, non si parla più di una sola storia dell’arte, che si rende evidente a cavallo tra le prime e le secondo avanguardie e in generale con il prendere piede del modernismo. Altra rivoluzione fondamentale = nascita della fotografia, dalle conseguenze importantissime (precedente quella digitale). Inoltre, negli ultimi decenni, anche la storia dell’arte si è allargata, meglio parlare di storie delle arti, ci sono più prospettive e narrazioni. Necessità di aprire archivi e nuove collezioni museali verso nuove prospettive. Altri due filoni tematici del corso, che diventano anche percorsi metodologici: da un lato il discorso postcoloniale, cosa succede nel momento in cui il mondo si apre all’extraoccidentale e l’occidente che si deve confrontare con ciò che ha commesso con il colonialismo, dall’altro quello che parte con i femminismi e arriva all’apertura di tutte le questioni di genere, la “queerizzazione” dell’arte, termiche che se applicato all’arte e cultura vuol dire proprio scardinare la dualità per molto tempo ritenuto unico, tra est ed ovest, tra maschile e femminile, per andare ad analizzare tutte le sfumature che esistono in questa dualità, superata. Post-umano inteso in due modo: sia relazione tra umano e nove tecnologie, sia l’umano e il non umano, quindi tutti gli esseri viventi e non che fanno parte del nostro mondo. Perché l’arte è una finestra che aiuta a guardare il mondo da queste recenti prospettive? Perché gli artisti con le loro ricerche sono quasi come delle cartine di tornasole, specchio di quello che succede o che succederà, essendo i primi talvolta a toccare certe questione, non sempre neanche consapevolmente. Cartellone della Biennale del 2024. Curatore brasiliano, Adriano Pedrosa, direttore artistico. Dal 2014 direttore del MASP, uno dei musei più importanti di San Paolo. Questa biennale ha titolo emblematico e attuale (e anche le due precedenti compresa quella di architettura di quest’anno), porta avanti discorso che ha una sua continuità. Stranieri ovunque = biennale che apre discorso dal punto di vista delle storie delle arti. Questa allargamento ulteriore verso storie e pratiche artistiche contemporanee, inclusive, sarà una biennale di outsider, spesso sono stati lasciati ai margini della storia dell’arte, di queer e di indigeni, per cui si aprono tutte altre narrazioni, che riguardano quelle culture e prodotti artistici extraeuropei rivalutati a partire dalla decolonizzazione. Gli oggetti prodotti da altre culture indigene, oggi dei native countries, erano conosciuti, perché riempivano ad esempio i musei etnografici, ma obiettivo di guardarli con un occhio diverse, grosso lavoro di revisione, incominciando a collocarli in modo corretto all’interno di una storia delle arti e di una certa cultura visuale, ora da definirsi globale. Il titolo della biennale dunque legato sia effettivamente agli altri, ma anche il sentirsi noi stessi stranieri, ci si deve porre in una posizione di straniero, sentirsi estraneo, ponendosi in relazione agli altri in maniera molto diversa, significa abolire differenze e gerarchie. Lista di artisti, pochissimi che appartengono al sistema artistico occidentale. Pedrosa ha voluto seguire una storia diasporica dell’arte italiana, mostrare i percorsi degli artisti italiani al di fuori del nostro paese. Il titolo è preso da un due di artisti, Fulvia Carnevale e James Thornhill che dal 2004 hanno fondato il collettivo Claire Fontaine, e consiste in una scritta luminosa, a neon, Foreigners everywhere, ripetuta tradotta in varie lingue, mappatura attraverso la parola dei vari linguaggi del mondo. Intervista di Carnevale: spiega che il lavoro inizia dalla riflessione che si può essere stranieri ovunque si va e che e si incontrano straniere ovunque si va, cit. slide. E oggi ancora più attuale, epoca di grandi e rinnovate immigrazioni, non solo più dovute a questioni economiche e politiche, ma anche ecologiche, legate ai grossi sconvolgimenti climatici. Ultimo appello valido per esame con questo programma: gennaio 2025. Frequentante almeno 10 lezioni su 15. Ultima lezione 08/03. Saggi raccolti su Moodle. No libri. Storia dell’arte -> Terry Smith nasce come artista, uno dei protagonisti del collettivo britannico Art and Language dagli anni ’70, oggi anche accademico e storico dell’arte, ha scritto molto domandandosi che cosa sia l’arte contemporanea e quando lo è, non solo da un punto di vista cronologico, ma anche in quali contesti e pratiche; nuova periodizzazione dell’arte di Alberro; Pollock, grande femminista, rilettura della storia dell’arte in chiave femminile, integrando nomi di artiste non considerate, e si interroga sul motivo di questa esclusione dalla storia dell’arte maggiore, quasi una vera e propria cesura, quando invece importantissime, vedi con le avanguardie, ma spesso messe in ombra da mariti o parenti. Postcolonialismo -> Okwui Enwezor, grande curatore, nel 2015 della Biennale, ruolo come direttore artistico e curatore della Casa dell’arte (Haus fur Kunst, tra l’altro istituzione ed edificio voluta da Hitler) di Monaco di Baviera, grande lavoro di revisione, dello stesso sistema dell’arte e delle grandi mostre. Giulia Grechi, studiosa e ha lavorato molto a contatto con museo, pubblicazione dedicata alla decolonizzazione dei musei, due le pratiche dei due messi a confronto. Achille (“ascille”) Mbembe, grande teorico del postcolonialismo, scritto sotto forma di intervista. Ambientalismo -> testi tutti raccolti in una rivista in un numero speciale, “Kabul Megazine”, numero Earthbound. Superare l’Antropocene); Testo di Pardo invece catalogo di una mostra, incentrato su questioni ecologiche e femminismi. Questi temi dunque corrono paralleli, definiscono la nostra contemporaneità e come tali si intrecciano tra loro. Postumano = due introduzioni e un saggio. Braidotti docente, Macrì curatrice. Gender -> Lippard, Lonzi (femminista e critica d’arte, rivoluzionaria, lavorio dalla grande eco), Nochlin. Lezione 2 08/02 TERRY SMITH -> Saggio, “Che cos’è l’arte contemporanea?” -> domanda a cui è molto difficile rispondere, perché cambia nel tempo e nello spazio. Quando si può definire un’opera, la pratica di un artista o un movimento arte contemporanea? Smith è uno storico dell’arte australiano, nella sua formazione momento importante in cui ha seguito un doppio percorso: sempre storico e critico d’arte, ma anche scholar -> lungo soggiorno a new York tra il 1972 e 1976, dove partecipa ad un collettivo “Art and Language”, che rappresenta un punto di partenza per l’arte concettuale stessa. È un collettivo che nasce negli non negli USA ma a Coventry, in Inghilterra nel 1967 e anche come rivista, questo dice molto del gruppo e dell’arte che si verrà sviluppare. Nell’arte concettuale è importante l’idea, il processo di qualcosa, che non sempre finisce per essere un oggetto o la realizzazione finale di un oggetto stesso. Durante il boom economico inizia ad esserci un sistema dell’arte in cui l’oggetto artistico comincia ad avere larga diffusione -> l’arte concettuale nasce non solo come forma d’indagine e di interrogazione sulla natura e sullo statuto dell’arte nella contemporaneità, ma anche come serie di pratiche che cercano di sfuggire al lato mercantile di questo sistema. Smaterializzare, rendere temporaneo, impermanente oppure incentrare un’opera d’arte su un processo fa in modo che la pratica artistica sfugga dall’obiettivo che bisogna creare un oggetto di consumo. Dalla fine degli anni ’60/inizio anni ’70 molte correnti dell’arte concettuale avranno come obiettivo proprio questo, ossia sovvertire questa direzione commerciale dell’arte. È chiaro che la partecipazione di Smith a questo collettivo è fondamentale per fargli intraprendere questo percorso come storico e critico. Il primo saggio germinale da cui nasce la riflessione successiva esce sul “Critical Inquiry”. Se guardiamo l’elenco delle sue pubblicazioni, Smith si dedica molto alla storia delle mostre e alla relazione tra mostre storiche come le biennali e le mostre più commerciali come le fiere. Smith è anche un punto di riferimento per lo studio delle grandi mostre. Quindi che cos’è l’arte contemporanea? La prima risposta che propone non aiuta per nulla -> l’arte contemporanea è quella prodotta nel presente = vale per ogni epoca del passato. Ad esempio Maurizio Mannucci, uno dei primo artisti a far largo uso della luce a neon e del linguaggio (soggetto e mezzo principale della sua opera). La particolarità non è solo di lavorare con il neon e con frammenti di linguaggio allerta sul fatto che non bisogna dare nulla per scontato e guardare sempre cosa ci vogliono dire le immagini. Critica a Condoleezza Rice (segretario di stato) che si è conformata alle dinamiche politiche occidentali. Questi lavori portano con sé contenuti sempre più attuali. Confronto tra forma e contenuto, come in questi lavori siano condensate tantissime questioni e riferimenti temporali multipli. Okwui Enwenzor, Documenta 11, mostra del 2002, Kassel, presa da Smith come punto di riferimento citandola anche come modello curatoriale, che più di tutte ha lavorato su concetti di incisività, transculturalità e extraterritoriale. Apertura ad altri contesti per la creazione di circolazione culturale (curatori da tutto il mondo in un contesto occidentale). Lezione 3 09/02 La seconda risposta di Smith al quesito: che cos’è l’arte contemporanea o quando sorge l’arte contemporanea? -> un’arte del presente dove coesistono e agiscono simultaneamente molteplicità temporali, culturali e sociali. Arte che ha in sé passato, presente e futuro, ma risposta non risolve del tutto la questione (visti poi alcuni esempi). Dall’apertura post 1989, e apertura a nuove questioni, come la condizione e il ruolo della donna nella società e cultura mediorientale (es. Neshat e Ghazel). La terza risposta risolve le questioni precedenti: un’arte dove sussiste lo “scambio antinomico” o dialettico. Definizione della contemporaneità: “un continuo fare esperienza di sconnessioni percettive radicali, di modi discordanti di vedere e di valutare lo stesso mondo, nella coincidenza effettiva di temporalità asincrone, nella contingenza contrastante di diverse molteplicità culturali e sociali, gettate insieme in modi che mettono in evidenza le crescenti disuguaglianze al loro interno e tra di loro”. Definizione piuttosto complessa, come la realtà di cui si deve dare la definizione, questa risposta si complica per essere più inclusiva, sia in termini di temporalità sia di spazialità. Un’arte dove coesistono scambi antinomici o dialettici, espressione di una serie di relazioni dialettiche dove esistono temporalità asincrone, non più storia dell’arte che segue un taglio univoco anche nell’ambito temporale, coesistono molto temporalità. Questione che si risolve dichiarando che si può dare una definizione che non è fissa, ma in continuo divenire. Le definizioni cambiano a seconda di come cambia l’oggetto che definiscono. Anche Alberro nel suo testo parte fondamentalmente dalla stessa domanda e arriva a darsi delle spiegazioni molto simili a quelle di Smith. ALEXANDER ALBERRO -> Periodizzare il contemporaneo (prima parte) Questione che affronta dal punto di vista della periodizzazione, a partire dal 1989 inizia il postmodernismo (punto di riferimento storico, ma non accade tutto nell’arco di un anno, cambiamenti progressivi, preparazione del terreno che ha luogo prima della suddetta data -> crollo del muro di Berlino, dell’URSS e modificarsi di tutta la situazione geopolitica dell’area geografica su cui aveva influenza e potere, inizio dell’era della globalizzazione = allargamento del mondo in termini economici, sociali e culturali, inizio della cosiddetta era digitale, sempre legata alla globalizzazione -> comunicazione e scambi sempre più semplici, ed epoca segnata dall’egemonia del neoliberalismo dal punto di vista economico), passaggio epocale che porta al consolidamento di