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Appunti storia della critica letteraria italiana, Appunti di Storia della Letteratura

appunti della lezione con integrazione del libro.

Tipologia: Appunti

2021/2022

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Scarica Appunti storia della critica letteraria italiana e più Appunti in PDF di Storia della Letteratura solo su Docsity! Storia della critica letteraria italiana Origini della critica letteraria italiana Per “critica” si intende la capacità di esprimere un giudizio (dal greco krino). La storia della critica letteraria italiana nasce nel 1500-1600 quando si inizia ad avere uno sguardo critico sul prodotto letterario. In realtà già Dante nel De Vulgari Eloquentia si occupa di far critica letteraria ma resta un caso isolato. In questo periodo invece richiamandosi ai classici antichi (Aristotele) si inizia a porsi il problema del valore intrinseco all’opera letteraria. Il ‘500 segna un primo approccio alla critica in quanto è il secolo delle grandi sistematizzazioni delle opere letterarie e il genere letterario privilegiato è quello del trattato; proprio il genere del trattato, quindi lo studio sistematico, è un atto critico. Tutti gli aspetti della vita vengono sottoposti e regolarizzazione e ad un’applicazione di regole di cui si fanno carico i letterati (es. cortigiano di Castiglione, prostituta di Aretino). Nella seconda metà del Settecento Girolamo Tiraboschi abbozza per la prima volta una storia della letteratura italiana, è cioè il primo a cimentarsi in maniera erudita e critica nel mettere insieme tutto il patrimonio letterale che conosce senza dare giudizio di valore; non compie un’azione critica profonda ma fa una cernita sistematica di tutto ciò che la letteratura italiana aveva prodotto. Bisognerà aspettareDe Sanctis che dal 1870 al 1871, sotto contratto con l’editore di Napoli Morano, scriverà una prima Storia della letteratura italiana che costituisce un vero e proprio atto critico. Il principio fondante a cui De Sanctis si ispira nel dare un giudizio alle opere letterarie che sottoporrà al suo vaglio è l’aderenza dei letterati alla ratio patriottica; la sua è infatti un’idea politica prounitaria, caratterizzante la maggior parte degli intellettuali che nasce attorno agli anni Venti dell’Ottocento. Coloro che hanno segnato la storia della critica vanno a delineare il canone: esso consiste nelle leggi che secondo il critico è necessario seguire per scrivere una determinata opera. Un autore che vuole essere ritenuto valido da una determinata scuola deve attenersi al canone. Il canone è un’esigenza sentita molto nei secoli precedenti a quelli della contemporaneità, infatti la poesia contemporanea abbandona il canone poetico dello schema metrico e della rima. La critica può essere coeva (contemporanea) o militante (fatta da coloro che scrivono i loro giudizi di valore su prodotti che sono attuali), mentre si parla di storico della critica per chi si occupa di un prodotto letterario proveniente da un’epoca passata (es. Francesco De Sanctis). Francesco De Sanctis (1817-1883) È il primo critico della letteratura italiana in quanto, a dierenza di Girolamo Tiraboschi, scrive successivamente all’unità d’Italia. Ciò che ha ispirato De Sanctis durante tutta la sua esistenza è stato l’aato libertario, rispetto alla dominazione straniera, e unitarista; non ha vissuto la sua vita solo come intellettuale ma anche come combattente e rivoluzionario, partecipando anche ai moti rivoluzionari del 1848. Si tratta di una questione 1 generazionale perché gli esponenti delle intelligentia nati attorno agli anni Venti dell’Ottocento favoriscono dal punto culturale e dell’azione sica l’Unità d’Italia. Nasce a Morra Irpina (oggi Morra De Sanctis, nei pressi di Avellino), sotto il regno delle due sicilie (Ferdinando di Borbone). Figlio dell’avvocato Alessandro De Sanctis e Maria Agnese Manzi (classe sociale culturalmente e socialmente progredita). Nel 1826 fu trasferito a Napoli dallo zio, perché il paese di provincia non dava sucienti opportunità culturali; qui lo zio aprì una stimata scuola di lettere dove De Sanctis ebbe la prima formazione. Nel 1831 passò ai corsi liceali dapprima presso la scuola dell’abate Lorenzo Fazzini dove compì le prime letture losoche e nel 1833 presso quella dell’abate Garzia. Intraprese gli studi giuridici presto però trascurati per seguire, già nel 1836, la scuola del purista Basilio Puoti, sulla grammatica e la letteratura italiana del Trecento e del Cinquecento, lezioni che il marchese teneva gratuitamente presso il suo palazzo dove il De Sanctis avrà modo di conoscere Leopardi e dove avviene la sua vera formazione. Petrarca, Ariosto e Tasso sono ritenuti i modelli da seguire anche per quanto riguarda il patrimonio lessicale. Per interessamento dello stesso Puoti, iniziò a insegnare giovanissimo dapprima alla scuola militare preparatoria di San Giovanni a Carbonara (1839-1841) e in seguito al collegio militare della Nunziatella (1841-1848) e in questo contesto viene dato impulso alla grammatica come insegnamento originario della scuola. Egli stesso aveva una forte formazione grammaticale e questo rigorismo lo porta a livello ideologico ad un rigoroso riuto di ogni forma di astrattismo e una forte rivendicazione della “concretezza” in ogni ambito di analisi (ha un atteggiamento che oggi deniremmo “lologico”). Le lezioni della prima scuola napoletana furono edite nel 1626 da Benedetto Croce con il titolo Teoria e storia della letteratura. I suoi quaderni di appunti (Lingua e stile, Lirica, Genere narrativo) sono frutto di suoi riessioni e studi e, pur non essendo destinati alla pubblicazione in quanto erano semplicemente strumenti di lavoro, sono oggi considerati pietre miliari della storia della critica; egli viene denito un critico asistematico in quanto non si propone mai di scrivere opere in maniera programmatica per sistemare il suo pensiero. La rivoluzione del 1848 gli rovina la carriera: nel maggio di quello stesso anno come membro dell’associazione “Unità d’Italia” diretta dal Settembrini, partecipò con alcuni dei suoi allievi ai moti insurrezionali e in seguito a questa sua iniziativa, nel novembre del 1848 viene sospeso dall’insegnamento. Inizia a vivere in maniera alterna tra un esilio e un altro, smette di insegnare ma non di studiare: si interessa a Leopardi, Schiller ed Hegel (l’impostazione della losoa dello spirito diventa una base per esercitare la critica letteraria). Nel 1850 viene arrestato e recluso a Napoli nelle prigioni di Castel dell’Ovo dove rimase no al 1853 quando, espulso dal Regno dalle autorità borboniche e fatto imbarcare per l’America, riuscì a fermarsi a Malta e quindi a rifugiarsi a Torino. Durante il periodo di prigionia il De Sanctis si diede allo studio approfondito di Hegel compiendo lo sforzo di apprendere il tedesco e impegnandosi nella traduzione del Manuale di una storia generale della poesia e della Logica di Hegel. 2 Nella seconda metà dell’Ottocento la letteratura è strumento di guadagno, perché i letterati scrivono per vendere agli editori che a loro volta ne traggono guadagni; non esiste più la letteratura intesa come semplice attività speculativa, di riessione, ne a se stessa, ma con la nascita dell’industria editoriale, in un mondo sempre più alfabetizzato, il giornale e il libro diventano strumenti fruiti alle masse. Nasce il fenomeno della letteratura d’appendice, come strumento di guadagno. In un secolo in cui si inizia a scrivere per vendere, c’è chi non dà alla letteratura la giusta centralità nell'ambito degli studi ma la sminuisce considerandola una componente come le altre della cultura. C’è però chi dà importanza agli studi letterari perché sostiene che elevino lo spirito aumentando il livello di cultura e che facciano da ornamento, cioè rendono la persona che ha studiato letteratura più interessante in società (è comunque una strumentalizzazione, non si dà importanza alla letteratura di per sè). Studiare la letteratura in quanto tale ci alimenta a livello spirituale e ci eleva, ma possederla per giovarsene a livello sociale è una strumentalizzazione, e chi la frequenta a questo scopo non lo fa nella giusta ottica. La letteratura ci eleva eticamente e diventa “la nostra stessa persona”, facendoci fuggire da ogni atto vile e brutto, e una volta acquisita non possiamo più liberarcene; essa funge da faro dal punto di vista etico e morale e forma il nostro gusto. Non vi è professione più lontana dagli studi umanistici di quella dell’ingegnere e al governo di Zurigo va il merito di aver capito che gli studi di ingegneria proprio per questo motivo hanno necessità di essere integrati con gli studi umanistici. SISTEMACRITICO Il sistema critico di De Sanctis si emancipa dai dettami del purista Basilio Puoti (si rifà alle tesi cinquecentesche del Bembo, già arcaizzanti per il suo tempo perché prendevano a modello i grandi trecentisti), ma come “uomo nuovo” (romantico e risorgimentale) si conforma a un nuovo gusto per l’esotico e alla volontà di rottura risentendo degli inussi tedeschi (Hegel) e inglesi. Di Hegel viene ripreso lo studio del concetto di spirito e la concezione di storia come svolgimento dello spirito (idealismo). Lo spirito in senso idealistico è un processo che coincide con lo sviluppo culturale dell’umanità, la progressione materiale che l’uomo riesce ad ottenere nel corso della storia e la capacità che la realtà ha di evolversi e migliorare. De Sanctis si rifà anche a Giovan Battista Vico, il quale riteneva che la storia è caratterizzata da corsi e da ricorsi, è protagonista di evoluzioni e involuzioni, e quindi il suo è uno svolgimento progressivo ma non necessariamente lineare ed evolutivo. In altre parole lo spirito è una forza propulsiva, intrinseca alla storia e inevitabilmente legata alla componente umana perché è quella che imprime alla storia le sue caratteristiche. Alla base dell’estetica dell’arte, cioè della letteratura e della poesia, concepita da De Sanctis vi è l’indipendenza dell’arte: egli sostiene che l’arte ha valore di per sé ed ha in se stessa il suo ne; di conseguenza essa non deve essere legittimata e non deve necessariamente perseguire un utile. La letteratura nutre lo spirito umano che imprime allo spirito della storia un progresso universale: l’arte di per sè concorre allo svolgimento universale dello spirito. De Sanctis distingue l’arte dagli altri elementi necessari allo svolgimento dello spirito (scienza, losoa, morale) in quanto è un aspetto dello spirito che non deve necessariamente essere moralizzato o studiato scienticamente (come ritenevano gli illuministi e poi i positivisti): egli ritiene che arte e letteratura siano 5 facoltà emotive che devono fruire libere nella forma e nei temi. Il letterato deve essere una sorta di strumento spontaneo che permette all’arte di coagularsi senza sovrastrutture. Inoltre il letterato non deve necessariamente essere colto, infatti i romantici pensavano che l’arte non fosse necessariamente appannaggio delle classi colte: questo perché l’arte è una forma libera che nasce e germina dalla spontaneità emotiva e percettiva dell’artista, non deve scaturire da parte del poeta dopo aver immaginato una metrica entro la quale fondere la sua ispirazione (non è necessario il labor limae, l’attenzione alla rima o al metro). Per De Sanctis il poeta è libero e quando, come strumento dello spirito, concepisce un componimento l’ha già concepito nella migliore delle forme possibili. L’opera d’arte è la sintesi contestuale di forma e contenuto. Se l’artista riesce a calare il contenuto nella forma in maniera simultanea senza studi, infonde al prodotto artistico il cosiddetto spiraculum vitae (scintilla dell’arte, ispirazione non mediata). Contrario all’esasperazione del giudizio condizionato dalla valutazione della forma, il suo canone è legato al gusto (lusingato dalla percezione della spontaneità che l'artista ha esercitato rispetto alla creazione, che non deve essere mediato da nulla); sostiene che ci si deve emancipare da quelle opere d’arte che prediligono l’ossequio ad un canone formale. Ciò che il critico deve giudicare è se l’opera d’arte è riuscita a perseguire la forma dell’arte spontanea e se in essa si percepisce lo spiraculum vitae. Per De Sanctis la storia della letteratura italiana fotografa l’andamento della storia italiana in tutte le sue componenti. Tuttavia i letterati e le opere hanno maggior valore se queste opere, che pur testimoniano i cambiamenti del loro tempo, sono svincolate da nalità pragmatiche. La storia della letteratura italiana nel suo divenire è testimone sincronica di tutte le fasi, negative e positive, del percorso storico degli italiani. Ciò che a De Sanctis interessa non è se l’opera sia stata funzionale o meno per il suo tempo, ma se l’opera e il letterato avessero coscienza della propria italianità. Un’opera fortemente italiana nella sua forma e spontanea nella sua italianità, come la Divina Commedia, è un’opera che lusinga il gusto desanctisiano (non per questo deve essere funzionale a qualcosa, è testimone dell’evoluzione dello spirito a quel livello, ci aiuta a leggere la storia). Tra gli epigoni di De Sanctis: Francesco d’Ovidio, Francesco Torraca, Vittorio Imbriani (scuola desanctisiana). A De Sanctis si rifarà anche Benedetto Croce, ricollegandosi a una linea idealistica, in opposizione al positivismo (che intercorre tra De Sanctis e Croce), caratterizzato dalla fede assoluta nella scienza e nel progresso (gli intellettuali del tempo sostengono che anche la letteratura debba attenersi ai dettami della scienza). Il positivismo Il fondatore del positivismo è Auguste Comte che era vissuto nella prima metà del secolo, il positivismo si dionde a partire dal 1830 ma i suoi eetti si registrano in maniera molto forte nella seconda metà dell'Ottocento. Esso non investe solo le discipline losoche ma anche quelle dell'arte, della letteratura e della scienza. Si tratta dell'applicazione di un rigoroso metodo scientico a tutti gli ambiti del sapere, anche alle scienze dello spirito oltre a quelle della natura, del corpo, del comportamento. 6 Il positivismo si ricollega all’Illuminismo settecentesco e il metodo positivista applicato alle scienze dello spirito è anche chiamato metodo storico; esso ad esempio applicato alla letteratura si estrinseca nella lologia, cioè lo studio minuzioso e storico del testo. Siamo nel novero dello scientismo: diatesi mentale che pretende che la scienza sia l'unica lente di comprensione della realtà e che tutte le altre modalità di interpretazione non abbiano alcun valore; oltre a caratterizzarlo, ciò costituisce il limite del metodo stesso: il positivismo sul nire del secolo avrà la sua completa dissacrazione, su cui si innesta l'opera di Benedetto Croce. Per i positivisti il progresso è subordinato al progresso scientico (≠spirituale per gli idealisti): il progresso storico non è scindibile dalla percezione del progresso scientico. Anche nell'arte il positivismo si esaurisce perché essa a un certo punto registra i limiti della scienza stessa. Il tema della macchina umana (automi) in Italia è trattato da Capuana, il quale nelle novelle in mette nero su bianco la storia di scienziati esorbitanti che credono di poter creare uomini in laboratorio; è questa l’aberrazione del pensiero positivo: applicare la scienza alla creazione per mezzo dell’uomo, se l’uomo diventa esperto di scienza può diventare anche creativo meccanicamente e sostituirsi al Creatore. Questi scienziati tuttavia perdono le redini della situazione e la macchina umana inizia a compiere danni, metafora del fatto che la scienza abbia dei limiti e la letteratura li registra. Quando il positivismo inizia a sgretolarsi la letteratura inizia ad essere attratta dallo spiritismo: applicazione della scienza allo scandaglio della psiche, volontà di orientare il comportamento umano agendo sul cervello, che gli scienziati si illudono di poter fare e da cui molti intellettuali sono attratti. Capuana partecipa a sedute spiritiche, esperimenti di ipnosi e di sonnambulismo su se stesso e sugli altri e quindi sperimenta le nuove armi proposte dalla scienza, per dimostrare che anche il cervello può essere sottoposto a manipolazione scientica. Tuttavia la scienza non riesce a spiegare tanti fenomeni psichici ed emotivi, ci sono aspetti della realtà inconoscibili che neanche gli scienziati possono spiegare. IL VAMPIRO Nella novella Il Vampiro (poi diventato un dramma) Capuana vuole dimostrare come l’inconoscibile non può essere sottoposto al vaglio della scienza: racconta la storia di due coniugi, dei quali la moglie era vedova del marito precedente; essi mettono al mondo un bambino ma passano notti insonni in preda al terrore a causa del quale decidono di invitare a cena un amico medico, il dottor Frullini: il medico è all’interno dei contesti narrativi di matrice positivista una gura onnipresente in quanto simboleggia la scienza. I coniugi raccontano al medico che nella loro casa accadono cose strane durante la notte: essi dicono di sentire durante la notte sussurri sotto il letto, ululati, porte che sbattono, fruscii del vento, e vedono la culla del bambino muoversi da sola. Secondo la mentalità del tempo, il medico, in quanto scienziato, avrebbe dovuto dare loro una spiegazione scientica a quei fenomeni, tuttavia il medico dà la colpa alla suggestione. A un certo punto viene chiamato in causa il marito morto della donna: secondo lo scienziato le vibrazioni delle persone defunte pare che rimangano a lungo tempo all’interno delle bre della vedova e la cremazione accelera la purgazione di questa presenza. Capuana mettendo in ridicolo la gura dello scienziato mette in evidenza i limiti della scienza, sottolineando come ci siano degli aspetti spirituali che sono fuori dalla realtà e che interferiscono con essa ma che la scienza non può dimostrare. 7 L’artista è tale se riesce a intuire qualcosa di bello e l’intuizione artistica è sintesi a priori di contenuto e di forma, non riducibile pertanto alla conoscenza razionale o storica. Croce cerca di spiegare cos’è l'arte attraverso una sorta di teologia negativa, cioè spiega cosa l'arte non è: essa non è losoa, storia, scienza naturale. Concetti fondamentali del sistema crociano sono quelli di intuizione e di espressione: - l'intuizione è il sentimento immediato chiarito dalla fantasia. È artista chi riesce a tradurre il sentimento istintivo tramite la fantasia (facoltà che vitalizza l'intuizione spontanea del cuore e la chiarisce). - l’espressione è la rappresentazione di un sentimento dentro un immagine. La poesia, che nella terminologia crociana equivale ad arte realizzata, in quanto “contemplazione del sentimento”, cioè la forma psichica più alta, è συνολον (fusione) di intuizione ed espressione e il superamento di questo dualismo. Il critico, a cui non può mancare un gusto ranato dell’esercizio, deve unicamente esprimere un giudizio di valore sull’opera in merito alla categoria del bello, non denibile altrimenti che come “espressione riuscita”, cioè arte realizzata: per questo motivo la critica di Croce è denita critica estetica, vi è una netta distinzione di ciò che è arte (intuizione poetica allo stato puro) da ciò che non lo è (intuizione poetica confusa o ibridata da riessioni morali o intellettuali). La critica crociana non ammette mezze misure: distingue nettamente all’interno della produzione di un autore opere poetiche da opere non poetiche, ed anche all’interno di una stessa opera. Sono posizioni messe a fuoco da Croce in più luoghi ma centrali in opere come: - Poesia e non poesia (1923) - La poesia (1936) Dati questi presupposti, Croce riuta l’idea della storia della letteratura o delle sintesi storiograche di lungo respiro. Fare storiograa signica intendere e disporre un insieme di avvenimenti, di idee, di personalità, secondo una logica causale coerente e necessaria. E dunque quale nesso può esistere tra le opere di poesia che, in quanto frutto di intuizione e creazione pura, sono legate unicamente alla genialità fantastica del loro autore? L’unica storia possibile della poesia è quella fatta per cellule monadiche, ossia monograe che parlano del costruirsi e dell’attuarsi nelle opere dell’ispirazione (o intuizione) della personalità poetica. POESIA ENON-POESIANELLACOMMEDIADI DANTE LaDivina Commedia, più che poesia, è per Croce una sorta di romanzo teologico. Essa ha una costruzione intellettualistica, cioè costruita dal poeta con uno sforzo intellettuale, organizzando materiali e saperi, il poeta non è stato veicolo di pura intuizione. La poesia va cercata con attenzione in singoli episodi che costituiscono dei cammei poetici. Sulla struttura della Commedia, cioè sul romanzo teologico che le è messo a fondamento, è sorta una delle più cospicue sezioni della letteratura dantesca, gareggiante per mole con quella accumulata sulle allegorie, e si chiama della « topografia fisica » e della « topografia morale dei tre regni. 10 Croce fa riferimento al fatto che nella Divina Commedia ci siano degli aspetti topograci, ovvero i tre regni sono descritti in maniera abbastanza minuziosa come luoghi sici; nei tre regni alla topograa sica corrisponde una topograa morale (vi è una sforzo della mente del poeta per questa struttura, più che della fantasia e della spontaneità). E poiché quella struttura Dante la volle ed eseguì, ed esiste nel suo libro, è naturale che gl'interpreti curino di chiarirla, ed è utile che, per far si che l'abbiano chiara in mente i lettori (i quali per solito ne accolgono un'idea sommaria e confusa, perché vi s'interessano poco) si disegnino, come si sono disegnati, atlanti, e si diano geografie dell'altro mondo dantesco, ed orari od orologi del viaggio in esso, e commenti al codice penale che vi regna, e alla graduatoria dei meriti e delle ricompense. Il lettore si accosta alla letteratura per fruirne spontaneamente tanto quanto l’autore avrebbe dovuto essere spontaneo nel concepirla e nell’orirla al pubblico. Questo riesce a trarne un’idea sommaria dell’opera dantesca perché il lettore cerca la poesia e rimane deluso dalla struttura complessa della Commedia, non riesce a coglierne tutti i dettagli. Solo che sarebbe da ripetere, rinforzandola, la raccomandazione che già s'è fatta, di guardarsi dal troppo, e di non dimenticare che queste di Dante sono mere costruzioni immaginative, di scarsissima importanza, soprattutto per noi che abbiamo altre immaginazioni pel capo, e che, a ogni modo, delle immaginazioni e dei sogni non conviene a lungo intrattenere la gente, « noiando altrui (ammoniva monsignor della Casa nel Galateo) col recitarli con tanta affezione e facendone si gran meraviglia, che è uno sfinimento di cuore a sentirli » : sicché, poniamo, è perditempo e reca fastidio discutere e udir discutere se Dante impiegò nel suo viaggio sette o nove o dieci giorni, e se nel Paradiso ventotto o quarantadue o settantadue ore, e a quale ora per l'appunto vi fece salita, se prima o dopo il mezzogiorno, e simili Quelle di Dante sono costruzioni immaginative (ossimoro degno di critica negativa) di scarsa importanza per l’uomo moderno che ha altri interessi, ha un modo diverso di pensare la morale e la religione che non è più escatologico, ovvero basato sul ne della vita e il destino dell’anima dopo la morte; il poema è perfettamente collimante con l’orizzonte teologico dell’uomo medievale, per il quale esso il momento più importante della vita di un uomo era la morte, intesa come seconda nascita (alla vita eterna). Quello che rimane di un’opera letteraria, quando cambia l'orizzonte morale, politico o religioso e le discipline vanno avanti, è la poesia; la funzione della Commedia invece resta relegata al tempo in cui l’opera è stata scritta. C'è, quel che è peggio, un preconcetto, in quest'ardore di ricerche sulla topografia fisica e morale dei tre regni, che cioè tali notizie concorrano a determinare, e far comprendere e gustare, l'arte di Dante, il carattere di ciascuna delle tre cantiche e le ragioni del passaggio da una parte all'altra di ciascuna, da un episodio all'altro: onde la « storia » dell'altro mondo concepita come « storia estetica », e i legami e gli espedienti, come finezze d'arte. Secondo Croce il preconcetto che sia necessario comprendere gli aspetti tecnici del viaggio di Dante per godere veramente del poema è un errore di valutazione perché tutti gli aspetti tecnici, anzi, non aiutano il lettore ad entrare in contatto con gli aspetti belli del poema e a gustarsi le porzioni poetiche. 11 Ma poiché la struttura che abbiamo sommariamente delineata non nasce da motivo poetico, sibbene da un intento didascalico e pratico, essa non vale né a segnare il particolare carattere poetico, posto che vi sia, di ciascuna cantica, né i passaggi da una situazione poetica all'altra, e può dare solamente ciò che è nella sua natura, connessione estrinseca alla poesia e determinata da ragioni strutturali. Ogni sforzo che si faccia per convertire queste ragioni in ragioni estetiche è sterile spreco di acume. Dante non ha un intento poetico ma didascalico e pratico, e l’architettura metrica del poema è considerata soltanto un mezzo per raggiungere il suo ne. Il messaggio che l’autore vuole veicolare è positivo, è un messaggio di redenzione, ma questa narrazione è lontana dalla poesia e il principio informatore della poesia non c’è all’interno dell’utilizzo che Dante fa del mezzo letterario, che in questo caso è pura narrazione. La bellissima rappresentazione dell'arsenale dei Veneziani non ritrova il suo ufficio e la sua giustificazione poetica nell'asserita intenzione che, com'è stato sottilizzato, Dante avrebbe avuta di contrapporre uno spettacolo di fervida operosità economica al malvagio affaccendarsi dei barattieri, che dà materia à quel canto; né l'escurso di Virgilio sull'origine di Mantova, nell'idea di dar saggio di storia veritiera tra le fandonie delle streghe e dei maghi; né Ulisse, che narra il suo ultimo eroico viaggio da esploratore, ha nulla che vedere coi fraudolenti, tra i quali è condannato. Ciascuno di quegli episodi sta per sé ed è una lirica a sé. Croce anatomizza, cerca il cammeo poetico in mezzo a ciò che poesia non è, fa un’opera di divisione tecnica tra luoghi in cui la poesia è rintracciabile (bellissima rappresentazione dell’arsenale dei Veneziani) e luoghi in cui non lo è (spettacolo di fervida operosità economica). Questo andamento che consiste nell’esplicare i concetti per opposizione, per antitesi, in maniera dialettica, è la modalità retorica usata tanto da Croce quanto da De Sanctis all’interno nelle loro opere critiche (andamento binario). E nemmeno si può considerare la struttura che sorregge la poesia come la « parte tecnica » del poema, giacché la tecnica (come ormai dovrebbe essere ammesso) o non esiste in arte o coincide con l'arte stessa, laddove la struttura della Commedia, avendo altra origine psicologica, non coincide interamente con la sua poesia […] La tecnica, l’arte, la retorica in poesia non dovrebbero essere un lavoro a parte ma scaturire in maniera spontanea, cosa che non avviene per la Commedia. L’apparato tecnico è paragonato alla cornice di un quadro, che non crea un unicum con il quadro stesso: Croce patisce particolarmente la struttura, non riesce a vederla come un complimento omogeneo del quadro stesso. L’apparato tecnico viene paragonato ad una fabbrica robusta e massiccia, un edicio di sostegno ma non bello, sulla quale si va ad attaccare una rigorosa vegetazione (poesia): l’accostamento tra parti poetiche e non poetiche è paragonato a qualcosa di sgradevole. La Commedia si può denire come un romanzo teologico continuamente interrotto dalla lirica. Con ciò sembra chiarito il modo in cui bisogna trattare, o il conto in cui bisogna tenere, le parti strutturali della commedia, che non è di prenderle come schietta poesia, ma nemmeno di respingerle come poesia sbagliata, sì invece di rispettarle come necessità pratiche dello spirito di Dante, e poeticamente soffermarsi in altro. 