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Appunti Storia delle teoriche del cinema, Appunti di Teoria Del Cinema

Appunti integrali e molto dettagliati del corso tenuto da Goss e Pierini sulle teoriche del cinema

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 05/09/2021

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sine-die 🇮🇹

3.5

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Scarica Appunti Storia delle teoriche del cinema e più Appunti in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! STORIA DELLE TEORICHE DEL CINEMA Temi in ordine cronologico anche se non in modo rigido, ci confronteremo con lo shock del cinema, cosa ha significato l'arrivo del cinema nella vita delle persone, qualcosa a noi estraneo. Il cinema anriva attraverso una tensione verso la riproduzione del reale, iniziando dalla fotografia e aggiungendo poi il movimento. George Demeny 1892 “quanti sarebbero felici se oggi potessero rivedere i tratti di una persona scomparsa. Il futuro sostituirà la fotografia immobile, irrigidita, con il ritratto animato al quale si potrà, con un giro di manovella, restituire la vita. |-Tensione che percorre il mondo della cultura, di riproduzione del reale e quindi qualcosa che ha a che vedere con il rianimare, restituire, ritrovare la vita, Bazen parla di complesso della mummia, c'è molta affinità tra quello che dice Demeny e quello che dirà Bazen-.| Sarà possibile conservare l'espressione di una fisionomia come si conserva la voce in un fonografo. Per completare l'illusione, si potrà addirittura combinare quest'ultimo con il fonoscopio. Ormai non ci si limiterà più ad analizzare, si farà rivivere. La possibilità di registrare la voce era già possibile all'epoca e Demeny immagina che ad un certo punto queste due cose potranno andare insieme e questo sarà un modo per fare rivivere i morti, rapporto cinema e moite molto forte. Demeny intravede ciò che diventerà il cinema, siamo nel 1892; L'arrivo del treno dei Lumiere 1896— shock, meraviglia e delusione, l'invenzione del cinema aveva due limiti, che mette molto bene in luce Gor'kij, romanziere russo devoto alle poetiche del realismo. Maksim Gor'kij, uscito da una proiezione del Lumiere si dice molto deluso ‘“utt0, la terra, il cielo, gli alberi, gli esseri umani, appare di un grigio uniforme, i raggi grigi del sole brillano in un cielo grigio, gli occhi sono grigi, grige sono anche le foglie degli alberi. Tutto vi accade in uno strano silenzio. Non si sentono le ruote delle automobili, né il rumore dei passi, né le conversazioni. Nulla. Ogni cosa si muove e sembra viva, ma poi, quando raggiunge i bordi dell'immagine, sparisce chissà dove.” Testo interessante perché contiene la sorpresa, lui vede qualcosa che non ha mai visto e di cui non conosce le regole, anche se nemmeno i Lumiere le conoscono, assenza di colore, di voce, il fuoricampo: la sorpresa, la meraviglia e la delusione, lui inizia il pezzo dicendo -oggi ho fatto un viaggio nel regno delle ombre- il cinema appare così, qualcosa che non è reale, non è vivo, non è quella riproduzione della vita per cui lui aveva speranza, scrive “un treno occupa lo schermo, si scaglia contro di noi. Attenzione, sembra che voglia precipitarsi nell'oscurità in cui ramo, trasformandoci in un ignobile poltiglia di carni lacerate ed ossa frantumate, riducendo in povere questa sala e questo edificio pieno di vino e di donne e di vizio. Niente paura, è solo una processione di ombre. La locomotiva è sparita in silenzio oltre le ombre dello schermo. -come se le cose scomparissero oltre i limiti dello schermo- I) treno si è fermato, dei grigi passeggeri ne fuoriescono in silenzio, in silenzio salutano gli amici, ridono, camminano, corrono, si agitano e poi se ne vanno. L'impressione che il treno fece è un'impressione grande, allo sesso tempo l'impressione del contrasto tra un luogo pieno di vino, donne e vizio e questo mondo delle ombre è un qualcosa che non regge ancora, è deludente per lui. Il testo contiene un'indicazione interessante, il cinema nasce come invenzione tecnica, esperimento, poi diventa una forma di intrattenimento popolare: Gor'kij ci dice che ha visto questa cosa in un luogo di musica, vino, non un raffinato teatro con le poltrone di velluto, non esistevano ancora i cinema. Questa immagine, oltre al fatto di raccontare il film, ci restituisce la platea, ci fa vedere questo pubblico anche un po' distratto, non nelle condizioni a cui noi siamo abituati, sala buia, silenzio ecc. Fuizione del cinema primitiva, quando ancora i cinema non c'erano — di fronte a tutta quella aspettativa che si poteva avere prima del 1895, Gor'kij esprime la sorpresa e anche la paura -cami lacerate e ossa frantumate- poi la paura è inconsistente perché è soltanto un'ombra. Importante anche il discorso del silenzio, dell'assenza delle voci, suoni del mondo, il cinema riproduce il mondo senza la componente sonora, fondamentale. Recensioni alla proiezione Lumiere del 1895: * “E'la vita stessa, il movimento colto sul vivo”; * “Qualunque sia la scena ripresa e per grande che sia il numero dei personaggi sorpresi negli atti della loro vita, voi li rivedrete in grandezza naturale, coni colori, la prospettiva, i cieli lontani, le case, le strade, con tutta l'illusione della vita reale” Recensioni molto riverse, entusiastiche, nonostante sia molto diversa da quella di Gor'kij. Queste persone si trovano di fronte a qualcosa che devono cercare di capire, definire, sono solo riflessioni che hanno ‘una pulsione teorica, cercano di rispondere a delle domande, sono reazioni, non sono ancora delle teorie. Gli scrittori raccontano delle loro visioni, Yoma Poliner nel 1907 racconta lo shock di un uomo che vede la sua donna riprodotta sullo schermo, il fatto di vedere qualcuno che è esistito, shock, sono molti i racconti in cui gli scrittori si fanno narratori di un'esperienza che è sempre un'esperienza scioccante. Contrasto del cinema conle altre asti è uno dei temi fondanti della prima teoria del cinema, cosa fa il cinema di nuovo rispetto alle altre arti? Il cinema non ha quella capacità, non ha ancora scoperto la possibilità dei raccontare come fanno i romanzi e non riesce a restituire tutta la complessità della vita |come dice Gorkij non regge il confronto con la letteratura], capire se il cinema è un'aite e lo è a condizione che abbia delle sue specificità che non sono le specificità di nessuna delle altre. Ci sono delle immagini che ritornano, quella del treno che irrompe darà vita a una serie di imitazioni, ma viene ripreso in continuazione anche nel cinema contemporaneo, Ugò Cabret — a un certo punto c'è la ripresa del treno che sta per uccidere Ugò e si cerca in qualche modo di dare allo spettatore contemporaneo una vaghissima idea di quello che era stato per lo spettatore della prima proiezione dei Lumiere. Scorsese utilizza una serie di escamotage di montaggio estremamente raffinati per darci l'idea di un treno che ci arriva addosso. Treno moderno, un cortocircuito temporale che rende bene l'idea di quello che voleva essere quel film. Il film ci vuole spaventare, c'è un'altra tipologia di inquadratura, un altro montaggio, perché oggi quel treno ci viene fatto vedere in dettaglio frontale, mentre peri Lumiere era da un'angolazione che usciva? La stessa emozione viene suscitata oggi tramite dei linguaggi differenti, ma che richiamano la stessa teoria: una forma ritorna e ci può dire ancora oggi molte cose. Questa scena contiene anche l'idea di shock, da corpo attraverso le sue immagini a quella paura che in realtà il treno aveva suscitato, fa vedere quello che, ai tempi dei Lumiere, lo spettatore temeva che potesse succedere, gioco interessante per vedere come il cinema guarda al cinema del passato. I primi '30 anni di storia del cinema sono un laboratorio di teoria, il cinema stesso è in rapida evoluzione, questo genera pensiero: le evoluzioni del linguaggio, le innovazioni tecniche sono generatrici di qualche riflessione. E' molto interessante studiare le prime teorie perché sono molto vive di quell'esperienza incredibile che fu il cinema nelle sue origini — il cinema diventa un luogo di produzione testale. Quando parliamo del cinema ci riferiamo anche alla produzione dei discorsi, tutto ciò che ruota attomo al prodotto ultimo che è il film, noi parliamo del cinema grazie al fatto che si è scritto e parlato del cinema fin da subito, fin da prima che venisse inventato — libro -Le origini discorsive dell'universo cinematografico, Alberto Barbera" il cinema fin dalle origini è stato continuamente parlato, scritto, fatto oggetto di interventi discorsivi dalla società che lo ha generato, il primo dato contro cui ci si scontra nell'indagare il fenomeno è l'ampiezza di questo insieme. La diversità delle istituzioni nel cui ambito i discorsi si sono sviluppati è direttamente funzionale degli intenti e degli esiti loro destinati. Non stupisce perciò che le forme attraverso le quali si è venuta codificando una tanto intensità discorsiva siano le più svariate: interviste, recensioni, biografie, memorie, articoli scandalistici, dichiarazioni di poetica ecc; non meno dei film stessi questo vasto campo discorsivo complesso ed eterogeneo, ha contribuito alla creazione dell'universo cinematografico e della sua immagine culturale”. Come se noi dovessimo immaginarci che arriva questo treno e questo treno è generatore dei discorsi più svariati, il! chi comincia a maneggiare questi apparecchi deve capire come funzionano, lo stesso cinematografo Lumiere viene continuamente migliorato, reso più duttile e capace di fare quello che è preposto a fare. Non solo il cinema genera discorsi che si interrogano su cosa il cinema della essere, su cosa sia il cinema > spettatore che vede un film e reagisce a cosa sta vedendo e guarda caso fa vedere un treno, il treno di Edison, lo spettatore scappa. Sta raccontando quella storia che Scorsese racconta molti anni dopo: lo spettatore scambia quello che vede sullo schermo per qualcosa di reale, perché cerca di impadronirsi della donna che sta sullo schermo. Forma di autoreflessività, come il cinema abbia subito attraverso questi movimenti. Ci forma una visione diversa da quella di Gor'kij, struttura con un telo, ‘una dimensione di relazione tra spettatore e film che è già codificata, scavalca il posto dov'era seduto per andare vicino allo schermo. Ci dice di questa attrazione che lo spettatore ha verso lo schermo e della sua incapacità di lettura rispetto a quello che La lanterna magica di Meliès 1903 — il cinema guarda sé stesso, momento in cui due clown si cimentano con un apparecchio di proiezione, il cinema mostra il dispositivo e guardano una scena a cui reagiscono. Dopo questo momento in cui i clown, si rivedono, meccanismo tra sé e la riproduzione di sé, poi da questo cinematografo escono delle persone reali: un oggetto che ci fa pensare. Charlie Chaplin, il suo primo film, Kid auto race at Venice > Chaplin ha già capito la forza della macchina da presa che in quel momento sta documentando un avvenimento e fa di tutto per essere in primo piano. Chaplin ci mostra che lo spettatore diventa protagonista di un'avventura con la macchina da presa, mostra l'attrazione, la sua consapevolezza che quello è un momento di esibizione. Il film contiene l'immagine degli spettatori, ci sono delle persone reali, che vengono riprese, alcune delle qual: si mettono davanti al viso qualcosa. Questo film ci mostra non solo come lui abbia la a pinto, Nelle sue prime manifestazioni la teoria del cinema non si propone come teoria, più stanno facendo un discorso teorico cercando di capire come funziona un fenomeno: i primi interventi teorici, nonostante non ancora delle teorie, sono talvolta non pienamente organizzati, possono avere un carattere non così organizzato. A volte le riflessioni teoriche possono non esplicitarsi in quanto tali, ma in qualche scritto noi possiamo invece trovare un impianto teorico piuttosto solido. deve avere un riscontro con altre persone che si mettono in relazione, altrimenti ognuno potrebbe elaborare una propria teoria e considerarla valida. La teoria per questo è un luogo di confronto, il discorso teorico assume una rilevanza nel momento in cui entra in relazione con qualcuno che lo ascolta. Il fatto di essere all'interno di una comunità che si confronta è un aspetto molto importante perla teoria. Casetti (1993) La teoria del cinema — occupa del strategie comunicative, apparati, fenomeni di moda e di costume, ideologia e politica; 2. a apo dpr sl come i zo dini omai pr de gap Papini dice ai filosofi di guardare questo fenomeno e di cercare di capire perché sta succedendo e come sta succedendo, per capire se è un fenomeno che ha delle ricorrenze, delle caratteristiche generali, analizzandolo, al di la dei singoli film; approccio predittivo: approccio diffuso, il fatto che la teoria si pone rispetto al fenomeno che sta analizzando o che permetta di classificarla in qualche modo, è diverso dalla critica. Soprattutto cerca di indicare cosa il cinema potrà essere. Secondo Casetti le teorie del cinema si sono manifestate nel corso degli anni sotto diverse vesti |[Casetti immagina che i teorici si pongano rispetto al cinema in un cesto modo]: * ilcinemaè.. — presa d'atto di un fenomeno, i teorici hanno cercato di descrivere un fenomeno; * ilcinema dovrebbe essere.. — secondo approccio, quello più vicino ad un estetica piuttosto che a un approccio teorico, l'estetica ci da delle direttive su quali sono le caratteristiche del bello artistico. Alcune teorie hanno questo tipo di approccio, cosa dovrebbe essere il cinema per definirsi tale; * il cinema non può che essere.. — io prendo atto di questo fenomeno e dico, ceito, il cinema non può che essere la cosa che è; * il cinema appare essere.. — io guardo tutto e guardando tutto dico “questo mi sembra che possa essere definito il cinema”; * ilcinema dice di essere.. — l'atteggiamento di un teorico che prova a guardare da vicino, in modo personale, il fenomeno cercando di decodificarlo. Lezione3 Il discorso teorico si distingue [categorie che poi molte volte non sono proprio così distinte]: * daldiscorso critico — lateoria si occupa prioritariamente del cinema e non dei film, soprattutto all'inizio, alle origini, questa distinzione è difficilmente fattibile, i potrà poi parlare effettivamente di teoria del cinema nel momento in cui il discorso critico sta da un'altra parte rispetto al discorso teorico; * daldiscorso storiografico — Il discorso teorico non si occupa di una storia che è una successione di eventi, ma si occupa del cinema nella sua dimensione sincronica, qualsiasi artista di qualsiasi ambito artistico può esprimere la propria poetica. Quando si entra nell'ambito della poetica molto spesso gli antisti dicono di voler fare una cosa e ne fanno un'altra, quindi ci sono delle postiche esplicite laddove gli artisti fanno delle endono delle posizioni molto chiare, qual è la propria idea di arte, , cinema, letteratura- dopodichè ci sono anche delle poetic) dire ciò che fanno, ma . E' un piano legato a ciò che gli artisti poi effettivamente fanno, anche in questo caso il discorso di poetica è distaccato dal discorso teorico — laddove, a tendere verso la teoria sono anche dei registi, soprattutto inizialmente, distinguere il piano teorico dal pino poetico può non essere così scontato |es. Eisinstein, regista che nelle sue opere mette in pratica ciò che lui pensa dell'aite e del cinema- uno può leggere gli scritti di Eisinstein in stretta relazione con la sua opera, oppure può anche non farlo, prendere i suoi testi e analizzarli come testi teorici puri. Il discorso di poetica è un discorso che parte dall'artista, è l'artista che si pone di fronte a ciò che fa e ci dice ciò che vorrebbe fare, come intende farlo, quali sono gli strumenti e gli stili a cui si rifà; * daldiscorso estetico — discorso strettamente connesso alla poetica che offre delle linee |es. poetica di Aristotele che è poi un'estetica: Aristotele dice che l'arte deve avere certe caratteristiche per essere considerata arte, questa è un'estetica|. L'estetica ha un aspetto prescrittivo normativo, l'arte deve stare all'intemo di alcuni confini, mentre la teoria non fa questo, non dice agli artisti cosa devono fare. La teoria prende atto di ciò che c'è e lo guarda, cerca di trovare delle leggi del suo funzionamento partendo da ciò che c'è: questo in generale, poi anche qui ci sono mille accezioni: un testo come quello di Balack è un testo che molto spesso ha delle tensioni prescrittive, tende a dire -registi, se volete fare un film bello, fate così, non cosà-, tende quindi verso una dimensione di teoria estetica piuttosto che di teoria pura. La nascita e lo sviluppo della teoria del cinema: * Sembrachelateoria nasca con l'urgenza di giustificare l'esistenza del cinema- come se il cinema avesse una tara iniziale che deriva da: genesi tecnica, aspetto ludi: ‘atteniment. cazione riproduttiva, carattere popolare e non elitario — l'uwgenza teorica ha una serie di origini, la meraviglia, shock, trauma, novità, ma anche il fatto che un'arte o un ambito che vuole perseguire una finalità artistica, sente di doversi dotare di una teoria di riferimento qualcosa che tenga insieme un fenomeno. Il cinema nasce come invenzione, poi come intrattenimento in più a questo enorme problema della riproducibilità — cinema e fotografia riproducono il reale, ma in realtà, il fatto di produrre significa anche poterlo riprodure infinite volte. Dove sta l'arte nella dimensione riproduttiva? Posiziono un apparecchio e riprendo qualcosa, dove sta l'arte in questo? Lo strumento contiene in sé la sua essenza. Benjamin si chiede, |come facciamo a considerare arte qualcosa che non possiede unicità?-. Benjamin, anni '30 L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica- l'arte ha vissuto della sua unicità, della sua aura, la Gioconda è una, al Louvre, è sola — quella è l'aura, c'è un'unica Gioconda e non ce n'è nessun'altra; così come la performance di un attore è unica, è data dal momento in cui questa cosa accade, l'esecuzione di un danzatore, musicista, sono momenti unici — l'epoca della riproducibilità toglie all'arte la sua aura, nel momento in cui un quadro può essere prodotto un'infinità di volte, un film può essere prodotto un'infinità di volte, dove sta l'unicità? Questo è un problema contro cui il cinema si trova presto a fare i conti, la riproducibilità è legata allo sviluppo tecnico e quindi alla sempre maggiore industrializzazione, il cinema è figlio della modernità che è anche connesso al fenomeno dell'industrializzazione sempre più avanzata, il cinema ha una produzione industriale. Questo crea un problema in un sistema delle arti che fino a un secolo prima non si era posto il problema della perdita dell'aura. Benjamin si rende però conto che, per secoli, per vedere la Gioconda, bisognava andare davanti al quadro, bisognava fisicamente recarsi di fronte ad un oggetto per poterlo vedere. Con la fotografia invece tutti possono vedere la Gioconda, sicuramente non l'originale, la Gioconda originale resta unica, rimane l'aura, ha qualcosa di magico, irriproducibile — la riproduzione non possiede l'aura, ma rende qualcosa che prima era unico e collocato in uno spazio e luogo preciso, riproducibile. Il cinema non possiede, come la Gioconda, quell'unica copia originale che non può essere riprodotta: il cinema nasce, per sua natura, come multiplo, come qualcosa che riproduce la realtà, dov'è l'aura, l'originalità? Il lavoro dell'attore, nel teatro si da davanti al pubblico, il pubblico vive l'esperienza del teatro come un'esperienza ‘unica e l'emozione del teatro deriva dal fatto che lo spettatore sa che sta vivendo qualcosa di unico — il cinema priva l'attore del pubblico, frammenta l'agire dell'attore e lo pone di fronte a due test, quello della macchina da presa e del montaggio. Il lavoro dell'attore viene frantumato, smontato e perde completamente la sua aura, come se l'attore cinematografico fosse privo di qualcosa che è legato all'unicità della sua performance. Performance dell'attore cinematografico è privata sia dell'unicità dell'istante, ma anche privata del controllo che l'attore ha su quello che fa, c'è un occhio che inquadra e poi ci sono tutte le istanze del montaggio che prendono l'attore e lo fanno a pezzi. * Dalfattocheil cinema viene dopo tutte le altre articolate — in un sistema delle arti che si è stabilizzato ormai da tempi lontani, il cinema arriva quando sembrava che non dovesse succedere più niente, le arti erano quelle note, di origini classiche. Il cinema può ambire a stare nel sistema delle arti o è un'altra cosa? Il dibattito sull'artisticità del cinema inizia quasi subito, la battaglia culturale è per dimostrare che il cinema ha delle caratteristiche prettamente legate al mondo modemo, carattere industriale, economico, la riproducibilità: questo tipo di ritardo stimola il fatto che qualcuno cerchi di dimostrare attraverso la teoria che il cinema è ‘un'arte. * Fareunastoria delle teorie del cinema significa non solo ripercorrere le tappe attraverso le quali si è istituzionalizzato un sapere sul cinema ma significa anche definire ciò si volta in volta si è deciso che il cinema fosse (aspetto normativo) o potesse diventare (aspetto progettuale) — l'aspetto normativo è quello che va più vicino all'estetica, l'aspetto progettuale è quello che sta più vicino alla dimensione poetica. Le teorie “CLASSICHE” — normalmente si distinguono due grandi aree, teorie classiche e moderne, si intende per teoria classica tutto ciò che arriva fino alle soglie del cinema moderno, 1960 circa. Le teorie classiche sono tutte quelle che riguardano il cinema prima del '45, poi c'è uno snodo che è Bazen, teorico che ha scritto la teoria classica, anche se è un teorico predittivo perché ha una grandissima influenza nel cinema moderno, figura tra classicità e modernità. E' più forte ragionare rispetto a cosa fa lateoria classica, si pone delle domande precise: * checos'è il cinema? Domanda che si fanno tutti i teorici almeno fino a Bazin, dopo Bazin, che opera nell'immediato dopoguerra, il cinema è diventato una cosa diversa rispetto a prima: Bazin è uno spartiacque, si colloca in un momento molto significativo, l'immediato dopoguerra, tantissime cose cambiano; * cosèilfilm? Il cinema amiva e poi i teorici cominciano a chiedere cos'è, come funziona, che impatto ha sulla società, quali sono le sue specificità [la specificità è fondamentale nelle teorie classiche, perché queste devono capire e arrivare a dimostrare che il cinema è un'arte: i teorici devono trovare gli argomenti per dimostrare che il cinema è un'arte, quindi capire qual è la sua specificità che lo distingue dalle altre ati, non è un teatro serie b, letteratura di serie b, fa qualcosa che nessun altro ha mai fatto|; * Comeincideil cinema sulla società? * Comee cosarappresenta il cinema? Questa è una sintesi di tante diverse questioni che riguardano la teoria classica, proprio perché accomunata da queste questioni. Per distinguere la teoria classica dalla teoria moderna possiamo dire che la teoria moderna smette di chiedersi cos'è il cinema, ormai lo da per scontato, dal momento in cui è entrato nel sistema culturale. essenzialiste |qual è l'essenza del cinema?| partono dal presupposto che il cinema possieda caratteristiche e mezzi specifici presenti soltanto in esso e in nessun altra arte. Definire qualcosa di sconosciuto, qualcosa che prima non c'era, urgenza di definire qualcosa che non si conosce |stessa cosa che è accaduta con internet, c'è voluto qualche tempo per capire cosa volesse ire la rivoluzione di internet|, fasi di addizione e sottrazione, questo è, questo non è. Procedere per approssimazioni e comparazione, nominando provvisoriamente ciò che è nuovo con un nome vecchio, specificando poi quanto eccede o quanto manca — la comparazione è un sistema molto utile, dal momento in cui dobbiamo definire una cosa, la compariamo con un'altra: questo approccio è quello che la maggior parte delle teorie classiche utilizza. Per capire qual è la specificità del cinema, si può metterla a confronto con altre cose, le altre arti, da questo confronto può svilupparsi un ragionamento sullo specifico del cinema |cinema e letterature- narrano in due modi diversi e si capisce qual è lo specifico della letteratura rispetto al cinema e viceversa, raccontano entrambi, ma con metodi diversi. Per definire la specificità del cinema, questo viene messo in relazione con il teatro, le arti figurative, la musica e la letteratura. * Ildibattito classico, sia che individui la peculiarità del cinema nel montaggio, nel ritmo, nella fotogenia, nel primo piano o nell'assenza di suono, mira a cogliere l'essenza del cinema: la fotogenia è l'essenza del cinema, è la specificità del cinema secondo alcuni studiosi. Alcuni dicono che il primo piano sia la poesia del cinema, colgono nel primo piano cinematografico qualcosa che nessun'altra arte propone nello stesso modo; così come il silenzio, l'assenza del suono. * Strettamente connessa a questo approccio essenzialista è l'idea di specificità, dobbiamo scoprire l'essenza del cinema e quindi anche scoprire qual è lo specifico del cinema: tentativo di ricondurre il cinema a uno specifico unico e peculiare. * Spiccata tendenza normativa: mentre le teorizzazioni moderne si limitano a cercare di descrivere il funzionamento del cinema, le teorizzazioni classiche pretendono di spiegare ai cineasti come dovrebbero operare, lavorano più nella dimensione dell'estetica, mentre nelle teorie modeme non c'è * Piùche concentrarsi sulla metodologia |come analizzo il fenomeno, il punto di vista scelto per analizzare, scienze cognitive, filosofia, psicanalisi, approcci metodologici: scelgono un punto di vista attraverso cui analizzare il fenomeno — questo non accade nella teoria classica], i teorici classici alternano intuizioni personali, idee sulla nuova arte, asserzioni dal tono esclamativo, voli lirici del tutto impressionistici e soggettivi. Sono teorie molto vive perché hanno qualcosa di legato all'eccezionalità del momento che stanno vivendo, alla difficoltà di capire entro quali confini si stanno muovendo, quindi le prime teorie sono molto vaghe. * isoggetti responsabili di questi discorsi sono anche e soprattutto cineasti: carattere pratico e non puramente speculativo, del periodo classico della teoria del cinema. Passiamo al terzo blocco del testo di Canudo — questo modo di scrivere richiama l'diea di festa, lo scontro tra Dioniso e Apollo, un sentimento libero. Idea del pubblico fanciullo, abbiamo due generi fondamentali, l'emozionantissimo e il comicissimo |il patetico/dramma e il comico| — il dramma e il comico arrivano dal teatro, ci sono diverse spiegazioni, intanto i sentimenti -dolore e risata- sono due sentimenti che si esprimono quasi in tutte le culture nello stesso modo, sono gli opposti e sono anche delle espressioni che a livello fisionomico riescono a risvegliare più di ogni altra la nostra empatia. Sono quelle espressioni delle emozioni basilari, il primo strato e vengono riconosciute da tutti, tutti le esprimiamo nello stesso modo. Canudo dice il popolo fanciullo, pensiamo al fanciullo come gioia e festa di fronte a una visione cinematografica, ma utilizzando l'idea ella catarsi e il teatro ci sta suggerendo anche un certo grado di ipnotismo — l'idea che il forte impatto psicologico del cinema, di queste immagini veloci, vadano poi a modificare non solo l'emozione dello spettatore, ma anche il suo comportamento [il cinema verrà poi censurato, oltre al fatto che non dovessero essere mostrate certe immagini, l'idea che il cinema potesse fare fare delle cose pratiche]. All'inizio non si sapeva quanto avrebbe poi influito il cinema sui comportamenti quotidiani e quindi vi era l'idea che potesse convincere le persone a fare o non fare alcune cose |non fare vedere i film criminali-horror ai bambini o alle donne, a chi è più debole, potrebbero imitare|, forte strumento di propaganda: idea di un ipnosi. Il cinematografo è arte? Per Canudo la fotografia non potrà mai essere un arte e i limiti della fotografia sono i limiti contemporanei del cinema — mentre il fotografo non ha possibilità di scelta e composizione |cioè la base per l'estetica), se non per le forme che può far riprodwre |che egli stesso nemmeno riproduce, in realtà|, affidandole alla meccanica luminosa di una lente e di una composizione chimica. In realtà già solo la scelta dell'inquadratura è una scelta estetica, ciò che ritrarre nel campo e cosa no: meccanica luminosa di una lente in una composizione chimica: la composizione chimica stessa è una scelta, ce ne sono state diverse: sin dall'inizio la fotografia è stata oggetto di modificazioni, c'erano delle scelte, quindi le argomentazioni di Canudo a noi oggi un po' scricchiolano. Celebrazione di Dannunzio parlando di Cabiria, si passa alla parte economica del cinema, questa nuova forma di spettacolo fa guadagnare bene e ci saranno degli artisti che se ne accorgeranno e andranno a scrivere per il cinema, proprio come fece Dannunzio — scrivere nel cinema non era proprio una cosa di cui vantarsi all'epoca, mentre Dannunzio sbaraglia questa nuova era. Prosegue poi dicendo come mai trionferà il cinematografo, perché sarà in grado di superare la commedia e il dramma teatrale, sarà quel nuovo teatro in cui mancherà la possibile imprecisione. Arriverà poi anche il sonoro, quindi il cinema sarà completo per quello, sarà vero e non vero — diatriba tra realismo e immaginario, è sempre molto interessante vedere come entrambi gli schieramenti sono fermamente ancorati nel loro posto: è vero che noi vogliamo essere veristi, veri, ma rispetto a un cinema neorealista [Ladri di biciclette| sono diversi. Nel realismo qualsiasi eventi insignificante è degno di essere preso e raccontato, quindi se mettiamo insieme la poetica di quello che sarà veramente il cinema realista e l'affermazione su cosa deve essere il verismo/realismo per Canudo, già abbiamo una contrapposizione. Canudo dice che sarebbe bello vivere in un film proprio perché non ci sono i tempi mosti, mentre il tempo morto è pate della nostra vita quotidiana, lo spostamento è un tempo morto, così come aspettare, mentre invece lui dice che nei film tutto va veloce — c'è un realismo che va nell'immaginazione di una vita in cui ci si riconosce -i sentimenti sono umani, l'ambientazione è realista- ma c'è uno svolgimento plastico e di movimento che è impossibile nella nostra vita. Dall'altra parte invece c'è il film infinito, il film perfetto, l'opera d'arte: la macchina da presa in una piazza che filma i flussi , che filma la quotidianità, il grande fratello, vedere di uno svolgersi normale di una vita. Grande questione del cinema realista e cinema immaginario ritorna anche oggi — c'è un'idea di un ritorno ad un neorealismo. LezioneS HUGO MUNSTERBERG — l'impostazione di Munsterberg prende spunto dalle idee platoniche e aristiteliche dell'opera d'arte, facendo attenzione alla distinzione: da un lato, per Platone l'idea dell'immedesimazione dentro un personaggio con tutte le conseguenze non era un bene, perché non era educativo per il cittadino vedere drammi, criminali, assassini immedesimarsi in questi personaggi era qualcosa di diseducativo|; dall'altra parte, invece, per Aristotele è una cosa molto buona, scarica tutti gli impulsi negativi. L'importanza dell'attore viene anche realizzata da Munsterberg nel momento in cui l'attore riesce ad essere fortemente realistico — l'attore, che nonostante l'impedimento del cinema che non aveva il sonoro all'epoca, diventa molto importante per riuscire a catturare lo spettatore |grazie alla sua espressività e all'utilizzo dei primi piani] e fargli sentire ‘un'opera come se fosse realistica: superando grazie alla recitazione tutto l'impedimento di un approccio non realistico all'opera d'arte. Per Munsterberg, l'opera d'arte più valida è l'opera d'aite realistica e nonostante il realismo fotografico del cinema, il problema del sonoro veniva avvertito in maniera estremamente forte come allontanamento dal reale. Per Munsterberg vi è l'importanza dello scenario — il cinema secondo lui, la ripresa fotografica in movimento, ha la grandissima capacità di generare emozioni, quindi predisporre già il mood positivo o negativo dello spettatore alla visione e quindi ai processi di coinvolgimento. Uno studioso più contemporaneo, ha studiato quelle che lui chiama “percezione atmosferica delle emozioni” > questa idea del sentimento atmosferico sembra una banalità, quando entriamo dentro qualsiasi ambiente immediatamente proviamo una sensazione, dentro al cinema si crea una condizione molto particolare: l'ambiente non è neutrale, ma dato che la sala è buia viene completamente ricostruito dalle immagini cinematografiche, le ambientazioni — riuscire a comprendere nel 1916 il fatto che l"immagine di un paesaggio. un interno ecc., già fosse immediatamente determinante alla predisposizione dello spettatore, è un salto in avanti, soprattutto per un teorico