diverse questioni. Tenendo conto di questo nuovo periodo della storia che si apre dal 1989, Alberro cerca di dare una nuova periodizzazione anche per l’arte, l’epoca artistica della contemporaneità, The Contemporary. In primo luogo dice che si arriva a certe espressioni e pratiche artistiche attraverso una rielaborazione delle pratiche d’avanguardia, soprattutto delle seconde, anni ’60/‘70. Non avviene alcuna cesura col passato, il nuovo nasce sempre da una rielaborazione di ciò che c’è già stato. Chiama in campo esperienze artistiche soprattutto di collettivi, come quella di Tucuman Arde, attivo a Buenos Aires e Rosario nel 1968, in Argentina, dal nome emblematico, composto da artisti attivisti, il termine fa riferimento al fuoco (ardere) e Tucuman è invece il capoluogo dell’omonima provincia nel nord- ovest dell’argentino, teatro di un evento storico importante nel 1816 -> Argentina lì ha dichiarato la sua indipendenza dall’impero spagnolo, avvio dell’esperienza postcoloniale in Argentina, contrassegnato anche da episodi più recenti, specchio della condizione dell’Argentina più contemporanea, perché regione tra le massime produttrici di zucchero, materia esportabile e commerciabile, quindi ha subito moltissimo forme di oppressione, sia sociale sia estrattivismo forzato proprio a livello naturale, quindi nella storia è stata impoverita parecchio a causa di tale sfruttamento. Negli anni ’60 nel momento in cui il collettivo è attivo il governo argentino decide di chiudere le fabbriche di zucchero nella regione -> ulteriore impoverimento, creazione di serie di disuguaglianze sociali ed economiche enormi, quindi il collettivo vuole porre attenzione su questa realtà prendendone il nome. Azioni del collettivo tutte improntate a sensibilizzare il pubblico verso questa situazione, ma anche discorso più ampio sulla situazione sociale, economica e culturale dell’Argentina. Altro gruppo importante GAAG (Guerrilla Art Action Group), collettivo americano attivo a NY negli stessi anni, a partire dal ’69 fino ai primi anni ’80 = azioni di manifestazioni pubbliche in spazi che richiamassero l’attenzione, gruppo di artisti, quindi ad esempio davanti al MoMa, cartello in foto che addita il museo come razzista, tipo di pratica artistica che si può far rientrare nella critica istituzionale (-> criticare pratiche e logiche delle istituzioni culturali). Razzista perché la politica museale e la decisione delle mostre escludeva in quegli anni ancora un certo tipo di arte e artisti, ancora museo che portava avanti una storia dell’arte contemporanea basata su egemonia culturale di tipo occidentalocentrica e che privilegiava artisti uomini bianchi. Questi sono esempi che propone Alberro. Questo tipo di collettivi sta alla base delle stesse questioni e istanze riprese negli anni successivi da collettivi più recenti -> Guerrilla Girls, collettivo di artiste il cui obiettivo è quello di mettere in luce quanto l’assenza di donne artisti all’interno delle mostre e delle collezioni museali, la loro pratica prende forma in azioni performative, poster, cartelloni e scritti che richiamano tutti i mezzi di comunicazione che si usa durante le proteste e manifestazioni sociali: Do Women have to be naked to set into the Met. Museum? -> testa di gorilla elemento distintivo del gruppo, gioco di parole con guerriglia. In questo caso sul corpo della Grande Odalisca di Ingres, quindi prendendo un icona artistica. Donna quasi sempre entrata nel museo come oggetto del desiderio, del male gaze, e non come soggetti attivi. Immagine associata alla parola, scritte, spesso domande. Proposta un’indagine, cercando di rispondere a quesiti attraverso sondaggi mettendo in risalto percentuali, in questo caso mettendo in evidenza che il 4% degli artisti è donna, ma il 76% dei nudi è di donna. Volontà di portare al cambiamento attraverso la critica, o almeno di rendere consapevoli. Oltre a questo tipo di esempi che ritornano riattualizzandosi, fa anche riferimento al fatto che a partire da anni ’60/’70 c’è una ripresa di certe pratiche e forme artistiche sempre riattualizzate, come il lavoro di artisti scultori che in realtà sono i primi a creare installazioni, sculture che diventano ambientali, in cui il visitatore non è più solo spettatore, ma viene richiesta la sua partecipazione attiva, e di fare esperienza del lavoro non solo con la vista, ma con tutto il corpo. Un tipo di arte che va per la maggiore oggi, l’arte è in primo luogo fare esperienza, una delle caratteristiche dell’arte contemporanea, però tipo di arte che comincia a prendere forma proprio a partire dagli anni ’60, poi definitiva partecipativa o estetica relazionale (nome dato da Bourriaud). Artisti come Soto, già dagli anni ’60 sculture mobili esperienziali, lavoro che ripropone espandendosi nello spazio negli anni ’80; oppure il lavoro di James Turrel che ha lavorato molto sul tipo di scultura che si espande nello spazio, lavorato con la luce e ambienti luminosi, ed ambienti naturali. Ad esempio incornicia parte di cielo, che diventa oggetto dell’opera, che cambia a seconda delle condizioni meteorologiche (Sky Space I, 1876). Questo tipo di lavori porta a lavori più contemporanei come l’installazione ambientale di Tomàs Saraceno (“saraseno”), stringhe come sorta di ragnatele (una sorta di continuità, volontaria o meno), 2018: le sue opere toccano le questioni ecologiche, richiama la partecipazione dell’osservatore e anche la costruzione di ragnatele tipiche del lavoro quotidiano dei ragni, costante della sua lavoro. Spesso le sue installazioni sono una collaborazione con i ragni che tessono le loro tele, compresenza dell’umano e del non-umano. Per certi versi richiamato anche il web digitale. -> Il mondo è un grande ecosistema in cui tutto è connesso. Seconda parte -> GLOBALIZZAZIONE (post-1989) = quali forme prende questa globalizzazione all’interno del sistema dell’arte? 1) Nuove rappresentazioni/narrazioni (tematiche), tipiche della contemporaneità (questo già un po’ visto anche con Terry Smith). Ad esempio Allan Sekula, grande artista fotografo, ma anche collezionista non di opere d’arte, ma oggetti che spesso comprava su internet, ebay, con i quali realizzava installazioni. Oggetti feticcio, simbolo della società contemporanea. Realizzava lavori che spesso confrontava con le sue fotografie. Uno dei suoi temi principali = considerare il mare e gli oceani come una delle vie del commercio più importanti al mondo. Quindi volontà di mettere in luce lo sfruttamento dei mari, non solo a livello ambientale, ma anche sociale, perché luogo di lavoro di molte persone, nei porti soprattutto, una delle vie e sistemi attraverso cui si è espressa a pieno la globalizzazione, a più livelli; la sua idea è quella di mostrare gli effetti della globalizzazione sui mari, attraverso il traffico marino, e sulle persone che lavorano in mare. Una delle sue serie fotografiche più famose, Fish Story (sfruttamento ambientale, dei pesci, e umano, lavoro che lo impegna dal 1989 al 1995). Spesso lavoro di documentazione fotografica e video, linguaggi principali, anche se non unici. Ursula Biemann, artista svizzera, che realizza indagini, dei saggi visivi (visual essay), cioè trattazione di un tema attraverso un racconto visivo e non per iscritto. The Black sea files, 2005, video di 43’, ricerca che riguarda lo sfruttamento delle risorse naturali e umano con la manodopera, uomini che lavorano in una delle più grosse miniere mondiali di petrolio, sul Mar Caspio. Pavel Bralla, artista romeno, esegue dei saggi visivi con cui presenta un’indagine sociale ed economica, nel caso citato da Alberro, la sua è una narrazione che ingloba il tema della globalizzazione (presentato alla Documenta 11), un’altra via del commercio, il treno, la storia di un cambiamento che riguarda binari del treno, dallo standard romeno a quello russo, che produce un cambio radicale nella via di comunicazione e dato che i russi usano binari molto più spessi rispetto a quelli europei, questo provoca una certa egemonia, in questo caso la Russia controlla il commercio che passa attraverso i binari della Romania. N.B.: Biennale di Venezia particolarità di avere padiglioni nazionali, prima solo nei giardini, ma man mano che il mondo si è “allargato”, proliferazione dei padiglioni anche dei paesi emergenti, prima all’arsenale e poi hanno piano piano invaso la città, quindi specchio di un allargamento di quello che succede dal punto di vista geopolitico. Padiglioni nazionali spesso oggetto di critiche, modo nazionalista di presentare l’arte, quindi modalità da abolire, in realtà rimangono come interessanti oggetti di studio, creano una geografia culturale sempre più attuale, ogni due anni. Lezione 4 12/02 Ripasso = la domanda che Alberro si pone nel saggio, oltre alla questione della periodizzazione, riguarda a quali forme prenda la globalizzazione nel sistema dell’arte. Artisti che lavorano con la documentazione fotografica o video, a proposito di temi che subiscono ovviamente un’evoluzione storica, ma comunque rimangono tipici della contemporaneità. Altri esempi: Alberro cita anche Yto Barrada (donna) che si occupa spesso, essendo originaria di questa parte del mondo, di questioni marocchine e in generale del Nord Africa, altro saggio visivo dove l’oggetto di indagine in Factory 1, Prawn processing plant in the Free Trade Zone, Tangerei, 1998, è come avviene la lunga operazione quotidiana di centinaia di lavoratrici donne a sgusciare gamberetti che poi vengono surgelati e distribuiti a livello internazionale. Critica istituzionale, termine usato dalla critica dell’arte contemporanea per definire una serie di pratiche a partire dagli anni ’60/’70 fino a inizio anni 2000, il cui obiettivo con linguaggi e media diversi è prendere di mira certe istituzioni culturali, tra cui soprattutto il museo, per mostrare ciò che non va e sensibilizzare (ad esempio pratiche di decolonizzazione dei musei), rendere consapevole un pubblico spesso ignaro. Non criticano il museo per abbatterlo (≠ futurismo), ma proprio perché reputano questi organismi fondamentali e che necessitano un rinnovamento dall’interno. Altro artista Mark Lombardi, nella tendenza della critica istituzionale (ovviamente etichetta arbitraria, non si vuole limitare, serve a raggruppare teoricamente, convenzionale) = crea mappe, tipo concettuali, sottoforma di reti che uniscono parole e nomi chiave, alla base del lavoro ci sono indagini che riguardano reti politiche, economiche e sociali, con obiettivo di svelare relazioni/questioni problematiche mostrando con la mappa tutte le propaggini e correlazioni che stanno alle spalle di certe situazioni. Possono essere indagini su determinate istituzioni culturali, sorrette da fondi che arrivano da imprese e attività non sempre messe in chiaro, si deve capire con quali fondi di finanzia l’arte e la cultura, o indagini su organizzazioni politiche. Gerry Bull, Space Research corporation and Armscor of Pretoria, South Africa, 1972-80 (quinta versione). Poi grandi mostre come Biennale o Monumenta che oggi rispecchiano la globalizzazione. Biennale, per quanto sia una istituzione che necessiti una revisione, ormai più di un secolo di vita, rinnovamenti non semplici da attuare. Struttura che contiene padiglioni nazionali per certi versi criticabili, ma mostra comunque molto dinamica, che non rimane mai uguale a se stessa, ogni occasione vede l’affaccio di nuovi paesi emergenti, quindi di un loro ricollocarsi a livello geopolitico. 