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APPUNTI STORIA DEL CINEMA DELL'ESTREMO ORIENTE, Appunti di Storia Del Cinema

La biografia e lo stile del regista giapponese Yasujirō Ozu, uno dei più importanti della storia del cinema mondiale. Si analizzano le caratteristiche del suo cinema, incentrato sulla famiglia e sul concetto di armonia, e si approfondisce il film Il Coro di Tokyo, che rappresenta una sintesi dei generi affrontati dal regista. Si parla anche del contesto storico del cinema giapponese e della transizione al sonoro. Il documento può essere utile come appunti per un corso di storia del cinema o di cinema giapponese.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 21/06/2022

Jadebaldi
Jadebaldi 🇮🇹

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Scarica APPUNTI STORIA DEL CINEMA DELL'ESTREMO ORIENTE e più Appunti in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! IL CINEMA DELL’ESTREMO ORIENTE “IL CORO DI TOKIO” 1931, Yasujirō Ozu. Siamo di fronte ad uno dei più importanti registi sia della storia giapponese ma anche mondiale. È un regista molto amato da chi fa cinema. BIOGRAFIA: nessun evento particolare segna la sua vita. Nasce 12 dicembre 1903 e muore lo stesso giorno nel 1963. Conduce una vita piana, lavora sempre per la stessa compagnia cinematografica, la Shogiku. A scuola non è un allievo modello, mediocre e indisciplinato, come i protagonisti dei suoi primi lavori. 1923 trova lavoro alla Shogiku e nel 1927 promosso regista. Tra il 27 e il 30 dirige 19 film che spaziano diversi generi e nei suoi film comici è evidente l’influenza comica americana. Con gli anni ‘30 è uno dei registi più apprezzati della sua casa di produzione, ottiene consenso da parte della critica. Si concentra in questi anni sui film sulla gente comune, come “il coro di tokio”; nel 37 questa sua epoca termina perché viene mandato a combattere nella cina occupata. Il suo cinema e film sono tutti intesi come un cammino verso il “wa”, un concetto di armonia che pervade la cultura giapponese. L’avvio delle sue storie è quindi armonico, si presenta poi la situazione di ostacolo che verrà superata soltanto con l’accettazione. La situazione di armonia nei suoi film è determinata anche dai Sogikei, le posizioni che fa assumere, contemporaneamente, ai suoi personaggi, creando movimenti all’unisono. Un altro aspetto che si afferma è la posizione della macchina da presa bassa. Quando torna in patria, nel 39, si ritrova con un cinema in cui sono cambiate varie cose, lui si adatta senza cambiare stile e poetica. Negli anni ‘40 il suo cinema raggiunge la maturità, spingendosi verso ad una rarefazione di immagini che si realizza anche con un evidente procedimento grafico di stilizzazioni, con l’accentuazione di linee orizzontali e verticali, posizionando la cinepresa non al centro dell’azione, ma in uno spazio adiacente facendo diventare le porte, una sorta di quinta teatrale. “Tarda primavera” 1949 è un suo capolavoro del dopoguerra. Mono no auare-> sentimento di contemplazione di fronte a natura e vicende umane che porta alla consapevolezza del carattere effimero e transitorio del tutto e all’accettazione dell’inevitabilità del cambiamento. È la storia di un padre e della figlia che prendono coscienza dell’inevitabilità della loro separazione. La famiglia rimane al centro dell’interesse del regista, in particolare i rapporti tra genitori e figli. In “viaggio a tokio” (il suo film più apprezzato) vengono inserite le ellissi; è la stoRia di una coppia di genitori anziani che vanno in visita ai figli adulti e con famiglie. Le conversazioni di Ozu sono rappresentate con campi e controcampi mostrando gli attori frontalmente, con lo sguardo dei personaggi verso l’obiettivo della macchina. I personaggi parlano “uno come l’altro”, ancora per creare quel senso di armonia. Un altro aspetto importante è l’uso di inserti e transizioni sia in una stessa scena o tra più scene, sono immagini che arrestano lo sviluppo della storia ma danno ai sentimenti ed emozioni suscitati un tempo tutto loro, qui non accade nulla. Transizioni-> immagini che lui usa x passare da una scena ad un’altra. Sono inquadrature che non implicano la presenza di un elemento umano ma ci mostrano solo delle cose, oggetti, prolungando il tempo della narrazione. I sentimenti appena coinvolti vengono prolungati nel tempo, lo spettatore è invitato a continuare a sentire i sentimenti appena provati dallo spettatore. Panni stesi-> inquadratura forse più ricorrente nel cinema di Ozu. Scene di conversazione di ozu-> si rifa al cinema classico, si avviano solitamente con un piano d’insieme, proseguono con un’alternanza di campo e controcampo, di nuovo piano d’insieme, e campo e controcampo e ancora piano d’insieme dove si alzano e se ne vanno. Ci sono elementi differenziali: nel piano d’insieme viene rivelato qualcosa che l’altra persona non sapeva. Ozu gira le inquadrature a uno senza mai variare né la distanza né inclinazione. Posiziona la macchina da presa frontalmente rispetto al personaggio che guarda verso la macchina da presa. Guardano tutti e due nella stessa direzione, stabilendo un effetto di armonia che è un punto importante nel cinema di ozu. “IL CORO DI TOKIO”, 1931 Esce nel 1931 che è un anno in cui la maggioranza dei film giapponesi sono muti perchè il cinema giapponese arriva con ritardo al sonoro sia x ragioni tecniche sia perché c’erano i Benshi, i narratori dei film muti che si imposero come una vera corporazione. Erano vere e proprie star e a volte la loro fama era maggiore rispetto ai divi giapponesi dell’epoca. Si batterono fino all’ultimo per arginare la diffusione del cinema sonoro. Il cinema giapponese diventa sonoro tra il 35 e il 36. Questo film è muto ma fa di Ozu uno dei registi più importanti giapponesi dell’epoca. La rivista “Kinema Jumpo” faceva una lista dei migliori film dell’anno precedente e nel 32 “il coro di TOKIO” è al 3 posto. Il film è importante perché pone già alcune basi che sono proprie della poetica e della stilistica di Ozu. Il film è una sorta di sintesi del cinema precedente di Ozu, è un punto d’incontro dei principali generi che lui aveva affrontato nella sua carriera. Il film inizia con un gakusei-mono (film di studenti) e il film a filone studentesco era uno dei più dominanti, si trasforma poi in sararimen-eiga (film di impiegati) per svilupparsi poi in uno shomingeki (film sulla gente comune) affrontando temi sociali importanti come la dimensione familiare e le sue difficoltà causate dalla crisi economica, la perdita del lavoro e di come queste difficoltà vengono superate. La famiglia è un elemento molto diffuso nel cinema giapponese ed è importante nel cinema di Ozu che è un cinema di famiglie. Sono presenti poi differenti gag che attraversano il film, che ricordano i primi film comici del regista, chiamati nansensu (no sense). Per gli aspetti concernenti la stilistica possiamo introdurre alcuni aspetti importanti e che nel film cominciano ad affiorare come la posizione bassa della macchina da presa, da non confondere con l’angolazione dal basso di Welles. Quella di ozu rimane parallela al piano terra. Un’altra caratteristica importante del suo cinema è quella delle pose parallele, due personaggi che assumono un’identica posa e movimenti all’unisono di più personaggi, facendo così per evidenziare dei caratteri in comune. A volte queste figure sono sia in chiave comica che in chiave drammatica. Una terza caratteristica è quella delle transizioni, dei campi vuoti, i film di Ozu tendono a far sì che una scena finisca con campi vuoti che sospendono l’azione ma fanno durare il tempo della narrazione e che ozu usa per prolungare i sentimenti suscitati da una determinata situazione. Nel film sono quindi già presenti 3 aspetti importanti della stilistica del regista. Una stilistica però si forma nel corso del tempo e da un certo punto in poi lui abbandonerà l’uso dei movimenti di macchina mentre nei primi film sono molto presenti. Per quanto riguarda la dimensione della poetica di Ozu fra i temi principali si trova il problema familiare che porta a una risoluzione finale del conflitto attraversa una comprensione delle ragioni dell’altro. Il cinema di ozu è teso alla ricerca dell’armonia (WA) tra i vari personaggi del film tanto che una caratteristica dei personaggi di ozu è che non vogliono qualcosa per sé ma qualcosa per l’altro che si incarna nella figura della figlia nubile che decide di non sposarsi x non lasciare il padre vedovo che a sua volta finge di volersi sposare x lasciar andare lei. Spesso questo volere qualcosa per l’altro passa per la comprensione delle ragioni dell’altro. Abbiamo poi il tema del dolente passaggio dalla gioventù alla