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Appunti su Leonardo da Vinci, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

appunti su Leonardo da Vinci per Storia dell'Arte Moderna. Linee principali del suo percorso artistico

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 02/07/2020

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galadriel-brero 🇮🇹

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Scarica Appunti su Leonardo da Vinci e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! LEONARDO DA VINCI (1452-1519) FONTI Lui stesso scrive moltissimo (appunti, disegni). Nei suoi appunti compaiono delle note che ci possono essere utili «Fu tanto raro e universale, che dalla natura per suo miracolo esser produtto dire si puote: la quale non solo della bellezza del corpo, che molto bene gli concedette, volse dotarlo, ma di molte rare virtù volse anchora farlo maestro. Assai valse in matematica et in prospettiva non meno, et operò di scultura, et in disegno passò di gran lunga tutti li altri. Hebbe bellissime inventioni, ma non colorì molte cose, perché si dice mai a sé medesimo avere satisfatto, et però sono tante rare le opere sue. Fu nel parlare eloquentissimo et raro sonatore di lira [...] et fu valentissimo in tirari et in edifizi d'acque, et altri ghiribizzi, né mai co l'animo suo si quietava, ma sempre con l'ingegno fabricava cose nuove». Anonimo Gaddiano (o Magliabechiano), 1542 circa. «Leonardo da Vinci, dando principio a quella terza maniera che noi vogliamo chiamare la moderna, oltra la gagliardezza e bravezza del disegno, et oltra il contraffare sottilissimamente tutte le minuzie della natura così appunto come elle sono, con buona regola, migliore ordine, retta misura, disegno perfetto e grazia divina, abbondantissimo di copie e profondissimo di arte, dette veramente alle sue figure il moto e il fiato» Vasari, Proemio alla terza parte delle Vite, 1550 Essi sottolineano l’universalità del genio di Leonardo. Entrambi parlano del suo bel aspetto fisico, del fatto che fosse un ottimo musicista e ingegnere e che fosse sempre insoddisfatto (per Vasari è una considerazione negativa>lasciava perdere delle opere e non le portava avanti). Vasari è più critico dell’Anonimo, e ci dice che Leonardo ha attuato una vera rivoluzione dando alle figure “moto e fiato”. Parliamo di una personalità che ha avuto un influsso straordinario non solo in pittura ma anche in ingegneria, ottica e scienza ma anche uomo politico. Egli fu infatti un uomo del suo tempo fino in fondo: conosce molti principi a partire da Lorenzo il Magnifico per poi andare da Ludovico il Moro ed infine dal re di Francia. Prospettiva doppia: Leonardo artista e Leonardo uomo di corte. Bibliografia amplissima e in Italia uno dei massimi esperti è Ballarin (difficile orientarsi>guarda però catalogo mostra del 2019 al Louvre e di quella a Londra del 2011). FORMAZIONE (PERIODO PRIMA DELLA PARTENZA DI MILANO AVVENUTA NEL 1482) Nasce a Vinci (paese vicino a Firenze) e si trasferisce nella città dei Medici con il padre nel 1464 (Pietro, un notaio quindi uomo molto colto>sapeva scrivere). Entra nella bottega del Verrocchio. Nel 1472 è iscritto come “pittore autonomo” alla Compagnia di San Luca. Ecco che si pone il problema della permanenza nella bottega del Verrocchio. Leonardo ricorda in un appunto, nel suo trattato, che nel 1472 egli aveva partecipato alle operazioni di fissaggio della grande «palla» di rame sul lanternino della cupola di Santa Maria del Fiore, eseguite da Verrocchio nel 1472. La critica pensa che Leonardo fosse entrato nella bottega tra la metà degli anni Sessanta e il 1469. Il rapporto con Verrocchio dura eccezionalmente una decina di anni e si trasforma in una collaborazione professionale. In questi anni Leonardo esegue nella bottega opere per le quali è difficile capire se la commissione sia avvenuta in modo autonomo. La bottega del Verrocchio era molto versatile perché si sperimentavano varie modalità di scultura (marmo/bronzo) e la pittura, tutte abilità che Leonardo utilizzerà. Leonardo, al principio, aderisce ad uno stile “finito”, minuzioso nella resa dei particolari e morbida nella stesura pittorica, aperto a influssi fiamminghi (vedi Annunciazione e Madonna del garofano)ma iniziano, allo stesso tempo, le prime innovazioni in direzione di una maggiore fusione in superficie e in profondità delle varie parti dell’immagine, grazie a una resa più sensibile dei trapassi luministico-chiaroscurali, e di più fluidi e complessi legamenti e ritmi compositivi. Ma chi era Andrea del Verrocchio? Noi conosciamo soprattutto le sculture (egli fu pittore solo per qualche anno). Egli si chiamava Andrea di Cione detto del Verrocchio (1435-1488) perché ha una formazione da orafo nella bottega d Giuliano Verrocchio. Inizia come orafo e soprattutto la sua produzione scultorea ma ha un periodo da pittore che è individuato nella sua partecipazione negli anni sessanta del 400 con fra Filippo Lippi agli affreschi del Duomo di Prato. Poi abbiamo qualche  Madonna con Bambino, Berlino di Andrea del Verrocchio. Quella di Leonardo, Madonna Dreyfus (1469-1470). Di incerta paternità , alcuni critici la affidano a Lorenzo di Credi. Ha la stessa impostazione di quella del Verrocchio ma Leonardo copre il parapetto con tutto il manto e introduce una finestra aperta sul paesaggio (Verrocchio non mette quella scansione che lascia quella parte scura dietro la Vergine e ci fa intuire quel paesaggio in lontananza). Il paesaggio è più soffuso mentre la luce verrocchiana è ancora zenitale, Leonardo fa passaggi chiaroscurali più raffinati. (vedi anche quella del Perugino datata 1505-1510 e conservata alla National Gallery di Londra). Arriviamo ora ad una delle primissime opere di Leonardo, ovvero la Madonna del garofano (1473-1475). Suggestiva l’ipotesi di identificazione con una Madonna leonardesca di proprietà di Clemente VII, descritta da Vasari.In quest’opera è possibile un confronto con quella Dreyfus: lo schema semplice della finestra, ora qui diventa più complesso con un’architettura e con finestre bifore ad arco a tutto sesto. Vi è sempre il motivo del parapetto coperto dal manto, il Bmabino è più animato e scolpito anatomicamente. Il paesaggio si avvicina a quello della Vergine delle Rocce; già in questa opera è possibile notare la cosiddetta “prospettiva aerea” (sorta di rilevazione da parte dell’artista del dato atmosferico), di cui Leonardo viene fatto l’inventore. Prima non vi era questa idea di definire la lontananza tramite l’atmosfera ma solo attraverso regole matematiche: dalla sua mentalità scientifica Leonardo arriva a definire qualcosa di pittorico (usa la pittura per tradurre i suoi studi scientifici). Dagli Scritti di Leonardo degli anni Novanta: «Tu sai che in simil aria, un’aria spessa, un poco grossa, l’ultime cose viste in quella, come sono le montagne, per la gran quantità che si truova infra l’occhio tuo e la montagna, quella pare azzurra, quasi del colore dell’aria, quando il sole è per levante» (Institut de France Ms. A. f. 105 verso). Vasari associa il rapporto stretto con I disegni del Verrocchio: «Alcuni disegni di sua mano fatti con molta paciencia e grandissimo giudizio; infra i quali sono Alcune teste di femina con bell’arie e acconciature di capelli, quali per la sua bellezza, Leonardo da Vinci sempre imitò» (Vasari, 1568, Vita di Andrea del Verrocchio). La vicinanza è palpabile anche tramite un confronto con una delle tante Madonna con Bambino realizzate in rilievo>Leonardo traduce in pittura questa tipologia di opera. Così come la traduce anche Lorenzo di Credi, allievo del Verrocchio e contemporaneo di Leonardo, ma con modalità (soprattutto nella rappresentazione paesaggistica) diverse. Qui si allenta la definizione grafica dei volumi caratteristica del Verrocchio e la figura della Vergine affiora dalla penombra della stanza, in contrasto con il lontano e luminoso paesaggio che appare sul fondo. Un’opera del Verrocchio da ricordare