2) Nuovi immaginari/scenari (tecnologici) prodotti dalle tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Scenari che vanno ovviamente di pari passo con l’evoluzione tecnologica, non solo più digitale ma anche internet. Con i cosiddetti “(nuovi) media”: - L’ opera digitale (impermanente) fa concorrenza a quella analogica (tangibile, stabile); - L’immagine ha preso il sopravvento sull’oggetto (vedi cultura visuale) -> la maternità dell’oggetto sembra sgretolarsi di fronte alla potenza dell’immagine che circola con i mezzi digitali, che non sono però totalmente immateriali perché necessitiamo comunque di un supporto per usufruirne; - Il reale non è è più distinguibile dalla finzione -> anche in termini di fake news nell’ambito della comunicazione, ma gli artisti hanno sempre unito realtà con finzione, con i muovi mezzi solo più intensamente; - Lo spazio espositivo (museo, galleria) da white cube è diventato black box -> da scatola bianca in cui esporre con estetica minimalista (definizione che risale al 1976, data da Brian O’Doherty, testo fondamentale: Inside the White cube) a un luogo espositivo più simile a qualcosa che rimanda al media come cinema, video, film e tutte le tecnologie digitali. In questo caso Alberro cita tra gli esempi il lavoro questione delle miniere. E da background della mostra c’è anche un testo della Pollock + Rozsika Parker, Framing Feminism: Art and the Women’s Movement 1970-1985. Guerrilla Girls, Women make art history, collettivo di artiste anonime, per non essere riconosciute come individualità, scardinare il concetto di autorialità singola, lavoro soprattutto performativo, producono azioni e cartelloni/slogan/striscioni annessi. Azione delle Guerilla Girls nel 2017 a Bologna, “I vantaggi di essere un’artista donna”. Prima volta in Italia. Gender Trouble (questione di genere) = espressione coniata da teorica femminista Judith Butler, che pubblica il suo testo sulla questione nel 1990 e Pollock riprende anche il suo pensiero. Come fare per abbattere gerarchie, stereotipi, differenziazioni ancora presenti nel postmodernismo? - Non solo aggiungere artiste donne alla storia dell’arte, ma attuare una critica programmatica dei sistemi di rappresentazione (partendo dalla storia dell’arte culturale e visuale moderna per arrivare alla contemporaneità); - Considerare le donne artiste come soggetti, produttrici attive della cultura visuale, non mero oggetto del male gaze; - Integrare la critica femminista con quella postcoloniale (e poi anche, come vedremo, ambientale). “Suggerisco di non pensare più a una storia dell’arte femminista ma a un intervento del femminismo nelle storie dell’arte” (Griselda Pollock). -> ARTE CONTEMPORANEA POSTCOLONIALE Decolonizzazione della storia dell’arte e dei musei, ma anche come gli stessi temi legati al postcoloniale entrino a far parte dei lavori di artisti. Yinka Shonibare MBE, artista della diaspora africana, oggi ormai perfettamente integrato nel sistema artistico occidentale, ma è stato uno dei primi ad accendere il riflettore della questione postcoloniale in arte. How to blow up two heads at one, 2006, due manichini vestiti con abiti tardo-settecenteschi, occidentali, ma il cui tessuto non è occidentale, ma tipici e simbolo della cultura africana. Tessuti che portano con sé una storia di migrazione, non sono originari dell’Africa, ma dell’est asiatico, arrivano da lontano, importazione, simbolo dunque di integrazione e ibridazione tra le popolazioni e culture. Colpisce perché contrasto tra moda occidentale e tessuti on occidentali, inoltre manichini senza testa e in una posizione anomala, si puntano due pistole alla testa che non c’è, chiaro riferimento a questioni, non ultimo la guerra e la rivalità/odio tra i popoli. Il fatto che siano acefale indica un commento riguardo all’assurdità della guerra. OKWUI ENWEZOR = curatore che ha incluso nelle sue mostre Yinka Shonibar, accumunati da una simile storia, di origine nigeriana, la sua formazione e vita l’ha però vissuta fuori dal continente africano, quindi anche lui componente della “diaspora”, nel suo lavoro curatoriale, soprattutto in una famosa biennale della diaspora. Foto di fronte al Federicianum di Kassel, inaugurazione di Documenta 11, tentativi di allargamento e inclusione, non solo per temi, artisti e pratiche mostrate, ma anche perché ha cercato di deostruire come mostra centrale in una serie di piattaforme (deostruita in varie mostre) che non avevano più base centrale Kassel, ma diffuse per il mondo. Non ha così lavorato come primo curatore, ma ha incluso molte altre voci, che hanno anche conoscenza di quello che stava avvenendo nella loro parte del mondo. Modello introdotto come una piccola rivoluzione, volontà di decentrare ruolo di curatore ma anche importante istituzione sotto un profilo geopolitico e culturale (il primo Documenta nasce nel dopoguerra, nasce con la volontà di ricostruire l’avanguardia di primo novecento dispersa dal regime nazista con l’arte degenerata). Saggio in bibliografia. Curatore anche di una importante biennale, ne 2015, sempre tema del postcolonialismo, con artisti extraoccidentali già perfettamente integrati col sistema occidentale, ma altri anche non ancora conosciuti. Kara Walker, contrasto tra forma (vicino al cartoon, fiabesco) al contenuto (storie di sofferenza), uso delle silhouette nere, soprattutto lavori video. Globalizzazione come vicinanza delle culture -> concetto ambiguo perché è stato usato: - per far credere illusoriamente che non esistono più gerarchie, posizioni avvantaggiate da cui si guardano le diverse culture del mondo - Come strumento di standardizzazione e moltiplicazione nella società contemporanea capitalista e neoliberista, caratterizzata da accentramento del potere politico ed economico e da una configurazione geopolitica complessa, quindi termine cappello che porta con sé un punto di vista in realtà ancora gerarchizzante e omologante, un termine solo non può definire la complessità del mondo. La costellazione postcoloniale = per guardare alla complessità del presente evitando rigide categorizzazioni, Enwezor introduce questo concetto come risultato di un lungo processo di trasformazione che dal modello imperialista (nato con il colonialismo) ha portato a nuove forme governative e istituzionali, nuove forme di vita e appartenenza come persone e cittadini, culture e comunità forme che tra l’altro si ridefiniscono continuamente. Steve McQueen, artista che fa soprattutto avori video, Ashes, figlio della diaspora, nato a Londra ma di origini caraibiche, diventato famoso anche come regista di lungometraggi (film), ad esempio Hunger o Shame, grandi successi, anche 12 anni schiavo, tutte storie postcoloniali, Ashes presentato alla biennale del 2015, lavoro ambientato nei Caraibi, che racconta la storia di un giovane ragazzo morto tragicamente, storia legata al periodo della colonizzazione. Chiesa Hoang Ly, fotografia di parte di un’installazione, artista di origine vietnamita, Dahn Vo, alla Biennale del 2013, lavora per lo più con oggetti già esistenti, in particolare che fanno parte della cultura vietnamita, ma non solo, in questo caso aveva fatto trasportare dal Vietnam la struttura di legno centenario di un antico tempio e riallestendolo in Biennale, e questo trasporto e ricostruzione è sia uno stesso riferimento alla migrazione di culture, sia personale e alla sua particolare storia familiare, emigrato da bambino con i genitori. Da luogo di culto diventa oggetto di culto, azione sostenibile? Ovviamente fino ad un certo punto. Volontà di collegare due aree culturali e geografiche differenti. Ma pone domande riguardo alla sostenibilità, anche d’un punto di vista ambientale. Come anche in generale la quantità di persone che si raccoglie a vnenzia in occasione della biennale, turismo culturale che di base sarebbe solo positivo, ma quando raggiunge numeri estremi e diventa di massa porta anche a conseguenze negative. Lezione 6 16/02 -> ARTE E GLOBALIZZAZIONE (Vedi slide) -> concetto fin da subito tirato in ballo è quello come visto dall’89 della globalizzazione, anche Enwezor parte interrogandosi sulla relazione tra arte e globalizzazione, come comprendere la produzione, diffusione e ricezione dell’arte contemporanea nel presente? Dinamiche molto specifiche e complesse, come comprendere il sistema dell’arte contemporanea di questo presente e mondo allargato? Risposta che sembra ovvia, ma fino ad un certo, punto = inserendo l’arte all’interno del sistema geopolitico che definisce serie di relazioni importanti e in primo luogo relazione tra globale e locale. Risposta che sembra banale, ma quando Enwezor scrive il saggio siamo all’inizio del nuovo millennio e si stavano delineando teoricamente queste questioni. Relazione tra centro e margine, quello che fino a quel momento è stato considerato centro, culturale e politico, e quello visto come margine, ma che ora va inserito nel discorso. Poi relazione tra nazione-stato e comunità individuali, transnazionali, diasporiche. Non solo manifestazioni artistiche nazionali, si deve pensare anche ad una sorta di migrazione culturale, relazioni dunque più complesse, mutevoli. Altra relazione, tra istituzioni/contesto istituzionale e i pubblici (non più un solo pubblico, ce ne sono di differenti, come non c’è un’unica prospettiva egemone di interpretazione). Questi sono i rapporti di potere che si devono tenere in considerazione. Enwezor dice anche che bisogna sempre evitare di cadere in categorizzazioni troppo rigide, si deve mantenere una fluidità interpretativa, il pensiero deve sempre essere in divenire -> stato di transizione permanente, sia per interpretazione, produzione artistica ma anche per narrazione storica e critica. Qualsiasi interpretazione che diamo è arbitraria e transitoria, non si deve rimanere fedeli a rigide categorizzazioni perché portano a modelli interpretativi anche pericolosi o totalmente non equi, come già è stato. Considerando il mondo allargato come sistema complesso che si regge su equilibri instabili, Enwezor si rifà spesso ad un’altra voce, quella del teorico Glissant, colui che ha introdotto il concetto di ibridazione culturale/creolizzazione, usato anche in ambito artistico = idea che non c’è una cultura dominante, o almeno non ci dovrebbe essere sulle altre, perché tutte le culture differenti sono tra loro in un continuo divenire e frutto di ibridazione continua tra tradizioni e culture appunto diverse (conseguenza delle numerose migrazioni). Quindi lo stesso concetto è diventato metafora del mondo contemporaneo. Ai Weiwei, Coca-cola Vase, 2017, uno dei più grandi nomi dell’arte cinese, figlio di una sorta anche lui di diaspora culturale, vive fuori dal suo paese da molto tempo, quindi anche inglobato dal sistema occidentale: figura molto interessante per la sua pratica artistica ma soprattutto per il suo ruolo di artista attivista, vive lontano dalla Cina proprio per questo, per la censura, avrebbe seri problemi nel suo paese, speso protagonista di azioni di protesta e critica verso il governo cinese. Uno di quegli artisti che non può tornare nel suo paese. Cina che ora è tra le nazioni in cui il sistema dell’arte contemporanea si è sviluppato in maniera molto rapida, ha avuto un’apertura a quest’arte a partire dagli ultimi decenni del ‘900, dopo ’89, in generale si è aperta in questa data al resto del mondo. Momento di grande effervescenza per la Cina, momento interessante esche in pochi anni gli artisti cinesi rielaborano l’avanguardia occidentale con cui vengono a contatto nel momento di apertura, creazione di uno stile e tradizione propriamente cinese dopo questa veloce rielaborazione dell’avanguardia occidentale. Anche in Cina negli anni ’70 c’erano state esperienze artistiche d’avanguardia propriamente cinese soprattutto in modo performativo, ma vera esplosione dopo ’89. Opera in slide, rapporto tra tradizione cinese e quella occidentale, parte di una serie scultorea di vasi celebre, unisce tradizione cultura dell’arte cinese, vaso della dinastia Han (260 a.C.