maturità con i fardelli dell’età adulta, c’è il sentimento di umiliazione e vergogna del protagonista dove dopo il licenziamento ha difficoltà a mantenere la famiglia è accetta un lavoro “non adatto”. C’è poi la crisi economica che caratterizza quegli anni. È c’è poi il tono dolce amaro dei film, la capacità di raccontare cose drammatiche inserendo temi di leggerezza. Questo tono dolce amaro trova il suo momento più alto in una scena in particolare che è quello cadere nell’orinatoio le sue banconote e mentre si inchina per decidere il da farsi, uno sguardo indiscreto, alla Lubititsch, lo spia attraverso il buco della serratura. La gag continua nella scena successiva quando il malcapitato cerca di asciugare le banconote con un ventilatore e un tampone. La scurrilità della situazione è accentuata dall’immagine di Shinji che fa un movimento con la gamba come se dovesse far scivolare delle gocce di pipi. Il ruolo della gag non si limita a questo momento ma nel momento in cui Shinji si reca dal direttore con cui si confronta e arrivano quasi al litigio che costerà al protagonista la perdita del lavoro. Durante questo litigio Shinji afferra il ventaglio del boss che a sua volta reagisce prendendo un altro ventaglio e i due sono pronti a fronteggiarsi ad aprire spianate, prima di colpirsi ripetutamente a suon di ventagliate o colpi di mano. Dopo il licenziamento Shinji rientra a casa, la moglie e i bambini non sanno che è stato licenziato. La mancanza della bicicletta darà luogo a un primo scontro fra padre e figlio. Ozu in questa nuova sequenza si preoccupa di costruire delle azioni che ruotano attorno alla bicicletta, si passa dall’ufficio alla casa mostrando Chonan che sta aspettando il rientro del padre mostrando lui come l’unico tra i suoi compagni senza bicicletta. Il motivo della bicicletta si da sul piano dei dialoghi perché Chonan dice agli amici che arriverà il padre con la sua bicicletta nuova. Si crea un’attesa per il rientro di Shinji che rientra con il monopattino, creando uno scontro con il figlio. Dopo aver litigato con il figlio, rientra a casa, giunto sulla soglia getta uno sguardo su un cucciolo di cane e si termina con lo sguardo di Shinji. Il carattere metaforico di questo sintagma soggettivo rinvia a una dimensione di affetto familiare che è messa in crisi. Tutto ciò viene rafforzato dall’ingresso del figlio che tiene in braccio il cucciolo ma poi se ne libera con un brusco gesto, prima di continuare il litigio con il padre. I cani servono per dare una metafora dell’avviarsi di una possibile crisi famigliare. Esasperato dalla perdita del lavoro e i litigi con il figlio che lo deride facendogli le boccacce, Shinji lo sculaccia con una violenza che la successione delle immagini non risparmia. La sequenza si chiude con il rientro della madre, insistenza dell’inquadratura del padre pone in primo piano lo sconforto del protagonista in relazione al suo licenziamento di cui i famigliari sono ignari. Nel corso dello sviluppo della scena Ozu comincia a filmare in modo anticlassico i dialoghi, ponendo la macchina da presa di sbieco rispetto allo sguardo dei personaggi ma alla loro altezza, come se si rivolgessero allo spettatore. Shinji finisce con il rivelare alla moglie che è stato licenziato, colmando il gap cognitivo. La realtà di Shinji è determinata dalla crisi degli anni ‘30, ozu gira due scene nei dintorni dell’ufficio di collocamento dove ci mostra diversi disoccupati per strada. Shinji si reca vicino all’ufficio di collocamento e incontra Yamada, l’impiegato anziano che ha trovato nuovo lavoro come l’umiliante uomo sandwich. Il gioco dei richiami si da anche su un altro piano perché nella seconda scena incontrerà Omura, il vecchio insegnante di ginnastica che gli offrirà la possibilità di lavorare per lui girando per la città come uomo Sandwich. I due si fermano su una panchina e vengono mostrati sedersi in modo parallelo con un movimento all’unisono per creare una comunanza tra questi due personaggi. L’ambiente è sempre importante nella definizione delle caratteristiche di una scena, si ambienta la scena in un parco giochi dove ci sono i bambini che giocano, abbiamo un uso contrastivo dell’ambiente. C’è lo sconforto dei due disoccupati e dall’altro la dimensione ludica del panico. Il litigio tra padre e figlio è il primo momento di rottura familiare. Il padre picchia il figlio, ci si concentra su primi piani del volto del bambino piangente e sulla fatica del padre che interrompe le percosse per asciugarsi il sudore sino al rientro della madre su una profondità di campo. Il padre poi comunica alla moglie del licenziamento. Con il licenziamento il film passa dall’esordio all’intrigo ponendo esplicitamente l’oggetto valore che è la ricerca di un lavoro. Qui la dimensione sociale del film si stringe con la dimensione famigliare e si determina la perdita del ruolo di garante della sopravvivenza famigliare da parte del padre-> padre in mutande. Ozu allarga il discorso e accomuna la disoccupazione di Shinji alla realtà giapponese dell’epoca-> ricerca di un nuovo lavoro. Ci trasferiamo nei dintorni dell’ufficio di collocamento dove sono mostrate diverse immagini di disoccupati per strada nell’attesa di un lavoro. Passano il tempo a raccogliere mozziconi di sigaretta. C’è un inquadratura che mostra un cartello con scritto “ufficio di collocamento”, inquadratura che in un altro film sarebbe posizionata all’inizio della sequenza mentre Ozu la utilizza a scena inoltrata. Shinji non entra nell’ufficio di collocamento, si trova nei paraggi e incontra Yamada, l’impiegato anziano licenziato. Quest’incontro pone le basi del successivo incontro con Omura, il vecchio insegnante di ginnastica, incontro che determinerà nuovi sviluppi narrativi. Possiamo dire che è una scena inutile del film, se eliminata, non cambierebbe niente. Hanno molta importanza i movimenti all’unisono, movimenti che indicano una comunanza tra i personaggi, si indica visivamente una comunanza esterna che rispecchia una interiore. Si siedono insieme sulla panchina, accomunati dall’essere licenziati, aver perso il lavoro e tutti e due trovano lavoro come uomo sandwich. Anche l’ambiente è importante, ha una funzione contrastiva con l’attitudine dei personaggi che sono ricurvi e sconfortati contro l’ambiente che è un parco giochi, dove ci sono i bambini che giocano. Dopo la scena del parco ci riporta alla dimensione famigliare con l’incontro tra padre e figlio, il figlio gioca con altri bambini, ha una bicicletta nuova, evidente il fatto che gli è stata regalata. Un evento che è stato messo in ellissi, come l’acquisto del monopattino. Inizialmente la scena ha un tono da commedia, in contrasto con l’evento precedente e poi si vira verso uno sviluppo drammatico quando il figlio rivela al padre della dissenteria della sorella. Si avvia quindi un secondo processo di peggioramento, la situazione si aggrava, aggiungendo la malattia della figlia. I processi di peggioramento sono legati tra loro perché la malattia della figlia implicherà il pagamento delle spese mediche, difficili da sostenere a causa della perdita del lavoro. Quando Shinji è rientrato a casa, Sugako gli dice di aver venduto dei vecchi giornali, preparando ad una successiva vendita, quella dei kimono della moglie da parte del marito x sostenere le spese mediche. Shinji dice che troverà i soldi per le cure. Abbiamo quindi due frasi che hanno il compito di preparare sul piano narrativo al momento drammatico dell’episodio in cui la donna scoprirà la verità. Si arriva poi all’ospedale, in cui si mostrano le piccole cose della vita quotidiana care al regista-> dagli sbadigli di Chonan al grattarsi di Shinji, riferimenti anche all’afa estiva. Il momento in cui padre e madre muovono i ventagli per far aria alle bambine, può essere inscritto nei movimenti all’unisono che sottolineano la comunanza. La sequenza dell’ospedale si chiude con l’arrivo del dottore che comunica che la bambina potrà essere dimessa e abbiamo il rientro della famiglia a casa, Shinji esprime la sua felicità aprendo tutte le porte scorrevoli dell’abitazione, dando aria e spazio alle diverse immagini di questa breve scena di transizione. Il figlio lo imita. Questa scena ci porta ad una delle più forti e rilevanti, quella della scoperta della vendita dei kimono di Sugako. Mentre l’uomo gioca con i bambini, la madre scopre che ha venduto i suoi kimono x pagare le cure. Da una parte abbiamo la gioia di una famiglia riunita, dall’altra si ha il dolore della donna x i kimono perduti e il senso di colpa dell’uomo x essere stato costretto a venderli. C’è il gioco di mani, tra figli e genitori e dall’altro il gioco di sguardi tra padre e madre. Ozu mostra con