12 Egli non fa la storia di tutta l’Italia ma del Regno di Napoli (periodo cronologicamente determinato e luogo specico), scrivendo anche in appendice due microstorie, quella di Pescasseroli e quella di Montenerodomo (paese d’origine della mamma). Sulla rivista La critica (rivista losoco-letteraria che Croce diresse per diversi anni) aveva progettato una serie di rubriche di ricerche da commissionare a specialisti sulle culture regionali. Egli cercava di sradicare il modello desanctisiano della Storia della letteratura italiana, perché nato in un’epoca di fervore post risorgimentale (c’era il desiderio di aancare all’unità politica l’unità culturale). Secondo Croce, De Sanctis distrugge l’edicio della realtà storica complessa dell’Italia, fatta di tanti aspetti peculiari, in nome di un’idea politica. Croce denirà la storia desanctisiana come un “importante espediente didattico e formativo” (per uno studente è più facile apprendere la letteratura con un’ordinata consecuzione storica e facendo riferimento al concetto di italianità). Critica psicoanalitica Gli apporti critici sono molteplici: a partire dalla critica estetica di De Sanctis e Croce, in opposizione c’è la critica marxista a cui è collegata la critica sociologica, poi la critica psicoanalitica oltre che stilistica, formalistica e strutturalistica; ad esse si collegano la critica semiologica e la narratologia. Quando si conoscono questi metodi di approccio è il critico che se ne serve in maniera abbastanza intuitiva . L’asse di indagine della critica psicanalitica si dirige essenzialmente dall’opera all’autore, nella convinzione che l’arte sia il terreno privilegiato della manifestazione di forze inconsce e quindi il sostrato per una ricostruzione attendibile dell’uomo “nascosto”. Si ritiene quindi da parte di chi applica questa metodologia che l’arte sia un’estrinsicazione dell’inconscio: l’autore è preda del suo inconscio, per quanto voglia reprimerlo non ci riuscirà mai del tutto, e il testo sarà luogo di molteplici lapsus, nonostante l’opera di revisione che tutti gli autori fanno (il testo tradisce sentimenti, trascorsi emotivi, emozioni, traumi, pensieri dell’autore). Padre della psicanalisi è Sigmund Freud (1856-1939), il medico biologo e neurosiologo austriaco che con la psicanalisi mise a punto, oltre che una teoria del funzionamento psichico dell’individuo, un complesso strumento di analisi dei processi mentali inconsci e, insieme, una terapia delle loro alterazioni. Freud è un innovatore per il periodo (positivista): sposta il problema della malattia dalla pertinenza del corpo a quella della mente (i due aspetti sono strettamente connessi e si inuenzano a vicenda). Nata come terapia sperimentale delle nevrosi causate dall’aspetto repressivo e inibitorio della società moderna, la psicanalisi divenne ben presto una concezione globale dell’uomo. Perciò si applicò anche all’analisi dell’opera d’arte, attraverso lo studio dei dati clinico-biograci dello scrittore (una sorta di anamnesi) e della scrittura come confessione involontaria, esplorando le zone oscure delle pulsioni e gettando luce sul loro enigmatico linguaggio. Freud parte dallo studio delle nevrosi, cioè alterazioni del comportamento. L’opera letteraria diventa il luogo in cui il personaggio diventa oggetto di analisi psicologica. 15 La psicanalisi vede l’arte come analogo di altre manifestazioni apparentemente irrazionali (il sogno, il tic, il lapsus, l’ossessione, ecc.), cioè come una parte dell’opera umana in cui conuisce la parte più intima dell’autore. L’arte, in cui si manifesta il cosiddetto ritorno del “rimosso” o anche la “sublimazione” del desiderio e il suo simbolico soddisfacimento, costituisce non solo un libro aperto nel quale poter leggere in forma codicata le leggi della vita psichica, ma anche un potenzialemezzo terapeutico, una illusione consolatoria e riparatrice dei traumi psicologici dell’autore. Lo schema della psiche elaborato da Freud è notoriamente tripartito: l'inconscio (es) è l’insieme dei processi psichici che non arrivano alla soglia della coscienza, la sede di desideri, impulsi, timori legati alla libido ma repressi dall’istanza razionale (l’io conscio) in quanto in contrasto con il “principio di realtà”. Condizionati e occultati anche dai vincoli e dalle censure sociali (che sedimentano nel super-io) gli impulsi inconsci trovano modo di manifestarsi travestendosi sotto forme che costituiscono l’espressione tipica del “ritorno del rimosso”, e che, in base a certi criteri, sono riconoscibili e analizzabili. Il sogno, il motto di spirito, la fantasticheria, la creazione artistica sono alcune di queste forme. Il super-io è quella sovrastruttura dataci dall’educazione famigliare e dalla società che fa in modo che l’io, il nostro modo di comportarci quotidianamente, riesca a reprimere l’es con tutte le sue pulsioni. Ne Il motto di spirito (1905), Il delirio e i sogni nella “Gradiva” di Wilhelm Jensen (1906), Il poeta e la fantasia (1908), Il Mosè (1913), Il perturbante (1919) Freud stesso tenta le prime indagini psicoanalitiche sui prodotti d’invenzione artistica: egli quindi non si ferma al discorso medico ma è il primo ad applicare la psicanalisi all’arte. In particolare il sogno nella teoria freudiana si presenta con espressioni del tutto simili all’espressione artistico-letteraria. Entrambi sono linguaggi “transazionali”, in cui cioè un contenuto “latente” si cela dietro un altro “manifesto”; entrambi poggiano su un processo di “drammatizzazione”, su una rappresentazione di pensieri sotto forma di immagini. I meccanismi che presiedono alla messa in scena dei contenuti dell’inconscio vengono individuati da Freud nella “condensazione” (un corto-circuito che abbrevia i pensieri concentrando e sovrapponendo in un’idea o in un oggetto più idee o più oggetti), nello “spostamento” (o “transfert”, trasferimento dell’interesse da una rappresentazione all’altra, anche meno importante, cosicché spesso l’osservatore se ne trova ingannato), nella “simbolizzazione” (espressione di una condizione attraverso simboli, metafore, paragoni, similitudini ecc). Il contenuto psichico, il rimosso, viene condensato nell’espressione artistica. Non è così intuitivo ciò che nell’opera d’arte reuisce dall’es, perché viene condensato nell’opera d’arte sottoforma di simbolo. Con la condensazione i vari sentimenti e pensieri vengono unicati in un’unica rappresentazione sulla base di qualche fattore in comune. Lacan farà notare che la condensazione è una sorta di metafora. L’analogia del processo onirico col linguaggio poetico può essere sottolineata sul piano semantico, osservando come la sovradeterminazione dei sogni, la loro ricchezza di signicati, sia assimilabile alla iperconnotazione e alla polisemia del testo artistico. 16 Lo spostamento è una specie di deviazione dell’interesse su elementi marginali o secondari dell’azione, uno dei tanti trucchi per mascherare il vero signicato dell’inconscio. L’accentuazione del dettaglio, della parte per il tutto è un procedimento simile alla metonimia (Lacan). Anche i lapsus e i motti di spirito sono manifestazioni dell’inconscio che alludono a desideri rimossi. I motti di spirito insistono soprattutto sull’aspetto verbale, sul metalinguaggio che copre i riferimenti espliciti alla realtà. Nei casi migliori si ha un eetto ludico che Freud non esita a paragonare a quello creato dall’opera d’arte. “Il poeta” scrive Freud “ci seduce mediante il godimento estetico che egli ci offre nella presentazione delle sue fantasie. Tale godimento ci viene offerto per rendere possibile la liberazione, da fonti psichiche più profonde, di un piacere maggiore. Io sono convinto che il vero godimento dell’opera poetica provenga dalla liberazione di tensioni della nostra psiche” Più il poeta riesce a liberarsi e più l’opera d’arte ore godimento a chi la fruisce. “La deformazione di un testo somiglia ad un assassinio. La difficoltà non risiede nella perpetrazione del crimine, ma nella dissimulazione delle sue tracce. Per questo in molte alterazioni di testi siamo certi di ritrovare, nascosto da qualche parte benché modificato e strappato al suo contesto, ciò che è stato soppresso e negato; soltanto, abbiamo alle volte qualche difficoltà a riconoscerlo.” L’analista deve fare attenzione alla struttura formale del testo, alle sue lacune, deformazioni, interruzioni, spostamenti: insomma a tutti quei procedimenti simbolici che permettono di leggere l’altro testo, scritto al di sotto di quello esplicito. “L’interpretazione non può essere altro che il tentativo di riproporre un altro testo, equivalente, ma per un motivo o per l’altro più soddisfacente.” (chi vuole applicare la tecnica psicanalitica all’interpretazione del testo deve scrivere un testo in cui quello precedente viene completamente svelato). I saggi freudiani mostrano in modo lampante alcuni limiti di fondo. È lo stesso Freud a dirci che il suo interesse era prevalentemente contenutistico, mentre in vari saggi teorici lo specico dell’arte viene giustamente individuato nel carattere formale della struttura signicante. Le nuove ricerche psicanalitiche puntano soprattutto sul problema della comprensione della forma, incrociandosi signicativamente con le moderne metodiche della linguistica, dello strutturalismo e della semiologia. Tanto l’aspetto formale quanto quello contenutistico vengono sottoposti ad uno scandaglio di natura psicoanalitica. Per quanto riguarda l’aspetto formale per esempio nella poesia il livello soprasegmentale è fortemente semantico (portatore di signicato aderente allo status psichico dell’autore). Per quanto riguarda l’aspetto contenutistico si può far riferimento al caso di De Amicis e dei suoi raccontini morali (Cuore), che impattano molto sull’emotività dello scolaro, agganciando il senso di colpa, per una volontà di istruzione. La capacità di toccare così profondamente l’emotività giocando quasi in maniera sadica sul senso di colpa e la paura degli scolari secondo la critica psicanalitica parlano dell’autore, di cui viene rivelata una personalità problematica e poco empatica. 17 ella aveva nel becco un insetto: la cena de’ suoi rondinini. Già dalla prima strofa emerge il forte portato emotivo dello scrittore: l’io narrante è fortemente adeso alla soerenza dello scrittore anagraco (i due coincidono). L’io messo dopo la contestualizzazione stagionale è un reuire dell’io bambino: i bambini sanno sempre tutto e in questo caso sa perché il cielo piange stelle cadenti (piange la morte del padre). Quando viene ucciso, il padre stava portando i proventi del lavoro per poter sostenere la famiglia. Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell’ombra, che attende, che pigola sempre più piano. La croce è il riferimento all’archetipo di Dio immolato e il padre è gura di Cristo crocisso: la gura del padre viene caricata dell’immagina cristologica attraverso la metafora della rondine che si presta sia dal punto di vista somatico sia dal versante etologico (del comportamento) all’identicazione con il Cristo in croce. Come i rondinini vivono la privazione del cibo, la famiglia di Pascoli vive la soerenza della morte del padre: c’è un’identicazione sull’orizzonte psicologico e sull’orizzonte pratico. Anche un uomo tornava al suo nido: l’uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole, in dono... Si abbandona il piano metaforico e l’io poetico trova il coraggio di tradurre da sé la metafora. L’avverbio anchemette in evidenza il linguaggio metaforico con quello referenziale. Il perfetto narrativo tornava rende il senso del racconto. Le bambole erano per le sorelle che con la morte del padre andranno a costituire l’unico orizzonte famigliare e emotivo che resta a Pascoli per tutta la vita. Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano, in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall’alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d’un pianto di stelle lo inondi quest’atomo opaco delMale! 20 Il cielo è l’archetipo di Dio e viene messo in apostrofe come una sorta di testimone di quello che è successo. Anche se non partecipa al dolore dell’uomo e costituisce la parte più alta dei mondi che rimangono sereni, inniti, involontariamente piange attraverso la pioggia di stelle. Il mondo è un atomo opaco delMale, senza nessuna possibilità di redenzione, non c’è visione positiva (visione nichilista). Attraverso il ltro della fantasia emerge l’inconscio, che ritiene che il mondo sia quanto di peggio possa esserci nell’Universo. Furio Jesi: Anche in Myricae come nei Canti di Castelvecchio la scomparsa del padre è vista nella prospettiva del mito che proietta il fatto realmente accaduto sul piano degli eventi cosmici. L’inconscio pascoliano attraverso la poesia tradisce la percezione che l’universo sia prossimo alla ne (sensazione di morte e di annichilimento). Panzini, letterato primonovecentesco, si recò a visitare la casa di Pascoli e, vedendo una fotograa del poeta, credette che fosse il padre per la stretta somiglianza che vi era tra i due: egli azzarda un’analisi psicanalitica di questa fotograa dicendo che Pascoli si era identicato così tanto nella gura del padre da nire per assomigliargli, quasi da ridargli vita attraverso se stesso. Inoltre Pascoli era morto alla stessa età del padre, come se non avesse potuto vivere oltre, non potendo spingere la propria vita oltre i conni già segnati dall’esistenza paterna. Emergono così i segni dell’alterazione psicotica. Il tempo del mito (archetipo del padre) assorbe e consacra il tempo della storia: tutto si deve comprendere nell’esistenza del genitore. La negatività, la devozione all’oscurità e alla morte è evidente anche nel modo in cui Pascoli leggeva gli eventi cosmici. La sociologia della letteratura La sociologia della letteratura è un insieme di discorsi relativi al rapporto tra la letteratura e la società. Dice Cesare Cases, sociologo e critico del primo Novecento: “I rapporti tra società e letteratura (e arte in generale) possono essere affrontati da due punti di vista, prendendo cioè la società come punto di partenza o come punto di arrivo, come elemento della genesi dell’opera d’arte o come sua destinazione”. Da qui la proposta di distinguere la critica sociologica che parte dalla società per spiegare un autore e un’opera d’arte, dalla sociologia della letteratura che va a studiare il destino sociale di un’opera o di un autore e come questi vengono recepiti dal pubblico. Una critica di ispirazione sociologica può contribuire a chiarire la natura e i caratteri di questa inuenza e dunque può fornire un apporto sostanziale alla comprensione dell’opera. D’altro canto, l’opera, attraverso la lettura, viene fruita da un pubblico più o meno vasto (i “destinatari”, sempre secondo la teoria della comunicazione) che altro non è se non una società storicamente denita: la sociologia letteraria può studiare questo fenomeno della ricezione e chiarirne meccanismi, modalità, distorsioni. Un lavoro critico di orientamento sociologico non apre necessariamente le porte alla formulazione di un giudizio estetico, di valore, sull’opera letteraria; anzi, sembra escluderlo a priori. Accertare che un’opera d’arte esprime (o no) determinati contenuti sociali, approfondire i modi in cui si realizza il rapporto tra arte e 21 società, o, su un altro versante, rilevare quantitativamente e qualitativamente come viene recepita, quale inuenza ha sulla cultura e sulla società, non implica in maniera automatica un riconoscimento o meno del suo valore. Osservazioni sul contenuto sociale delle opere ci sono state dall’antichità, ma la sociologia della letteratura nasce dalla seconda metà dell’Ottocento (la sociologia stessa nasce dal positivismo). Madame de Stael scrive nel 1803Della letteratura considerata nei suoi rapporti con le istituzioni sociali. Non meno interessante è il volume del protomarxista Giuseppe Pecchio (1785-1835) Sino a qual punto le produzioni scientifiche e letterarie seguono le leggi economiche della produzione in generale del 1832 (idea della letteratura come qualcosa che ha un consumo sociale). Hippolyte Taine (1828-1893) - in opere come Essais de critique et d’histoire (1858),Histoire de la littérature anglaise (1863), Philosophie de l’art (1865) - applica i principi della losoa positivista all’estetica e considera le opere d’arte non come qualcosa di assoluto e indipendente ma come segni del periodo storico in cui nascono: “l’arte non può essere dunque compresa se non la si pone in rapporto con l’ambiente spirituale e sociale in cui è stata prodotta”; inversamente, “la grandezza di un’opera d’arte sta proprio nella sua capacità di esprimere i caratteri essenziali del mondo in cui ha avuto origine”. All’opposto c’è la linea idealistica (De Sanctis, Croce), per cui l’uomo è essenzialmente spirito e ciò che produce in ambito artistico viene da questa sua dimensione, mentre la dimensione materiale non ha incidenza sulla sua produzione materiale. Un’opera letteraria esprime una cultura ed una società attraverso forme elementari di pensiero e di sentimento o dati psicologici primigeni. Questi elementi possono essere, secondo Taine, ulteriormente scomposti e ricondotti all’azione deterministica di tre fondamentali ordini di fattori: la razza (race), l’ambiente (milieu), il momento (moment). L’uomo è insomma un prodotto di predisposizioni genetiche, di una struttura biologica ereditaria, di un ambiente sico e sociale in cui vive, di un momento storico. Il momento fondamentale dei rapporti tra arte/letteratura e società è rappresentato dal materialismo storico con Marx ed Engels che non si occuparono direttamente delle questioni letterarie ma elaborarono un sistema di riferimento che vale anche in letteratura e che avrà notevole inuenza per tutto il Novecento. L’inuenza del pensiero di Marx ed Engels sulla sociologia della letteratura nel corso del Novecento è di notevole entità, al punto che si è potuto sostenere la tesi che non esista una sociologia della letteratura al di fuori della tradizione marxiana. Marx ed Engels non elaborarono una trattazione sistematica e specica delle questioni inerenti l’arte e la letteratura; inseriscono per lo più le loro osservazioni nel contesto globale di una teoria economico-politica dell'organizzazione sociale. Tuttavia, l’insieme di queste notazioni possiede un carattere organico, suciente a costruire un modello epistemologico e metodologico. In particolare il tema del rapporto arte/società viene coerentemente congurato all’interno del più vasto rapporto tra “struttura” - il complesso dei rapporti economico-materiali che contraddistingue una società - e “sovrastruttura” - le formazioni spirituali e ideali come l’arte, la religione, le leggi, ecc. Molto più del 22 linguistico e destinata al circuito esclusivo dei letterati stessi o al limite dei loro mecenati (lo stesso discorso vale per il teatro che in Italia, con l’eccezione del melodramma, si è distinto per una tradizione aristocratica e classicistica). “In Italia” scrive Gramsci in un passo noto per il suo vigore icastico “gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla “nazione”, e sono invece legati ad una tradizione di casta, che non è stata mai rotta da un forte movimento politico popolare o nazionale dal basso: la tradizione è “libresca” e astratta, e l’intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano”. La novità di Gramsci sta innanzitutto nel riconoscimento di un valore positivo alla paraletteratura; cosa che, se non può avvenire sul piano estetico, può invece legittimarsi sul piano culturale, ossia dell’incidenza sociale che essa ha. La critica, sostiene Gramsci, deve avere sempre un “aspetto positivo”, nel senso che deve “mettere in rilievo nell’opera presa in esame, un valore positivo, che se non può essere artistico, può essere culturale”. È importante, a questo proposito, sottolineare che in tal modo Gramsci allargava di molto i conni del letterario riconoscendo una patente culturale ad un universo no ad allora sommerso. E questo mentre la critica italiana, dominata in maniera pressoché assoluta dal crocianesimo, conduceva, con criteri psicologici e stilistici, una serrata opera di ricerca della “poesia” e di distinzione di questa dalla “non poesia”, liquidando come inesistente la questione della letteratura popolare: secondo Croce la poesia popolare o è arte a tutti gli eetti - e allora non ha senso la specicazione “popolare”- o non lo è, e dunque non interessa allo studioso di poesia. Nei Quaderni del carcere, sia pure nel ristretto giro dei singoli frammenti, Gramsci fornisce non pochi esempi di applicazione alla storia letteraria dei principi che siamo venuti n qui esponendo. Celebri sono le sue note su Dante, Petrarca, l’Umanesimo e il Rinascimento, Machiavelli, Foscolo, Manzoni, no a D’Annunzio, Pascoli, Pirandello, che, come tessere di un mosaico, niscono per comporre un quadro complessivo della letteratura italiana esaminata senza mai perdere di vista le connessioni con le questioni ideologiche, storiche, sociali di ciascuna epoca. ALTRE CRITICHE La critica delle strutture formali si occupa dell’analisi del testo letterario in maniera legata alla sua struttura formale, non si occupa del contenuto, del messaggio che il testo vuole veicolare, ma di tutti quegli aspetti tecnici legati alla parola (gure retoriche, punteggiatura, suoni ecc.). Anche la cosiddetta narratologia lavora sul testo allo stesso modo: si occupa dei personaggi e di come si muovono nel testo, della valenza dello spazio e del tempo all’interno della narrazione. La critica semiotica è la critica dei segni: il testo viene analizzato in base ai segni che si rinvengono al suo interno e che “signicano” qualcosa. La critica stilistica La critica stilistica si fonda sul presupposto che il carattere distintivo dell’opera d’arte è lo stile. Diretta antenata ne è la retorica classica (arte di costruire il discorso) che, in quanto arte del “ben dire” costituiva strumento narrativo imprescindibile sia per l’artista che per l’interprete; per l’oratore la parte più importante del discorso era la forma, saper dare una struttura ecace riesce a far veicolare bene qualsiasi contenuto. 25 Da una parte le indicazioni di Croce contenute nella Estetica come scienza dell’espressione (1902) e coniugate con le tendenze aggiornate della lologia romanza, dall’altra la fondamentale rivoluzione linguistica di Ferdinand De Saussure (1857-1913) e della sua scuola pongono le premesse per uno studio dello stile non solo come sostanza materiale e fonica ma anche come prodotto dello spirito umano, dalle indubbie valenze psicologiche, sociali e storiche (lo stile è un elemento vivente, di per sè è arte e quindi un prodotto dello spirito umano). Lo stile è quindi inuenzato dalla psiche, dalla situazione sociale e dal momento storico. Fu proprio partendo dalle teorie saussuriane (in particolare dal principio che la lingua è un sistema convenzionale di segni) che Charles Bally (1865-1947) denì la stilistica come disciplina direttamente dipendente dalla linguistica. Per Bally non c’è sostanziale dierenza tra lingua parlata e lingua letteraria, i mezzi espressivi sono identici, semmai ciò che le distingue è la nalità, attiva e sociale nella prima, estetica ed individuale nella seconda. Ma mentre Saussure progetta uno studio logico del sistema lingua, Bally pone l’accento sugli aspetti aettivi e spirituali del discorso, su quegli elementi che trascendono il piano della semplice signicazione perché espressione della nostra natura più istintiva che razionale. In realtà tra lingua parlata e lingua letteraria c’è una dierenza enorme (lo stesso pensiero è dierente quando si estrinseca nella lingua parlata e letteraria). Per Bally la lingua è sostanziale estrinsecazione dello stato psichico, la si usa non solo per comunicare ma anche per esprimere il portato della propria emotività. A De Saussure e a Bally fa riferimento una delle due principali correnti della stilistica, quella più propriamente linguistica e descrittiva che insiste su uno studio analitico ed oggettivo dello stile. De Saussure e Bally quindi si occupano dello stile dal versante del lessico. Negli stessi anni in cui Bally denisce le sue teorie (primo decennio del Novecento), appaiono anche gli scritti di Karl Vossler (1872-1949), studioso di formazione idealistica (lettore di Croce, tra l’altro), che può considerarsi l’iniziatore di un diverso lone della stilistica, più attento alla matrice spirituale dei fatti espressivi e perciò più vicino ad un tipo di critica verosimilmente letteraria. Vossler vede il linguaggio da una parte come struttura oggettiva (“prodotto” o “attività”) e dall’altra come sistema individuale (“creazione” o “sviluppo”). Il sistema di Vossler è più complesso di quelli di De Saussure Bally perché le implicazioni a cui fa riferimento sono molto più spiritualistiche, si avvicina a interrogare anche l’aspetto spirituale contenutistico del linguaggio; resta però sempre fortemente legato all’aspetto strutturale. Il linguaggio è la forma esterna della visione soggettiva che l’uomo ha delle cose e quindi esprime l’insieme dei caratteri propri di una personalità. Compito dell’analisi stilistica è risalire dagli aspetti formali di un’opera alla personalità del suo autore, penetrare la genesi del fatto espressivo, scoprire in denitiva “l’etimologia spirituale” dello stile. Il linguaggio è lo strumento che riesce a far emergere la personalità e lo stile inteso come massima espressione dell’estro artistico nell’artista (lo stile è spia della personalità dell’autore) I propugnatori della critica stilistica così come i lologi dicono che il linguaggio è molto importante, e studiare le varianti di un’opera ci dà l’etimologia dello stile: i testi nella loro consecuzione, così come sono stati cambiati di volta in volta dall’autore, mostrano al lologo il cambiamento spirituale dello stile e quindi 26 dell’autore, svelano l’autore nel suo modo di evolvere rispetto al prodotto artistico (il suo modo di parlare cambia di pari passo col modo di pensare). Sulla linea Croce-Vossler si pone anche il più eminente rappresentante della stilistica letteraria, l’austriaco Leo Spitzer (1887-1960). Elemento basilare enel sistema spitzeriano è il concetto di “scarto”, cioè di violazione (individuale, personale) di un determinato standard linguistico; in altre parole lo scarto è quella particolarità che l’autore mette nero su bianco rispetto al sistema stilistico convenzionale; questi scarti parlano dell’autore, non soltanto perché lo distinguono rispetto ad altri, ma perché sono il portato del suo stato psichico. “A qualsiasi allontanamento dal nostro stato psichico normale, - egli scrive (Critica stilistica e semantica storica) - corrisponde, nel campo espressivo, un allontanamento dall’uso linguistico normale; e viceversa, un allontanamento dal linguaggio usuale è indizio di uno stato psichico inconsueto. Una particolare espressione linguistica è, insomma, il riflesso e lo specchio di una particolare condizione dello spirito”. La lingua tradisce lo stato psichico. Quando parliamo in maniera normale siamo in una sorta di latenza psichica, quando ci discostiamo dal codice standard vuol dire che a livello psichico ci allontaniamo dall’equilibrio. Lo stile di uno scrittore è dato quindi dalla somma degli “scarti” linguistici; la sua individuazione però non è ne a se stessa, ma è solo un mezzo per giungere all’“etimo spirituale e psicologico” dell’artista, nella convinzione che lo scarto fa luce sullo stato primordiale, spirituale e psicologico dell’autore. Quando i critici stilistici devono denire lo stile di un autore lo deniscono in base alle peculiarità rispetto al codice lingua standard e non in base alla parte standard che utilizza. Gli esponenti della critica linguistica è vero che anatomizzano il testo ma hanno ancora un’attenzione per l’aspetto umano, il contenuto emotivo dell’opera d’arte. L’evoluzione di questa attenzione allo stile sarà quella formalista, strutturalista e semiologica dove lo stile sarà analizzato con nalità meramente di decodicazione tecnica del testo. Ovviamente il critico non può fondere le sue deduzioni solo su qualche brano o su qualche opera, ma deve conoscere buona parte della produzione di un autore e soprattutto deve avere una matura coscienza della normalità del sistema linguistico. La stilistica dunque prospetta uno psicologismo ranato (a cui non sono estranee le acquisizioni della psicoanalisi) che partendo dall’analisi materiale della lingua e delle leggi espressive si rivolge alla denizione dell’anima dello scrittore, della sua ispirazione estetica, della sua spiritualità. Essa evidenzia inne l’incessante dialettica tra istituzione linguistica e variante individuale, il contrasto tra conformismo e anticipazione, subordinazione e deviazione. Il compito della Stilkritik (stilistica) si spinge anche oltre la denizione della personalità artistica, spesso si fa indagine dell’inuenza che determinati stili individuali hanno sulla norma linguistica, studi cioè la “grammaticalizzazione”, il passaggio da “scarto” a “regola”, che peculiari stilemi personali subiscono, specie nel caso di grandi autori: chi potrebbe infatti negare che certi neologismi di Dante, certe sue espressioni particolari, certe sue risemantizzazioni lessicali siano ben presto diventati patrimonio comune della lingua anche non letteraria? (il codice standard nel tempo si appropria degli scarti d’autore che diventano appannaggio di tutti, es. neologismi D’Annunzio). 