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Appunti sui temi della comunicazione umanitaria del rischio e dell'emergenza, Appunti di Comunicazione Politica

Appunti sui temi della comunicazione umanitaria del rischio e dell'emergenza

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 14/09/2022

AliceCeccarelli
AliceCeccarelli 🇮🇹

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Scarica Appunti sui temi della comunicazione umanitaria del rischio e dell'emergenza e più Appunti in PDF di Comunicazione Politica solo su Docsity! COMUNICAZIONE UMANITARIA DEL RISCHIO E DELL’EMERGENZA Cos’è la comunicazione? (Lezione 2) Secondo Paccagnella (2004) la comunicazione è un processo di costruzione collettiva e condivisa del significato, processo dotato di livelli diversi di formalizzazione, consapevolezza e intenzionalità. In termini generali, la comunicazione può essere intesa come uno scambio di simboli che assumono un particolare significato entro un determinato contesto. Data questa premessa, esistono numerose definizioni, diverse e in contrasto tra loro. [ Nel caso della comunicazione umanitaria, del rischio e dell’emergenza: i concetti di rischio, emergenza e umanitarismo possono essere intesi in modo diverso tanto tra culture diverse, quando all’interno della stessa società. ] - Caratteristiche della comunicazione: 1. Invisibilità e propagazione, 2. Pervasività e rapido sviluppo dei media, 3. Aumento della complessità sociale, 4. Imprevedibilità e immediatezza della dimensione umana e sociale. + 5. Multidisciplinarità: più discipline la studiano autonomamente, 6. Interdisciplinarità: scambio conoscitivo tra le discipline, 7. Transdisciplinarietà: supera i confini tra le discipline creando sistemi di conoscenza ibridi. → Scienze hard: la comunicazione come risorsa strumentale e finalizzata a produrre gli effetti desiderati dall’emittente = studio della comunicazione di massa. → Scienze soft: la comunicazione come fattore umano e sociale = studio della comunicazione come azione sociale. Gli studi sulla comunicazione possono dirsi scientifici nella misura in cui producono asserti: • Teoricamente fondati, cioè basati su spiegazioni coerenti con i dati empirici disponibili; • Empiricamente controllabili, cioè espressi in forma di ipotesi verificabili attraverso la raccolta e l’analisi di dati empirici. L’interesse delle scienze sociali per la comunicazione nasce soprattutto in relazione all’esplosione della grande industria dei media = radio, cinema, propaganda: la comunicazione di massa diventa la sola comunicazione di cui è lecito occuparsi sistematicamente. La comunicazione come strumento per trasferire pensieri da A a B (paradigma informazionale). La comunicazione come scambio tra A e B, che insieme costruiscono il significato del messaggio (paradigma relazionale). di 1 37 Comunicazione: etimologia e accenni storici (Lezione 3) Il termine comunicazione deriva dal latino communicare, la cui terminazione -atio, indica forme astratte di azione: communicatio → partecipazione = letteralmente messa in comune. La storia della comunicazione dimostra, in modo inequivocabile, che l’arrivo di una nuova tecnologia della comunicazione modifica in modo irreversibile sia il modo di pensare degli individui sia la struttura sociale. + Se non c’è comunicazione non può esserci società: il linguaggio nasce in epoca preistorica come risposta adattiva all’ambiente ostile, perché consentiva di coordinare le azioni (= la comunicazione rende possibile forme molto efficaci di coordinamento entro piccoli gruppi di uomini impegnati in compiti complessi). + Rapporto circolare tra comunicazione e società: non c’è società al di fuori della comunicazione e non può esserci comunicazione senza una società. I SIMBOLI: i simboli consistono in segni, immagini o oggetti che rappresentato o rimandano a qualcos’altro, che consentono di semplificare, immagazzinare e condividere un certo significato (il simbolo “sta per” l’oggetto rappresentato ma non coincide con esso). [ il rapporto tra segni, immagini, oggetti costituisce l’oggetto di studio della linguistica e della semiotica ]. Le pitture rupestri sono tra le più antiche espressioni della capacità simbolica