discrezione il pianto femminile, Sugako piange ma si asciuga solamente una lacrima, senza esibizione. L’immagine di Sugako che prende un kimono dalla cassettiera prefigura il momento in cui scopre la verità. Omura che nel finale del film parla ai suoi studenti con un ventaglio in mano, rimanda alla scena del licenziamento. L’arrivo in ritardo nel finale del film rimanda la scena iniziale del film. Dopo la guarigione della figlia si ritorna all’oggetto valore primario: la ricerca di un lavoro. Mentre torna all’ufficio di collocamento, l’uomo incontra Omura, il vecchio insegnante di ginnastica che lo porta alla sua tavola calda e gli offre un lavoro. La scena drammatica della tavola calda contiene anche una gag quando con i volantini fa finire la polvere sul pasto di Shinji. La scena della tavola calda ribadisce l’importanza data agli oggetti, qui Shinji tenta di convincere Omura a rinunciare all’idea di distribuire i volantini che pubblicizzano la sua attività. In Giappone la distribuzione di volantini pubblicitari è diffusissima ma è fatta da studenti, fatto da un adulto è considerato vergognoso. Shinji quindi soddisfatto prende il volantino e lo gira al contrario, nascondendo il testo. Omura poi volta di nuovo il volantino, mostrando il testo. Shinji mostra la delusione con il suo volto. Un altro momento topico del film è il confronto tra moglie e marito, dopo che la donna l’ha visto distribuire i volantini. Quando il marito rientra a casa lei gli dice “non ti ho chiesto di umiliarti così”, questo scontro prelude alla rappacificazione che riporta ad un’armonia fondata sulla comprensione dell’altro. Il passaggio dal conflitto all’armonia avviene nel film secondo una sorta di epifania del quotidiano che passa attraverso un doppio sguardo, prima dell’uomo e poi della donna, lo sguardo si sofferma su uno stesso oggetto, i panni stesi. Un identico vedere che diventa un identico sentire. Il momento di ritrovo dell’armonia è espresso anche dai movimenti corporei e dalle posizioni. Tutto ciò si ritrova all’ultimo momento chiave del film in cui nel ristorante il marito e la moglie vengono a conoscenza della notizia di un nuovo lavoro come insegnante di inglese. La notizia dovrebbe riempire di felicità ma non è così perché dovranno trasferirsi nella periferia, facendo prevalere un sentimento di mestizia sorprendente che cancella ogni sospetto di facile “happy end”. Dice di aver trovato lavoro in un’inquadratura ingombrata da un oggetto posto in avampiano, si rendono conto di dover lasciare TOKIO, Sugako cerca di reagire, dicendo che prima o poi torneranno in città. Anche la scena dell’epilogo è segnata su tono nostalgico. Stanno tutti cantando ma di nuovo c’è un contrasto tra l’agire collettivo e il gioco di sguardi tra Shinji e Omura. Solo alla fine si sorridono speranzosamente. Nell’ultimo totale vediamo un gran numero di bottiglie di birra che confermano la vocazione ludica del cinema di Ozu. ”SPRING IN A SMALL TOWN” FEI MU, 1948 Cina È un regista sconosciuto alla grande parte degli appassionati di cinema. È un film molto importante nella storia del cinema cinese; Hong Kong film awards e Busan international film festival l’hanno definito al primo posto come miglior film della storia cinese. FEI MU-> 1906- 1951, considerato uno dei più importanti registi cinesi prima dell’epoca maoista. Sin da giovane si appassiona all’opera tradizionale, matura una conoscenza internazionale delle culture occidentali, in particolare con lo studio delle lingue, da autodidatta impara francese, tedesco, inglese e italiano. A 18 anni si diploma in un liceo francese ed etra in una delle più attive case cinematografiche della Cina dell’epoca. Sono anni in cui interpreta anche la carriera di critico. È un futuro regista che si forma studiando la teoria del cinema. Realizza il suo primo film nel 1933, per la Lianhua, “Night in the city”. La fama nasce con un film del 35, dramma con toni confuciani “song of China”, è un film che è una critica alla corruzione della città e all’invadenza dei valori occidentali. Sarà distribuito anche negli USA. Nel 36 è autore di “blood on wolf mountain”, importante perché è un’allegoria dell’invasione giapponese. Lupi che invadono i villaggi cinesi della montagna, metafora dell’invasore. Nel 48 dirige anche il primo film a colori cinese, “remorse of death”, fei mu viene quindi considerato un regista importante. Dopo “confucio”, del 1940, si rifiuta di collaborare con i giapponesi, smette di fare cinema e si dedica alla messa in scena di opere tradizionali di teatro. Dopo il 49 tenterà inutilmente un rapporto con il nuovo potere politico cinese ma verrà considerato da mao comunista un regista di destra. Come molti altri cinesi dell’epoca, si trasferisce nell’isola di Hong Kong e muore a 45 anni a causa di una crisi cardiaca. Il film mette in scena i temi dell’alienazione e del desiderio fisico femminile, novità nel panorama del cinema nazionale. Si sposta la donna da un piano sociale a uno più esistenziale. Nella scena in cui è visitato dall’amico medico, liyan esprime la consapevolezza a riguardo della propria realtà coniugale e l’alienazione vissuta da lei. Le frasi che rivolge all’amico sono accompagnate da un lungo è impercettibile carrellata indietro. Alla scena segue un dialogo intimo fra i due “amanti” che è il momento in cui diventa noir e forse nella consapevolezza dell’essere senza via d’uscita, la donna si chiede “cosa possiamo fare” e trovano il coraggio di stringersi l’uno all’altro. Con un’improvvisa virata lei pronuncia “a meno che lui muoia”, colorando così di nero il film. La frase intanto turba la donna ed è lei la prima a chiedersi come ciò sia potuto accadere (che abbia pronunciato quella frase). Il suo sconvolto stato d’animo è accentuato da un movimento di macchina in avanti e l’uscita di campo dell’uomo che passa da un piano a 2 a un piano a 1. Nel teatro d’opera cinese i personaggi femminili si affidano a ventagli e maniche di seta x rappresentare i sentimenti, lei infatti fa un gesto con il foulard che tiene al collo. Quando liyan chiede alla moglie di fare da mediatrice x il matrimonio, l’ombra che si proietta sul muro sembra rinviare al tema del doppio. Abbiamo ancora momenti di sguardi, c’è un momento che comprende tutte le possibili combinazioni x ciò che riguarda lo sguardo nel rapportarsi tra due personaggi, ci sono tutte le combinazioni possibili, abbiamo un momento in cui lei guarda lui e lui guarda altrove, viceversa... Ci sono gli sguardi di Xiu e liyan che rivelano il dubbio sui sentimenti tra i due amanti. Stato di ebbrezza dopo il compleanno-> sono più audaci e raggiungeranno il punto erotico più alto della loro relazione mostrata, quando l’uomo bacia la mano della donna. Dopo ciò c’è l’immagine di yuwen sul suo letto, a gambe scoperte, nell’inquadratura più erotica del film, mettendo poi in in evidenza la mano fasciata con un lento movimento di macchina in avanti. I due amanti visitano liyan e le loro ombre traducono l’inconfessato desiderio dei due amanti a riguardo della morte di colui che impedisce il loro amore. L’immagine di yuwen che medita il suicidio è quella che esprime maggiormente l’analogia tra la sua devastazione interiore e le rovine della città. Lei passa davanti al marito senza guardarlo, la scena precede il tentato suicidio dell’uomo. Ci sono altre scene di ricamo, per esprimere i sentimenti di alienazione, noia e frustrazione, l’immagine dell’ago che perfora il tessuto è tutt’uno con i tormenti interiori della donna. Un’ulteriore spinta al tentato suicidio di liyan è dato quando lui la vede piangere a fianco dell’amico, la casa in rovina anche qua assume una chiara valenza esistenziale. Lui disperato tenta il suicidio lei passa davanti alla sua stanza, guarda e quando se ne va ci mostrano la mano del marito. Quindi cos’ha visto? Ambiguità del film!!! Ormai dato per morto lui ritorna inaspettatamente in vita, liberando i due “amanti” dal senso di colpa e permettendo una riconciliazione. Dopo la resurrezione il film propone yuwen che dichiara a xiu il suo amore per Zhi Chen. Infine abbiamo il marito e la moglie vicini alle mura della città, dopo la partenza dell’amico, come se fossero in una sorta di riconciliazione. Il gesto finale di lei (puntare il dito all’orizzonte) potrebbe essere quello di un film comunista. RASHOMON, KUROSAWA AKIRA, 1950 Abbiamo a che fare con un regista di primo piano nella fama mondiale. BIOGRAFIA: ha aperto al cinema giapponese le porte dell’occidente nel 1951 quando vince il leone d‘oro a Venezia Con Rashomon. Nato 23 marzo 1910 famiglia samurai, educato in modo rigido e spartano. Il fratello gli da conforto e guida spirituale e gli infonde passione x cultura e cinema, era infatti un Benshi, narratore di film muti. Diventa un giovane cinefilo e va sempre al cinema. 