27 Un’opera è bella se le cose vengono dette secondo un’organizzazione estetica delle forme. Per liberare lo studio della letteratura dall’intrusione di discipline contigue come la psicologia, la sociologia e la storia della cultura, fu necessario renderne maggiormente restrittiva la denizione. «L’oggetto della critica letteraria», scrisse Jakobson, «non è la letteratura nella sua totalità, bensì la letterarietà (literatur nost), vale a dire ciò che di una data opera fa un’opera di letteratura». Ciò a sua volta faceva insorgere il supremo interrogativo della teoria della letteratura: quali sono i caratteri specici della letteratura? Qual è la natura e il luogo della “letterarietà”? I teorici formalisti, messo da parte ogni discorso sulla “intuizione”, “immaginazione”, “genio” e simili, ricercarono il luogo della letterarietà non nella psiche dell’autore o del lettore ma nell’opera. «Il poeta», scrisse Šklovskij, «non crea le immagini, bensì le trova [nel linguaggio comune] o le ricorda». Ne consegue che il carattere distintivo della poesia va ricercato non nella semplice presenza dell’immagine ma nell’uso che ne vien fatto. Il poeta non inventa o intuisce, non concepisce lo spiraculum vitae, l’ispirazione spontanea, ma fa un lavoro di selezione, trova le immagini e le riprende a partire dal linguaggio comune. La poesia e la letteratura non hanno valore per l’ispirazione che ha colpito il poeta ma è importante vedere la modalità del poeta stesso di utilizzare le immagini che vede o ricorda e trova un modo per assemblare in maniera artistica gli elementi della lingua senza essere soggetto di particolari ispirazioni. Uno dei concetti basilari del Formalismo è quello di “straniamento”: la poesia trasporterebbe in un contesto diverso da quello naturale, in un’ottica nuova e in una diversa sfera percettiva, ciò che è abituale ed ordinario; renderebbe “strano” e originale ciò che è comune. «La gente che vive al mare», scrive Sklovskij, «s’abitua talmente al rumore delle onde che non lo sente più. Allo stesso modo raramente udiamo le parole che pronunciamo. Inoltre, noi ci guardiamo ma non ci vediamo più. La nostra percezione del mondo si è inaridita e dissolta ed è rimasto soltanto un puro e semplice riconoscere» (concetto retorico di catacresi: usura semantica delle parole, delle immagini e delle esperienze, situazione in cui per eccessivo uso di qualcosa questa non ci stupisce più, es. metafora del collo della bottiglia). Il poeta è quello che con l’uso sapiente del linguaggio ridà vita alla lingua comune in cui tanti elementi sono caduti in catacresi; compito del poeta è ridare smalto alla lingua in modo che possa tornare a impressionarci. Il che presuppone un uso delle strutture fonologiche, morfo-sintattiche, metriche, lessicali della lingua sganciato dall’automatismo dell’abitudine. Il poeta non deve preoccuparsi di fare censura sociale, o di esprimere i propri stati d’animo, è importante che il testo a livello strutturale sia valido, che crei una condizione di straniamento (deve muovere il lettore da un contesto catacretico a un contesto straniante, creato da un linguaggio curato, ben organizzato). Il poeta, nella concezione formalista, non ha delle idee, dei contenuti che cerca di tradurre in parole, ma è solo organizzando i “signicanti” (suoni che compongono le parole), costruendo il discorso che si imbatte in 30 pensieri e sentimenti che prima non conosceva aatto, o conosceva relativamente (meccanismo creativo inverso: secondo Croce prima c’è l’intuizione e poi questa si coagula in qualcosa di poetico, mentre per i critici delle strutture formali prima si lavora sui suoni in maniera poetica e poi, dopo la manipolazione del signicante, ne viene fuori qualcosa di suggestivo, il poeta, grazie alla sua abilità dell’organizzazione della massa sonora, riesce a costruire pensieri e sentimenti nuovi che neanche lui conosceva prima). Le opere diTolstoj, notò acutamente Sklovskij, abbondano di passi in cui l’autore “riuta di riconoscere” gli oggetti familiari e li descrive come se li vedesse per la prima volta. Così, in Guerra e pace, descrive la rappresentazione di un’opera lirica parlando di “pezzi di cartone dipinto” a proposito dello scenario e nella scena della Santa messa in Resurrezione, per designare l’ostia, usa l’espressione prosaica “pezzettini di pane” (quando narra non lo fa utilizzando parole che chiunque utilizzerebbe per raccontare un’esperienza, in questo modo attira l’attenzione del lettore). L’unica analisi critica che ha senso è allora una anatomizzazione minuziosa dei livelli di organizzazione dell’opera (lessico, morfo-sintassi, strutture metriche e fonologiche), le cui disjecta membra (frammenti sparsi) potranno essere studiate solo nella loro compatibilità - funzionalità con la struttura globale o nella loro interazione semantica (se cioè le varie parti sono compatibili e funzionano nel rendere l’opera d’arte ben fruibile, e se la storia narrata è ben costruita: se i personaggi sono coerenti a livello psicologico, portano a termine le azioni…). Per funzionalità quindi si intende non se arriva un messaggio ideologico, politico o sociale al lettore, ma se gli arriva una buona articolazione del testo, convincente e coerente. È ovvio che il numero di leggi che presiedono alla strutturazione del discorso è limitato ed è inevitabile la loro ripetizione (la rima, per esempio a livello fonologico), identica o in chiave diversa. Lo stesso meccanismo sembra ai formalisti che domini la letteratura universale: l’evoluzione letteraria non è altro che un “rimpasto”, una ripetizione, variata ma costante degli stessi elementi e delle stesse strutture. La letteratura secondo i formalisti è il rimpasto degli stessi elementi che deve essere talmente abile e virtuoso da riuscire comunque a ottenere un risultato nuovo. Appare evidente come in alcune posizioni estremistiche il Formalismo giunga ad aermazioni paradossali, come perda, per amore eccessivo del particolare, la visione d’insieme del fatto letterario. Bisogna comunque sottolineare la portata storica delle sue acquisizioni: il lavoro dei formalisti ha avuto il merito di richiamare l’attenzione della critica sull’oggettività dell’opera d’arte, sulla sua “immanenza” e sulla conseguente necessità di studiarla senza condizionamenti esterni, badando alla centralità della forma e alla costituzione stratigraca del testo (livelli di analisi del testo letterario). Nell’ambiente del formalismo vengono messi a fuoco concetti di analisi destinati a notevole successo (modi di fare analisi dal versante della forma). Per esempio, le categorie di analisi del testo narrativo come quelle di fabula (successione lineare secondo una logica causale-temporale delle situazioni) e intreccio (disposizione articolata degli avvenimenti in base a nalità letterarie, capacità di organizzare contenuti noti in base alla fantasia dell’autore). Questa separazione della struttura narrativa è quindi un ritrovato della critica formalistica. 31 Vladimir Propp (1895-1970), uno studioso russo vicino per molti versi all’ambiente del Formalismo, nella Morfologia della fiaba (1928), si pone il problema della classicazione scientica dei testi abeschi in base alle loro strutture: individua così come elementi costanti delle abe alcune azioni caratteristiche ricorrenti che egli denisce “funzioni” (infrazione, investigazione, danneggiamento, partenza, ritorno, riparazione della mancanza iniziale, ecc.) rintracciabili poi in tutti i contesti narrativi (ne individuerà 31); in questo modo lo strutturalista, quando va a fare l’analisi del testo narrativo, può riconoscerle e legarsi a quelle per vedere come è organizzato in maniera tecnica il discorso. Il contesto narrativo scelto da Propp è la aba perché essa è staccata dal contesto, rischia meno di altri tipi di narrazione di portare messaggi ideologici o politici. I critici strutturalisti sono disinteressati al soggetto e all’individualità e fanno critica in nome della struttura e dell’oggettività. La critica strutturalistica procede all’analisi di un testo o di un’opera non per spiegarne il signicato artistico, storico, psicologico, esistenziale, ma per descriverne il meccanismo di funzionamento, la tipologia testuale, le funzioni dei vari elementi espressivi, la coerenza strutturale dell’insieme (se il testo risulta coerente è un testo ecace). Rosso Malpelo La funzione della riparazione di Propp può essere rintracciata se viene supportata da una lettura di matrice psicanalitica dell’opera. Ad esempio Malpelo muore schiacciato dalla frana della cava e sembrerebbe che i torti subiti non vengano riparati; se invece integriamo la lettura di matrice strutturalista che va a vedere le varie funzioni della novella con quella di matrice psicanalitica, possiamo rintracciare anche la funzione della riparazione, perché la morte di Malpelo è riparatrice rispetto alla tragedia della sua vita se vista in un’ottica psicoanalitica di regressione all’interno della cava intesa come utero materno accogliente (e non matrigno come quello che aveva sperimentato malpelo in vita) e allo stesso tempo questo utero si identica con il ritorno al padre, che Malpelo può riabbracciare nella morte tornando a lui attraverso la reiterazione del medesimo destino e venendo inghiottito dallo stesso spazio. Teorie della narratività Per parlare di teorie della narratività, per cui si intende modalità di analisi strutturalista del testo, è bene partire da Vladimir Jakovlevič Propp (San Pietroburgo, 1895, Leningrado 1970) linguista e antropologo (folclorista) russo (insegnò russo e tedesco in una scuola superiore, per poi diventare professore universitario di tedesco). Morfologia della fiaba è un celebre saggio di Vladimir Propp, pubblicato a Leningrado nel 1928 e uscito in Italia nel 1966 per i tipi dell'Einaudi (casa editrice di Sinistra, losovietica), a cura di Gian Luigi Bravo. In Europa venne tradotto e conosciuto negli anni Cinquanta. Propp studiò le origini storiche della aba nelle società tribali e nel rito di iniziazione e arrivò alla conclusione che esistono strutture sse e ricorrenti in questo tipo di narrazione. In particolare individuò 31 funzioni-tipo. Una sua prima attività non è quella di critico letterario, ma di antropologo e folclorista, è attratto dai riti di iniziazione ed essendo colto conoscitore della ritualità tribale accede al prodotto letterario in possesso da queste tribù e studia la aba. 32 Qualcosa di più dettagliato è bene dire della «stilistica del racconto» di Gérard Genette (1930), critico francese a cui rinvia spesso la terminologia di analisi semiotica del testo. Da ricordare ancora Chatman Seymour (1928) che fonda la sua teoria sui termini di storia (cosa si dice) e discorso (come viene detto) accentuando gli aspetti narrativi nella prospettiva del sistema della comunicazione. In Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film (1978) Chatman puntualizza gli elementi fondamentali della comunicazione narrativa: autore reale→ autore implicito→ narratore→ narratario→ lettore implicito→ lettore reale Citiamo anche Roland Barthes (1915-1981) che non elabora un vero e proprio metodo ma è indubbiamente geniale per alcune posizioni (sempre di stampo semiotico). Barthes è scettico sulla possibilità di destrutturare e ricostruire un modello del testo perché «non c’è mai un tutto del testo (che sarebbe origine di un ordine interno, riconciliazione di parti complementari, sotto l’occhio paterno del Modello rappresentativo): bisogna liberare il testo dal suo esterno e, insieme, dalla sua totalità». Quanto ai critici italiani, da ricordare almeno: - Cesare Segre (Semiotica filologica) - Maria Corti (saggi vari) - D’Arco Silvio Avalle (saggi vari) - Umberto Eco (Opera aperta Lector in fabula - I limiti dell’interpretazione). Il personaggio Nella tradizione strutturalista e semiotica si è sviluppata una lunga discussione sulla preminenza dell’azione (funzione) rispetto al personaggio. In certe teorie narratologiche la rilevanza del personaggio viene volentieri ridotta ad una funzione dell’intreccio: il personaggio è solo un elemento che «serve» a far funzionare una storia, a determinare un avvenimento. Indubbiamente, però, funzione e personaggio sono di uguale dignità sul piano teorico. Il prevalere dell’una o dell’altro può dipendere solo dal tipo di racconto che si prende in esame. Il personaggio non va, ad ogni modo, confuso con la «persona»: è un «essere di carta», una costruzione fantastica, anche se è rappresentato come vivente; dunque il personaggio non è concepibile al di fuori dell’universo ttizio a cui appartiene… il testo è l’unico suo spazio di esistenza (anche se Pirandello ha provato a farli vivere autonomamente in Sei personaggi in cerca d’autore). Come può essere studiato il personaggio? 1. Considerando i modi della sua entrata in scena (livello del discorso), o meglio della sua presentazione: 35 a. il lettore può venire a conoscenza del personaggio direttamente o indirettamente, oppure attraverso una combinazione di presentazione diretta e indiretta b. presentazione diretta da parte del narratore (modalità classica). Es. Manzoni c. autopresentazione del personaggio (racconto autobiograco, memorie, ecc.) d. presentazione da parte di un altro personaggio o più personaggi (racconto a focalizzazione interna) 2. tipologia del personaggio: a. statico (lungo il percorso narrativo non subisce trasformazioni) b. dinamico (vive un’avventura di trasformazione esteriore, interiore o mista… per esempio l’eroe del romanzo «di formazione») L’opposizione statico/dinamico obbliga il lettore a controllare il personaggio lungo tutta la narrazione ed anche a considerare l’interazione di altri codici culturali (esistenziali, sociologici, psicologici, ecc.). Ad esempio, la staticità di un personaggio come Don Abbondio, contrapposta alla dinamicità di Renzo e Lucia, rimanda ad una prospettiva ottimistica che valorizza un mondo giovane (e progressivo) in contrapposizione ad un mondo vecchio. 