che non si occupa primariamente del cinema. La discussione estetica ci ha insegnato che è scopo dell'arte isolare una parte significativa della nostra esperienza in modo tale che sia separata dalla nostra vita pratica e che sia in completo accordo con sé stessa > opera d'arte totale, fare della vita un'opera d'aite, l'idea del '900 che queste nuove forme d'arte cerchino di rendere arte qualcosa che non poteva essere considerata tale come una tecnica di ripresa, la macchina ecc. Si instaura un filone di riflessione che va a attingere a tutta una storia culturale in una semplice frase; vi è poi l'idea che il cinema riesca a superare la realtà: isolando una storia drammatica significativa e presentandola in modo tale che noi entriamo in essa e comunque la teniamo lontana + entriamo e stiamo fuori nello stesso tempo, altri invece vogliono un'immedesimazione totale nell'opera d'arte. Anche il fatto che il cinema sia visto come mezzo pericoloso da l'idea che lo spettatore non sia in grado, almeno inizialmente, di uscire dal cinema capendo che quella non è stata una vita vera, l'idea dell'emulazione di un prodotto già c'è, qui si pongono le basi di una teoria dello spettatore che va avanti fino al giomo d'oggi. “E' fuori di dubbio che gli eventi al cinema avvengano nello spazio reale con la sua profondità, ma lo spettatore avverte che essi non sono presentati nelle tridimensioni del mondo esterno, sono piatte immagini che solo la mente trasforma in figure plastiche” Teoria della Gestalt — costruzione della percezione: se dall'altra paste le teorie della percezione dicevano che noi capiamo e percepiamo immediatamente tramite i sensi, senza bisogno di lavorio cognitivo e mentale, l'idea di dire “no, quello che capiamo lo costruiamo noi” è qualcosa di molto avanti. In modo totalmente differente da Canudo vengono interpretati gli stessi elementi che fanno si che il cinema esista: l'idea di poter cancellare la distanza e mettere insieme tempi diversi non sono più un metodo conoscitivo, il cinema documentarista, che ci fa vedere, indagare il reale con un intento conoscitivo, qui sono le figure della mente che si materializzano nello schermo. L'idea di una matericità dell'immagine, di uno schermo cervello è molto contemporanea, soprattutto l'idea di questa possibilità di toccare con mano una sorta di incarnazione dei nostri sentimenti, che pensiamo, proviamo e solamente nell'immagine cinematografica si incarnano letteralmente e diventano uno specchio dentro il quale possiamo comprendere noi stessi e il mondo che ci circonda, gli altri. L'idea che il nostro sguardo possa intercettare quei sentimenti è molto nuovo, raggiungimento totale di questa possibilità. Un primo punto di forza del cinema rispetto al teatro, per Munsterberg è evidentemente il realismo della recitazione: cinema anni '20, oggi lo guardiamo e per noi oggi questa è quasi una pantomima per l'esagerazione — l'idea che l'attore cinematografico non debba esagerare nei movimenti va a favore del realismo del film, della possibilità per lo spettatore di empatizzare, di entrare in contatto con il sentimento del personaggio, non già grazie al fatto che viene mostrato tramite la corporeità esagerata un determinato sentimento, bensì dalle microespressioni facciali: idea che questo sentimento non debba essere recitato esageratamente, bensì basta una piccola espressione del volto ripreso in primo piano all'interno di uno scenario paiticolare che ricrea quell'atmosfera [capacità di cambio della scenografia, della messa in scena, aiuta l'attore nel suo lavoro]. Per Munsterberg è importante che l'opera d'arte sia realistica, ci deve essere qualcosa che fa in modo che lo spettatore venga mosso nella sua interiorità, ma come si deve realizzare questo realismo? E' un'antitesi — il realismo deve essere costruito interamente dallo spettatore, perché se ci fosse dato come ci viene dato nel teatro [attori sottoposti al tempo e allo spazio esattamente come gli spettatori], la stessa idea di reale andrebbe ad annullarsi, in quanto noi non ne avremmo più la giusta distanza, saremmo dentro un reale a tre dimensioni che scorrono in un certo modo e non riusciremmo a provare ciò che l'opera d'arte deve farci provare. Questo è lo scarto rispetto al teatro, l'idea di questa lontananza dallo schermo, del fatto che noi ci rendiamo conto che sono immagini, che sono bidimensionali ecc persiste, ma nello stesso tempo viene annullata dalla mente dello spettatore che ricrea la condizione del mondo reale e solo in questo processo cognitivo attivo dello spettatore si può realizzare la consapevolezza, ci può essere la realizzazione del sentimento artistico. Solo in questa distanza si può realizzare l'intento dell'opera d'arte, smuovere l'interiorità, perché se lo spettatore è immerso nello spazio tridimensionale con gli attori veri in qualche modo è proiettato all'interno di quella realtà, quindi non riesce più a mantenerne la distanza e non riesce più a provare i sentimenti che l'opera d'arte dovrebbe trasmettere. Di fronte all'immagine manteniamo una distanza, possiamo esprimere i nostri sentimenti in una maniera che nel mondo reale non potremmo fare per le convenzioni sociali: vediamo una persona piangere nella realtà, può capitare che scoppiamo a piangere anche noi, ma per le convenzioni sociali cerchiamo di frenare il nostro sentimento, cerchiamo di non lasciarci andare — al cinema invece possiamo farlo, siamo protetti da una sala buia e sappiamo che non ci saranno conseguenze per noi [la distanza permette all'uomo di costruire il realismo, la realtà]. Idea dello spettatore assorbito dentro la rappresentazione cinematografica tanto da non riuscire più a distinguere. Quando noi vediamo dei film di fantascienza, anche l'ambientazione totalmente irrealistica sembra reale, oltre alla totale distruzione dello spazio e del tempo — la distruzione della realtà in cui viviamo ci appare come la sua più fedele rappresentazione, questo perché il cinema funziona come la nostra mente e la realtà noi la percepiamo in modo diverso da quello che sembra, |magari io sono immerso in una situazione, quindi esternamente possono pensare che io stia andando a fare la spesa, quando in realtà la mia percezione del reale mette la mia passeggiata verso il supermercato totalmente in disparte, perché io sono immerso in quel momento in un ricordo di 15 anni prima: quindi, la mia realtà percepita è di me stesso 15 anni prima, mentre sto facendo un'altra cosa|. Ad un certo punto, il teatro inizia a guardare al cinema e trova degli espedienti molto interessanti + Munsterberg non è soddisfatti, ritiene che siano degli spettacoli divertenti, ma superficiali; il problema è che, la nostra mente, assistendo a uno spettacolo teatrale del genere, perde completamente quella possibilità di trovare nello spettacolo teatrale la realtà. Il funzionamento del cinema ricalca la libertà del funzionamento della nostra psiche, solo il cinema riesce a materializzare la libertà di associazione, dall'altra parte però le regole estetiche sbucano, altrimenti la mente avrebbe ‘un sovraccarico cognitivo e non riuscirebbe a dare senso a quanto viene visto. Munsterberg alla fine esalta il cinema americano classico, andando a vedere come deve essere narrata una storia: non ci deve essere una potenziale confusione, perché noi nella nostra testa in teoria siamo sempre chiari, anche quando siamo confusi, poi ci mettiamo un attimo e focalizziamo — così il cinema, non può essere confuso, deve essere chiaro e focalizzato in ogni momento, anche se è libero. La cosa più libera, come la nostra mente, in realtà sottosta a delle regole ferree; poi vi è la forte imposizione di un teorico nel 1916 contro un certo utilizzo del cinema: la completa estraneità che deve avere il cinema per la sua capacità di suscitare emozione da quello che è la vita reale delle persone |[Munsterberg dice anche che il cinema non deve essere assolutamente utilizzato per fare propaganda politica, né per fare pubblicità, perché si annienta la bellezza quando si vincola la creazione artistica agli interessi pratici: si trasforma lo spettatore in un'astante egoisticamente interessato, rimanendo fuori dall'arte). Nell'ultimo paragrafo ci sia avvicina tantissimo alle teorie di Eisinstein, intanto c'è una idea della costruzione del personaggio che deve essere portata al massimo dentro il cinema, proprio perché il cinema deve essere suggerito, il personaggio deve essere sviluppato. Ciò che unisce Munsterberg a Eisinstein è il montaggio interno — idea che ogni singolo fotogramma dovrebbe essere trattato con la stessa cura del pittore per l'unità delle forme, ci richiama immediatamente a una costruzione del singolo fotogramma in Eisinstein [in cui tutte le linee devono suscitare una certa impressione e tutte le regole base della composizione fotografica devono essere studiate fotogramma per fotogramma — dentro il fotogramma abbiamo già un montaggio, poi l'unione dei fotogrammi deve sempre causare ‘uno scontro, un conflitto, di linee, ritmo ecc.|. Munsterberg sottolinea che non possiamo girare una scena tanto per girarla, ma essendo un'opera, ogni sua singola componente deve rispondere a delle regole estetiche classiche, sia accosta alle arti del teatro e della musica. Lezione6 Fotogenia — una bellezza particolare del reale che può essere espressa solo grazie all'occhio della macchina fotografica. I due teorici che hanno lavorato molto attorno questo termine sono Delluc e Ebstein: termine molto complesso che va a indagare una qualità. EPSTEIN — esponenti dell'impressionismo francese, prime avanguardie: l'impressionismo è una tipologia di film che vanno a studiare le capacità del cinema di elaborare l'immagine, non solo modificare il fotogramma, ma anche una serie di procedimenti di montaggio che vengono utilizzati in maniera attistica. La narratività propria che si sta sviluppando nel cinema americano viene un po' accantonata per rivolgersi di più a queste qualità estetiche dell'immagine e delle potenzialità fotografiche del mezzo. Siamo nel 1921 con.il testo di Epstein e ci accorgeremo di come già sta cambiando il linguaggio, perché Epstein è uno ei primissimi esempi di cineasta che pratica il cinema e contemporaneamente ne indaga le possibilità dal punto di vista teorico; fino ad allora, chi faceva il cinema non si occupava tanto di scrivere. Epstein ha una natura di sperimentatore, si occupa del cinema a 360 gradi: la sua riflessione parte dalla temporalità del cinema, cosa significa un primo piano a come deve essere la recitazione e anche sul sonoro. Se per Delluc, il suo compagno di teoria, la fotogenia possiamo riassumerla fondamentalmente come la possibilità del cinema di filmare la realtà, che di sua natura è già fotogenica |quindi riesce il cinema per la prima volta a farla percepire all'uomo nella sua immediatezza|, per Epstein il concetto è un po' diverso, è qualcosa che investe un valore morale — la fotogenia è insita dentro l'aspetto mobile delle cose, quindi il cinema è l'unico mezzo in grado di poterla catturare in qualche modo. Il cinema è deputato a mostrare la continuità variabile delle cose, ma non solo coglie questo aspetto dalla realtà, ma addirittura la stessa realtà viene cambiata in qualche modo — per Epstein il cinema è qualcosa di soprannaturale, che Per Vertov l'occhio meccanico esattamente percepisce la realtà rispetto all'occhio umano, ma in una maniera conoscitiva, fare vedere cosa succede, la realtà. Per Epsein invece, questo occhio che percepisce meglio, più completamente più a 360 gradi la realtà, percepisce il sentimento del reale, un sentimento che scaturisce dalla realtà, ‘una fotogenia, un valore morale — per Vertov la bellezza non è un valore morale, ma è l'illusione di restituire la realtà così com'è. La fotogenia scaturisce da questo rapporto, da questa macchina da presa che di per se, quando coglie non perfettamente a fuoco, coglie comunque già di più, quella fotogenia: la messa a fuoco va corteggiata, circuita. Il cinema nomina visivamente le cose |la nominazione rende le cose reali, vere: qualcosa non è reale se non viene nominato| — per Epstein il cinema ridà vita alle cose, le fa nascere per la prima volta, così come attori che sembravano bravissimi si rivelano incapaci mentre altri che sembravano mediocri si rivelano i più bravi, quasi come se lo sguardo della macchina da presa, toccando il reale, lo renda più vero e lo investa della cosa fondamentale, l'unica cosa che importa, non tanto di una concretezza, quanto di un sentimento delle cose. Lezione7 Primo testo di Bela Balazs- L'uomo visibile — il suo vero nome è Hermann Bauer, una figura a cui la cultura cinematografica fa ogni tanto riferimento trovando nuovamente interesse nei suoi confronti a partire da 20 anni fa [questo testo è stato tradotto totalmente in Italia dal 2008|, la sua vita più attiva occupa la prima parte del '900. Figura -continente semi sommerso- per la sua vivacità intellettuale; Balazs non è solo un critico, ma è anche uno che lavora nel cinema — vede le cose da punti di vista diversi, ha una formazione filosofica, ha una forse vicinanza con l'intellettualità e la filosofia, ma lavora nel cinema. Molti i suoi testi hanno a che vedere con il cinema, il testo di cui ci occupiamo noi è il suo più antico, del 1924, che esce a Vienna in lingua tedesca, L'uomo invisibile. Seguono poi altri due libri Estetica del film del 1930 e Il film. Evoluzione di essenza di un'arte nuova del 1948. Casetti, punto di riferimento importante, nel suo libro compare il nome di Balatsz, L'occhio del '900 inizia dicendo “Stupore, riconoscenza, attesa. Sono in molti, fin dall'apparizione del cinema, a interrogarsi sul senso della sua presenza e chiedersi che cosa esso apporti al tempo che lo vede nascere e svilupparsi ecc. Una delle convinzioni che ben presto emerge è che si tratti di qualcosa che ci consente di guardare nuovamente in faccia il mondo, dopo che abitudini e pregiudizi avevano offuscato i nostri occhi; anzi, qualcosa che ci insegna a guardare il mondo non solo di nuovo, ma anche in una maniera nuova, come prima non lo avevamo mai visto. Il cinema riscatta uno dei nostri sensi e ce lo restituisce potenziato” — l'osservazione di Casetti è rivolta al pensiero di Balatsz, la questione del fatto che il cinema presenti un nuovo modo di guardare il mondo, ma più che altro un'opportunità per ritrovare la possibilità di guardarlo in modo nuovo, questo è uno dei concetti chiave del pensiero di Ballatsz. L'idea che sia un'opportunità offerta a uno dei nostri sensi, alla vista, che è potenziata, perché l'occhio della macchina da presa vede qualcosa di più di quello che vede l'occhio umano. Potremmo dire che sia un'esperienza che ci mette a contatto attraverso la vista, ma ci permette anche di esperire altre emozioni sollecitando anche altri sensi. Introduzione di Leonardo Quaresima, alcuni passaggi in termini di avvertenza: * Quaresima dice che “i/ testo non ha carattere sistematico, la trattazione segue un percorso assai libero e non mancano aspetti irrisolti, quando non contraddittorîi® — non solo contraddizioni, ma anche la non sistematicità: il testo è strutturato per capitoli e non sempre questi capitoli hanno una linea progressiva di ragionamento, sono dei blocchi, è una sorta di avvertenza; * “l'uomo visibile è il risultato avanzato e originale di una prassi critica che tende sempre a generalizzare, ad astrarre dal caso specifico e individuare tendenze, fenomeni di portata più ampia” — dalla critica alla teoria, dai film al cinema, la teoria si occupa del cinema e la critica si occupa dei film: Ballatsz fa proprio questo passaggio, le sue riflessioni teoriche nascono in seno alla sua attività di critico. Essendo un critico lui è anche ‘uno spettatore, quindi che va al cinema, quindi, la sua esperienza concreta lo porta gradualmente a fare teoria, Quaresima infatti aggiunge che * “ilvincolo qualitativo |che è quello della critica, la critica deve dare una valutazione a quello che sta vedendo] è costantemente spunto per trasferire la trattazione su un piano superiore, anche un esempio del secondo piano, un film minore può diventare innesco per una considerazione che ha a che fare con il cinema al di la del singolo caso” — passaggio dalla prassi critica alla elaborazione teorica; * “l'uomo visibile ruota attorno a una, inaugurale, opposizione tra la cultura della parola, concettualizzata, astratta; e una cultura del gesto, della mimica, dell'espressione corporea. Lo sfondo cui Balasz attinge è radicato nella cultura di inizio Novecento” — la cosa importante per Balasz è la novità che il cinema rappresenta nell'ambito della storia della cultura dell'umanità. Lui è uno dei primi teorici a cogliere questo carattere, non è solo concentrato su un discorso di tipo essenzialistico -qual è l'essenza del cinema- infondo, ciò che gli interessa più di tutto, è capire qual è la vera novità di quest'arte, cosa significa il passaggio di paradigma che rappresenta il cinema. Vedere il cinema in contrapposizione alla cultura della parola, dei concetti, dei libri, il cinema è una riscoperta della cultura del gesto, del corpo, della mimica, che è un linguaggio universale: siamo in pieno cinema muto, quindi l'assenza di parola implica per lui una grande ricchezza. sviluppa e intensifica quell'aspetto di universalità che solo il linguaggio gestuale può avere. L'uomo visibile e la cultura visuale — termine con cui oggi si indicano tutti gli ambiti che hanno a che vedere coni media, quindi possono unire cinema, rete, arte contemporanea, ecc. L'accezione attuale è molto debitrice alle formulazioni di Balazs: con la nascita del cinema lui non ha individuato solo la nascita di una nuova arte, ma di una nuova cultura, dove vige il primato dell'immagine sulla parola. Libro di Pinotti e Somaini dedicato alla cultura visuale, all'inizio ci danno l'idea di come, anche gli studiosi più importanti delle teorie sul cinema o i cultural studies, ritornano a Balatzs: fanno riferimento a lui perché alcune delle sue intuizioni, in particolare quella legata al fatto che l'avvento del cinema comporti un cambiamento delle relazioni tra parole e immagini, tra sapere concettuale e esperienza visiva e tutto questo torni nel contemporaneo. Nelle immagini cinematografiche e in particolare nelle inquadrature in primo piano che negli anni Venti venivano considerate come una nuova tipologia di immagini che il cinema aveva introdotto per la prima volta, lo spirito si manifesta in modo immediato nei luoghi e negli oggetti della vita quotidiana così come nella superficie dei corpi, nei volti e nei gesti come il cinema dia una nuova forma di esistenza agli oggetti che ci circondano e alla nostra stessa figura umana. L'uomo rappresentato sullo schermo è un “uomo della cultura visuale” che si esprime attraverso un linguaggio della mimica e dei gesti che è un linguaggio internazionale, completo e universale: la vera madrelingua dell'umanità — il diverso peso che grazie al cinema hanno parole, l'ambito del visuale e l'ambito del verbale, due dimensioni che definiscono la loro forza in campo, il cinema ridona grandissima possibilità al campo della visualità. Queste sono le prime note introduttive del libro di Pinotti e Somaini. L'uomo visibile, pagine che aprono l'opera presentate come prologo in tre allocuzioni — si tratta di 3 appelli, lui struttura il suo discorso di apertura in tre appelli destinati a 3 diversi interlocutori/spettatori: * chiediamoci poterentrare!: i primi intestatari del suo appello sono gli intellettuali, gli accademici > richiama gli intellettuali, un po' come faceva Papini nel suo scritto che si appellava ai filosofi. Balatsz fa la stessa cosa nel contesto viennesi, rivolgendosi ai suoi simili; * airegistie atutti gli altri amici del settore — amici significa che li conosce, li frequenta, sa chi sono: gli interlocutori hanno dei volti, non sono nominati, ma è evidente che essendo lui una persona molto vivace e attiva, possiamo immaginare che scrivesse avendo in testa dei destinatari precisi; * del piacere creativo + il pubblico: identità di cui si sente anche parte, lui è stato spettatore e continua ad esserlo. La sua attività è multiforme, questi sono 3 destinatari di cui lui sente di far parte. Il primo appello, Chie diamo di poter entrare! — si vede la vivacità di Balatsz, parla del suo libro come un libricino, ci sono una serie di strategie retoriche che preludono a un atteggiamento piuttosto determinato nel suo discorso. Lui incomincia a parlare di una nuova arte, dicendo chiaramente che considera il cinema un'arte, lo da per scontato. Lui usa il termine filosofia dell'arte del cinema, che è sinonimo della teoria dell'arte del cinema e si rivolge ai suoi simili, coloro che si occupano di pensare all'arte, custodi dell'estetica e della teoria, figure distaccate dalla realtà, che stanno dietro una nobile porta. Incomincia poi ad essere ironico, pungente, dice ai più elevati che discutono di cose poco interessanti senza accorgersi che dietro la loro porta c'è qualcosa di ancora più importante, senza che nessuno si occupi di ciò che sta succedendo. C'è anche un'idea chiara di livelli differenti: il cinema, quando viene considerato un'aste, è qualcosa che ha a che vedere con la cultura non alta- l'accademia è il luogo che ha a che vedere con la cultura alta, mentre il cinema è legato alla cultura popolare, al denaro, al mercato, handicap che il cinema deve combattere, deve dimostrare di essere un'arte. Balatzs sta dicendo agli intellettuali che sono stati troppo snob a non prestare attenzione a quello che stava succedendo — lui tiene tantissimo a sottolineare l'urgenza di fare una teoria del cinema, quello che lui sta facendo, “io sto cercando di dotare il cinema di una teoria, perché solo con la teoria il cinema può esprimere pienamente se stesso”: sarebbe un errore pensare che la teoria sia una gabbia, che imbiigli gli artisti, la teoria invece è proprio ciò che permette agli artisti di andare avanti. Un'arte può andare ovunque se ha la consapevolezza di sé. Balatsz dice -vi offro la possibilità di riflettere sulla teoria del cinema e non pensate che questo sia un modo per togliervi il piacere della scoperta, è un modo per intensificare questo piacere e renderlo ancora più ricco. Perché questa diffidenza nei confronti della teoria? Lui dice di non andare a caso, la teoria ti da la possibilità di capire in che direzione stai andando, magari poi scopri che è una direzione sbagliata, ma è un rapporto tra la riflessione e ciò che l'artista può fare, invece che muoversi a caso in un terreno da esplorare. Metafora della mappa del viandante dell'arte — immaginiamo che un'artista si trovi davanti alla possibilità di andare in 10 direzioni diverse, se ha un'idea dice, vado in quella direzione lì, perché forse in quella direzione posso trovare qualcosa: la possibilità di vedere e intuire una direzione deriva da una consapevolezza. Quindi, la teoria, in questa parte del discorso, ha a che vedere con la consapevolezza di agire dentro un contesto artistico e dall'importanza che chi agisce sia guidato da alcuni principi di base: questo vale sia per chi fa l'arte, sia per chi la guarda., lo dice al pubblico -voi avete goduto del cinema, vi è piaciuto, vi siete appassionati, ma a questo punto voi dovete poter discernere da quello che vedete e potete farlo solo con lateoria, potete godere di più. La conoscenza diventa l'opportunità di un godimento estetico maggiore, perché si vede di più. Lui non deve convincere gli intellettuali dell'importanza della teoria, anzi, deve riuscire a convincerli che il cinema abbia bisogno di una teoria e la metiti. Il cinema è diventato una realtà così diffusa, che agisce così in profondità sul piano sociale e psichico, condiziona la vita delle persone, modifica le ritualità della vita quotidiana, che dobbiamo fare i conti con questo cambiamento. Lo spirito popolare dipende dal cinema, che assume sempre più un ruolo di influenza molto forte sulle masse, cosa che sanno molto bene i regimi europei, Mussolini e Hitler — il cinema nasce dal popolo e ritoma ad influenzarlo, circolo, relazione molto foste tra pubblico e cinema, più che in ogni altro ambito artistico. Inizio pag 112.folklore, invita gli intellettuali a tenere sempre più in conto il cinema, che sta cambiando la psicologia delle persone, sta cambiando la cultura. A fondo pag. il cinema è un'arte nuova e diversa da tutte le altre, è una manifestazione dell'uomo radicalmente nuova — non è soltanto la manifestazione che il cinema è un'arte, ma lo è in virtù del fatto che è una nuova manifestazione dell'uomo che prima non esisteva, perché non esistevano gli strumenti tecnici. Fondo pag.113, la teoria ci può dire, ci può fare capire o può aiutare gli artisti a capire o intuire dove possono andare, funzione predittiva. Dice che la teoria non deve essere fatta dopo, quando tutto è stato fatto, anche perché tutto non può essere fatto senza una teoria: una teoria serve proprio perché si possa fare qualcosa di più, la teoria è una bussola in uno sviluppo artistico e solo quando vi sarete fatti l'idea di una giusta direzione potete parlare di strade sbagliate, i una teoria del cinema, è questo ciò di cui dovete dotarvi. Secondo appello, ai registi e a tutti gli altri amici del settore — rivolto a chi le cose le sta facendo, dice: non è che se voi sapete fare le cose questo è sufficiente, ogni mestiere deve avere dei confini, delle linee entro cui muoversi. Il guaritore è colui che lavora solo sull'esperienza, e il rischio di non avere una teoria è proprio quello, di continuare a fare sempre la stessa cosa, perché già si sa farla. Di fronte a problemi muovi non si sa cosa fare, l'esperienza può fare riferimento solo a ciò che è già stato e non ha metodi per affrontare il nuovo. Nel caso dell'arte del cinema, ogni giorno sorgono nuovi problemi, quindi nessuna esperienza precedente può essere d'aiuto — lui dice: voi fate, sperimentate, non avete manco il tempo di pensarci, ma nel momento in cui uno diventa consapevole di quello che ha fatto, per certi versi, può anche contribuire allo sviluppo pieno dell'arte cinematografica, lavora per sé, ma anche per il bene comune. Lui da un consiglio come amico: se andate a parlare con un produttore e volete avere una credibilità e riuscire ad ottenere qualcosa dal produttore, che è colui che vi da i soldi, dovete mostrare la vostra consapevolezza e convincerlo che ciò che state facendo ha senso ed è frutto di un pensiero. Allo stesso modo è un consiglio più intimo, la teoria consente di amare di più quello che state facendo. Terzo appello, del piacere creativo — rivolto al pubblico, prima di tutto si scusa, vi era l'idea del cinema come una livella in cui, nel buio del cinema, sono tutti uguali in una fase regressiva. Lui parla della nudità naturale di un bambino, il cinema è qualcosa che ci toglie non solo dagli affari del quotidiano, ma anche dalle differenze di cultura, di consapevolezza, di gusto e livello di istruzione: questo è quello che è stato il cinema nei primi anni. Il cinema era una semplice forma di piacere, ora deve diventare un'arte e coinvolgere l'intelletto? Ora bisogna anche in questo campo avere una cultura e apprendere la differenza tra buono e cattivo come il peccato originale? Per questo chiede scusa al pubblico, loro si stavano divertendo e ora arriva lui a dire così, in realtà lui vuole il contrario, cercare di stimolare i sensi e dimostrare che si può provare un piacere ancora più grande. Il cinema è ancora un'arte che vive la sua giovinezza, si potrà ancora godere di questo aspetto, ma per quanto riguarda il piacere. bisogna proprio evitare di capire? Il sapere è il migliore dei piaceri, non bisogna pensare che a teoria sia qualcosa che renda distante l'esperienza concreta di vedere un film, è proprio il piacere del sapere cosa si sta guardando e anche il poter compiere delle scelte rispetto a ciò che si ritiene buono o cattivo. Lui richiama al capire di più cosa si guarda in modo da godere di più, ma dice anche: dipende da voi, più voi siete esigenti, più il cinema cercherà di stare al passo con le vostre esigenze. Lui vede una relazione molto stretta tra il cinema e il suo pubblico e questa influenza reciproca, quindi, se il pubblico diventa consapevole, ovviamente avrà un'esigenza maggiore, chiederà un cinema più complesso, articolato, che saprà rispondere ai suoi bisogni. Se il pubblico rimarrà un pubblico bambino, il cinema continuerà a prodwre film per un pubblico bambino. Lezione8 Capitolo di apertura del testo vero e proprio: la questione centrale del libro è quella del visibile, poi Balatsz dedica paiticolare attenzione alla figura umana, l'uomo visibile, l'uomo sta per l'umanità, uomo che torna ad essere visibile grazie al cinema. Nella cultura occidentale si dice che l'invenzione di Gutemberg a fine '400, la stampa a caratteri mobili, segna l'inizio di un'epoca nuova: dice che l'invenzione della stampa ha significato per la storia della cultura una rivoluzione molto simile a quella che Balatsz vede appunto del cinema. Illeggibilità del volto degli uomini — come se gli uomini avessero smesso di cercare di capire il mondo Lezione9 A volte gli autori sono costretti a dire delle cose per fare capire che cosa è successo allo spettatore, c'è una ridondanza di queste battute. A Balatsz preme dire che è vero che c'è una rinomata attenzione al corpo, parliamo della danza, dello sport, sempre maggiore ruolo dello sport. Il corpo eil linguaggio universale dei gesti — prima della salita al potere di Hitler, soprattutto in Germania si sviluppa una grande attenzione al corpo verso associazioni giovanili, che si dedicano a attività varie che hanno a che vedere con lo spoit, la bellezza del corpo. Contesto che possiamo inserire insieme alla danza a quegli ambiti di riscoperta del corpo, della vita sana, cose che confluiranno in alcune tensioni molto più razziste. Balatsz parla di questo contesto di riscoperta del corpo, facendo riferimento soprattutto al contesto tedesco, perché non è stato utilizzato per secoli: * “nella cultura verbale il nostro corpo non è stato utilizzato integralmente come mezzo espressivo e proprio per questo ha perso la propria capacità di espressione, è diventato maldestro, primitivo, sciocco e rozzo” > la riscoperta del corpo significa rendersi conto che questo corpo ha perso la propria capacità di espressione, è diventato maldestro, primitivo, sciocco e rozzo, ha bisogno di essere educato; * nonsono re la danza, né lo sport gli ambiti dove si educa il corpo a ridiventare “eloquente”, “sensibile mediatore dell'anima”, “specchio sensibile che riflette ogni minimo moto dello spirito” — a Balatsz sta molto a cuore dire che quello che fanno i danzatori non è quello che deve fare il cinema. I danzatori si esprimono attraverso un linguaggio che è in qualche modo più mediato da eventuali significati, il cinema invece cerca qualcosa che rifletta più direttamente l'interiorità dell'uomo, un gesto non teso a una figurazione di tipo estetico. Il danzatore non si esprime attraverso un linguaggio quotidiano, tende a utilizzare un linguaggio che ha delle forme intenzionate, un gesto di u danzatore tende a una forma di tipo estetico di per sé. Balatsz dice che i nostri attori non devono essere dei danzatori, chi agisce sullo schermo deve esprimere attraverso il corpo i propri sentimenti, non deve fare riferimento a un linguaggio costruito come quello della danza, deve esprimere ciò che sente, i movimenti devono essere espressione dell'anima; * sullo schermo dei cinematografi di tutti i paesi si sta ora sviluppando il primo linguaggio internazionale, quello della mimica e dei gesti — Balatsz si scontrerà con l'arrivo del sonoro, la cosa che lo affascina di più è che il cinema muto è sostanzialmente universale, il linguaggio dei gesti è internazionale; * “Ilamimicadegli attori deve essere comprensibile a tutti i popoli” — proprio per il fatto che i gesti sono comprensibili internazionalmente. Il cinema diventa un grande abbraccio che mette insieme popoli che altrimenti altrimenti sarebbero inarrivabili. La sostanza del cinema pag.135 La teoria classica, dalle origini fino al secondo dopoguerra, è una teoria con impianto principalmente essenzialista, si occupa di scoprire e di dimostrare quale sia la specificità dell'arte cinematografica, proprio per dimostrare che si tratta di un'arte autonoma, che è diversa da tutte le altre arti e si occupa di capire qual è l'essenza, di cosa è fatto il cinema, cosa fa del cinema un'arte diversa da tutte le altre? Le considerazioni di Balatsz sono perfettamente inseribili all'interno della teoria classica, perché uno dei suoi obiettivi principali è proprio quello di capire di che cos'è fatta la sostanza del cinema|da qui il titolo|. Dimostra i suoi assunti mettendo in campo una modalità di ragionamento comparativo, modalità tipica di questo periodo della teoria del cinema |nel momento in cui si ragiona sull'essenza di un'arte lo si fa mettendola in relazione con le