1928 termina la scuola-> suicidio fratello 1933 causato anche dalla perdita del lavoro (era un benshi, narratore di film muti ma si andava a introdurre il sonoro). Nel 1936 entra nella BCL che si trasforma poi in TOHO, scrive molte sceneggiature e aiuta i registi. 1943 riesce a esordire alla regia, trasponendo una sua sceneggiatura con “la leggenda del judo”; Il suo successo fa sì che gli venga chiesto di realizzarne un seguito. Nel suo cinema la natura non è mai indifferente. Nel 1944 realizza “lo spirito elevato”. Gli anni di guerra terminano con il primo film in costume. Con la fine della guerra e occupazione militare americana si crea un nuovo clima culturale in Giappone. Nel 1946 realizza “senza rimpianto per la mia giovinezza”-> descrizione clima oppressione Giappone anni ‘30. Nel 1948 e 1949 segna questi anni difficili x il cinema giapponese con due opere importanti, film in cui uno stile espressionista carico si fonde a uno sguardo neorealista sulla difficile realtà del Giappone nel dopoguerra. I due film sanciscono l’incontro del regista con due attori importanti che lo accompagnano. Nel 1950 realizza Rashomon che è tratto da due racconti e racconta la storia dell’omicidio di un samurai narrata attraverso gli occhi di più persone. Questa caratteristica mette in scena l'impossibilità dell’uomo di guardare in modo oggettivo la realtà. Mette in scena ambiguità, sottile linea che divide bene e male e e vero e falso. Dopo realizza altri 2 film importanti: “vivere” e “i sette samurai”. Metà anni ‘50 stabilisce tutte le coordinate di poetica e stile che caratterizzano la sua opera. Il tema centrale è la lotta di individui contro la società. Abbiamo costrutti esistenziali articolati complessi. Film costruiti su ritmo sostenuto, grande spazio a scene d’azione e tensione. In lui si confondono sempre le dimensioni occidentale e orientale, visibile anche nell’eterogeneità delle sue ispirazioni. Nel 1961 realizza un dei suoi film + conosciuti, Yojinbo. A metà degli anni ‘60 fonda una sua casa di produzione. Negli anni ‘70 sembra non esserci più spazio per lui, si salva con delle collaborazioni. La sua carriera termina nella prima metà degli anni ‘90 e muore nel 1998. Rashomon ha aperto le porte al cinema dell’occidente grazie alla vittoria al festival di Venezia. Siamo nel Giappone del 12 secolo a Kyoto presso una delle porte che introducono alla città, quella di Rasho. Un monaco buddista e un taglialegna raccontano, sgomenti (turbati) a un passante che si rivelerà un ladro, l’assassinio di un samurai su cui sono state riportate opinioni contrastanti. Un bandito, il samurai, la moglie e il boscaiolo ricostruiscono la vicenda. La caratteristica principale è ritornare più volte su uno stesso evento attraverso 4 narrazioni soggettive che si contraddicono. Non è una storia inventata ma è tratta da 2 racconti di Akutagawa Ryunosuke. La storia rashomon fa da cornice mentre l’altro racconto è quello contenuto nel film ed è “nel bosco”. Prendono queste storie e le mettono insieme. È evidente che il film ruota attorno al tema centrale che è la relatività del vero: il film è una sorta di riflessione sull’impossibilità di approdare a un’unica verità nella ricostruzione delle vicende umane. Parabola sulla relatività del vero. L’assassinio del samurai è narrato più volte e in versioni discordanti. Il film è costruito attorno a 3 luoghi che acquisiscono una valenza semantica nel corso della narrazione, la civiltà in decadenza, la natura selvaggia e la legge: 1. La porta di Rasho -> si apre e chiude il film. Ogni tanto riappare. Qui inizia la narrazione. Corrisponde al “presente” del film. 2. Bosco-> quando viene chiesto cos’è successo veramente si passa allo spazio dell’azione, il bosco, luogo del selvaggio in cui prendono forma le diverse versioni del delitto. Rappresenta il luogo in cui si manifestano le pulsioni nascoste degli esseri umani. È il passato remoto del film. 3. Cortile-> ricorda un celebre giardino zen di Kyoto, davanti al muro stanno i testimoni silenziosi mentre chi depone ha una posizione più bassa. È lo spazio della legge dove si cerca di risolvere il mistero. È il passato prossimo del film. Importanza della natura e come sia sempre una natura non indifferente nel suo cinema, non fa da semplice sfondo ma contribuisce a determinare una semplice atmosfera che è un tutt’uno con la situazione che si svolge. Importante è la pioggia, uso drammatico della pioggia. È una componente importante x le storie che si svolgono sotto la porta di Rasho. Un’altra caratteristica del suo cinema è il gusto per il raccordo ripetuto, unisce ad esempio 5 diverse inquadrature, c'è un raccordo ripetuto in avanti. Un terzo elemento di interesse è la dimensione tematica, relativa alla comprensione della realtà. “Io non capisco” il tema principale è dell’impossibilità di comprendere e definire la realtà. Potrebbe sembrare che i due siano su uno schermo cinematografico. Un altro elemento importante è il dinamismo del cinema: è testimoniato dal modo brusco e improvviso con cui è strutturata l’entrata in campo del ladro. È un’entrata sul davanti dell’inquadratura che modifica il quadro iniziale e segue la corsa dell’uomo. La pioggia continua, dinamizza l’inquadratura. È presente anche l’idea della rovina come la decadenza della moralità umana. L’elemento delle rovine è evidenziato dai campi allargati ma anche da altre soluzioni: sotto la pioggia si mostra una colonna della porta abbattutasi a terra. I personaggi sono disposti a scalare, in modo da creare una sorta di diagonale obliqua che dà all’immagine una tensione visiva mentre si parla di qualcosa d molto strano che è appena accaduto. Anche la seconda inquadratura crea una dimensione a scalare, la trave accentua ed evidenzia la dimensione obliqua del piano. Spesso fa dei raccordi e stacchi molto bruschi da dei piani molto più distanziati a ravvicinati o viceversa. Le immagini sono sempre attraversate dalla pioggia, viene enfatizzata la sua presenza perché viene nominata. Non viene rispettato il raccordo sull’asse, irregolarizzando ancora di più lo stacco e il raccordo. Il taglialegna è il primo dei narratori utilizzati. Attraverso le sue parole ci si porta nel bosco e ci introduce alla storia narrandoci il primo antefatto: la scoperta del cadavere. Prima inquadratura del bosco: mostra il sole fra le fonde degli alberi e introduce il gioco di luci e ombre che sono un tutt’uno con i misteri svoltisi nel bosco. Il passaggio nel bosco è segnato anche dal passaggio da pioggia al sole. Le prime 18 inquadrature della scena del bosco sono dinamiche e giocate sull’uso di ampi travelling. Anche qua sotto la porta abbiamo immagini triangolari che giocano su conflitti grafici. Il ladro afferma “non mi importa che sia una menzogna, purché sia avvincente”. Il ruolo di testimone dei due personaggi è ribadito dal fatto che stanno sempre sullo sfondo durante le deposizioni del bandito e della donna. Anche nel caso di Masako le sue espressioni e gestualità rappresentano un elemento importante nella deposizione ponendo in contrasto la staticità degli altri personaggi sullo sfondo. Nella versione di Masako ritroviamo dominanti gli stili triangolari. Altri tre raccordi in avanti uniscono 4 inquadrature che ci portano dalle immagini in campo lungo di uomo e moglie fino ad arrivare al primo piano di Masako. Tra i registi giapponesi sembra che quello che ha fatto ricorso maggiormente al primo piano è proprio Kurosawa: evidente sulla variazione dell’espressione della donna di fronte allo sguardo di disprezzo del marito. Il sentimento di sgomento della donna non è espresso solo dallo sguardo ma accentuato anche dal gesto (mani sulla bocca e gli occhi) Ci ritroviamo di nuovo davanti alla figura del cerchio e movimento di macchina circolare intorno al volto di Masako che si apre e si chiude con un quadro a due. C’è un altro segmento fortemente geometrico, grafico: un gioco di sguardi tra la donna e l’uomo che prelude al momento in cui la donna ucciderà il marito. Kurosawa alterna quelle immagini alle immagini dell’uomo. C’è un contrasto tra i piani fissi del samurai e i piani dinamici della donna. Il dinamismo dei movimenti di macchina e della donna è diverso da inquadratura a inquadratura, rendendo tutto più dinamico ed eterogeneo. Abbiamo carrellate in aventi, indietro, laterali. Il muoversi della donna lungo diverse direzioni è espressione della sua incertezza. Il racconto di Masako termina, si passa attraverso il giardino e Masako è in una posizione sfatta scomposta e quasi sconcia nell’esibire il corpo che è un tutt’uno con l’esibire dei suoi