3. ruolo del personaggio: a. protagonista b. antagonista c. destinatore (esercita una specie di arbitraggio…) d. destinatario (che benecia di una certa azione…) e. aiutante (si schiera con…) In base ai ruoli è possibile individuare una serie di rapporti (fattuali, psicologici, sentimentali, sociali, ecc.) che collegano tra loro i personaggi. Si possono così formalizzare i rapporti in un sistema (il cosiddetto sistema dei personaggi ) che metta in evidenza la logica del testo. Inoltre i personaggi possono esere deniti attraverso una serie di tratti di caratterizzazione, detti anche “fasci di caratterizzazione”. Non è detto che in unico personaggio debbano esserci tutti i tratti di caratterizzazione. Essi sono: 1. fascio di caratterizzazione siognomica: un autore per il tramite del narratore descrive un personaggio attraverso il suo aspetto sico (nome, sesso, età, tratti somatici, abbigliamento, completamento oggettuale); non funziona nel senso di dare puri dati informativi, ma dati signicativi (es. situazione sociale, economica, condizione psicologica, orizzonte morale), essi non sono presenti quando non sono funzionali a tracciare il personaggio. Es. La Giara (descrizione Zì Dima Licasi): la descrizione è funzionale a descrivere il destino sfortunato di un uomo anziano il cui cuore deforme va di pari passo alla tristezza di un uomo che non esprime più i suoi sentimenti ed è chiuso in se stesso. Ipotiposi: personaggio sottoposto a una descrizione minuziosa ed esagerata in modo da renderlo iconico ed impressionante nel dettaglio specico che gli si attribuisce (es. descrizione verghiana dei fratelli Trao inMastro-don Gesualdo o di Mazzarò ne La roba); 2. fascio di caratterizzazione antropologica: è data dall’insieme dei comportamenti che il personaggio mette in attto e che rimandano da un lato al gruppo sociale, al livello culturale (questi 36 comportamenti scaturiscono dalla comunità etnica di riferimento) e dall’altro rivelano tratti caratteriali; questo fascio di caratterizzazione rimanda a gesti ed espressioni del volto, modo di muoversi, camminare, abitudini, stile di comportamento, movenze rituali (saluti, gesti di cortesia), codici prossemici (relativi alle distanze comunicative); 3. fascio di caratterizzazione culturale: comportamenti linguistici, studi compiuti, grado di conoscenza che il personaggio manifesta, ambienti che frequenta, uso di gerghi e linguaggi settoriali; il personaggio può essere alfabetizzato o non alfabetizzato, avere capacità di ragionamento astratto (spia di elevatezza di natura cognitiva) oppure fare sempre riferimento alla realtà concreta (in questo caso avrà un orizzonte culturale più basso); può utilizzare un linguaggio ristretto e riferimenti culturali minimi oppure un linguaggio più specializzato e riferimenti più vasti.Novella di Simona e Pasquino: il livello di caratterizzazione culturale mette in evidenza come il popolino basso sia sempre oggetto di pregiudizio (non può essere animato da un amore puro e sublime e agisce per il proprio tornaconto personale); 4. fascio di caratterizzazione sociale 5. fascio di caratterizzazione ideologica 6. fascio di caratterizzazione psicologica 7. fascio di caratterizzazione simbolica I fasci di caratterizzazione possono dare l’immagine di un personaggio armonico, ma spesso (p.e. nella narrativa del primo Novecento) si avverte nel personaggio un conitto tra dimensione psicologica e dimensione sociologica, tra essere ed apparire, tra storia e coscienza… La critica strutturalista Lo Strutturalismo ha una data di inizio. Nasce infatti con il I Congresso dei lologi slavi, tenutosi a Praga nel 1929. In questa occasione un gruppo di studiosi, tra cui Jakobson, Trubeckoj ed altri provenienti dall’esperienza del Formalismo russo, presentano una serie di Tesi in cui si sostiene la necessità di dedicare ai fatti formali della letteratura − strutture − la maggiore attenzione possibile. Lo Strutturalismo eredita quindi la quasi totalità dei principi del Formalismo ed in particolare quello di sostanziare la critica letteraria di ricerche linguistiche, volte alla denizione semantica e funzionale sia delle micro che delle macrostrutture dell’opera. L’autonomia costitutiva di quest’ultima, intravista dai formalisti, si specica nel concetto di “struttura” come insieme organico di elementi reciprocamente implicantesi, legati da una serie di rapporti e relazioni che funzionalizzano il tutto verso una particolare signicazione. “L’opera poetica è una struttura funzionale, − recita una delle tesi – e i vari elementi non possono essere compresi al di fuori della loro connessione con l’insieme”. Denizione questa che non a caso ricorda da vicino quella saussuriana di lingua come sistema in cui tutte le parti possono e devono essere considerate nella loro solidarietà sincronica. Lo strutturalismo è un fenomeno che non riguarda solo l’ambito letterario ma investe nel secondo Novecento molte realtà culturali sia a livello metodologico che losoco: l’ idea di un sistema in cui tout se tient, dove le parti agiscono in funzione di un tutto, per una rete complessa e necessaria di interdipendenze, è alla base di indirizzi antropologici, sociologici, psicologici, ecc. 37 La critica semiologica (o semiotica) La semiologia (dalla radice greca seméion, “segno”) è una disciplina che studia qualsiasi realtà culturale come sistema di segni (il termine “semiotica” ne è, ormai, un sinonimo). Nella concezione semiologica, la cultura, in quanto sistema segnico, viene vista essenzialmente come fenomeno di comunicazione. Esistono però tanti sistemi di segni che rinviano ad altrettante realtà comunicative (dalla segnaletica stradale alla moda, dalla liturgia alla pubblicità, ecc.): la lingua, come aveva già visto Saussure, è solo uno dei possibili sistemi, anche se dei più complessi. Qualsiasi atto comunicativo implica da un lato l’esistenza di un insieme di segni e regole combinatorie universalmente condivisi, cioè di un “codice”, e dall’altro di una sostanza comunicativa, di un contenuto, di un “messaggio”. La semiologia va quindi alla ricerca dei codici e ne scopre la convenzionalità; ma studia anche il modo in cui i messaggi si rapportano al codice. Dal grado di fedeltà allo “standard” di un codice misura anche la qualità del messaggio: semplicemente informativo se segue pedissequamente le regole del codice con il ne di evitare ambiguità e incomprensione (tale è la natura dei messaggi comuni, dalla prescrizione medica all’orario ferroviario ); a sfondo estetico se è caratterizzato da forte originalità, trasgressione più o meno vivace dell’ordinarietà del codice, polisemia e ambiguità. La semiotica letteraria si concentra sui messaggi caratterizzati da funzioni estetiche o poetiche, ma lo fa senza dimenticare la globalità dei fenomeni di cultura. In questa prospettiva essa si pone l’ambizioso obiettivo di coordinare all’interno di sistemi di signicazione sempre più vasti le analisi parziali dell’opera d’arte; coinvolge perciò non solo la dimensione strutturale, ma anche quella contenutistica, ideologica, morale o altro che sia. È indubbio però che l’interpretazione semiologica si appoggia inizialmente ad analisi di tipo strutturale in quanto vede nell’opera un sistema di segni organizzato su livelli interagenti (in qualche caso, come nella critica narratologica, l’identicazione tra le due prospettive di studio è tale che non vi è assoluta distinzione). Superata questa elementare fase di decodica, la semiotica non si accontenta di guardare al testo come entità a sé: dal momento che è stato concepito all’interno di un modello culturale, di uno schema sociale e di un costume letterario, esso è solo un “microcosmo” che ha signicato nella misura in cui permette di ricostruire il sistema di cui fa parte ( “macrocosmo”), è a sua volta un “segno” che sta in rapporto ad altri segni all’interno di codici espressivi (i generi, ad esempio) e culturali più ampi. Metodologia dai marcati connotati descrittivi, ma con altrettanto forti propensioni totalizzanti, la semiotica letteraria vive un rapporto non chiaramente denito con la critica propriamente detta: strumento della critica ma anche “approccio generale che strumentalizza la stessa critica letteraria ai ni di una comprensione più vasta del mondo dei segni” (U. Eco). In Italia la critica di tipo semiotico si radica su un fertile sostrato di ricerche formalistiche e strutturalistiche, e non può dirsi sucientemente autonoma prima della seconda metà degli anni Sessanta. Soprattutto la nostra critica semiotica è stata caratterizzata da una intensa riessione teorica, e da un’altrettanto procua applicazione del metodo all’analisi dei testi letterari. 40 Basterebbe citare l’attività multiforme diUmberto Eco (professore di “Semiotica” all’Università di Bologna, tra l’altro) raccolta nei numerosi saggi e nel monumentale Trattato di semiotica generale (1975); o le ricerche di lologi romanzi e linguisti come Cesare Segre, Maria Corti, D’Arco Silvio Avalle. Ognuno di essi ha comunque sviluppato un personale metodo di indagine semiotica: Segre (in opere come I segni e la critica, 1969, e Semiotica filologica, 1979 ) ha cercato di coniugare lologia e semiotica nella convinzione che “un atteggiamento ed un’esperienza lologica sono indispensabili per arontare lo studio di codici e sistemi culturali, di testi e di contesti”. La Corti (Principi della comunicazione letteraria, 1976) ha invece privilegiato l’aspetto comunicativo della letteratura, messaggio che mette in rapporto a determinate condizioni un “emittente” e un “ricevente”; ha visto altresì in prospettivasemiotica i generi letterari. Avalle da una parte ha messo a punto con il suo Corso di semiologia dei testi letterari (1972) un convincente metodo di analisi semiotica volto alla denizione della collocazione dell’opera e del “sistema personale” dell’autore all’interno del sistema culturale di cui sono partecipi; dall’altro ha fornito capitali e anticipatrici declinazioni pratiche del metodo (come nelle analisi raccolte neGli orecchini di Montale, 1965, e inModelli semiologici nella Commedia di Dante, 1975 ). Fra strutturalismo e semiotica si colloca inne uno specico settore di studi nalizzato all’analisi del racconto e della “narratività” in genere, la “narratologia”. I fondamenti di questa che ormai si attesta come una vera e propria disciplina estetica vanno rintracciati nell’opera diVladimir Propp (1895-1970). L’analisi semiologica del racconto da un lato ha anato la metodologia di indagine sulle strutture narrative, dall’altro, nell’intento di superare la depauperante prospettiva del descrittivismo ne a se stesso, si è diretta verso la contestualizzazione dei rilievi formali, nonché verso l’attento recupero dei valori stilistici, linguistici, culturali, ecc. La semiologia postula quindi l’esistenza di un codice narrativo, all’interno del quale le varie componenti hanno funzione segnica, rinviano cioè a realtà esterne. Individuare perciò all’interno di un’opera l’ordine logico-cronologico delle vicende (“fabula”), studiare i meccanismi di articolazione dei fatti (“intreccio”), ricostruire le funzioni del tempo e dello spazio nella narrazione, denire il “punto di vista” dal quale si concretizza l’atto del raccontare (o del vedere), delineare la tipologia dei personaggi, sono tutte operazioni ermeneutiche necessarie ma propedeutiche alla ricostruzione di un sistema di segni più vasto, sia esso l’opera intera, il genere a cui fa riferimento in senso normativo o dialettico, la Weltanschauung dell’autore, di una società, di un’epoca, ecc Così un racconto prospettato dal punto di vista di un narratore “onnisciente”, posto all’esterno come la voce “fuori campo” nel cinema (“focalizzazione esterna”), può esprimere una visione del mondo tranquilla e duciosa (o provvidenzialistica, come nel caso dei Promessi sposi); al contrario, il continuo cambiamento del punto di vista narrativo può essere il “segno” di una frantumazione delle certezze, di un disorientamento esistenziale (come avviene nelle opere di Joyce e Gadda, per esempio). È evidente allora come l’analisi semiotica aspiri a superare il limitato orizzonte di una semplice anatomia descrittiva del testo, per congurarsi come scandaglio dell’universo dei signicati. Ma anche per la semiotica il problema di collegare l’indagine ermeneutica ad una denizione scientica del giudizio resta irresoluto: la letteratura, come fatto artistico, è ancora un oggetto dal valore imponderabile. 41 Scenari critici contemporanei È possibile individuare un denominatore comune che sia in grado di sintetizzare, anche per approssimazione, gli orientamenti critici dell’epoca contemporanea (ultimi 20-30 anni)? Il tentativo di dare una risposta ad un simile quesito deve partire dalla nozione di “crisi”, ovvero del tramonto di un assetto secolare dell’interpretazione che fondava la sua legittimità sulla possibilità di ancorare la critica a sistemi generali di pensiero, concezioni estetiche, pratiche scientiche od ideologiche. Dietro la crisi della critica vi è una crisi losoco-ontologica del Novecento che nei suoi ultimi decenni ha conosciuto il denitivo crollo di alcune certezze che, nel bene e nel male, l’avevano a lungo sorretto. Il venir meno delle ideologie (non solo di quelle ispirate al marxismo), con annessa débâcle dello storicismo, ha, per esempio, fortemente indebolito gli orientamenti critici di stampo storico-sociologico (quando non ne ha decretato la scomparsa); la messa in discussione dello scientismo neo-positivista (con la sua ducia nel potere conoscitivo delle scienze esatte) ha incrinato i presupposti dell’analisi strutturalista e formale che era proliferata proprio sulla convinzione che si potesse, su base fondamentalmente linguistica, fare anche una scienza della letteratura. La crisi stessa di evidenza del soggetto ha progressivamente ridotto l’interesse per l’individuo-creatore − in altri termini, per l’autore − conferendo sempre maggiore potere ai fruitori, liberi di costruire in maniera “anarchica” e ovviamente relativistica le loro solipsistiche interpretazioni dei testi. In sede propriamente losoca, si è svolto un articolato dibattito (con protagonisti come Gadamer, Hirsch, Habermas) sulla possibilità di concepire la lettura e l’interpretazione dei testi come comprensione della “verità” oggettiva dei messaggi che veicolano, con risultati che propendono per un aperto scetticismo. Gadamer (Verità e metodo, 1960) − e con lui la cosiddetta neo-ermeneutica − per esempio, negano validità ad una interpretazione che pretenda di stabilire oggettivamente e in assoluto il signicato di un’opera letteraria. Né va dimenticato che dietro la crisi dell’interpretazione c’è anche una crisi dell’“interpretato”, ovvero del letterario stesso: i conni tradizionali della letteratura che costituiva lo strumento privilegiato della comunicazione colta (e non solo) e che svolgeva un fondamentale ruolo di trasmissione-creazione di valori si sono progressivamente sfaldati e dissolti nella galassia mediatica. Persino la nozione di testualità va cambiando all’insegna di una inarrestabile uttuazione (pensiamo alla “navigabilità” pluridirezionale degli ipertesti) che ne compromette l’identità sica a vantaggio di una sempre maggiore “virtualità”. Scetticismo, relativismo, mancanza di certezze e uttuazione dei signicati rinviano a quella che è stata denita categoria del “post-moderno”: nell’impossibilità di determinare il presente in termini aermativi, l’unica soluzione praticabile viene vista nel considerarsi “postumi” di qualcosa (nella fattispecie, la modernità). Padre del “post-moderno” viene generalmente considerato il losofo francese Jean François Lyotard (1925-1998) il quale nel suo celebre libro, La condizione postmoderna (1979), parla, riferendosi al mondo contemporaneo, della ne delle “grandi narrazioni” − illuminismo, idealismo, marxismo − ovvero di quei 42 Non che manchi un dibattito teorico, specie sul tema delle “crisi” e del ruolo della critica nel mondo contemporaneo; basterebbe citare libri come quelli di Cesare Segre,Notizie dalla crisi (1993) eRitorno alla critica (2001), di Giulio Ferroni, Dopo la fine (1996), di Carla Benedetti, Il tradimento dei critici (2002), o di Mario Lavagetto, Eutanasia della critica (2005). Sta di fatto, però, che il quadro