altre, comparandole|. * Ilcapitoloinizia così: Se il cinema deve essere un'arte a sé, con una propria estetica, allora deve distinguersi dalle altre arti — usa estetica invece di teoria, in realtà, il pensiero di Balatsz è un pensiero teorico che ogni tanto contiene elementi che lo porterebbero più verso l'elaborazione di tipo estetico, contiene al suo interno degli atteggiamenti prescrittivi, tende a dire agli artisti cosa devono fare, tende a guardare l'arte nelle sue manifestazioni e a dire che una cosa è più giusta di un'altra. Qui lui sta facendo teoria pura, ma in alcuni passaggi del testo tende ad un atteggiamento estetico: Tende ad andare verso un certo tipo di discorso estetico valutativo, anche perché lui parte dalla critica e poi va verso l'elaborazione teorica, questa elaborazione teorica conserva alcune tensioni verso l'estetica. Lui dice, se il cinema vuole dimostrare di essere un'arte- ed io ve lo dimostrerò- per farlo deve essere chiaro qual è la sua specificità, sta enunciando le modalità del suo ragionamento e della sua esposizione teorica: la specificità è ciò che fa di qualcosa, qualcosa e il modo migliore per capire la specificità è metterla in relazione con qualcosa di inverso, “delimiteremo quindi l'arte cinematografica dai campi limitrofi, in modo da dimostrarne l'autonomia”. * Percomprenderlo Balazs adotta un procedimento comparativo — parte da quello che in quel tempo veniva considerato come il parente più affine o il capostipite, TEATRO alte maggiore vs CINEMA derivato grezzo. Vengono immediatamente associati perché ci sono di mezzo gli attori che recitano: allora non era così scontato, il cinema non aveva ancora assorbito gli attori come tali [l'attore cinematografico non nasce con il cinema, ma è una figura che si va affermando a partire dalla metà degli anni '10; prima chi agiva sullo schermo erano figure di varia provenienza, o attori teatrali -non molto sovente perché i teatranti disprezzavano il cinema- acrobati, salti in banchi, persone casuali]. Si incomincia a parlare di attori che si definiscono attori a partire dalla metà degli anni '10, prima i nomi degli attori non c'erano, poi l'industria si rende conto che il pubblico è attratto dagli attori. Ballatsz parla rivolgendosi a degli attori prettamente cinematografici già affermati, gli attori teatrali e cinematografici sono due realtà precise e distinte. Parte facendo questo discorso in modo da potersi collegare al punto precedente, sono gli attori che dovranno poi esprimersi a gesti, perciò questa comparazione cinema/teatro, sono gli attori il punto comune. Paragrafo successivo, la Monodimensionalità del cinema — “sia nel teatro che nel cinema ci sono delle storie che vengono interpretate dagli attori, ma non servendosi dello stesso materiale”, da qui il ragionamento per differenza. La presenza della figura umana non è il punto in questione, perché anche la pittura e la scultura rappresentano la figura umana, ma hanno leggi diverse, colori, marmo ecc. Qualcuno potrebbe dire che non è vero che l'attore semplicemente si limita a prendere il copione e fare ciò che il regista ha scritto sul testo — prendiamo per buona la considerazione di Balatsz, che parte dalla differenza sostanziale tra la sceneggiatura [che al tempo del muto poteva essere qualcosa di non così strutturato, pochi dialoghi|, mentre il copione teatrale è un testo a cui gli attori fanno riferimento. Teatro: dramma e la sua rappresentazione — c'è stata una stagione a fine '800 in cui gli attori facevano spesso gli stessi testi, Amleto, Otello e il pubblico confrontava quello che gli attori facevano proprio perché conoscevano questi testi che venivano messi in scena. Balatsz dice che questo al cinema non succede perché le storie sono storie originali, ma soprattutto perché se un attore incarna un personaggio sullo schermo, lui resta legato a quel personaggio, quindi nessun altro lo farà, è il suo corpo e volto che diventa un unica cosa con il personaggio. Il cinema non contempla questa modalità comparativa tra le interpretazioni, es. James Bond — il primo James Bond cinematografico è stato Shon Connery e il suo Bond è il Bond matrice, quindi quando Connery decide di abbandonare il film successivo |avendo avuto così tanto successo con il precedente| inizia una storia dei vari attori che si sono succeduti in quel ruolo, ogni volta dovendo convincere il pubblico a dimenticare la forza del Bond precedente, o comunque a trovare un modo per mettersi in relazione con quello che l'ha fatto prima. Nel caso del cinema, la forza che può avere l'associazione del personaggio con la presenza, figura, sguardo, corpo di un attore, è talmente preponderante che non si riesce a concepire un'altra figura che lo possa fare. L'attore si porta dietro il suo personaggio, ci sono anche i remake ma spesso devono pagare il prezzo della comparazione con l'originale — Balatsz capisce che l'attore cinematografico è molto più fortemente legato a quel personaggio di quanto nonlo sia l'attore teatrale. Si rende conto che quell'esercizio di valutazione che il pubblico teatrale tende a fare rispetto alla bontà o meno di un' interpretazione del personaggio da parte dell'attore | Amleto di Gasman è migliore dell'Amleto di..| — nel cinema questo non è molto possibile, sono casi rari: tendenzialmente i personaggi cinematografici sono unici. Non c'è il problema della fedeltà al testo, del testo di riferimento, questa è una forza che associa al concetto di autorialità — la specificità del cinema. Il fatto che un teorico nel 1924 associ all'attore una forma di autorialità è qualcosa di eccezionale — gli attori all'inizio non ci sono, mano a mano si affermano e per quanto gli attori possano aver raggiunto un livello di visibilità enorme attraverso il ruolo delle star, rarissimamente si parla di attori come figure che partecipano a livello creativo del film. Attori come creatori, autori, solo Balatsz ne parla — lui dice che sono gli artefici, insieme ai registi, di ciò che ci piace, la creazione del film è il frutto di una collaborazione tra attori e regista: porta un altro capitolo, interpreti autori. Interpreti autori — 1 figura dell'attore, del suo corpo e dei suoi gesti sono l'unico contenuto del film, non ci interessa la sceneggiatura, guardiamo cosa accade sullo schermo. p.137 Gli attori e i registi creano il film, la sceneggiatura, ma la sostanza del cinema è proprio la presenza del film, che viene gestita dal regista insieme agli attori, che lavorano con il linguaggio espressivo del corpo e del volto. Cinema e letteratura — lui dice che non è tanto la storia che conta, lui immagina che la sostanza profonda del cinema non siano le cose che si raccontano, ma come si raccontano attraverso i corpi. Dice che il cinema non è fatto solo per raccontare delle storie, perché la forza del cinema sta nell'aspetto visivo e nella presenza del corpo, il fatto di potere vedere le cose in modo nuovo a come le abbiamo sempre viste: associa il cinema alla poesia. Fine e trama — teniamo conto del momento storico in cui sta scrivendo; la posizione che prende Balatzs è estrema, lui sta cercando di dimostrare le specificità del cinema, il cinema deve lavorare sull'aspetto visivo e sulla presenza, non tanto concentrarsi sui fatti, perché non può competere con la letteratura. Fare attenzione a ciò che si racconta e come lo si racconta, attraverso le immagini e la presenza degli attori, il modo in cui una storia diventa immagini, lavorare con immagini e presenze umane all'interno, che possono esprimersi in modo diverso, strumenti universali, ovvero i gesti e le espressioni del viso. Qui, più che dare un giudizio di valore, a lui interessa dire cosa non bisogna cercare nel cinema — un romanzo racconterà in modo più complesso una storia, il cinema deve semplificare il processo narrativo, ma non significa che sia una storia più povera, è solo una storia che si gioca su altri piani |una lunga descrizione di un paesaggio in un romanzo al cinema potrà risolversi in un'immagine e potrà essere trasformata in qualcos'altro). Il cinema usa le immagini, che hanno peculiarità diverse da quelle delle parole. Way Down East — primi piani di Lilian Gish a cui Griffith fa molto affidamento, momenti chiave in cui si nota la sua capacità di esprimere emozioni. Recensione di Balazs a Broken Blossom di Griffith, scrive “la grande sonata della paura, così si dovrebbe intitolare questo film, oppure “Lilian Gish ha paura”, il titolo “fiori infranti” non dice nulla e anzi con il suo sentimento da pergolato fiorito, assume un significato che è il contrario di quello manifestato da questo film magistrale e la piena espressione mimica del terrore. E' la paura il vero tema del film, la paura che la commovente recitazione di Lilian Gish ecc..” — la sua attenzione nei confronti dell'attrice deriva dal vedere realizzato in lei quello che lui immagina debba essere fatto dagli attori cinematografici. Volto microscopico, è incredibile la densità di micro espressioni del volto di Lilian. Dice che lei riesce a contenere nel volto diverse espressioni contemporaneamente, si vede la poesia nel suo volto. Scena in cui la mimica del suo viso dilagna il corpo, sempre con l'attrice Lilian Gish, scena nel finale del film: forte presenza umana di un attrice che ha saputo utilizzare il suo corpo per mostrare la paura, questo per Balatzs rappresenta l'arte cinematografica. Lezione10 Tomando alla recitazione di Lilian Gish per Griffith, Balatzs dice in relazione alle specificità del cinema che “un buon film non ha alcun contenuto, è tutto nelle immagini, perché esso e scorza e nocciolo tutto in uno, non ha un contenuto proprio come non lo hanno un quadro o una composizione musicale o appunto un'espressione del volto. Il cinema è un arte della superficie e in esso ciò che è interno si manifesta all'esterno ecc. pag139” — non bisogna cercare al di la della superficie, tutto quello che dobbiamo ricevere dal cinema lo riceviamo dalla superficie dello schermo, anche perché il cinema è l'arte della superficie: se il gesto espressivo è espressione dei moti dell'anima non mediato da codici, allora l'espressione del volto e il movimento dell'attore sono espressione della sua interiorità, non c'è bisogno che ci venga detto qualcosa di più, non dobbiamo sapere più di quanto vediamo, proprio per la corrispondenza tra quello che il personaggio prova e il modo in cui queste emozioni vengono espresse attraverso il suo volto. Iletterati pensano sempre che ci debba essere qualcosa di più complesso, che in realtà non va cercato. Anche la pittura basta a se stessa, non ha bisogno di essere spiegato nel suo contenuto: la differenza tra pittura e cinema è che il cinema è un'arte temporale del movimento, della continuità organica, quindi mentre il quadro è ‘un'immagine statica, il cinema deve fare i conti con il tempo e il movimento, che sono due elementi che distinguono l'arte del cinema da quella della pittura. Le espressioni e la messa in scena di Griffith sono assolutamente chiari nel dire ciò che ci vogliono dire, non risultano falsi agli occhi di chi guarda — lui qui sta facendo una distinzione sul fatto che alcuni film possono invece risultare non altrettanto convincenti, quindi risultare farli nella rappresentazione dei sentimenti. Balatzs ci riporta al concetto dell'uomo visibile, passaggio dalla dimensione concettuale alla dimensione visiva e proprio in questo passaggio ci riconduce al fatto che è inutile che noi cerchiamo concetti o indagini psicologiche complesse dentro un linguaggio che invece ha altre specificità, ha quella cosa straordinaria di vedere le emozioni. Il significato delle cose visibili |capitolo p.145|- le immagini creano atmosfera. Fa notare che il cinema da un rilievo ‘al mondo, alle cose e le cose che nella nostra vita quotidiana, così come su un palco scenico, sono in qualche modo mute, inanimate, senza vita, nel cinema invece le cose, gli oggetti, gli animali, le nuvole, acquistano tutto, tutto è avvolto nello stesso mutismo e questo fa si che uomini e cose siano uniti da un unico destino che li valorizza. Nel teatro gli oggetti e le scenografie sono funzionali all'espressione verbale e scenica dell'attore, nel cinema non è così. “A teatro si fa una distinzione di valore tra l'uomo che parla e le cose mute. Al cinema questa distinzione di valore scompare, qui le cose non vengono trascurate e degradate” p.146 — primi minuti del film Finis Terrae di Epstein del 1929, film dove non ci sono attori, ma personaggi reali, raccoglitori di alghe. Epstein non lavora solo sulle presenze umane, ma anche sui dettagli, campi lunghi, ci sono dei momenti in cui gli oggetti, la natura, l'acqua sono ‘una dimostrazione di ciò che dice Balatsz sul comune mutismo, che annulla la distanza tra cose animate e cose inanimate; Epstein altema i volti con gli oggetti. La lingua visibile p.149, punti importanti di questo capitolo: * sonoil movimento espressivo e in genere la visualità la specificità del cinema? Anche il teatro recita con il proprio corpo e le scenografie del palco scenico sono fatte appoita per gli occhi, eppure l'attore che parla, quello teatrale, possiede un altro tipo di gestualità e di mimica, che esprime solo ciò che rimane fuori dalle parole, attraverso le espressioni facciali e i gesti viene comunicato ciò che deve essere detto, ma che non è più racchiudibile nelle parole — al cinema invece la mimica non è solo un qualcosa di aggiunto, il gesto non solo è più chiaro e ricco di dettagli, ma appaitiene a una sfera diversa. * Come parla un attore cinematografico? * Fisionomia: l'insieme dei tratti somatici e delle espressioni del volto di una persona; Balazs non mette in atto la fisiognomica, dedurre i caratteri spirituali di un individuo dal suo viso, non è quello che gli interessa teorizzare, ma gli interessa assumere questa idea partendo dall'idea che questo tipo di tensione e di desiderio di capire i caratteri spirituali guardando i volti non solo lo facciamo costantemente, ma il cinema ci induce a farlo ancora di più — se il cinema è l'aste della superficie, se è il linguaggio in cui ci si esprime solo attraverso il nostro aspetto esteriore e se noi vedendo l'aspetto esteriore capiamo cosa si muove dentro, non abbiamo bisogno di altro, è evidente che sta sposando questo tipo di concezione in senso molto elastico. Inserisce il cinema all'intemo di una grande tradizione di pensiero ed è anche un contesto di riflessioni che lo aiutano a rendere più incisiva la sua considerazione: si limita a parlare di fisionomia, guardare i tratti dei volti. |Lavater e Silhouette — siccome sta studiando i volti umani, sta cercando di trovare delle leggi che regolano le fattezze del volto così come le espressioni, inventa la silhouette: proiettando una luce sulla dama l'ombra si riflette sul foglio e sul foglio viene disegnata la sua sagoma, forma primordiale di fotografia, impronta nelle proporzioni reali. Le silhouette che lui produce diventano un'occasione per studiare in maniera più scientifica alcune caratteristiche attraverso i profili, che diventa molto indicativo per costruire la grammatica del volto. Con Lavater la fisiognomica è divenuta un vero fenomeno sociale, proprio grazie all'uso delle silhouettes, profili del corpo su sfondo bianco, peri quali Lavater inventa anche una macchina. | Balazs deriva dall'accumulaisi di tutte queste suggestioni, La Porta, Lombroso |il volto diventa un modo per esercitare ‘un potere, un principio, razza inferiore, tipo comune di ladro- dalla conformazione del volto si poteva cercare la ricorrenza di determinati tratti, forma del cranio ecc|, Lavater. Sciopero di Ejzenstejn — se c'è qualcuno che in questo contesto ha messo in pratica l'idea della corrispondenza tra determinati caratteri dei volti e determinati animali -associazioni tra tipologie del volto umano e volti animali- questo è Ejzenstejn. Uso della logica del tipo e della tipizzazione: il modo in cui rappresenta gli uomini potenti è sempre rivolto ad una forte tipizzazione. Balazs e Ejzenstejn hanno concezioni del cinema molto distanti, Ejzenstejn scrive addirittura contro Balazs, dicendo che si è dimenticato le forbici, l'importanza del montaggio, nella sua riflessione. Questo tipo di idea e di luogo comune che riguarda l'associazione tra gli uomini, gli animali e determinate caratteristiche fisiche, sia trasversale. Amrivain tutto il cinema di Ejzenstejn, lui teorizza il Tipaz: * iltipazsi fonda sulla corrispondenza tra l'aspetto fisico e il carattere morale del personaggio. Impiego di non attori per il ritratto generalizzato di una classe — nel cinema sovietico e nel cinema di Ejzenstejn la cosa interessante è il fatto che in entrambi questa importanza del tipaz non è tanto legata a un attore in paiticolare, ima al contrario ad attori anonimi, non attori. Diverso da Balazs ma il principio fondante è lo stesso; “il futuro regista ha molto da imparare..dai metodi della polizia giudiziaria. In primo luogo deve imparare a esaminare la tecnica e a riconoscere i segni e gli indizi di un volto e poi saperli mettere insieme e combinarli in modo che essi diano l'idea precisa del tutto: montarli” — Ejzenstejn gioca con il montaggio e la dissolvenza proprio per accostare il volto all'animale a cui assomiglia di più; * arrivaa dire che “i/ tipaz partecipa alla concezione archetipica della maschera, adattandola alla modernità” . Ghote sul cinema p.158-— Ghote non può avere scritto sul cinema essendo vissuto prima dell'invenzione del cinema, però Balazs fa riferimento a Ghote perché le sue riflessioni sulla superficie e sui volti sono debitrici al discorso fisiognomico e cita Ghote perché questo ha scritto l'introduzione a Lavater. Riporta la citazione di Ghote e si può collegare al discorso che Balazs faceva in riferimento alla cura del costume, proprio perché laddove si parla di un arte della superficie conta si il volto, la fisionomia di questo volto per definire il personaggio, ma anche l'ambiente in cui lo collochiamo: ogni elemento che noi vediamo sullo schermo è importante nella defir che vogliamo trasmettere. Non c'è niente da aggiungere, a parte questo — Balazs ci sta dicendo che la fisionomia è data dalla natura, ce la portiamo dietro tutta la vita ed ha delle caratteristiche immutabili, questi tratti sono fissi, dati, che, se è vero che esiste ‘una corrispondenza tra interiorità ed esteriorità, ci vincolano dentro una tipologia umana: però, a questo dato che è fisso, contribuisce in maniera molto significativa la mimica, le espressioni del volto. La mimica facciale e le espressioni del volto fanno si che dalle tipologie umane si arrivi a descrivere molto meglio il carattere individuale; un piano immodificabile e l'infinita possibilità che il movimento del volto può dare rispetto alle esigenze del cinema. Della bellezza — wna star del cinema deve essere bella, forte dipendenza dalla bellezza delle star -attori che hanno raggiunto un alto rango e sono tendenzialmente impegnati nei personaggi degli eroi: il punto non è che il pubblico è attirato dall'attore più bello, il punto è che poiché nel cinema vale e conta sopra ogni cosa questa corrispondenza interiorità ed esteriorità, il personaggio eroico non può essere rappresentato da qualcuno che non è bello: la bellezza è l'espressione dei caratteri positivi interiori. Ghote dice che la virtù e la bellezza sono un unicum nel cinema, non è solo un bisogno di bellezza, ma è la realizzazione di questa tensione per cui la star è il corrispondente dell'eroe della cultura classica. Discorso del tipo > il tipo, laddove incarna un carattere negativo non può che essere brutto secondo questo ragionamento. E' però anche vero che la bellezza è qualcosa di decorativo, che appaga l'occhio, essendo il cinema l'arte della visione della superficie, se la superficie è bella da vedersi, fa più piacere. La dimensione contemplativa della bellezza, il fatto che noi contempliamo determinate bellezze e questo ci da piacere, fa venire meno il rapporto che c'è tra fisionomia e mimica — di fronte a un volto bellissimo finisce per dominare soltanto la fisionomia, il cinema americano tende ad accontentarsi a mostrare dei volti, molto più di quanto voglia concentrarsi sul movimento che può animare questo volto. Il proprio volto — tema sulla differenza tra le caratteristiche etniche e le caratteristiche individuali, dove sono i confini? Lui dice che il cinema ci aiuta molto a capire questo, perché ci da la possibilità di vedere da vicino i volti, quindi lo spazio tra la fisionomia fissa e l'espressione individuale che è data dalla mimica. Anima e destino p.162— discorso di prima, caratteristiche date e caratteristiche che dipendono da noi, da come viviamo, da come cresciamo, da cosa impariamo, fato e volontà. Il volto dell'uomo è una superficie talmente densa da portarlo a dire che quello che vediamo sul volto è soltanto una pate, poi c'è ancora altro, quindi il primo piano del cinema è una scoperta meravigliosa — importanza e ricchezza che ha il volto umano e il fatto che il cinema sia l'arte del volto. La mimica del volto — parla di un film, non è tanto la dimensione del racconto che conta, ma la dimensione del sentimento: il pubblico non è tanto appassionato dalle vicende di questa donna, ma è appassionato dalle emozioni che prova il volto di Susan Deprè nell'assistere alle vicende. Conta più la dimensione emotiva, più di quanto invece conti la dimensione del racconto. La mimica facciale esprime delle sensazioni, dunque è un'arte lirica -volto che non parla e le sue espressioni esprimono delle sensazioni: sono più numerose le espressioni del volto delle parole, è molto più personale un'espressione del volto piuttosto della parola, che può essere utilizzata anche da altri. Un volto può esprimere più emozioni e significati contemporaneamente, mentre la descrizione a parole è obbligata ad una successione. Uno degli elementi che stupì, affascinò e terrorizzo i primi spettatori fu la possibilità di vedere la figura umana e il mondo in proporzioni che non erano quelle a cui si era abituati: una delle cose che faceva più impressione erano queste grandi teste che affollavano lo schermo. Lezione12 [continua] La similitudine e comparazione con la lingua scritta funziona molto bene a mettere in vista l'obbligo della successione e l'imposizione che la lingua ha di scandire parola per parola senza poter giocare sulla sovrapposizione, problema che non vi è nella visione di un volto. Possibilità che l'espressione umana ha di non essere vincolata da delle strutture sintattiche come quelle della lingua scritta, ma può mescolare diverse sensazioni, il cinema rende questa facoltà del nostro volto paiticolarmente evidente e utile a quelle che sono le specificità del cinema. Gli accordi di sentimenti — film con Pola Negii, 1919, Lubitsch- Gypsy Blood, scena della morte di Carmen a cui fa riferimento Balazs. Cita dinuovo Way Down East e Lilian Gish, molta ridondanza. L'essenza dell'efficacia di questa mimica consiste nel fatto che essa rappresenta il ritmo originale dei sentimenti espressi: non solo la lingua scritta è costretta dentro una successione, ma non può nemmeno restituire il ritmo, tempo, in quale arco temporale e con quale rapidità avvengono e si manifestano i diversi sentimenti- ritmo originale dei sentimenti- le parole e la scrittura non sono in grado di restituirlo, il cinema si. In questa parte fa molti esempi con riferimenti ad attori e film, Emile Jannings interpreta il molo di un trafficante, in ogni gesto e espressione del viso è uno spietato strozzino, ma nonostante tutto rimane simpatico, c'è qualcosa in questo viso che non possiamo fare a meno di amare. E' un attore corpulento con un viso molto tondo e su questa sua caratteristica fisica ha costruito la sua fortuna come caratterista, anche se è uno di quei casi in cui il caratterista riesce ad uscire dal tipo a cui sembrerebbe destinato — se è vero il discorso che faceva Balazs sul fatto che il tipo rischia di essere una gabbia -quindi affidarsi troppo alle caratteristiche fisiche può essere un vincolo a cui il regista deve stare attento a non legarsi troppo- un attore come Jannings ha fatto tantissimi personaggi e ha declinato la sua figura in diversissime possibili articolazioni |se nel film del '23 recita la parte di un uomo pregevole poi dimostra di avere un lato umano, nel '24 in un altro film recita un ruolo molto tragico]. P.170 Vedere il viso di un attore significa conoscerlo, il volto di Jannings è uno di quei volti che si possono facilmente associare a delle caratteristiche, la cosa sorprendente è che il volto possiede anche dei tratti nascosti che si possono rivelare improvvisamente |caso della clip del film di Murnau con Jannings| — volto facilmente associabile a personaggi tipizzati in positivo come in negativo, in questo film possiamo trovare un tratto nascosto, questo dolore profondo che lui prova nel momento in cui scopre che la sua vita è finita, è un momento in cui noi scorgiamo un volto di Jannings che non avevamo ancora visto. Azione drammatica/duello mimico, si riferisce all'intera azione tra due volti, due personaggi, è più emozionante di uno scontro di parole |Clip-/} silenzio degli innocenti: protagonista che gioca con i tratti del suo volto, parte da mezza figura per poi arrivare al primo piano, volti che occupano lo schermo intero, duello buono/cattivo|. Categorie che Balaza associa al cinema muto, ma continuano ad avere forza anche nel cinema sonoro. Primo piano — raccolta di quasi tutte le definizioni che Balazs da del primo piano, correlate l'una all'altra: * ilprimo piano è la condizione tecnica dell'atte mimica e di conseguenza, in generale, della più elevata arte cinematografica — il primo piano permette di vedere cose che a teatro non si vedono; * nel primo piano ogni minima ruga del volto diventa un tratto decisivo del carattere e ogni fuggente contrazione di un muscolo possiede un pathos sorprendente, indice di grandi eventi interiori — nel cinema ‘muto l'abbiamo colto con Lilian Gish; * ilprimo piano del volto deve essere la sintesi lirica dell'intero dramma; * alcinema, quando il volto in primo piano si estende su tutta la superficie dello schermo,, per alcuni minuti il volto stesso diventa la “totalità” in cui è racchiuso il dramma — oscilla tra un tipo di riflessione più teorica e ‘una riflessione più di carattere estetico -bisogna stare attenti a che l'apparizione di montaggio sia orchestrata in modo tale da non apparire sganciata. Sconcerto che i primi piani suscitarono nei primi spettatori: la gestione e l'armonizzazione del primo piano e la valorizzazione delle sue proprietà è ancora in parte da esplorare; * iprimi piani costituiscono la sfera peculiare del cinema. La lente d'ingrandimento del cinematografo ci mostra da vicino le singole cellule del tessuto della vita e ci fa nuovamente percepire materia e sostanza della vita concreta — cinema come lente d'ingrandimento: idea che la macchina da presa veda più e meglio, come se fosse una lente d'ingrandimento: è una questione da un lato tecnica- ingrandimento dell'obiettivo, ma è anche ‘un fatto legato al rapporto di prossimità tra l'attore e lo spettatore |solitamente stiamo così vicino alle persone con cui abbiamo intimità, altrimenti si viola il nostro spazio| — il primo piano viola questa distanza, non siamo vicini all'attore, ma l'immagine ci da questo effetto di vicinanza che è un'immagine molto forte e spiazzante, anche con questo effetto di ingrandimento. [Nell'epoca di Balazs, quando donne e uomini sono stati ripresi, hanno scoperto qualcosa di se che non conoscevano: le persone cominciano a percepire questa condizione di essere soggetti possibilmente ripresi, poter capitare nell'occhio della macchina da presa. Quando c'è il sonoro ci si sofferma di meno sulle espressioni facciali. Arriva alla conclusione che i primi piani sono la peculiarità del cinema. Il cinema ci permette di vedere da vicino una vita minuta. Lezione13 Le teorie del montaggio — il montaggio è una specifica del cinema: ciò che riesce a trasformare la natura tecnica del film, cioè la sua natura frammentaria dell'essere formato da fotogrammi, in un processo pienamente creativo. La storia dell'estetica cinematografica è ruotata spesso intorno al significato del montaggio, del significato da attribuire a questa discontinuità, quindi come si può interpretare il rapporto della dialettica tra l'unità frammentaria e la dialettica del film. Possiamo distinguere due grandi famiglie di riflessioni sul montaggio: 1. idea del montaggio come un processo visibile, continuità + logica del decoupage classico -cinema classico, il montaggio non deve farsi notare; 2. idea di montaggio come processo invisibile, discontinuità — cinema moderno, il montaggio viene sottolineato, stessa cosa accade in alcune forme di avanguardia. Oggi, nel cinema contemporaneo, possiamo affermare che le due logiche convivono insieme, anche se prevale un'idea del montaggio invisibile rappresentato dal cinema classico. Questa consapevolezza della centralità del montaggio all'interno del discorso estetico del cinema si riflette nella centralità che esso ha sempre avuto all'interno del dibattito teorico sul film. Negli anni '20-'30 si assiste a un discorso molto acceso sul montaggio, dal un lato vi è la Francia, ricca di teorici del cinema, dall'altra il cinema sovietico. Possiamo anche qui isolare due posizioni principali sul montaggio, che sono più che opposte, complementari, contribuiscono entrambi a promuovere una nuova consapevolezza del cinema come linguaggio autonomo e allo stesso tempo cercano di staccare la riflessione sul montaggio e sul cinema da una definizione troppo appiattita sul lato tecnico del dispositivo. * Dauwunlato avremo un discorso che ruota attorno al montaggio come essenza del cinema, scuola del montaggio sovrano, i cui principali teorici sono Kulesov, Pudovkin, Ejzenstejn, Vertov, montaggio sovietico. * Dall'altra paste l'idea più morbida che il montaggio cinematografico sia lo strumento grazie al quale si realizza ‘un più generale principio artistico del cinema, Canudo jidea che ci voglia un'artista che prenda il montaggio in quanto procedimento tecnico e lo trasformi in un linguaggio artistico|, ma anche Balasz, montaggio come realizzazione artistica del film e Bazen — montaggio come elemento artistico che rende il cinema l'arte moderna per eccellenza. PUDOWKIN (1893-1953): regista, attore e teorico della storia sovietica, si forma presso la scuola/laboratorio attoriale di Kulesov, con cui realizza anche diversi film. Esordì alla regia con un documentario che andava ad illustrare le teorie della riflessologia di Pavlov. Il cinema si è subito accostato ai discorsi scientifici. alla rappresentazione e poi all'accostamento delle diverse rappresentazioni, queste rappresentazioni diventano * immagine vera e propria — qualcosa che permette allo spettatore di provare pathos o estasi. Abbiamo un doppio movimento all'interno dell'opera d'arte, da un lato la rappresentazione diventa immagine, dall'arto lo spettatore riesce ad accedere ad una dimensione più alta, ovvero prova un'uscita da sé stesso, un'estasi che possiamo paragonare alla catarsi, grazie alla quale nella sua mente si forma quella famosa nuova idea, quindi a un nuovo livello percettivo. Questo pathos sono dei movimenti in primo luogo affettivi: dare forma a questi sentimenti informi pre intenzionali dell'essere umano è il primo grande molo che deve avere l'opera d'arte, dare forma a questi sentimenti grazie a cui l'uomo può accedere a una conoscenza superiore di livello logico. Il movimento dell'immagine e il movimento dello spettatore sono entrambi delle estasi, un'uscita da sé, la rappresentazione esce da sé e grazie al movimento spazio temporale del montaggio diventa immagine — lo spettatore esce da sé grazie alla visione di questa immagine e prova pathos. L'immagine da forma allo spettatore e ai suoi sentimenti. [Tramite la messa in forma di sentimenti ed emozioni che una forma pura non hanno, l'opera d'arte trova la sua espressione e diventa opera d'aste totale.