dell’uomo. IL LINGUAGGIO: Il passaggio dai segni al linguaggio orale richiede un apparato fonatorio adatto: i primi ominidi non parlavano perché semplicemente non erano fisicamente in grado di farlo. Il linguaggio orale: si basa sulla capacità di memorizzare, fa ricorso a formule o espressioni, si basa sull’esperienza concreta. LA SCRITTURA: una delle prime ipotesi è che la scrittura sia nata per registrare gli scambi economici. IL PENSIERO LOGICO: la logica formale nasce nell’Antica Grecia dopo l’interiorizzazione della scrittura alfabetica. L’oralità secondaria è dominata dalla possibilità di comunicare attraverso i media elettronici e digitali e incorpora elementi e modalità di pensiero sia delle culture chiropratiche che di quelle orali. Culture orali e chirografiche (Lezione 4) L’invenzione dell’oralità rappresenta la prima grande rivoluzione mediale. La riconfigurazione della comunicazione attraverso l’istituzionalizzazione di codici ristretti in grado di trasmettere ma soprattutto conservare informazioni incide direttamente sul tessuto sociale: 
 → a livello macrosociale riconfigura gli assetti sociali, con la nascita di nuovi ruoli e funzioni; → a livello microsociale, segna lo sviluppo cognitivo dell’uomo, potenziando la capacità di astrazione del pensiero. di 2 37 Elementi e modelli della comunicazione (Lezione 6) Harold D. Lasswel (1902-1978): modello delle 5W 
 Who says (la fonte che produce i messaggi) → What (il messaggio) → What channel (il canale) → To whom (il ricevete) → With what effects? (l’effetto) Gli elementi della comunicazione (McQuail): Diversamente da Lasswell, McQuail da maggior risalto al valore relazionale del processo comunicativo. Gli elementi della comunicazione: → la fonte = il produttore del messaggio. → il canale = il mezzo fisico attraverso il quale si svolge l’atto comunicativo. di 5 37 → il messaggio = il contenuto della comunicazione. ⇢ → indici = relazione di continuità fisica tra significante e significato. → icone = relazione di analogia o similitudine tra significante e significato. → simboli = il rapporto tra significante e significato è convenzionale ed arbitrario. → il codice = sistema generalmente condiviso per l’organizzazione dei segni. → il ricevente = destinatario del processo di ⇢ comunicazione. → il contesto = la situazione nella quale si situa la comunicazione (cambiando il contesto, il messaggio può assumere un diverso significato). I modelli della comunicazione costituiscono sintesi grafiche riguardanti singoli o molteplici aspetti del processo comunicativo. È possibile operare una distinzione fondamentale relativa ai differenti tipi di modelli, in base alla direzione dei flussi di messaggi, cioè in base alla presenza di feedback. - Modelli lineari: emittente → messaggio → destinatario. - Modelli circolari: A ← bidirezionali dei messaggi → B La linearità o la circolarità di un modello non dipende in alcun modo dalla sua forma grafica: la distinzione dipende dalla presenza o dall’assenza del feedback (i modelli lineari sono privi di feedback, quelli circolari sono dotati di feedback). Cos’è il rischio? (Lezione 7) Nella seconda modernità emergono i paradossi e le conseguenze non volute delle decisioni umane. → Fine degli anni ’50: una serie di disastri (sanitari, ambientali e tecnologici: 1976-1978, scoperta di depositi di rifiuti tossici a Love Canal e conseguente evacuazione della città; Il caso Minamata; Il disastro di Chernobyl 1986; lo tsunami di Sumatra 2004) fa acquisire al concetto di rischio una crescente centralità, entrando nell’agenda mediale e politica. Paradossalmente questo accade in concomitanza all’aumento del benessere, delle aspettative di vita e di scelte (aumentano anche i rischi). La serie di disastri esposti poco fa, specialmente quello del 2004, hanno evidenziato alcuni aspetti particolarmente critici: - La mancanza di un sistema di early warning, - La scarsa conoscenza e familiarità delle popolazioni esposte, - La scarsa percezione del rischio, - L’inefficacia della comunicazione d’emergenza, - Il rapporto strettissimo tra disastri socio-naturali ed emergenze umanitarie. Il rischio ha acquisito un enorme significato politico: la sola esistenza di un