-220 d.C.) a una scritta -> immagine -> logo (applicata anche in maniera pop), legata a immagine occidentale e commerciale, con le frontiere cominciano a circolare non solo culture, ma anche gli oggetti del consumo, coca-cola marchio della globalizzazione e consumismo occidentale = ibridazione culturale non indifferente. Il saggio Enwezor parte domandandosi come affrontare relazione arte e globalizzazione ma poi entra nel vivo facendo un discorso collegabile alla critica istituzionale. Passa traverso i luoghi dell’arte, il museo contemporaneo (di tradizione modernista) si definisce come luogo di omologazione culturale senza che nei display culturali ci siano scambia dialettici, frizioni, tra gli oggetti presentati (vedi Terry Smith). La sua critica postcolonialista pone al centro del dibattito la decolonizzazione del museo. Vuole abbattere stereotipi e rappresentazioni convenzionali -> vuole combattere la ripetizione continua dello stereotipo coloniale come forma di potere discriminatorio (vedi Bhabha). Oggetto diretto della sua critica è la Tate Modern di Londra. Attacca un riallestimento delle collezioni del 2000 quando si attuano lavori di ricostruzione e rinnovamento della collezione permanente. In slide lavoro di Kader Attia, The repair from Occident to extra-occidental cultures (al Documenta del 2012), installazione che riprendere l’idea del display museale, una sorta di archivio-museo dove allestisce oggetti frutto della ibridazione culturale tra quella occidentale e in questo caso il colonialismo occidentali in Nord Africa, soprattutto oggetti scultorei, ma anche libri, documenti e fotografie, molti oggetti che rappresentano una sorta di montaggio nelle figure stesse dei personaggi tra le due culture. Ibridazione che spesso di manifesta come atto di violenza, parti di corpo/volti a cui unisce frammenti quasi alla frankestein, violenza rappresentativa. Lavora molto sulle forme di riparazione = riparare anche ai torti subiti, revisione della memoria collettiva. La sua biennale di Berlino è stata molto discussa, avvicinato opere che hanno creato contrasti notevoli, anche nella ricezione. Tornando al riallestimento della Tate Moderno = occasione persa, nel 2000 avrebbe dovuto osare di più secondo Enwezor, invece ha perpetrato un display ancora improntato sulla omologazione di tipo modernista, senza mettersi in gioco come istituzione museale. Nella trattazione accostamento formale ineccepibile, opera di Monet (grande tela con ninfee, paesaggio acquatico, capolavoro ancora figurativo ma che tende verso l’astratto, pittura molto gestuale) + Waterfall line di Richard Long (accostabile sotto un profilo formale, pittura gestuale ma già totalmente astratta, pittura non su tela, ma su parete, altro paesaggio, cascata, ma astratto, non crea usando colore ma il fango, uno dei grandi nomi della land art, inglese. Accostamento bello ma che segue un modello museale modernista, che non crea problemi, crea una narrazione omogenea. Nudo fotografico di Horsfield, 1995, ritratto corpi nudi riprendendo tradizione che si può far risalire alle Bagnanti di Cézanne e posto vicino altro lavoro fotografico di Coplans, autoritratto nudo del suo corpo invecchiato, frammentato in più dettagli fotografici e ricomposti in una sorta di griglia, anch’essa di tradizione modernista, modo di ritrarre che segue una certa tradizione modernista, prorpio dal punto di vista della resa formale. E vicino alla rappresentazione del corpo nudo un documentario (in slide un frame) realizzato tra 1927-1928 durante viaggio di due intellettuali francesi in Congo, Gide e Allegret, Voyage au Congo, abbinamento che secondo Enwezor riporta ancora al modo occidentale di documentare le popolazioni extra-occidentali, chiaramente con mezzi che hanno già in sé un certo valore/significato che racchiudono in sé il colonialismo, la fotografia e video è un mezzo colonialista. Affiancare questa rappresentazione con altri nudi fotografici di linea modernista è problematico. Western gaze = oppone corpo bianco nudo con corpo nero nudo, il civilizzato al selvaggio, e due concetti di nudo contrapposti. Enwezor individua i 5 effetti storici principali emersi dagli anni ’80 del ‘900, che hanno contribuito a definire l’attuale condizione dell’arte contemporanea e con cui il discorso post-coloniale deve confrontarsi: - Proliferazione di grandi mostre -> il mondo globalizzato, nuove geografiche artistiche culturali - Ripresa del discorso sull’identità che torna ad essere un concetto preponderante nella relazione tra l’idea di nazione e nella definizione di cosa sia la cultura - La musealizzazione dell’arte contemporanea = riconoscimento e legittimazione istituzionale - La spettacolarizzazione dell’arte e della cultura - La relazione tra globalizzazione e nuove tecnologie procedono di pari passo nella definizione della cultura contemporanea. Il discorso postcoloniale comporta varie ridefinizioni in ambito artistico: Mandela era stato eletto nel 1994, si era aperta una nuova fase per il sud Africa, quindi questa prima mostra nasce in un momento di grande entusiasmo -> periodo nuovo in cui il Sud Africa si affaccia sul panorama politico e culturale, dopo anni di isolamento. Questa è una biennale controversa: molti gli artisti africani scelti, ma la mostra è molto difficile da comprendere nel suo insieme e manca di una sorta di coerenza interna. Simao di fronte ad un primo tentativo di fare una biennale in un luogo geopolitico dove l’arte contemporanea num ha ancora un sistema -> è una mostra pioniera, come anche la seconda del ’97, che s’intitola Trade Routes; History and Geography, quindi le vie del commercio come tema - migrazione non solo di prodotti, ma anche di corpi. Fin dal titolo la seconda biennale fa riferimento al postcolonialismo. La biennale avrebbe dovuto durare fino al 1998, ma fu china un mese prima per “problemi finanziari della città di Johannesburg”, almeno secondo la motivazione ufficiale. Una Biennale come questa provoca reazioni sul territorio, soprattutto politiche. Raccoglie 160 artisti provenienti da oltre 63 paesi (ben 35 sudafricani) inclusi in sei mostre principali con sede a Johannesburg e Cape Town. Quello che è interessante e che rimarrà nella pratica di Enwezor -> lui non si autoelegge come unico direttore artistico, ma si avvale di collaborazione. Oltre agli spazi espositivi maggiori, come spazi espositivi della comunicazione vengono scelti spazi non di solito adibiti all’arte come cartelloni pubblicitari, pensiline degli autobus, bar e ristoranti, televisione, radio, riviste, cartoline, internet e catalogo della mostra. Si tratta di una mostra diffusa che conquista tanti spazi per far conoscere gli artisti e le loro opere. Dal punto di vista interattivo e organizzativo si tratta di una mostra per allora molto breve. Oltre ad Enwezor, i co-curatori sono 6 -> nomi che negli anni successivi sono diventati celebri. Si tratta di curatori che provengono da ambiti geografici e culturali molto diversi tra loro -> per cercare di dare una visione globale delle cose. Due immagini importanti: - catalogo della seconda biennale di Johannesburg, Greater Johannesburg Metropolitan Council & Prince Claus Fund, Johannesburg-L’Aia, 1997 (tra gli autori dei testi: Francesco Bonami, Julia Kristeva, Saskia Sassen). - Fotografia che ritrae Okwui Enwezor e Christopher Till (direttore artistico) con il principe Carlo d’Inghilterra all’Electric Workshop, una delle sedi della Seconda Biennale di Johannesburg, che recupera uno spazio industriale. Attraverso le parole di Enwezor capiamo il significato della mostra per lui e i ripensamenti, l’autocratica che una volta terminata la mostra fa del suo operato: la seconda Biennale di Johannesburg è stata progettata per studiare “la storia della globalizzazione ripercorrendo come gli imperativi economici degli ultimi cinquecento anni abbiano prodotto separazioni e intrecci culturale resilienti”-> Bisogna andare indietro di 500 anni nella storia per capire il contemporaneo. Il suo scopo (della mostra) è “attribuire significato critico alle modalità di contestazione, analisi, indagine e interpretazione con cui si confrontano gli artisti contemporanei, e osservare i cambiamenti che hanno potato alla ridefinizione della nostra comprensione della società”. La mostra intende “esplorare coe la cultura e lo spazio siano stati storicamente dislocati per via della colonizzazione, migrazione e tecnologia […] e [intende] impegnarsi, sottolineando come le nuove pratiche abbiano portato alla ridefinizione e invenzione delle nostre facoltà espressive, con i cambiamenti nel linguaggio e nei discorsi dell’arte”. Lo scopo della mostra è quello di dimostrare come l’allargamento non solo geografico, ma anche sociale, politico, culturale e tecnologico si rispecchi all’interno delle pratiche artistiche contemporanee. A distanza di un solo anno dalla Biennale, Enwezor in una sorta di intervista apparsa su una una delle riviste americane più importanti di arte contemporanea (Art Journal), dichiara la sua perplessità nei confronti della sua Biennale. Tra le maggiori preoccupazioni di Enwezor, come ha affermato lui stesso a posteriori, c’era: “che la biennale - drammatica, brillante, a tratti straordinaria, a tratti commovente - fosse in verità isolata e forse anche in definitiva irrilevante rispetto a ciò che stava accadendo in Africa”. È una mostra che richiama o ha richiamato il pubblico occidentale, ma che ha prodotto poco a livello locale in termini di consapevolezza o non produce cambiamento. La chiusura anticipata della mostra ci parla di una certa opposizione, di censura. Esempio: lavoro di Hans Haacke, uno dei grandi nomi che possiamo associare alla critica istituzionale, iniziata negli anni ’60/’70. Nella prima biennale del 1993, dopo la riunione delle 2 Germania, Haacke fa un lavoro di decolonizzazione dell’architettura come oggetto, spazio in sé e come simbolo -> spacca il pavimento del Padiglione tedesco, lasciandolo in macerie, e invitando i visitatori a camminarci sopra. Per la seconda Biennale di Johannesburg presenta un lavoro apparentemente semplice, ma simbolicamente fortissimo, che diventa un lavoro manifesto di questa Biennale -> lavora sulle bandiere sud africane, con tutta la simbologia che portano con sé. Sono tre bandiere -> crea un’immagine fortissima della storia del sud africa, in ordine rappresentano (unendo queste tre bandiere fa un lavoro fortissimo), partendo da quella più in alto: - congresso nazionale africano (dal 1994, quando viene eletto Nelson Mandela) - nero, verde e oro - Apartheid (politica di segregazione razziale dal 1948 al 1991) - Postapartheid A fianco di questo lavoro, che nasce per un contesto specifico, ma che non perde di significato se viene riattualizzato con le giuste condizioni. Nel 2017 Haacke colloca la bandiera del Postapartheid da sola davanti alla Haus Der Kunst, uno dei musei più importanti di Monaco di Baviera, che è un edificio costruito con uno stile neoclassico negli anni del nazional socialismo, che porta con sé una valenza simbolica e politica di un certo tipo -> quindi collocare questa bandiera su questo edificio produce un contrasto molto forte. L’allora direttore del museo era proprio Enwezor, quindi c’è un dialogo che ritorna tra curatore e artista. Un’altra mostra importante, che è l’apice della carriera di Enwezor, poesia la Documenta 11 di Kassel del 2002. Anche in questo caso per organizzare questa mostra, Enwezor si avvale di una serie di collaboratori che co-organizzano con lui la mostra -> ricognizione delle pratiche artistiche e degli artisti d avarie parti del mondo. L’importanza della documenta 11 è stato il fatto di aver inserito l’arte extra-occidentale all’interno di un sistema e di un’istituzione di tradizione occidentale come è la documenta di Kassel, che nasce nel 1955 per costruire la storia delle avanguardie artistiche, censurate dal nazismo -> per ricostruire la storia del modernismo nel cuore dell’Europa. La documenta 11 cerca di abbattere l’imperialismo culturale occidentale e di abbattere anche le marginalizzazioni culturali -> cerca di farlo costruendo un discorso nuovo e inclusivo per l’arte nell’era della globalizzazione e postcolonialismo. Altra cosa importante da ricordare è che Enwezor