sentimenti. Torniamo alla porta dove c’è un conflitto fisionomico-> contrasto tra i due volti nella stessa inquadratura sono contrapposti come espressione. Il racconto della medium tramite cui prende la parola il samurai morto, introduce nel film delle componenti fantastiche, dando delle coloriture quasi horror. Quando il ladro sprona la narrazione della medium, la pioggia di intensifica. La scena si chiude con una maschera da diavolo sotto la pioggia. Si crea un’atmosfera horror che prepara la dimensione fantastica propria del medium. La deposizione della medium è la più mossa sia sul piano profilmico (soffiare del vento, movimenti della donna, il movimento delle fronde) sia sul piano filmico (uso del montaggio e della scala dei piani). La medium è più vicina all’obiettivo della macchina rispetto a tutti gli altri personaggi. Abbiamo di nuovo immagini triangolari e in profondità e in questa versione la profondità sembra voler separare il samurai dalla coppia Masako e Tajomaru. Ancora abbiamo conflitti estetici di fisionomie infatti si passa da inquadrature di volti di Masako a quelle della medium. Un altro elemento insolito, di straordinarietà è l’improvvisa entrata in campo dal basso. Ci sono poi le immagini del vento che viene rafforzato quando viene menzionato. Anche in quest’inquadratura abbiamo la contrapposizione tra la fissità degli uomini sullo sfondo e lo scomposto agitarsi della donna in primo piano. Kurosawa fa uso di primi piani e da importanza agli sguardi, importante quando la donna chiede a Tajomaru di uccidere il marito si nasconde dietro le sue spalle. Abbiamo poi il brusco raccordo tra primo piano e campo lungo. Ennesime immagini triangolari e in profondità. Di nuovo cerchio e movimenti di macchina semi circolari. Pur essendo costruito in prima persona il film non ha molte soggettive e preferisce le inquadrature “con” qualcuno rispetto alle inquadrature soggettive di qualcuno. Nella storia del samurai, il momento in cui la lama trafigge il suo corpo è mostrato. Kurosawa stacca sulla medium che compirà per lui il gesto, in un’azione traslata. Il suo è un cinema fortemente dinamico sia su piano filmico sia su piano profilmico. Kurosawa ama le conversazioni in movimento. Spesso questo agitarsi è anche segno di una certa inquietudine da parte di un personaggio, modo per esprimere il suo disagio interiore, quello che accade per il ripetuto avanti e indietro del boscaiolo prima che venga scoperto che aveva mentito. Anche in questa parte finale si ripropone il carattere metanarrativo del film, con l’esplicitazione della figura del destinatario della narrazione che si incarna attraverso la figura del ladro che spinge il boscaiolo a proseguire con la narrazione e a incarnare il desiderio dello spettatore che la storia possa proseguire. Kurosawa vuole dare peso sul monaco che dice che non vuole più sentire storie orride. Per accentuare l’istanza morale del film, le sue parole sono accentuate dal montaggio attraverso il passaggio di inquadratura con un rovesciamento di campo che pone in primo piano il monaco. Arriviamo poi alla versione del boscaiolo, che tende ad assumersi come forse quella più veritiera ma rimane un dubbio perché comunque ha mentito anche lui. È l’unica versione che abbiamo di un osservatore esterno alla vicenda, che non partecipa attivamente all’azione. Nella sua versione c’è la derisione della figura del bandito e del samurai. Nel racconto del boscaiolo, l’immagine di Tajomaru che si inginocchia davanti alla donna è un attacco alla sua dignità di guerriero e seduttore. L’immagine del samurai che si rifiuta di lottare per la moglie è un attacco alla sua dignità. Inquadratura di Masako tra le gambe in posizione triangolare del bandito e la sovrastante figura del samurai è l’esempio dell’impotenza della donna in una società patriarcale. Eseinstein-> pathos nel cinema che cattura lo spettatore e si dà quando qualcuno si trasforma dando vita ad un trasformazione che non può coinvolgere lo spettatore. È generato dall’estasi, come ex stasi, uscita da sé. È visibile nel passaggio della condizione di Masako da una condizione di oppressione a una condizione di supremazia verso i due uomini. Le pose del bandito e del samurai sono chiaro segno di non saper reagire alla reazione di Masako. Si avvia lo scontro accentuato dall’angolazione dall’alto. Il cinema di Kurosawa è anche un cinema che tende a giocare con l’eccesso, lavora sullo sguardo di Masako facendolo spostare continuamente dall’uno all’altro. Accentua la figura dell’osservatore, rimanda alla funzione spettatoriale. Ci sono poi ancora esempi di grafismi nell’immagine. Lo svilimento nella versione del boscaiolo delle due figure combattenti giunge all’apice nel momento in cui viene rappresentato il duello, rappresentati come due pavidi e inetti, più propensi a fuggire che ad attaccare e a strisciare come se fossero due vermi. Infine c’è il ritorno al tempio, segnato da un’immagine dalla forte valenza grafica con la superficie diagonale che attraversa l’inquadratura e sembra opprima le tre figure. Un’altra diagonale è visibile poi nella disposizione dei personaggi, posti in una dimensione a scalare. Il pianto del bambino gioca un ruolo importante perché introduce l’ultimo personaggio destinato a giocare un ruolo fondamentale nella dinamica della dimensione etica del film, contrapponendo l’atteggiamento del ladro e del boscaiolo. Sentiamo il pianto, c’è uno stacco, un raccordo in avanti che si dà nel momento in cui il ladro si alza, dimensione triangolare. Si evidenzia l’importanza del ladro proprio perché è il personaggio che passerà all’azione rubando le vesti al neonato. Non sono solo le diagonali a segmentare lo spazio. Kurosawa sposta il litigio tra il boscaiolo e il ladro sotto la pioggia, per evidenziare i loro volti e infradiciandoli violentemente. Nell’epilogo ci sono altri tre raccordi in avanti a unire 4 inquadrature al posto degli stacchi ricorre a delle dissolvenze incrociate, preparando ad un finale che darà al boscaiolo un’immagine diversa, prima era menzoniero ma poi si riscatta decidendo di prendere con sé il bambino. Lo stesso finire della pioggia evidenzia la dimensione di speranza. Il finale è in qualche modo umanista, si chiude con un gesto di speranza: quello del boscaiolo che decide di adottare il bambino abbandonato. Un campo e controcampo sulla partenza del boscaiolo davanti alla porta ricorda uno schermo cinematografico. L’ultimo quadro ha un effetto di profondità di campo con il boscaiolo che se ne va. THE HOUSEMAID, KIM KI-YOUNG Passiamo dal Giappone dei primi anni 50 alla Corea del sud del 1960. È un momento difficile della storia del paese. È stato un protettorato giapponese alla fine dell’800 alla seconda guerra mondiale. Il paese viene poi però occupato in due parti da russi nord e americani sud. Si creano diverse tensioni. Non è uno dei registi più noti della storia del cinema ma era molto apprezzato dalla critica e pubblico degli anni 60 quando viene travolto dalla crisi del cinema coreano nel corso del decennio successivo e quasi dimenticato negli anni 80. Carattere eccentrico dei suoi film. Nasce nel 1919 entra nel mondo del cinema esordendo alla regia con “la scatola della morte”. Dopo un paio di film diversi dai successivi realizza the housemaid. Il film esplicita l’aspetto dominante dell’attenzione al mondo del desiderio e degli istinti e l’attenzione a quella personalità nascosta celata in ogni essere umano e che quando si libera può spingere l’uomo verso la catastrofe. Il suo è un cinema estremo, come i sentimenti e le azioni dei personaggi che inducono a una vera e propria discesa agli inferi. Separazione tra natura e civiltà e desiderio e coscienza è labile. La molla che spinge i personaggi ad agire è l’istinto, non controllato è determinato dagli impulsi del momento, stimoli del desiderio sessuale e volontà di sopraffazione. Oggi i suoi film sono considerati veri e propri “cult”. Sono pieni di scompensi narrativi, inverosimiglianze, incoerenze… invenzioni visive spesso legate alla rappresentazione della sessualità. Anche il rapporto con i generi e cinema popolare è assai particolare: i suoi film contengono elementi del melodramma, horror, mistery, thriller senza esserne mai del tutto parte. All’omogeneità contrappone un cinema anche sceglie la via dell’eterogeneità. Omogenee possono essere considerate la sua poetica e stilistica, caratterizzate anche dai remake dei suoi stessi film. Muore nel 1997 per un incidente. Poco prima era partita la sua riscoperta grazie al festival e di Busan. Trama: kim dong sik (il marito) compositore e insegnante di musica in una fabbrica tessile femminile vive con moglie e figli. Una giovane operaia