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Appunti su Weber e Sociologia della religione, Appunti di Antropologia Filosofica

Religioni del mondoStoria delle ReligioniTeologia ComparataFilosofia della religione

Approfondimento delle tematiche weberiane bypassate a lezione.

Cosa imparerai

  • Come le immagini religiose del mondo influiscono sulla direzione del rifiuto del mondo?
  • Come l'ascesi attiva e la contemplazione mistica influiscono sulla ricerca della salvezza e sulla condotta religiosa?
  • Quali sono le due direzioni del rifiuto del mondo identificate dall'autore?

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 20/03/2022

Raffaele.Bruni
Raffaele.Bruni 🇮🇹

4.4

(16)

10 documenti

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Scarica Appunti su Weber e Sociologia della religione e più Appunti in PDF di Antropologia Filosofica solo su Docsity! WEBER -Trascendimento del mondo e redenzione Con il termine redenzione Weber non intende una generica aspirazione alla liberazione da qualcosa che procura sofferenza, ma la percezione di un qualche aspetto della realtà come insensato, razionalmente ingiustificabile, e, al tempo stesso, passibile di superamento. L’idea di redenzione è qualcosa che prende forma all’interno di una immagine religiosa del mondo. Questa è un costrutto intellettuale che fornisce un’interpretazione unitaria del mondo come totalità eccedente l’esperienza possibile e che fornisce le coordinate generali del nostro posizionamento pratico rispetto ad esso. Tratto distintivo delle immagini religiose del mondo è l’attribuzione al mondo di un senso oggettivo: il mondo è una totalità dotata di senso a prescindere dall’agire degli uomini, i quali tuttavia possono e devono orientarsi in base ad esso. L’immagine religiosa del mondo come totalità dotata di senso consente di rispondere alla domanda su qual è il posto dell’uomo nel mondo: ci dice chi siamo e ci spiega come il mondo funziona. La specificità dei Weltbilder delle religioni di redenzione consiste nell’intreccio fra l’interpretazione del mondo e l’annuncio-promessa di una possibile liberazione da quegli aspetti del mondo che proprio a partire da una certa immagine vengono percepiti come privi di senso. Il desiderio di redenzione non può esistere prima di un’interpretazione del mondo che consenta la percezione di qualcosa come insensato e che indichi la possibilità di un suo superamento. La percezione stessa della sofferenza dipende da quella interpretazione del mondo che ne annuncia il possibile superamento. I Weltbilder religiosi sono credenze che conferiscono un fondamento oggettivo alle nostre prese di posizione pratiche: ci dicono cosa dobbiamo fare per poter accedere alla redenzione, quale tipo di condotta seguire per liberarci da ciò che esse stesse descrivono come insensato. Il Weltbild delle religioni di redenzione fornisce un fondamento oggettivo alla nostra condotta etica. La profezia è senz’altro l’evento chiave nella vicenda della nascita e dello sviluppo della religiosità di redenzione. Il profeta è colui che sulla base di un carisma puramente personale annuncia una dottrina e formula promesse, fornisce indicazioni etiche con esigenze unitarie. L’intreccio tipicamente profetico fra interpretazione e annuncio, fra teoria e speranza è il motore della religiosità di redenzione e il contesto di senso della sua sublimazione. Tuttavia, i Weltbilder religiosi sono il prodotto non soltanto della creatività profetica ma anche della sistemazione delle esigenze pratiche portata avanti dal clero e della razionalizzazione delle credenze prodotte dagli strati intellettuali. Entrambi intervengono a dare determinatezza e coerenza al messaggio profetico e alle sue istanze etiche. Gli effetti pratici di un'immagine religiosa del mondo non possono essere dedotti semplicemente dal contenuto dell’annuncio profetico. L’influenza sulla condotta di vita del messaggio profetico varia sensibilmente in funzione della sua sistemazione razionale: piccole trasformazioni in luoghi tutto sommato periferici dei Weltbilder religiosi producono differenze profonde nelle esigenze pratiche e nelle tipologie di condotta. Gli effetti pratici delle immagini religiose (e non) del mondo sono destinati a mutare nel corso del tempo, anche a grande distanza dalla profezia originaria, essenzialmente in virtù del contributo innovativo di altre figure. -Percorsi della sublimazione: gradi e dimensioni L’idea di redenzione sostenuta