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Appunti Storia dell'arte moderna e didattica dell'arte, Appunti di Storia Dell'arte

Appunti chiari che ripercorrono la storia dell'arte (arte preistorica, egizia, greca, rinascimentale, moderna)

Tipologia: Appunti

2017/2018

In vendita dal 17/02/2022

FRAN.ALBA
FRAN.ALBA 🇮🇹

3.8

(4)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti Storia dell'arte moderna e didattica dell'arte e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! STORIA DELL’ARTE MODERNA E DIDATTICA DELL’ARTE Rispettando tale ordine si analizzeranno i seguenti periodi artistici: storia dell’arte preistorica, storia dell’arte egizia, storia dell’arte greca, storia dell’arte rinascimentale e storia dell’arte moderna. Di ciascuno si esamineranno le caratteristiche, i tratti particolari ed il movente che spinse gli iniziatori di ogni periodo artistico ad organizzarlo e svilupparlo secondo una precisa modalità. La storia dell’arte non è la storia del progressivo perfezionamento tecnico, bensì del mutamento dei criteri e delle esigenze. Definizione generale di opera d’arte: le opere d’arte sono oggetti culturali portatori di conoscenza, costruite perciò per tramandare qualcosa alle generazioni successive. Ogni opera d’arte presenta: - un soggetto - un tema - una composizione - un autore - una tecnica ben precisa utilizzata per la realizzazione - un’ iconologia (= significato simbolico, allegorico di un’opera) - un’ iconografia (→ opera considerata dal punto di vista grafico, ci si focalizza sulla fase realizzativa) - un contesto storico in cui è ambientata - una critica Tutti questi elementi permettono un’analisi completa di qualsiasi opera d’arte. I quattro principi costruttivi di un’opera d’arte 1. Oggetto + attributo simbolico → si fa riferimento al significato nascosto di un’opera; simbologia che non è sempre percepibile al primo impatto 2. Contenuto + linguaggio → il contenuto dell’opera potrebbe esser il racconto di ciò che l’autore stesso ha provato attraverso un’esperienza diretta 3. Materia + forma → quando un autore decide di realizzare un’opera da forma ad una materia per raggiungere il suo scopo e terminare il lavoro 4. Oggetto + attributo proiettivo → corrisponde al ruolo del fruitore nell’opera d’arte I principi costruttivi sopra indicati divengono conseguentemente paradigmi costitutivi: 1. Il primo principio si traduce con “cosa rappresenta?” 2. Il secondo principio si traduce con “che cos’è?” 3. Il terzo principio si traduce con “com’è fatta?” 4. L’ultimo principio si traduce con “qual è il ruolo del fruitore?” → in un contesto scolastico i fruitori potrebbero essere gli alunni stessi, che, a seconda di come un’attività viene proposta, potrebbero o meno far parte dell’”opera d’arte” (es. drammatizzazioni, gioco del mimo) Storia dell’arte preistorica Gombrich, capitolo 1 Dal punto di vista artistico la preistoria può esser suddivisa in tre periodi, che vanno dal 6500 a.C. al 4000 a.C. : - il Paleolitico → significa pietra antica e corrisponde al periodo in cui si sviluppano pitture rupestri relative ad animali e ha principalmente scopi magici e propiziatori; è più precisamente nel Paleolitico superiore che nascono le prime raffigurazioni fatte dall’uomo - il Neolitico → significa pietra nuova, ed è il periodo in cui l’arte acquisisce scopi ornamentali e le popolazioni si stabilizzano. In seguito, infatti, si vedrà come l'arte assumerà un valore maggiormente decorativo, sganciandosi dal mondo religioso. - l’Età del bronzo *limiti ontologici della preistoria (l’esserci nel momento) Per quanto queste prime forme d’arte sono lontane alla nostra epoca, occorre acquisire la consapevolezza che non possono esservi risposte certe e veritiere riguardo a qualsiasi interrogativo che viene posto in merito all’argomento. Si hanno opinioni sull’arte preistorica. Ad esempio, si può dedurre che le forme d’arte preistorica dovevano esser funzionali a qualcosa, in quanto nel passato, fino all’avvento del Rinascimento, non persistevano i criteri del bello e del brutto perciò quello che si creava lo si faceva perché serviva per un certo scopo. Da queste riflessioni si è arrivati alla considerazione che le creazioni degli ominidi avessero una funzione magico-propiziatoria. Al tempo si aveva la convinzione che attraverso l’uso di immagini riportate sulle pareti delle grotte si potesse modificare il futuro. Gli ominidi rappresentavano scene di caccia non ancora vissute, dipingevano scene in cui vi era un animale di taglia superiore all’uomo stesso con l’augurio di incontrarlo ed ucciderlo per poi nutrirvisi garantendo la sopravvivenza. Disegnando, capitava che aggiungevano anche una parte di sé così da sentirsi parte integrante della raffigurazione. Si può da ciò dedurre che gli ominidi avessero una concezione animistica delle cose, ovvero credevano che avessero un’anima. Gli scopi per cui gli ominidi iniziarono a realizzare “opere”, ovvero la credenza che attraverso di esse si potesse modificare il futuro, si può tradurre come una forte necessità di avere certezze per il proprio presente e per il proprio avvenire. Riflettendo questo bisogno alimenta anche il presente ed il futuro di ciascun uomo oggi (→ mass media che utilizzano lo stesso meccanismo che gli ominidi avevano già scoperto per rispondere ai bisogni umani). Tecniche utilizzate per la realizzazione delle raffigurazioni rupestri: - la mano stessa degli ominidi diveniva uno strumento con funzionalità artistica → utilizzavano la mano per spalmare il colore, oppure ricoprivano il palmo con della pittura e lasciavano nelle pareti delle caverne loro impronte - utilizzavano dei bastoncini resistenti per riuscire ad incidere sulle pareti delle caverne i contorni di ciò che raffiguravano - pensarono e realizzarono una sorta di pennelli rudimentali → ad un bastoncino legavano dei peli di animale con cui poi potevano disegnare - una diversa applicazione del colore, oltre all’utilizzo di mani e/o pennelli rudimentali, veniva realizzata Munari, esempio didattico sulle accidentalità La creatività è un elemento fondamentale per la crescita della persona e conseguentemente della collettività a cui appartiene. Un individuo creativo può esser considerato come un distributore di cultura, che fa crescere la collettività e, a sua volta, cresce con essa. È importante perciò che si lavori sulla creatività dei bambini, coloro che andranno a costituire la società del futuro. La scuola d’infanzia e quella primaria devono lavorarci su e pensare ad attività che siano proficue a ciò, in quanto si fa presto a spegnere la fantasia e la creatività dei bambini se gli si fanno proposte come disegni su tema, uguali per tutti, che devono svolgere utilizzando ciascuno gli stessi materiali. Un’attività volta allo sviluppo della creatività potrebbe esser la seguente: si mettono a disposizione dei bambini dei fogli di carta di varie dimensioni e forme, ottenuti tagliando e strappando la carta senza seguire alcun criterio. Quest’operazione va fatta davanti ai bambini, senza fornire alcuna spiegazione. Li si invita poi a scegliere uno dei foglietti spezzettati, quello che preferiscono, su cui dovranno disegnare o dipingere con qualsiasi tipo di materiale ciò che la forma del foglio di carta scelto suggerisce loro. Si noterà come i bambini siano entusiasti durante lo svolgimento dell’attività e che vadano a disegnare dei soggetti che solitamente non avrebbero disegnato sul solito foglio di carta bianco. È interessante notare come con un’attività simile si vada a lavorare con il paradigma materia + forma, e si vada a ripetere lo stesso procedimento messo in atto dall’uomo primitivo nella realizzazione delle proprie opere. Si sfrutta una superficie inizialmente priva di significato, si scorge un significato e si completa attraverso una decorazione o l’aggiunta di dettagli. Da una forma priva di significato, se ne trova uno e si palesa attraverso l’aggiunta di segni e decorazioni. Si rispetta, perciò, il criterio dell’accidentalità configurazionale, in quanto si è costretti a rappresentare qualcosa entro dei limiti precisi e non modificabili. Se si volesse lavorare rispettando il criterio dell’accidentalità naturale si potrebbero portare come esempi delle azioni che possono svolgersi anche nella vita di tutti i giorni: dare un senso alla forma delle nuvole, trovare una forma avvicinando un gruppo di stelle. Avendo analizzato l’arte preistorica si può concludere enunciando quale fosse il movente che spinse gli ominidi a dipingere, ovvero la necessità, il desiderio di mettersi in contatto con la realtà, con l’esistenza. Storia dell’arte egizia La storia egizia può distinguersi in tre distinti periodi fondamentali: - Antico Regno → 2850 – 2200 a.C. - Medio Regno → 2052 – 1778 a.C. - Nuovo Regno → 1570 – 1070 a.C. La fine del periodo della cultura egizia può collocarsi intorno al 30 a.C., con la conquista da parte dei romani. Gombrich, capitolo 2 Le prime forme di scrittura ci sono derivate dalla grande ed intramontabile civiltà egizia: i geroglifici. Anche la storia dell’arte in quanto forzo continuato inizia con gli Egizi: utilizzarono volontariamente l’arte per il mantenimento della tradizione e per la sua trasmissione. L’arte egizia è di un’importanza fondamentale, in quanto anche i greci, di cui siamo tutti allievi, si appoggiarono agli egizi. L’organizzazione della civiltà egizia non aveva eguali, la potenza e la ricchezza dei faraoni era tale da riuscire a costringere migliaia di operai e schiavi a lavorare per anni e senza sosta alla costruzione delle piramidi: montagne di pietra che ancora oggi si ergono nei deserti egiziani come pietre miliari. Le piramidi non erano dei semplici monumenti, ma avevano una loro specifica funzione, una funzione ultraterrena: ospitare e custodire il corpo sacro del defunto faraone, affinché l’anima continuasse a vivere nell’aldilà. Gli egizi credevano fortemente nell’aldilà, ciò che contava più di ogni cosa era la vita dopo la morte. La tomba del re, posta all’interno della piramide, era anch’essa di pietra e conteneva il suo corpo imbalsamato. Era il luogo di passaggio in attesa del risveglio del corpo nel regno ultraterreno. Intorno alle pareti della camera mortuaria venivano tracciate delle formule magiche e propiziatorie per agevolare il viaggio ultraterreno. Il faraone era considerato un dio, una parte del sole. Nel momento in cui avveniva l’unione con il suo ca’, ovvero il suo doppio spirituale, il faraone si svegliava e doveva affrontare dodici prove negli Inferi, per poi raggiugere, con la barca solare, il sole, unendosi così al proprio elemento. Per garantire doppiamente tutto ciò, all’interno della tomba veniva anche posto il ritratto del faraone scolpito in un resistente granito da un abile scultore (= “colui che mantiene la vita”, “che fa vivere”). La statua doveva rappresentare fedelmente il volto del faraone in quanto grazie ad essa il ca’ sarebbe riuscito a trovare il suo corpo per proseguire il viaggio nell’aldilà. Se, contrariamente, il ritratto non era realistico, il faraone non si sarebbe svegliato e la sua esistenza sarebbe finita. Caratteristiche essenziali del ritratto a cui lo scultore doveva assolutamente badare erano la solennità e la semplicità. Doveva esserci armonia tra tutte le parti. La grafica dell’Egitto infatti rispettava dei canoni ben precisi: le figure rappresentate erano piatte e semplificate, ad esempio il volto, così come le braccia e le gambe, veniva posto di profilo, mentre l’occhio e la parte superiore del corpo frontalmente. Quando le figure umane erano raffigurate per interno la gamba sinistra era posta più avanti rispetto alla destra; quando le statue erano sedute dovevano appoggiare le mani sulle ginocchia; la pelle degli uomini era dipinta di un colore più scuro rispetto a quello delle donne; anche l’aspetto di ogni divinità era rigidamente prestabilito, ad esempio Anubi (il dio dei morti) era rappresentato come uno sciacallo, o con la testa di sciacallo ed il corpo d’uomo, mentre Horus (il dio del sole) come un falco o con la testa di falco. Secondo gli egizi, se un corpo era rappresentato in una posizione statica sarebbe durato in eterno: l’arte egizia non era concepita con finalità d’ammirazione, ma per “mantenere in vita”. La rigidità dei canoni dello stile egizio fece sì che in più di tremila anni di storia le modalità di rappresentazione dell’uomo e della natura restarono praticamente invariate. Vi fu un’unica eccezione: quella del faraone Amenofi IV (Ekhnaton), il quale abbandonò il tradizionale politeismo egizio a favore del culto del dio Aton. Modificò i canoni tradizionali della rappresentazione facendosi ritrarre così come era, nella sua deformità fisica, esaltando la fragilità umana. Un esemplare raffigurazione di Amenofi fu quella di farsi ritrarre assieme alla moglie nell’atto di accarezzare i propri figli sotto un sole benefico che rappresenta la divinità di Aton. Amenofi IV enne considerato eretico. A ristabilire la tradizione egizia toccò al figlio Tutankhamon. Le piramidi di Giza Il basamento delle piramidi prende il nome di mastaba sopra cui venivano posti i successivi piani che andavano via via a formare l’intera piramide. Le tre piramidi di Giza appartengono al complesso conosciuto come la Necropoli di Giza, e sono: Cheope, Chefren e Micerino. Nella costruzione di queste tre piramidi venne rispettata l’euritmia degli astri. I loro vertici rappresentano gli astri principali della costellazione di Orione, presa in riferimento per la realizzazione del tutto. Anche i canali presenti nelle stanze delle piramidi, che servivano per far passare l’ossigeno, puntavano a questa precisa costellazione. Le piramidi di Giza non vennero costruite dagli schiavi, bensì da artigiani esperti, qualificati ed operai stipendiati. Argenton, capitolo 4 A partire dalle prime forme d’arte risalenti all’epoca preistorica, si possono riscontrare delle costanti strutturali, processuali e funzionali del linguaggio grafico e delle attività attraverso cui si manifesta. In questo caso il termine linguaggio è da intendere nella sua accezione più generica, ad indicare qualsiasi sistema di segni arbitrari e convenzionali. Ciascuno dei linguaggi dell’arte è caratterizzato da determinate regole e da unità segniche di base. Ad ogni linguaggio dell’arte appartengono: le caratteristiche di struttura del linguaggio grafico, i processi cognitivi implicati nel suo uso e le sue potenzialità rappresentative. Elementi strutturali del linguaggio grafico Il punto e la linea sono le unità segniche di base del linguaggio grafico. Tutte le altre possibili configurazioni che possono esser realizzate attraverso l’attività grafica derivano dal punto e dalla linea. La linea può anche definirsi come un insieme di punti. Arnheim individuò tre differenti tipi di linee: - la linea oggetto → una linea autonoma; dal punto di vista percettivo si coglie nello sfondo come una cosa a sé - il tratteggio → costituito da segni, ripetuti e più o meno brevi, accostati e intrecciati fra loro - la linea di contorno → linea che tornando su sé stessa chiude uno spazio Tramite queste tre tipologie di linee si può costituire un segno grafico. Il punto e la linea possono anche definirsi gli elementi