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La Guerra Civile Romana del 83-82 a.C.: Silla contro Mariano, Appunti di Storia Romana

La documentazione descrive la guerra civile romana tra le fazioni di Ottimati, guidata da Lucio Cornelio Silla, e Popolari, guidata da Gaio Mario il Giovane. Silla, con l'aiuto delle sue legioni, riesce a espellere i Popolari da Roma e a ottenere il comando della guerra contro Mitridate, Re del Ponto. Tuttavia, i Popolari, una volta al potere, dichiarano Silla nemico pubblico e distruggono le sue abitazioni, costringendolo a ritornare in Italia per contrastare le manovre politiche mariane. Silla, con un esercito di circa 40.000 uomini, affronta le forze democratiche di Gaio Norbano e Cornelio Scipione, ottenendo una serie di vittorie decisive. La guerra termina con la sconfitta definitiva della fazione mariana e la nomina di Silla a dittatore a vita.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 05/11/2022

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Scarica La Guerra Civile Romana del 83-82 a.C.: Silla contro Mariano e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! La guerra civile romana degli anni 83-82 a.C., vide contrapporsi le fazioni degli “Optimates” guidata dal Lucio Cornelio Silla, e la fazione mariana dei “Populares”, guidata da Gaio Mario il giovane, figlio del grande generale Mario, morto solo tre anni prima. Ai “Populares” si aggiunsero anche il console, Gneo Paprio Carbone e le armate Lucane e Sannite, che temevano che l’eventuale vittoria di Silla, potesse far perdere loro i diritti civili così lungamente ottenuti dopo la guerra sociale. La guerra civile romana combattuta in Sicilia, Spagna e Africa risultò sempre molto incerta, ma si concluse con la completa vittoria della fazione sillana. Da diversi anni, ormai, la Repubblica romana era scossa al suo interno dal conflitto per ottenere il predominio politico della città, che divideva i “populares” guidati dal grande generale Gaio Mario, già vincitore su Giugurta in Africa e sui Cimbri e Teutoni ad Aix en Provence, in Francia, e dalla fazione sillana degli “optimates”, guidata dal nobile Lucio Cornelio Silla. Nell’88-87 a.C., la battaglia politica passò dalle parole alle armi, e con l’aiuto delle legioni a lui fedeli, Lucio Cornelio Silla allontanò la fazione mariana da Roma, ottenendo poi il comando della guerra contro Mitridate, Re del Ponto. Sempre con le armi, la fazione mariana, approfittando del fatto che Silla fosse impegnato sui campi di battaglia in Asia Minore, riuscì a tornare in città e a prenderne il comando, almeno fino al ritorno in patria del leader degli ottimati. Sappiamo infatti che nell’86 a.C., mentre Silla combatteva con grandi successi in Grecia,  i mariani, una volta raggiunto il potere, dichiararono Silla, come nemico pubblico, distruggendo quindi ogni sua abitazione e mettendo a morte i suoi amici più stretti, contemporaneamente, il Senato deliberò che fosse inviato in Grecia, il nuovo console, Lucio Valerio Flacco, affiancato da due legioni per rilevare Silla dal comando.  L’anno successivo, conclusa anzitempo la prima guerra mitridatica con il trattato di Dardano, Lucio Cornelio Silla, decise di fare ritorno in Italia per contrastare le manovre politiche mariane, in particolare dei due consoli, Lucio Cornelio Cinna e Gneo Papirio Carbone. I due consoli, infatti, appena sapute le intenzioni di Silla, tentarono di organizzare un esercito ad Ancona, per contrastare lo sbarco del loro nemico, ma le dure condizioni di vita imposte da loro ai soldati, crearono un generale malcontento che ottenne il risultato di far passare molti legionari alla parte sillana. Il tentativo dei due consoli tramontò definitivamente quando l’esercito si ribellò veramente, uccidendo Cinna e costringendo alla fuga, Carbone. Nei due anni che seguirono, Silla rimase in Grecia trasferendosi da Efeso ad Atene, per riorganizzare al meglio le sue forze, poi verso la fine dell’84 a.C., attraversò la Tessaglia fino a Durazzo, da dove si preparò ad affrontare la traversata con circa 1.200 navi. Nell’83 a.C., Silla sbarcò al porto di Brindisi con le sue cinque legioni di veterani, con cui aveva condotto brillantemente le operazioni in Asia. L’esercito di Silla contava  circa 40.000 uomini, un numero piuttosto esiguo in confronto alla fazione mariana, ma si trattava di uomini temprati da anni di guerre ed estremamente affidabili, non