| Per Ejzenstejn il montaggio si ritrova in tutte le asti, poi il più alto è quello cinematografico, ma per essere tali tutte le arti devono subire un montaggio. Grazie a questi movimenti -rappresentazione immagine e spettatore e pathos- si realizza il compito dell'arte e l'arte lo può realizzare in quanto diventa qualcosa di quasi organico, vivo: il film può essere paragonato ad un organismo vivente che palpita sullo schermo. Il montaggio al cinema è sovrano ed è il luogo in cui il procedimento di montaggio si esprime al massimo proprio perché riesce a unire in un unico momento e in un unico movimento tutti i piani percettivi dell'essere umano, spazio, gesto, movimento, fisiognomica, colore, parola, musica. Teoria generale del montaggio 1937 p.69— Ejzenstejn si pone come un teorico contemporaneo, dice- possiamo iniziare a fare una storia del montaggio nel 1937 ma non solo, ci spingiamo avanti e facciamo delle predizioni su quello che sarà il montaggio- la teoria vuole sempre anche essere qualcosa di predittivo. In questa introduzione al saggio, anche stilisticamente, Ejzenstejn incomincia a elencare tutte le cose che sono state dette sul montaggio in questi pochi anni di teoria. “Sbagliano anche tutti quelli che oggi si affannano a seppellire il montaggio, ritenendo che il montaggio sia morto solo perché nel cinema sonoro l'immagine si taglia di meno” — ad un cesto punto Ejzenstejn scrisse in un saggio Bela dimentica le forbici. proprio a sottolineare il fatto che Balasz diceva che va anche bene se si monta di meno, si taglia un po' meno. L'introduzione del sonoro portò ad una serie di posizioni che dicevano che ormai il cinema è arrivato alla possibilità di massimo realismo, quindi facciamo un piano sequenza con ripresa diretta, microfoni aperti senza più bisogno di tagliare, invece Ejzenstejn dice di no, infatti firma il manifesto dell'asincronismo — facciamo si che nel montaggio tra sonoro e immagine nasca un concetto nuovo. Restaurazione di Ejzenstejn: la maggior parte delle sequenze sonore viene ripresa con inquadratura da un unico punto. Ejzenstejn ci sta dicendo: * attenzione che qui ci stiamo perdendo il senso del montaggio all'interno dell'arte cinematografica; * dividiamo la storia dell'arte cinematografica e dell'arte del montaggio in tre fasi: in tutte le tre fasi deve avvenire la apparizione e conversione l'una dell'altra, fenomeno-essenza, rappresentazione-immagine, devono sempre convertirsi l'una nell'altra: Ripresa fissa da un unico punto — l'unico modo per far si che questa rappresentazione diventasse immagine doveva essere nella cura della composizione plastica: una composizione plastica di un evento/stanza doveva essere l'essenza della stanza. Non la stanza specifica, ma la composizione plastica del set, che sarebbe stato ripreso da una ripresa unica, doveva essere l'essenza della stanza. Introduzione del decoupage. montaggio — nel secondo stadio è il montaggio ad assumere il ruolo della generalizzazione, prima era la composizione plastica, ora il montaggio stesso. Ejzenstejn era un fan di Griffith, idea che il montaggio in certe occasioni deve essere sempre uguale: noi non possiamo rappresentare ‘una stanza partendo da un dettaglio del vaso sul tavolo, bensì quella stanza dovrà essere mostrata prima da un campo totale, poi mano a mano avvicinandosi in modo che lo spettatore possa riconoscere e costruire la forma della stanza. In questo caso il montaggio è l'elemento che riesce a generalizzare la rappresentazione facendola diventare immagine. Introduzione del sonoro — sincronizzazione interna e rappresentazione del suono: il sonoro diventerà il montaggio sonoro all'interno del film sonoro, diventerà quell'elemento in grado di fare passare la rappresentazione ad immagine, quindi il sonoro dovrà lavorare con la rappresentazione in modo da fare sortire questo effetto. Il passaggio sarà completo nel momento in cui tutti i film, oltre ad essere sonori saranno anche a colori: il cinema a colori si avvicina di più alla nostra rappresentazione visiva e mentale. Il fatto che nella fase del sonoro sia il montaggio sonoro a fare in modo che quella rappresentazione diventi immagine è molto interessante: se non viene fatto il montaggio sonoro, ma il sonoro viene buttato li a coprire l'immagine, alla fine non otteniamo più l'uscita della rappresentazione verso l'immagine, ma abbiamo semplici rappresentazioni senza significato. Opera d'arte totale intesa come opera organica, viva, l'uomo vivo con la sua coscienza sarà il fondamento delle leggi che presiedono la costruzione dell'immagine — il montaggio che permette il passaggio dalla rappresentazione |estasi della rappresentazione| in immagine, sarà basato sui principi fisiologici di attività mentale dell'essere umano. Un film funzionerà e vivrà come un essere umano. Ejzenstejn dice che fin dall'inizio il montaggio è insito nella meccanica del cinema, anche se diciamo che nella fase del montaggio plastico, ripresa monopuntuale in cui il montaggio è dato dalla dimensione plastica della rappresentazione, in realtà già a priori c'è un montaggio, quello trai singoli fotogrammi che da il movimento e poi il montaggio concettuale -come si articolano tra loro le varie scene, sequenze ecc. p.74 Per una volta un uomo di teatro, Ejzenstejn, dice che per certe cose il teatro è superiore, abbiamo subito quella relazione affettiva importante e vedere quella scena a teatro, vista così, da molta più emozione rispetto alla rappresentazione fotografata e proiettata al cinema — il cinema è l'arte moderna, quella che sarà poi l'unica arte totale, quindi bisogna trovare nuovi modi, ecco dove arriva il montaggio |dividere prima la rappresentazione e montarla in un modo, facendo attenzione ad avere dei pezzi scanditi secondo un ritmo, montaggio musicale molto forte, poi figurativamente correlati|. Tutti i principi di composizione della fotografia devono essere impiegati all'interno del singolo fotogramma e poi uniti e messi a scontro tra i vari fotogrammi: se abbiamo un fotogramma con linee che vanno tutte verso destra sarebbe buona cosa che la parte successiva abbia dei fotogrammi con delle linee che vanno tutte verso sinistra, in modo da avere questo gioco di composizione figurativa a scontro. I pezzetti separati di una rappresentazione sono quelli che ci attivano a costmire e provare affettivamente quella emozione che avremmo nella vita reale di fronte a un fatto/evento — non la rappresentazione frontale di una lotta al cinema, ma proprio la creazione di questa tensione data dalla ricostruzione dell'immagine della lotta che ci viene data da piccoli pezzi separati ma uniti, provoca a noi questo accesso ad una dimensione superiore |quindi la rappresentazione della lotta unite insieme dal movimento del montaggio diventano l'immagine della lotta, immagine intesa nel suo senso affettivo-immagine sentimentale che noi abbiamo della lotta|. Il montaggio viene poi paragonato all'azione degli attori che invece di seguire un copione prestabilito in ogni singolo dettaglio vivono il copione, quella sceneggiatura, rispondendo attivamente a quanto gli si pone davanti facendo nascere ogni volta uno spettacolo, una scena nuova anche se sempre la stessa: allo stesso modo funziona il montaggio cinematografico. [Ejzenstejn critica i registi teatrali che cercano di utilizzare i mezzi cinematografici per ottenere le stesse cose che si utilizzano al cinema tramite l'utilizzo della luce, come il dettaglio.| Ci sono degli escamotage teatrali, il regista teatrale deve sapere come dirigere l'attenzione dello spettatore verso dei primi piani intesi in senso lato — verso qualcosa che è presente all'interno della scena teatrale come riuscire a isolare l'elemento su cui vuole attirare l'attenzione, un costume, un movimento dell'attore ecc.: dice che questa idea del primo piano, di focalizzare l'attenzione dello spettatore su un dettaglio ingrandito lasciando fuori la visione periferica, esisteva già nel teatro grazie a una serie di procedimenti. Sottolinea che non bisogna cercare di replicare in qualche modo la tecnica dei primi piani dei dettagli cinematografici facendo cose a sua detta “orrende” tipo accendere il faretto su un singolo attore, questo è un trucchetto che però non funziona, perché è vero che lo spettatore vede questo fascio di luce ma non è detto che focalizzi la sua attenzione solo su quello e non sul resto. Ejzenstejn |descrizione della scalinata di Odessa] — l'idea che per far risuonare il sentimento dello spettatore fino ad elevarlo alivello di estasi e di pathos si possa ottenere nel modo più facile presentando sullo schermo un altro essere umano che agisce in modo patetico, in un modo ricco di pathos, viene realizzata ad esempio di Ejzenstejn nell'idea di tipaz. Idea che un attore e la costruzione del personaggio, il personaggio non deve più essere solo la rappresentazione di una classe sociale, ma deve diventare l'immagine di quella classe sociale — attore-tipaz, certi tratti della fisionomia concorrono a formare questa rappresentazione che si fa immagine in un certo tipo di recitazione. Es. sulla Carozzata Potjomkin, l'idea del marinaio che si comporta con una forte presenza, prende le redini della sommossa sulla Corazzata, diventa l'emblema, diventa l'immagine non solo di tutti i marinai coinvolti dentro la rivoluzione sulla Corazzata, diventa l'immagine stessa del rivoluzionario, che per un attimo esce dalla massa per rappresentarla meglio e per portare lo spettatore a una condizione di estrema empatia e quindi estrema estasi, uscire da sé stesso, rispecchiarsi nell'immagine e voler agire a sua voltain un determinato modo. Lezione15 VERTOV (1896-1954) — ha percepito nettamente il fato che il cinema avrebbe potuto inaugurare una vera e propria rivoluzione percettiva, un nuovo modo di vedere e leggere il mondo sensibile, però che avrebbe potuto farlo unicamente a condizione di saper spiegare in modo naturale la sua capacità di cogliere e riproporre il mondo visibile. Due cose il cinema soprattutto deve essere in grado di cogliere: i movimenti che lui definisce necessari delle cose e il titmo intemo che le cose hanno nel loro unirsi le une con le altre. Per Vertov la percezione della realtà può avvenire tramite due modalità principali: 1. la nostra normale abitudine di percezione —> un semplice e passivo riconoscimento, vedo una cosa e la riconosco. Il problema è che questa nostra percezione naturale può essere qualcosa di caotico, può fare apparire la realtà come qualcosa di indecifrabile. Tra questo riconoscimento passivo e la possibilità che da questo riconoscimento nasca una percezione caotica e indecifrabile si dovrebbe andare ad inserire il cinema, ‘un cinemaparticolare, il Kinoglaz; 2. Kinoglaz — organizza la percezione e riesce a restituirla con un senso compiuto, in questo modo evidentemente il cinema e il montaggio si pongono a metà tra il riconoscimento passivo umano e il possibile caos andando a modificare quel caos e donandogli un senso. In questa direzione di pensiero, per Vertov il cinema è qualcosa di costruttivo, perché riesce a fare vedere quelle cose invisibili che legano il movimento delle cose rendendole visibili agli occhi umani, ci fa vedere il rapporto tra le cose. La cosa estremamente importante è che il kinoglaz non deve essere un cinema recitato, ma un cinema documentario. in cui il vero attore è il montaggio — in questo senso Vertov anticipa l'idea dell'ipertesto: qualsiasi immagine del mondo ripreso può essere poi montata con infinite altre immagini. Paradossalmente qualsiasi fotogramma può essere accostato costruttivamente a un altro fotogramma rivelando il rapporto tra quei due oggetti e quindi creando un testo infinito, interminabile e sempre diverso. Questa idea del cineocchio di Vertov entra in contrasto con le idee di Ejzenstejn: per quest'ultimo il montaggio, tutta la serie di movimenti statici, dovevano portare il soggetto ad agire, entrare in questo sentimento di altissimo pathos per poi riuscire a fare qualcosa nel reale. Lo scopo dei due autori era trasmettere dei determinati precisi contenuti di matrice politica, ma le strade che prendono sulla carta appaiono opposte — se Ejzenstejn vuole portare lo spettatore agli shock percettivi |rappresentazioni che diventano immagini e quanto immagini colpiscono profondamente l'animo e i sentimenti dello spettatore, portandolo ad avere un'idea nuova], dall'altro lato per Vertov il ruolo del cinema è quello di fare vedere ciò che non appare a prima vista nella nostra percezione. Ejzenstejn implicazioni filosofiche, Vertov approccio documentaristico: cinema come principio di riorganizzazione del reale, della realtà. Manifesto del Kineglaz e Dogma 95, è interessante leggere questi due manifesti in parallelo perché il manifesto non è esplicitamente un testo teorico, ma si fa comunque teoria del cinema. Il manifesto del kineglaz avvicina molto la concezione dell'occhio meccanico che vede di più e l'idea della macchina tipica dell'epoca verso una meccanizzazione, una velocità maggiore e una precisione effettiva: qualsiasi lavoro svolto da una macchina sarà sempre migliore di un lavoro svolto da un uomo. Il montaggio deve rivelare il movimento e i rapporti che esistono tra le cose, non vuole dire che deve filmare le cose in movimento, perché le cose impoitanti sono gli intervalli, cioè gli stacchi di montaggio che danno e creano il ritmo e il movimento. Rispetto ai teorici del primo periodo emerge il fatto che la forza del cinema è ricercata all'interno della tecnologia: da un movimento teorico che voleva staccare il cinema dalla sua natura di dispositivo tecnico [cioè finché non arriverà qualcuno in grado di utilizzare questo strumento tecnico fotografico documentaristico, di elevarlo, costruire un linguaggio, quindi staccarlo dalla sua natura di dispositivo meccanico| qui abbiamo un ritomo — voler esaltare la natura meccanica non solo del dispositivo che riprende, bensì anche di tutto il mondo intorno |come se la proprietà tecnica di precisione della macchina potesse andare ad accrescere le proprietà degli oggetti che vengono filmati]. Stesura di Vertov delle istruzioni provvisorie ai circoli del Kineglaz- su come si fa il cinema: toma l'idea del fatto che il cinema in qualche modo influenzi le persone, in questo caso l'ipotesi di Vertov è che facendo vedere i drammi della borghesia |telefoni bianchi in Italia| si facesse addormentare la massa, che in realtà era sempre arrabbiata — cinema non solo come mezzo propagandistico, ma anche come mezzo ipnotico per sedare le rivoluzioni delle masse. E' evidente una organizzazione molto precisa del fare un film, fare il cinema come deve essere fatto. La struttura pare quasi gerarchica, abbiamo questo movimento, Kinopravda, diffuso su tutto il territorio che deve produrre questi film — il dirigente di questo circolo distribuisce dei temi ai diversi operatori, brainstorming tematico in cui l'osservazione va fatta nel posto che si intende osservare: la sceneggiatura al momento non c'è, c'è un'idea, un tema. Ognuno dei kinoki osservatori apporta del materiale che poi viene pubblicato sul giornale illustrato e poi il tema ritenuto più interessante diventerà il cineoggetto. Metodo produttivo che parte da una serie di convinzioni politico teoriche -c'erano dei temi politici che dovevano essere sviluppati tramite la messa in montaggio di film che facessero vedere come funzionava la Russia del tempo, eliminando la paste narrativa di impianto cinedrammatico, d'amore — queste cose non gli interessavano, l'unica cosa che gli piaceva del cinema americano d'azione era il fatto che venisse montato molto velocemente, più velocemente rispetto agli standard europei e russi dell'epoca. Molti film girati all'epoca, pur con soggetti e sceneggiature di stampo comunista, propagandistico ecc, in realtà erano di un qualcosa che era nel pieno del suo farsi. Oggi abbiamo la possibilità di vedere i film di nuova uscita, ma anche di recuperare i film del passato, recuperare il cinema muto, lo stesso Bazin ricominciò a guardare i film di Chaplin- provare a riguardare quel cinema con uno sguardo che ne cogliesse meglio la profondità e l'importanza. Questa possibilità di avvicinarsi alle pellicole e poterle vedere è qualcosa che appaitiene alla fine degli anni '30 e diventerà più frequente dal secondo dopoguerra, quando i cineclub diventano questi luoghi in cui le persone possono vedere dei film che non avevano avuto modo di vedere, oppure di rivederli dentro una comice culturale differente -che non solo valorizzava il cinema come strumento o momento culturale, ma anche come terreno di confronto tra le persone. Il cinema attivava lo spettatore, l'idea che il cinema sia qualcosa che non solo va guardato in una sala buia e in questa dimensione totalmente immersiva e passiva, ma qualcosa che attiva lo spettatore e lo porta a compiere un lavoro di lettura, comprensione attiva dello spettatore. Attività di Andrè Bazin nel secondo dopoguerra: * diffusione del cinema presso tutti, proselitismo culturale — sono anni in cui il pubblico cinematografico è in continua crescita, la tv da li a poco metterà in forte crisi la sala cinematografica, ma il secondo dopoguerra è il momento in cui c'è un motivo di grande esplosione |finita la guerra le persone possono muoversi liberamente, possono frequentare liberamente le sale e possono vedere i film che non hanno visto- alcuni film non sono ‘usciti in Europa, Orson Welles. * cinefilia come missione — il secondo dopoguerra è il momento in cui ricircolano film, opere anche letterarie che la guerra e il fascismo aveva frenato dagli Usa, il cinema americano anriva nel secondo dopoguerra, anche la letteratura: momento di grande scoperta e riscoperta di cose che non erano giunte in Europa o che erano state messe in un angolo. * impegno di Bazinin“Travail et culture”: associazione per la diffusione del cinema e delle arti — associazione che si occupava di teatro, cinema, musica; ® lavora per diverse testate “Le parisien liberè”, “Esprit’, “Ecran francais” — giornalista, si muove su diverse testate. Parisien Liberè è un quotidiano che è uscito l'indomani della liberazione, mentre le altre sono altre riviste culturali e cinematografiche che fioriscono in questi anni. Cahiers du cinèma — Bazin è legato a questa rivista mensile nata nel 1951. Sulle pagine dei Cahiers si sviluppa l'identità dei registi più significativi della Nouvelle Vague: fermento di questi giovani come Truffaut, Godard, Rivette |politique des auteurs|, giovani attivi, frenetici nella loro sete di parlare e scrivere di cinema e combattere contro il cinema du papa, il cinema francese di tradizione che loro decidono di combattere con tutte le loro forze per dare il via a quella che poi andrà definendosi come la politica degli autori > ‘una delle posizioni critiche più fortemente espresse attraverso i Cahier du cinema, anche se spesso non riconosciute da Bazin. A un certo punto Bazin si distanzia dalle posizioni più estreme di questi giovani su la politica degli autori, non era sicuro che questa sorta di ideologia dell'autore sia veramente feconda e sia l'esito delle sue posizioni critiche. Esiste un testo molto famoso di Bazin che si interroga sulla politica degli autori, dove lui prende le distanze dalle posizioni più estreme dei suoi giovani allievi. E' importante cogliere questo spirito battagliero che contraddistingue sia Bazin che i suoi più giovani accompagnatori: Bazin è stato molto importante per i suoi “allievi”, 1400 colpi di Truffaut 1959 — Truffaut è stato quasi adottato da Bazin, quest'ultimo muore all'inizio delle riprese del film, venne infatti poi dedicato a lui. Parigi ripresa da una macchina in corsa, sequenza dei titoli: film che apre una nuova epoca, Nouvelle Vague- presentato al festival di Cannes. Questo film, dopo questa scena dei titoli è dedicato alla memoria di Bazin, assume un significato molto forte. Vedere questa dedica nel primo film del suo primo assistente è un segno, qualcosa che vale la pena di notare. Un altro riferimento esplicito è // disprezzo di Godard 1963 — Godard cita letteralmente Bazin “diceva Andrea Bazin” importante sequenza iniziale in cui la voce dice, invece di mettere dei titoli “il cinema di Bazin sostituisce al nostro sguardo un mondo che si sintonizza sui nostri desideri”. Anche questa è una dedica di Godard, ancora più forte nel momento in cui dice che il film racconta la storia di questo mondo che si sintonizza sui nostri desideri. Il suo testo Cos'è i/ cinema? è diviso in 4 volumi, 4 aree che possono dare conto della visione di Bazin sul cinema e della sua elaborazione teorico critica: ontologia e linguaggio 1958 — è l'unico che lui ha visto uscire, gli altri sono usciti postumi alla sua morte. L'edizione italiana, molto tarda essendo del '73, è una selezione, a cura di Adriano Aprà: prima traduzione italiana che però non è chiarissima, ci sono alcune cose che risultano poco chiare e essendo una selezione mancano alcuni testi, es -la difesa di Rossellini, che non è stata inserita nell'edizione italiana. Bazin si occupa ancora di film, è un critico militante che lavora sul campo, questo fa si che il suo scrivere ed elaborare una teoria parta sempre dal cinema, che però è un cinema in cui mescola diverse tipologie di film che solitamente non vengono messe affianco. * Bazinè l'autore di uno degli ultimi Organon del cinema: una serie di testi finalizzati a fornire un panorama completo e tendenzialmente coerente di diverse osservazioni sulle diverse sfaccettature e proprietà del cinema come dispositivo tecnico ed estetico — Bazin aveva l'ambizione di pensare di poter fare un'elaborazione teorico critica del cinema che fosse capace di tenere tutto insieme. Bazin si occupa ancora di film critica: film, teoria:cinema| -Bazin e Balazs sono pensatori che hanno molto forte il lascito della critica e sono dei critici militanti che lavorano sul campo, questo fa si che il suo elborare ‘una teoria parta sempre e inevitabilmente dal cinema. Mescola film molto noti con altri sconosciuti, tipologie di film che solitamente non vengono affiancate l'uno all'altro: questo suo muoversi nell'enorme universo del cinema è l'esito di questa visione molto ampia. Dopo Bazin nessuno si porrà questo tipo di obiettivo, di qualcosa che abbracci tutto. * Dudley Andrew su Bazin- “La morte di Bazin ha coinciso con la fine di una sorta di età dell'oro della critica cinematografica. I teorici cinematografici, inclusi queli ostili alle sue posizioni, guardano con meraviglia a Bazin, che nel 1958 era padrone di una visione del cinema completa, coerente e profondamente umanistica. Oggi il cinema è considerato un oggetto così vasto che un teorico può tutt'al più ritagliame per lo studio solo ‘una piccola porzione — interessante la sua visione di abbracciare il cinema in tutte le sue forme, non era spaventato dall'idea di potersi muovere su un così ampio territorio. * Nota che Truffaut scrisse nell'edizione americana degli scritti di Bazin “se aveva un cuore grande come una casa, era anche la logica incarnata, un essere di pura ragione e un dialettico superlativo. Aveva una fede totale nel potere dell'argomentazione e l'ho visto avere la meglio sul poliziotto più tenace. Smascherava un'argomentazione disonesta sposando dapprima la tesi del suo avversario sviluppandola meglio di quest'ultimo e infine demolendola con la logica rigorosa”; * Eric Rohmer, La somme di Andrè Bazin“non si tratta di un insieme di appunti, di schizzi, questa costruzione pur non essendo coronata da un fastigio, poggia non di meno su solide basi; non solo l'impalcatura, ma anche itramezzi sono al loro posto. Nonostante le apparenze non abbiamo a che fare con una raccolta, questi testi tutti suscitati da una precisa circostanza , facevano contemporaneamente parte dello sviluppo di un progetto metodico, che ora ci viene rivelato. Ogni articolo, ma anche l'opera nel suo insieme, possiede il rigore di ‘un'autentica dimostrazione”. L'opera completa di Bazin è un labirinto in cui ci si può perdere, ma molto importante è questo rivendicare l'impoitanza del ragionamento, della logica, della struttura coerente del sue pensiero -aspetto che sia o che Truffaut avevano a cuore soprattutto in confronto alle critiche di coloro che invece dicevano che Bazi in fondo era solo un critico, che non aveva lo spessore di un teorico e che alla fine il suo impianto non era così solido. Il fatto che lui non abbia potuto curare la sua opera e non abbia potuto portarla a compimento fino in fondo ha sempre suscitato delle perplessità: sia Truffaut che Rohmer tendono a mettere in luce questo aspetto del ragionamento, della sua capacità di costruzione metodica e di sviluppo di tesi suppoitate, delle argomentazioni — riconoscono a Bazin una foste coerenza e capacità di riflessione di tipo teorico. * Aprà, introduzione all'edizione italiana di Che cos'è il cinema? “L'influenza di Bazin sul cinema modemo è indiscutibile, o per meglio dire, Bazin ha saputo come nessun altro presagire ciò che stava succedendo nel cinema durante gli anni '50 e che sarebbe esploso negli anni '60. Come dire che Bazin ha sempre parlato di un cinema che non esisteva, e di cui coglieva le tracce in generi minori, ai margini del cinema. Il suo campo d'azione erano i film etnografici, antropologici, scientifici, film per ragazzi, film d'arte. Le analisi di Bazin segnano irrimediabilmente la fine di un cinema di finzione e l'intrusione di quella nozione “ontologica” di realtà |qualcosa di diverso dai vari realismo sovietici, americani e perfino italiani] che è un po' la delizia e il dilemma degli anni '60: scoperta del cinema verità, intrusione delle tecniche del 16mm e della presa diretta nel cinema narrativo, ossessione e nevrosi del piano sequenza, tentativo di sintesi delle due tendenze del cinema -il binomio Lumiere/Meliès” — Bazin si occupa di film che non stanno nell'ordine di grandezza della grande industria Hollywoodiana, a volte fa riferimenti a film sconosciuti, film che non appartengono alla produzione mainstream: questo apre al cinema moderno, cinema che esce dalle logiche produttive, narrative, stilistiche e tecniche del passato. Quando dice che Bazin influenza il cinema moderno, la sua idea e la sua teoria che si fonda sulla natura ontologicamente realistica dell'immagine fotografica e cinematografica, sembra accompagnare quello sviluppo di un cinema che può finalmente liberarsi da alcuni vincoli, a partire da una questione tecnica — arrivo delle macchine leggere, il suono in presa diretta, le 16 mm a portata di tutti, quindi un nuovo modo di fare cinema che sembra rappresentare la realizzazione di quello che Bazin aveva teorizzato. Bazin intuisce e sostiene l'idea di un cinema che si avvicina sempre più alla realtà, in un modo che non è lo stesso praticato dai sovietici, dagli americani e dagli italiani — lui fa una sintesi di tutte le forme di realismo per sostenere la sua idea di realismo come essenza profonda del cinema. Lezione17 Nel saggio di Bazin non si parla di cinema, è dedicato alla fotografia, ma questa riflessione che fa Bazin è una riflessione che ci posta inevitabilmente al cinema e ci porta a mettere a fuoco quali sono le fondamenta della sua visione e interpretazione del cinema. Ontologia dell'immagine fotografica 1945 |ricerca dell'essenza dell'immagine fotografica] > saggio che apre il testo, lo aveva deciso Bazin -il primo volume degli scritti di Bazin è l'unico che lui ha effettivamente curato e la posizione prioritaria di questo saggio è stata decisa da lui. Riflessioni che partono dalle mummie e dagli antichi egizi, è un saggio fondamentale nel mostrare il modo in cui Bazin conduce il proprio ragionamento, saggio che mostra come le sue argomentazioni sono spesso molto ampie rispetto ai temi che vuole trattare, ma i nessi tra le varie zone del discorso sono ben argomentati. Primo concetto: genesi delle arti. dove nascono le arti? Se noi andassimo a cercare le origini dell'arte andremmo a trovare che la pittura e la scultura nascono dal complesso della mummia. Ci dice che uno dei bisogni fondamentali della psicologia dell'uomo è di difendersi dalla morte, dal tempo che passa, quindi l'idea di poter fissare il corpo, di trattenere il corpo dalla sua inevitabile scomparsa, mummificare un corpo vuole dire cercare di sconfiggere la morte e ricondurlo alla vita, ciò che fanno le mummie. Il primo moto contro la mote è quello di fissare i corpi, cercare di trattenerli, così come le mummie: azione che nasce da una pulsione fortissima che l'uomo ha di preservare sé stesso. Parte da questo bisogno antichissimo originario che sta alla base dell'arte e della pittura e statuaria — l'idea di poter salvare l'essenza delle vite attraverso le apparenze, che siano il corpo mummificato o delle statue sostitutive nell'eventualità della scomparsa del corpo. Fa poi un salto temporale molto grande e, se nella cultura egizia e preistorica questa idea di esorcizzare la morte aveva a che fare con dei riti votivi e un aspetto religioso, ora facendo riferimento a Luigi XIV siamo in un altro momento storico, in cui l'idea di sconfiggere la morte e di lasciare un'immagine di se non ha più lo stesso tipo di valenza, in questo caso è veicolata attraverso un ritratto di Lebrun: il processo è sempre lo stesso, in fondo il ritratto di Luigi XIV è un modo di esorcizzare la sua scomparsa e di fissare nel tempo le sue apparenze e le sue fattezze corporee contro la sua inevitabile scomparsa del suo corpo. Mentre nella cultura egizia si pensava che la mummia e la statuetta fossero ‘un modo per tenere in vita colui che era morto, nella Francia di Luigi XIV non si pensava più così, ma c'era l'idea che il ritratto di Luigi XIV fosse un modo per ricordarci la persona viva, quindi lo salva da una seconda morte spirituale. Mano a mano che il tempo passa non c'è più l'idea che l'unica cosa da salvare siano gli esseri umani, ma in generale l'arte diventa la creazione di un mondo reale che è una copia, una riproduzione del reale. Bazin sta dicendo che quello che l'arte per molti secoli ha voluto fare al di la della religione, al di la di quello che poteva valere per la cultura egizia, la pulsione delle arti da un punto di vista psicologico era quello di assomigliare, fare copie della realtà, persone, ambienti, animali — l'arte ha avuto una forte pulsione mimetica della realtà che era un modo per vincere e sconfiggere la propria paura della morte. Secondo lui, la pulsione realistica dell'arte nasceva dalla paura della morte. Se noi prendiamo in considerazione il ruolo che hanno svolto prima la fotografia e poi il cinema nel ruolo dell'arte, capiamo anche perché l'arte è entrata in crisi a metà dell'800: è entrata in crisi perché è arrivata la fotografia e poi successivamente è arrivato il cinema — questa vocazione che lui intuisce essere presente in tutta la storia dell'arte, la vocazione di riproduzione del reale, entra in crisi nel momento in cui viene inventato qualcosa che permette di ottenere un risultato in modo più preciso e puntuale di quanto possa accadere nella pittura. Lui dice: pensate alla pittura medievale che non si poneva il problema della riproduzione fedele della realtà, era più simbolica, rappresentava il mondo ma era meno ossessionata dalle proporzioni della realtà, non era ancora stata inventata la prospettiva — la prospettiva nasce con l'idea di riprodurre la nostra percezione dello spazio, quindi riprodurre più fedelmente la realtà: pulsione riproduttiva di mimesi e ricreazione della realtà. Citazione di Malraux p.4 “il cinema non è che l'aspetto più evoluto del realismo plastico il cui principio è apparso verso il Rinascimento e ha trovato l'espressione limite nella pittura barocca” — fa riferimento alla pittura medievale che non si poneva il problema della riproduzione fedele della realtà, agiva sul piano simbolico rappresentava il mondo ma lo faceva con delle coordinate spaziali meno ossessionate dalla riproduzione della realtà, non era ancora stata inventata la prospettiva |quadro di Leonardo strutturato con le linee della prospettiva]. Qui non ha parlato nell'arte medievale, ma di quella rinascimentale: Rinascimento, epoca in cui viene inventata la prospettiva, Brunelleschi, Leonardo — la prospettiva è una strada che l'arte imbocca a partire dal rinascimento, che porta l'arte sempre di più verso una pulsione riproduttiva, desiderio di rimpiazzare il mondo esterno con il suo doppio. L'arte rinascimentale e la prospettiva avevano permesso di rimpiazzare uno spazio fittizio a quello reale, aveva portato alla possibilità di replicare visivamente la dimensione, la profondità dello spazio reale, ma quello che mancava all'arte rinascimentale era la capacità dell'espressione drammatica dell'istante — quello che la pittura barocca riesce a fare è. cogliere la capacità drammatica dell'istante preciso |istante in cui la lama taglia la gola- Caravaggio, Giuditta che taglia la testa a Oloferne|. Nel quadro di Leonardo possiamo parlare di un tempo sospeso, non un istante preciso, al contrario del quadro di Caravaggio che cattura l'istante drammatico in cui il sangue schizza via, proprio come oggi potremmo fare tramite una fotografia. Una volta che si è scoperta la possibilità di riprodurre il reale, dalla scoperta della prospettiva si genera un bisogno ‘un quartiere di Parigi, vede questo palloncino e se lo porta in giro, quindi tutte le inquadrature comprendono il bambino con il palloncino, anche a scuola lo lascia un bidello, poi lo porta a casa e la nonna lo butta fuori dalla finestra, il palloncino resta davanti alla finestra del bambino e li si capisce che questo palloncino lo segue. Il palloncino è un buffo amico, relazione tra bambino e palloncino, il punto che interessa a Bazin è la compresenza del bambino e del palloncino. Laddove il film di Tourane deve tutto al montaggio, la prima considerazione che Bazin fa a proposito di Le ballon rouge è che invece in questo caso la forza del film non deve nulla al montaggio — l'associazione tra