strutturali di base del linguaggio grafico, e sono universali in quanto presenti e rintracciabili in qualsiasi cultura. Considerando le varie configurazioni che possono generarsi a partire dal punto e dalla linea occorre dire che avvengono in base a determinate regole grammaticali e sintattiche, con l’ausilio di strumenti, di vari materiali e con l’adozione di tecniche impiegate secondo determinati metodi. Ciascun quadrato poteva avere la grandezza di un pugno (= un cubito), oppure la misura di un avambraccio (= quattro cubiti) o anche la misura di una pianta del piede, a seconda della grandezza di ciò che si voleva andare a rappresentare. Per far replicare in classe la metodologia utilizzata dagli egizi, si potrebbe sviluppare una piccola attività chiedendo agli alunni di copiare un disegno, ingrandendolo su un cartellone e realizzarlo applicando la tecnica della quadrettatura. Un’altra tipologia di attività didattica legata all’arte egizia, ma anche a quella preistorica, richiede l’utilizzo di un certo grado di fantasia, ed è ripresa dal capitolo L’orribile mostro del libro Fantasia di Munari. I bambini sono invitati a creare un orribile mostro fondendo in un unico corpo più elementi di diverse figure, ad esempio animali, uomini, figure ibride. È un’attività legata ad entrambe le arti in quanto gli ominidi erano abili nella realizzazione di figure antropozoomorfe, mentre gli egizi utilizzano queste figure per rappresentare la divinità. L’attività lavora sui concetti dell’iconologia, dell’iconografia e sul paradigma oggetto + attributo simbolico. Munari riporta anche degli esempi didattici riguardanti la scrittura, dato che la civiltà egizia ebbe un ruolo importante anche da questo punto di vista. In uno di questi modifica il segno di ogni singola lettera dell’alfabeto, creandone di conseguenza uno nuovo. Chi conosce il significato dei segni riesce a creare delle frasi e perciò a comunicare con chi a sua volta ne è a conoscenza. Tale esempio didattico è stato proposto in una classe e con il nuovo alfabeto i bambini sono riusciti a creare una poesia. Storia dell’arte greca I fondamentali periodi dell’arte greca sono: - dal XII all’VIII secolo a.C. → Medioevo ellenico - dall’VIII al VI secolo a.C. → periodo arcaico - dal VI al IV secolo a.C. → periodo classico - dal III al I secolo a.C. → periodo ellenistico Gombrich, capitoli 3 – 4 Quando i Dori conquistarono la civiltà minoica e micenea nacque la popolazione greca. Nei primi secoli, l’arte di queste civiltà si mostra abbastanza rozza e primitiva, arretrata. Può dimostrarlo, ad esempio, la produzione del vasellame, che veniva decorato con semplici motivi geometrici ed ogni scena rappresentata faceva parte di un disegno rigoroso. Il vaso del Dipylon, in cui è raffigurato un corteo funebre, può provare quanto le figure umane appaiano estremamente semplificate, stilizzate. I Dori, nonostante l’iniziale arretratezza artistica, amavano la semplicità e l’ordine, l’armonia dell’insieme: le influenze dalla civiltà e dall’arte egizia non potevano mancare. Gli antichi templi greci sono l’emblema di tutto ciò. Il Partenone venne realizzato con una cura smisurata: le colonne, nel loro primo terzo, si mostrano leggermente ingrossate, e questo particolare rende l’intero edificio meno massiccio di quanto realmente sia, donano quindi leggerezza. Con il tempo si affermò la città-Stato di Atene, che divenne la più famosa ed importante per l’evoluzione della storia dell’arte greca. Nell’ambito della scultura si può osservare un grande progresso: partendo dal riferimento egizio, gli scultori greci iniziarono a sperimentare autonomamente nuove tecniche e modi di rappresentare la figura umana. Avviata una tale rivoluzione, ciascun artista, a sua volta, sperimentava producendo innovazioni. Per quanto riguarda la pittura possiamo notare il venir meno della rigidità delle figure, derivante dall’arte egizia, grazie ai vasi greci appartenenti alla pittura vascolare. Prendendone come riferimento uno che raffigura i due eroi omerici Achille ed Aiace che giocano a dadi (simbologia riguardante il dominio del caso), possiamo osservare come siano ancora rigidamente rappresentati di profilo, così come i loro occhi frontalmente, ma i loro corpi, le braccia e le mani occupano una posa molto meno rigida. Un’altra importante conquista dei pittori greci fu lo scorcio: le figure non vennero più rappresentate di profilo, bensì poste di tre quarti. La rappresentazione di scorcio significa che l’artista non sentiva più come primaria la necessità di raffigurare ogni cosa nel modo più chiaro possibile, ma iniziava a tener conto dell’angolo da cui vedeva l’oggetto, la figura. Tutti questi cambiamenti avvennero in un’epoca feconda, quella in cui nacquero e si svilupparono la scienza, che andò a sostituire la magia in quanto l’uomo iniziò ad interpretare la realtà tramite il logos, ovvero la facoltà del ragionamento, e la filosofia. La sfera politica fu anch’essa toccata dall’avvento della democrazia, con la quale si registrò il culmine dello sviluppo dell’arte greca. Occorre dire che gran parte delle maestosità della statuaria greca giunsero a noi grazie al contributo dei romani, che le copiarono. Rari sono gli originali delle statue greche, considerate pagane e perciò distrutte a seguito della vittoria del cristianesimo. Nella realizzazione delle sculture rappresentanti figure umane era importante mostrare la struttura del corpo. Ciò stimolava l’artista a studiare l’anatomia del corpo umano, così da costituire figure che fossero realmente convincenti ed attinenti al vero. Questo loro impegno può averli conseguentemente stimolati a voler perfezionare la conoscenza del corpo in movimento. Nel famoso tempio di Olimpia vi erano parecchie statue di atleti vittoriosi di questo tipo, ma purtroppo non ci sono pervenute in quanto erano di metallo e vennero fuse nel medioevo quando quest’ultimo di fece raro. Soltanto a Delfi ne sopravvisse una che raffigura un auriga. La sua testa differisce dai soliti canoni della statuaria greca: gli occhi sono formati da pietre colorate che conferiscono uno sguardo ipnotico (→passandogli davanti si ha come l’impressione di essere osservati), in più sono lievemente dorati, così come i capelli e le labbra. Tutto ciò dona calore e vivacità a tutto il viso. L’artista non si propose di certo di imitare un viso realmente esistente, ma raffigurò un modello mirabile tutt’oggi per la sua semplicità e bellezza. Altre due sculture originali del periodo classico ci sono pervenute perché scoperte casualmente da un sub nei fondali marini calabresi intorno al 1970, sono i Bronzi di Riace. Sono due guerrieri, uno giovane ed uno anziano. Lo scultore li raffigurò in posizione chiastica, ovvero la posizione più naturale assunta dall’uomo quando sta in posizione eretta: gamba destra in tensione, gamba sinistra in riposo così come il braccio destro, mentre il braccio sinistro reggeva una lancia, andata persa perché costituita da materiale ligneo. Rappresentano perfettamente i canoni dell’arte greca classica, secondo cui la testa delle sculture doveva star sette volte nello stesso corpo; per il viso: la misura che va dalla punta del mento all’attaccatura del naso dev’essere la stessa che va dall’attaccatura del naso fino alla fine della testa; lo spazio tra un occhi e l’altro dev’essere riempito dalla larghezza di un occhio. Le pupilla degli occhi dei Bronzi sono in avorio e vanno a costituire uno sguardo vivo al viso tanto da sembrare di essere osservati se vi si è davanti (come per l’auriga di Delfi). Anche i denti sono costituiti dallo stesso materiale, mentre le