dalle – e definita nelle – immagini religiose del mondo si traduce in un atteggiamento etico che non aderisce al mondo e alla sua logica. L’aspirazione ad una condizione altra da quella individuale o collettiva in cui ci si trova in questo mondo sostiene l’adozione di un atteggiamento pratico (interiore o esteriore) che prende le distanze dal mondo, dai suoi beni, dalla sua materialità. Questo è ciò che Weber chiama rifiuto del mondo. La radicalità con cui questo avviene, l’intensità del registro del rifiuto del mondo dipende dal grado di sublimazione a cui sono pervenute alcune dimensioni dell’esperienza religiosa. Il grado di sublimazione e il tasso di trascendimento etico del mondo non rappresentano un dato costante nella traiettoria storica di uno stesso sistema religioso. L’esito più puro e conseguente del processo di sublimazione dell’etica religiosa è la sua trasformazione in un’etica dell’intenzione. Qui il valore etico dell’azione non consiste negli effetti che realizza nel mondo, ma nel senso attribuito alla singola azione in quanto perfettamente razionale rispetto al valore. L’etica dell’intenzione non conosce né mezzi, né fini, in quanto aliena e indisponibile a qualsiasi atteggiamento strumentale: il senso dell’agire etico soggettivo risiede nella testimonianza del possesso di un’intenzione giusta, della capacità di una conformità assoluta al principio. Nella sua forma più sublimata l’etica dell’intenzione comporta che la singola azione individuale non venga considerata isolatamente, conta infatti l’habitus personale complessivo che si esprime in una condotta costante e stabile nel tempo. La singola azione etica assume valore soltanto nella misura in cui ha carattere “sintomatico”; non se è solo prodotto del “caso” o contingente. Questa sublimazione della motivazione e del senso dell’agire è collegata ad un’analoga trasformazione della concezione dei beni di salvezza, dei “premi” che il credente aspira ad ottenere. Ancora una volta si tratta di un processo in cui arretrano la strumentalità e la materialità: la sublimazione dei beni di salvezza non consiste nel loro trasferimento in una dimensione ultraterrena ma nella loro interiorizzazione, nella ricerca dello stato di grazia di una coscienza soddisfatta di sé. Il bene di salvezza non è più la condizione materiale in funzione della quale si adotta una condotta conforme ai dettami dell’etica religiosa ma la coscienza di essere nel giusto, in cui il rispetto delle regole etiche diviene un valore in sé. La sublimazione dell’etica religiosa spinge fino all’ universalizzazione degli imperativi stessi al di là di tutte le differenze poste dagli ordinamenti mondani. Sublimazione può significare così anche una declinazione in-differenziata dell’imperativo etico, un’interpretazione dell’amore del prossimo che, tendendo alla coerenza assoluta, si traduce nella forma più radicale di rifiuto del mondo: l’acosmismo dell’amore. Un amore assoluto e incondizionato incapace di qualunque differenziazione. Si approda qui ad un universalismo che non soltanto rifiuta qualsiasi forma di etica sociale organica ma finisce per comportare un’incapacità di farsi mondo. Le etiche religiose di redenzione hanno raggiunto raramente tale grado massimo di sublimazione e anche quando ci sono riuscite, queste forme sono state patrimonio esclusivo della religiosità dei virtuosi. L’intensità della sublimazione, il grado di rifiuto del mondo non costituisce un criterio di differenziazione inter-religioso. Ciò che separa e distingue le religioni mondiali non è l’intensità del rifiuto del mondo ma la sua direzione. -Le direzioni del rifiuto del mondo La diversità delle direzioni del rifiuto del mondo è l’elemento centrale intorno al quale Weber organizza la comparazione tra le religioni mondiali, differenziando l'impatto sulla condotta pratica e sull’atteggiamento nei confronti del mondo. Weber opera una distinzione tipologica tra due modalità di ricerca della salvezza: una orientata in senso ascetico-attivo, l’altra in senso mistico-passivo. A questi due orientamenti nella ricerca della salvezza corrispondono due modalità antitetiche di rifiuto del mondo: «da una parte l’ascesi attiva, un agire voluto da Dio, in qualità di strumento di Dio, e dall’altra il possesso contemplativo della salvezza proprio della mistica, che vuol essere un “avere” e non un agire, cui l’individuo non è strumento ma “vaso” del divino, e in cui l’agire nel mondo deve perciò apparire come una