questi due film è interessante perché anche qui il palloncino fa qualcosa che un palloncino normale non farebbe [come le bestie di Tourane che si comportano da uomini]. “Il palloncino rosso di Lamounrisse infatti compie davanti alla macchina da presa i movimenti che gli vediamo compiere” — primo punto del ragionamento di Bazin: Bazin sta usando questi due film per sviluppare il suo di ragionamento, quindi sono quasi dei pretesti, la prima cosa che a lui interessa è che questi movimenti del palloncino non sono ottenuti attraverso degli effetti di montaggio, ma sono effettivamente accaduti davanti alla macchina da presa finquadratura che mostra la compresenza dei due elementi effettivamente presenti davanti alla macchina da presa, non è che questo palloncino sia stato inserito o sia stata creata una relazione tra palloncino e bambino attraverso ‘una giustapposizione di inquadrature con il montaggio). Il palloncino si muove perché mosso da dei fili invisibili, è un trucco, ma non deve nulla al cinema come tale, l'efficacia di questo trucco non dipende dal cinema, si potrebbe fare anche in teatro. A Bazin interessa sottolineare che nonostante si tratti di u trucco, questo trucco avviene nella realtà, non avviene in post produzione — quello che noi vediamo è una favola cinematografia che non potrebbe che essere realizzata al cinema, ma non deve nulla al cinema nel senso che non deve nulla al montaggio. Secondo passaggio del ragionamento — da una parte è il montaggio che crea illusione, dall'altra il fatto che ne è la specificità, quindi è da contenere e da limitare perché la specificità del cinema è la possibilità di rispettare l'unità dello spazio in cui avvengono gli elementi. ?? La letteratura e il cinema di montaggio hanno la possibilità di manipolare tutto quanto, mentre il cinema, per essere sé stesso e assecondare la propria vocazione deve cercare di rispettare l'unità dell'azione e dello spazio. non deve creare una realtà che non esiste — siccome il cinema ha questo stretto rapporto con la realtà non lo deve violare, tradire. Se Balon rouge non deve niente al montaggio, vi fa ricorso accidentalmente, non è un film in piano sequenza, è un film composto dal montaggio. Crin Blanc è il film precedente di Lamounisse |il primo film citato da Bazin] — film che ha una forte vocazione documentaria, benché racconta qualcosa che in realtà non esisterebbe, ma lo fa attraverso gli strumenti di ripresa della realtà, non gioca su degli effetti di post produzione, documenta ciò che accade: in questo senso documentario. C'è una realtà concreta e materiale che è data dal luogo in cui è girato il film, La Camargue, dal cavallo, bambino, i non attori, allo stesso tempo la realtà concreta per diventare questo documentario immaginario, favola, deve andare oltre alla realtà materiale e fare ricorso a diversi cavalli per ottenere l'effetto di un unico cavallo — ci sono alcune scene che sono impossibili da immaginare nella realtà, come il finale del film -bambino che nuova a mare aperto con il cavallo. La favola nasce dall'esperienza che essa trascende: c'è un piano di realtà, il film che deve trascendere dalla realtà, perché quello che vuole raccontare non sarebbe dentro la realtà. Dopo aver detto che il montaggio crea delle illusioni e manipola la realtà, adesso dice che bisogna stabilire dei limiti entro cui può operare il montaggio senza violare l'essenza del cinema. Va definendosi l'assunto del montaggio proibito, Bazin dice: il regista non deve manipolare, non deve aggirare un problema |la cosa non deve accadere fittiziamente, la cosa deve accadere realmente, davanti alla macchina da presa), quindi il regista deve perseguire la compresenza di due elementi dell'azione nella stessa inquadratura —> * nonè consentito al regista di aggirare col campo-controcampo la difficoltà di far vedere due aspetti simultanei di un'azione: se io mostro prima una cosa e poi l'altra posso creare l'illusione che queste due cose siano compresenti. Lamourisse l'ha capito nella sequenza di caccia al coniglio, abbiamo sempre in campo il bambino, la selvaggina e il cavallo -il potere e l'emozione di queste immagine sta nel fatto che noi vediamo queste immagini nella loro autenticità, perché la macchina da presa riprende qualcosa che sta effettivamente accadendo, il coniglio il cavallo e la selvaggina sono effettivamente insieme e interagiscono davanti alla macchina da presa, non vengono accostate le diverse immagini. Secondo Bazin questo è un perfetto esempio di come il cinema dovrebbe fare, non deve usare dei sotterfugi, ma deve proprio inseguire questa forza del cinema: questa scena sarebbe stata diversa se fosse girata con il montaggio, alternando campo e controcampo, ma la cosa forte che il cinema fa in questo caso è farci vedere ciò che effettivamente sta accadendo: così il cinema può sfruttare la sua essenza. Punto nodale del suo ragionamento per indicare una strada in cui si possa sfruttare al meglio e valorizzare l'essenza del cinema, che è qualcosa che a suo giudizio il montaggio viola. Lezione19 Legge estetica del montaggio proibito — non è che sia inviolabile, non è normativo, non è che ci sia una sanzione se violato, ma è un punto di arrivo i ragionamento che paite dal saggio: il suo pensiero è un lungo ragionamento. Si arriverà alla riflessione sul neorealismo, come il cinema ha trovato la piena possibilità di sfruttare la sua essenza realistica, Bazin vede in Crain Blanc una felice dimostrazione di quello che lui sostiene essere molto importante |nella sequenza di cui parlavamo prima). “Bisogna che l'immaginario abbia sullo schermo la densità spaziale del reale. Il montaggio non può essere utilizzato che in limiti precisi, sotto pena di attentare all'ontologia stessa della favola cinematografica. Per esempio non è consentito al regista di aggirare con il campo/controcampo la difficoltà di far vedere due aspetti simultanei di un'azione’ — Bazin parla dell'immaginario, il rapporto con la realtà non deve solo essere legato a qualcosa che racconta la realtà, altrimenti questo principio varrebbe solo per il documentario, per i film dove non c'è finzione. A Bazin interessa mostrare che questo principio vale anche laddove si ragioni in termini di finzione, Crain Blanc è una favola, così come Ballon Rouge, può essere una favola immaginaria ma deve avere la densità spaziale del reale. A lui interessa che questo principio valga anche laddove si ragioni in termini di finzioni, dove c'è la fiction. Non è che il montaggio sia vietato, non è in termini assoluti — Bazin fa riferimento a Welles |autore che ha un peso importante sul pensiero di Bazin| e chiama in causa due suoi film, L'orgoglio degli Amberson -film dove Welles ricorre a seconda dei passaggi del film, es. il prologo del film, al montaggio. Lui usa il montaggio per mostrare tutti i punti di vista e tutti i personaggi il contesto all'interno del quale si sviluppa la storia; c'è una sequenza di questo film che è un piano sequenza, macchina ferma in campo medio in cui gli attori sono lasciati a loro stessi, la durata è data dai tempi di recitazione degli attori. Welles, a seconda della materia e delle esigenze del film, è un regista che crede molto nella forza della realtà |per quanto possa essere aitificiale la realtà di ‘Welles- non è soltanto la realtà oggettiva, concreta, lo spazio reale: Welles gira buona parte dei film in studio). Eppure partendo da Quarto potere Bazin elabora la sua riflessione sulla profondità di campo e sul piano sequenza, quindi su scelte tecnico linguistiche che sono perfettamente sintoniche con la sua idea di cinema che rappresenta la realtà, anche se quella di Weles non è la realtà oggettiva, non è il mondo reale, ma è un mondo ricostruito in un teatro di posa — a Bazin interessa la dimensione della realtà come tempo. come durata, come accadimento di un qualcosa: la scena della firma in Quarto Potere è tutta girata in studio, ma quella è un'immagine realistica nel momento in cui offre allo spettatore la stessa densità del nostro sguardo sulla realtà, ci impone la stessa esigenza interpretativa che ci pone la realtà. Bazin attenua da sé le sue posizioni, da questo principio dice che dipende da qual è l'intento di ciò che si vuole fare, in certi casi però la legge del montaggio proibito ha una particolare rilevanza, discrimine tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Ci sono dei momenti per cui la legge del montaggio proibito assume una particolare valenza in particolari e specifici contesti |scena della caccia di Nanuk, sarebbe inconcepibile se non ci mostrasse nella stessa inquadratura il cacciatore, il buco e poi la foca]. P.73 Prendiamo questa legge come spunto di una riflessione, poi Bazin vede quando è poi indispensabile che questa accada — laddove c'è l'intento di raccontare cosa è accaduto realmente è fondamentale rispettare la regola del montaggio proibito -questione etica, documentario; laddove non sia fondamentale il valore documentario, di testimonianza della verità, ma invece domina l'aspetto didattico e di spiegazione, allora può essere concessa la violazione della legge del montaggio proibito. L'espressione della durata completa è contrariata dal tempo astratto del montaggio — in certi casi, es. di Welles, Quarto potere, il fatto che siano film che sfruttano la durata concreta e rifiutano il montaggio, non c'è contraddizione con il fatto che si tratti di film di pura finzione, questo principio vale per il documentario, ma può valere ancora di più nei film di finzione che hanno la forza di fare questo, hanno una forza in più. Ci sono delle situazioni, soprattutto di genere comico, in cui la legge del montaggio proibito può essere molto importante. Sequenza del circo di Chaplin — Chaplin fugge e si trova nella gabbia con il leone, si trova davvero con il leone: compresenza di Chaplin e il leone, è questa la forza, altrimenti la comica non avrebbe la forza che invece ha, non ci sono solo inquadrature alternate di Chapline il leone. La cosa importante di Ballon Rouge, come nel caso di Chaplin e di Keaton è che questi film sono pieni di trucchi, ma sono trucchi profilmici, che avvengono davanti alla macchina da presa, non sono trucchi di montaggio, la realtà è davanti alla macchina da presa, non viene costruita una realtà immaginaria con l'associazione dei pezzi. Le ballon rouge, esempio molto strano, ma c'è poi un filo conduttore che tiene unite tutte le riflessioni di Bazin. E' dal confronto con Une fee pas comme les autres e le Balon rouge che nasce il ragionamento. L'evoluzione del linguaggio cinematografico — sono due saggio uno di seguito all'altro e solitamente vengono considerati inscindibili. Saggio particolare, una specie di riscrittura della storia del cinema, un modo per guardare la storia del cinema da un punto diverso da quello a cui siamo abituati. Registi che credono nell'immagini vs registi che credono nella realtà [Orson Welles|: attraverso queste due categorie Bazin guarda allo sviluppo della storia del cinema, a come il movimento è andavo avanti dagli albori fino agli anni '50, guardando alla storia del cinema non come a un susseguirsi di tappe di cesura — Evoluzione del linguaggio cinematografico: l'avvento del sonoro è una rivoluzione tecnica ma non estetica — non guardiamo l'avvento del sonoro come ‘una vera rivoluzione che ha cambiato il cinema, è una rivoluzione tecnica ma non estetica, perché alcune linee estetiche del cinema si generano nel cinema muto e grazie al sonoro si possono sviluppare ulteriormente. Come se guardasse la storia del cinema da un punto di vista diverso da quello a cui siamo abituati. Ingiustificata avversione del sonoro, che invece ha dimostrato nell'arco degli anni che “non veniva ad annullare l'antico testamento cinematografico, ma a completarlo p.75 — l'arrivo del sonoro sembra sconquassare il mondo del cinema, per la disperazione di alcuni che ritenevano che questo fosse il climax della cinematografia. L'arrivo del sono è stato salutato con grande entusiasmo da alcuni, ma con grande preoccupazione da altri |abbiamo appena portato al suo massimo sviluppo questa lingua e ora la dobbiamo abbandonare|. Bazin si chiede poi, è veramente cambiato qualcosa dal punto di vista dell'estetica del cinema? Esaminando la storia del cinema dal punto di vista del dècoupage non ci sono soluzioni di continuità così evidenti — Bazin analizza la storia del cinema dal punto di vista del dècoupage |tecnicamente è la suddivisione di inquadrature che si possono fare prima del film, data una sceneggiatura, date delle battute, decido che questa scena viene definita in immagini attraverso una scelta di diversi frammenti. L'arte del dècoupage è stata alla base della grammatica del cinema classico hollywoodiano- cinema regolato e costruito attraverso una seri di accordi che tendono a rendere questi passaggi di inquadrature meno visibili possibile allo spettatore- il dèecoupage ha regole molto precise]. Per come lo usa Bazin, non è tanto un discorso tecnico, ma è qualcosa che ha a che vedere con la struttura profonda del film, quindi è qualcosa di più ampio rispetto al termine tecnico che normalmente vi è. Un regista come Rossellini non si preoccupava di fare un dècoupage a tavolino, non aveva quasi sceneggiatura, ma il suo cinema presenta comunque una grammatica. Bazin ci invita a riflettere sulla struttura profonda del film, nell'organizzazione complessiva del film. Il suo è un discorso stilistico, se guardiamo la storia da questo punto di vista, quello della grammatica, ci rendiamo conto che esistono due modi diversi di guardare la lingua. Mettere in relazione il concetto di dècoupage e l'idea dello stile- guardare al dècoupage, quindi alla grammatica e da qui possiamo vedere due modi diversi di concepire il cinema; dagli anni '20 al '40 Bazin individua due correnti stilistiche, che hanno viaggiato parallele, due concezioni radicalmente differenti dell'espressione cinematografica: (categorie che dobbiamo prendere con cautela) 1. iregisti che credono nell'immagine; 2. iregisti che credono nella realtà; Il cinema dell'immagine è un cinema che aggiunge qualcosa nella sua rappresentazione, non si limita a rappresentare la realtà, ma la manipola: con ciò che riguarda la messa in scena e plasticità dell'immagine - costumi, trucco, scenografia, recitazione |cinema espressionista e plasticità dell'immagine, Caligari — cinema in cui il tmcco, lo stile della scenografia, l'illuminazione ecc, completa la composizione; l'immagine ha una sua plasticità che non ha niente a che vedere con una immagine reale, è una realtà distorta all'origine]. Storiograficamente, l'importanza di Griffith inventore del linguaggio cinematografico e di alcuni stili di montaggio] è un luogo comune, viene individuato come il momento di nascita del linguaggio, nascita del cinema come arte. Credere nell'immagine: © utilizzazione del montaggio invisibile del cinema americano classico — lui sta parlando della linea di coloro che credono nell'immagine, di coloro che usano il montaggio e la plasticità dell'immagine per aggiungere qualcosa alla realtà. In questo ragionamento il montaggio invisibile centra fino ad un certo punto, non è che aggiunga qualcosa alla realtà, più che altro la plasma. Bazin dice che all'intemo di questo decoupage classico invisibile di cui noi non ci rendiamo più di tanto conto, perché siamo condotti dal film e da un montaggio dentro un mondo e non ci accorgiamo di questo montaggio perché completamente guidati, all'interno di questo stile possono poi esistere dei procedimenti come il montaggio parallelo o montaggio alternato, dove improvvisamente il montaggio diventa visibile. Montaggio parallelo di Griffith- idea di simultaneità di due azioni lontane nello spazio attraverso il succedersi di due inquadrature; © scuola sovietica del montaggio -Ejzenstejn © impressionismo francese -Gance; © espressionismo tedesco -Weine; Bazin parte da un uso debole del montaggio, quello tipico del cinema classico |montaggio importante, ma non portato a sviluppare al massimo le sue potenzialità| per poi fare due esempi, quello di Gance e di Ejzenstejn, che invece sono molto chiari per mostrare quanto potere ha il montaggio di creare qualcosa che non esisterebbe, ma che nasce dall'incontro e dallo scontro delle inquadrature, facendo un uso ideologico del montaggio — il montaggio, sia quello vari passaggi: sta cercando di farci pensare a quella situazione in cui c'è l'attore che vede il piatto di minestra, quindi leggeremo nel suo volto il desiderio di nutrirsi. Nel 1938 si trova quasi dappeitutto lo stesso tipo di decoupage, narrazione come analitica e drammatica: Le varianti di questo decoupage hanno i seguenti punti in comune: * la verosimiglianza dello spazio, nel quale è sempre determinata la posizione del personaggio, anche quando ‘un primo piano escluda l'ambiente; * le intenzioni e gli effetti del decoupage sono esclusivamente drammatici e psicologici; [Es. sequenza del film di Capra, racconta di un uomo che viene chiamato a rappresentare l'uomo qualunque che può diventare un candidato alle elezioni. Sequenza che mostra le elezioni in cui stanno per scegliere questo candidato, fanno un provino e cercano di trovare un volto per questo personaggio immaginario. Nel film il protagonista vede un piatto di cibo, non è la scena che racconta Bazin -visto che lui fa riferimento all'esperimento di Kulesov, ma è un esempio interessante in cui vediamo effettivamente come lavora il montaggio nel caso del cinema hollywoodiano classico in una situazione simile a quella chiamata in causa da Bazin. In questa sequenza vediamo rispettata la sintassi del decoupage classico, è interessante vedere la relazione tra il primo piano del personaggio e i dettagli: questo montaggio ci dimostra tutti gli elementi utili per la definizione dei tratti drammatici, psicologici e sociologici — capiamo che è povero, affamato, bisognoso di cibo e di lavoro, abbiamo una perfetta percezione di questo spazio in cui si muovono i personaggi. Esempio i Fritz Lang- dopo una serie di inquadrature di donne che pettegolano inserisce l'immagine di delle galline che schiamazzano in un pollaio; sopravvivenza del montaggio delle attrazioni. Bazin associa le regole del decoupage classico hollywoodiano con quelle che segue il cinema francese degli anni '30. Lezione21 P.85, la fine del decennio '30 per Bazin è l'inizio di qualcosa di nuovo, è la data in cui cominciano a vedersi i segni di nuovi movimenti. Fa riferimento a Welles e Wyler. Scena di Quarto Potere della slitta -la macchina non è ferma, si muove, ma l'inquadratura rimane quella scelta e non ci sono stacchi di montaggio. Come Griffith per il primo piano, Welles non ha inventato la profondità di campo — Griffith si fregiava di essere l'inventore del primo piano, alcuni cineasti fatto tesoro di alcuni intuizioni di una possibilità tecnica che grazie ad alcuni progressi tecnici vengono sfruttati in modo più intenso e significativo. La sfocatura |mettere a focus qualcosa in primo piano e lasciare sfocato dietro] è una possibilità tecnica che il decoupage classico ha sfruttato ampiamente proprio perché è una possibilità che permette di rafforzare le scelte del montaggio — dal momento in cui il montaggio opera una selezione degli elementi rilevanti e significativi, la sfocatura del fondo permette di evidenziare ulteriormente l'elemento messo in rilievo. Accenna a Renoir, La regola del gioco e La grande illusione, Bazin riporta poi un'affermazione di Renoir che dice -io preferisco lavorare con la compresenza degli attori invece di usare il campo controcampo. Se si deve ricercare un precursore di Welles, non c'è bisogno di andare alle origini del cinema, dove la profondità di campo non era il frutto di una scelta, ma era imposta dalla consapevolezza che si aveva all'epoca delle possibilità linguaggio cinematografico e dalle possibilità tecniche degli obiettivi e delle pellicole — è giusto ricordare che la profondità di campo non l'hanno inventata né Welles, né Renoir, ma è giusto sottolineare che c'è differenza tra una profondità di campo di un'inquadratura Lumiere, piuttosto che una di Renoir o Welles. Quarto potere — tre livelli di presenza, madre, padre e il piccolo sul fondo, montaggio intemo con la profondità di campo [la mamma è la stessa attrice de L'orgoglio degli Hamberson|. In questo film vediamo una vera e propria composizione e un lavoro degli attori che viene rispettato nel suo fari, nel suo articolarsi, es. Orgoglio degli Hamberson -due sequenze, una che si chiude e l'altra che si accoda, ci sono alcuni passaggi in cui Welles lavora in continuità e in profondità lavorando in una dimensione che gli permette una prospettiva e una coralità, ci sono personaggi che parlano in contemporanea, cosa abbastanza singolare per il cinema Hollywoodiano dell'epoca. Ci sono delle voci in sottofondo, dei personaggi che entrano in campo da davanti, ci sono delle scelte eccentriche rispetto allo stile corrente e al decoupage classico. Non stiamo semplicemente guardando la registrazione di un'azione, ma stiamo guardando un'intensificazione — la scelta tecnica crea un'intensificazione dell'azione, che se fosse stata spezzettata non avrebbe sortito lo stesso effetto. Storia di un contrasto tra il vechcio è il nuovo, la famiglia Hamberson è molto ricca, facoltosa, che guarda con grande sospetto al vechcio capitalismo industriale, quindi l'invenzione bizzarra dell'automobile. C'è poi una coppia più giovane il figlio più giovane degli Hamberson e dalla figlia dell'inventore dell'automobile — il contrasto tra il vecchio mondo e il nuovo mondo, la famiglia della ricchezza e la piccola famiglia composta solo da padre figlia, è un dramma sentimentale, dimensione intima e vicina ad alcune tensioni che nascono all'interno di queste relazioni famigliari. La scena che vedremo è la scena della fine della festa in cui si salutano gli ospiti, in cui il figlio più giovane della famiglia Hamberson comincia a corteggiare la giovane Lucy, poi la parte successiva in cui i personaggi della famiglia Hamberson risalgono nelle loro stanze. Incomincia a svilupparsi il rapporto dove Welles usa in modo evidente le possibilità della profondità di campo, sono il rapporto tra il figlio Hambersone la zia: i due hanno un rapporto molto intimo, ma anche molto conflittuale. Questo è un dialogo tra George e la zia, i due battibeccano a causa del fatto che la zia ha un debole per il padre di Lucy e il nipote lo ha intuito. Uso della profondità di campo che permette l'avvicinarsi e il definirsi delle relazioni tra il nipote e della zia, zia che da dietro interviene poi nel dialogo con i membri della famiglia, si conclude con loro che si avviano nel corridoio — dimostrazione delle potenzialità che Welles esplora nell'uso della continuità e della profondità. Sviluppo drammatico nella sua durata reale, nessun intervento del montaggio. Il culmine di queste scelte, la scena in cui in maniera programmatica si realizza quello che permette a Bazin di ragionare su queste scelte stilistiche di Welles, è la scena della cucina. Effetto superiore che Welles riesce a ottenere anche rispetto alla ricchezza e alla densità che riesce a creare, purezza del dialogo che parte dal corridoio e arriva fino davanti alla stanza della zia. P. 86, raffrontare i due fotogrammi di Welles e Wyler con profondità di campo |slide|. Il regista moderno non rinuncia al montaggio, Welles usa il montaggio, ma c'è un momento in cui la scelta è molto netta e Welles abbandona il montaggio e lascia in mano alla relazione tra la macchina da presa e attori lo sviluppo drammatico dell'azione — la durata reale e le relazioni dei personaggi sono restituite nella loro integrità, questo consente il raggiungimento di una densità che non sarebbe stata raggiungibile altrimenti. “Sarebbe assurdo negare i progressi decisivi apportati dall'uso del montaggio nel linguaggio del film, ma essi sono stati acquisiti a presso di altri valori, non meno specificamente cinematografici”-la continuità e la profondità di campo rispecchiano la realtà in maniera molto più fedele. E' per questo che la profondità di campo non rappresenta una caratteristica dell'operatore, ma un'acquisizione capitale della regia: un progresso dialettico nella storia del linguaggio cinematografico. Bazin fa riferimento al fatto che, magari, girare in continuità potrebbe essere un modo per risparmiare del tempo e del denaro |fare un'unica inquadratura al posto che farne dieci potrebbe significare che si spendono meno soldi e si impiega meno tempo, in realtà è tutt'altro che semplice] — nella scena che abbiamo visto c'è un'orchestrazione degli attori, dei loro movimenti, di battute e movimento della macchina che non sono certamente economiche. Scena de L'orgoglio degli Hamberson della cucina girata in piano sequenza, in continuità — reazione emotiva che cresce gradualmente fino ad esplodere, Welles sta li, si concentra esclusivamente sul dialogo dei due personaggi e sulla tensione tra i due. Scena in cui lui mangia la torta e la zia gli dice che ne mangia troppa. Dura oggettività — definisce quello che Welles sceglie di fare in questa scena: l'immobilità e il fatto di lasciare in mano agli attori tutto quanto è una scena molto dura nel mostrare questo momento di alta difficoltà, che se fosse stato frammentato non avrebbe sortito lo stesso effetto. “Per Welles, la scena da realizzare costituisce un'unità spazio-temporale. La recitazione di un attore perde il suo senso, si svuota della sua linfa drammatica come un ramo tagliato, se in essa non viene mantenuto un legame vivo e sensibile trai protagonisti e l'ambiente” — Welles fa in modo che la sua regia non privi di linfa drammatica la recitazione degli attori. La profondità di campo: rapporto spettatore-immagine: * la profondità di campo pone lo spettatore in un rapporto con l'immagine più simile a quello che egli ha conla realtà |struttura più realistica] — indipendentemente dal contenuto stesso dell'immagine, la sua struttura è più realistica; * essaimplica unatteggiamento mentale più attivo e anche un contributo positivo dello spettatore alla messa in scena |un montaggio analitico lo pone in una posizione passiva|. Dall'attenzione e dalla volontà dello spettatore dipende in parte che l'immagine abbia un senso — secondo Bazin questo tipo di regia e quest'uso della p. di campo fa si che lo spettatore debba essere chiamato in causa da un punto di vista interpretativo, per ché deve decifrare ciò che sta vedendo. Mentre il decoupage classico porta per mano lo spettatore e lo guida, in questo caso è richiesto un minimo di scelta personale: lo spettatore è indotto a chiedersi dove deve portare la sua attenzione; * se.il montaggio per sua natura si oppone all'ambiguità, la profondità di campo reintroduce l'ambiguità nella struttura dell'immagine — c'è un senso che noi vogliamo dare e per dare senso alla scena che stiamo girando decidiamo di strutturare in un certo modo -il montaggio ha sempre una funzione analitica, chiarificatrice, al contrario la profondità di campo introduce l'ambiguità nella struttura dell'immagine: è una possibilità. Non è che la prof. Di campo necessariamente conduca all'ambiguità, ma la rende possibile, cosa che il montaggio tende a cancellare: il montaggio non deve essere ambiguo, ma sempre chiarificatore. L'ambiguità è dettata dal fatto che noi abbiamo troppe informazioni, o comunque informazioni che ci sono mostrate nella loro dura oggettività: è talmente oggettivamente mostrata la scena che noi la dobbiamo interpretare, proprio perché è ambigua nel suo mostralsi, così come è ambigua la realtà. Bazin si sente di dover dire qualcosa a proposito di Quarto Potere, che non è un film solo votato al piano sequenza e alla profondità di campo, c'è molto altro — la cosa interessante è che quel tipo di espedienti che potremmo fare risalire alla linea dell'immagine plastica e del montaggio sovrano, non viene completamente rinnegata, ma viene rivitalizzata in relazione al fatto che Welles la mette a contatto con quest'altra che è la nuova rivoluzione che sta avvenendo del cinema. A p.83 aveva fatto un riferimento al fiume, alla fine si riconduce a quell'immagine vedendo in Welles colui che è il regista che ha più evidentemente sfruttato questa possibilità, compreso la possibilità del cinema e sfruttato la sa essenza. P. 89 Noi qui siamo dentro il cinema hollywoodiano, ma poi passa da Welles al cinema neorealista italiano —> in questo punto mette vicini due mondi cinematografici completamente diversi. Ponte che lui crea tra diverse cinematografie: come in Welles, il neorealismo tende a restituire al film il senso dell'ambiguità reale. Il neorealismo italiano si oppone alle forme anteriori del realismo cinematografico per l'eliminazione di qualsiasi espressionismo e, in particolare, per la totale di assenza di effetti dovuti al montaggio. Salto del ragionamento molto ardito, siamo passati a Wyler a Rossellini e De Sica, ma il ragionamento ha una sua logica — non è una questione di uniformità di stile ma è lo stesso intento di annullare l'aitificio e dare al cinema la piena possibilità di rappresentare la continuità vera della vita della realtà. Bazin vede questa linea che per certi versi si eclissa con l'arrivo del sonoro, poi vede riattivarsi negli anni '40 > Mumau, Flaherty, Storheim, arrivo del sonoro -momento in cui sembra che questa linea, questa capacità di guardare la realtà come un sotto interrogatorio si stia affievolendo o indebolendo- ma in realtà questa luce si riaccende con Renoir e poi esplode con Wyler e Welles e poi con il realismo. Bazin non vuole svalutare il cinema classico, ma introdurre l'idea di un processo dialettico di cui gli anni '40 segnano la grande articolazione. Bazin dice che adesso non è che dobbiamo pensare che il cinema debba solo più lavorare in profondità di campo e con dei piani sequenza, però la cosa importante è che questa comprensione e possibilità di preservare la durata degli eventi fa si che l'uso del montaggio acquisti un nuovo senso e misura rispetto al passato. Idea che il cinema scriva con le immagini, in relazione alla realtà : cinema che smette di essere un luogo di promozione di un'ideologia [il montaggio permetteva di fare tutto ciò che si voleva al fine di veicolare un significato montaggio che aiutava a descrivere, a rendere più chiaro|, finché tutto questo viene superato dalla possibilità data al regista di scrivere con le immagini — sembra che a questo punto il regista abbia a disposizione un arsenale di strumenti e delle esperienze che hanno postato il cinema alla piena possibilità di sviluppo come arte e linguaggio realistico. Lezione 22 Parte 4 (4°volume di Bazin) sul neorealismo- parlerà del neorealismo soltanto da un certo momento in poi, le prime pagine sono state pubblicate nel 48, quando il neorealismo era ancora un termine non condiviso — pag. 275, in questo momento non chiama ancora il neorealismo “neorealismo”, anche se l'Italia percepisce il termine neorealismo nel '48 a partire da considerazioni francesi. |Bazin scrive queste prime pagine a ridosso degli eventi, è stato uno dei primi a cogliere l'importanza rivoluzionaria di quello che verrà definito cinema neorealista- nell'ultimo sottocapitolo si vede che Bazin ha assorbito il termine neorealismo]. Il termine ha avuto molti problemi anche ad essere accettato dagli stessi registi italiani, De Sica e Rossellini hanno cercato di fuggire all'etichetta, perché si è trattato di percorsi paralleli, che hanno assorbito un contesto comune, molto vicino, ma non è mai esistito un vero movimento — è un movimento culturale e sociale dell'Italia, che affonda le sue radici negli anni della guerra della liberazione e nell'immediato dopoguerra, '45,'46, fino al '48. Bazin scrive che è stato immediatamente riconosciuto il rilievo di Paisà, probabilmente il paragone più giusto rispetto all'importanza di Paisà e l'importanza che ha avuto il film -La corazzata Potjomkin, c'è una continuità tra questi due lavori, non in termini stilistici, ma in termini di opposizione |come il cinema sovietico si è opposto all'estetismo espressionista e alla star hollywoodiana -uno dei mali del cinema hollywoodiano secondo Bazin, anche il cinema italiano-mette vicine queste due forze rivoluzionarie|. Bazin dice che questi sono mossi da uno stesso spirito oppositivo, ma non è che Sciuscià o Paisà siano come il Potjomkin, la storia non si ripete — importa fare emergere le soluzioni del neorealismo italiano, Bazin tratta il cinema italiano come una vittoria contro l'estetismo, che ha fatto arrivare il cinema ad una fase nuova. Quando Bazin fa questa riflessione non è ancora uscita La terra trema di Visconti, stanno ancora succedendo delle cose |prime pagine, fine '47|. Uno dei ragionamenti che fa Bazin riguarda il rappoito che esiste tra questa fase nuova che si pone con grande forza, ma che non arriva dal nulla — individua negli anni del fascismo, passato recente che il cinema neorealista si vuole lasciare alle spalle, una cultura cinematografica che