è il primo curatore non occidentale (essendo del Camerun) ad organizzare la documenta 11 di Kassel. -> DECENTRALIZZARE L’ARTE - NUOVE GEOGRAFIE CULTURALI La documenta 11 è strutturata in cinque “piattaforme” (platforms), che, come spiega Enwezor nella sua prefazione in catalogo, sono rivolte a generare “dibattiti pubblici, conferenze, workshop, libri, programmi di film e video che cercano di definire la geografia della cultura contemporanea e gli spazi dove la cultura interseca l’ambito di complessi circuiti di conoscenza” -> di dare un colpo d’occhio su una varietà e complessità di pratiche, conoscenze, discorsi culturali che si è allargata notevolmente. Ciascuna “piattaforma” corrisponde e si situa in un diverso luogo geografico. Enwezor costruisce la documenta come una mostra in divenire attraverso queste piattaforme, una mostra delocalizzata, ma che viene organizzata in luoghi diversi. Le piattaforme inaugurano man mano prima della sezione della mostra che è allestita a Kassel -> precedono temporalmente l’effettiva apertura della mostra: - Platform 1 = Democracy Unrealized, Vienna, 15 marzo 2001 - Platform 2 = Experiments with Truth: Transitional Justice and the Process of Truth and Reconciliation, Nuova Deli, 7 maggio 2001 - Platform 3 = Creolité and Creolization, Santa Lucia (Caraibi), gennaio 2002 - Platform 4 = Under Siege: Fuor African Cities - Freetown, Johannesburg, Kinshasa, Lagos, Nigeria, marzo 2002 - Platform 5 = la mostra a Kassel, inaugurata l’8 giugno 2002, con 116 artisti Ogni piattaforma ha ridotto un diverso catalogo e altri materiali di ricerca e studio. Un esempio in particolare: lavoro manifesto di Jeff Wall, fotografo e teorico canadese, che rasenta la fotografia di un afroamericano, che vive in una stanza senza finestre (un sotterraneo), dove sono accumulate una quantità di oggetti incredibile. Il titolo è un omaggio al luogo invisibile, un remake di un lavoro letterario = attraverso un immagine, una fotografia Jeff Wall reinterpreta un famoso testo “L’uomo invisibile” di Ralph Ellison (1952), è stato l’unico romanzo che l’autore è riuscito a pubblicare nella sua vita e che nonostante ciò è stato molto importante che ha valso al suo autore due massimi premi letterari americani -> perché il libro è una testimonianza della vita dei neri d’America prima della fine della segregazione razziale e racconta l’emarginazione e i meccanismi sociali che si celano dietro alla segregazione. Quindi un’immagine forte di un uomo invisibile nella società occidentale, che ci parla dell’esperienza di un singolo = esperienza collettiva alla conquista dell’emancipazione. Lezione 8 22/02 -> ARTE, AMBIENTE, ECOLOGIA Ripensare la terminologia, dagli anni ’60/‘70 = - Earth art, Land art, Environmental art = interventi nell’ambiente naturale, dagli anni ’60, pratiche usate da artisti che lavorano non solo con l’ambiente ma usando anche come materiali quelli della natura, spesso interventi nell’ambiente naturale che viene modellato e si mettono in dialogo con l’ambiente naturale stesso. La land art è ricordata spesso come movimento americano, ma comincia anche in Europa, soprattutto Inghilterra, ma vari rappresentanti europei in generale; pratiche che si espandono nello spazio naturale dell’ambiente. - Ecological art, Art in nature, Arte Povera = attenzione ai problemi ecologici, arte povera principalmente movimento italiano il cui portavoce era Germano Celant, varie pratiche ma accumunate dallo stesso sentire -> fare arte un po’ con tutto, con materiali presi dal quotidiano e spesso non solo effimeri, ma anche impermanenti, l’oggetto artistico di smaterializza in un processo. Art in nature, dagli anni ’60 -> abbandono della galleria, fare arte altrove, all’esterno, differenza tra arte che non solo si fa ma viene anche esposta e di cui si fa esperienza al di fuori del contesto della galleria come white cube. - Arte e Ambiente = Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art, Biennale 1976 -> riferimento a questa biennale, curata da Germano Celant, mostra che cercava di fare il punto sulle ultime tendenze, sottotitolo interessante, introduce un discorso storico partendo dalle prime avanguardie e individuando le prime esperienze che instaurano questo legame tra arte e ambiente (intesa anche arte che si espande nello spazio, non solo riferimento ad ecosistema); futurismo uno dei primi movimenti in cui l’arte diventa ambientale ma nel senso di performance, coinvolge lo spazio circostante e una collettività, vedi le serate futuriste. - Arte e Antropocene = confronto con le questioni dell’attuale epoca geologica; molto più recente, confronto tra pratica e teoria dell’arte a proposito delle questioni proprie di quest’ultima era geologica. Termine che è coniato alla fine del ‘900, ma si diffonde soprattutto a inizio anni 2000, nasce in ambito scientifico, termine con il quale si identifica soprattutto l’agire umano sull’ambiente ormai talmente invasivo che suscita conseguenze addirittura a livello geologico, antropos = associato ad un epoca geologica, anche se spesso molto lungo, dilatato, rispetto alla presenza dell’essere umano sulla terra. Non tutti i teorici sono però convinti, i nuovi termini coniati sono sempre tentativi. Altri usano il termine capitalocene, cioè nascosta dell’epoca capitalista, tornando alla nascita delle colonie, per alcuni nasce con la scoperta dell’America, data la mercificazione di materie prime ma anche degli esseri umani con la tratta -> sfruttamento. Oppure c’è chi conia il termine di cthulucene. Arti ecologiche = Piero Gilardi, artista e attivista da poco deceduto, che si può annoverare tra arte povera, un poverista, ma limitante, la sua pratica è stata a 360 gradi, anche intellettuale, prolifico scrittore e commentatore dell’arte. Ha lavorato tutta la sua vita a stretto contatto con la comunità, PAV - Parco Arte Vivente di Torino, nella zona di Lingotto, sia socialmente sia economicamente ai margini, spazio culturale e di scambio e dialogo. Parco come sorta di progetto artistico durante per gran parte della sua vita, ma stato anche progetto di riqualificazione urbana. Chi è l’eco-artista? Definizione di Ardenne, 2018, in divenire, non totalitaria, e acquista diverse sfumature a seconda dei casi specifici = “un artista che opera nello spazio naturale, sulla scia della Land Art. Un artista che documenta uno stato di crisi dell’ecosistema. Un artista contestuale (-> side specific) che fa suo lo scopo e l’oggetto della denuncia delle anomalie dei rapporti tra territorio vitale (nel senso di vivo = l’ecosistema è vivo, quindi il rapporto tra gli esseri viventi) e attività umane. Un artista guidato dalla preoccupazione del Care (la cura verso gli altri, non solo la relazione e prendersi cura dell’ambiente, anche gli altri umani e non umani), della cura da dedicare alle relazioni con gli altri e con l’ambiente”. Che cosa può fare l’eco-arte? (domanda che può riguardare tutte le esperienze di arte impegnata e attivista) - Mostrare per rendere consapevoli/coscienti (sensibilizzare) e responsabili - Denunciare e incoraggiare un’opinione/azione critica; sono azioni di denuncia - Aiutare la scienza e la società a immaginare mondi futuri sostenibili, di un migliore convivenza tra gli esseri viventi e come rendere sostenibile la nostra vita sulla Terra. Rapporto tra arte e scienza fondamentale. Comunicare ad un pubblico più ampio la ricerca e le scoperte scientifiche. La stessa arte è ricerca, ovviamente con metodologie diverse, ma anche obiettivi comuni. Quali tipi di diversi interventi di eco-arte di possono individuare? 1) Studio dei sistemi biologici/naturali (in relazione a quelli sociali) 2) Eco-estetica della restituzione/restaurazione (T. J. Demos, trovare soluzioni verso problemi aperti) 3) Eco-estetica della relazione (partecipativa/partecipata ed estetica della relazione Hans Haacke -> le sue opere sono sempre indagini e processi, che poi portano alla realizzazione di qualcosa, ma opera d’arte come oggetto è relativa. Interessato ai sistemi naturali e biologici ma sempre relazione a quelli sociali. La sua è un’arte che spesso richiede partecipazione da parte dell’osservatore -> Marx, Engels, Lenin, padri del marxismo socialista. Cosa significa -> ancora negli anni ’60 per quanto si cominciasse a manifestare per le questioni ecologiche, parlare del clima e del tempo era un pour parlé, in maniera leggera, ma nello stesso tempo è qualcosa che influisce moltissimo sulle nostre vite. Nel 2019 viene ripreso lo stesso manifesto dall’artista Klarmann, che lo riattualizza (reenactment): “tutti parlano del tempo. Noi anche” -> sono presenti volti di tre attiviste = Judith Ellens, Greta Thumberg e Carola Rackete. Cosa ci mostra il confronto tra questi due manifesti? Col passare di alcuni decenni parare del tempo nel nostro contemporaneo assume una dimensione politica e sociale non indifferente. Mostra particolare perché ha cercato di unire l’ambito artistico a quello scientifico, ponendoli non solo sulle stesso piano ma anche in modo complementare. Il contributo degli studenti che hanno fatto ricerca per la mostra si è concretizzato in una bibliografia = acquisto di una serie di libri, poi esposti in mostra. Come cover della mostra è stato scelto “La laguna ghiacciata alle Fondamenta Nove”, un dipinto del ‘700 (collezioni Querini Stampalia): ci dice molto con sguardo retrospettivo dei cambiamenti subiti dalla laguna, non solo climatici che hanno cambiato il paesaggio ma anche le abitudini dei veneziani. Cosa ci colpisce? L’ultima volta che la laguna è stata ghiacciata erano gli anni ’30-’40 del ‘900 -> grande pista di pattinaggio, ma se guardiamo questo dipinto: ci parla moltissimo di una situazione climatica/ambientale diversa da quella attuale. Cosa vuol dire? Rappresenta un documento di studio importantissimo, perché ci mostra qualcosa che dal punto di vista climatico non esiste più. Possiamo parlare di una prospettiva eco-critica, orlando di com’è stata strutturata e organizzata la mostra -> questa prospettiva è stata usata principierete in ambito letterario , mentre qui in ambito visivo. Questo dipinto era posto in relazione con un altro dipinto, più recente, che mostra un campo di contadini, in uno stile divisionista -> quadro realista in cui il protagonista diventa paesaggio, dove il sole e la brina creano una situazione di luce, matericità del paesaggio che viene rappresentato nel quadro. Entrando in mostra colpiva che al piano terra erano presenti una serie di capolavori dal ‘500 fino alla modernità tardo ottocentesca-primo novecentesca, soprattutto in forma di copie realizzate apposta per le mostre (exhibition copies: sia quando i quadri non vengono vengono prestati oppure per opere d’arte contemporanea con media differenti dalla pittura di cui viene realizzata una copia fatta apposta, ad esempio se un originale è una foto viene fatta una fotocopia che poi è distrutta. La quantità di copie determina anche il valore commerciale). Nel caso della Tempesta di Giorgione, che non è stato prestato, perché è uno dei dipinti più iconici delle Gallerie dell’Accademia. Perché mettere in mostra questo dipinto -> già il titolo pone l’attenzione sulla tempesta, che è un evento metereologico. Pur essendo protagonista la maternità, il paesaggio diventa il vero protagonista = condizioni climatiche del tempo -> interessante perché un documento non solo artistico ma anche “scientifico”. Altra particolarità della mostra: gli apparati didattici -> si tratta di pannelli esplicativi, ma che hanno una particolarità, già a partire dalla grafica, si è cercato di unire arte e scienza, prendendo a modello i paper (articoli scientifici) -> con questa forma scientifica c’erano i contenuti legati invece alla spiegazione delle opere e del lavoro artistico. Questa mostra è un tentativo di aprire a certi discorsi. Cfr. Tra la Tempesta di Giorgione e una performance di Theaster Gates, che realizza per la