minaccia per lo stato di salvezza, che è del tutto irrazionale ed extramondano». Se l’asceta è il campione, il “guerriero” di Dio chiamato all’azione, il mistico aspira all’umiltà, a vivere in incognito, a limitare al massimo azione e presenza nel mondo. Questa antitesi incentrata sul modo della ricerca della salvezza e sulla condizione religiosamente qualificata a cui si aspira, si intreccia con un’altra costruita sul l’inconciliabilità di fondo dell’etica religiosa con la politica, che alimenta maggiormente la tensione tra le due sfere. La violenza è elemento essenziale della politica in quanto suo mezzo proprio, è suo strumento per eccellenza. occupa una posizione centrale all’interno del processo di formazione dello stato moderno. In Weber è però rintracciabile anche una violenza che eccede i limiti della statualità rendendo opachi e porosi, meno netti e nitidi, i confini e la definizione della sfera politica. Tali linee sono rintracciabili lungo la faglia che separa etica e politica (punto di maggiore frizione e commistione tra le due sfere). -Amore e violenza Il nesso che lega etica e politica rappresenta una delle combinazioni concettuali a più alta tensione in Weber e in tale relazione ad alta conflittualità la violenza costituisce uno dei principali fattori di attrito: è infatti sull’opposizione tra precetto d’amore dell’etica religiosa e violenza come mezzo specifico della politica che si gioca gran parte del contrasto tra le due dimensioni dell’agire. Tale opposizione tra etica e politica è presentata come una delle possibili declinazioni del rifiuto del mondo dell’etica religiosa: un rifiuto che nasce dalla constatazione dell’irrazionalità etica del mondo, della mancata corrispondenza tra felicità e merito; e che da questa constatazione elabora un’immagine capace di conferire senso etico al mondo – perlopiù attraverso la postulazione di un aldilà, una dimensione oltremondana capace di fornire una compensazione etica. L’etica religiosa, nelle sue diverse forme, crea dunque le condizioni di possibilità per un atteggiamento soggettivo che rifugge dal mondo, come regno della sofferenza immeritata, e aspira alla redenzione, alla liberazione dal male e dalle ingiustizie terrene. Rifiuto del mondo significa dunque anche rifiuto delle singole sfere dell’agire, tra cui la politica. Qui il contrasto tra etica e politica assume una configurazione particolare: l’etica religiosa formula un messaggio d’amore universale, in un processo di sublimazione del principio di fratellanza che finisce per rivolgersi all’intera umanità. È un amore che si configura come acosmico, indifferenziato, che non accoglie alcun principio di distinzione, e dunque un amore indifferente, privo cioè di interesse per la persona a cui si rivolge. Acosmismo significa, letteralmente, assenza di mondo: rifiuto di assumere un qualsiasi principio di ordine, di distinzione o determinazione, che permetta di vivere nel mondo. L’acosmismo dell’amore è la forma più estrema e coerente di fuga dal mondo perché del mondo rifiuta la forma. E se dunque l’etica religiosa tende ad allontanarsi dal mondo, la violenza invece àncora al mondo. Nella prospettiva dell’etica religiosa, la violenza detiene infatti un carattere “vischioso”: è un tipo di agire da cui risulta difficile liberarsi. È ciò che Weber chiama «pragma della violenza»: «la violenza e la minaccia mediante la violenza generano inevitabilmente, secondo un pragma ineliminabile di ogni agire, sempre nuova violenza». La tensione alla redenzione del mondo intrinseca all’etica religiosa, come aspirazione a un mondo eticamente razionale, non può trovare nella violenza il mezzo della sua attuazione. La violenza, elemento mondano, si rivela uno strumento in grado di snaturare l’azione guidata dalla migliore intenzione, finalizzata allo scopo più santo. Una volta che si decide di farvi ricorso, essa tende a fagocitare il fine più alto, catturandolo in una catena di mezzi e fini il cui unico risultato è altra violenza. Per proteggersi dal carattere vischioso della violenza, l’etica religiosa esprime allora un suo rifiuto, radicale e assoluto: elabora infatti «la pretesa più radicale dell’etica della fratellanza, quella di non resistere al male con la violenza». Il principio del Sermone della Montagna rappresenta per Weber la specifica declinazione antipolitica dell’etica religiosa: il comandamento dell’amore, della fratellanza universale, si articola nel rifiuto di adoperare mezzi eticamente