labbra, le ciglia ed i capezzoli sono in rame, e ciò va a donare grande sensualità alle sculture (→virilità maschile). Un’altra opera che rappresenta la bellezza ideale è il Discobolo di Mirone, di cui si hanno varie copie. La scultura rappresenta un giovane atleta nel momento in cui sta lanciando il disco, è perciò colto nel momento della sua massima potenza. L’artista mostra di aver imparato ad organizzare il movimento nello spazio. Come gli egizi, Mirone ha rappresentato il tronco frontalmente, le gambe e le braccia di lato, tutto ciò per dare l’idea di movimento. Con il tempo gli scultori acquisirono sempre più una maggiore disinvoltura e facilità nel rappresentare le figure in movimento. Le sculture del Partenone riflettono pienamente quest’abilità, possiamo vederlo nel fregio che rappresenta la solenne processione annuale in onore della dea Atena. La modalità di raffigurazione dei cavalli mette in risalto la maestria dell’artista nel rendere realisticamente la struttura delle ossa e dei muscoli dell’animale, senza che l’insieme appaia freddo e rigido. Lo stesso vale per le figure umane. La tecnica dello scorcio è ormai utilizzata con grande abilità. Anche i gruppi di immagini sono organizzati e rappresentati con mirabile sapienza compositiva, derivante dall’arte egizia. Un altro importante elemento riguardante la rappresentazione delle figure consisteva nel rispecchiare la vita interiore dei soggetti delle opere. Da una testimonianza di un discepolo di Socrate, sappiamo che il maestro esortava gli artisti a mettere in scena anche “i travagli dell’anima”, osservando quanto i sentimenti andassero a influenzare i comportamenti umani. In una rappresentazione su di un vaso greco, dove è presente Ulisse che fece ritorno in patria dopo diciotto anni di lontananza, la messa in atto dei travagli dell’anima vi è senza ombra di dubbio: la nutrice gli sta lavando i piedi e nel momento in cui lo riconosce, avendo visto una cicatrice che le era familiare, tra i due vi è uno sguardo che vale più di mille parole. Gli artisti greci erano veramente dei maestri nell’esprimere i sentimenti taciti che si istauravano tra le persone. L’arte greca del V secolo raggiuse un’armonia senza pari, divenendo libera e sciolta anche nella rappresentazione dei rilievi, non più geometrici e rigidi. Gli artisti erano consapevoli delle loro abilità, così come ormai lo era anche il pubblico, nonostante ancora venivano considerati come artigiani e non degni di valore secondo i ricchi snob. Durante il IV secolo si può notare una consistente modificazione dell’arte greca, avviatasi con l’avvento dello stile ionico. I templi costruiti secondo questo stile (→Tempio di Nettuno, Eretteo) differiscono in maniera consistente rispetto a quello dorico (→Partenone) in quanto le colonne appaiono meno robuste e forti, maggiormente slanciate, il capitello è decorato con volute laterali: il tutto acquisisce una disinvolta grazia. Le stesse caratteristiche vennero apprese anche nel campo della scultura e pittura. La delicatezza e la raffinatezza invasero positivamente l’arte greca. Lo scultore più grande ed influente di quel periodo fu Prassitele, per il suo tocco grazioso ed il carattere dolce che attribuiva alle proprie creazioni. L’opera più celebre dello scultore raffigurava Venere che si preparava al bagno, ma purtroppo non ci è pervenuta. Un'altra scultura, che si pensa possa esser originale, vede il dio Ermete assieme a Dionisio fanciullo come protagonisti, e dimostra la delicatezza del tocco di Prassitele, la sua maestria nel creare e la scomparsa di ogni traccia di rigidità. Importante è precisare che tutto quello che gli artisti greci appresero è grazie all’acquisizione di conoscenza, basti pensare allo studio fatto sull’anatomia del corpo per riuscire a realizzare quest’ultimo in movimento. Un’abilità che gli scultori acquisirono più avanti riguarda la ritrattistica. I volti delle statue raffiguravano un modello, non il soggetto stesso, non presentando una particolare espressione o tratti caratteristici. Alla fine del IV secolo, la generazione successiva a Prassitele, si interessò di questo trovando il modo di rappresentare ed animare i tratti del volto senza danneggiarne la bellezza. Lisippo fu l’artista che al tempo meglio riuscì nell’intento. Tale periodo dell’arte greca viene definito ellenistico, nome derivante da quello acquisito dagli imperi altissimo; dal punto di vista dello sviluppo della cultura e del benessere fu un lungo periodo di assestamento - Umanesimo (1300) → periodo culturale che permetterà, in Italia, lo sbocciare del Rinascimento Primo Rinascimento Firenze e Brunelleschi Filippo Brunelleschi perse la gara del 1401 contro il Ghiberti, poiché non venne capito essendo orientato verso ideologie artistiche avanzate rispetto al momento. A seguito della sconfitta andò a Roma per studiarne l’arte antica. Quando tornò a Firenze vi si presentò un problema: la cupola del Duomo non era compiuta poiché nessun architetto riusciva a trovare un modo per completarla. Brunelleschi partecipò al bando per terminarla e vinse. Il suo progetto si basava su tre punti/stratagemmi essenziali ed innovativi: - la doppia cupola → la cupola è costituita da una parte esterna decorativa e da una parte interna che ne costituisce la struttura portante e ne determina la resistenza; tra le due cupole vi è un’intercapedine, al cui interno vi è un passaggio per arrivare alla parte finale della cupola. - l’impalcatura autoreggente → Brunelleschi per poter arrivare a costruire la cupola, ideò un’impalcatura autoreggente, poiché non era possibile lavorare arrivando a quelle altezze utilizzando delle semplici impalcature, sarebbero crollate. - disposizione dei mattoni della cupola a spina di pesce → Brunelleschi pensò ad una tale sistemazione dei mattoni per favorirne la resistenza, dato il loro peso enorme per una cupola altrettanto tale; se li avesse posti orizzontalmente, come era solito fare, più si avanzava verso l’alto, più vi era il pericolo che sarebbero caduti. Un altro edificio che può dimostrare le abilità architettoniche del Brunelleschi è la Cappella Pazzi, anch’essa a Firenze. La famiglia Pazzi era una delle più importanti famiglie fiorentine al tempo. L’edificio presenta una struttura classica di origine greco-romana. La sua facciata è costruita dal Brunelleschi pensando alle figure del cerchio e del quadrato, così come venne fatto per la costruzione del Pantheon romano (→ schema del cerchio inscritto nel quadrato proprio dell’architettura romana). Brunelleschi fa utilizzo del modulo → per la realizzazione delle opere viene scelto un criterio di misura (figura geometrica), quest’ultimo viene ripetuto quante volte occorre e funge da modulo ( es. → Ospedale degli Innocenti, in cui sono stati ripresi i moduli del quadrato e del cerchio). Brunelleschi ideò la prospettiva con punto di fuga centrale. La prospettiva consente di collocare l’uomo in uno spazio che sembra tridimensionale, utilizzando criteri geometrici e matematici. Definizione: la prospettiva è un metodo geometrico e matematico attraverso cui, dal punto di vista grafico, è possibile rappresentare la realtà così come viene percepita dall’uomo (→ percezione della terza dimensione). La prospettiva consente all’uomo di sapersi collocare e disegnare in uno spazio tridimensionale illusorio. Con la prospettiva l’uomo non solo conosce sé stesso, ma sa anche rappresentarsi. Con il Rinascimento avviene un distacco tra l’osservatore e il significato dell’opera d’arte. Gli artisti rinascimentali nascondono appositamente il significato autentico delle loro opere d’arte. Al tempo