gli fa trovare una lettera d’amore, l’uomo denuncia il fatto alle autorità della fabbrica e lei si suicida. Una sua amica, l’operaia, chiede a lui di darle lezioni di piano. Lui le chiede se conosce una domestica, lei gliela presenta. Durante l’assenza di moglie e figli l’operaia rivela al marito il suo amore ma questi la caccia. La domestica che ha spiato l’accaduto tenta e riesce a sedurlo. Tre mesi più tardi la domestica è incinta, la moglie la spinge a rinunciare, dopo l’aborto diventa più dura e finisce, come per vendicarsi, col provocare la morte del figlio della coppia. La moglie accetta che si vedano. Decidono di avvelenarsi e l’uomo torna dalla moglie. Il film termina tornando alla scena iniziale. Incipit del film-> importante perchè deve catturare l’attenzione dello spettatore. In questo film la prima immagine introduce il motivo visivo delle sbarre che rimandano al tema della prigione, preludendo al destino claustrofobico della famiglia. La macchina da presa posta al di qua delle sbarre sembrerebbe “spiare” la famiglia. L’incipit del film è un esempio di incipit matrice, ovvero introduce esplicitamente il tema dominante della storia, cioè l’idea di un uomo che sarà sedotto dalla propria cameriera ed è ribadito dal dialogo iniziale tra moglie e marito. Movimento di macchina in avanti che va oltre le sbarre-> dimensione “spia”. Più volte nel film sarà adottata questa soluzione del movimento di macchina ad avvicinarsi. La scena successiva è quando il protagonista sprofonda in una discesa agli inferi, la sequenza è accompagnata da un violento temporale, avviatosi prima. La sequenza si apre con la domestica, sola in casa (moglie e figli in visita alla madre di lei) e seduta al pianoforte, gesto trasgressivo. Quando lei sente l’auto di lui si carezza le labbra con la lingua, gesto malizioso. Quando li sente arrivare si nasconde. Agire surrettizio, esce sul balcone x spiare l’arrivo di lui e operaia. L’arrivo è mostrato con l’effetto visivo delle sbarre. Il gioco seduttivo nei confronti dell’uomo è agito x la seconda volta. La sequenza seduttiva è giocata su 2 parti: quella mancata e quella riuscita dopo. Maestro e allieva a suonano il pianoforte con i loro volti riflessi sul legno del piano. Poi la donna rivela i suoi sentimenti x lui e dice che è stata lei a spingere l’amica a scrivere la lettera d’amore. Ancora una volta lui rifiuta questa seduzione e ciò porta ad uno scontro senza esclusione di colpi. La donna afferma che si suiciderà e che lascerà una nota in cui affermerà che l’ha stuprata, lui la schiaffeggia e la farà cadere a terra. Suo volto vicino ai piedi della domestica: sembra opporre chi fallisce con la seduzione a chi riuscirà. La donna poi si strappa la camicetta x simulare stupro e lui la spinge verso le scale e la minaccia di ucciderla. Emerge l’importanza delle scale, uno spazio di transizione, destinato a fare da teatro ad alcuni dei momenti più drammatici e violenti del film. Arriviamo al momento decisivo dell’intreccio che rappresenta il punto di non ritorno della storia: affondo vincente della domestica. Il passaggio da queste situazioni sembra il passaggio da un sentimento puro, attraverso un comportamento ambiguo e poi squilibrio. Sono tratti delle donne intorno a lui. Lui entra nella stanza e trova la domestica con le mani appoggiate sui seni, rendendo più esplicito il gioco seduttivo dell’amica. Anche lei risponde con le minacce, dopo essersi vista respinta. La mossa successiva è quella di farlo passare nella propria camera da letto facendolo passare sotto la pioggia torrenziale. Il momento della seduzione vera e propria, lei di spalle alla finestra, si sfila la camicetta, la mano di lui si pone sotto l’ascella, il braccio si chiude e lei si volta. Piedi nudi di lei sulle scarpe di lui, il tronco di un albero è complito da un fulmine-> rafforzo iconico di quanto è appena accaduto. La domestica si presenta in una dimensione di duplicità: lo chiama caro, si definisce l’amante… vista la sua azione negativa, si butta ai suoi piedi in segno di sottomissione. Altri due oggetti hanno importanza nella scena-> la maschera, sempre alle spalle della donna, rimandando al suo celarsi e duplicità e lo specchio, su cui l’uomo si guarda. La donna si mette in mezzo, quasi come se gli impedisse di guardarsi. Rientra la moglie con i figli: 1. La domestica li accoglie scendendo dalle scale e sistemandosi i capelli-> ambiguo. 2. Riferimento al mancato appetito dell’uomo, letto dalla moglie come se gli fosse mancata la moglie 3. L’uomo racconta del suicidio dell’operaia e esprime i suoi sensi di colpa su piano traslato 4. Il dialogo con la moglie è interrotto dal sono del pianoforte strimpellato con violenza al primo piano dalla domestica che è un segno sonoro della sua invasione. Il confronto tra le donne sarà esaltato sull’audiovisivo: suono pianoforte e suono macchina da cucire. 5. Il dialogo tra marito e domestica che si fa minacciosa da una parte e lui è l’uomo soggiogato perché da un momento cambia ruolo, diventa debole, impotente. 6. Lei cacciata da lui si riaffaccia al balcone. Le brevi scene che seguono sono di transizione e di libera uscita dalla casa dei kim,il litigio di lui con l’amico e il turista ha funzione di evidenziare la tensione. Ellissi di tre mesi, siamo in cucina, moglie e domestica che ha un attacco di vomito. Scopriamo che è incinta e tocca al marito a cui porta il caffè. Lei indossa l’ennesima maschera e si manifesta nel ruolo di personaggio sottomesso. Il dialogo ci comunica che anche la moglie è incinta. La sequenza si conclude al piano terra con la scena dell’arrivo della televisione, si sommano elementi di debolezza dell’uomo che non voleva la televisione. La televisione potrebbe indicare un miglioramento dello stato della famiglia ma non è così perché: 1. Il bambino dice alla domestica che la televisione non è per lei 2. La cattiveria con cui lui prende in giro la scrolla con le stampelle chiamandola scoiattolo 3. La moglie ricorda al marito di essere all’ultimo mese di gravidanza e gli racconta del vicino che dopo aver messo incinta l’amante è stato sbattuto fuori dalla moglie 4. Quando la televisione viene accesa vediamo uno show con ballerine che danzano (seduzione). La sequenza successiva si apre con un piano insolito, la bambola che richiama la seduzione, immagine di seduzione femminile che si ricollega a quella delle ballerine ma anche all’invasione della domestica. La domestica gli ribadisce il fatto che è incinta e avrà 2 bambini nella stessa casa. Lui mostra la sua impotenza accasciandosi sulla sedia. “Devo dirglielo”-> alla moglie del tradimento. Ce lo mostra andare verso casa, spazio attraversato dal treno. Procede per gradi, va nella stanza della moglie x confessare: procede per gradi, come la seduzione della domestica. La frase sull’aver messo incinta qualcuno è rafforzata da uno stacco. La donna reagisce con indignazione e getta a terra la macchina da cucire e la televisione. Quando le rivela implicitamente chi ha messo incinta, lei va da lei x supplicarla di abortire. La domestica strimpella il piano mentre le viene detto ciò. L’aborto si divide in 3 diverse scene: caduta, arrivo dottori e dolori di lei. Caduta costruita sul fuoricampo-> abbiamo un immagine di lei dal basso sul pianerottolo, poi una profondità di campo con i coniugi, la moglie chiude le porte mettendola in fuoricampo. Dopo delle battute, la donna avanza e mette fuoricampo l’uomo, si sente l’urto della domestica e si sente l’urlo. I due non vanno subito a vedere. Il medico la visita e capiamo siamo sicuri che l'aborto è avvenuto. Importante è l’esitazione di moglie e marito prima di aprire le porte, c’è un attimo di pausa, come a non intervenire. Poi aprono le porte e vanno da lei. La visita del medico ufficializza l'aborto e il malore notturno della domestica assume coloriture horror. Impotenza maschile-> al posto di rispondere agli urli della moglie, si accascia sul pianoforte. Quando la moglie porta il cibo alla domestica, il film si ritrova a percorrere di nuovo quella discesa agli inferi. La sequenza della morte del figlio si articola in una successione di scene che esplorano l’appartamento dei KIM. Carrellata laterale che unisce le figure di domestica e bambini e ripropone il tema della prigione. Prosegue poi nella stanza del pianoforte, campo e controcampo e sguardo duro e spaventoso della domestica che li guarda. Arrogante richiesta di un bicchiere d’acqua. Scende al piano terra e entra nella camera da letto dei coniugi (profanazione dei luoghi), scontro e minaccia, si avvicina al letto del neonato, lo prende tra le braccia e la moglie le si scaglia contro. Cacciata dalla stanza va nella cucina e la scena si