pericolosi. Eppure, lungo la faglia che separa e contrappone etica e politica, è possibile rintracciare dei momenti e casi specifici in cui tale contrasto sfocia in un’alleanza inaspettata, in cui i termini dell’opposizione subiscono un’inattesa riconfigurazione: quando, cioè, l’agire violento si aggancia a forme radicali di giustificazione etica, quando la tensione alla redenzione etica del mondo, abbandonato il rifiuto originario, trova nella violenza il proprio canale prediletto di estrinsecazione. Ciò accade quando «il pragma della violenza – secondo cui essa produce a sua volta nuova violenza– non viene riconosciuto come qualità durevole di ogni cosa creaturale», quando la religiosità, abbandonando la preoccupazione sul carattere vischioso della violenza, vede in essa lo strumento adatto a redimere il mondo, a realizzare la linearità etica, il canale di espressione privilegiato della santità della propria intenzione religiosa, forma per eccellenza del proprio rifiuto del mondo. E’ dunque in connessione con forme di radicalismo etico che è possibile trovare le tracce di una violenza rivoluzionaria. -Violenza anomica Una prima forma di violenza rappresenta la declinazione rivoluzionaria del virtuosismo religioso di stampo mistico. La tecnica di salvezza specificamente mistica presuppone l’attesa quieta e silenziosa del divino, atteggiamento passivo che riduce al minimo l’agire e intende la redenzione come “riempimento di un vaso”, come “possesso di dio”: prospettiva etico-religiosa che, portata alle sue estreme conseguenze, conduce all’ acosmismo dell’amore. Così, anche la sua declinazione rivoluzionaria nella forma dell’esplosione di una violenza anomica conserva alcuni caratteri tipici: la concezione passiva della forma della redenzione, l’incompatibilità con una forma di agire consapevole del mondo e delle sue regole, il carattere disordinato privo di ordine e incapace di produrre ordine della sua manifestazione. Weber ne trova le tracce in un caso storico puntuale: la presa nel 1534 della città di Münster da parte di un gruppo di seguaci dell’anabattismo, confessione sorta con la riforma protestante che predica la purezza della comunità religiosa e l’assoluta non violenza radicalizzata per l’incontro con idee millenaristiche (la convinzione cioè che il regno di Cristo sulla terra sia imminente). La riflessione di Weber ruota intorno al passaggio improvviso dalla predicazione della non violenza all’esercizio di una violenza estrema: si tratta cioè di cogliere le specifiche condizioni che hanno reso possibile un cambiamento così radicale, gli elementi che hanno contribuito a rendere la violenza non solo un’azione giustificabile ma la forma dell’agire attraverso cui esprimere la purezza e santità dell’anima. Nell’argomentazione weberiana, l’elemento detonatore capace di produrre tale ribaltamento prospettico risiede in un mutamento improvviso nella prospettiva temporale dei soggetti: è il millenarismo che produce un accorciamento improvviso del tempo della redenzione a produrre il ribaltamento: l’esplodere delle speranze escatologiche «di un inizio immediato dell’età della fratellanza acosmistica» implica il venire meno della tensione di rifiuto del mondo, il Regno di Dio è qui e ora. La specifica temporalità da “imminenza della fine” nella quale si trovano ad agire gli anabattisti produce le coordinate fondamentali che determinano la forma e il senso della loro violenza, di cui è possibile individuare alcuni caratteri specifici. 1)In primo luogo, essa è intesa come violenza ultima. La violenza appare sensata e giustificata proprio perché è l’ultima, quella definitiva, capace di porre fine a ogni violenza: è l’imminenza della fine, l’ultimità del momento a rendere improvvisamente giusto l’agire violento. In grado di interrompere il ‘pragma’, la violenza rivoluzionaria anabattista risulta quindi priva di quel carattere “vischioso” che fa ripiombare l’agire nella cattiva infinità delle cose mondane. In quanto tale, non è violenza mondana ma divina: non è un agire umano ad essere capace di porre fine al male nel mondo, di realizzare il regno della fratellanza e dell’amore universali, ma solo un intervento divino, trascendente.