si aveva la concezione che non tutte le persone erano degne di conoscere il significato delle opere: opere rinascimentali ermetiche. - la Trinità di Masaccio → sincera e commovente pittura dell’artista, che rappresentò Dio con le stesse proporzioni di qualsiasi altro uomo, proponendo figure massicce, forme angolose e solide donando al tutto un effetto di statuaria solennità; infondo all’opera vi è uno scheletro posto sopra ad una tomba, vi è un’iscrizione, un motto inserito da Masaccio: “io fui già dove voi siete, e dove sono io voi sarete” → interpretazione che dipende dal nostro livello culturale; l’autore vuole intendere questo: l’essere umano nel ‘qui ed ora’ vive una sua fase di sviluppo, cresce attraverso l’utilizzo del corpo (cinque sensi), a seguito della morte si continuerà lo sviluppo ma senza l’utilizzo del corpo. Un’ulteriore conquista del Rinascimento è la seguente: l’artista viene considerato un’intellettuale , non più artigiano come nell’arte greca. La necessità di esprimersi attraverso quest’arte nuova coinvolse anche gli artisti nordici, nei Paesi Bassi, ne è un esempio Claus Sluter, che propose un’arte più realistica e diretta. La sua opera più famosa ritrae un gruppo di profeti, con in mano un rotolo di pergamena su cui sono scritte parole profetiche. Le figure sono raffigurate massicce, più grandi del vero, variopinte e dorate. Anche Jan van Eyck fu un importante artista olandese → I coniugi Arnolfini: opera rappresentata secondo i canoni della prospettiva; lo specchio è il punto di fuga; i coniugi per testimoniare il loro matrimonio si fecero ritrarre (firma dell’autore sopra lo specchio con scritto “Jan van Eyck fu qui”, come testimonianza dell’unione; “qui” indica il presente, il momento fondamentale di ciascun uomo; l’opera coinvolge lo spazio che la contiene, ovvero il presente di tutti coloro che osservano quest’opera in qualsiasi tempo); la grandezza dell’opera consiste nell’aver ritratto il maschile ed il femminile → alchimia, mischiata al neoplatonismo; parte femminile → apprendimento attraverso i sensi, parte maschile → apprendimento attraverso l’intelletto; all’interno dello specchio sono rappresentati i coniugi di spalle, altre due figure, una vestita di rosso, l’altra di blu (colori della pietra filosofale, costituita da mercurio ed etere); Jan van Eyck, per rispecchiare nel modo più fedele possibile ogni particolare del reale, inventò la pittura ad olio, ovvero ideò una nuova ricetta per la preparazione dei colori: solitamente alla polvere colorata andava aggiunto un liquido, un uovo, dando così origine alla pittura a tempera; Eyck non era completamente soddisfatto del risultato offerto da tale tecnica perciò anziché l’uovo andò ad aggiungere al pigmento di colore l’olio che garantiva una maggiore precisione nel dipingere rendendo possibile la realizzazione di miracoli di esattezza. Un altro pittore innovativo fu lo svizzero Konrad Witz. - Il banchetto di Erode → opera di Donatello (il più importante scultore nella cerchia di Brunelleschi). Erode fece arrestare ed uccidere Giovanni Battista; storia: Erode frequentava una donna al di fuori del matrimonio, Erodiade; Battista rimproverò Erode ed Erodiade per il loro comportamento; la donna si offese particolarmente; in una delle feste Erode vide ballare la figlia di Erodiade, Salomè, e se ne invaghì, perciò la volle rivedere ballare; la madre disse alla figlia di ballare solo se Erode avesse espresso un suo desiderio, che su consiglio della madre, fu quello di uccidere Battista; durante il banchetto, alla fine del ballo della figlia di Erodiade, venne portata la testa di Battista su un vassoio; Erode alla vista di tale avvenimento inorridì. Donatello raccontò tutta la storia nell’opera. In un’unica immagine vi sono più episodi: caratteristica delle iconografie del tempo. L’opera è costruita secondo le regole della prospettiva, in più Donatello inventa lo stiacciato, ovvero un bassorilievo quasi impercettibile che aumenta la percezione della terza dimensione, della profondità. Gombrich, capitolo 13 Secondo Quattrocento: rottura con il medioevo. In tale periodo il soggetto artistico non è più solo la storia sacra, ma anche quella mitologica ed i frammenti del mondo reale. L’anatomia diviene fondamentale ed anche la ritrattistica viene fortemente ripresa. Dal punto di vista geopolitico, i comuni italiani diventano vere e proprie signorie. L’Italia non si trova in un momento così positivo in questo periodo. Dal punto di vista artistico, invece, questo sarà il momento di maggior splendore. In questo periodo, gli artisti e gli artigiani italiani si riunirono in ricche corporazioni, ovvero delle associazioni aventi il compito di tutelare i diritti ed i privilegi dei membri e di garantire un mercato sicuro delle loro produzioni. Tutelandosi a tal punto ostacolavano gli artisti forestieri ad affermarsi nel loro campo. L’arte quattrocentesca si caratterizza anche per la quantità di “scuole” diverse. Il termine non deve essere inteso così come oggi giorno lo utilizziamo: ai tempi non esistevano scuole d’arte, i giovani che volevano apprendere il mestiere venivano mandati dal padre presso uno dei principali maestri della città svolgendo la funzione di apprendista. Un importante architetto che si distinse al tempo fu Leon Battista Alberti: egli trovò la soluzione al problema di dover conciliare i nuovi metodi rivoluzionari con la tradizione classica. Per riuscire a dare un’impronta di questo tipo ad un’abitazione che si trovava in una strada cittadina si doveva di certo ricorrere ad un compromesso, non si potevano costruire case o palazzi come fossero templi. Alberti progettò un palazzo per una ricca famiglia fiorentina disegnando un edificio a tre piani e ragionando su come la facciata poteva acquisire un’impronta classica senza costruire colonne o mezze colonne. Così la rivestì di lesene e trabeazioni raggiungendo il proprio scopo senza mutare la struttura del palazzo. Continuando sulla linea del miscuglio tra il vecchio ed il nuovo, un’altra personalità che si distinse fu quella di Lorenzo Ghiberti. Considerando un suo rilievo destinato alla fonte battesimale senese possiamo osservare quanto l’artista ebbe cura di restare moderato e lucido, accennando appena alla profondità e posizionando le figure principali su di uno sfondo neutro. Anche il frate domenicano Angelico da Fiesole (Beato Angelico) è degno di nota per come, servendosi dei nuovi metodi di Masaccio, espresse le idee tradizionali dell’arte religiosa. Egli, utilizzando la prospettiva senza mostrare alcuna difficoltà, volle rappresentare la storia sacra in tutta la sua bellezza, semplicità ed umiltà. Un artista che diede parecchio peso alla prospettiva ed alla sua perfetta applicazione fu Paolo Uccello. Le sue figure nelle opere appaiono legnose a tal proposito, ed anche per il fatto che Uccello non aveva imparato ad utilizzare il chiaroscuro così da poter ammorbidire i duri contorni di ciò che raffigurava. Nonostante questo non possiamo negare quanto fosse un vero artista. Oltre ad artisti incentrati su precisi scopi come fra’ Angelico ed Uccello, ve ne furono anche altri meno ambiziosi i quali applicavano i nuovi metodi senza preoccuparsi eccessivamente delle difficoltà. Benozzo Gozzoli fu uno di questi, a cui venne dato l’incarico di affrescare alcune pareti della cappella private del palazzo dei Medici. Un suo affresco rappresentante la cavalcata dei Re Magi è caratterizzato da sontuosi e colorati costumi che rendono il tutto come fosse un mondo fiabesco ed affascinante. Attraverso questa sua modalità di rappresentazione, Gozzoli mostra come le