colora di una ambiguità hitchcockiana, prende la botticina del veleno, ellissi, immagine di lei che esce con il bicchiere in mano, ambiguità. La salita delle scale trova il punto di forza nelle inquadrature ravvicinate del bicchiere e quando le scale sono viste attraverso l’acqua contenuta-> situazione fortemente hitchcockiana. Massimo sadismo del film-> morte del bambino e caduta dalle scale; trascina il padre nella sua camera. Il film non attesta che l’acqua fosse effettivamente avvelenata, ambiguità. La moglie cede e acconsente a far dormire la domestica con il marito, con un’inquadratura che include anche la bambina in campo, li guarda salire. Mamma e figlia cercano di avvelenarla, bacio alle gambe del marito, ferita all’amica con il coltello. La moglie per l’ennesima volta è mostrata con la sua macchina da cucire, immagine ossessiva che torna più volte e rappresenta l’impossibile tentativo della donna di far finta di niente rispetto a quello che è è successo. Sulle scale marito e domestica si incontrano e lei accentua l’atmosfera horror del film accennando ai fantasmi dei bambini. Prima dice che sono lei e la moglie saranno colpevoli e poi gli dice che le rovinerà la vita. Lui tenta di strangolarla x ucciderla, tutto sotto sempre la stessa lampada. Lei dice di essere contenta di morire se lo faranno insieme, altrimenti ucciderà la moglie e si ucciderà. Scena doppio suicidio: accompagnata dalla pioggia scrosciante, lega le scene degli amanti e della moglie. Movimento ravvicinato, mani della donna che versa il veleno in 2 bicchieri. Dopo aver bevuto il veleno l’uomo ha un senso di comprensione per la donna. Nell’imminenza della morte appaiono come due amanti, il momento delle mani che si intrecciano è evidenziato da un colpo di fulmine, quasi come unire storia d’amore e di orrore. Il montaggio connette le loro mani all’immagine della moglie al lavoro. Ritorna il motivo della sigaretta, la domestica si accende l’ultima sigaretta, rimandando al momento in cui gliel’ha accesa lui. Per tutto il film è stata segnata da duplicità e atteggiamenti contraddittori, dettati da impulsi. Duplicità presente nell’uomo, tutto d’un pezzo e poi diventa prigioniero della domestica e mostra impotenza. Immagine di lui a braccia alzate vicino lei esprime la condizione di resa. Tuttavia segue la sua dichiarazione di voler morire affianco la moglie. Lei cerca di fermarlo, gli si aggrappa alle gambe, ancora un gesto di sottomissione . Le scale ritornano protagonista con l’uomo che scende e lei che non lascia la presa, trascinata a testa in giu. Effetto sonoro del capo della donna che batte contro i gradini delle scale-> più crudele rappresentazione. L’uomo striscia a terra in ginocchio vicino alla moglie-> dimensione impotenza segnato da momento della seduzione. Anche nel finale si ricorre alla profondità di campo. Di nuovo la pioggia lega lo scioglimento della storia all’ironico epilogo. Epilogo-> donna con il giornale in mano, torniamo alla sequenza iniziale, commento sulle domestiche, tutta la vicenda fin qui narrata assume uno statuto incerto, è accaduto tutto davvero? Apparizione della domestica-> effetto sorpresa, lei getta uno sguardo all’uomo. Finale con l’interpretazione allo spettatore in cui il protagonista lo mette in guardia dal facile rischio di commettere gli stessi suoi errori. SORGO ROSSO- ZHANG YMOU, CINA 1987 Passiamo ad un cinema d’autore, di uno dei più raffinati esteti del cinema orientale. Fa parte della quinta generazione ( chi voleva fare film doveva x forza diplomarsi all’accademia del cinema di Pechino, durata 3 anni e i diplomati appartenevano quindi a una generazione). In cina durante la rivoluzione culturale 66 76 c’è una quasi totale sospensione dell’ attività cinematografica. L’accademia del cinema riapre nel 78 e nell’82 porta la generazione di diplomati, quelli della 5 generazione fra cui YMOU, KAIGE e ZHUANGZHANG. Elementi di novità di questa generazione: 1. Smettono di essere didattici i film e sono segnati da uno stile per certi aspetti ambiguo, ermetico, aperti all’interpretazione del pubblico 2. L’impronta umanistica li spinge verso un interesse x individuo, personaggi credibili e lontani dal modello dell’eroe comunista. 3. Il singolo è visto cime qualcuno contrapposto alle leggi sociali e naturali 4. Ambientazione si rivolge al passato o assume connotazioni atemporali, privilegiando una dimensione allegorica. 5. I film ripropongono il tema della cinesità e il rapporto con le tradizioni culturali e antropologiche, riguarda al passato della propria cultura. 6. La campagna ha la meglio sulla città 7. Il cinema riutilizza un attento uso del linguaggio, uso del colore simbolico, centralità paesaggio, montaggio lirico…al contrario del cinema maoista che si basava solo sul contenuto. Sarà ZHANG YMOU con Sorgo rosso , tratto da un romanzo di MO Yan che ha vinto il premio nobel, e vince l’orso doro a Berlino. Altri successi con lanterne rosse e la storia di qiu jiu che vinse il leone doro. vuole distinguere dal film maoista, qui i contadini organizzano la resistenza contro i giapponesi invasori e a differenza del passato in cui l organizzino e è associata alla ideologia comunista, essa è introdotta da un rituale con il vino di sorgo che si rifà alle ancestrali culture e tradizioni contadine più che agli imperativi del nuovo credo. Il motivo del sorgo e del colore rosso ritornano nei dettagli che aprono la scena in cui Ju er prepara la tavola in attesa del giglio e del marito dopo l’attentato al convoglio giapponese. Profezia-> una di queste brocche di sorgo si infrange rovesciando il vino, potrebbe anticipare l’immagine del sangue versato al camion giapponese. La morte di Jiu er-> epicizzata attraverso l’uso del montaggio alternato che la unisce alla ricerca del bambino e l’attentato al camion giapponese associata all’uso del rallenty, fuoco e senso della composizione delle immagini. L’ultima parte del film è associata all’utilizzo del controluce per conferire un tono lirico alle immagini, insieme alle variazioni di luce attraverso l’idea dell’eclissi solare, richiamando la fine di un film di Antonioni. Il figlio di ju er intona una canzone x augurare buon viaggio alla madre appena uccisa. È una delle canzoni del film attraverso cui il regista si lega alle tradizioni musicali del proprio cinema. Nelle immagini finali è tutto tinto di rosso, lo stesso sorgo diventa il simbolo dell’anima di un popolo. IL CINEMA DELL’ESTREMO ORIENTE IL CINEMA CINESE DEGLI ANNI ‘80 Primi anni ‘80, dopo la cina Maoista, vediamo nuovi approcci e cambiamenti nell’ambito cinematografico: si inaugurano nuovi studi, si impostano politiche di co produzione e distribuzione, si fondano riviste di critica ecc.. Questo decennio è segnata dall’emergere della “5 generazione” con registi conosciuti sia internazionalmente che no. I primi film importanti di questa nuova generazione sono “one and eight”, “yellow Earth”, abbiamo film tragicomici come “black cannon incident”, poi abbiamo film sulla guerra. Tutti questi cineasti non si ritrovano sotto il nome di “quinta generazione” ma si sentono comunque uniti dall’esperienza della Rivoluzione culturale, l’appartenenza alla “generazione perduta”; sono accomunati anche dalla tendenza a delegittimare tutte quelle figure che rappresentano le istituzioni (soldati, capi villaggio ecc) infatti nei loro film non sono mai figure capaci. Questi film quindi smontano l’eroismo associato agli uomini in uniforme, lavorano sul loro aspetto psicologico per delineare il gioco sociale in cui sono stati inseriti senza possibilità di scelta e spesso senza via di fuga. Con i movimenti studenteschi del 1989 la quinta generazione comincerà a sciogliersi ma si ritroveranno tra il 1992 e il 1993 con film che riportano sullo schermo le fasi più contraddittorie del maoismo e che segnano un “ritorno alla storia”. Successivamente si apre la sesta generazione che, al contrario della precedente che realizzava film urbani in cui la geografia era chiara e resistente al cambiamento, rappresenta scenografie in spazi angusti o disadorni di palazzi, laboratori, prospettive che alimentano il sentimento di alienazione di chi abita queste città. La città non è più anfiteatro, ma rovina. Fine anni novanta, i registi cominciano a far meno delle pellicole e affidarsi alle nuove tecnologie: si possono usare telecamere leggere e maneggevoli, il digitale permette di ridurre il numero di collaboratori; i personaggi sono rappresentanti della stagione dell’eroismo dell’uomo comune, ordinario. Sono infatti presenti i contadini, gli operai. Il digitale viene usato per definire l’idea di spettacolo come eleganza e coreografia del reale, senza rinunciare alla verosimiglianza