rischio riconosciuto esclude la possibilità che esso possa essere ignorato e, di conseguenza, impone alla politica e ai cittadini di fare qualcosa a riguardo. L’effettiva possibilità di «fare qualcosa» dipende da un complesso insieme di fattori e spesso le misure per mitigare un certo tipo di rischio determinano conseguenze indesiderate per i cittadini, per l’ambiente o per l’economia. La necessità di azioni per mitigare i rischi e la distribuzione dei costi e conseguenze indesiderate sono terreno di scontro politico. In questo contesto la di 6 37 comunicazione dei rischi è fondamentale. → Il rischio è diventato un nodo centrale del dibattito sociologico contemporaneo per diversi motivi: secondo Beck, Giddens; Lash e Luhmann è una dimensione imprescindibile del processo di modernizzazione. Inoltre, il rischio ci costringe a fare i conti con i limiti nella previsione degli effetti collaterali e/o indesiderati delle nostre scelte e sulle visioni del futuro (che non sono mai moralmente e politicamente neutrali). Non esiste una definizione condivisa e accettata del concetto di “rischio” dato che non è un concetto auto-esplicativo che “esiste” in senso ontologico, come entità a sé stante. Rimane quindi un concetto aperto all’interpretazione e soprattutto con un significato variabile in base al contesto in cui viene usato. → In termini generali il concetto di rischio fa riferimento alla possibilità che azioni umane o eventi portino a conseguenze in grado di incidere su aspetti che hanno un significativo valore per l’uomo. Definizioni di rischio e approcci alla comunicazione (Lezione. 8) Le scienze sociali nella ricerca sui rischi sono decisamente importanti. → Nel 1983 nasce la “Risk Analysis”, rivista del settore che diventa il principale luogo del dibattito. Tuttavia, l’interdisciplinarietà è diventato sempre più carattere identificativo di questo ambito, contribuendo a creare un’imponente corpus di ricerche. Con il termine risk studies (che appare agli inizi degli anni ’80) si identifica un campo di studi e ricerche che studia: problemi sociali, politici, economici e giuridici legati ai rischi. La concezione realista assume l’idea di comunicazione come trasferimento lineare e top-down di informazioni sul rischio da parte degli esperti / autorità ad un pubblico passivo, atomizzato e irrazionale in una situazione di asimmetria informativa. → Nelle teorie realiste il rischio è visto come realtà ontologica, misurabile e indipendente dall’osservatore. È una concezione dominante nel campo delle scienze “dure” (fisica, chimica, biologia, ecc). 
 La concezione costruzionista (costruttivista) adotta una visione dialogica e negoziale della comunicazione, che implica una prospettiva aperta all’interpretazione ed è orientata a migliorare la fiducia e credibilità e a coinvolgere cittadini e stakeholder nei processi decisionali. → Nelle teorie costruzioniste il rischio è inteso come prodotto dei processi psicologici, sociali e culturali attraverso cui definiamo e organizziamo la nostra conoscenza nel mondo. In questo senso, la selezione dei rischi e le relative risposte possono differire in maniera sostanziale in base alla specifica cultura d’appartenenza e quindi, che il rischio non possa esistere al di fuori delle rappresentazioni socialmente costruite e condivise. La comunicazione del rischio non coincide con la comunicazione delle istituzioni. I messaggi rilevanti sul rischio possono viaggiare da qualsiasi fonte a qualsiasi destinatario, viaggiando in qualsiasi direzione, e attraverso qualsiasi canale. Quello che conta è come vengono interpretati i messaggi e quindi, capire come questi verranno interpretati può fare la differenza. La società del rischio (Lezione 9) Il concetto di società del rischio (Beck 2000), è diventato un tema chiave, non solo tra i sociologi ma anche all’interno dell’agenda politica e del dibattito pubblico. di 7 37 governare la ricchezza, la salute e persino la felicità della popolazione. Il discorso sul rischio non si avvale dei soli messaggi veicolati attraverso le campagne di comunicazione sociale ma è disseminato ovunque: programmi televisivi, testi scolastici, ecc. Un elemento ricorrente nelle critiche all’approccio