prosegue anche nel cinema neorealista. Lui va ad individuare alcuni film che a suo giudizio mostrano i segni di qualcosa che sta per accadere, mostrano una strada che il cinema del dopoguerra saprà sviluppare fino in fondo. Ci sono due punti di riflessione di Bazin: da un lato il conoscere il rapporto che il fascismo ha avuto con il cinema. grande investimento anche si propaganda che fa Mussolini sul cinema, che ha comunque permesso la formazione di ‘una generazione di registi [De Sica, Rossellini, tutti registi che si formano negli anni del regime|. Bazin invita i suoi lettori a prestare attenzione alla fondazione del cinema di Venezia, che è una perfetta espressione della politica cinematografica di Mussolini, ma che rappresenta un'esperienza che apre la strada ad una nuova forma di espressione della cultura cinematografica: l'idea di poter raccogliere film che provenivano da diverse parti del mondo- idea di individuazione di uno scenario internazionale che il festival vuole valorizzare. cinematografico. Attraverso al ricordo si questo film ci invita a cogliere questo tatto cinematografico, che vuole anche dire una estrema libertà, a Hollywood le inquadrature e i movimenti di macchina sono un carattere quasi divino, qui la panoramica è invece portata direttamente sullo sguardo del personaggio, è personalizzata. Lezione25 Paisà implica un coinvolgimento dello spettatore ben diverso da quella posizione passiva che assume nel cinema classico, che tende a spiegare tutto e ad indirizzare l'attenzione — soprattutto l'ultimo episodio di Paisà mette in crisi questo modo di procedere, lasciando dei vuoti stimolando lo spettatore. Sintesi dell'analisi di Paisà — l'immagine fatto, in cui sostiene che l'unità del racconto del film non è l'inquadratura |si riferisce all'inquadratura per come è concepita nel linguaggio classico|- non è un punto di vista della realtà che si analizza, bensi il fatto. Ladri di biciclette — Bazin fa partire la sua riflessione dal fatto che nel momento in cui la resistenza ha chiuso il suo ciclo, il fascismo è stato sconfitto, è venuta a meno l'urgenza di documentare una realtà così drammatica, probabilmente questa chiusura di un ciclo avrebbe potuto rappresentare la fine del neorealismo. Lui trova che /adri di biciclette, che esce appunto nel '48, quindi in un'Italia che ha superato una guerra fascista, la fase della resistenza, il film racconta dell'Italia del dopoguerra, che si sta ricostruendo — la visione di ladri di biciclette lo fa ricredere, gli fa comprendere che da cinema della resistenza si è trasformato in un cinema della rivoluzione. Questo empass del neorealismo viene superato da De Sica, che riesce a uscime e a giustificare tutta l'estetica del neorealismo, che sembrava giustificarsi solo con la resistenza. Uno dei punti che Bazin mette in evidenza è che si tratta di una storia popolare, un intrigo quasi inesistente — la storia di Antonio Ricci e del fiuto della bicicletta è una storia quotidiana, senza che accada niente di straordinario, non c'è nemmeno lo scenario di guerra che rendeva il cinema resistenziale così straordinario |perché raccontava eventi straordinariamente tragici|. Ad un certo punto Bazin dice che ritiene questo film un capolavoro assoluto sullo stesso piano di Paisà, fa poi una serie di riflessioni sul perché è un capolavoro: Bazin definisce la sceneggiatura di una abilità diabolica, è di Cesare Zavattini, nota che la costruzione a partire dalla sceneggiatura è tale da non apparire una costruzione, questo è uno degli elementi che affascina di più Bazin [il modo in cui sono concatenati gli eventi è tale da ‘un lato da non seguire una progressione drammatica, ma riconosce che il film ha una struttura a livello di scrittura molto solida|. Il film ha un messaggio molto chiaro e atroce, ma allo stesso tempo nessuno degli accadimenti esposti e il modo in cui vengono esposti è vincolato da questa tesi — non si tratta di dimostrare questa tesi, sono i fatti che ci portano a desumere e a intuire qual è la visione del mondo che ci sta sotto- questa tesi non è mai portata come tale. Non c'è un paitito preso per cui il bambino e il padre sono i buoni e il mondo è cattivo, è evidente che loro sono all'interno di una struttura sociale che li costringe ad una battaglia fra poveri- lui ha subito un fiuto ed è costretto dalla situazione a compieme uno a sua volta, perché solo con la bicicletta lui può tornare a lavorare — questo non è strutturato secondo una ripartizione tra bene e male, ma in questo mondo nessuno è puro, l'unico puro resta il bambino. Un'altra cosa che colpisce molto Bazin, che è una caratteristica di De Sica, è questa libertà che De Sica si prende rispetto ad alcuni episodi, come l'episodio della trattoria, che potrebbe esserci o non esserci, non cambierebbe la sostanza profonda del film: è un episodio che ha delle coloriture aneddotiche, comiche, ci sono alcuni momenti in cui il tono si fa più leggero- ci sono delle situazioni che sono molto verosimili, ma allo stesso tempo hanno qualche coloritura in più. Gli eventi sono raccontati nella loro realtà fenomenica, i modi in cui i registi di cui parla Bazin preservano l'ambiguità del reale non è mai scontato, sono tutti diversi, lo fa Welles, lo fa Rossellini e lo fa De Sica > ognuno di loro lo fa attraverso un proprio stile e delle proprie modalità di fare cinema, ma tutti quanti ottengono questo medesimo risultato, cioè riuscire a mantenere l'integrità della realtà e quindi non forzarla dentro delle categorie, anche di tipo morale, ma cercando sempre di mantenere intatto questo carattere ambiguo della realtà. Proprio in questo senso ci ricongiungiamo al discorso sul bambino, che è il vero punto, la riserva drammatica del film — la storia della ricerca della bicicletta e il suo epilogo non presuppongono la presenza del bambino, il bambino c'è, ma potrebbe non esserci, la sua presenza non è necessaria nello sviluppo. Il bambino è un testimone, è un punto di vista che ha delle caratteristiche particolari che dipendono dal fatto che lui è un bambino, non ha la scaltrezza, non ha ancora una coscienza fino in fondo: possiamo pensare al film come un romanzo di formazione di questo bambino, però in realtà il film non è sul bambino, è sul padre, ma parallelamente c'è questo sguardo e questo trotterellare in tomo del bambino che va poi a definire un altro punto di vista e un'evoluzione di quel personaggio. Scena della pioggia, pag.308, analisi di Bazin — nel mezzo dell'inseguimento il bambino ha bisogno di fare pipi e fa pipi, se ragioniamo in termini di drammatuigia, questo passaggio così come molti altri non è molto funzionale alla storia, non aggiunge nulla. La sequenza dell'acquazzone è un momento di stasi nel procedere di questa pseudo indagine del padre e figlio — De Sica si prende questo tempo che agli occhi di Bazin è un tempo preservato nella sua integrità reale, di questo momento che è un momento in cui i personaggi non parlano. Il discorso di Bazin si ricollega al saggio letto in precedenza e riprende da un lato il discorso sugli attori e lo porta alle estreme conseguenze; tant'è che a partire dal discorso sull'assenza degli attori professionisti che si ricollega al discorso dell'amalgama, lui qui ribadisce l'importanza della presenza degli attori non professionisti nel cinema neorealista, ma dice che nel caso di Ladri di Biciclette De Sica è andato addirittura al di la di questo. Bazin vede nel ricorrere ad attori non professionisti da un lato una continuità rispetto ai film precedenti, ma ci vede qualcosa di più — in questo caso fa riferimento a due film “I// cielo sulla palude” e “La terra trema”, non c'è più bisogno che i non attori recitino dei personaggi, perché sono loro stessi i protagonisti, il personaggio e l'attore sono la stessa cosa. Bazin porta all'estremo il suo ragionamento: dice che quello su cui De Sica ci invita a riflettere è il fatto che non si tratta più di interpretare un personaggio, ma addirittura cancellare l'idea dell'interpretazione del personaggio. Ipotesi di Bazin sul cinema anonimo-non è soltanto l'assenza di attori professionisti, ma è questa idea che la persona e l'attore siano la stessa cosa — se questo è vero, fa si che Alberto Maggiorani non possa più recitare in alcun altro film, perché lui è il personaggio |assoluta coincidenza tra personaggio e attore|. Sostanzialmente a livello di decoupage e a numero di quadrature non è un film tanto diverso rispetto al cinema classico hollywoodiano, ma la cosa importante è che è l'avvenimento che impone la scelta delle inquadrature. In questo film ogni episodio ha la sua autonomia, non è che uno da il senso all'altro, tutti gli elementi sembrano interscambiabili — Bazin ci invita a ragionare sul fatto che nei drammi e nelle commedie, le strutture per funzionare hanno un intreccio matematico; in questo caso la forza dello spettacolo non dipende da regole matematiche. La conclusione su questo cinema è paradossale: partendo dal saggio “Ontologia dell'immagine cinematografica” e a cosa lui pensava dovesse fare il cinema, lui vede finalmente in Ladri di biciclette la realizzazione piena — l'illusione estetica perfetta della realtà: non ci sono più gli attori, non c'è più tutta quella costruzione artificiale, ma è la realtà che genera il cinema. Niente più cinema nel senso di niente più artificio che ingabbia la realtà dentro a delle strutture, la realtà emerge e crea, si tratta di creare le condizioni affinché questo accada — lui non sta dicendo che non ci sia più il cinema, c'è, ma non c'è più quel cinema che lui vede superficiale, vede nel realismo e in particolare in Paisà e poi in Ladri di Biciclette, la piena realizzazione di quello che lui crede sia la vera vocazione del cinema, una sorta di espressione della realtà, condizione della realtà. Lezione26 Con Bazin siamo arrivati nel periodo dopo la seconda guerra mondiale, fa da punto di cesura anche per quanto riguarda le teorie del cinema — dopo una apparente continuità di temi intervengono tutta una serie di fenomeni che andranno a cambiare le forme e il senso stesso della riflessione estetica sul cinema. La prima paite delle teorie del cinema sono servite fondamentalmente a fare si che il cinema venga considerato a tutti gli effetti un arte: dopo la seconda guerra mondiale non c'è più bisogno che il cinema si occupi di questo, perché non solo si è dimostrato in grado di essere un elemento artistico all'interno del panorama delle arti, ma addirittura ha dimostrato di essere forse una delle poche arti capaci di incarnare lo spirito di un'epoca, di dare corpo alla creatività individuale e di esporla al grande pubblico. Anche la nozione di cultura sta cambiando, si sta allargando fino a includere tutte quelle forme con le quali una società parla di sé stessa, dei suoi membri e della situazione sociale ed economica che stanno vivendo. Anche in Italia il discorso estetico culturale è dominato da un'estetica di stampo crociano, quando nel 1948 Croce accetta l'idea che il cinema possa essere una forma d'arte, è ormai filori tempo massimo — ormai le persone intellettuali se ne erano già accorte da tempo. Vengono a definirsi i caratteri specialistici della teoria del cinema, prima della guerra di cinema poteva parlare chiunque, musicologi, critici letterari, psicologi + dopo la guerra invece, chi si va ad occupare di cinema, lo fa perché è uno specialista di cinema. Un evento importantissimo avviene in Francia, grazie allo studioso intellettuale Gilbert nasce la filmologia: la filmologia nasce all'interno dell'università di Parigi come istituto di filmologia, lui crea una squadra di studiosi che arrivano dalla psicologia e la sociologia, ma anche da altre discipline umanistiche- in questo istituto si ricerca su tutto quello che riguarda il cinema da diversi punti di vista. Perla prima volta, il cinema diventa una materia di studio da affrontare da diversi punti di vista, partendo da altre discipline, ma con una parte di preparazione sulle specifiche del cinema. Anche da noi cominciano ad entrare nelle università gli studi di cinema, in Italia negli anni '70. Dopodiché si assesta un linguaggio tecnico del cinema sganciato dall'attività teorica e quella critica: nella teoria chiunque parlava di cinema, dopodiché sono stati gli stessi registi a iniziare a scrivere teoricamente del cinema |Ejzenstejn|- questa cosa finisce: i registi fanno i registi e i teorici e i critici scrivono, cosa che si interromperà in Francia durante la nouvelle Vague |quando i critici facevano i registi, perché già nel momento in cui facevano critica affermavano che loro già stavano facendo cinema di fatto|. E' solo dopo la seconda guerra mondiale che nascono delle riviste fortemente specializzate con questi critici che si occupano esclusivamente di cinema |cinema nuovo, cinema, critica). Perla prima volta abbiamo una reale intemnazionalizzazione del dibattito sul cinema, cioè grazie a questi gruppi che paitono dalla nascita dell'istituto di filmologia di Parigi, per la prima volta studiosi di cinema provenienti da tutto il mondo riescono a instaurare un dibattito attivo e proficuo. Dopo la seconda guerra mondiale il dibattito teorico si divide in due momenti fondamentali, trail '45 e il'65 il dibattito ruota attorno al cinema dividendosi in due correnti fondamentali — il cinema visto da un punto di vista estetico, cinema come mezzo espressivo e il cinema visto da un punto di vista scientifico, cioè visto come una realtà oggettiva da esaminare nel suo funzionamento. Il primo orientamento lavora sull'essenza, cerca di definire quella che è la natura ultima del fenomeno cinematografico, per poterne definire ed esaltare le sue particolarità, cercando di abbracciare il cinema in tutti i suoi aspetti, nonché di individuare delle tendenze, quindi la funzione predittiva della teoria. L'orientamento scientifico vuole invece lavorare tramite una serie di osservazioni e analisi da confrontare, mettere alla prova, cogliendo il cinema tutte le volte da prospettive diverse — quindi, se per l'estetica il cinema va visto nella sua globalità ed interezza, il metodo scientifico disseziona le varie componenti del cinema e attraverso questi confronti cerca di raggiungere delle leggi fisiche ripetibili e conservabili per poter spiegare come funziona. Nel ventennio successivo, tra il '675 e l'85 il dibattito ruota attorno alla contrapposizione tra metodo analitico e metodo interpretativo, il metodo analitico richiama il metodo scientifico tramite applicazione di metodi, contro ‘un'interpretazione. La cosa interessante del metodo interpretativo è quest'idea di un confronto diretto fra lo studioso e l'oggetto dello studio — per la prima volta lo studioso si metterà anche in primo piano rispetto all'oggetto di studio, si capirà che essendo qualcosa di estetico, che colpisce una soggettività, il discorso sul cinema non può prescindere dalla posizione del suo osservatore, quindi lo studioso si mette in gioco anche attraverso lo stile e la forma della sua scrittura. Non vi è più quel tentativo di distacco analitico, ma utilizzando strumenti di lavoro lo studioso si pone in primo piano rispetto a quanto si vuole esaminare. Le teorie ontologiche — cercano di rispondere alla domanda “che cos'è il cinema?”, domanda che risorge dopo la seconda guerra mondiale- questo interrogativo mette in luce due questioni: da n lato sottolinea l'esistenza di alcune assunzioni preliminari che fondano la ricerca, cioè l'idea che il cinema sia un oggetto perfettamente identificabile in sé. e direttamente afferrabile |quando qualcuno dice cinema sa a cosa si sta riferendo, ci sono delle cose che riportano a questo oggetto], dall'altra parte l'idea di chiedersi cos'è il cinema vuole sottolineare la forte attenzione sulla natura del fenomeno investigato [l'approccio è ontologico, ma anche fenomenologico). In quel periodo l'idea di cinema era una cosa unica e inevocabile, perché oggi, se noi ci ponessimo questa domanda, noi non potremmo dare come assodati tutti quei fenomeni che nel '45 davano per assodato il fenomeno cinematografico, già solo a partire dalla questione della forma [oggi l'essenza del cinema è un'altra, es Netflix|. Il realismo — il dibattito del realismo nasce in Italia durante la seconda guerra mondiale, sulle pagine della rivista Cinema; dopo la fine della seconda guerra mondiale, le istanze che muovono la ricerca prima, la teoria poi e in mezzo la realizzazione del film, sono principalmente due: da un lato abbiamo il rifiuto di un'immagine bella in sé stessa [la critica inizia a rifiutare queste immagini cinematografiche che appaiono autonome, che non rappresentano nulla, né il rinvio ad una realtà oggettiva, né una riproposta|. Questi critici degli anni '40 cominciano a dire, noi confezioniamo delle immagini molto belle, fatte bene, ma sono immagini che ne rinviano al reale, né lo documentano, non trovano un aggancio al reale — tutto ciò viene poitato avanti da dei critici che scrivono la rivista Cinema, cercavano di richiamare al realismo utilizzando Verga- loro scrivevano che in qualche modo il cinema doveva prendere spunto dal romanzo realista di stampo verghiano, e dovevano farlo soprattutto utilizzando il territorio italiano, quindi fare vedere quella realtà di campagna che rappresentava realmente l'Italia di quel tempo. I critici cominciano a teorizzare il realismo nel cinema: il cinema viene utilizzato come mezzo di espressione artistica di stampo realistico ontologicamente, in virtù della sua essenza fotografica — questa idea del realismo viene spiegata in modo differente, vengono posti al cinema del reale due problemi: la raffigurazione del cinema reale deve rappresentare un reale complessivo del modo, oppure deve risaltare il reale di una singola situazione locata in un luogo, tempo, spazio precisi? Il realismo può essere un realismo dentro un cinema essenziale, che rispecchia un reale generale, oppure è esclusivamente quella vicenda? In secondo luogo, la rappresentazione del reale che si ha al cinema, può restituire il reale in tutta la sua densità, oppure ne può ideare unicamente i contorni? L'esperienza del cinema del reale rafforza l'esperienza dell'essere umano con il mondo |cioè si prova un'esperienza al cinema che non solo è un'esperienza di reale, ma è più carica di emozioni e concetti rispetto all'uomo situato nel mondo, esperienza che non si potrebbe fare al di fuori del cinema] oppure è un'esperienza che ripropone un fatto compiuto [ripropone un senso senza un aumento|? Questa è la differenza fra un realismo esistenziale come quello di Bazin, quindi un'esperienza aumentata, e un realismo funzionale, Cracoueriano. CESARE ZAVATTINI — è interessante vedere cosa ci dice del realismo chi l'ha fatto. Zavattini è stato uno sceneggiatore noto particolarmente per la sua collaborazione con De Sica, ma realizzò e anticipò anche il grande fratello: nella sua idea di cinema del reale, lui aveva anticipato nei suoi scritti questa idea di vedere le persone nella loro quotidianità. Zavattini, collegandosi all'idea del fatto che qualsiasi cosa, anche minima, della giornata della persona possa fare nascere una storia, oltre a fare il salto del grande fratello, fa anche il salto dell'idea dell'eliminazione dell'attore — gli attori non serviranno, all'attore va sostituito l'uomo che porta sé stesso sullo schermo. Un'idea che verrà poi ripresa dalla Nouvelle Vague è proprio l'idea del problema del soggettista e dello sceneggiatore: secondo Zavattini queste due figure al cinema erano un qualcosa che non aveva molto senso, perché erano una sorta di registi incompiuti — si attribuisce alla sua categoria quella che è la vera autorialità del film, creazioni dei Meliès per spiegare e fare vedere cosa intende anche come immaginario. Dal cinematografo al cinema di Moren— il saggio si apre con l'ontogenesi, quindi come viene il passaggio dal cinematografo delle origini al cinema vero e proprio, ed è importante come Moren affermi ciò il fatto di questo passaggio da macchina tecnica a attrezzo per fabbricare arte, avviene non grazie a grandi artisti che pensano esattamente a come fare arte, bensì grazie a tecnici, a persone cui non importava fare arte. Si parte dall'idea che questi artigiani operano queste modifiche sullo strumento tecnico proprio perché inconsciamente hanno idea che quello che stanno facendo è una spinta loro per dire 'posso rappresentare meglio qualcosa” — una spinta inconscia che li porta a operare questa trasformazione epocale. Morten ci dice che il | passaggio dal cinematografo al cinema avviene grazie a Meliès andando a piegare la macchina La riflessione di Moren ci spinge a considerare il fatto che, tutte quelle che noi oggi conosciamo come Je normale linguaggio cinematografico |interfunzioni del linguaggio, sovrimpressioni, cose normali che oggi sappiamo leggere benissimo] in realtà nascono quanto tecniche come trucchi |sovrimpressione della pellicola|, vengono poi piegate da ‘una grammatica cinematografica. La stessa tecnica che nasce spontaneamente, deriva in realtà da una immaginazione — la dissolvenza all'inizio nasce per creare dei momenti spaventosi, la sovrimpressione usata per fare vedere i fantasmi. Invece che da un reale ad un immaginario, vi è un passaggio da immaginario che si innesta nel reale tramite queste tecniche precise. Moren cerca di spiegare come il cinema in realtà sia intrinsecamente un mezzo per esplorare l'immaginario, immaginario come stato primitivo arcaico, stato da cui emerge anche l'alienazione. Per lui cinema nasce con lo spettro di Meliès e non tanto coni Lumière e la loro necessità di mostrare il reale. Le grosse condizioni primarie del cinema sono la mutazione nel tempo e nello spazio, la convivenza di tempi e spazi diversi insieme e la possibilità di rappresentarli — in questo senso Moren parla di metamorfosi nel tempo e nello spazio, per poi arrivare ad un universo che chiama fluido e poi all'animismo che attraversa tutte le cose. Problema del rallenti, ritorno del tempo, flashback- aspetto continuamente portato in gioco — il problema del tempo è un problema fondamentale dell'uomo |Bazin, rispetto ad un accelerato o un rallenti avrebbe detto che è il primo mezzo che permette di modificare il tempo della realtà. Il fatto che noi percepiamo dentro il cinema un tempo reale, mentre in realtà stiamo vivendo il tempo più irreale possibile, proprio perché ci sono delle dissolvenze, perché il tempo delle azioni che vediamo al cinema non è la durata delle azioni, innesca un paradosso spazio temporale — noi percepiamo reale una durata, quando vediamo l'accellerato o il rallenti ci rendiamo conto della mutazione del tempo in modo forte, ci rendiamo conto che è innaturale. Il problema forte del tempo è intrinsecamente legato all'essere umano, perché il tempo e lo spazio della nostra vita creerà sempre un problema nel momento in cui subisce una modifica. Negli anni '80 ci si rituffa nell'immaginario, che rielabora il reale, oggi di nuovo vi èp una fortissima tensione al documentario, dall'altra parte questi prodotti, che cercano di spiegare in modo scientifico come funziona la dimensione spazio tempo — è raro ora vedere la navicella spaziale o la macchina del tempo, è poco qualcosa che accade in una realtà più verosimile. Noi dobbiamo sempre chiederci cosa vogliamo da un'immagine, rispetto all'educazione al visivo, questa è difficile da affrontare — per capire come funziona un'immagine, le competenze che una persona deve avere anche a livello minimo paitono dall'informatica |se non vengono letti i titoli di cosa, mancano le info su chi, come, quando viene prodotto quel film, come leggere un libro senza sapere chi è l'autore|. L'utopia era nata come qualcosa di positivo, la possibilità di elevarsi, di crearsi un'intelligenza superiore di livello globale. Lezione28 Oltre alla metamorfosi del tempo, Moren sottolinea quella che è la metamorfosi dello spazio: cioè la questione della macchina da presa come presenza ubiqua — questo movimento della macchina da presa dona una vita ulteriore agli oggetti che vengono ripresi |visione arcaica della vita, fantasma e metamorfosi costanti che il cinema riesce a rappresentare]. Moren ci dice che l'effetto ottico dell'ubiquità della macchina da presa, quindi questa sua capacità di unire spazi e tempi differenti, porta alla metamorfosi degli oggetti: sempre con questa metafora della magia, Moren afferma che lo schermo diventa un fazzoletto da prestigiatore, dove tutto si trasforma, compare e scompare. Le dissolvenze per quanto riguarda il tempo e tutte le altre punteggiature cinematografiche e la capacità della macchina da presa di spostarsi, dona vita agli oggetti, tutto questo da vita all'universo fluido |per la sua costruzione in modo innato e ineluttabile, il cinematografo rappresenta l'universo come una continuità ovunque mobile. Idea che la fotografia e il cinema abbiano un reale valore nel momento in cui richiamino allo spettatore un ricordo, ‘una soggettività- l'anima dello spettatore entra dentro agli oggetti. Ultimo paragrafo del saggio- dall'immagine all'immaginario — è importante come Moren faccia un riferimento al cinema realista. Nonostante vengano riprese nel documentario delle immagini dal vivo, delle persone reali non-attori, in ogni caso lo spettatore non può rimanere davanti a quelle immagini come semplicemente delle immagini discorsive, perché sempre grazie alle proprietà tipiche del cinema e della macchina da presa che metamorfizzano questo tempo e spazio, all'interno di un volto/vicende reali lo spettatore metterà sempre |come un automatismo dell'audiovisione| i suoi sentimenti. Sarà comunque una visione magica, ancora più magica proprio perché non ci sarebbe quel filtro palese della finzione narrativa: lo spettatore che sa che sta vedendo una finzione applica lo stesso questo discorso di animismo dentro l'immagine, è ovvio però che ha la consapevolezza di assistere a qualcosa di finto. Operare comunque questa immissione di elementi fantasmatici e di ricordi in un qualcosa di assolutamente vero è un'operazione molto più interessante — realizza più nella pratica questa visione magica del mondo che noi non ci accorgiamo di operare. E' molto importante l'idea dell'immagine quanto strega, immagine in quanto rappresentazione, immagine che diventa viva nel momento in cui l'immaginazione le lavora insieme: questo lavoro dell'immaginazione sull'immagine avviene tramite l'immaginario |cioè la proprietà umana di modificare e vedere, immaginario come la percezione immaginaria dell'immagine|. E' importante quest'idea dell'immagine per Moren come qualcosa di diverso e staccato dalla realtà e che divifica quanto noi vediamo grazie a un processo soggettivo — l'immagine reale del cinema è già doppia, è già qualcosa di impregnato di soggettività, soggettività del regista, ma anche la soggettività dell'operatore; qualcosa in cui l'immaginazione dell'essere umano ha già operato. [Per Moren bisogna partire dall'idea che l'immagine fotografica non è mai vera, non è mai esattamente l'oggetto che viene fotografato, ma è un suo doppio: nel momento in cui viene realizzata la fotografia, questo oggetto staccato comunque dal reale, è già pieno di una soggettività, non può più essere un reale oggettivo e obiettivo. Questa per Moren è l'ontologia, non si può fuggire da li- il cinema non potrà mai essere una riproduzione del reale. perché nella peggiore delle ipotesi è già un doppio del reale | Da qui discende l'assunto che, se già nella fotografia c'è una soggettività, nel momento in cui lo spettatore guarda questa fotografia, l'unico modo in cui questa può veramente assumere un significato, è quando lo spettatore fa entrare dentro l'immagine la sua soggettività. Questo processo di immissione della soggettività o dell'immaginazione, è un processo immaginario che si innesta immediatamente anche dentro l'immagine più reale, documentaria, perché c'è comunque una doppia soggettività che entra dentro l'immagine che è già un doppio del reale [soggettività che l'ha prodotta e soggettività che la guarda]. Le teorie metodologiche — Benjamin e Astruc non fanno propriamente parte di una corrente metodologica vera e propria, Benjamin rappresenta una anticipazione di quanto accadrà poi negli anni '60 quando verrà applicata con metodo la sociologia al cinema, mentre Astruc anticipa di fatto le nuove istanze teorico pratiche che negli anni '50/'60 verranno applicate- rappresenta una vera e propria rottura, inizia il cinema della modemità con pratiche molto diverse rispetto a quelle utilizzate fin'ora. L'autore che applicherà una vera e propria metodologia molto stringente sarà Metz, ovvero il padre, insieme a Barthes, della semiologia al cinema. All'interno delle teorie metodologiche, la domanda che viene posta dal teorico al suo studio è “da quale punto di vista deve essere osservato il cinema? ”, è un cambiamento discreto dalla domanda che ci aveva accompagnato nelle teorie ontologiche, ovvero “che cosa è il cinema?”