Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La tirannide: forme e conseguenze - Prof. Bianchin, Appunti di Storia Del Diritto Medievale E Moderno

Sulla tirannide, forma di governo che non rispetta il diritto all'interno di una comunità, esplorando le sue varie forme e conseguenze, dalla tirannide imperiale alla tirannide interna. Il testo cita diverse fonti storiche e giuridiche per illustrare le caratteristiche e le conseguenze di questo tipo di governo.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 16/05/2022

martina-ieva
martina-ieva 🇮🇹

6 documenti

1 / 5

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La tirannide: forme e conseguenze - Prof. Bianchin e più Appunti in PDF di Storia Del Diritto Medievale E Moderno solo su Docsity! 11-12/05 Bartolo utilizzerà il termine tirannide per indicare la forma di governo corrotta per eccellenza, il mal governo che può venire da pochi o da tutti. Il contesto storico è quello della civitas del ‘300 governata da signorie locali che vanno a configurare un modello di governo di uno solo, di tipo monarchico quindi la tirannide. - PLATONE: il governo è colui che segue le leggi, il mal governo invece governa contro le leggi; - ARISTOTELE ritiene che la vera città sia la comunità di uomini liberi e che il fine della polis sia quella di garantire una buona vita e di vivere bene. La migliore forma di governo è la politia, si basa sull’ampio consenso della comunità, che consente di realizzare nel modo migliore l’interesse comune che si identifica appunto con la giustizia. Con giustizia, inoltre, intende l’uguaglianza tra giustizia aritmetica e geometrica. Dal momento in cui le 3 forme di governo positive degenerano, bisogna trovare una forma di governo che riunisca in sé tutti gli elementi positivi delle 3 forme di governo, come ad esempio accadeva con il governo di Sparta o della Roma repubblicana, in cui vi erano delle magistrature che oltre all’elezione di un console eletto dal patriziato, prevedevano la presenza di un console eletto dalla plebe. Col passare del tempo molte delle caratteristiche proprie dei comuni consolari si perdono, come l’elettività delle magistrature maggiori, la collegialità, la limitatezza della carica dei consoli (la carica del signore locale è a vita e può essere ereditata), il signore locale viene eletto il capo della fazione interna del comune che prevale sulle altre. La legittimazione a governare non viene più dal basso ma dall’alto, dal pontefice o dall’imperatore per l’istituto del dicariato. Da un modello di costituzione repubblicano si passa ad una costituzione più centralizzata e autoritaria: chi governa ha il potere a vita, accentra a sé tutti i poteri e sono pochi i consigli locali che aiutano l’amministratore locale in quanto il signore domina in modo autoritario e accentrato. Bartolo descrive la perdita della speranza di poter tornare alle origini, proprio per questo il comune inizia a rivendicare ed affermare la sua autorità. Bartolo configura alcune ipotesi tirannide velata o nascosta in cui il rispetto delle leggi c’è nonostante il governo non sia esercitato col fine del bene comune. Il trattato si sviluppa attraverso 12 questiones e si apre con un proemio, una invocatio, di cui non abbiamo certezza che sia stato scritto da Bartolo. Si tratta di una invocazione, richiesta di aiuto o soccorso nella scrittura di questa opera che viene rivolta a dio, alla vergine o ai santi (voleva conferire sacralità all’opera). Nella sua invocazione cita un passo del libro della sapienza: si tratta di una raccolta di detti che contengono l’esaltazione della sapienza divina. Si legge che la sapienza aveva aperto la bocca dei muti e sciolto la lingua degli infanti. Il fine era quello di dare un proprio contributo affinché tutti possano liberare se stessi dalle catene della schiavitù tirannica. 