nuove scoperte e tecniche potevano rendere ancor più vivi e gradevoli i quadri di vita contemporanea. Artisti italiani che si interessarono di questa nuova arte non si trovavano di certo solamente a Firenze: Andrea Mantegna e Piero della Francesca ne sono due esemplari esempi. Il primo lavorò a Padova e successivamente presso la corte dei signori di Mantova. In una chiesa padovana Mantegna realizzò una serie di scene rappresentanti la leggenda di san Giacomo. entrambe per la completezza della persona. Tornando alla Gioconda: eseguita appositamente dall’autore in modo tale che non esprimesse una femminilità, una sessualità particolare, anzi che suggerisse una certa mascolinità nei tratti del viso, perciò si parla di un’immagine androgina, neutra, né maschio né femmina. - con la rotazione del busto si esprime una caratteristica basilare della teoria alchemica: capacità di tornare su sé stessi, ribaltando sé stessi; l’essere umano muta rimanendo su sé stesso → rotazione terrestre. L’essere umano è colui che ha l’obbligo morale di mutare rimanendo sul proprio corpo. Proprio attraverso lo scorcio si rappresenta la terza dimensione, il busto che ruota. Michelangelo Secondo grande fiorentino grazie al quale l’arte italiana divenne, ed ancora oggi è, così famosa. Michelangelo si formò nella bottega del Ghirlandaio, sviluppando però ideali artistici assai diversi dal maestro, da cui non acquisì la propria facile maniera di espressione artistica, bensì si dedicò agli studi delle opere degli artisti del passato, come Giotto, Masaccio, Donatello, ed anche gli scultori greci e romani. Presto il giovane artista poteva considerarsi non alla pari dei maestri dell’antichità, ma addirittura li aveva superati. Intorno al 1506 Michelangelo venne chiamato a Roma da papa Giulio II per un progetto straordinario, ovvero la costruzione del suo sepolcro, che doveva essere di certo degno del capo della cristianità. L’artista si mise subito alla ricerca del miglior marmo di Carrara per la costruzione del maestoso sepolcro. Tornato a Roma per mettersi al lavoro però non lo attendevano buone notizie: papa Giulio II non era più entusiasmato dall’idea della costruzione del proprio sepolcro in quanto l’edificazione di una nuova San Pietro lo preoccupava maggiormente. Michelangelo furioso tornò a Firenze e scrisse una violenta lettera al papa in cui lo invitava, se lo rivolesse, ad andarlo a cercare. Il papa intavolò delle trattative ufficiali con il governo fiorentino per il ritorno dell’artista a Roma. Quando questo avvenne, Giulio II gli propose un altro compito: dipingere la volta della Cappella Sistina in Vaticano. Un giorno Michelangelo diede avvio al lavoro, lo fece individualmente rinchiudendosi nella cappella senza far avvicinare nessuno. Ci vollero quattro anni di lavoro intenso su di un’impalcatura, ma ne valse veramente la pena. Se si volesse osservare ogni particolare del dipinto non si finirebbe mai di guardarlo. Michelangelo utilizzò colori forti e vivacissimi, donando ugualmente un effetto finale caratterizzato dalla semplicità e dall’armonia d’insieme. L’arte di Michelangelo si contraddistingue per la fermezza, la calma, l’abbandono delle figure, nonostante siano tese e rappresentate in movimenti violenti. Come ultima impresa affidatagli si occupò del completamento della cupola di San Pietro, senza voler in cambio alcun guadagno in quanto inteso come un servigio alla gloria di Dio. Raffaello Dalla città umbra di Urbino, più precisamente dalla bottega del Perugino proviene quest’altra grande personalità. Il giovane arrivò a Firenze nel pieno momento di sfida tra due pilastri dell’arte, ovvero Leonardo e Michelangelo, più anziani di lui e decisamente con più esperienza ed abilità. Raffaello però, nonostante la sua giovane età e la consapevolezza di aver molto da imparare, non perse coraggio e si mise a lavorare fino a raggiungere i maestri. Raffaello arrivò a Roma più o meno quando Michelangelo aveva avviato i lavori per la Cappella Sistina. Papa Giulio II gli conferì subito l’incarico di decorare le pareti di alcune stanze del Vaticano: l’artista dette subito prova delle proprie abilità, della perfetta padronanza del disegno e dell’equilibrio compositivo degli affreschi. Raffaello riuscì a conciliare la composizione perfetta ed armoniosa delle figure in movimenti liberi. Le proprie figure si contraddistinsero per la loro pura bellezza. Raffaello era d’indole dolce, perciò, contrariamente a Michelangelo, aveva con tutti dei buoni rapporti, riuscì ad organizzare un’attiva bottega e strinse amicizia con i dotti e i dignitari della corte papale. Raffaello divenne anche un buon architetto. Argenton, capitolo 7 Opera artistica: innumerevole quantità di oggetti, di eventi, di situazioni, che riflette le varietà di modi con cui l’arte si manifesta; termine da non confondere con ‘opera d’arte’, con cui si indica il determinato capolavoro di un certo artista. Per analizzare l’opera artistica ci si può servire di uno schema che illustra le principali componenti del fenomeno artistico: Queste tre variabili hanno la medesima valenza nel costruire e caratterizzare l’opera d’arte. Sono strettamente legate tra loro da un rapporto di interdipendenza: l’esistenza di una implica quella delle altre due, ciascuna influenza e dipende dall’altra. L’opera artistica è data dall’interazione tra forma, funzione e significato. Un’opera ha una pluralità di significati e funzioni, che dipendono dalla forma realizzata per mano dell’artista, ed anche da come tale forma è compresa. Si prenderanno in considerazione le tre variabili analizzandole una di seguito all’altra. Forma L’opera artistica esiste in quanto è realizzata come tale da qualcuno e soprattutto perché è riconosciuta come tale da qualcun altro, ovvero il fruitore. In altre parole, l’opera d’arte non dipende solo da sé stessa ma da come questa si mostra al fruitore. La variabile forma ha perciò un ruolo prioritario, motivo per cui si trova al vertice dello schema: un’opera priva di forma non può esistere. Attraverso le forme noi uomini diamo significato alla realtà che ci circonda. Mediante le operazioni mentali diamo significato a determinate forme, le riconosciamo se sono eguali o simili ad altre già di nostra conoscenza, oppure se sono nuove rispetto alla nostra esperienza passata. Ad alcune forma percepibili e dotate di significato attribuiamo delle proprietà e delle qualità artistiche. La forma artistica ha due caratteristiche: - essere un’astrazione → concetto da intendere in senso letterale, cioè astrarre significa trarre fuori, trarre da…; in tal modo si va a generare un nuovo dato della realtà. - concetto di verosimiglianza della forma → ciò che è ritratto in un’opera, ad esempio un paesaggio, assomiglia alla realtà di un paesaggio, ma non è la realtà concreta. La forma artistica ha anche una duplice caratterizzazione: - connessa all’aspetto fisico → ogni opera d’arte assume una forma stabilita dalla materia; si utilizza il paradigma materia + forma; dal punto di vista grafico, l’opera ha una propria iconografia. - connessa all’aspetto simbolico-percettivo-rappresentativo → è il livello più avanzato; si utilizza il paradigma oggetto +attributo simbolico; l’attributo simbolico delle opere d’arte è un significato aggiuntivo; qui viene utilizzata l’iconologia. Forma Significato Funzione Significato Il significato di un’opera si distingue in: - significato percettivo → il significato dell’opera più evidente, è quello che si coglie di primo impatto guardandola (soggetti dell’opera, paesaggio, eccetera…); il significato percettivo è dato dalle forze percettive che