complessivo della nostra critica − pur nella varietà e specicità dei singoli comparti − appare sostanzialmente refrattario alla penetrazione dei dirompenti principi delle mode statunitensi. Anzi, si può dire con buona approssimazione che in Italia si registra una essenziale fedeltà ai metodi di indagine che sono andati assestandosi nella seconda metà del Novecento. L’eredità Ferramonti, Gaetano Carlo Chelli VITA Dalla critica letteraria è stato rilegato tra i veristi minori del secondo Ottocento. Primogenito dei coniugi Gaetano Carlo Pio Chelli e Runa Bernieri, nasce aMassa (Toscana) il 29 agosto 1847. Compie gli studi presso le scuole tecniche comunali. Nel 1866, appena diciannovenne, si arruola nell’esercito dimostrando n da subito un vivo interesse per l’attivismo politico, tematica che farà da sfondo ai primi componimenti. Al termine di questa esperienza, muove i primi passi verso l’ambiente letterario, stabilendosi al vertice di uno dei giornali massesi nati dopo l’Unità d’Italia: il settimanale, organo uciale per gli atti giudiziari e amministrativi, “L’Apuano” (settimanale che tratta di politica, nasce in sostegno della Destra storica). Il giornale prevede la sua direzione no al 1876. Dal 1871 Chelli riesce a elevarne la qualità portandolo a un vero e proprio giornale di informazione del territorio. Gli articoli vengono rmati con lo pseudonimo di K, per tutto il 1872 con ” Io” e a partire dal 1873 lo sostituirà con “Carlino”. Soermandosi su alcuni articoli collocabili tra la ne degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, è possibile comprendere le posizioni sociali e politiche assunte dall’autore nel periodo postunitario: l’ideale politico è di stampo laicista e in linea con il liberismo cavouriano. I resoconti che derivano dalle rubriche di costume (Massa, Corriere della città; Massa, appunti e cronaca e Corriere dei bagni), sicuramente meno impegnati politicamente dei precedenti e in linea con il gusto dei lettori, sono costruiti intorno a storie di amori segreti, tradimenti e tratti folcloristici della regione toscana. Compare per la prima volta l’immagine della maschera carnevalesca, metafora dei volti falsi che si celano dietro la società borghese e successivo denominatore comune dei disegni di vita quotidiana che animano i romanzi chelliani. Nel 1872 Chelli diventa direttore del Teatro di Massa, prende parte alle varie scelte artistiche e si occupa dell’ingaggio degli attori. L’autore, inoltre, percepisce il chiaro segno di un’esigenza di rinnovamento da parte del teatro italiano e «a tal ne esiste una sola strada percorribile, quella realistica». Gaetano Carlo Chelli apprezza il repertorio di Alexandre Dumas, in particolare il dramma La principessa Giorgio (1871) e la commedia Le Demi Monde (1855); sostiene che Dumas debba essere preso come punto di riferimento da tutti i drammaturghi del tempo per la verità dei caratteri e per l’attenzione alla psicologia dei personaggi. 45 Nel 1874 in concomitanza con il primo trasferimento a Roma, l’autore continua la sua corrispondenza per «L’Apuano» attraverso la rubrica Note Romane. L’ambiente della grande capitale fornisce continui stimoli allo scrittore ed egli si dimostra disposto ad immergervisi in tutta la sua essenza. Tale anno è segnato anche dalla caduta del Governo Minghetti e «L’Apuano» sosterrà la candidatura dell’onorevole di Destra carrarese Giuseppe Fabbricotti. Chelli entra in contatto con i rappresentanti della Destra storica romana e ciò gli permetterà di poter aggiornare al meglio i suoi lettori sulle vicissitudini politiche del momento. Dal 1871 al 1875, sul settimanale vengono pubblicati i primi lavori di narrativa tra cui: Per un fiore!, Il segreto del cuore e Rimembranze d’estate. Sono lavori acerbi dal punto di vista linguistico e tematico ma ritroviamo già tematiche come l’amore, il tradimento, la malattia della mente. Questa esperienza per “L’Apuano” inuenzerà molto Chelli perché è uno scrittore che si considera sempre giornalista: tutte le sue opere sono scritte come una pagina di cronaca (immediatezza), il lettore li troverà di estrema attualità. L’esperienza giornalistica traccia una sorta di preparazione allo stile dell'Eredità, alla costruzione dei personaggi, all’attenzione per la donna, per la borghesia, il teatro dell’opera. Nel 1882 Chelli inizia la collaborazione con Angelo Sommaruga e con riviste importanti come La domenica letteraria e Cronaca bizantina. La fortuna di Chelli è dovuta a Sommaruga, direttore di una serie di riviste che andavano molto bene nel mercato editoriale del secondo Ottocento, quindi essere nel suo entourage signicava avere la possibilità di pubblicare ed essere ben posti nel mercato editoriale. Nel 1883 infatti Chelli pubblica in volume La colpa di Bianca e L’eredità Ferramonti. Nel 1885 Angelo Sommaruga venne condannato per trua e ne seguì l’arresto: questo segnò la ne dell’avventura editoriale per Chelli. Il 22 febbraio 1904, poco dopo l’uscita del suo ultimo romanzo, L’ambiente, lo scrittore toscano sarà colto a Roma da una crisi cardiaca. Tutte le carte dell’autore, riposte in un baule dopo la sua morte, furono vittime di un’esondazione da parte del ume Tevere. ALTRI ROMANZI Gli unici due romanzi pubblicati quando Chelli è in vita sono La colpa di Bianca e L’eredità Ferramonti. Tutti i romanzi e le novelle sono stati pubblicati dopo in volume, sono stati pubblicati in appendice nei vari giornali dell'epoca e sono romanzi di cui non ci è giunta alcuna recensione. Fabia: parla dell'innamoramento tra uno stimato avvocato di provincia e una donna di teatro. Il romanzo fa riferimento al capolavoro dumasiano La Signora delle Camelie sia per trama sia per la struttura ad anello: entrambi i romanzi iniziano anticipando la morte dell’eroina; ritroviamo l’archetipo della “donna bruna”, presente in tutta la produzione chelliana (Chelli utilizza il tratto di caratterizzazione siognomica per il personaggio), e l’attenzione alla descrizione della psicologia femminile. Lo stereotipo della “donna di teatro fatale e tentatrice”, inoltre, avvicina la protagonista chelliana a Eva del romanzo verghiano. Quando introdurrà la tematica politica, pare ci sia una corrispondenza tra Chelli e il protagonista del racconto, per la partecipazione alla vita politica del momento. 46 Un’avventura di teatro: viene introdotto la caratteristica della “belva d’amore”, decantata dai veristi: la donna per il suo carattere può essere assimilata ad un animale (ci sono diverse dicotomie es. donna-leonessa che può portare l’uomo alla pazzia per il suo carattere forte e predominante). Un romanzo di donna: viene anticipata la gura dell’ipocrita politico aarista, cioè l’uomo del secondo Ottocento e soprattutto della Roma capitale (città delle speculazioni, degli aari, dell’ipocrisia). Incompatibilità: tratta di due mondi che verranno in contatto tra di loro e che non potranno essere compatibili: si riprende lontanamente il tema città-campagna dei veristi e la donna non è più quella innamorata caratterizzata da sentimenti sublimi ma è una donna prepotente e spregiudicata, capace di manipolare e veicolare il destino del suo uomo. La donna è dunque la vera protagonista dei romanzi chelliani, capace di piegare l’uomo alle sue volontà rendendolo nient’altro che un inetto. La colpa di Bianca: si incentra sulle trasformazioni d’animo che avvengono in una insegnante di provincia, Bianca, una volta instauratasi in città; sarà il doversi adeguare a questo nuovo ambiente a causare la sua “colpa”: la sua colpa infatti sarà quella di essersi adeguata ad un mondo che non è il suo; in questo romanzo fa da sfondo la tematica amorosa: Bianca si innamora di Giulio, un politico aarista, che nel momento in cui si renderà conto che l’amore sarà da ostacolo alla politica, lo metterà in secondo piano; in un mondo dominato dalla sete di guadagno e dalla volontà di aermazione sociale quale quello della Roma Umbertina, non c’è più spazio per il sentimento d’amore puro. Viene riproposta la “legge dell’ostrica” e la dicotomia città-campagna/ corruzione-purezza presente nei romanzi veristi. Chelli inoltre aveva composto un volume di racconti fantastici dal titoloVisioni e spettri che doveva essere pubblicato ma una collaborazione con l’editore Triverio non andò a buon ne per motivi economici. È dicile racchiudere Chelli in una sola corrente: scrisse componimenti tardo-romantici, scapigliati, fantastici e che si avvicinano al verismo. L’EREDITÀ FERRAMONTI L’ambiente della Roma Umbertina (del secondo Ottocento) è anche lo sfondo del romanzo L’eredità Ferramonti, che narra della lotta all’ultimo sangue per l’acquisto dell’eredità del fornaio Gregorio Ferramonti. In questo contesto irromperà la gura della corruttrice e ingannatrice Irene Carelli, disposta a tutto pur di acquisire una ricchezza che le permetta di vivere in maniera agiata. La aancheranno altri personaggi di grande spessore psicologico che si muoveranno tra intrighi e ipocrisie, nella continua lotta per la supremazia economica e sociale. Il romanzo dai caratteri estremamente attuali, sembra anticipare la Roma di oggi e gli uomini politici che la governano. Secondo Chelli l’uomo borghese che vive nella Roma umbertina è inuenzato dalla trasformazione sociale e ciò che vede l’uomo borghese come uomo corrotto e opportunista non è altro che la risposta all’ambiente in cui viveva. 47 Non mancano grandi qualità: buon cuore, grande aetto per il fratello maggiore (da cui sarà tradito), sembra ancora avere la capacità di provare sentimenti autentici in un mondo dominato dalla menzogna, dall’inganno e dall’ipocrisia dei nuovi arricchiti. Irene Carelli: Con la sua dissimulata scaltrezza, mascherata da angelo, Irene riesce in breve a creare le premesse per il proprio riscatto in società. La sua freddezza contrasta con l’aascinante bellezza. Chelli condensa il modello delle «eroine romantiche e decadenti, dalla bellezza medusea e dal comportamento inquietante». Una volta svelata la natura della donna, lo scrittore toscano non perde occasione per evidenziarne i tratti animaleschi, primitivi e feroci. Irene incarna la contraddizione del mondo borghese, «a metà strada tra dignitosa apparenza e squallida realtà, tra lato demoniaco e parvenza angelica». Non si ferma davanti a nulla. Paolo Furlin: a proprio agio con il mutamento e la viltà dei tempi, rappresenta il meschino impiegato e il corrotto politico. Nel personaggio sono racchiuse le caratteristiche dell’aarista borghese e della sua ascesa avvenuta dopo l’Unità d’Italia. I criteri del Risorgimento si infrangono; salgono al potere coloro che già precedentemente detenevano il potere. I ricchi possidenti terrieri, gli esponenti della vecchia aristocrazia, diventano i membri del Parlamento. La vittoria nale di Paolo Furlin sarà conquistata con amoralità e scaltrezza. La sducia nel progresso decantata da Chelli, dunque, è la conseguenza di questa catena malsana che ha il suo marcio nella fase iniziale e lo cede agli anelli successivi. Tuttavia Roberto Bigazzi aerma che «c’è un porsi a metà tra la posizione zoliana e quella verghiana: si perde l’ideologia, la volontà attiva, non si sospende però del tutto il giudizio: il risultato è una posizione di protesta morale che non ha la forte incidenza del pessimismo verghiano né la ducia zoliana». RECENSIONI Luigi Lodi denisce il romanzo «forte e originale», apprezzandone il ritratto realistico della borghesia romana. Egli sottolinea come la tematica amorosa sia solo un pretesto per introdurre tematiche di più ampia portata. (1883) Benedetto Croce, ne apprezzerà l’ambientazione nella grande Capitale e lo ribattezza in «Ghelli» (1940). Ma il merito vero e proprio della riscoperta di Chelli e della sua successiva diusione si deve al critico Roberto Bigazzi, che dedica al romanzo sommarughiano un saggio dal titolo Un verista dimenticato (1964). Anche quest’ultimo ne apprezza l’ambientazione tra i vicoli della Capitale e l’uso sapiente del discorso indiretto libero, in cui il giudizio dell’autore si inserisce solo sporadicamente e in maniera ragionata. Il critico deciderà di proporlo a Italo Calvino; quest’ultimo constatandone la grandiosità lo pubblicherà sulla collana «Centopagine». La prima riedizione si avrà nel 1972 a cura della casa editrice Einaudi. Seguirà nel 1976, la produzione cinematograca di grande successo a cura di Mauro Bolognini. 50 Eppure, non tutti i critici del tempo concordarono sulla validità del romanzo; si ricorda l’epica stroncatura di Carlo Laurenzi che lo considera un «prodotto degno di essere dimenticato» o i giudizi non particolarmente positivi di Paolo Milano, LorenzoMondo e Luigi Baldacci. Di opinione diversa fu Pier Paolo Pasolini che lo denì «dopo Verga e prima di Svevo, il più grande narratore italiano dell’Ottocento […]», apprezzandone l’ecacia delle scelte stilistiche che non lo rendono un semplice imitatore di Verga. (1973) Nonostante il decisivo apprezzamento del grande autore romano, la letteratura successiva tenderà a relegare Gaetano Carlo Chelli nella schiera dei veristi minori del secondo Ottocento. È solo nel 2004, in occasione del centenario della morte dello scrittore toscano, che si sono rianimati gli studi grazie alle giornate di Convegno organizzate dall’Accademia dei Rinnovati di Massa. La letteratura erotica in Sicilia La Sicilia è una terra che è stata caratterizzata sempre dalla scrittura erotica, dai secoli antichi no ai giorni d’oggi. I siciliani sono stati sicuramente annichiliti dalla cultura araba sotto questo punto di vista e agli arabi si deve l’aspetto repressivo di una passionalità endogena (islam). Gli eccessi erotici che caratterizzano la Sicilia vanno però geolocalizzati: la parte etnea (orientale), in cui il magma vulcanico accendo l’animo e la scrittura degli autori, è diversa dalla parte occidentale che risente in maniera meno forte della sensualità magmatica. Il modo di concepire l’eros è diverso: nell’area catanese i contesti letterari parlano di tradimenti lavati col sangue, del senso dell’onore che se viene leso viene recuperato dall’uccisione del traditore, mentre nell’area agrigentina tutto si risolve con una sorta di sottile ironia (la narrazione risolve tutto in una maniera più conciliante). Gli eccessi sanguinari dovuti al senso dell’onore di matrice siciliana e propriamente di tradizione catanese testimoniati nella letteratura verista pongono l’accento su una dimensione del tragico presente in maniera ossessiva nella produzione narrativa riferita alla fascia orientale dell’isola. Sarebbe quindi una predisposizione genetica a determinare l’indole passionale dei siciliani, ritratti con realismo mimetico dagli autori appartenuti a questo tipo di stirpe (orientale). Un esempio su tutti di questa gelosia ossessiva lavata col sangue è la novella Comparatico di Luigi Capuana. Altri esempi sono: - la novella Malia: Jana, una fanciulla promessa in sposa a Cola, si innamora del fratello di lui, cede a questo amore incestuoso e quando il danzato si accorge della realtà dei fatti uccide i due amanti; “Malia” signica incantesimo, sortilegio d’amore, e il titolo rimanda al fatto che Jana dichiara di non essere la responsabile dell’amore incestuoso che sente, ma di essere stata fatta vittima di un malecio da parte di una paesana gelosa. In un altro contesto non ci sarebbe stato l’omicidio nale ma Capuana, nato a Mineo, sotto le pendici dell’Etna, è abituato a queste storie; - il romanzo Il marchese di Roccaverdina: la gelosia di un latifondista lo porta ad uccidere il marito della sua amante. 