. ‘Walter Benjamin — nel 1936 anticipa la nascita di un altro spettatore, sarà proprio questa idea del cinema in quanto dispositivo ideologico |dispositivo cinematografico visto come un'arma adatta ad addormentare lo spettatore e fargli scegliere determinate idee politiche| che porterà anche alla nascita della revisione del linguaggio cinematografico classico verso il cinema moderno — lo spettatore deve accorgersi di essere al cinema, deve essere interpellato, deve essere svegliato dal sogno del cinema tramite l'utilizzo di una serie di escamotage tecnici [caduta della 4 parete, montaggio discontinuo, la grammatica del cinema moderno]. Negli anni '50/60/70 il cinema verrà fatto in maniera politica e i teorici saranno dei politici. Benjamin riflette sul problema estetico del cinema, indagando principalmente sul cambiamento delle modalità percettive umane introdotte dalla rivoluzione industriale dei primi anni del '900 — il pensiero di Benjamin si basa sulla convinzione totale che qualsiasi tecnica atistica crei delle fratture all'interno della storia dell'arte, delle fratture dalle quali si riesce a fare emergere le tendenze della storia. Questo assunto sovverte il nuolo e la funzione dell'opera d'arte all'interno della società in cui nasce: una delle fratture storiche più grandi che la storia dell'umanità ha introdotto all'interno della storia dell'arte è il cinema. Il cinema si presenta come mezzo puramente tecnico, tecnologico, il cui prodotto è qualcosa di riproducibile all'infinito, dunque viene a cadere per la prima volta nella storia dell'umanità, la concezione dell'aura — perdita dell'aura, che è il qui e l'ora, opera autentica, unica, imipetibile fun'arte che è un prodotto borghese, autonomo dal mercato, riservato ai più ricchi, facendo diventare l'opera d'arte come qualcosa di offribile alle masse]. L'idea della riproduzione infinita del cinema, film dato in più spettacoli che può essere fruito quando si vuole e che non è un pezzo unico, annulla l'idea del rituale della fruizione dell'opera d'arte — soprattutto cancella questa idea |che sottointendeva l'idea dell'opera d'arte], che l'opera d'arte sia comunque più importante che esista piuttosto che sia vista. AI cinema questa cosa non funziona: noi sappiamo che è importante che esista la Gioconda, anche se di persona non l'abbiamo mai vista [la sua importanza non viene a meno|, mentre un film non visto non esiste di fatto. Benjamin sottolinea che il carattere della visione dell'opera assume anche un carattere di natura distrattiva: all'inizio il cinema era un intrattenimento |prima della nascita del rituale le persone al cinema facevano anche altro|, lo spettatore è uno spettatore distratto, ma che comunque giudica — l'altro carattere nuovo dentro la visione dell'opera d'arte è il carattere dello shock |l'importanza dentro la visione diventa questo shock percettivo, perché per Benjamin il cinema ampia le possibilità sensoriali dell'essere umano]. Questa capacità sensoriale è anche un qualcosa che va verso l'idea della collettività, in quanto solo il cinema riesce a fare diventare la percezione visiva del singolo quasi una percezione collettiva del reale: tutti stiamo guardando la stessa cosa, tutti creiamo una percezione superiore rispetto alla nostra capacità percettiva del singolo. Questo fatto si collega all'idea che quindi l'arte cinematografica sia un'arte strettamente politica. Il cinema ricostruisce la realtà per Benjamin, ma allo stesso tempo fa vedere la realtà in modo diverso — questa possibilità data dal cinema permette all'invisibile, a ciò che sta dietro al reale, di mostrarsi, di mostrare le strutture e le sovrastrutture, quelle cose invisibili che dominano e regolano la società e che generalmente non percepiamo. Nel momento in cui si rende conto dell'utilizzo, da pate dei fascisti, del cinema per veicolare tutta una serie di idee, tramite questa estetizzazione della politica |donare a queste idee politiche una patina artistica di grande potenza estetica|, lui prova a rispondere con la politicizzazione dell'arte — per Benjamin questa politicizzazione dell'arte doveva portare comunque alla percezione collettiva verso un pensiero politico del comunismo. Il problema che emerge dalla lettura delle parole di Benjamin riguardo al cinema è comunque una poca conoscenza di quello che è l'effettivo sistema di produzione del cinema, soprattutto del cinema americano — lui analizza film appartenenti alle avanguardie storiche, quindi già un tipo molto particolare di cinema che con la politica poteva flirtare, con soluzioni differenti dal cinema di massa. Perdita dell'aura e nuova percezione — la tecnica è qualcosa che è intrinsecamente umana, è una delle cose che distinguono gli umani dagli altri esseri viventi. Quando parliamo di tecnica, dobbiamo pensare a un'esternalizzazione di una capacità, una tecnica è qualcosa che può essere insegnato e riprodotto — nel momento in cui poi la tecnica comincia ad avvalersi di strumenti estemi, utensili, è come se lo strumento diventasse un'estensione del corpo umano, entro cui è racchiusa la tecnica. Il problema della tecnica contemporanea è che oggi la tecnica è totalmente esternalizzata all'essere umano: lo strumento tecnico è qualcosa che non è più creato dall'uomo che lo utilizza, ma è creato da qualcun altro. Non è detto che chi utilizza questa tecnica sia completamente conscio di come quella è stata realizzata e del suo funzionamento | diventa quindi automatica). Il problema dell'esternalizzazione della tecnica e del suo distacco dall'essere umano sta esattamente qui, in una perdita di memoria, la perdita della memoria di come si fanno le cose — se una persona perde la capacità di scrittura con la sua mano e si affida solo al computer, la persona non saprà più cosa è effettivamente la scrittura, non c'è più quel fluire diretto del pensiero verso le dita ecc, è una perdita della memoria del saper fare. Una memoria che diventa sempre più sotterranea è una memoria che da un lato attraversa tutti, ma questa memoria viene detenuta solo da pochi: il discorso della tecnica parte da qui. Frattura che l'innovazione tecnica ha portato all'interno dell'arte- Benjamin ci dice che l'arte, nel momento in cui la riproduzione è effettuata da mano umana |copia del quadro, copia della statual, l'autenticità dell'opera d'arte originale, l'essere in un luogo unico in un tempo e spazio precisi, fa in modo che la copia eseguita da mano umana sia un falso — al contrario, la copia riprodotta, creata tecnicamente, non può mai essere un falso, perché non è qualcosa di eseguito da mano umana, ma soprattutto perché svela dell'opera d'ate autentica stessa, qualcosa di più. La fotografia di un paiticolare di un'opera può svelare di più rispetto ad una sua copia palese fatta da mano umana: la riproduzione tecnica non sostituisce l'opera d'arte, ma non diventa un falso, diventa qualcosa che ha comunque senso | per svelare qualcosa non visibile all'occhio umano, per avvicinare l'opera al fiuitore|. L'opera, nella sua riproduzione tecnica, si avvicina: se noi avessimo in casa la fotografia della Gioconda, la fotografia ha più valore per Benjamin, più valore conoscitivo, più valore di avvicinamento dello spettatore all'opera, piuttosto che un falso della Gioconda [la copia tecnica ha comunque un carattere conoscitivo, non ha l'aura, è una riproduzione, ma è una riproduzione tecnica che ci permette di vedere meglio l'opera d'arte|. Aura: opera d'arte unica dentro il luogo in cui è nata o nel museo in cui è conservata, qui e ora — il cinema non può avere questo tipo di aura, il cinema e tutte le opere d'arte riproducibili tecnicamente sostituiscono in paste l'aura che non hanno con altre qualità, ad esempio lo shock percettivo. L'esperienza è statica, essere di fronte ad un paesaggio ha per l'essere umano un'aura, un'esperienza fatta in quel momento di fronte alla visione di questo, qui e ora — quel paesaggio ripreso dal cinema o dalla fotografia, non avrà comunque l'inc e l'unc, avrà qualche altra proprietà, l'aura non investe solo l'opera d'arte, ma delle esperienze umane. L'opera d'arte al cinema è la visione del film, il momento della proiezione, l'esperienza, non la pellicola o la materialità, perché il cinema nasce come qualcosa di riproducibile. Ciò che viene a meno nell'epoca della riproducibilità tecnica è l'aura, però il passaggio interessante che fa Benjamin è quello di portare questo meccanismo tecnico di riproduzione al di la dell'aura, collegandolo direttamente alla tradizione — noi non possiamo intendere la riproduzione di un opera a una diffusione maggiore della quinta essenza dell'opera |perché nel momento in cui noi riproduciamo tecnicamente un'opera che riproducibile tecnicamente non è Dice che dell'inconscio ottico sappiamo qualcosa solo grazie alla macchina da presa, perché vediamo qualcosa che magari conoscevamo già, ma che non avevamo mai effettivamente visto. Riferimento al dadaismo: Banjamin dice che i dadaisti, con le forme che avevano all'epoca, avevano fatto fare questo passaggio ulteriore dell'opera d'arte da qualcosa che doveva essere contemplato fermi davanti alla scultura, a qualcosa che lo spettatore si riceveva in faccia senza possibilità di reazione immediata — non ci si poteva fermare a leggere e rileggere le poesie o vedere e rivedere le opere dei dadaisti, perché non consentivano la contemplazione e ponevano lo spettatore in difficoltà, che non sapeva come fruire queste opere [la loro idea era presentarsi con delle opere, chiamarle opere per poi non fare riconoscere queste opere in quanto opere d'arte agli spettatori, e suscitare quindi ‘un'indignazione di livello morale]. In questo modo anticipano la ricezione che ci sarà stata del cinema, perché lui vede il cinema come un'opera estremamente violenta, perché esattamente come le opere d'arte dadaiste, il cinema non vuole essere contemplato- sollecita sempre i sensi dello spettatore. Lo spettatore, già abituato alle opere dadaiste, ha imparato come si guardano queste nuove opere: devi essere uno spettatore con maggiore presenza di spirito, devi essere più veloce a vedere e a pensare — in ogni caso sarai aiutato nella percezione dalla presenza di una massa che guarda il film con te. Stare di fronte ad un'opera d'arte |come inteso nel rinascimento), comporta una visione concentrata, contemplativa, uno sforzo mentale elevato- un'altra forma d'arte invece che non richiede uno sforzo contemplativo così forte, ma che è talmente connaturata ormai dall'abitudine a vederla all'essere umano, è l'architettura [l'architettura abitativa, quotidiana]. Quando noi passeggiamo in una città abbiamo l'impulso giudicante, non è che osserviamo ogni singolo edificio, ma comunque notiamo l'architettura-è una visione a cui l'uomo è abituato e che ormai sa riconoscere, proprio perché ci vive dentro e non richiede sforzo contemplativo— questa è un'opera d'arte che ha più senso in un momento storico come l'inizio del '900, ed è così che sarà il cinema. Non dobbiamo pensare che il cinema sia una distrazione per masse ignoranti, perché l'abituazione dello spettatore a vedere queste immagini veloci, a non avere il tempo della contemplazione, non essere di fronte al film come ci si pone davanti al quadro, in realtà lo fa diventare uno spettatore più attento e in grado di giudicare anche nella distrazione, anche se si perde qualche pezzo, perché è diventato uno sguardo connaturato. Lo spettatore sa dove guardare e riesce a giudicare senza sforzi contemplativi, perché la visione del cinema è una visione naturale: il cinema, l'arte vera, è quella che mobilita in una maniera politica lo spettatore |l'opera d'arte cinematografica sarà valida nel momento in cui, anche nello sguardo distratto, sarà uno sguardo che mobilita lo spettatore). Benjamin spiega il motivo per cui il cinema usato dal fascismo è sbagliato — ci spiega quali sono le risposte della politica estetizzata alle richieste del pubblico, quindi lui propone lo stesso cinema come politicizzazione dell'arte. Quando un'arte/tecnica viene utilizzata per sé stessa, va verso l'autodistruzione: l'autodistruzione non solo della tecnica stessa dell'arte, bensì anche del creatore dell'arte, dell'essere umano. Bisogna che quest'arte sia per tutti in modo che sia impossibile cercare di utilizzarla come veleno, in modo che non possa essere pervettita: se il cinema è in mano a tutti, questo non potrà essere utilizzato come propaganda, perché non funzionerà più, perché tutti sono in grado di prenderlo e di utilizzarlo. Lezione30 Dal secondo dopoguerra cambia anche la condizione stessa con cui il cinema iene realizzato; Alexandre Astruc — considerato uno dei precursori della Nouvelle Vague, più specificamente della politica degli autori, in quanto tra i primi andrà a sottolineare questo concetto di autore cinematografico [che prima della Nouvelle Vague non era in uso nella prassi teorica e critica del cinema]. Lui è stato un regista, un romanziere e un critico cinematografico francese nato nel '23: egli fu un autore estremamente raffinato, i suoi film hanno spesso un'ispirazione letteraria ed è stato il padre della Nouvelle Vague proprio per questa concezione di cinema come strumento di scrittura, uno strumento di scrittura estremamente duttile, che si distacca da quelli che erano i miti analoghi del cinema come struttura visiva pura, come quella portata avanti dalle avanguardie storiche. Per Astmuc, quello del cinema è un vero pensiero — si può scrivere un pensiero attraverso la macchina da presa: può essere sia un pensiero artistico, sia un pensiero d'ispirazione romanzesca, filosofico e anche scientifico. Questa sua concezione Astruc la esprime molto bene in Nascita di una nuova avanguardia: la camèra stylo [articolo pubblicato nel '48| — Astruc prospetta la leva di una pratica autoriale, un processo di scrittura personale completamente libero in cui la figura dello sceneggiatore e la figura del regista coincidono [possiamo pensare a quanto scritto da Zavattini, questa sparizione della figura dello sceneggiatore a favore di una fusione all'interno della figura del regista sceneggiatore]. Il cinema, per Astruc, si presenta ormai come un linguaggio maturo, in grado di esprimere passioni, idee, qualsiasi tipo di prodotto -questo avviene in parte alla grandissima diffusione, all'epoca, delle tecniche leggere, in particolare del 16mm, ma anche all'avvento della televisione. La televisione viene considerata una pratica della scrittura del visivo molto leggera, quindi da un lato educherà ad una pratica del visivo permettendo al cinema di spaccarsi da certe sue imposizioni che potevano esserci, cinegiornale, cronaca, perché quelle cose saranno già demandate alla televisione, quindi il cinema potrà esprimersi alla grande in tutte le forme artistiche, poetiche, filosofiche, matematiche |che fino a quel momento non aveva potuto affrontare per questioni esterne]. La macchina stylo rappresenta per lui il superamento del cinema delle attrazioni e di questa sorta di tirannia del montaggio breve che aveva caratterizzato tutte le pratiche delle avanguardie storiche. Ci sarà anche un superamento di quello che Astruc chiama realismo psicologico del cinema francese: si scaglia un po' contro le avanguardie per questa tirannia visiva e anche contro questo realismo psicologico, in quanto per lui questa etichetta serviva quasi unicamente a ricoprire di un'aurea filosofica delle opere del tutto commerciali, che non avevano un Vero e proprio significato morale |quindi la possibilità per dei registi di scrivere il loro pensiero, avrebbe potuto essere finalmente un cinema attuale di sostanza e non di semplice evasione]. Il film sarà anche la testimonianza di una personalità, quindi la critica di cui Astruc fa parte non si dovrà concentrare tanto sul contenuto dell'opera. su cosa dice il film, ma su come il film dice certi contenuti, individuando i tratti stilistici veri e propri — entrerà anche la nozione di stile, tracce dell'autore che vengono disseminate in tutte le sue opere. Attenzione all'idea di cinema come linguaggio, perché Astruc anticipa il discorso fondamentale di Meets: non si intenderà il linguaggio della linguistica, non dobbiamo pensare alle particelle di discorso e paragonarle alle inquadrature — Mets andrà a dimostrare una vastissima conoscenza della teoria e critica cinematografica, pattirà massacrando Ejzenstejn e l'idea del montaggio sovrano. Anche stilisticamente, senza nascondersi l'idea della recensione, Truffaut si avvicina molto ad Astruc, andando a dire ai critici della categoria di cui lui fa parte che non capiscono niente, e che anche quando gli si pone sotto gli occhi qualcosa di nuovo e che sarà significativo, loro non avranno gli strumenti per riuscire a interpretarlo. Dopo essere stato un'attrazione, il cinema diventa un linguaggio — questo vuole dire riuscire a scrivere con le immagini e non una tirannia del visivo cioè l'immagine per l'immagine. Questa frase sbatte contro una buona parte dell'idea delle avanguardie storiche: idea che l'immagine abbia senso compiuto in sé, quindi una successione di immagini non per forza deve essere letta come una narrazione, l'immagine è auto sussistente. Dall'altra parte critica il fatto che il cinema sia diventato il terreno dei fotografi, fotografi intesi come un realismo documentario che non esprime nulla, una scrittura dell'immagine automatica, testimoniale, ma che in sé non riesce a testimoniare niente, perché solo immagine tecnica — è una fotografia del reale, ma non è impregnata da un pensiero reale, cosa che invece Astruc propone. La parentesi su Cartesio ci dice che il pensatore moderno, contemporaneo ad Atsruc, come mezzo di scrittura e espressione delle sue idee dovrebbe necessariamente utilizzare il cinema, come mezzo espressivo ancora più alto rispetto alla scrittura, ancora più completo. Idea che la possibilità per ciascuno di produrre consentirà un'espansione del cinema come forma di pensiero. Problema del montaggio: Astruc ci dice che il cinema muto era prigioniero di una concezione statica dell'io |x Ejzenstejn il significato nasce dalla combinazione di due immagini, l'idea dell'autore non si esprime all'interno di un'immagine in movimento unica-piano sequenza- questa nasce solo grazie al montaggio] + secondo Astruc non è il montaggio che da senso al film, come invece pensavano i teorici del montaggio. Questo perché lui ci dice che non si deve concepire l'immagine come una sequenza di immagini, bensi dobbiamo pensare al film come un movimento fluido — la macchina da presa deve scrivere questo movimento: possiamo pensare al film fatto totalmente in piano sequenza. Il senso non nasce dall'accostamento di due immagini tramite il montaggio, ci sono altri modi: una scrittura diretta, fluida, senza mai staccare la penna dal foglio, per fare passare la concezione dell'autore direttamente nelle immagini riprese in movimento |idea che vedere un film ci trasmette significato in ogni singola immagine che vediamo, un movimento di macchina, senza l'ausilio del montaggio come creatore di concetti.| Vi è poi un affondo circa i problemi dell'avanguardia, in quanto l'avanguardia aveva questa idea dell'immagine per l'immagine: qualcosa che non interessa ad Astruc in quanto non è una struttura vera e propria, per lui le opere devono essere lette da tutti — l'idea di un cinema che vuole solo esprimere una condizione psicologica, un'atmosfera, ha anche poco senso. Chiama l'arte del surrealismo un'aite visiva statica, che non faceva che adattare al cinema le ricerche sulla pittura e poesia: idea di rimediare dentro il cinema un'altra arte, ma il cinema invece deve guardare sempre avanti. Astruc fa un'opera di predizione delle tendenze future del cinema, sottolineando il fatto che grazie alle nuove tecnologie sarà possibile l'espressione di qualsiasi idea come dentro un'opera scritta, perché il cinema si è mostrato di essere un linguaggio. L'idea della libertà e coincidenza fra autore e sceneggiatore sarebbe quella della Nouvelle Vague, dove i codici del cinema vengono infranti. La semiotica è una scienza che nel secondo dopoguerra si approccia al cinema insieme a psicologia e sociologia > studia i fenomeni di produzione e circolazione del senso, tutti quei fenomeni di significazione. Lo studio della significazione si realizza nei campi più disparati |meteo in tv o sul web- la semiotica studierà una significazione mediata e artificiale, tutti i testi, le manifestazioni discorsive, si avvicina alla retorica del testo e alla linguistica/ nel caso di me stessa che guardo il tramonto e cerco di interpretare che tempo farà domani- la semiotica studierà la significazione naturale e diretta- in questo caso la semiotica si avvicinerà moltissimo alla filosofia della mente, cioè come la nostra mente interpreta i fenomeni intorno a noi, come da significato a quanto ci circonda]. Sempre dentro alle cose di cui si interessa la semiotica, è stato individuato uno studio dei sistemi di significazione — cioè l'insieme di tutte le conoscenze dell'essere umano che rendono possibile la produzione di senso |grazie a quali miei personali sapeti io riesco a leggere la mappa di una previsione metereologica]. Possiamo aiticolare nello sviluppo della semiotica tre campi di ricerca che si sono concentrati su tre diversi oggetti: 1. semiotica del segno: parte della semiotica che si occupa dell'unità minima della significazione. L'influenza principale arriva dal linguista Saussure, che propone un modello di semiologia che si basa sulla linguistica e che verrà applicata da Mets e Barthes al cinema e in generale alla comunicazione di massa. La semiotica del segno è ciò da cui parte anche tutta l'interpretazione semiologica del cinema. Nel campo anglosassone, al posto della semiologia si propone un'altra idea di semiotica che si basa sugli studi di Pierce, studioso americano, che invece considera il segno come unità minima del processo di significazione [da un lato segno come unità minima di significazione con Saussure/dall'altra parte abbiamo Pierce, segno come unità minima del processo di significazione- non è un dato, ma è l'inizio di un processo| 2. semiotica del testo: dopo aver indagato l'idea della semiotica del segno si inserisce uno studio che si occupa del testo, questi semiologi del testo ritengono che la nozione di segno vada decisamente superata |è importante indagare sulle unità minime di significato o di processo di significazione| in relazione a un costrutto teorico più complesso, cioè il testo e il discorso. In questo senso il testo viene integrato all'interno di un molto più ampio sistema di significazione, ovvero la cultura: il fautore dell'inserimento dello studio del testo all'interno del complesso discorso culturale è Greimass. Dall'altro lato il testo viene comunque visto come un processo di significazione, ovvero qualcosa, ‘un oggetto/discorso che veicola e riflette un percorso interpretativo, al cui centro risiede la figura dell'autore, insieme alla figura del lettore, fautore di questa idea è Umberto Eco. Ecco perché per riferirci alla semiotica del segno si richiama comunque all'idea del processo di interpretazione; 3. semiotica dell'esperienza: la semiotica dell'esperienza vuole superare la nozione di testo, perché per questi semiologi la nozione di testo è insufficiente a spiegare esaurientemente i fenomeni che riguardano il discorso della significazione. Questo per due motivi: perché la nozione di testo non tiene conto della dimensione emotiva e sensibile dei fenomeni; dall'altro lato non tiene conto delle relazioni tra i materiali significanti e le pratiche sociali — proprio da quest'ultima idea della necessità nasce la sociosemiotica. [Perché qualcosa che riguarda l'esperienza, l'affetto nasce negli anni '90 superando quelle pratiche precise delle semiologie precedenti? Proprio perché negli anni '90 c'è questa grande frattura, con la caduta delle grandi ideologie, il problema dell'esperienza sensibile della rimessa in gioco delle pratiche sociali, culturali, diventa assolutamente centrale questa messa al centro non solo dell'oggetto che si va a studiare, ma anche della relazione con il contesto anche affettivo a livello relazionale con il soggetto che la esperisce. Si mette in gioco la natura affettiva sia dello studioso, sia della società, delle persone.| Lezione31 Chuistian Metz — è il padre della semiologia al cinema, il testo più importante è Language et cinéma del '71 e fonda insieme a Bithes la rivista Comunicacion, dove appare il saggio di cui ci occuperemo |Cinèma: langue o language?|, testo di partenza da dove l'autore si interroga se sia possibile applicare questa nuova scienza della significazione all'oggetto del cinema. Metz vuole tentare di portare l'attenzione sul significante in quanto tale al cinema e tentare uno studio rigorosamente scientifico del cinema: in questa direzione fa propria tutta la realtà della filologia della sorbona; che era molto più interessata in quel periodo alla psicologia della percezione applicata al cinema. Nei suoi primi scritti, Metz inizia a definire quelle che saranno le coordinate principali della sua attenzione verso l'oggetto del cinema: ovvero il rapporto specifico tra spettatore e cinema e anche l'attenzione alla narratività intesa come forma antropologica sulla quale si basa qualsiasi possibile articolazione linguistica |di comunicazione]. Negli anni '60 circa, la filologia sta assumendo un'importanza strategica all'interno degli studi più classici sull'arte e sulla letteratura — questo era un tentativo di affiancare le discipline da qualsiasi forma di personalizzazione dello studio, qualsiasi forma di ideologia che poteva trapelare nell'applicazione di studi senza delle griglie scientifiche a guidaili |si cercava di utilizzare una scienza pura di stampo matematico a motivi come l'arte e la letteratura]. Approcciandosi al cinema, Metz arrivò alla conclusione che al cinema poteva essere applicabile solo una istanza più generale di analisi, un'idea di sistematicità dell'oggetto cinematografico, delle ricorrenze, delle modalità particolari, ma non si poteva analizzare il cinema come si era analizzata la lingua. Questo perché, dopo aver fatto vari esperimenti di analisi su testi cinematografici, Metz si accorse che il cinema non presentava le condizioni che i linguisti considerano fondamentali perché un fenomeno possa essere definito propriamente una lingua — Metz osserva che il cinema non presenta né la prima, né la seconda articolazione, neanche ‘un vero e proprio paradigma, infatti lui parlerà di sintagma. domande più generali che travalicano i singoli settori strettamente disciplinari: una nuova fortissima attenzione verso il soggetto, che viene riscontrata sia in ambito psicanalitico, quindi alla riformulazione delle teorie sulla formazione dell'io, ma anche in ambito semiotico, un soggetto che implica l'idea della presenza di un autore e di uno spettatore impliciti, ma anche in ambito estetico, per quanto riguarda il cinema l'idea del ruolo di un regista che è anche creatore, ma anche l'idea della soggettività in ambito sociologico, attraverso una più approfondita analisi delle idee fra l'individuo e la massa. Sono tutte delle idee che non possono essere risolte nell'ambito di un unico settore disciplinare e inevitabilmente vanno a richiamare le più diverse scienze umane. Abbiamo anche una ripresa molto forte del testo — il testo preso nella sua individualità; spesso, la teoria del cinema ha utilizzato un corpus di film, più che una singola opera, per svolgere il suo lavoro teorico- negli anni '70 invece si sviluppa un approccio che va ad esaminare il singolo testo preso nella sua individualità |non tanto come un testo paradigmatico di una serie di altri testi, bensì come un testo che merita di essere analizzato esattamente per quello che presenta nella sua individualità] Tutto questo porta ad un approccio diverso al cinema, vengono accantonate quelle metodologie più rigide che abbiamo visto nelle teorie metodologiche, per favorire un approccio all'analisi chimica e al lavoro teorico molto più diretto e libero. Questa è una tendenza che noi possiamo riassumere con tre caratteristiche principali: 1. leteorie di campo vanno tutte a sottolineare il rapporto fra l'osservatore e l'oggetto — il teorico non va più a nascondersi dietro ad un metodo o una disciplina ricercando ad ogni costo una presunta oggettività, bensì giustifica nelle introduzioni dei testi la sua personale maniera con cui va a guardare al cinema. Una fortissima personalizzazione e una messa in gioco diretta dell'autore: dall'altra parte, infatti, l'oggetto di studio non viene più considerato implicitamente come qualcosa di ineite, come un oggetto dato su cui l'unico agente può essere lo sguardo e la cassetta degli attrezzi del teorico, bensì lo stesso oggetto di studio, quindi il film, è qualcosa di vivo, qualcosa che risponde allo sguardo di chi lo va ad esaminare, creando una sorta di dialogo; 2. lateoria non nasce da delle domande fredde tipo “cosa è il cinema?”, bensì qualcosa che scaturisce dallo stesso film — durante la visione del film, è lo stesso filma domandare al teorico quali sono le domande che a lui devono essere poste, tramite quei significati sintomatici |qualcosa che entra dentro la narrazione, ma non per forza palese- non domande esplicite, ma delle domande che vengono suggerite da qualche parte all'interno dell'opera cinematografica); 3. ritorno ai testi concreti — testi che vengono interrogati nella loro individualità- l'universalità, che era una caratteristica tipica delle scorse teorie, viene un po' abbandonata a favore della analisi sui singoli. Non è che da questo momento tutte le teorie precedenti vengono abbandonate, ma si assiste ad un tentativo molto maggiore delle diverse teorie [le teorie iniziano a dialogare dopo la seconda guerra mondiale, le altre teorie non vengono accantonate, ma vengono rese più malleabili per riuscire a integrare al loro interno delle suggestioni, degli spunti di analisi che derivano anche da altre realtà necessità |ad esempio, a fine anni '70 verrà integrata la psicologia di stampo cognitivo dentro l'analisi del film, ma anche la semiotica testuale, la sociologia, che tengono vive le loro metodologie di analisi ma correggendole, rivedendole e non essendo più così rigide|. A questo punto la teoria esplode, perché si crea un territorio vastissimo- la teoria del contemporaneo è debitrice di questo momento storico — nella teoria contemporanea, che parte dagli anni '70, si mettono a fuoco le dinamiche che reggono il film, il presupposto alla realizzazione di un film, la sua distruzione, gli effetti del filma livello estetico, sociale, economico, e ci si chiede sempre più cosa sia una rappresentazione e come e se questa rappresentazione possa dare conto del reale, cos'è una narrazione ecc. Sempre in questo periodo, la teoria dello spettatore prende di nuovo vita |con le teorie dei primi decenni del '900 l'abbiamo quasi abbandonata, a paitire dagli anni '60/'70 lo spettatore diventa al centro della riflessione teorica]. In questo senso possiamo capire come mai parliamo di campo — sono teorie che definiscono una serie di aree di ricerca, quindi un campo che rimane autonomo, ma intercomunicante |teoria come grandi diagrammi che si intersecano in certi punti dell'analisi e dello svolgimento]. Critica alla rappresentazione: negli anni '70, moltissime teorie iniziano ad approfondire in maniera profonda la dialettica fra la rappresentazione, il non rappresentati e l'irrappresentabile. Vengono messe in discussione le ontologie del cinema, soprattutto quell'ontologia di derivazione Baziniana del'idea del cinema come traccia, c'è sempre una tensione al reale — negli anni '70 vacilla fortemente l'idea della rappresentazione intesa come ripresentazione- idea che il cinema possa fare tornare un reale che al momento non c'è. sotto forma di immagine. In quel momento il reale non c'è, non viene percepito, proprio perché assistiamo negli anni '70 a tutta una serie di rivoluzioni culturali, quindi non si capisce più qual è il vero, la verità — ci si chiede quale sia la perdita del reale che si ha nella rappresentazione, quali forze vengano messe in gioco per creare quella immagine della realtà di nuovo reale e soprattutto con quale diritto un'immagine possa arrivare a sostituire un reale. Questo perché la rappresentazione è stata intesa per tutta la storia dell'immagine come un filtro, un filtro impercettibile della realtà: qualcosa che svanisce e che ce la restituisce intonsa una mediazione tra l'occhio umano e il reale, che però si dissolve velocemente in una direzione di trasparenza]. A questa idea di trasparenza del medium/immagine va a sostituirsi l'idea dell'opacità del medium — qualcosa che in ogni caso cambia, modifica la realtà, un vetro sporco e deformante della realtà |dall'idea di uno strumento fondamentale per esteriorizzare una realtà percepita dall'individuo o una realtà del mondo, lo strumento di immagine assume invece un carattere di resistenza- qualcosa che resiste al voler essere impiegato come facile strumento per fissare una realtà|. In ultimo luogo, da un idea che l'immagine fotografica sia un'immagine che può ordinare il mondo, fare vedere meglio all'essere umano la realtà in cui vive o il suo essere interiore, da largo l'idea dell'immagine come strumento dispersivo — per la prima volta viene messa sul tappeto l'idea di questa sovrabbondanza di immagine [immagine che non costringe l'occhio a scendere nel particolare, bensì lo distoglie da una percezione più acuta del reale|. Queste idee e contrapposizioni, inizi di ribaltamento dell'idea della rappresentazione come la teoria aveva formulato nei decenni, vengono studiate dai teorici in tre modalità |3 modalità di criticare la rappresentazione): 1. filosofica — la rappresentazione viene messa sotto accusa proprio come idea |il fatto di percepire la rappresentazione come ripresentazione avalla la logica dell'essere umano che le cose siano davanti a noi, davanti all'essere umano, a portata della sua mano -mentre bisogna fare attenzione alla perdita di queste cose, a ciò che manca, a ciò che causa tutta l'instabilità tipica della percezione umana|, 2. estetica — rappresentazione intesa come modello per mettere in scena qualcosa: in questo senso va tolta questa idea che la rappresentazione serva a mettere in scena qualcos'altro, quindi togliere l'idea dell'immagine come specchio, e farne un oggetto a se stante |guardare l'immagine per quello che è, non cercare al suo interno qualcos'altro]; 3. militante — la rappresentazione viene attaccata nei suoi effetti, nel suop imporre allo spettatore una versione delle cose, una versione della realtà che è spesso definita deviante. In questo caso la rappresentazione deve essere analizzata nel suo farsi, come viene costruita. Roland Barthes — con Barthes vedremo come, pur utilizzando dei film ampiamente dibattuti, proprio questa idea della rappresentazione viene messa in discussione tramite l'idea del terzo senso. Negli anni '60 contribuisce in maniera fondamentale all'affermazione della semiotica al cinema insieme a Metz, ma già sul finire del decennio mette in crisi il suo progetto, asserendo che non è possibile ridurre ogni cosa ad un insieme ordinato di segni, né si può ridurre ogni volta un segno alla dialettica tra significante e significato. Dunque, proprio sui Cahier du cinemà del '70, Barthes pubblica il saggio 3° senso — egli individua, prendendo in esame La corazzata Potjomkin e Ivan il Terribile di Ejzenstejn, 3 livelli di senso all'intemo dei fotogrammi: 1. livello informativo — piano della comunicazione, del trasferimento di dati immediatamente afferrabili, percepibili, ed è un livello sul quale può operare la semiotica; 2. livello simbolico — scomponibile in più parti: referenziale |ciò a cui il simbolo si lega|, diegetico |significato del fotogramma all'intemo del racconto], il significato autoriale [cosa, all'interno dell'opera, rappresenta quel significato simbolico racchiuso in quel fotogramma, ritorna o no?, significato storico |cosa all'interno di quella rappresentazione trascende il suo essere situato in quel tempo e in quello spazio, per diventare un significato importante per l'intera umanità|. Di questo livello si occupa ancora la seconda semiotica, la semiotica del simbolico, anche la drammaturgia e anche la psicanalisi; 3. terzo senso — qualcosa di innegabilmente presente, ma non è facilmente definibile, vine posto da Barthes in opposizione al senso simbolico, ovvio, quindi viene chiamato anche senso ottuso: qualcosa che non può essere definito, cambia a seconda di ciò che stiamo guardando, copre una superficie più vasta, qualcosa che viene definito eccessivo. Nell'opera di Ejzenstein lega il senso ottuso al travestimento, a un travestimento che viene avvertito posticcio; un senso ottuso può anche essere un senso erotico, ma un erotismo che nasce sia da una folgorazione per una bellezza, ma allo stesso modo anche dal ridicolo, dal disagio e dal sadismo — senso molto ampio, che va a significare qualcosa anche tramite l'opposto. Il dominio del senso ottuso è il dominio dell'emozione, perché questo eccesso, questo eccedente crea qualcosa che tocca lo spettatore e l'animo umano in generale, non potrà mai appartenere ad un linguaggio articolato: bensì, richiamandosi al linguaggio della semiotica, Barthes lo pensa come una interlocuzione |come una cosa che si instaura fra l'immagine e l'osservatore, il senso ottuso è una presenza, un senso di vuoto che al massimo può assumere senso nel momento in cui sottolinea qualcosa]. È più facile dire quello che non è il senso ottuso, piuttosto che quello che è — proprio per questo suo essere pausa, eccesso, non può essere posto all'interno della narrazione come il significato narrativo, ma piuttosto sarà una contro narrazione: in questo modo questo senso ottuso si pone come strumento per scardinare l'idea classica della rappresentazione lin virtù della sua innegabile presenza, si va a mettere definitivamente in crisi il concetto di immagine in quanto strumento per restituire o esprimere qualcosa. Il senso ottuso è un significato senza significante, non c'è un segno all'interno dell'immagine, non lo possiede: arriva da una somma o da una assenza di cose). Non possiamo dire che il senso ottuso arriva da un particolare specifico, è una somma di cose, quindi va a insidiare l'ontologia stessa dell'immagine in quanto traccia di un reale — tramite la percezione e l'accettazione della presenza di ‘un senso ottuso che tocca lo spettatore in senso emozionale, l'immagine si auto dichiara come auto formata da prelievi, giustapposizioni, ombre, che vanno a porre questioni allo spettatore e non pongono una realtà così com'è. Tramite la percezione emotiva e l'impossibilità di scrivere, di isolare il responsabile di questa emotività all'interno dell'universo segnico dell'immagine, l'immagine sta dichiarando il fatto di non poter essere qualcosa che restituisce il reale, bensì di essere una forma attraversata da altro che pone questioni allo spettatore, non risponde. |Saggio| Si palesa l'idea che questo sento ottuso sia qualcosa che apra all'infinito del linguaggio, non è afferrabile, qualcosa che esiste e va a corrodere, ad attaccare l'ovvietà del senso ovvio: smussa la direzione dritta di quella pioggia d'oro |che menziona nel saggio al proposto di Ivan il terribile|. Lui cerca di fare capire come può variare la percezione di un'immagine, può essere qualcosa che in me fa accrescere la regalità, magari a qualcun altro può non piacere, è un supplemento, molto soggettivo [il senso ottuso| — può anche essere qualcosa che toglie, che smorza, o qualcosa che a noi rimane dopo la visione, ma non è il senso che può essere descritto tramite un segno, non è un significato di per sé. Noi non possiamo intenzionalmente mettere dentro un'immagine il senso ottuso, non è qualcosa che può essere costruito, è qualcosa che entra nell'immagine ma non è isolabile, afferrabile, perché attiene a più cose. Barthes ci dice che in questa rappresentazione formale, perfetta del dolore, ha avuto per la prima volta la certezza del senso ottuso — perché qualcosa, guardando quell'immagine, eccedeva dal significato intenzionale di quell'immagine [cioè quello che Ejzenstejn voleva dire, cioè quello che c'è scritto sull'immagine- il volto di un'anziana signora piangente]. Il significato ovvio è dolore, uno dei significati simbolici è la signora madre del popolo, quindi rappresenta tutte le madri dei poveri ecc., analisi semiotica |come passa il segno significante/significato? Come si scrive?