è sicuramente il Putto col Delfino (c. 1470-1480, Firenze, Palazzo Vecchio). Venne eseguito per la villa medicea di Careggi ed esso sembra proiettarsi nello spazio con una grazia e una scioltezza di movimento che richiamano certi schizzi leonardeschi, ma risponde d’altra parte, perfettamente anche alle ricerche del più anziano maestro. (1473,Uffizi), presenza della prospettiva area qui con linee sottili e con chiaroscuri. Nel disegno Leonardo annota il punto specifico in cui ha tratto il disegno di questa area dell’Arno; plein air. Veduta che ritroveremo in altri suoi dipinti. Annunciazione >lavoro autonomo, oggi agli Uffizi. Proviene dalla chiesa fiorentina di San Bartolomeo a Monteoliveto. Ma non sappiamo se fu questa la sua ubicazione originaria. Solitamente viene datata intorno al 1472/1473. Durante la permanenza nella bottega del Verrocchio, Leonardo assume anche commissioni in proprio, come in questo caso. Essa possiede quel tipo di sfondo con quell’idea della montagna, quasi azzurra, il tappeto “mil fleurs” (descrizione dei fiori) che riprende quel gusto al dettaglio fiammingo (presente negli arazzi) e che si carica di una potente simbologia. Infatti qui la Madonna è ortus conclusus nelle litanie. La prospettiva è data anche dalle mura della casa, dal leggio. Questo ultimo da sempre confrontato con il leggio del Monumento funebre di Cosimo il Vecchio (1472) realizzata dal Verrocchio. Dagli studi del panneggio notiamo la sua tenacia nel rendere il più naturalistico possibile la veste. Testa dell’angelo è raffinatissima ed è composta da passaggi chiaroscurali di una sapienza straordinaria. Un altro possibile rapporto tra Leonardo e la bottega del Verrocchio è lo studio delle mani di Leonardo con la Dama col mazzolino (1475 circa) del Verrocchio. Le mani, nei ritratti, non erano mai incluse e invece qui il Verrocchio le inserisce nelle sue sculture. Tanto che nel Leonardo (che qui si avvicina alla Dama del Verrocchio), la testa di Ginevra è tagliata molto più in alto e questo fa pensare che il dipinto fosse stato tagliato e che una volte possedesse le mani. Questa opera segna un passaggio importante per la produzione di Leonardo. C’è questa idea della donna posta davanti al ginepro (che fa dà contrasto con il chiaro volto della Benci) e poi è da notare il paesaggio retrostante. È datata intorno al 1475 e a lungo ci si è domandati su questo ritratto e sulla sua committenza. L’opera si trovava nella collezione del Principe di Lichtenstein. Ginevra era figlia del banchiere fiorentino Amerigo Benci, nata nel 1457. Leonardo era in rapporto con il fratello di Ginevra, Giovanni, forse vero committente dell’opera. Dubbi sul formato: se fosse o meno più ampio.L’emblema sul verso potrebbe essere quello di Bernardo Bembo, ambasciatore veneziano a Firenze tra il 1475-1476, poiché l’emblema sul verso coincide col suo motto ed il suo amore platonico per Ginevra fu cantato alla corte fiorentina da molti carmi compreso quelli di Lorenzo il Magnifico. Quindi evidentemente questo ritratto, la cui commissione era attribuita solitamente al marito della Benci, ma l’idea della presenza dello stemma dietro al quadro potrebbe suggerirci che fu lo stesso Bembo a commissionarlo sotto il suggerimento di Giovanni. La posizione è frontale, leggermente di tre quarti, la natura è abbondante: il ritratto è rivoluzionario e si lontana assolutamente da Piero della Francesca. Madonna Benois> Lo stesso Leonardo annota di avere iniziato a dipingere due Madonne nel 1478, una è identificata con la Madonna Benois (oggi all’Ermitage). Essa è simile alla Madonna col garofano anche se qui il famiglia Medici e della loro cerchia sono ritratti tra gli astanti. Il dipinto di Botticelli costituisce un importante precedente per quello di Leonardo presentando le figure della Vergine con il Bambino e san Giuseppe sopra un rialzo del terreno, entro un edificio diroccato, e al centro anziché di lato, come più frequentemente accadeva al fine di conferire il massimo sviluppo alla pittoresca descrizione del corteo e del viaggio. Mentre il più anziano dei Magi si inginocchia in adorazione del Bambino, gli astanti si dispongono ai lati come a formare due quinte aperte verso lo spettatore, ma accennando al semicerchio mediante le figure degli altri due Magi.  Ora: la Madonna e il Bambino di Leonardo appaiono isolati al centro di una folla di personaggi, di cui fanno parte gli stessi magi che manifestano impetuosamente (nelle fisionomie, nei gesti e nelle attitudini) il senso di un terribile sconvolgimento interiore di fronte al repentino manifestarsi della divinità di Cristo incarnato. Il significato profondo del tema, l’Epifania, è ricondotto in primo piano, espresso attraverso la rappresentazione degli effetti psicologici della rivelazione e della folgorante illuminazione sulla folla dei devoti. L’albero , posto al centro, in fondo i cavalli (si svolge una battaglia sa sotto le rovine che in fondo), caricano il dipinto di figure simboliche: patetismo degli effetti, brulicare della storia (rovine che si rifanno al crollo della Basilica di Massenzio). Raffaello era molto legato a questo dipinto non finito. “Accidenti mentali”: individua i moti mentali con i moti nell’animo (ovvero ciò che ne consegue), e l’idea è qui presente. Tutto tracciato con linee prospettiche che mostrano la sua profonda conoscenza alla matematica. Soggiorno di Leonardo a Milano Leonardo lascia incompleta la commissione dell’Adorazione dei Magi (portata poi avanti da Filippino Lippi) poiché deve recarsi a Milano. Dal 1482 Leonardo è quindi a Milano, alla corte di Ludovico il Moro. Le ragioni del trasferimento non sono ancora del tutto chiare, ma è certo che Leonardo non si propone al Moro come pittore, ma come ingegnere e scultore; Ludovico infatti gli commissiona il monumento equestre al padre Francesco Sforza. Diverse sono comunque le ipotesi fatte su tale trasferimento: 1. Lorenzo il Magnifico invia Leonardo a Milano alla corte del Moro. Tale avvenimento coinciderebbe perfettamente con la sua politica applicata con i diversi signori della penisola ai quali invia i suoi artisti favoriti, per esportare la cultura fiorentina ma quella anche in generale. 2. Secondo l’anonimo Gaddiano egli venne mandato a Milano come musico presso la corte del Moro (“per fargli dono di una lira di argento in forma di teschio” ). 3. Leonardo però non si è mai integrato con la politica di Lorenzo in quanto era fortemente improntato sul neoplatonismo e su una cultura fortemente letteraria (si è sempre definito infatti “homo senza lettere”), mentre lui era più uno sperimentatore e scienziato. Il genio avrebbe così preferito lasciare in ogni caso la corte laurenziana in quanto non coincideva con il suo tipo di ambiente intellettuale. La ripresa di consistenti investimenti nei grandi cantieri architettonici costituisce un primo elemento di differenziazione della corte del Moro rispetto all’età di Galeazzo Maria, soprattutto in quanto accompagnata dalla crescente consapevolezza del significato politico di tali interventi, del fatto che la fama di una città- e di riflesso il prestigio del principe- dipendono non soltanto dal numero, dalla nobiltà, dalla ricchezza degli abitanti, ma in primo luogo dalla forma urbis e dalla grandiosità dei suoi edifici. La corte di Ludovico viene poi sempre più caratterizzandosi per il tono dei cenacoli letterari e musicali che vi fanno capo, il formarsi di una cultura “cortigiana” che influisce anche sugli indirizzi e le scelte in campo artistico. La trasformazione del ducato avviene anche grazie all’intervento di Bramante e di Leonardo: ambedue non si limitano a presentare modelli di una cultura figurativa che aveva conosciuto uno sviluppo più accelerato negli ultimi decenni, ma entrano in un rapporto di scambi vivaci e fecondi con gli ambienti lombardi. Arriva a Milano e la primissima opera è la Vergine delle rocce. Oggi possediamo due versioni del dipinto con una storia molto travagliata e misteriosa dietro.  Documentazione: Leonardo realizzò due versioni del dipinto, la più antica si trova al Louvre, la seconda, l’unica che fu collocata sull’altare della Immacolata Concezione, si trova a Londra, National Gallery. Esiste un’abbondante documentazione sulla commissione di una ancona di cui faceva parte il dipinto di Leonardo ora a Londra (mentre non siamo certi se si riferisse anche a questa commissione l’opera di Parigi) da parte della confraternita dell’Immacolata Concezione che possedeva un altare nella Chiesa di san Francesco Grande a Milano. Il contratto del 25 aprile 1483, costituisce la più antica testimonianza di Leonardo a Milano: Leonardo in società con i fratelli Evangelista e Ambrogio de Predis (pittori che eseguono gli angeli nel’ancona, ai laterali della Vergine) dovrà dipingere l’ancona lignea scolpita nel 1480 dallo scultore Giacomo Del Maino con: «la nostra donna con lo suo fiolo e li angelli» e arricchirla di tavole raffiguranti la «Nostra Donna» e quattro angeli per parte vestiti alla greca: «uno quadro che cantino, l’altro che sonino». La documentazione archivistica è molto ricca ma difficile da interpretare. Il contratto prevedeva un compenso di 800 lire ai tre pittori che ricevettero pagamenti regolari fino al 28 dicembre 1484 (730 lire). Quando si pensava dunque che l’opera fosse quasi finita. Vi è poi un pagamento a Leonardo e ai fratelli de Predis effettuato il 23 dicembre 1489 che ha sembra un saldo poiché è di poco inferiore alla cifra pattuitaPoi c’è un silenzio e nel periodo 1491-1494 vengono richiesti ancora soldi. In questa petizione si dice che Ambrogio de Predis (Evangelista nel frattempo era morto) aveva speso quasi tutti i soldi per dorare l’ancona, poco denaro era rimasto per il dipinto di Leonardo al quale era interessato un acquirente di cui si tace il nome. Il dipinto era stato valutato alla fiorentina 100 ducati, contro i 25 offerti dalla confraternita, si richiedeva perciò una nuova stima. L’opera era dunque finita. Alla petizione non seguì una risposta a noi nota. Alla caduta del Moro nel 1499 Leonardo lasciò Milano. Nel 1503 il solo Ambrogio chiede ancora soldi e una nuova stima del dipinto che altrimenti si sarebbe dovuto restituire, dunque sembra che un dipinto nel 1503 fosse certamente in possesso della confraternita. Un nuovo documento del 1506 afferma che la tavola di Leonardo era all’epoca incompiuta e che egli era tenuto a finirla nel giro di due anni. Leonardo rientrò a Milano, e entro l’agosto del 1508 l’artista e de Predis ricevettero il saldo del lavoro. Nel contratto era previsto inoltre che de Predis facesse una copia dell’opera con la supervisione di Leonardo e che questa fosse poi venduta. Nel 1576 l’altare venne smantellato e smontato per essere rimontato in modo diverso e posizionato all’interno della chiesa. La confraternita venne annessa nel 1781 all’ospedale di santa Caterina della Rota e l’altare venne rimosso da San Francesco. Nel 1785 il dipinto di  Vergine delle rocce Londra > qui la figura centrale non è quella del san Giovannino. Dal punto di vista iconografico va tenuto presente che non esistono precedenti poiché il dogma non era stato proclamato, le versioni fiorentine ricorrevano così a iscrizioni, ma esse non sono menzionate nel dettagliato contratto. Possiamo rifarci alla liturgia per la festa che nel 1477 si stava immaginando e in particolare al passo 8, 22- 25 del Libro dei Proverbi: «Il Signore ha preso possesso di me fin dall’origine dei tempi poiché Egli ha fatto tutto dal principio. Io ero fissato dall’eternità molto prima che la terra avesse origine. Le profondità non era ancora ed io ero già stato concepito, le sorgenti d’acqua non c’erano ancora ed io c’ero, le montagne con le loro gole profonde non esistevano ancora ed io c’ero. Io sono stato prima che le colline fossero formate io fui concepito». La teoria dell’Immacolata Concezione in questo periodo è affidata alla teologia e alla tradizione, e riposa sugli scritti di Duns Scotus (1265-1308). Leonardo non si attiene letteralmente al contratto, ma sviluppa il tema della Madonna dell’umiltà (esplorato in molto disegni databili al 1480 circa, tema iconografico medievale che prevedeva la Madonna seduta a terra), aggiungendo il piccolo San Giovanni Battista. E’ stato visto un nesso tra l’idea di Leonardo e le visioni del francescano portoghese padre Amedeo Mendes de Silva, fondatore dei amadeiti, morto in odor di santità nel 1481. In realtà non è certo se il volume registrato nel 1506 in casa di Leonardo sia relativo agli scritti del francescano, ad ogni modo proprio nella chiesa milanese di San Francesco nel 1475 fra Stefano da Oleggio aveva esposto numerosi sermoni sul tema dell’Immacolata Concezione. Qui la pittura presenta un chiaroscuro fortissimo. Vergine è più maestosa mentre l’angelo è in vesti quasi monocrome. Vegetazione: le piante e fiori diversi e quelle di Londra alludono tutte alla Passione. La parte superiore è occupata interamente dalla roccia. Alessandro Ballarin ha formulato l’ipotesi che il dipinto del Louvre non fosse destinato alla chiesa di San Francesco Grande, ma ornasse la cappella Palatina costruita da Azzone Visconti sui resti un antico oratorio dedicato a San Giovanni Battista, il cui ruolo è molto accentuato dall’iconografia del dipinto di Parigi dove l’angelo addita il piccolo Giovanni, a differenza della versione londinese. La versione di Parigi è registrata in Francia a partire dal 1625 dall’erudito di origine piemontese, ma attivo a Roma, alla corte dei Barberini, Cassiano Dal Pozzo, sul motivo del suo arrivo siamo incerti. L’ipotesi più accreditata è che sia stata sequestrata dai francesi al loro arrivo a Milano (1499) o che sia stata donata da Ludovico il Moro all’imperatore Massimiliano in occasione del matrimonio con la nipote Bianca Maria Sforza nel 1493. Un’altra possibile traccia della presenza dell’opera in Francia già nel secondo decennio del Cinquecento, è la ripresa del dipinto in una pagina miniata dal Mitre de Claude nel 1517. Inoltre, la versione di Londra, è stata ripresa dagli artisti milanesi (i leonardeschi) mentre la prima non è stata vista ed è anche per questo Ballarin ipotizza la collocazione nella chiesa ducale dove vi potevano entrare solo i cortigiani. Ma cosa fa Leonardo per il Moro in questi anni a Milano? Innanzitutto viene chiamato per risolvere dei problemi ingegneristici e di idraulica per il passaggio dell’acqua nei navigli, poi musico di corte e produzione importante come ritrattista di corte. Uno dei dipinti più celebri del periodo è sicuramente Dama con l’ermellino (ritratto di Cecilia Gallerani) . L’opera,oggi a Cracovia, ritrae Cecilia Gallerani, una poetessa che è stata l’amante del Moro nella sua giovinezza. L’identità di Cecilia è confermata dall’ermellino ha due connotazioni: galée ( in Greco vuol dire bianco), allusione con il cognome della ritrattata e poi l’ermellino era tra le armi e simboli del Moro stesso ed è quindi anche un’ allusione al loro rapporto.Nata intorno al 1473 e amante di Ludovico il Moro dal 1489 circa fino alle nozze ufficiali di lui nel 1491 con Beatrice d’Este, sorella di Isabella. Nel 1498 Isabella d’Este chiede a Cecilia, ormai spostata , il ritratto per compararlo con altri dipinti di Giovanni Bellini, la Gallerani glielo invia. Chiedendo venia per la scarsa somiglianza dovuta non ad imperizia del pittore, ma all’estrema giovinezza del momento in cui era stata ritratta e questo ci consente di datare il ritratto tra il 1487-1489 circa. Costume meraviglioso con acconciatura tipica delle donne lombarde. È eccezionale nel modo di esecuzione del ritratto è come se lei si fosse girata sentendo qualcuno che parlava (“l’artista aveva dipinto la dama che par che ascolti e non fa bella”, by Bellincioni). È un unicum che già si discosta da quello della Benci. La figura, colpita dalla luce, emerge dal fondo d’ombra con un effetto di moto a spirale che en esalta insieme la volumetria e la grazia. L’opera per eccellenza di Leonardo a Milano è sicuramente il Cenacolo (1494-1498). È stato eseguito per il refettorio di Santa Maria delle Grazie e quindi non veniva vista pubblicamente. La tribuna delle chiesa era stata costruita dal Bramante di cui Leonardo seguiva lo stile (petroso, molto duro) andandolo a scardinare completamente: per capire la cultura figurativa di Bramante prendiamo d’esempio il Cristo alla colonna (1480-1490), Brera, tanto per l’impaginazione dell’immagine, che spinge in primo piano la dolorosa figura del Redentore sofferente, quasi portandola a diretto contatto con lo spettatore, quanto per la delicata e sensibile modellazione del corpo, classico nelle proporzioni, ma di una minuzia quasi fiamminga nella resa dei particolari. Si tratta di un dipinto murale con una particolare tecnica a olio (olio e uovo); il fatto che non si trattasse di un affresco portò già ad una sua rovina all’epoca. Per conservarlo nei secoli erano stati applicati dei beveroni di colla le quali avevano come fatto da catalizzatore di tutta la sporcizia che comportò un annerimento e un offuscamento totale e la restauratrice Brambilla dovette con un bisturi togliere tutte queste colle, cercando di non eliminare il colore vero originale. Ludovico il Moro aveva in mente un completo rinnovamento della chiesa di Santa Maria delle Grazie dove Bramante avrebbe dovuto ricostruire l’abside per farne un mausoleo per lui e la moglie Beatrice d’Este. La chiesa era officiata dai domenicani.Quando nel 1494 Ludovico riceve il titolo ufficiale di Duca di Milano Leonardo fu incaricato di dipingere anche le armi degli Sforza nelle lunette. Che la commissione provenga direttamente da Ludovico il Moro, oltre che dalle armi dipinte dalle lunette, sembra suggerito anche da una lettera del 29 giugno 1497, nella quale il Moro ordina: «de sollicitare Leonardo fiorentino perché finisca l’opera del Refittorio delle Gratie principiata». Non si tratta iconograficamente parlando, di un’immagine consueta sia perché Leonardo combina l’idea della prospettiva con un naturalismo inedito e sia perché normalmente il tema dell’Ultima Cena era raffigurato in maniera diversa nell’atto della consacrazione del pane e del vino. Giuda, infatti, non era posto a tavola insieme agli altri e inoltre veniva rappresentato un altro momento del celebre episodio. Gesù è posto al centro con le mani aperte (con dietro sfondo con finestra trifora che si apre su un paesaggio) e gli apostoli sono ai suoi lati disposti in quattro gruppi da tre. Alla destra di Gesù abbiamo: Giovanni, Pietro e Giuda con la borsa di denari in mano. Il momento scelto è infatti quello della rivelazione del tradimento; Leonardo all’epoca stava compiendo studi di acustica e sulla diffusione delle onde sonore. Si tratta appunto del momento nel quale escono dalla bocca di Cristo queste parole e Pietro chiede a Giovanni cosa avesse detto. Quelli più lontani capiscono sempre meno mentre quelli più vicini sono più preoccupati e si domandono chi sia il traditore. «Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. » (Giovanni 13, 21-26 Gv13,21- Gv13,26 ) . Vi sono vari studi e nel Codice Foster noi abbiamo delle affermazioni di Leonardo su come fare le teste: «Un altro tesse le dita delle sue mani insieme, e co’ rigide ciglia si volta al compagnio; l’altro colle mani aperte, mostra le palme di quelle, e alza li spalli inver li orecchi e fa la bocca della meraviglia. Un altro parla nell’orecchio dell’altro, e quello che l’ascolta si torce inverso lui, e gli porge gli orecchi, tenendo col coltello ne l’una mano e nell’altra il pane mezzo diviso da tal coltello …» (Codice Forster II, London, V&A). Quello più realizzato in tal modo è la figura dell’apostolo Andrea. Kenneth Clark afferma «Mano a mano che la concezione dell’Ultima Cena saliva di qualità sino a rasentare il sovrumano, questi gesti attinti al quotidiano divennero troppo triviali» ovvero dopo un po’ di tempo Leonardo abbandona questo eccessivo naturalismo nei gesti dei personaggi anche se tuttavia troviamo anche negli oggetti dei brani spettacolari (vedi anche I riflessi dei piatti, le ombre, il vino dentro al bicchiere, il pane a tavola). Gli apostoli appaiono ritmicamente concatenati in un movimento ondeggiante che si propaga verso l’esterno, rifluendo quindi verso la figura centrale di Cristo (solenne compostezza>senso di solitudine fisica e psicologica). Il profondo coinvolgimento dello spettatore è raggiunto tuttavia mediante il diretto collegamento percettivo tra spazio reale e spazio dipinto, con procedimenti analoghi a quelli posti in atto da Bramante. Il perfetto illusionismo prospettico, accentuato dall’effetto di luce proveniente da sinistra nell’ambiente dipinto come nel refettorio, salda in assoluta continuità i due spazi, sì che la scena evangelica sembra svolgersi direttamente alla presenza dei guardanti. Un’altra fonte importante è quella ricavata dalla novella di Matteo Brandello che ci racconta come lavorava Leonardo: “«Soleva [...] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove. ». Il Cenacolo è citato nel De Divina proportione di Luca Pacioli scritto a Milano. La lettera dedicatoria a Ludovico il Moro risale al 9 febbraio 1498, in essa Luca cita il lavoro del Cenacolo finito. DA VENEZIA AL RITORNO A FIRENZE FINO ALLA FRANCIA Numerosi sono gli studi di teste (dette “caricate”) che Leonardo esegue e che il Giorgione ne prenderà spunto. Infatti con l’arrivo dei francesi a Milano nel 1499, Leonardo è costretto a fuggire, dato che era considerato amico del Moro, e si reca a  Sant’Anna, la Madonna, il Bambino (circa 1501-1510), Louvre> una stesura cromatica di stupefacente delicatezza nei trapassi e una più sciolta “naturalità” nel fluire e nell’allacciarsi dei gesti e degli sguardi, sullo sfondo del profondo paesaggio “geologico” di acque e rocce stratificate, caratterizza il dipinto, accentuando l’impressione dello spettatore di trovarsi di fronte alla epifania di un evento misterioso e remoto nel tempo come nello spazio. Impianto monumentale delle figure, unità naturalezza dei moti, uso dello sfumato per rendere simultaneamente sensibili corporeità delle figure e l’atmosfera circostante, per la nuova e profonda vitalità dell’immagine. Altra grande realizzazione di questo momento è la Gioconda. Vasari ci racconta che si trattava del ritratto di Monna Lisa (poiché Lisa di messer Francesco del Giocondo, detta quindi la Gioconda). Di questa opera sappiamo davvero poco. Le interpretazioni sono tra le più svariate:  Per Kemp la natura, dietro alle sue spalle, si rifà all’apparato genitale femminile.  Per altri vi è un riferimento ad un sonetto di Dante nella Vita Nova nel quale egli dice che “gli occhi sono i balconi dell’anima”. Di fatto è difficile anche capire come l’opera sia arrivata a Parigi; certamente essa non era compiuta e Leonardo se la porta via da Firenze a Milano fino in Francia. Potrebbe essere uno di quei ritratti femminili che erano presenti nell’eredità che era stata descritta nel 1517 da Antonio de’ Beatis . È interessante comunque notare come Leonardo ha trattato la figura con le mani eleganti. Compenetrazione cromatica tra figura e paesaggio. Scambio tra ritratto e lo spettatore è una delle eredità profonde di Leonardo alla contemporaneità. Nel dipinto sembrano toccare il culmine la scienza e l’arte di Leonardo nella resa dei più sottili trapassi luminosi come l’avvolgimento atmosferico, che rende indissolubile, sul piano formale e su quello emozionale, l’unione della figura al misterioso paesaggio. La luce trascorrente e inafferrabile, impendendo di oggettivare i particolari fisici, favorisce la proiezione fantastica dello spettatore, così come il sorriso. Leonardo verrà invitato pure a Roma (vi sta per tre anni dal 1513 al 1516) da Giuliano de’Medici ma qui si troverà male. Da Roma si trasferisce definitivamente ad Amboise perché Francesco I lo vuole alla sua corte. Da genio italiano diventa francese.
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