51 A condire di pathos le vicende narrative di area etnea concorrono maleci, sortilegi, nonché la continua violazione del sacro legame di comparatico. In generale il compare è colui che tiene a battesimo un bambino: se idealmente venissero a mancare i genitori il compare ne deve fare le veci, mentre dal punto di vista religioso ha il compito di occuparsi dell’educazione cristiana del bambino. Si è compare (uomo) o comare (donna) anche facendo da testimone al matrimonio; un altro modo è quello di scegliersi per il comparatico il giorno del 24 giugno, festa di San Giovanni Battista. Il rapporto è indissolubile e sacro perché ci si sceglie sotto l’auspicio del santo. La decapitazione di San Giovanni ha un senso all’interno della letteratura siciliana: se il legame di comparatico viene interrotto per motivi erotici San Giovanni uccide coloro che vengono meno a questa sacralità del rapporto. Molto spesso nei paesini succedeva che il compare si intrattenesse all’interno del contesto famigliare; spesso i mariti erano fuori a lavorare e le mogli restavano da sole a casa a governare i bambini, allora il compare in quanto tale poteva recarsi a casa della comare: questo tipo di dimestichezza domestica era continuativa e portava a una sorta di eccessiva familiarità, con conseguenze prevedibili. Quando però la violazione del sacro legame di comparatico è narrata dagli autori siciliani di area etnea il tradimento viene lavato con il sangue: San Giovanni punisce con la decapitazione chi ha macchiato questo legame. Mentre il senso dell’onore, la percezione della gelosia, cambiano completamente i connotati alleggerendosi e caricandosi di ironia quando, pur rimanendo in Sicilia, si passa a considerare le produzione letteraria dell’area agrigentina che diede i natali a Emanuele Navarro della Miraglia, autore de La nana (che si contende con laGiacinta di Capuana il titolo di primo romanzo verista), e a Luigi Pirandello (maestro del sentimento del contrario). Vi sono quindi delle variabili nell’ambito della narrativa verista in relazione alla rappresentazione degli eccessi erotici a seconda della localizzazioni. Si percepisce la dierente sensibilità delle penne catanesi da quelle agrigentine e quindi ogni zona si esprime a suo modo. La zona orientale darà vita a quel sentimento del contrario che è alla base delle trovate Pirandelliane. Anche questi contesti narrativi sono densi di pathos ma esso scaturisce da una modalità diversa di gestire i fatti e la risoluzione di questi. Per quanto riguarda Verga citiamo come contesti patetici e tragici in cui ci sono situazioni al limite dell’eccesso erotico: - Tentazione: novella inserita da Verga in Drammi intimi, non è ambientata in Sicilia ma aMilano. Si parla di uno stupro di gruppo nei confronti di una ragazza che si trova la notte a passare da sola per strada e diventa la “tentazione” di tre ragazzi che non resistono all’istinto sessuale; notando la ragazza iniziano a schernirla e farle dei complimenti; lei cerca di sfuggire ma è anche compiaciuta da alcuni complimenti per un breve tempo di esitazione che la rende vittima degli appetiti di questi giovani; quando si rendono conto delle conseguenze i ragazzi la uccidono e la gettano in un fosso in un tentativo maldestro di occultamento di cadavere; 52 romantico, è evidente il romanticismo anche nella rappresentazione di matrice etnologica che l’autore utilizza, soprattutto nel personaggio della madre di Rosaria. TRAMA Rosaria Passalacqua (la “nana”), una contadina bella quanto povera, si trova spesso in contesti comuni con Pietro Gigelli, giovane galantuomo che non brillava di doti intellettive e che quindi viene inviato dalla famiglia in viaggio per l’Italia per 6 mesi. Quando ritorna è quello di prima, più viziato e con qualche esperienza in più. Lui e Rosaria sono vicini, lei abita al piano terra (anche dal punto di vista dei luoghi è evidente la posizione sociale) e lui in alto: questa prospettiva però non interferisce con l’innamoramento, inevitabile da parte di Rosaria, a cui segue una serie di contatti sempre più lesivi per Rosaria. Fino a quando una notte i due si incontrano a casa di lei, non si sa cosa facciano ma l’incontro notturno basta anché la ragazza risulti disonorata. La madre gli scopre e spera che questa situazione avrebbe portato i due al matrimonio, invece iniziano per Rosaria una serie di sventure. Quando Rosaria arriva all’estremo di rimanere incinta crede di ottenere nalmente il matrimonio con don Pietro, ma in realtà quest’ultimo si innamora inaspettatamente della danzata uciale, Grazia, che prima di allora non aveva mai considerato né nell’aspetto né nella bellezza. Quando la situazione richiede una presa di posizione da parte di Don Pietro e lui dovrebbe attingere a una dose di coraggio di cui la natura non l’ha dotato, lui si innamora di Grazia: l’amore arriva a salvarlo, è una sorta di giusticazione all’abbandono, perché è più facile giusticare se stessi per essersi innamorati della brutta e ricca sposa dategli in sorte dalla famiglia, che non prendersi la responsabilità di mettersi contro la società di allora (è un alibi psicologico che lui si dà per giusticare a se stesso l’abbandono). La sionomia dei personaggi corrisponde sempre a delle caratteristiche morali. Ci sono caratterizzazioni per quanto riguarda l’ambiente, per cui è una sorta di bibbia antropologica dell’area agrigentina rurale del secondo Ottocento: l’aspetto etnologico è preponderante. Vi è una descrizione minuziosa e dettagliata del contesto paesano, degli usi e costumi, dell’orizzonte mentale, che richiama la tecnica narrativa adottata da Verga. Non si tratta ancora della lente cronachistica e scientica dell’autore verghista, infatti l’analisi scientica sta soltanto nell’analisi degli usi e dei costumi, non tanto dell’emotività dei personaggi. C’è molto di quel piglio della cosiddetta narrativa domestico-rusticale, di Caterina Percoto, Ippolito Nievo, Cesare Correnti, che prima ancora dell’atteggiamento verista di indagine sui popoli, narravano le vicende dei poveri che abitavano nelle campagne con un piglio paternalistico, da parte dell’autore-narratore che si identica con una classe sociale più alta e si pone il problema mentale della vita di queste povere persone senza speranze. Questo genere andava per la maggiore all’interno dei salotti altoborghesi e nobili, dove stimolava le nobildonne a dare soldi alle associazioni per i poveri e agli orfanotro. Navarro è romantico perché pone il focus su tre storie in particolare: la storia d’amore di Rosaria e di Pietro, di Pietro e di Grazia poi e inne la storia riparatrice tra Rosolino Cacioppo e Rosaria. Rosaria accetta di sposare Rosolino, pur essendo ancora innamorata di Don Pietro, perché spera di sistemarsi nel migliore dei modi (lei era bella e povera, lui brutto ma benestante: la bellezza di Rosaria era la carta per avere la ricchezza di Rosolino). 55 La Snge, Luigi Capuana Luigi Capuana fu l'autore teorico del verismo che tuttavia a un certo punto, seguendo un’ottica critica, ne favorì il superamento. Capuana nasce aMineo, nel catanese, il 29 maggio 1839, da una famiglia patriarcale di agricoltori possidenti terrieri benestanti (viveva di ciò che proveniva dallo sfruttamento dei latifondi). La famiglia poteva quindi permettere al glio di studiare ma il livello culturale dei collegi legati a conventi locali era approssimativo. Spesso gli intellettuali instauravano contatti epistolari con personaggi colti: è famoso il carteggio tra Capuana e Lionardo Vigo, un erudito locale di Acireale, da cui Capuana cerca di ricevere insegnamenti soprattutto per quanto riguarda la conoscenza delle tradizioni popolari e gli studi di ambito etnologico, antropologico e linguistico. Capuana riceve la prima istruzione da uno zio, un sacerdote che gli fece vedere anche come funzionavano le sacre rappresentazioni (primo apporto con la drammaturgia). Va poi in collegio a Bronte (1851-1855) dove inizia a strutturare meglio la sua formazione, entrando in contatto con i classici. Avrà anche modo di leggere le opere del Guerrazzi che susciteranno in lui l’entusiasmo patriottico. Quando inizia a frequentare la facoltà di Giurisprudenza a Catania conosce Emanuele Navarro della Miraglia e GiuseppeMacherione (colleghi di corso e di entusiasmi patriottici). Si avvicina al dramma storico: dramma in cui il soggetto prediletto dall’autore deve essere di memoria storica; esso verrà sostituito dal dramma borghese che mette in scena personaggi della quotidianità, ma che non arriverà in Sicilia. Mentre il dramma storico era molto complesso, costituito da 5 atti, il dramma borghese era costituito invece da tre atti che verranno poi ridotti all’atto unico (gusto per la misura breve e l’ambientazione borghese). Parteciperà con Vigo alla Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, una raccolta di antichi stornelli, canti, lastrocche tipiche della tradizione Siciliana e che Vigo con l’atteggiamento pre-positivista va rintracciando dalla viva voce dei paesani e che vanno a costituire la memoria storica e popolare della sua terra. A un certo punto Capuana si rende conto che il dramma storico non gli porta fortuna e capisce di doversi svecchiare culturalmente, così decide di trasferirsi a Firenze: la sua famiglia fortemente legata al territorio non accetta l’idea e quindi Capuana è costretto a scappare con l’aiuto del Vigo. Inizia a collaborare con la Nazione, il più importante quotidiano dell’Italia unita, e conosce letterati di altissimo livello come Tommaseo, Pietro Fanfani, Giudici; grazie agli stimoli provenienti dall’ambiente francese che vengono recepiti in Toscana legge Diderot e Hippolyte Taine. Tra gli autori che più ama c’è Honoré de Balzac. Studia la losoa dello spirito di Hegel, poi De Sanctis e Angelo Camillo DeMeis. Torna a Mineo per aiutare la famiglia perché il latifondo inizia a vacillare e i proprietari terrieri siciliani sorono il depotenziamento dei porti per l’esportazione del grano che viene subita per favorire i porti del nord. Per 7 anni sarà sindaco del paese. Pubblicherà nel 1877 la raccolta di novelle Profili di donne presso l’editore Brigola. Ogni novella racconta la storia di una donna con un’identità ben precisa che sore per amore: vengono rappresentati secondo la tecnica del naturalismo i tratti sici e psicologici. 56 Le donne raccontate nella raccolta vanno di pari passo con l’ideazione del personaggio di Fulvia (protagonista de La Sfinge). Capuana fu critico teatrale e scrisse il Teatro Italiano Contemporaneo, edito a Palermo da Pedone Lauriel nel 1872. La vita privata di Capuana inuisce sulla sua parte creativa: nel microcosmo siciliano così come in tutti i paesini centromeridionali era impensabile che una donna di umili origini potesse sposare una persona di un’estrazione sociale superiore. Capuana si innamora di una giovane donna al servizio presso la sua casa, Beppa Sansone, e i due vivono un danzamento segreto. Ella rimarrà incinta diverse volte ma secondo la tradizione del tempo i gli avuti da relazioni non regolari venivano mandati in orfanotroo. Questa storia è rispecchiata ne Il marchese di Roccaverdina (1901): un marchese si innamora di un serva ma non potendola sposare la “sistema” con un uomo adatto alla sua condizione, quindi un contadino, per evitare che venisse disonorata e darle una dignità. Quando però il marchese fa sposare l’amante con il contadino impazzisce di gelosia nei confronti di quest’ultimo tanto da nire per ucciderlo. È un romanzo che risente della lezione del naturalismo per quanto riguarda le descrizioni e le estrinsecazioni siche della gelosia. Capuana collabora al Corriere della Sera quando si trasferisce a Milano e frequenta gli artisti del Cova: Luigi Gualdo, i Dossi, Verga. Presso Brigola esce nel 1879 Giacinta, che susciterà un grandissimo scandalo perché è la storia dello stupro subito da una bambina e gli eetti siologici che questo trauma infantile la donna si porterà per tutta la vita e che le impedirà di avere una relazione sentimentale sana. La Sfinge rientra tra i romanzi meno fortunati di Capuana, insieme a Rassegnazione e Profumo, che non raggiunsero mai il successo diGiacinta e de Il marchese di Roccaverdina. Capuana ha scritto moltissimo per il teatro: all’inizio della sua carriera ha scritto drammi storici e poi ha iniziato a lavorare sul teatro moderno e borghese, sintetizzando sempre più il suo linguaggio no ad arrivare all’atto unico, misura teatrale sintetica che vuole mimare quello che potrebbe avvenire nella realtà in quello stesso spazio temporale in cui gli attori (pochi) stanno a teatro (la durata dell’atto scenico è perfettamente mimetica di quanto potrebbe durare quell’azione nella realtà, non ci sono analessi o prolessi); si tratta spesso di un dialogo di matrice intimista. Primo atto unico di Capuana è Il piccolo archivio: messa in scena del dialogo tra due amanti dell’alta borghesia, che si incontrano di nascosto nel salotto di lui, in un’atmosfera tipicamente bizantina (fatta di lussi, mollezze, ripetitività, vizi); si tratta di un dialogo epidermico, superciale, che non attinge ai sentimenti più profondi. Lei gli dice che è costretta a partire con il marito che cambia lavoro, e vuole restituire all’amante le lettere che i due si erano scambiati (il “Piccolo archivio”); non c’è commozione, ma solo questo scambio di battute in cui ci si incontra piacevolmente ma in maniera annoiata, in cui ci si dice addio con la restituzione delle lettere. Rassegnazione è l’ultimo romanzo di Capuana, perché insieme al Marchese di Roccaverdina è il romanzo che gli è costato più anni. La Sfinge invece viene scritta in pochi mesi “con il coltello dello stampatore alla 57
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