che disciplinati e legatissimi al loro comandante, nonostante ciò, Silla era ben consapevole sulla dura lotta che lo attendeva. In realtà le forze democratiche italiche erano, si, soverchianti come numero, ma molto meno preparate, e soprattutto erano guidate da generali mediocri, i nuovi consoli di quell’anno, Gaio Norbano e Lucio Cornelio Scipione Asiatico, erano si, personaggi fra i più popolari nell’Urbe, ma poco più che incapaci in ambito militare. Due personaggi di spicco, che forse avrebbero potuto ottenere nell’immediato qualche risultato migliore, come Quinto Sertorio e Gaio Mario il giovane, vennero relegati a ruoli secondari alle dipendenze dei due consoli. Lo  sbarco di Silla a Brindisi avvenne senza scontri in quanto la maggior parte delle forze democratiche si trovava concentrata a Rimini, lasciando così sguarnita tutta la costa pugliese che passò praticamente da subito dalla parte di Lucio Cornelio Silla. Questo consentì all’oligarca di guadagnare ulteriore tempo per organizzare ulteriormente le sue forze e per non allarmare le popolazioni italiche, tranqullizzandole anzi e preoccupandosi delle loro istanze. L’esercito sillano si mosse così dall’Apulia verso la Campania, ricevendo appoggio dai sillani sfuggiti alle persecuzioni mariane degli anni precedenti. Venuti a consocenza dello sbarco di Silla, altri generali si mossero per unirsi a lui, è il caso di Quinto Cecilio Metello Pio, che dall’Africa, dove era rifugiato, sbarcò in Liguria dove gli venne affidato il comando proconsolare dell’Italia meridionale, e di Marco Licinio Crasso, uomo dalle ricchezze smisurate e futuro triumviro, a cui venne Lo scontro decisivo avvenne il primo di novembre dell’82 a.C., a Porta Collina, proprio sotto le mura di Roma, dove nel frattempo il grosso esercito di Sanniti e Lucani si era diretto, modificando l’intenzione iniziale di recarsi a Preneste. Lucio Cornelio Silla riuscì ad arrivare in tempo sul luogo dello scontro solo grazie alla tenacia delle poche forze lasciate a guardia della capitale, le quali lottarono con grande valore per tutto il giorno. Anche dopo l’arrivo di Silla la battaglia ebbe esito incerto fino all’ultimo, risolvendosi infine a favore della fazione aristocratica. La battaglia di Porta Collina segnò così la fine di ogni velleità da parte delle popolazioni italiche e la definitiva sconfitta della fazione mariana, la città di Preneste si arrese a Silla, e Mario il giovane, piuttosto che cadere in mani nemiche decise di togliersi la vita dopo avere invano tentato la fuga. L’altro console, Papirio Carbone riuscì a fuggire prima in Africa, poi sull’isola di Pantelleria, dove però venne raggiunto da Pompeo che lo portò in catene alle carceri di Marsala, dove poi venne giustiziato. Sconfitta così la fazione mariana, Silla prese il controllo di Roma, avviando le famose proscrizioni nei confronti di tutti i suoi avversari politici, assunse poi il titolo di Dittatore a vita, tentando di attuare una serie di riforme che ristabilissero un regime oligarchico, ma più nel complesso fu una guerra civile che lasciò sul terreno migliaia di morti e intere città danneggiate, o interamente distrutte, come nel caso di Forlì, città mariana, nel qual caso ci vollero decenni per ricostruirla. Le proscrizioni di Silla consisterono in una vasta epurazione degli oppositori politici di parte mariana, messe in atto da Lucio Cornelio Silla nell’82 a.C., mediante la pubblicazione di liste di cittadini romani considerati nemici dello stato (hostes publici), i cui beni venivano in seguito confiscati. Le proscrizioni in ambito romano si configurano come un tipo di procedura assolutamente eccezionale,  e utilizzate solamente in due circostanze nell’arco della storia repubblicana di Roma. In entrambe i casi le proscrizioni vennero attuate in periodi particolarmente delicati, le prime, come racconteremo, vennero messe in atto da Lucio Cornelio Silla durante gli anni 82 – 81 a.C., dopo la vittoria di Porta Collina, mentre nel secondo caso furono i secondi triumviri, Ottaviano, Antonio e Lepido a promuoverle negli anni 43 – 42 a.C.. In tutti e due i casi le proscrizioni videro un numero di condannati incredibilmente alto, in particolare però, le proscrizioni di Silla prevedevano anche l’ allontanamento dalla vita politica dei  discendenti, fino a quando Giulio Cesare nel 49 a.C., procedette alla loro riabilitazione. Le proscrizioni di Silla iniziarono nell’82 a.C., a