contiene e trasmette. - significato rappresentativo → è ciò che l’artista voleva dire veramente attraverso la propria opera; attraverso tale significato si avrà una completa fruizione dell’opera; è sempre presente in qualsiasi opera; tale significato è influenzato da fattori culturali e stilistici. Funzione Anche per quanto riguarda tale variabile vi sono tre differenti tipologie: - funzione ostensiva o rappresentativa → è la funzione primaria di un’opera, ovvero mostrarsi (→ostensione=possibilità di mostrarsi). - funzione sociale → l’arte è creata dall’uomo per scopi utilitari, ad esempio può voler esprimere un messaggio educativo o un rituale religioso, queste, ad esempio, saranno funzioni sociali, che valgono sia a livello individuale che a livello collettivo. - funzione referenziale → opera artistica che diviene un referente, ovvero un punto di riferimento, un’entità concreta, che per colui che osserva può divenire importante per motivi del tutto personali; occorre ricordare che tale funzione è un qualcosa di diverso e va oltre la funzione rappresentativa. Munari, esempio didattico Tangram: gioco orientale costituito da un quadrato nero suddiviso in diverse forme geometriche. A seconda di come vengono disposte possono creare le forme di tutti gli oggetti del mondo. Il gioco cognitivo è quello di scomporre la sagoma nera per cercare di capire come ha posizionato l’autore le forme geometriche per creare le diverse figure. Utilizzando il gioco si potrebbe chiedere ai bambini di scegliere un oggetto qualunque e cercare di costruirlo attraverso il tangram. Si lavora sul concetto di iconologia (oggetto + attributo simbolico) ed attraverso il gioco si inizia a capire che la realtà si compone attraverso un principio geometrico, da ciò si arriva al concetto di prospettiva. Leonardo e la divina proporzione Nel IV secolo a.C., Platone supponeva che la materia fosse costituita da parti più piccole, le quali dovevano essere strutturate in maniera razionale. Da ciò Platone concepì/pensò i poliedri platonici, che Leonardo realizzò ma tenendoli per sé stesso (il pensiero neo-platonico andava contro la dottrina cattolica della Controriforma, era perciò un rischio per lui). Attraverso i poliedri platonici si voleva spiegare la costituzione dell’universo. I poliedri platonici sono: - il cubo: rappresenta la molecola della terra - il tetraedro: costituisce la molecola del fuoco - l’ottaedro: costituisce la molecola dell’aria - l’icosaedro: costituisce la molecola dell’acqua, forma costituita da venti triangoli equilateri - il dodecaedro: costituisce l’etere, ovvero lo spazio che contiene tutto il resto Questi poliedri, dal punto di vista iconologico, hanno lo stesso significato del tangram, sono una ricostruzione geometria di come la materia sia in grado di ricostituirsi per creare tutto ciò che esiste. Volendo proporre un’attività didattica in merito, si potrebbero ricostruire i poliedri utilizzando, ad esempio, dei fogli di carta spessi, dei cartoncini, così che si possano osservare concretamente. sguardo della realtà, cosa che la fotografia non era in grado di fare. Per rendere ancor più tale effetto dipingevano en plain aire, all’aria aperta, così che si potessero meglio cogliere le gradazioni del passaggio tra ombra e luce. Manet ed i suoi seguaci provocarono nella cromatica una rivoluzione paragonabile quasi alla rivoluzione apportata dai greci nel trattamento delle forme. Scoprirono che, guardando la natura all’aria aperta, non vediamo oggetti singoli, ciascuno con il suo colore, ma piuttosto una mescolanza di toni che si fondono nel nostro occhio, o meglio, nella nostra mente. Queste opere suscitarono le proteste degli artisti conservatori. Nel 1863 i pittori accademici rifiutarono di ammettere i loro lavori al Salon parigino. Ne seguì una tale agitazione da indurre le autorità a dover esporre le opere condannate dalla giuria in una mostra speciale detta “Salon des Refuses”. - Manet → fu il precursore di questa terza ondata rivoluzionaria. Egli, infatti, pur ispirandosi alla tradizione tonale iniziata dai veneziani Giorgione e Tiziano, introdusse poi delle novità consistenti, come: la scelta di soggetti reali, disprezzati dall’accademia, il trattamento dei colori all’aria aperta e l’impressione del movimento. Il primo elemento di novità può vedersi applicato nell’opera Olympia: il soggetto è una donna nuda che non è una dea né una figura femminile appartenente alla mitologia (tipologie di nudi che l’accademia accettava), ma una donna qualunque, anzi una prostituta che ha appena ricevuto da uno dei suoi ammiratori dei fiori. Il suo sguardo non è uno sguardo dolce, delicato, come quello delle Veneri di Tiziano e Giorgione, ma è uno sguardo di provocazione. Il secondo elemento di novità è rintracciabile sia in Olympia che in un altro dipinto: La colazione sull’erba. Qui Manet, oltre a dipingere nuovamente una donna nuda non appartenente né alla tradizione mitologica né a quella religiosa, abbandona del tutto gli strumenti classici del chiaroscuro e della prospettiva per proporre un quadro realizzato con macchie di colori puri e stesi uniformemente. Il pittore voleva così rappresentare sulla tela un effetto visivo: all’aria aperta ed in piena luce diurna le forme rotonde appaiono talvolta piatte, come semplici macchie di colore. L’impressione che ne deriva alla fine, nonostante la mancanza di prospettiva e di chiaroscuro, non è di piattezza, anzi, al contrario, di reale profondità. L’ultimo elemento di novità è invece riscontrabile in quello che a primo sguardo sembra quasi essere uno scarabocchio confuso, ma in realtà rappresenta una corsa di cavali. Qui Manet vuol dare l’impressione di luce, velocità e movimento, accennando a forme emergenti dalla confusione. I cavalli avanzano verso l’osservatore a piena velocità, e le tribune sono fitte di folla eccitata. Nessuno dei suoi cavalli viene rappresentato con quattro zampe, perché non le vedremmo dando uno sguardo rapido ad una scena del genere, come non vedremmo i particolari degli spettatori. Nella vita reale tutte le scene non possono apparirci contemporaneamente. Talvolta non riusciamo a vedere se non una macchia, e tutto il resto ci sembra un miscuglio di forme sconnesse. Possiamo sapere che cosa sono, ma non le vediamo. Sta nella scoperta di questo fenomeno, e nella capacità di riprodurlo fedelmente nella tela, la maestria di Manet. - Argenteuil→ ulteriore opera in cui si possono osservare le novità introdotte dall’artista, ovvero l’ambientazione sulla riva della Senna, il soggetto: una coppia qualunque di innamorati, e la modalità con cui il colore è steso sulla tela attraverso grandi pennellate, ovvero tocchi di colore. Fra i pittori che si unirono a Manet e collaborarono allo sviluppo di queste idee si contraddistinse un giovane: Claude Monet. - Monet → egli potenziò al massimo le idee sul trattamento dei colori all’aria aperta di Manet, diventando il maestro della pittura en plen air. Il suo studio divenne una barca così da poter osservare direttamente le variazioni e gli effetti del paesaggio. L’idea di Monet era infatti quella che ogni pittura che avesse per soggetto la natura dovesse essere finita sul posto. La natura muta ad ogni istante a mano a mano che una nuvola oscura il sole o il vento increspa un riflesso nell’acqua. Il pittore deve fissare subito i colori sulla tela a rapidi colpi, non curandosi tanto dei particolari quanto dell’effetto d’insieme. Fu questa mancanza di rifinitura, questa tecnica sommaria, che fece perdere le staffe ai critici, insieme ai soggetti “poco pittoreschi” appartenenti alla vita quotidiana (stazioni, viali, locali). Ben presto a Monet si unirono altri artisti, che con lui condividevano gli stessi ideali. I loro quadri vennero più volte rifiutati dal Salon parigino, perciò si unirono e allestirono una mostra nello studio del fotografo Nadar. In questa mostra vi figurava un quadro di Monet che il catalogo definiva “Impression: soleil levant”, che rappresentava la veduta di un porto tra le nebbie mattutine dell’alba. Uno dei critici trovò particolarmente ridicolo il titolo e parlò dell’intero gruppo definendoli “impressionisti”. Ironizzando, gli artisti accettarono di chiamarsi impressionisti e come tali sono da allora conosciuti. - Renoir → applicò i nuovi principi impressionisti anche alle scene di vita quotidiana. Nell’opera chiamata Bal au Moulin de la Galette, l’artista dipinge un tipico pomeriggio in un locale alla moda di Parigi, dove i parigini erano soliti incontrarsi per ballare all’aria aperta. Qui il pittore ama cogliere il movimento allegro della folla e si lascia incantare dalla bellezza festosa. Il suo interesse principale però è un altro: vuole evocare la grande varietà dei colori brillanti e studiare l’effetto del sole sulla confusione della folla. Questo quadro pare soltanto “abbozzato”, non finito. Solo la testa di qualche figura in primo piano è rappresentata con una certa ricchezza di particolari, ma dietro, nello sfondo, le forme sono sempre più indefinite. Eppure quelli che sembrano essere semplici abbozzi, sono il risultato di una profonda esperienza pittorica, e non di trascuratezza. Se Renoir avesse dipinto ogni particolare, il quadro sarebbe risultato tedioso e privo di vita, ogni effetto di movimento e di dinamismo sarebbe scomparso. - Degas → per quanto, come Manet, si tenesse un poco da parte rispetto al gruppo degli Impressionisti, condivideva parecchie loro convinzioni. Nei suoi ritratti voleva dare risalto allo spazio e alla solidità delle forme viste dalle angolazioni più inaspettate. Ecco perché preferì trarre i suoi soggetti dal balletto piuttosto che dalle scene all’aria aperta. Alle prove egli aveva l’opportunità di osservare i corpi in ogni atteggiamento e da ogni punto di vista. Guardando dall’alto il palcoscenico, poteva vedere le ballerine in azione o in riposo, e studiare la prospettiva complessa e l’effetto dell’illuminazione scenica sulla modellatura delle forme umane. La disposizione sembrerebbe casuale: di alcune ballerine vediamo solo le gambe, di altre solo il corpo. I quadri di Degas non raccontano una storia. Egli non si interessava delle ballerine in quanto belle ragazze, né dei loro stati d’animo. Le guardava con la spassionata oggettività con cui gli impressionisti guardavano il paesaggio. Ciò che gli interessava e premeva era il gioco di luci e ombre sulla forma umana, e la possibilità di esprimere dinamismo. Per quanto tenace e aspra fosse l’incomprensione del pubblico, il trionfo dell’impressionismo fu totale. Presto le opere impressioniste entrarono nelle pubbliche gallerie e diventarono ambito possesso dei ricchi. Forse i pittori impressionisti non avrebbero raggiunto tale successo così rapidamente e così pienamente se non avessero avuto due alleati che aiutarono l’uomo dell’Ottocento a vedere il mondo con occhio diverso: - la fotografia → lo sviluppo della macchina portatile e dell’istantanea cominciò a circolare negli stessi anni in cui nacque la pittura impressionista. La fotografia aiutò a scoprire il fascino delle vedute casuali, prese da un’angolazione inattesa. Inoltre, lo sviluppo della fotografia avrebbe spinto necessariamente gli artisti ancora oltre sulla strada dell’esplorazione e dell’esperimento, i ritratti infatti erano ormai solo oggetto della fotografia. - le stampe colorate giapponesi→ che spesso venivano utilizzate come carta da imballaggio e si trovavano a basso prezzo nelle rivendite di tè, aiutarono gli artisti a scoprire nuovi motivi e nuovi schemi cromatici. Il soggetto di queste stampe erano scene della vita del popolo, insieme a tutti gli aspetti più inconsueti del mondo. Le figure spesso venivano ritagliate e non presentate per intero, dettagliatamente, come voleva l’accademia. Gombrich, capitolo 26 Paul Cézanne Egli nasce come impressionista, espose anche le proprie opere all’Esposizione impressionista, ma diviene poi post-impressionista: capì che la poetica impressionista non era più sufficiente, mancava di stabilità, c’era bisogno di qualcosa che andasse oltre. Cézanne aspirava al senso di ordine e necessità, che ritrovava nella natura, avente una struttura costante → la natura si ripete secondo delle strutture necessarie ed immutabili. La montagna di San Victor è soggetto scelto dall’autore a dimostrazione della stabilità che ricercava. Cézanne comincia a dipingere un ciclo di opere che ritraevano la montagna soddisfando il proprio desiderio di voler dipingere l’ordine e il senso di riposo che la natura gli trasmetteva. Attraverso le pennellate di colore Cézanne enfatizza il senso di armonia, le governa e gestisce secondo un ordine prestabilito. - Natura morta di Cézanne → la pittura deve stare ad ascoltare sé stessa, deve emanciparsi dalla realtà. Per tale motivo l’artista ha dipinto la fruttiera in maniera “sbagliata”, o meglio, in un modo in cui nella realtà non sarebbe stata in piedi perché eccessivamente decentrata: la linea del tavolo è stata messa appositamente a metà in modo da fermare l’immagine così che venisse percepita la stabilità dell’opera, anche il tovagliolo venne ritratto come se fosse inamidato per dimostrare il gioco di luci e ombre. I tocchi di colore sono stati strutturati in modo un po’ più rigido. Cezanne è considerato il padre dell’arte moderna. Con il tempo inizia a irrigidire le forme perché vuole far capire che anche nella figura umana vi sono strutture rigide che si ripetono, così come nella natura. Il ritratto di Madame Cézanne né è una dimostrazione per la rigidità del contorno del viso. Oltre a Cézanne, al termine dell’Ottocento, si distinse anche l’artista Georges Seurat, che studiò la teoria ottico-scientifica dei colori e decise di dipingere i suoi quadri come un mosaico, con piccoli tocchi regolari di colori puri: tecnica nota con il nome di pointillisme. Un opera esemplare di Seurat è Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte. Altro artista di grande spessore appartenente a questo periodo è Vincent Van Gogh. Egli desiderava che i suoi quadri avessero l'effetto immediato e violento delle stampe colorate giapponesi da lui così ammirate. Voleva un’arte senza celebratismi, che desse gioia e consolazione a ogni creatura umana. Van Gogh aveva assimilato la lezione dell'Impressionismo e del pointillisme di Seurat: amava la tecnica pittorica a tratti e puntini di colori puri. Usava le singole pennellate non solo per frantumare il colore ma anche per esprimere la sua concitazione, il suo stato d'animo. La principale preoccupazione di Van Gogh non era la rappresentazione esatta: egli usava forme e colori per esprimere ciò che sentiva rispetto alle cose che andava a mano a mano dipingendo, e ciò che voleva comunicare agli altri. Van Gogh, come fece Cézanne, abbandonò l’idea di voler imitare la natura tramite la propria arte. Egli aveva come scopo quello di esprimere ciò che sentiva interiormente attraverso le proprie opere, e per riuscirvi avrebbe usufruito anche della deformazione degli oggetti rappresentati. Un altro protagonista dell’arte di fine Ottocento ed inizio Novecento fu Paul Gauguin. La svolta fondamentale della propria esistenza ed al contempo della propria arte fu il trasferimento
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