mostra un lavoro-video “The Flood”, molto legato alla realtà locale (vedi inondazioni). Unisce una narrazione filosifoc- religiosa, dove il cuore del lavoro è la musica gospel (spesso oggetto dei lavori dell’artista, che analizza come l’identità afroamericana si è creata ed è circolata nei secoli, soprattutto grazie alla musica prima che alle immagini. Qual è la cosa interessante? Questo video mirava delle prove e delle performance di musica gospel che avevano come tema la tempesta, le inondazioni -> fanno parte di un certo tipo di racconto, anche religioso, intesi come eventi climatici catastrofici di una oretta divina; accanto a queste c’erano interviste a importanti climatologi. Cfr. Tra due exhibition copies: 1) Claude Monet, fotografia pittorica del porto che aveva industrie, ciminiere, quindi già allora molto inquinato; questo tipo di immagine ci rappresenta un paesaggio antropico; 2) William Turner, rappresenta un treno in velocità = modernità, paesaggio naturale che diventa antropico. Questo tipo di rappresentazioni ottocentesche sono da mettere in relazione con artisti più contemporanei che attraverso pittura e fotografia mostrano le nuvole, uno dei grandi temi della pittura, ma con uno sguardo contemporaneo = osservandoli solo come fenomeni meteorologici (soprattutto Richter) e dall’altro c’è un giocare tra un fenomeno meteorologico naturale e qualcosa di tutt’altro che naturale, come la bomba atomica. cfr. Caspar David Friedrich, Il mare di ghiaccio, 1823-24 e Hans Haacke, che fotografa un muro di neve = studio di un sistema biologico, che esiste temporaneamente e man mano evapora. Lavoro di Giorgio Andreotta Calò (artista veneziano ma ha vissuto molto all’estero, prende spunto da problematiche veneziane per poi allargare il campo), Carotaggi, 2014-oggi: usati nello studio geologico del terreno, dei prelevamenti (in ambito artistico -> ready-made) del sottosuolo lagunare = caranto, cemento naturale. Perché si fanno questi carotaggi? Da questi si può studiare il benessere o malessere del suolo, un mondo per studiare geologicamente la stratificazione del sottosuolo. Nelle mani du Calò questi carotaggi = installazioni, che si lega alla corrente dell’arte povera. Lezione 11 29/02 RE/SISTERS (5 ottobre 2023 14 gennaio 2024) —> mostra, legame tra ecologia e femminismi. Taglio eco- femminista. Riattivazione delle lotte femministe nel presente. Retrospettiva e con suddivisione in sei sezioni tematiche, scelta di alcuni sottotemi importanti. Due mostre (questa e EVERYBODY TALKS ABOUT THE WEATHER) toccano delle questioni già presenti nella pratica artistica da tempo, dagli anni ’60/’70 almeno, ma col taglio eco-critico si affronta la relazione trarre e cambiamenti climatici andando anche indietro nel tempo, nonostante si attui una interpretazione anacronistica, perchè artisti inconsapevoli di star trattando delle tematiche anche ecologiche, nel contesto del paesaggio soprattutto. In dispensa catalogo della mostra scritto dalla curatrice Alona Pardo, che inizia con un’immagine, opera in apertura della mostra, scelta anche come manifesto, saggio che solo nell’ultima parte parla della struttura della mostra e dei suoi contenuti, 3/4 dedicati alla contestualizzazione storica e poi artistica dell’ecofemminismo. Mostra al Barbican Centre, centro dedicato alle arti figurative ma anche performative, grande edificio, una sorta di quartier generale delle arti, spazi dedicati anche alla stessa produzione artistica + teatri, cinema, dove vivono anche persone quotidianamente, una sorta di cittadella delle arti vissuta dalla comunità. All’ingresso quindi della mostra prima delle varie sezioni lavoro di Barbara Kruger, Untitled (We Won’t Play Nature to Your Culture), 1983, lei lavora già dagli anni ’60/’70 soprattutto sul fotomontaggio e sulla scelta di parole o brevi frasi che usa come una sorta di poesia visiva, ricerca verbo-visuale nel ‘900, sopratutto tra le prime e seconde avanguardie, di cui fa in realtà anche parte, ma rientra principalmente nel post-modernismo. Nella sua estetica retaggio più grafico che propriamente artistico-accademica, infatti lei giovanissima lavora come grafica e collaboratrice con una serie di riviste, tra cui Vogue. Tradizione tra dadaismo (bianco e nero fotografico + rosso) e costruttivismo. Nell’opera simbiosi tra corpo umano, femminile, e natura; ma femministe rigettano il classico legame storicizzato tra donna e natura che incentra il tema della procreazione e dell’irrazionale (la ragione tipicamente caratteristica dell’uomo), qui nuova interpretazione e lontana dagli stereotipi culturali secolari. Vedi slide che cita saggio, dove vengono spiegati i temi della mostra. Serie di artista-lavoro per ogni sezione: - (sezione 1) EXTRACTIVE ECONOMIES/EXPLODING ECOLOGY -> Taloi Havini, Habitat (2017) = si occupa molto dei temi cambiamenti climatici, liberismo e condizione della donna. Serie di installazioni video multicanale (più schermi), lavoro di indagine in divenire che esplora l’eredità dell’estrattivismo del Pacifico e il difficile rapporto con l’Australia (vedi slide). Inoltre, la mostra Re-Stor(y)ing Oceania, a cura di Havini, inaugura a Ocean Space il 23 marzo (fino al 13 ottobre 2024) e comprende die nuovi lavori commissionati alle artiste indigene del Pacifico Latai Taumoepeau e Elisapeta Hinemoa Heta. Titolo con gioco di parole, sia inteso come raccontare nuovamente (story) sia come archiviare (to store). Questioni del pacifico, area geografica da noi lontane ma comunque queste molto vicine a noi, alla laguna. - (Sezione 2) MUTATION: PROTEST AND SURVIVE -> Susan Schuppli, Cold Rights, 2022 = una delle artiste che da più tempo lavora con questi temi, anche dalla formazione interessante, perché ricercatrice in campo scientifico, ma anche formazione artistica, lavora proprio nel campo d’intersezione delle due materie. Questioni legate ai diritti della natura, soprattutto nelle regioni antartiche, si occupa dello scioglimento dei ghiacci e tutto ciò che comportano e da che cosa sono causati, dalle stesse dinamiche politiche. Anche lei saggi visivi, come se scrivesse saggi scientifici ma invece che scriverli li racconta appunto attraverso immagini, con spedizioni e indagini sul campo e poi voce narrante (la sua) + uso della parola/frasi brevi scritte, le parole chiave. I diritti del freddo, lavoro molto recente, ma si inserisce in un lavoro di ricerca continuativo che sta portando avanti da tempo, sul tema dello scientifico, del legale e dell’arte. - (Sezione 3) EARTH MAINTENANCE (come prendersi cura del pianeta) -> Melanie Bonajo (ha presentato un lavoro nella biennale del ’22 nel padiglione dei paesi bassi, usato spazio a Cannareggio di una chiesa sconsacrata, Chiesa della Misericordia, When the Body Says Yes, dice di sì soprattutto all’inclusione, alla body diversity, condivisione che passa attraverso l’accettazione di sé e del proprio corpo e di conseguenza quello altrui, video + installazione con sorta di cuscini morbidi che richiamano corpi che invitavano lo spettatore ad accomodarsi, colori rosati, installazione multimediale), Night Soil Trylogy - Nocturnal Gardening, 2016, vicino alla poetica del lavoro precedente, un assemblaggio di corpi, altra installazione multimediale. - (Sezione 4) PERFORMING GROUND, pone attenzione sui materiali della natura come anche dell’arte, su come la natura può diventare correttrice del lavoro artistico -> Ana Mendieta, Senza titolo dalla serie Siluetas, artista che ha avuto vita breve, scomparsa in giovane età, ma ha avuto influenza importantissima, una delle artiste donne extra-occidentali, cubana, che a partire dai tardi anni ’60 è stata riconosciuta come una delle artiste che hanno portato davvero un cambiamento, e hanno aperto l’arte ad un certo tipo di pratiche innovative, la sua influenza viene ripresa da artiste di generazioni più giovani, la stessa scomparsa prematura l’ha resa una eroina. È stata compagna di Carl Andre, uno dei grandi nomi del minimalismo americano, lui già affermato e promosso dalla sua galleria a NY, dove entrambi vivono, si sposano e una notte lei “cade” dalla finestra di casa, una narrazione occultata e messa. Evento “taciuto” in quegli anni dal mondo dell’arte perché lui artista molto amato e protetto, probabile, anche se ha comunque subito processo ed è stato assolto, la morte di lei sia stata frutto di un litigio dei due. Ora si sono riaperte anche nuove indagini. Questa serie di lavori già importante di Mendieta, in cui ha cercato una simbiosi tra corpo umano (femminile) e natura, cerca di incorporarsi ad un grande albero secolare alle sue spalle, azione performativa nella natura, ne ha fatte molte, ho con il suo corpo concretamente o lasciando traccia del suo copro, usando tutti gli elementi (terra acqua fuoco e aria), vedi slide con citazione dell’artista. Oggi le azioni, temporanee, che possiamo conoscere attraverso documentazione fotografica. - (Sezione 5) RECLAIMING THE COMMONS (cioè le comunità) -> Zoe Leonard, From Casa de Adobe (dalla serie fotografica Al rio, interesse a seguire il rio grande che attraversa tutto il centro america e segna il confine tra usa e messico, tra rio grande e rio bravo, elemento conteso e che segna un confino geopolitico con tutto quello che ne consegue, lungo quasi 2000 km), vedi slide. - (Sezione 6) LIQUID BODIES -> la nostra è un’epoca liquida (Baunmann?), ma qui termine più associato ad una visione queer, un abbandono dei generi tradizionali, e acqua come elemento vitale, come il corpo si può fare liquido ed eliminare distinzioni. Ada Patterson (unisce queerness + blackness), Looking for “Looking for Langston”, 2019. Tema dell’immersione in acqua e della trasformazione. Vedi slide. Protagonista indossa una sorta di maschera dorata e in testa tipico cappello da marinaio, riprende una certa iconografia sempre legata al mare, il titolo è una citazione, andare alla ricerca (volontà di creare un legame) con il lavoro di un artista precedente, Isaac Julien che nel 1989 dirige un film sul poeta queer Langston Hughes. Momento della storia dell’inizio dell’emancipazione nera ma anche queer, la Harlem Renaissance, momento culturale degli anni ’20. -> POSTUMANO E ARTE CONTEMPORANEA Nuovamente opera di Barbara Kruger. Apre tutta una serie di questioni teoriche ma anche identitarie, e nella pratica artista che aprono ad un cambiamento epocale avvenuto nel momento in cui si sono diffuse “le protesi tecnologiche”. Nuova ridefinizione di identità, in rapporto con le nuove tecnologie, cambiato moltissimo il nostro stesso vivere e stare al mondo. Dibattito attorno a questioni che vengono così definite post-umane. Relazione tra umano e non umano, che può andare anche oltre le tecnologie, qualcosa di biologico ma che non è uomo. Untitled (Your Body Is a Battleground), 1898, della Kruger. Jeffrey Deitch, primo che introduce il termine post-human, titolo di una mostra del 1992, citazione dal catalogo della mostra in slide, sull’aborto: “L’aspro dibattito sui diritti all'aborto è un esempio di quanto possa diventare esplosiva la controversia sui limiti della vita ‘naturale’ [biologica]”. [Cfr. Jeffrey Deitch, Post-Human, 1992] Lezione 12 01/03 Una figura importante nell’ambito del postumano -> Jeffrey Deitch, curatore e gallerista: fra gli anni 90 e prima decade degli anni 2000 apre un progetto artistico dedicato all’arte contemporanea a tutto tondo che si chiama “Jeffrey Deitch Project” = una factory di idee, progetti e anche una galleria per promuovere gli artisti. Già dalla grafica -> l’estetica scelta unisce tanti riferimenti visivi, tratti dalla cultura pop. Nel 1992 apre una mostra, che ha colto e ha presentato lo spirito del tempo -> mettendo in stretta relazione arte e società e arte e cultura mediatica. E’ una mostra itinerante, che ha avuto più sedi e momenti espositivi ed installativi, tra cui Torino. Dalla lista degli artisti, si nota come alcuni dei nomi siano diventati dei punti