della governamentalità è che sembra accreditare una specie di funzionalismo calato dall’alto, a cui non si può resistere: Mythen e Walklate criticano la pretesa forza totalizzante dei discorsi; Lupton l’eccessiva focalizzazione sui discorsi e sulle strategie di governo, invece che sui modi in cui le persone si confrontano concretamente con i rischi nel quotidiano. N. Luhmann è stato uno dei più importanti e influenti sociologi del XX secolo. Per Luhmann la società è vista come un sistema autoreferenziale, tendenzialmente orientato all’equilibrio. La dinamica sociale è assicurata dall’interazione tra sottosistemi complessi e differenziati tra loro, relativamente autonomi e distinti dall’ambiente. + Luhmann introduce una fondamentale distinzione tra rischio e pericolo: il rischio è l’esito di decisioni su aspetti conoscibili della realtà, i danni conseguenti a fattori ambientali non direttamente controllabili sono definiti come pericoli. → L’aumento della conoscenza e della capacità di controllo sull’ambiente tende a convertire in rischio qualsiasi tipo di pericolo. Per Luhmann quello che non può essere controllato non è reale: la società produce se stessa autopoieticamente attraverso l’interazione di sistemi funzionalmente differenziati (economia, diritto, politica, scienza) che usano le loro logiche (prezzi, responsabilità giuridica, processi decisionali, verità) per contrastare i pericoli autogenerati. Rischi sistemici: le potenziali minacce all’ambiente e alla salute umana sono incorporate e mediate entro il particolare contesto economico, politico e sociale in cui esse si manifestano e che possono alterare, amplificare o ridurre l’entità delle minacce stesse. Ogni decisione può intrecciarsi con gli errori umani o con la violazione delle norme. La comunicazione serve, a rendere comprensibili e quindi governabili fenomeni che hanno una portata sistematica e sono pertanto caratterizzati da: complessità, incertezza e ambiguità. La pandemia di Covid-19 è un esempio perfetto di rischio sistemico perché non compromette solo la salute umana ma anche tutti gli ambiti che fanno parte della vita sociale. Anche gli tsunami sono un esempio di rischio sistemico viste le conseguenze di lungo periodo che possono innescare andando a compromettere: agricoltura, economia, urbanistica, ecc. La possibilità di osservare, comprendere e misurare il rischio rende i fenomeni relativamente più prevedibili. Il rischio diventa così un’entità osservabile, che si associa a probabilità, perdite e costi e li rende osservabili e quantificabili. PARADIGMA DELL’ATTORE RAZIONALE (R) = P * V * E dove P = pericolosità; V = vulnerabilità e E = esposizione. ← Fornisce un criterio «razionale» e condiviso per valutare, controllare e comparare i rischi, informando la decisione. In quest’ottica il pubblico è inteso come un aggregato di individui che valutano, decidono e agiscono “razionalmente” come gli ingegneri, stimando con cura le probabilità avverse, i costi e i benefici prima di prendere qualsiasi decisione. + 3 assunti di base: il pubblico si comporta come ingegneri nel valutare i rischi, il rischio può essere calcolato, la valutazione consiste nel calcolo costi-benefici che l’esposizione al rischio può provocare. → questo approccio si basa sulla gestione del rischio conferita ai soli esperti, il che spiana la strada ad una asimmetria decisionale non indifferente (= approccio tecnocratico). MA, la razionalità umana è limitata e inoltre le persone comuni valutano, percepiscono e decidono sui rischi in modo diverso da come farebbe un esperto o uno scienziato. Modelli di comunicazione del rischio: di 10 37 - DAD (decide-announce-defend) → la comunicazione serve a “far digerire” alle popolazioni esposte, valutazioni e decisioni prese da altri. Decisioni che si possono spiegare ma che non si discutono, il destinatario quindi rimane passivo e impossibilitato di decidere in autonomia. - Deficit model → la comunicazione è intesa come processo gerarchico, unidirezionale e deterministico ma con l’obiettivo di informare “scientificamente” al fine di ridurre l’irrazionalità del pubblico. Le conoscenze scientifiche fungono da supporto alle decisioni da prendere o già prese. La