1. ETIMOLOGIA DI TIRANNO Da dove viene il termine tiranno? Per dare una definizione si appoggia all’autorità di Ugoccione da Pisa (di cui ne cita le derivationes, una sorta di dizionario) e Isidoro di Siviglia. l termine deriva dal greco tyro (radice del termine che in latino si rendeva con forte, rigoroso, inteso in origine secondo un’accezione non negativa). A questo termine si affianca un’accezione più negativa, accennata al sostantivo angustia che significa angosciante. Si afferma un significato negativo del termine tiranno che esercitavano senza freno e con un dominio improntato alla crudeltà e cattiveria. Da TYRO, in quanto il tiranno tormenta – Uguccione sottolinea il legame con questo complesso semantico che richiama lo strazio e il tormento di chi è soggetto a quel governo. Si richiama la bibbia dove si dice che con tyro si intendono cose che in negativo si adattano al tiranno. Qui il curatore esplicita un nesso indiretto con un’altra opera successiva dedicata al problema della tirannide, di Federico Frezzi: egli afferma che tiro è il serpente, re dei rettili ma questo li uccide e li divora come un re malvagio. Ranno invece è l’albero che divora e distrugge gli alberi che lo circondano. Il suo passo è tratto dal libro dei giudici in cui si narra un episodio in cui si dice l’apologo di iotam: sulla gente governa un capo, dopo la sua morte interviene il figlio più pregiudicato di questo che si fa nominare capo e assolve la gente senza lavoro, gli avventurieri, e con questo esercito personale usurpa il potere dai suoi fratelli uccidendoli, perché questi avrebbero potuto subentrare al padre, così facendo afferma il suo potere e la sua autorità. Tra i fratelli si salva iotam che raduna i signori più importanti e cercando di coordinarli, facendo loro un racconto allegorico. Questi Si misero in cammino, dove gli alberi scelgono anche un nuovo capo tra loro. Chiedono prima all’ulivo, poi al fico, poi alla vite che decidono di non voler rinunciare alla produzione dei frutti per poter governare sugli altri. Per cui infine chiedono al rovo, che non produce frutti e non aveva un ruolo produttivo e positivo all’interno della comunità, il quale risponde di rifugiarsi sotto la sua ombra. Chi non lo avesse accettato come capo sarebbe finito bruciato dal fuoco. Egli fa promesse vane e minaccia chi non è disposto a seguirlo. L’episodio si conclude con dio che fa ricadere sul nuovo capo tutto il male che aveva fatto, condanna la comunità intera che ha scelto di assoggettarsi ad un capo che non ha legittimazione e le qualità e non può considerarsi erede del precedente erede. 2. DEFINIZIONE DI TIRANNO (scomposizione della definizione e analisi, passaggio per passaggio) Si parte dalla definizione data da Gregorio Magno, uno dei grandi padri nonché papa tra 500 e 600, in un celebre passo di un’opera ‘moralia in iob’ in cui si individuano 5 tipologie di tiranno. Il tema dell’opera è la sofferenza. Una delle sue opere di teologia morale rientra anche tra le fonti utilizzate dalla scienza giuridica medievale, che sebbene richiedesse una propria autonomia e indipendenza faceva riferimento a queste fonti. tiranno è colui che nella repubblica comune non governa secondo il diritto. Qui il magistrato Razzi traduce in modo libero e anatocistico: il concetto stato non è appropriato: Bartolo individua la possibilità di tirannide in una serie di comunità di vario ordine e grado, in particolare in senso proprio è colui che non governa secondo diritto nella res publica comune (impero), in particolare nella comunità politica più ampia. – validità e legittimazione del titolo di imperatore. - Tirannide come quel governo che non rispetta il diritto all’interno dell’impero. Non c’è solo quella forma di tirannide ma ve ne sono altre anche nelle comunità inferiori. (dall’impero, alla provincia, alla civitas, la vicinia, la dominus (il pater familias che agisce contro diritto) e nel foro interno ovvero nella coscienza). GREGORIO MAGNO: chi è superbo (superbia come caratteristica del tiranno) è tiranno anche sul piano morale anche se questo atteggiamento rimane chiuso nel suo animo e non si traduce in comportamenti lesivi per i diritti dei terzi. A volte viene esercitato attraverso il potere ricevuto (tirannide universale). L’intenzione è già sufficiente a classificare la tirannide, non è solo importante e necessaria l’azione. Si richiama il passo che si trova nel libro 12esimo e che ritroviamo nel corpus iuris canonici in particolare nel decretum di graziano, nella distinctio n, 15, il canone n.3. Bartolo cita queste due costituzioni imperiale e le relative glosse, insieme a delle leggi, che trattano della tirannide per mancanza di titolo:
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved