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Appunti su Vittorio Alfieri, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti di lezioni del prof. Sergio Cristaldi su Alfieri.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 11/03/2024

ivano-belfiore
ivano-belfiore 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti su Vittorio Alfieri e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Vittorio Alfieri Un’Ode di Parini, del 1790, parla di Alfieri. A Parini hanno regalato un’edizione delle tragedie di Alfieri. Dice che non sono state scritte con la penna, ma col pugnale. E Alfieri è, per Parini, l’unico poeta italiano amato dalla musa della tragedia, Melpomene. Anche Foscolo è ispirato da Alfieri, nelle ultime lettere di Jacopo Ortis, sebbene non l’abbia mai incontrato. Jacopo Ortis a volte recita dei versi del Saul di Alfieri, soprattutto quelli in cui Saul medita il suicidio. Alfieri ha segnato la fine della vecchia letteratura. Inizia a scrivere negli anni 70. Egli dà alla letteratura italiana quel carattere tragico. Le sue tragedie hanno un tono duro, forte, diretto. I personaggi sono figure regali, importanti. Alfieri nasce in Piemonte e fa il militare, decide di abbandonare il Piemonte per abbandonare il suo ruolo di sottomesso a questa aristocrazia militare. Non è una monarchia illuminata. L’Europa, salvo qualche eccezione, è retta da tiranni. Alfieri scrisse un trattato di carattere politico, “Della Tirannide”. Il tiranno ha un potere assoluto che si basa sulla paura. Non ci sono organi di controllo del sovrano. Il suddito non può fare altro che obbedire. Anche il tiranno però ha paura, perché sa che il suo potere produce odio nei suoi confronti e quindi è paranoico e sospetta di tutti. Per Alfieri non esistono buoni sovrani, è il sistema che non può renderli buoni. Anche la religione è simbolo della tirannide, perché insegna la mitezza, l’obbedienza e il rispetto. Naturalmente Alfieri è convinto che anche il lusso sfrenato sia la causa della corruzione morale. La risposta a tutto ciò deve essere la difesa degli uomini della propria libertà e di non abbassare mai la testa. Il tiranno deve quindi essere eliminato. Scrisse anche un trattato sulla teoria della letteratura, “Del principe e delle lettere”, iniziato nel 1778. Ci sono per lui due tipi di letterati, quelli non liberi e quelli liberi. Ai primi interessa solo il loro tornaconto e devono stabilire buoni rapporti con il potere, che non li vincola, anzi li protegge e li addomestica. Quelli liberi vogliono portare “la luce, la verità e il diletto”. C’è un’affinità con Parini. Essi non si lasciano proteggere dai principi e non accettano privilegi. Non possono godere di fama, se non fuori dai loro confini, e allora il loro stesso stile deve essere libero. I migliori scrittori sono quelli che vivono in uno stato repubblicano. Lui crea l’espressione del “forte sentire”, cioè deve destare nel lettore un sentimento, ma non può farlo se prima non lo prova lui stesso. Lui ha una forte sensibilità verso il “popolo”, cioè la comunità nazionale. Se il popolo è schiavo, lo scrittore può aiutare il popolo a prendere coscienza dei suoi diritti e della sua dignità. Soprattutto quelli italiani, perché l’Italia è schiava e sottomessa e va ridestata. Per Parini la patria è Milano, egli vive in un impero multietnico. Per Alfieri invece l’idea dell’Italia come patria è molto più forte, ma essa è debole, frammentata e sottomessa. Ma ha la speranza di sapere che molti italiani ancora hanno mantenuta la loro fierezza e l’orgoglio nazionale. La drammaturgia di Alfieri è molto asciutta, lontana dal melodramma. L’azione tragica è legata ai soli personaggi (azione unica aristotelica), senza il coro e senza quelli che erano elementi scenici spettacolari largamente usati ai suoi tempi. Lo scopo di Alfieri è quello di rendere gli uomini liberi, e del resto il teatro trasmette il suo scopo in maniera immediata. Il teatro però non può crescere senza il potere dei