prospettiva del deficit model si focalizza prevalentemente sulla “quantità” d’informazione veicolata ai destinatari, senza tenere conto delle differenze psicologiche e attitudini individuali. Il paradigma dell’attore razionale (Lezione 12) La concezione moderna del rischio si ricollega anzitutto all’idea di conoscibilità e misurabilità della natura, e a quella di ripartire il danno da eventi avversi e improbabili (ma non impossibili) attraverso forme di assicurazione del capitale. La possibilità di calcolare e ripartire il rischio attraverso polizze assicurative ha rappresentato una forte spinta alla creazione di reti di commercio. → La possibilità di osservare, comprendere e misurare il rischio rende i fenomeni relativamente più prevedibili: le tecniche di calcolo probabilistico introdotte da Cardano rendono il calcolo dei rischi una necessità, che è “imposta” dai processi di industrializzazione e modernizzazione, ma diventa anche un imperativo culturale (Bernstein, 1996). F. Knight è uno dei padri fondatori del risk management moderno: il suo contributo si colloca nella tradizione oggettivista, che concepisce il rischio come entità esterna all’osservatore, misurabile e calcolabile. Secondo l’autore il rischio è applicabile se la distribuzione delle probabilità che accada un certo fenomeno possano essere valutati in base a parametri oggettivi e misurabili. Quando così non è, si parla di incertezza. Quindi, Knight concepisce il concetto di rischio come strumento per assorbire l’incertezza. L’agente modello immaginato da Knight è l’uomo d’affari che decide di investire una somma di denaro in giochi e lotterie per cui la probabilità di vincita è nota a priori (ad esempio il gioco dei dati, la roulette, il bingo), rendendo possibile decidere su base razionale. Le critiche: indifferenza ai valori non economici, alla giustizia morale e alle legittime preoccupazioni di chi dovrà subire le conseguenze di quelle decisioni. RATIONAL ACTOR PARADIGM = P * V * E (la formula si rifà ai lavori di Knight*’)→ il rischio è calcolato come perdita di valore conseguente alla pericolosità, vulnerabilità e esposizione in un determinato intervallo di tempo. *’ infatti, fornisce un criterio razionale per valutare, controllare e comparare i rischi. Ma si ragiona veramente così? → Per molto tempo l’approccio dominate è stato quello di Mary Douglas che parte dall’assunto che: siamo “tutti piccoli ingegneri” + il rischio è un costrutto concettuale di tipo probabilistico + la valutazione del rischio consiste principalmente nel calcolo dei costi e dei benefici che derivano dall’esposizione al rischio. → Questo approccio implica l’idea che la gestione del rischio debba essere di stretta competenza degli esperti, e cioè dei tecnici e degli scienziati. QUINDI: la fondamentale distinzione tra esperti e profani si traduce in una distribuzione asimmetrica del potere decisionale. È una visione autoritaria: i cittadini non possono essere coinvolti nelle decisioni riguardanti il rischio perché troppo emotivi, irrazionali e incompetenti (ignoranti) per potere compiere scelte in di 11 37 autonomia, soprattutto se in contrasto con la concezione dell’one best way proposta dagli esperti (Bucchi, 2006). Percezione del rischio - approcci psicologici 1 (Lezione 13) Zinn e Gooby fanno notare che per tecnici e ingegneri il risk management è sempre stato una questione essenzialmente tecnica, legata cioè al rapporto tra probabilità di certi eventi e la loro accettazione da parte del pubblico ma la tendenza ad escludere e sottovalutare gli aspetti sociali, culturali e psicologici ha portato all’impossibilità di capire per quali motivi gli atteggiamenti verso il rischio da parte delle persone deviassero così vistosamente dalla perfetta razionalità dei loro calcoli. → L’approccio della psicologia al rischio si caratterizza per il tentativo di produrre modelli generali di spiegazione del comportamento manifesto, degli atteggiamenti, delle emozioni e delle credenze degli individui posti di fronte ai rischi. L’approccio della psicologia al rischio cerca di rispondere ad una domanda in particolare: perché gli individui tendono a evitare di esporsi a certi tipi di rischi, dimostrando invece una