- quest'immagine dolore è tracciato dalla bocca in giù, dall'occhio chiuso, che rappresentano un'espressione triste che noi conosciamo; noi possiamo dire che questa immagine significa una donna che piange perché abbiamo i segni del pianto. Oltre a questo, in questo fotogramma c'è qualcosa che eccede, che amplia l'attenzione rispetto a quel dolore |guarda le differenze tra il fotogramma prima e il fotogramma dopo e cerca di capire cos'è| — è una relazione fra delle linee, la linea della cuffia molto bassa, l'inclinazione della testa che fa sembrare la donna con gli occhi troppo riavvicinati e la bocca semichiusa- che nella sua mente ricorda la bocca di un pesce. Il questa immagine Barthes trova questo significato ottuso, che sposta l'attenzione dal dolore, che è il significato ovvio di questa rappresentazione. Ulteriore definizione di senso ottuso — non è che il senso ottuso capovolge il senso ovvio dentro cui si insinua, bensì in qualche modo instaura con esso una dicotomia, che va anche verso il suo opposto. Quando noi parliamo della madre del popolo che piange disperata la morte di un ragazzo, il senso ovvio è una madre che piange il figlio, sembra ‘una blasfemia dire a questa donna che in quel fotogramma assume l'espressione di un pesce: eppure è qualcosa di emozionale, sentimentale, è qualcosa che è buffo, però è affettuoso. Anche se sottilmente si instaura, grazie al senso ottuso, questa dicotomia fra solennità del dolore e dall'altra espressione ridicola |che sembrano scontraisi tra loro| + è proprio li che sta il senso ottuso |se noi non percepissimo, anche inconsapevolmente, questo senso ottuso che sta in questa relazione di forme all'interno dell'immagine, che la fa assomigliare ad un pesce, noi non saremmo spinti verso quella rappresentazione dall'affetto che ci spinge verso di essa|. Il senso ottuso, in certi momenti in certi autori può coincidere con la nozione di stile dell'autore, ma non è che la comunicazione non passa se c'è assenza di senso ottuso. In conclusione, Barthes arriva ad ipotizzare che il filmico sia esattamente il terzo senso — lo si può pensare come qualcosa che non è scritto, che non sta nella sceneggiatura, qualcosa di non linguistico che è strettamente inerente all'immagine: ci dice che in alcuni film possiamo trovarlo, in quello di autori estremamente definiti, quindi in questo senso si potrebbe sovrapporre l'idea del senso ottuso con stile dell'autore. L'intenzione di Barthes è dire che non possiamo pretendere di analizzare qualcosa come un'immagine con determinati strumenti analitici, nemmeno un testo scritto potrà essere analizzato in quel modo, nonostante la semiotica — proprio perché Barthes inserisce all'interno del discorso tecnico analitico, forse per la prima volta, l'idea della soggettività. Idea di una soggettività e di qualcosa che entra dentro la rappresentazione, ma che non può essere descritta. Una delle conseguenze, insieme al crollo della rappresentazione in quanto esposizione di verità, crolla anche l'idea della possibilità di analizzare e razionalizzare -quindi fare diventare regola universale- qualcosa come la percezione. Lezione33 All'intemo di questo periodo degli anni '70 nasce una corrente teorica molto importante, la Feminist Film Theory — questo nuovo modo di fare teoria al cinema con il cinema nasce in ambiente angloamericano grazie alla concomitanza di tre fattori principali: 1. il movimento femminista [che si impegna non solo in una lotta contro le strutture sociali dominate dall'uomo, ima anche in una riflessione culturale che investe tutti i campi delle scienze e della cultura. In questo modo Se Mulvey all'inizio dice -questa costrizione della donna a identificarsi con uno sguardo maschile e a fare di un'altra donna l'oggetto del suo voyeurismo è una posizione contro natura- ammorbidisce poi la sua posizione arrivando a dire che questo travestimento in un genere maschile non è un vero e proprio tradimento del genere sessuale — questo perché, secondo lei, lo sguardo maschile è uno sguardo naturale da assumere. Questo perché, questa seconda sessualità [carattere maschile all'i propria seconda natura, perché la psiche femminile sarebbe una psiche nella quale è intrinseca la transessualità |i caratteri più maschili verrebbero repressi dall'impostazione della società|. Per lei è necessario fare cadere il velo della trasparenza, fare vedere la cinepresa, come questa agisce, fare vedere chi è l'autore che muove la cinepresa, cercando di allargare le possibilità di visione, riflessione e di analisi dello spettatore, offrendogli più punti di vista su una medesima situazione e soprattutto facendogli ben capire i meccanismi di identificazione e dove, come e perché il suo sguardo viene indirizzato in una direzione e non in un'altra. Un cinema consapevole, una visione consapevole e attenta, quindi rompere i due piaceri filmici fondamentali con un dispiacere — non poter ottenere del tutto la sospensione dell'incredulità dentro la visione cinematografica. [Non si vuole permettere allo spettatore di entrare in questo meccanismo di fascinazione, ecco perché dispiacere: al posto di questi due piaceri ritenuti fondamentali per la visione filmica, fare inserire questa impossibilità della sospensione dell'incre dulità|. Mulvey fa teoria militante, è una film maker, quando scrive questo saggio vuole mettere un punto di rottura all'interno delle teorie del cinema, quindi suscitare un dibattito. L'introduzione è molto chiara: ci spiegherà la struttura di questo schema patriarcale che viene istillato in tutte le persone e in modo naturale va a rivelarsi dentro la forma filmica, in questo modo torna indietro e riforma nuovamente quella struttura patriarcale. Lei parla immediatamente di soggetto alienato, dichiara come mai utilizzerà la cassetta degli attrezzi della psicoanalisi — lei intende come soggetto spettatoriale il soggetto contemporaneo, che si presenta con delle caratteristiche di alienazione intrinseca. Il soggetto è alienato anche perché non ha una rappresentazione soddisfacente della realtà, e il cinema gliene offre una abbastanza soddisfacente |il soggetto alienato è ripreso negli anni dalle diverse teorie del cinema, il problema dell'alienazione deriva poi dalla percezione e spesso dalla problematica della rappresentazione del reale|. Lei considera la costruzione dell'esperienza cinematografica come qualcosa di ideologicamente schierato. [Il bambino, quando si specchia le prime volte, nel momento in cui impara a riconoscere sé stesso ha una sovra identificazione — nel momento in cui si riconosce nella realtà non riesce ancora ad essere perfettamente padrone del proprio corpo, come invece percepisce essere il se stesso riflesso nello specchio. Da qui tutte le conseguenze di identificazione in un altro percepito in qualche modo superiore.| Lezione34 La Mulvey ci spiega come la donna viene raccontata, cosa si dice di lei e va a costruire la sua rappresentazione all'interno delle pellicole cinematografiche classiche — si sottolinea che la donna è lì solamente come catalizzatore dello sguardo [perché, anche se poi l'eroe va a svolgere tutta una serie di funzioni per giungere alla ricompensa di ottenere l'amore della donna, in realtà la sua presenza fisica dentro la narrazione è qualcosa di inutile -idea della figura femminile che prende le mosse dal mito, mentre il maschio dalla narrazione]. Viene poi analizzato lo stile, la forma con la quale queste donne vengono presentate: * stacchetto — pausa dentro la narrazione, quando queste dive si mettono a cantare/ballare la narrazione si interrompe e lo sguardo dello spettatore coincide con lo sguardo del protagonista maschile che guarda questa donna che si esibisce |coincidenza tra macchina da presa, spettatore e sguardo maschile verso questa donna; * frammentazione del corpo femminile — gambe delle donne/volto, in queste immagini c'è una sospensione dentro la narrazione, assumono dei connotati quasi da icona, immagine sacra da adorare, anche se non c'è proprio una coincidenza dello sguardo dello spettatore con il protagonista maschile, ma una visione più diretta dello spettatore al particolare del corpo della donna. Mulvey lega quest'idea dell'identificazione del bambino nella fase dello specchio con questa rappresentazione di sé stesso più completa, forte, in grado di poter fare cose che il bambino, nel suo, non sente ancora di poter fare — si lega quindi alla rappresentazione dell'uomo all'interno del cinema classico |anche se l'uomo rappresenta il catalizzatore di uno sguardo erotico, è in realtà qualcosa che catalizza uno sguardo erotico di potenza, di onnipotenza]. Lei ritiene che il cinema sia lo spettacolo che più ha perfezionato questo sguardo verso la donna ridotta ad oggetto, rispetto a qualsiasi altro tipo di spettacolo in cui la donna è oggetto di sguardo erotico — proprio perché lo sguardo libero di uno spettatore in un locale di streap tease può guardare dove vuole, non c'è tutta quella determinazione di onnipotenza dovuta ad uno sguardo particolare, che può essere creato solo grazie al cinema e ai suoi codici formali e stilistici. Bisogna andare a demolire la costruzione di questo tipo di sguardo. Andando a studiare il meccanismo stesso del cinema si possono trovare delle scappatoie per interrompere la creazione di questo sguardo, la rappresentazione di un mondo patriarcale — dice che la risposta ce l'abbiamo già negli stessi film: nel momento in cui non c'è la mediazione dello sguardo del protagonista sulla donna, noi possiamo in quel momento rompere quella catena di sguardi, perché lo spettatore si trova faccia a faccia con l'immagine della donna [quindi, se in quel momento la donna non è trattata tramite la frammentazione e tutte quelle inquadrature che le vanno a dare la connotazione di immagine di icona, allora proprio in quei momenti -in cui ancora si cerca di fare feticismo sull'immagine della donna-, noi possiamo lavorare e rompere questa specie di incanto]. In conclusione, Mulvey vuole rompere questo tipo di narrazione classica e dice che l'immagine della donna è sempre stata rubata, quindi a questo proposito le donne spettatrici non potranno guardare con una sorta di rimpianto sentimentale l'abbandono di queste forme di immagini rubate a loro stesse. [La finestra sul cortile- film con dinamiche sullo sguardo esplicite — Hitchcock è stato letto spesso con questa chiave di interpretazione psico analitica come maschilista, in favore di queste prime tesi femministe come autore che in ogni caso trasmetteva nelle sue pellicole esattamente questa tipologia di sguardo. D'altro canto è stato studiato anche come autore che rompeva questo sguardo patriarcale, pur essendo un autore che lavorava all'interno del sistema classico Hollywoodiano.| Postmoderno — esplode negli anni '80 e comporta tutta una serie di problematiche: il crollo delle ideologie dominanti, capitalismo contro comunismo, è un periodo in cui, a livello culturale, prende piede e si afferma in filosofia e poi declinata in tutti i campi dell'arte il pensiero debole [pensiero debole vuole dire che va bene tutto, non c'è più una verità, una morale, non c'è più tutta una serie di punti di riferimento che possano guidare la vita delle società verso un miglioramento — è il periodo in cui emergono quelle che vengono considerate delle grandi narrazioni che hanno costretto la società e gli esseri umani a comportarsi in un certo modo, ma dato che alla fine i risultati non sono arrivati allora si dubita. È un momento in cui riescono a emergere tutte quelle correnti/comunità che fino a quel momento erano state messe da parte dalla società dominante. Il periodo del post modemno, quindi, copre praticamente 50 anni della nostra storia — per quanto riguarda il cinema, l'emblema del post modemo è Quentin Tarantino, esplosione della trama lineare, cronologica, il citazionismo |prendere opere del passato e riproporle|, idea dell'impossibilità di avere una rappresentazione intesa come ripresentazione del reale. Uno degli esponenti fondamentali dell'idea del post moderno è Baudrillard — lui si interessa alle questioni dell'immagine nel periodo del postmodemo: si occupa di una progressiva dematerializzazione della realtà all'interno della società del postmoderno, proprio perché secondo lui le immagine sono arrivate ad un tale livello di simulazione da aver perso ormai totalmente qualsiasi riferimento al mondo circostante all'uomo, all'uomo stesso e ai suoi bisogni fondamentali. Per Baudrillard viviamo ancora oggi in quello che lui definisce un regime di iper realtà, dove le immagini formate da questi codici/modelli/segni diventano di fatto i promotori di un nuovo tipo di organizzazione sociale. Per lui, tutto ciò porterebbe ad una morte della realtà, così come percepita dall'uomo — l'uomo percepirebbe ormai questa iper realtà creata dalle immagini e dai mezzi di comunicazione di massa, iper realtà che ricalca il mondo in cui viviamo, ma depurandolo di tutte le imperfezioni, di tutte le possibilità di piega del reale. Baudrillard inizia a riflettere su queste idee all'interno del suo saggio “La guerra del Golfo non ha mai avuto luogo” — per la prima volta esplime l'idea che la realtà sia stata sostituita da delle immagini, che a loro volta diventano la realtà. La guerra del Golfo è stata la prima guerra del contemporaneo ripresa e trasmessa in diretta [inizio anni '90- immagini dei missili americani in tv). La provocazione di Baudrillard di fronte a queste immagini è quella di dire- in realtà, nel mondo concreto, questa guerra non c'è mai stata, non è avvenuta nel mondo reale, fisico, ma la realtà [intesa come conseguenze economiche, politiche| è che invece la guerra abbia effettivamente avuto luogo e questa guerra l'hanno creata le immagini. Lui costruisce questa idea del fatto che tutto il mondo è informato dell'esistenza di una guerra e delle sue dirette conseguenze sulla vita quotidiana, unicamente su queste immagini: tutti erano portati a credere che questa guerra esisteva veramente dalle immagini, ma nessuno aveva poi visto un referente reale — le immagini stanno sostituendo il nostro mondo reale. L'autore si chiede perché, arrivati a questo punto, esiste ancora qualcosa invece che niente? Questa provocazione deriva dalla grande evoluzione dell'immagine digitale: lui si occupa della fotografia digitale, arrivando a sottolineare tutte quelle che possono essere le trappole dell'immagine digitale, i problemi per la vita reale che crea questo regime di iter realtà in cui viviamo. Nel saggio tratta dell'illusione fondamentale di prelevare un pezzo di realtà dal mondo, idea di poter conservarne un pezzo, vederlo meglio — la violenza è il fatto che l'immagine digitale è sintesi, sono codici binari; in secondo luogo la realtà è quella che viene creata con un programma- non interessa più quello che c'è fuori, tanto la realtà si crea con un codice binario. Fotografia come momento di sparizione della realtà, dove anche lo sguardo avvicinato al mirino del fotografo viene oscurato per quell'attimo, prima della magia di veder rinascere il reale, vedere l'immagine. Baudrillard mette in stretta relazione questa svalutazione della possibilità e della potenza dell'immagine in quanto ripresentazione del mondo, quanto atto che stimola, nutre la possibilità dell'uomo di immaginare la realtà abbiamo ‘una realtà che vediamo, poi possiamo immaginare un'altra realtà a patire da quell'immagine, andandola a indagare — tutto questo nell'immagine virtuale si perde, l'immagine non è nemmeno più comunicazione). Secondo lui così il linguaggio si sta impoverendo, il problema è che il linguaggio è un modo per esprimere e correlare tutta una serie di idee, parole — se il linguaggio si impoverisce e vengono usate sempre meno parole del vocabolario è un problema, ci saranno problematiche grosse a esprimere idee muove |dal momento in cui per Baudrillard sono due cose correlate, vuole dire che le stesse idee stanno sparendo|. Noi dobbiamo pensare all'idea-immagine come un agente, idea che sia qualcosa di estremamente vivo: l'immagine è qualcosa di creato dall'uomo e che agisce all'intemo della società in cui viene creata- agisce ed è portatrice di significato > Baudrillard ci dice di fare attenzione, perché le immagini si creano così velocemente, così rapidamente vengono poi diffuse che non diventano neanche immagini, si trovano nell'impossibilità di dire o essere qualcosa. Posiamo collegarci a Benjamin — idea che debba essere il momento della contemplazione perché qualcosa assuma un significato, un'aura. Il grosso problema di perdita di significato della fotografia avviene nel momento in cui nascono le macchine fotografiche automatiche |quando l'uomo perde la conoscenza di come si crea la fotografia, quindi da quel momento in poi quelle immagini non sono significative, quanto rappresentano solo la perdita dell'essere umano]. Fotografia come immagine quasi divina, qualcosa che nasce dalla realtà. Paragone- anche un individuo, così come l'immagine digitale, automatica, comunicata ma senza un significato comunicante, si disperde nella rete esattamente come fa l'individuo, che si auto fotografa e auto disperde fino ad arrivare ad una spettralità definitiva |quindi alla perdita di un'immagine reale di sé stesso]. Baudrillard chiude con degli interrogativi, si chiede -tutto è destinato a scomparire? O meglio non è già scomparso? ecc — ribalta il tutto, eravamo partiti all'inizio del corso dall'idea della presentazione e rappresentazione del reale contro una rappresentazione dell'immaginazione, sfera intima e interna dell'essere umano: per Bauduillard il problema dell'evoluzione dell'immagine e del cinema della nostra cultura vistuale sta indicando il fatto che in realtà l'immagine sostituisce il reale, perché in realtà l'uomo preferisce che il reale si dissolva. Lezione35 Dalla fine degli anni '90, con la chiusura teorica dell'epoca del post moderno, il dibattito teorico si raffigura, c'è un dialogo fra specialisti di cinema e studiosi di altre aree — questa volta in particolare sono 3 le nuove discipline interpellate dai teorici del cinema, con cui parte un confronto: 1. filosofia — interesse della filosofia ad entrare nel dibattito sul cinema. Gli interventi della filosofia sul cinema si ruotano in torno al tema dell'esperienza, quindi, all'interno del dialogo tra filosofi e cinema si guarda il tema dell'esperienza tramite la filosofia analitica e il cognitivismo, quindi si va ad indagare come le emozioni influiscano sull'esperienza cinematografica e gli scemi mentali che ci permettono di comprendere ‘una narrazione. In secondo luogo la fenomenologia- all'interno di un'esperienza cinematografica è importante anche studiare l'esperienza sensoriale — la fenomenologia studia gli eventi così come vengono percepiti dai sensi umani. Film come modo di fatto di fare filosofia; 2. scienze sperimentali sull'organismo e neuroscienze — si ha un'integrazione scientifica di questioni già sollevate dalle prime teorie del cinema jneuroni specchio ecc|; 3. mediologia — con l'avvento della semiotica e con tutta la rivoluzione elettronica, digitale, con le muove tecnologie nasce lo studio, anche in ambito accademico, con la mediologia: che si interroga sulla questione del dispositivo. Il cinema è un media che trattiene in sé moltissime questioni calde relativamente al dispositivo- il cinema viene disseminato su tutti gli altri media |prima il cinema aveva rimediato gli altri media, il teatro, la radio, ecc|. Nasce una vera e propria parte di studi che dal cinema vanno ad indagare l'archeologia dei media. Vivian Sobchack — si occupa del cinema partendo da un'impostazione fenomenologica, in particolare dai suoi studi emerge un nuovo tipo di spettatore, uno spettatore che è una persona in carne ed ossa. Se all'inizio delle teorie del cinema lo spettatore si prefigurava come un soggetto ipnotizzato, la cui mente era completamente messa in stand by nella visione cinematografica per essere guidata dal cinema, spettatore passivo — in seguito lo spettatore è stato considerato come un soggetto totalmente disincarnato- a seconda della prospettiva degli studiosi — semiotica- spettatore che aveva dentro il film un suo corrispettivo, che attivamente costruiva il racconto laddove l'autore gli lasciava gli indizi/dall'altra parte uno spettatore che invece doveva essere una coscienza arriva e ribelle, come inteso dalla Nouvelle Vague: spettatore molto paitecipativo, che dalla visione doveva riuscire cambiato, perché inseriva il suo pensiero attivamente all'intemo della narrazione. All'inizio degli anni '90 |saggio della Sobchack esce nel '92| vi è uno spettatore che è sia mente che corpo. Lei svolge il suo pensiero con un punto fondamentale: il corpo produce significato prima ancora del pensiero > l'essere umano posto di fronte a un evento -prospettiva fenomenologica- introietta dentro di sé grazie al suo apparato sensorio, un significato. Il corpo in qualche modo sa quello che accade prima ancora che questo sapere affiori nella coscienza del soggetto. solo una sequenza particolarmente significativa, mettendo i sottotitoli. Durante gli anni '90 e inizio 2000 esplode il fenomeno dei puzzle film [Pulp Fiction] film che chiamano al cinema lo spettatore ad un impegno e paitecipazione che sembra essere molto superiore ad un film classico + quando una persona guarda un cosiddetto puzzle film non può permettersi di avere quella visione distratta di cui parlava Benjamin, proprio perché se si perde un minimo il filo del discorso si rischia di non capire più niente, anzi sono film che richiedono più di una visione per essere compresi. Nel giro di pochissimi decenni, l'idea di spettatore, di cinema, di visualità, sia andata perfettamente trasformandosi. Inizia citando un cortometraggio- film esemplificativo che ci fa vedere oggi come possono funzionare nelle nuove forme di sessualità |slide| es. delle nuove forme di spettatorialità — Casetti inizia a tracciare la sua analisi della diversità del cinema proprio a paitire dall'idea che oggi, per uno spettatore, vedere un film non è più quel film in quel momento |parafrasando Benjamin potremmo dire che oggi, il cinema a sua volta, ha perso quell'aura che aveva tentato di costruire sull'arte proprio a causa del fatto che non esiste più l'evento, quell'unico film che lo spettatore guarda- perché mentre lo guarda viene richiamato da tutta un'altra serie di idee|. Nella prima parte di analisi analizza le pratiche della visione del contemporaneo: cambiando le pratiche, cambia anche la pastecipazione al film, non si attuano quei processi di identificazione, lo spettatore è multitasking e guarda più di una cosa, impedendosi di arrivare a quella che Casetti chiama catarsi [perfetta adesione del personaggio]. Per definire questo nuovo tipo di spettatore |pag.87| Casetti ci dice che: lo spettatore, che era colui che stava di fronte al film e guardava, diventa uno spettatore che deve essere uno spettatore performante |questi “fare” sono quelli che caratterizzano lo spettatore performer]. Ci dice che dato che spesso oggi i prodotti sono qualcosa di seriale, si può decidere tra tantissimi film |problema della selezione], in secondo luogo questi nuovi prodotti portano tutta una nuova serie di pratiche, remake |si guarda la differenza dall'altro film, oppure tra libro e film- modo diverso di affrontare i film]. Per spiegare il “fare ipotemico”, Casetti richiama quello che è il cinema tipico del postmoderno, il cinema tipico immersivo, in cui dal 1977 in poi assistiamo fondamentalmente ad una riconfigurazione delle stesse sale cinematografiche, anche per offrire un ambiente più immersivo |gli stessi sistemi di surround della colonna sonora, i volumi si alzano moltissimo, montaggio più coinvolgente ecc.|. Questa necessità di creare fortissime emozioni nello spettatore si allarga nell'epoca contemporanea. Il protagonismo dello spettatore nei confronti di un'opera si fa avanti proprio grazie all'utilizzo dei social network- problema delle nuove forme della critica cinematografica, il fatto che chiunque possa mettersi a scrivere una critica cinematografica |poter anche solo scrivere se è piaciuto o meno e poi cominciare una conversazione anche con soggetti che non si conoscono]. Fare tecnologico — lo spettatore deve avere tutta una serie di competenze pratiche per poter accedere ad un film, non solo più la sala cinematografica, se è una sala domestica deve saper utilizzare un dvd, un vhs, oppure le app delle tv satellitari, sapere il sito dello streaming ecc. Bisogna avere una competenza mediale, saper sfruttare, utilizzare degli altri media e altri supporti tecnologici. Rispetto alla Sobchack, che ci parlava di un coinvolgimento di tutti i sensi, dovuto al fatto che lo spettatore torna ad essere un soggetto cinestesico, quindi tutti i sensi hanno la stessa proprietà recettiva, stessa importanza- Casetti parla del tacco, quindi va a parlare della visione attica. Il fatto che la prosemica, coni nuovi device, mobilitino questa dimensione sensoriale. Dentro lo spettatore contemporaneo vanno a sommarsi questi “fare” che erano già presenti nello spettatore più classico, ma con delle piccole variazioni, integrazioni e novità: idea della vicinanza con lo schermo, che è una novità visto che il tach screen è qualcosa che abbiamo oggi e non c'è mai stato prima, ma che riposta la pratica della visione a quello che erano gli strumenti del pre cinema- in cui bisognava mettere in moto con le proprie mani uno strumento che permettesse la visione. Casetti mette poi a paragone l'idea del performer e l'idea del bricoleur — lo spettatore non solo deve performare alcune sue abilità per fruire un film, ma è anche un bricolew; qualcuno che si costruisce ciò di cui ha bisogno sfruttando una serie di opportunità o di materiali, combinandoli tra di loro e trovandogli una adeguata disposizione. Questo perché il nuovo spettatore è esattamente come un bricoleur occasionale, creativo e personale. Oggi esistono dei prodotti mediali che non si esauriscono all'interno della visione cinematografica |saga di Matrix- se guardiamo solo la saga cinematografica vedremmo solo quei tre film, capiremmo la storia, ma lo spettatore è in realtà chiamato ad andare a cercare una serie di altri elementi da integrare nella sua visione, quindi dal videogioco, dalla serie di fumetti, dai blog — per avere una visione completa di questo prodotto |che non è solo più un prodotto cinematografico, ma si piega in tutti i media| lo spettatore è chiamato a costruire la propria visione, mettendo in atto diversi livelli della sua spettatorialità, deve essere protagonista della visione. Idea che noi spettatori contemporanei fiuiamo e ci avvantaggiamo del fatto che l'opera cinematografica sia uscita dalla sala e sia raggiungibile a noi in ogni momento e su qualsiasi dispositivo — a sua volta, lo spettatore quando rientra in sala rientra arricchito di tutta una serie di possibilità, di cose che ha visto, che fanno scattare il suo essere spettatore ad un altro livello [la possibilità di visione è infinita|. Pag 303, ritorno alla madre patria- ci dice che il cinema risponde comunque a dei bisogni: il fatto che il cinema non sia ancora motto, in quanto luogo cinematografico, risponde ancora a dei bisogni: bisogno di territorialità, di domesticazione, di istituzione, di esperienza. Bisogno di territorialità — vedere un film è sempre stata e continua ad essere una questione di luogo, dove veder oltre a cosa vedere. I nuovi luoghi di fruizione offrono allo spettatore solo una bolla esistenziale in cui rintanarsi. Uno dei motivi di resistenza del cinema è proprio la necessità intrinseca dello spettatore: spesso nelle nostre case cerchiamo di ricreare l'avvicinamento allo schermo, isolarsi un po' per fruire della visione. Nel momento in cui lo spettatore rientra dentro la sala, è esattamente nella sala che vede la sua nuova modalità di essere spettatore |spettatore che fruisce di un ipertesto invece che di un testo singolo, ha una soglia di attenzione che si sposta a seconda dello stimolo del momento] — questa pratica di visione che viene esperita nella propria abitazione, si ritrova all'interno della sala cinematografica circondati però da altri spettatori che si comportano come lui: ecco quindi che queste nuove pratiche vengono addomesticate e fatte rientrare all'interno di un percorso spettatoriale accettato all'interno dei discorsi sociali. Ci si identifica anche con gli altri spettatori dopo questo momento in cui si credeva di aver personalizzato totalmente delle pratiche di visione, si rientra nella comunità dello spettatore cinematografico. Idea che il cinema continui a rimanere un'istituzione, quindi, nonostante tutti gli altri modi, lo spettatore torna in sala proprio perché riconosce ancora qualcosa a cui è ancora affezionato, qualcosa che non si è ancora istinto, ma convive con altri metodi di espressione. Il percorso del nuovo spettatore può includere dentro di se questo spettatore, visione superficiale ecc., ma d'altra pate, grazie al fenomeno del ritorno in sala o comunque della sopravvivenza della visione cinematografica, ci rende consapevoli del fatto che, in qualche modo, quell'esperienza è un'esperienza in più [resiste l'idea che noi poi ritorniamo dentro la sala, quindi rilochiamo il cinema all'interno del suo ambiente di nascita anche per questo, perché abbiamo bisogno di portare la nostra esperienza di spettatore-performer dentro una situazione di cinema classico].
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