padroni e senza i fondi. Per Alfieri il teatro deve liberarsi, deve tornare a quello di Atene, libero. Il suo modello è Aristotele, la divisione in 5 atti, le tre unità, soprattutto l’unica azione. Il teatro francese del ‘600 aveva come tema centrale l’amore e semmai il conflitto amoroso. Alfieri ammette il tema amoroso, purché lo si tratti in maniera intensissima e funesta. Il teatro tragico è in versi e quindi alfieri non può esimersi dall’usare il verso. Il teatro francese era alessandrino; in Italia si usa il Settenario doppio in distici a rima baciata (legge di Martello). Per alfieri questa scelta è sbagliata, e sceglie l’endecasillabo sciolto. Niente strofe e niente rime. Per lui è importante un “rompere sempre variato in suoni”, cioè un verso duro, secco, energico e sempre diverso. Il suo modello pratico di scrittura è Seneca, che ha un teatro tragico energico e drammatico. Ma anche Stazio è un autore che ammira, sebbene non sia drammaturgo. Così come James Macpherson, autore dei Canti di Ossian, uno scozzese più moderno, che aveva recuperato dei canti dei bardi scozzesi, una poesia forte e dura, così come la terra da cui nasce. Le tragedie di Alfieri rispondono ai canoni del poeta: lo scontro tra due personaggi, di solito il tiranno vs l’eroe. Non è sanabile come conflitto e si può concludere con la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro. I soggetti vengono dal mondo mitologico antico, ma anche dalla modernità. Esistono 3 momenti, che corrispondono al processo di elaborazione della tragedia: Ideare, stendere e verseggiare. L’ideare è la scelta dell’argomento, del numero di personaggi, la suddivisione in atti e in scene. È un lavoro breve e rapido. Stendere vuol dire la distribuzione delle battute tra i personaggi,. Verseggiare è la parte di elaborazione finale, che si occupa di inserire il verso nelle battute. La prima tragedia è “Antonio e Cleopatra”, rappresentata nel 1775, è una tragedia che poi lo stesso alfieri rifiuta, ritrovando molti difetti in essa. La seconda è il “Filippo”, scritta tra il 1776 e il1781, che parla di Filippo II di Spagna, un tiranno, mentre il figlio, Carlo è l’eroe che si oppone al padre dispotico. Il “Saul” è del 1782, è tratto la primo libro dei re, del vecchio testamento. I personaggi sono 6, Saul, vecchio re, Davide, genero di Saul, Micol, figlia di Saul, e Gionata, figlio di Saul, Abner, generale, Achimelec, sommo sacerdote. È uno dei suoi più grandi lavori. Il fatto che ebbe questo successo forse è adducibile al fatto che sia a Torino gli studi ebraici erano frequenti, del resto uno studioso di ebraismo era amico di alfieri, e infatti gliela dedica, e anche perché Alfieri si trova a suo agio con questi temi che gli stanno a cuore. Viene apprezzato per il fascino che questo soggetto ha, con il suo carattere quasi primordiale e barbarico. Anche Voltaire scrisse una tragedia chiamata Saul, più antica di circa vent’anni, ma è comunque prova che c’era già un gusto per questo mondo antico. Alfieri tramite il Saul porta avanti le sue idee libertarie e anti-tirannidi. Davide non sviluppa un’avversione nei confronti di Saul. Purtroppo Davide non è un personaggio intenso e in effetti il conflitto non si svolge tra Saul e Davide, ma tra Saul e Dio. Saul è quindi sia oppressore (verso Davide) ma anche oppresso da Dio e quindi eroe di libertà nei suoi confronti. La libertà che Alfieri ricerca è assoluta ed estesa a tutti i campi. I vincoli non sono solo politici, ma anche altri molto più radicati e profondi, come l’oppressione di Dio. Il popolo di Israele non ha avuto per molto tempo un’unità, erano divisi in 12 tribù. Alla fine hanno bisogno di un re e chiedono a un sommo sacerdote Samuele (che viene citato nel Saul), che consacra Saul come primo re. È un giovane valoroso e guida Israele verso un futuro vittorioso. Sconfitto il re nemico Akag, il potere sacerdotale si divide dal potere regale, infatti Samuele aveva
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