certa propensione ad accettarne altri? La percezione del rischio è in prima istanza un processo cognitivo in cui i dati sensoriali grezzi sono acquisiti e contemporaneamente organizzati nella nostra coscienza entro strutture di ordine superiore. → Paradigma psicometrico: 1. Il rischio va considerato come un concetto soggettivo piuttosto che come entità oggettiva, 2. Gestire il rischio significa tener conto sia degli aspetti fisici, tecnici ed economici che dei meccanismi psicologici e sociali che determinano la percezione del rischio, 3. L’opinione del pubblico dei profani deve essere considerata come rilevante oggetto d’interesse, 4. L’analisi della struttura cognitiva delle percezioni e dei giudizi sui rischi deve avvalersi di tecniche e procedure statistiche rigorose. Fischoff e Slovic dimostrano che percepiamo come più minacciosi i rischi: - Se sono imposti, - Se sono poco noti, - Se implicano gravi conseguenze potenziali, - Se non prefigurano alcun vantaggio. L’accettabilità dei rischi è legata alla valutazione di aspetti qualitativi dei rischi, piuttosto che alle misure quantitative, sono legate all’idea di probabilità, e a valutazioni qualitative sull’estensione dei loro impatti. La percezione invece, è in sé un processo. Amos Tversky e Daniel Kahneman hanno inaugurato un importantissimo filone di ricerche sulle euristiche del rischio, proponendo la «teoria del prospetto»: le euristiche del rischio sono «scorciatoie mentali» che consentono di valutare l’ambiente e prendere efficacemente decisioni in condizioni di incertezza. Lo studio delle euristiche evidenzia due aspetti: 1. L’influenza delle prospettive contestuali in cui avviene la decisione, 2. L’avversione alle perdite tende a superare l’attrazione per i possibili benefici. + Il frame consiste nel modo in cui gli individui, in una situazione d’incertezza, organizzano le loro idee (conceptions) su azioni, risultati e contingenze associate a ciascuna delle possibili scelte. → Le euristiche del rischio sono dei meccanismi che selezionano, analizzano ed elaborano in modo intuitivo e sommario le informazioni contestualmente disponibili sul rischio, focalizzando l’attenzione su alcuni aspetti piuttosto che altri o suggerendo inferenze causali tra eventi in corso, consentendo di semplificare in modo efficace il quadro cognitivo al fine di fornire valutazioni di 12 37 Questo estremo bisogno di minimizzare i rischi ci fa sembrare più ostile il futuro, che finisce per essere visto in maniera distorta. Inoltre, l’ossessione per il rischio, anche se solo immaginato, crea una sorta di nodo gordiano che rende complessa qualsiasi decisione. L’aspirazione ad una “società a rischio zero” si caratterizzerebbe per: 1) Profonda avversione a qualsiasi tipo di situazione incerta, 2) Dominio dell’angoscia per tutto ciò che appare incerto o potenzialmente dannoso, 3) Inesauribile domanda di azioni politiche volte a evitare, scansare, ridurre o mitigare qualsiasi tipo di rischio, sia reale che immaginario, 4) Capacità di influenzare anche la sfera più intima delle scelte individuali, fino a trasformarci nei risk-managers di noi stessi. Inoltre, i “messaggi sul rischio” sono leggibili entro in un discorso più ampio, volto a sostenere un punto di vista ideologico che implica il dominio, la gerarchia e la violenza fisica su base etnica, religiosa o razziale. In questo contesto, l’Altro è individuato come fonte di rischi imprevedibili, per la sicurezza individuale, la proprietà, la salute, la ricchezza, la cultura e gli stili di vita: una minaccia costante per lo status quo = strategia di blaming. Quindi, stando al teorema di Thomas “se una situazione viene definita dalle persone come reale, essa sarà reale nelle sue conseguenze osservabili”. La nostra percezione della realtà infatti, influenza i nostri atteggiamenti più profondi, il modo in cui interagiamo con gli altri e le nostre scelte. Ma la nostra percezione della realtà è molto influenzata dalle immagini della realtà proposte dai media, che tuttavia le selezionano e le “mettono in forma” in base a una serie di fattori. Ne consegue che i media influenzano le nostre scelte e che tendiamo a ritenere più sicuro quello che conosciamo (il nostro