del gesto (montaggio). IL CINEMA DI JIA ZHANG-KE È troppo giovane e non sperimenta la tragedia della rivoluzione culturale; quando diventa più grande non è abbastanza politicizzato x partecipare ai moti di protesta studenteschi. Scopre l’amore per il cinema nel 1991 assistendo alla proiezione di Yellow Earth. Nel 93 entra all’accademia del cinema di Pechino. Il suo primo cortometraggio è del 94 e arriva 5 anni dopo l’evento di Piaza Tiananmen, quando ormai nessuno ne parla più. Nelle sue produzioni, importante diventa l’icona maoista. È evidente anche la sua accusa agli istituti politici che stanno gestendo il periodo delle riforme. I suoi personaggi sono accomunati da timidezza, disagio, innocenza e ingenuità e la posizione di inopportunità, inconvenienza e anacronismo nei confronti delle autorità. Il suo primo documentario è una serie di immagini senza commenti, è la ricerca del banale, dell’inutile, dell’anti narrativo; si pone alla stessa altezza di sguardo degli oggetti. Nei due documentari successivi abbiamo 3 fattori importanti: 1. Sforzo metadiscorsivo del regista che ritrae l’opera di altri artisti per confrontarla con la propria 2. Confermano il suo profilo umile, amatoriale 3. Appaiono come il risultato di una costante ricerca di affinità e dialoghi con l’esistente in tutte le sue forme possibili Utilizza i materiali di scarto della grande industria cinematografica, la sua tecnica non è quindi originale ma innovativa perché riutilizza elementi di riciclo, riadatta vecchi strumenti di lavoro e, per questo, vi è un’alta propensione al rischio. COREA DEL SUD: IL CINEMA SUD COREANO DAGLI ANNI ‘90 AD OGGI La storia della Corea in questi ultimi anni può essere divisa in 3 grandi periodi: 1. Occupazione giapponese 1907-fine seconda guerra mondiale 2. Inizio guerra di Corea 1948 - 1992 3. Democrazia, dal 1992 Gli anni delle dittature militari si caratterizzarono per arbitrio, corruzione, sollevazioni popolari e repressioni sanguinose. Nonostante ciò il cinema coreano aveva avuto periodi positivi, due età dell’oro, una fra il 1926 e il 1938 e l’altra tra il 1955 e il 1969. Nel 1962 ci fu una legge che vietava la produzione cinematografica indipendente, vi era poi una censura che interveniva sulla sceneggiatura e a prodotto ultimato. La situazione si aggrava negli anni settanta con una riduzione del pubblico. Con gli anni ‘80 ritorna legale la produzione indipendente. All’inizio degli anni ‘90 cominciano ad essere distribuiti i film americani e abbiamo anche l’ingresso nel mondo della produzione cinematografica dei grandi conglomerati industriali che risolvono la mancanza di capitali avuta fino ad allora. Tra il 1996 e il 2000 abbiamo la prima fase del boom del nuovo cinema coreano, finanziamenti, crescita dei budget, nascita di una nuova generazione di registi, avvio del fenomeno del blockbuster (Film dal grande budget). È con “shiri” che si fa iniziare il nuovo cinema coreano, la terza età dell’oro, infatti abbatte il precedente record acquisito da “Titanic” di Cameron. Non tutti i blockbuster ebbero tanto successo. IL CINEMA DI LEE CHANG DONG È una delle figure chiave del cinema coreano. Poetica del regista: figura dell’intrusione, drammatico passato, ricerca di una famiglia, colpe commesse, amori impossibili, finali che aprono la storia a possibili sviluppi. La poetica dell’ intruso vede il protagonista in un’entità collettiva in qualche modo infastidita dalla sua presenza (lo vediamo in Green fish, peppermint Candy e secret sunshine). A questo si aggiunge il fatto che sui protagonisti grava un drammatico passato che è anche causa della precarietà del loro equilibrio psichico. Questa drammatica situazione spinge i protagonisti a cercare rifugio in istituzioni, congreghe, o gruppi che li possano accogliere e consolare. I finali trovano però una realizzazione. Il ruolo di outcast che i protagonisti assumono, è dovuto anche alle loro colpe. Sembrano infine condannati a un destino che non dà loro tregua, eppure il finale sembra sempre aprirsi e lasciare uno spiraglio di speranza. IL CINEMA GIAPPONESE DAGLI ANNI ‘90 AD OGGI Negli anni settanta e ottanta abbiamo l’emergere di alcuni autori importanti, sono infatti anni di prosperità che fanno del Giappone una delle principali potenze mondiali. Il decennio successivo, però scoppia una crisi e vediamo calo delle nascite, aumento disoccupazione, calo del salario e, a tutto questo, si ha uno smarrimento esistenziale. Gli anni 90 sono caratterizzati dal tentativo di organizzare e promuovere il cinema indipendente, il più importante è Sento Takenori; ha successo il mercato del J horror ma anche l’animazione come Hayao e Studio Ghibli. Altri fattori che hanno contribuito alla nascita del nuovo cinema giapponese sono stati i festival e gli original video. Il primo festival importante è il PIA film festival, il FILMEX e il YAMAGATA FILM FESTIVAL. Un altro fattore importante è il mondo del V-Cinema, o Original Video, i film girati in video e diretti a una visione domestica anziché nelle sale, questo fenomeno nasce nel 1989, sono prodotti con budget ridotto e come generi si concentravano su horror e erotismo. ISHII SOGO-> inaugura la nuova stagione degli anni 80 e 90 con alcuni film, tra cui “panic high school”. KUROSAWA KIYOOSHI-> anche lui inizia a lavorare durante il periodo universitario. Ha uno scontro con la compagnia cinematografica Nikkatsu che lo porterà per quattro anni su una sorta di lista nera e ritorna all’univeristà per tenere lezioni sul cinema, diventando ispirazione per futuri cineasti. Nel 1989 ritorna in produzione con degli Horror. La sua filmografia è compatta, fatta di spazi desolati e luoghi abbandonati o prossimi alla distruzione, giovani senza legami, personaggi in solitudine, TSUKAMOTO SHIN’YA-> terzo “padre” della nuova onda del cinema giapponese. Realizza cinema che si fonde con il cyberpunk. I suoi protagonisti sono persone immerse nella vita quotidiana, ne subiscono disagi e pressioni poi, spesso la loro vita cambia, con l’incontro di qualcuno, e alla fine il personaggio cambia ed è irriconoscibile, quasi in meglio. KITANO TAKESHI->gli anni ‘80 si chiudono con il suo esordio, diventa uno dei personaggi più popolari del mondo dello spettacolo giapponese, il suo film d’esordio è “violent cop”. La sua poetica è coesa, elementi di violenza, gioco, crudeltà, dolcezza, ferocia animalesca e ingenuità infantile, dramma e commedia, azione e stasi, la pulsione della morte che segna quasi tutti i protagonisti, stile fatto di immagini statiche, montaggio alieno da qualsiasi regola. ICHIKAWA, KOREEDA E KAWASE-> rappresentano quello che oggi è il cinema d’autore in Giappone. Ichikawa esordisce con Bus SU e ha affermato che il suo punto di ispirazione è Ozu, utilizza infatti spesso inquadrature di transizione che mantengono vivo il sentimento appena provato. I suoi film si radicano bene nella società giapponese contemporanea soprattutto perché esprimono sentimenti e inquietudini delle nuove generazioni, con personaggi che fanno fatica ad adattarsi. Una dimensione tipica del suo cinema è la dimensione metropolitana. Koreeda arriva invece dal mondo del documentario televisivo, anche il uso è un cinema di osservazione e rapporti interpersonali. Anche per Kawase il documentario è l’aspetto fondamentale del suo cinema, la sua opera è segnata da carattere autobiografico e personale. Il suo cinema è quindi omogeneo, domina l’approccio documentario e la presenza del paesaggio naturale. Oltre a questi tre, un’altra figura importante è Aoyama Shinji, sembra che i suoi film si concentrino sull’azione ma in realtà si interessa allo stile dei personaggi; di fatti dà importanza ai personaggi marginali, che faticano a instaurare legami e hanno traumi. Importante nella sua formazione è stata la frequenza dei corsi di cinema di Kurosawa e Hasumi. Hashiguchi-> ambito tematico è il mondo dell’omosessualità e i rapporti con la società insieme ai sentimenti confusionali dell’adolescenza. Miike-> violenza oltraggiosa, intensità espressiva, effetti digitali e situazioni audiovisive ispirate al manga. La violenza è rappresentata con teatralità ma raramente spettacolare e spesso accompagnata da un forte senso di dolore. Il suo lavoro attraversa anche diversi generi come horror, musical, fantastico, western. Il genere horror ha contribuito a dare prestigio sociale al nuovo cinema giapponese e si è imposto per la sua capacità di lavorare sul rimosso, colpe che riaffiorano in forme mostruose e inquietanti atmosfere psicologiche. Il successo di questi film è tale da spingere Hollywood a farne dei remake. Nakata sarà il principale maestro di questo genere (The ring).
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