di riferimento importante per la pratica artistica degli ultimi decenni. In ambito artistico, dopo gli anni ’70 (arte concettuale) e anni ’80 (ritorno alla pittura), negli anni ’90 il corpo emerge come medium (Lea Vergine), come protagonista, soprattutto in relazione alle nuove tecnologie: dalla modificazione genetica alla chirurgia estetica, permettono di migliorarsi e potenziarsi -> in ambito artistico di unire l’umano e il non umano. Già dal testo del retro di copertina del catalogo, Deitch esprime il nucleo della mostra: come le nuove tecnologie danno nuove possibilità al corpo (intesa anche la mente) di Quale definizione cerca di dare del postumano? Sta cercando di fare ordine, non solo tra i concetti e la terminologia -> mettendo tutto in relazione. “E’ facile non sentirsi a casa nel XXI secolo” Quando parliamo di nuovo umanesimo, riprendiamo un termine che nasce nella modernità (intesa come Rinascimento), ma che viene riattualizzato al presente. Braidotti sta cercando un nuovo percorso intellettuale, filosofico per capire l’epoca in cui stiamo vivendo -> approccio interdisciplinare. Come viene rappresentato questo cambiamento nel tempo? Come cambia la relazione tra umano, non umano e postumano in un corpo che sempre più è postorganico=corpo contemporaneo, denaturato, cit. di Teresa Macrì. Un corpo che diventa ibrido. Macrì nel suo ambito in relazione con gli artisti e le opere cerca di dare una definizione (in divenire) di cosa sia un corpo postorganico. Esempi: -Stelarc che ibrida il proprio corpo con delle protesi tecnologiche -Jana Sterback che mette agli estremi la funzionalità del suo corpo, costringendosi in una serie di dispositivi, come ad esempio questa gonna di crinolina che diventa una gabbia e che ingabbia il corpo. Capire la relazione con la tecnologia e come il corpo possa muoversi. -Orlan: dal 1986 al 1993 si è sottoposta ad una serie di operazioni chirurgiche per cambiare la fisionomia del proprio volto -> assemblaggio montato dei tratti estetici considerati i canoni della bellezza stereotipata sul proprio volto, che è il risultato di questa ibridazione. Un volto che è ben lontano ai canoni di bellezza tradizionali, ma è alla ricerca di canoni di bellezza contemporanea. Lezione 13 04/03 1) Perché non ci sono state grandi artiste? (NOCHLIN, 1971-1973, diverse pubblicazioni, storica dell’arte) - necessità di rileggere la storia dell’arte in chiave femminista, non solo per riabilitare le artiste donne, ma anche per liberare la disciplina dall’approccio centrato sul male western gaze (= Pollock). - Esiste una specificità dello stile femminista, quando non addirittura femminista? Le artiste hanno un particolare modo di trattare la materia (forma) o di scegliere i temi (contenuto) delle loro opere? - Evitare di incorrere nel rischio di interpretare l’arte come espressione dell’emotività individuale - Il problema della non parità di genere sussiste e dipende dall’inadeguatezza delle istituzioni e dell’educazione, così come dal mito che si è costruito intorno all’idea del “grande artista”, il grande maestro, che inizia nel Rinascimento. Punto centrale della sua tesi. - Dato che anche l’appartenenza sociale ha giocato, almeno fino all’800, un ruolo nella carriera degli artisti, come mai non ci sono state (o ci sono state così poche) donne artiste aristocratiche o altoborghesi? Perché le donne sono state socialmente e culturalmente emarginate, non hanno avuto accesso a possibilità esclusivamente maschili (vedi la questione del nudo nelle accademie e la pittura di storia - non poter accedere a un’adeguata educazione)istruzione significa non avere le stesse opportunità, significa poter imparare solo da autodidatta o a livello amatoriale). Coloro che hanno avuto successo erano spesso figlie o mogli d’arte (vedi il caso di Rosa Bonheur, famosa pittrice ottocentesca di animali, ma anche il caso di Artemisia Gentileschi o nel ‘900 di Frida Kahlo). - C’è stata dunque una lunga discriminazione istituzionale (accanto a quella sociale) che ha fatto sì che le donne non potessero accedere al esisteva dell’arte e dunque essere riconosciute come (grandi) artiste. Women Artistis 1550-1950, mostra curata dalla Nochlin, insieme alla Harris, prima al LACMA di La poi al Brooklyn Museum di NY, tentativo di colmare i vuoti con una mostra di carattere enciclopedico, secoli di arte realizzata da donne, importantissima a quella data, in piena seconda ondata del femminismo (1977), ma non ha ricevuto poche critiche, tra cui di Lea Vergine: mostra onnicomprensiva, che anche se una delle prime non può fare un lavoro approfondito quando si toccano così tanti artisti, ben 87 artiste (pittrici), non può configurarsi come un lavoro abbastanza accurato, e inoltre entrambe le curatrici cadono nell’errore di affidarsi troppo al racconto biografico. Mostra che si apre con grande ottimo da parte della Nochlin, vedi citazione del catalogo in slide: “cominciato come una rivoluzione, questo discorso sulle donne artiste finisce, forse a proposito, con un’altra (…)”. 2) Immaginando una critica femminista (LUCY LIPPARD, critica d’arte, 1976, cerca di redigere una cronistoria, termine utilizzato negli stessi anni da Germano Celant, dell’arte, dei 6 anni che vanno dal 1966 al 1972, di tutto quello che è successo, come mostre, ma non solo, dei momenti più salienti; inoltre tentativo di cercare la forma di un acritica che doveva aggiornarsi con gli sviluppi dell’arte, in quegli anni prevalentemente concettuale): - necessità di ripensare il ruolo della critica, così come tutto il sistema dell’arte. - La critica femminista non solo deve sovvertire la gerarchia ma deve rivoluzionare interamente il contesto in cui l’arte viene prodotta, mostrata, fruita (termine da usare il meno possibile). - Bisogno di creare contatto con un pubblico nuovo, allargato a cui rivolgersi direttamente (un pubblico che sia almeno per metà o in larga parte femminile). - Il rischio altrimenti è continuare ad essere marginalizzate come artiste, critiche, storiche dell’arte… ma anche continuare ad auto-isolarsi per sfuggire alla omologazione con gli uomini, al mainstream. Evitare di essere ghettizzate. - Lippard vive su di sé la frustrazione e il desiderio di cambiamento: “Sono ancora radicata nello stesso mondo dell’arte che critico così spesso. In effetti il femminismo è l’unica scusa che mi rimane per restarci” (p. 338). immaginare una nuova critica femminista significa uscire da questa impasse e poter portare a termine quel processo di trasformazione dalla “coscienza emotiva/esistenziale” (temperamento consciousness) alla “coscienza culturale” (p. 339) che permetta alle donne di sentirsi ed essere nello stesso mondo dell’arte degli uomini. Lui è stata critica ma anche curato mostre e prima di altri ha scritto e mostrato il lavoro degli artisti relazionati con ambiente ed ecologia. Weather Report: Art and Climate change, organizzata in Colorado, paesaggio arido in cui si sente molto la siccità, nel 2007. Nel 2019 scrive un libro su come l’arte stia cambiamento in relazione alla politica dei cambiamenti climatici del “far west“ americano, dove spesso artisti sono intervenuti nel contesto della land art. 3) Autoritratto (CARLA LONZI, stata dimenticata perché anche lei come Lippard ha vissuto la frustrazione su di sé di questo sistema artistico, impressione di non riuscire a raggiungere gli obiettivi che si era prefissa, quindi ad un certo punto abbandona la critica d’arte e diventa una vera e propria femminista, lo era già prima, ma inizia a scrivere testi puramente femministi, non più relazionati con l’arte), 1969, testo critico che ha come titolo l’idea dell’autoritrarsi come autrice e critica stessa. Cerca di creare ritratti di artisti, in modo particolare, e si inserisce in questo insieme, come critica che vuole aiutare gli artisti a spiegare il loro lavoro senza presentarsi come voce autorevole che gestisce la conversazione. È un libro fatto di interviste. Compagna di Consagra. Lavoro di trascrizione di conversazioni avute a più riprese con grandi nomi nell’ambito artistico italiano, ma solo una donna. Lo da facendo pochissimo editing, facendo in modo che la conversazione rimanga il più naturale possibile, così come è stata, senza intervento autoscale, lasciando spesso espressioni del parlato -> è quasi una sortasi flusso di coscienza di questi tristi, e la Lonzi cerca di rimanere il più oggettiva possibile eliminando la sua presenza come critica. Libro che nasce al culmine e conclusione della sua carriera critica, una Lonzi che aveva avuto una solida formazione in Storia dell’arte = allieva di Longhi, libro che arriva dopo 10 anni di critica militante. È stata collaboratrice della rivista “Marcatrè”, dove tiene già dialoghi con artisti che precedono la forma del libro in questione. Alla base del suo lavoro c’è un contatto diretto e profondo con gli artisti (= Lippard), infatti intrattiene anche una relazione amorosa con Consagra, per circa 10 anni; la fine della loro relazione è documentata in un dialogo che diventa un’altro libro, Vai pure (1980). Poi amicizia molto importante con Carla Accardi, l’unica artista donna all’interno del gruppo protagonista di Autoritratto, e questa amicizia porta a fondare Rivolta femminile, uno dei primi gruppi di sole donne femministe italiane, casa editrice poi a Milano, fondata nello stesso anno e in cui nasce il progetto di Autoritratto come libro. L’artista è per sua natura critico del proprio lavoro, sono i maggiori critici di loro stessi, a cosa serve un ulteriore lavoro di critica? (Posizione radicale). Testo corredato di 105 immagini, tra cui riproduzione di opere d’arte (solo 19), foto di famiglia, viaggi, vita, allestimenti negli spazi espositivi, che interessano visivamente il raccolto scritto, libro che dunque nasce dal montaggio di parole-testo e immagini. Nel 1970 Lonzi pubblica su “NAC” il suo ultimo scritto d’arte, La critica è potere. Vive poi il suo “fallimento” (così percepito) appunto chiudendo la sua carriera di critica. Carla Accardi, uno dei lavori più interessanti è Tenda (1965-66) e poi Rotoli, anni in cui la lonza lavora al suo Autoritratto, cosa interessante è il materiale usato, il sicofoil, un materiale industriale su cui poi applica vernice. Per spiegare il lavoro della Accardi riportate le parole della Lonzi: “L’ultimo lavoro di Carla Accardi è una tenda di plastica. La forma è una forma semplicissima di abitacolo con i fianchi appena incurvati, ma la proporzione è così armoniosa che fa pensare a un tempietto greco. È costituita da pannelli in doppio foglio, uno con schemi di segni rossi, l’altro con schemi di segni verdi a vernice fluorescente che, sovrapposti e sostenuti da profilati di plastica, vengono poi montati insieme. La misura è tale che una persona può agevolmente entrare e percorrere l’interno. Ricordo che un anno fa circa, quando ti si è affacciata l’idea di fare una tenda, è stato soprattutto per il bisogno di trovare un momento di distacco dalla pittura. L’oggetto questo lo dà perché implica una rilessione sui mezzi pittorici piuttosto che una partecipazione emotiva: infatti si realizza attraverso una sorta di programmazione degli elementi che concorrono alla sua resa. Ora si tratta di capire in che senso hai programmato la tenda e se, durante l’esecuzione, ti è capitato di modificare l’intuizione originaria”. [Carla Lonzi in Discorsi: Carla Lonzi e Carla Accardi, “marcatré”, IV (23-25), giugno 1966, pp. 193-197]. 