seguito della sua seconda marcia su Roma e alla sua nomina a dittatore, esse vennero concepite principalmente per vendicare le uccisioni perpetrate dai seguaci di Mario nei confronti di chi invece era fedele a Silla. Dopo la vittoria di Porta Collina del primo novembre dell’82 a.C., dal momento che il Senato romano non era intervenuto impedendo ulteriori disordini, Silla decise di occuparsi personalmente di ristabilire l’ordine a Roma, avendo ancora con sé i suoi legionari, che rimasero ai suoi ordini fino al giorno del trionfo, che si celebrò il 28 gennaio dell’81 a.C.. Il 2 novembre dell’82 a.C., Silla convocò il Senato nel tempio di Bellona, che essendo situato all’esterno della cinta sacra di Roma (il pomerium), gli permetteva di esercitare il potere militare in qualità di proconsole. In questa occasione, Silla  illustrò il piano che intendeva seguire. Nello stesso momento, a poca distanza nella Villa Publica (luogo nel quale si stabilivano i generali in attesa di celebrare il trionfo),  venivano giustiziati i prigionieri dell’esercito vinto. Dichiarando che non sarebbe stato concesso il perdono per tutti coloro che avevano collaborato con la parte mariana dopo la rottura della tregua dell’83 a.C. fatta dal console Scipione, Silla redasse le sue liste di proscrizione, includendo consoli, pretori, legati e questori, gli ex-magistrati, senatori e cavalieri di parte mariana, non includendo però i semplici cittadini, che pure avevano combattuto contro di lui. Nella prima parte dell’editto di Silla si giustificavano le misure decise contro i proscritti, ricordando i crimini che avevano commesso, e vietando che fosse perseguitato chiunque non fosse nominato di seguito. Le prescrizioni dell’editto erano probabilmente precedute dalla formula rituale “Quod felix faustumque sit”, che ricorda come il potere del magistrato deriva dalla divinità. I proscritti erano esclusi dal diritto di asilo in qualsiasi luogo: l’aiuto nei loro confronti era punibile con la morte, e non erano affatto considerati i legami di parentela. Inoltre, per il cittadino che avesse collaborato era prevista una ricompensa, pagata ufficialmente dal questore con fondi pubblici.  Chi avesse ucciso un proscritto non soltanto non sarebbe stato accusato di omicidio, ma riportandone la testa, avrebbe ricevuto la ricompensa di due talenti d’argento, pari a circa 48.000 sesterzi. Una ricompensa minore era riservata a chi avesse denunciato un proscritto o avesse contribuito alla sua cattura. Qualora fosse stato uno schiavo, sarebbe stato affrancato. I beni dei proscritti erano destinati alla confisca come i beni di tutti i parenti maschi del proscritto, che erano inoltre sottoposti all’esclusione  dalla vita pubblica. Se il proscritto apparteneva al rango senatorio i suoi parenti dovevano comunque concorrere per la loro parte agli oneri imposti ai senatori. Alle prescrizioni seguiva poi la prima lista, in cui comparivano 80 nomi di esponenti del ceto senatorio di parte mariana, magistrati o ex magistrati. A questa lista seguirono altre due liste per un totale di 440 nomi; la seconda lista, affissa il 5 novembre dell’82 a.C., conteneva 220 nomi, mentre la terza lista, affissa il 6 novembre dell’82 a.C riportava gli ultimi 220 nomi di senatori e cavalieri. Tra i personaggi di spicco che figuravano in queste liste troviamo: i consoli di quell’anno, Gaio Mario il giovane e Papirio Carbone, l’ex magistrato e proconsole della Macedonia Cornelio Scipione, l’ex pretore Gaio Norbano, il tribuno della plebe Marco Mario Gratidiano, e Marco Giunio Bruto, il padre di uno dei principali cospiratori e assassino di Cesare. Tali esecuzioni risultarono essere particolarmente efferate, è il caso di Marco Bebio, trascinato con un uncino poi smembrato da alcuni schiavi, oppure come nel caso del tribuno Marco Mario Gratidiano  in cui il carnefice evitò di sferrare subito il colpo mortale, strappando gli occhi della vittima al termine dell’esecuzione, in modo che potesse assistere all’intera tortura. I capi mariani superstiti che non furono immediatamente catturati ebbero sorti diverse. Alcuni, come Gaio Norbano, furono costretti al suicidio , altri invece scapparono verso luoghi lontani da Roma, esempio ne è Quinto Sertorio che trovò rifugio in Spagna, e tanto filo da torcere continuò a dare alla fazione sillana.  Ottenne invece il permesso di vivere in esilio a
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