// 2)Non strumentale: La violenza non è intesa in una dimensione strumentale ma come manifestazione della giustizia di dio: non si mira con l’ agire violento, a costruire il regno di dio, poiché questo non è il prodotto di un agire umano, ma divino. La fine, più che il fine, esiste, ma non dipende dalle azioni dei singoli, quanto da Dio. Viene qui conservato il carattere passivo del rifiuto mistico del mondo, secondo cui la tecnica della salvezza non è intesa nella forma di un agire, ma del possedere, dell’avere. Nella prospettiva anabattista manca l’idea che l’agire possa servire a realizzare uno scopo ed è assente una qualsiasi dimensione strategica, un’attenzione minima alla possibilità di successo dell’agire. Dal punto di vista mondano, è una violenza inefficiente, inevitabilmente destinata all’insuccesso.// 3)Etico-intenzionale: La violenza non è dunque giustificata in quanto mezzo capace di realizzare un fine giusto ma come espressione e manifestazione della volontà di Dio: in quanto tale, essa non trova il criterio etico della sua giustificazione in un riferimento esterno ma è intesa come giusta in sé stessa, realizzazione in atto della giustizia divina. Una prospettiva di giustificazione etica dell’agire che rientra nel campo dell’etica dell'intenzione: una valutazione dell’agire sulla base del valore intrinseco all’azione: «il “puro volere” o l’'intenzione"», contrapposta a una etica del risultato o della responsabilità, che valuta invece le conseguenze prodotte nel mondo o lo scopo a cui mira. Indifferente alle conseguenze, priva di uno scopo, l’unica cosa che conta davvero è agire da giusti, indipendentemente e indifferentemente dal fatto che questo agire possa poi produrre conseguenze disastrose. //4)Anomica: L’anomismo è la declinazione in politica dell’acosmismo proprio della mistica, versione estrema e coerente della ricerca mistica della salvezza come assenza di agire ed espressione di amore incondizionato e indifferenziato. La violenza anomica rappresenta una violenza disordinata: cioè una violenza che non segue alcuna regola e, soprattutto, che non produce una norma, non dà luogo a ordine. Tale carattere deriva direttamente dalla forma mistica della redenzione. Si è certi di appartenere alla schiera dei salvati, di vivere nella nuova Gerusalemme: i comandamenti del mondo non valgono per chi è sicuro di essere posseduto da dio. La regola etica, il rito religioso, che insegnano a vivere nel mondo a chi aspira alla salvezza, non hanno più alcun significato per il santo, poiché egli «conosce lo spirito». -Violenza ascetica Una seconda forma di violenza rivoluzionaria segue invece la declinazione ascetica dell’etica religiosa. Vicenda storica che Weber assume a caso esemplificativo è quella dei Santi Puritani di Cromwell, fanatici religiosi che, in nome della libertà religiosa e di coscienza, si ribellarono al re Carlo I. Lontana dal rifiuto assoluto tipico della mistica, l’ascesi protestante detiene verso la violenza un atteggiamento più favorevole: le sue condizioni di possibilità sono rintracciabili nel principio anti-autoritario per cui «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» e a un Dio che parla singolarmente alla propria coscienza, senza intermediari né interpreti. Qualora dunque l’autorità umana si contrapponga a quella divina, il puritano è legittimato a usare la violenza in una «rivoluzione attiva per la fede» che oppone il diritto divino ai corrotti ordinamenti empirici. La violenza, legittima unicamente ad maiorem Dei gloriam, e mai per scopi mondani, è in questo caso un dovere religioso, l’atto di un buon cristiano che segue la propria coscienza, cioè la testimonianza interiore dello Spirito. Tale violenza ascetica presenta uno spiccato atteggiamento anti-politico, le cui radici sono rintracciabili nell’orrore per la divinizzazione delle creature e nella paura della contaminazione. Una violenza che è dunque riconducibile a una serie di caratteri specifici 1)Sottrattiva: La violenza ascetica è orientata nel senso di una liberazione dal potere politico piuttosto che in quello della sua istituzione. Questo specifico orientamento liberale affonda le sue radici nella complessa trama teologica del puritanesimo. La declinazione individualista e solitaria della religiosità puritana, per la quale Dio parla direttamente alla coscienza del singolo, determina una strenua difesa della propria libertà di coscienza, di una sfera considerata «imprescrittibile nei confronti del potere». Ma la libertà di coscienza, «oltre che nella propria, consiste nella libertà di coscienza degli altri». Il carattere liberale e antipolitico della religiosità puritana si articola anche nella difesa della
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