4) Mirella Bentivoglio, artista, che nel ’78 è chiamata come curatrice per realizzare una mostra come evento collaterale della Biennale di quell’anno dedicata solamente ad artiste donne. Stento maggiore = destruttura e criticare il male gaze applicato ad un certo tipo di comunicazione e immaginario. Qual è l’elemtno interessante? Viene chiamata un artista per fare la curatrice per sopperire alla grave mancanza della biennale di quell’anno (periodo caldo per le lotte femministe) di donne. Quindi si configura come effetto collaterale e potrebbe risultare come quelle “mostre ghetto”, nonostante questo è stata importantissima. Raccolte ben 80 artiste con 154 opere, dai vari linguaggi e media (poesie, illustrazioni e libri -> ricerche verbo-visuali, l’ambito che conosce meglio). Una ricerca totalmente al femminile (e femminista). Non a caso il catalogo (Materializzazione del linguaggio) diventato punto di riferimento è stato ripubblicato per la Biennale del 2022 curata da Cecilia Alemani, anche se lei ha sempre dichiarato di non voler far ricordare la biennale come la prima dedicata o comunque incentrato sulle artiste donne. L’importanza della mostra della Bentivoglio viene ripresa sempre in occasione della biennale della Alemani in una fondazione privata con sede a Bolzano (Fondazione Antonio Dalle Nogare), organizzata una mostra come reenactment = “Ri-materializzazione del Linguaggio” con interpretazione attualizzata (2022-2023). Lezione 14 07/03 LEA VERGINE -> vita molto lunga e intensa, una delle voci femminili più autorevoli della critica d’arte italiana, a partire dagli anni ’70 e ’80, fino alla sua scomparsa, suo compagno Enzo Mari, altro famosissimo nome del design e in relazione anche alle arti visivi, erano talmente uniti che sono scomparsi insieme del 2020 durante il covid. La ricordiamo per le due sue fondamentali imprese critiche: - 1974, data in cui esce la sua prima pubblicazione, saggio fondamentale sulla body art, Il corpo come linguaggio. Dà una definizione della body art, prendendo al centro della riflessione il corpo, non solo femminile (motto femminista = “il corpo è politico”), cerca di definire le pratiche artistiche che a partire dagli anni ’60 e ’70 mettono al centro della loro ricerca appunto il corpo, corpo come mezzo espressivo, ma facendo riferimento anche alle avanguardie storiche. Anche prima ricognizione dei nomi con cui Lea Vergine cerca di costruire la body art. - 1980, altra impresa, L’altra metà dell’avanguardia - 1910 -1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, organizza questa mostra a Palazzo Reale di Milano, 16 febbraio - 13 aprile 1980, allestimento di Achille Castiglioni, si tiene poi anche a Roma , al palazzo delle esposizioni, tra luglio e agosto, e poi fuoriesce dai confini nazionali, a Stoccolma, nel 1981. Nasce da un lungo lavoro di ricerca, dopo altre due importanti mostre del 1977, quella della Nochlin sulle artiste donne (già vista) e un’altra dedicata alla mappatura di artiste donne ma in un arco cronologico minore (1877-1977)* a Berlino, solo più un secolo, comunque ampio. Vergine le definisce due mostre importanti ma mette in guardia a allargare cos’ un arco cronologico -> non ci si sofferma sufficientemente sulla produzione delle artiste, diventa più un elenco per riempire un vuoto storico non in maniera sufficientemente approfondita. Decide di soffermarsi su un trentennio quindi nella sua mostra di Milano, subito appena prima della Grande Guerra e poi tra i due conflitti, il primo momento delle nascita delle avanguardie storiche in cui parte degli avanguardisti guardava alla guerra come momento di rottura e evoluzione, uno strappo col domicilio” e libri biografici d’artista) e collezionista = importanti mostre di Cavellini a Roma con curatrice la Lucarelli > Cavellini era amico di Birolli (cfr. “Gruppo degli 8”), amico di Burri ed interessato ad aggiornarsi guardando a tendenze internazionali es. pop-art. Prime mostre della Loda nei primi anni ’70 ad Iseo presso Azienda Autonoma, dove esponeva opere di grafica -> prima mostra importante “Multimedia. Aspetti dell’arte contemporanea” (presso Palazzo Comunale di Erbusco nel 1974 = luogo della mostra trovato grazie a Marchetti, all’epoca consigliere comunale - idea di found rising già in anni ’70) -> chiamare mostra e galleria come “Multimedia” è avanguardistico soprattutto per anni ’70 e per essere in provincia (seppur la Franciacorta è una provincia ricca; non luogo dell’arte “solito”) -> idea rivoluzionaria è sul piano concettuale del porre in una provincia ricca l’avanguardia. Negli anni ’70 i nuovi media erano la nuova frontiera, cfr. citazione di McLuhan “Il medium è il messaggio” -> dibattito nazionale sull’importanza del mezzo espressivo che ne condiziona il linguaggio veicolato = la mostra era ampia e dal respiro concettuale, 40 artisti che mostravano un compendio della creazione artistica degli ultimi 20 anni -> artisti suddivisi dalla Loda per mezzo espressivo. Mostra che è l’inizio importante per la Loda-curatrice e suo “punto di svolta” siccome lei si accorge durante una cena di vernissage che “qualcosa non le torna” (cfr. Belli) in quanto lei aveva avuto il coraggio e “aver avuto i coglioni” (ora discorso più figurato) -> ma perché “donna forte” deve avere i connotati maschili? Dopo l’inaugurazione non riesce a rivedere con occhio critico la sua esposizione siccome non aveva esposto nessuna donna, durante il piano della mostra non aveva notato il problema e si sentiva inconsciamente strumentalizzata -> volontà di rivedere la mostra collocandovi qualche donna e successiva voglia di farne una di solo donne, atto che lei definisce “violento” e sul quale vuole puntare tutto scontrandosi con i suoi detrattori, presenza quindi di lei che descrive il suo processo come “innovativo” ma che in realtà era già in atto, critiche alla volontà della Loda in quanto poteva diventare “mostra ghetto”. Criterio di scelta della loda non sul piano di genere ma artistico (dalla sofferenza spasmodica le viene persino un ulcera). “Coazione a mostrare” (palazzo Comunale di Erbusco, settembre 1974) -> probabilmente, dopo i primi contatti con le artiste nel 1973, lei riesce a creare la mostra dopo una lunga gestazione a causa della ritrosia delle artiste italiane rispetto alle statunitensi -> N.B.: in Italia non vi erano precedenti a parte quelle di Bentivoglio/Carrega “Operatrici visuali” a Torino in cui lei spegneva solo artiste esponenti della poesia visiva (di cui la Bentivoglio era aderente). Volontà raggiunta di ottenere un accordo fra le artiste non limitandola ad una singola tendenza ed alle sole artiste militanti = creare una versione “al femminile” di “Multimedia” racchiudendo le produzioni artistiche femminili degli ultimi trent’anni, con presenza es. di Carla Accardi, la fotografa Argus e molte giovani esordienti. Titolo = “coazione” significa “costringere” in riferimento a violenza morale e fisica che priva dell’altrui volontà o termine che è usato dal linguaggio freudiano della “coazione a ripetere” in cui si reiterano certi pensieri non inibendone le pulsioni = tali definizioni rispecchiano la volontà della Loda che vuole costringere quindi lo spettatore a vedere le opere d’arte femminili (inusuali) e nello stesso tempo vi era impulso irrefrenabile della Loda a continuare. Incipit del catalogo con mostra come chiave interpretativa di itinerario mentale di ricerca fatto dalla Loda sull’arte femminile nei secoli che l’ha portata ad analizzare sulla di avanguardia -> coazione non è termine “cappello” ma termine psicanalitico che sintetizza la marginalità femminile nel discorso artistico e la volontà di farlo invece emergere. In catalogo è presente un “Omaggio a Lucio Fontana” (artista amato dalla Loda e ritenuto miglior artista contemporaneo) come argomento che riguardava la mostra e non l’arte > omaggio a Fontana nell’influenza sulle artiste siccome in ultima parte della sua vita Fontana aveva incoraggiato i giovani artisti, soprattutto tutte le artiste milanesi esposte nella mostra (es. Varisco, Dadamaino, Vigo, Del Ponte ecc.) > Romana Loda afferma nella presentazione che Lucio Fontana avrebbe voluto partecipare alla mostra in quanto era dello stesso spirito -> presenza di multiplo di fontana esposto (forse prestito della Vigo). Descrivere la mostra è difficile per poche fotografie e la scomparsa di molte partecipanti: autori del libro hanno rintracciato molte opere // fotografie rintracciate in un modo complicato grazie ai ricordi di Marchetti e alle descrizioni della Loda nella sua autobiografia; volontà futura di contattare, da parte degli autori, gli archivi delle artiste. Assenza di tagliandi assicurativi, mostra era molto spartana con consegna da parte di amici o stesse artiste delle opere > mostra non era museale ma di privati in spazio pubblico per un’istituzione privata, perciò a basso costo // slide con foto della Arbus, Monselles [sua opera riprodotta poi sulla mostra femminista “Effe”, testimonianza della sua prima personale presso la galleria della Loda di Brescia). Foto con la Varisco e Ketty la Rocca. Unica opera citata dalla Loda è “Azione Sentimentale” di Gina Pane (prestito grazie a gallerista Engapin). presenza di opere della Engapin e della Crabba. L’inaugurazione è molto sentita, la Loda nel suo libro racconta che la sua diventa occasione di ritrovo e confronto per le artiste e di approccio alle tematiche cardine (politiche, femministe ed artistiche) degli anni ’70 -> presente performance di Tomaso Binga “Parole da distruggere, parola da confermare” (artista scriveva su due rotoli parole da distruggere e altro con parole da conservare -> implicazioni a livello linguistico con coinvolgimento delle artiste che esplicitano la loro militanza); presenza anche di concerto dell’olandese Koch (militante in complesso free jazz NADMA) copertura mediatica della mostra molto considerevole rispetto a ciò che era pensato -> Erbusco era una piccola realtà ma nonostante questo la mostra è stata censurata già due giorni dopo con intervento di autorità ecclesiastiche contro tematiche ritenute esplicite per quegli anni, presenza quindi di popolazione che si reca a vedere queste opere “scandalose” con il prete e le donne del paese che si recano in comune a volere che mostra sia chiusa -> Marchetti chiama la Loda, mostra non viene chiusa ma viene messo un cordone su opere “esplicite” = mostra censurata nel 1974 fa scalpore, la Loda viene molto intervistata -> censura causa dibattito su espressione dell’arte dandone anche molta più copertura dello sperato -> la censura causa un incremento della visite che fa cadere la denuncia per oscenità verso la Loda (nel libro lavoro di ricerca di archivio sui giornali bresciani) dopo questa mostra, la Loda procede con altre mostre al femminile es. “Magma” (1975-77) -> mostra che le dà molto riconoscimento, inaugurata per la prima volta a Brescia e poi divenuta itinerante, la mostra si concentrava su opere dell’ultima decade con interesse per la “body art” = grazie a questa mostra Lea Vergine decide di organizzare “L’altra metà dell’avanguardia” (1980). Intreccio fra varie personalità. Altre mostre: “Altra Misura” (fotografica) e “Il volto sinistro dell’arte” (ultima mostra collettiva femminile) -> essendoci stato rapido cambiamento in questo quadriennio, la Loda non vuole più fare mostre collettive e crea galleria “Multimedia” come spazio espositivo non discriminante. Dopo la mostra collettiva del 1977 la Loda “sparisce” non decidendo di fare più mostre collettive femminili in quanto si ritiene relegata in spazi “ghetto” ed allo stesso momento iniziano le “quote rosa” nelle grandi esposizioni = idea di “squallide operazioni condotte sulla nostra pelle” in riferimento ad inviti ricevuti dalla Loda a fare “settimane rosa” o “angolo rosa” alla Biennale -> idea del femminismo visto anche in campo culturale come operazione ormai commerciale o di moda , condivisa con artista La Rocca in loro collaborazione importanza di Romana Loda per sua importanza di essere fuori dagli schemi, il suo interesse verso le tematiche femminili è precoce (seconda solo dopo la Bentivoglio) come anche la sua volontà di indagare la body art (“Magma” è nel 1975, dopo gli studi di Lea Vergine nel 1974). La sua collaborazione con artiste donne nel 1977 continuerà poi nella forma di mostre miste.
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