quartiere, il nostro Paese). È chiaro che un cittadino non sia in grado di stimare statisticamente il livello di criminalità ma tra i dati ufficiali e le percezioni degli abitanti sussiste una vera e propria incoerenza. In questo contesto, l’approccio della CT alla comunicazione del rischio poggia su 3 punti: 1) il rischio è inteso come costruzione sociale, 2) I gruppi sociali tendono a sviluppare autonomamente le proprie concezioni del rischio e a valutare i rischi in coerenza con le proprie concezioni, 3) Ciascun gruppo sociale sviluppa particolari culture del rischio che non solo sono diverse tra loro, ma possono anche entrare in conflitto. La CT è un approccio particolarmente flessibile, e può essere utilizzato in contesti socio-culturali molto diversi tra loro. Risulta fondamentale per capire come il rischio sia compreso e vissuto entro una particolare comunità o gruppo sociale e quale sia il significato culturale e morale. È attenta all’uso politico dei rischi e al modo strategico in cui vengono, o possono essere, usati. Introduce un approccio comprensivo al rischio nella sua totalità, irriducibile alla misurazione di singole variabili. I suoi limiti: il suo approccio non è molto convincente dal punto di vista empirico. I metodi utilizzati dipendono troppo dall’osservatore, considerando anche che l’identità culturale degli individui non è mai totalmente riconducibile alla cultura di appartenenza. Infine, è fondamentalmente statica e conservatrice, e non consente di fare previsioni. di 15 37 Per concludere: nelle società contemporanee il rischio è diventato sinonimo di pericolo intollerabile. È quindi fondamentale riuscire a comprendere come si percepiscono i rischi, al fine di mitigarli e ove necessario, manipolarli. Ciò significa che non serve solo prevenire o limitare un rischio, bensì è necessario mitigare la percezione del crimine da parte dei cittadini. Su questo hanno un grande ruolo i media che influenzano molto la nostra percezione e i nostri atteggiamenti nei confronti del rischio. Amplificazione sociale del Rischio I (Lezione 17) Le origini dell’approccio SARF (Social Amplification of Risk): tale approccio si propone esplicitamente l’intento di integrare il “patchwork” degli approcci teorici precedenti (il rischio è un campo di studi formato da scuole e prospettive diverse), costruendo un quadro concettuale in grado di far convivere gli aspetti “tecnici” della valutazione dei rischi con le evidenze empiriche emergenti dalle scienze cognitive e sociali. La SARF non intende costruire un modello teorico definitivo, ma ampliare gli strumenti per individuare, classificare e ordinare i fenomeni individuali e sociali e il comportamento di individui, gruppi e istituzioni nel definire, comprendere e rispondere ai rischi (bisogna, cioè studiare insieme l’esperienza sociale di un potenziale danno e il modo in cui individui, gruppi e istituzioni elaborano e interpretano la minaccia). Inoltre, lo sviluppo della SARF implica la presa di coscienza del carattere sistemico di alcuni tipi di rischio, in cui le minacce all’ambiente e alla salute sono incorporare e mediate entro il contesto economico, politico e sociale che può alterare, amplificare o ridurre gli impatti. “L’amplificazione sociale del rischio è il fenomeno per cui i processi informativi, le strutture istituzionali, il comportamento dei gruppi sociali e le risposte individuali modellano l’esperienza sociale del rischio, contribuendo alle conseguenze del rischio stesso” (Renn, 1990) La SARF guarda proprio la capacità della comunicazione di modellare le idee e le percezioni sul rischio. La comunicazione del rischio, non riguarda solo i messaggi veicolati dalle autorità o dagli esperti, può essere rilevante qualsiasi messaggio veicolato da qualsiasi fonte attraverso qualsiasi canale, anche involontariamente. In questo modo l’approccio SARF rigetta la visione deterministica dei nessi di causa ed effetto tipici dei modelli lineari della comunicazione, ridimensiona la pretesa efficacia persuasiva dei messaggi diffusi dalle autorità, e considera potenzialmente rilevanti tutti i messaggi su un dato rischio che vengono veicolati nel contesto sociale, quali che siano i contenuti, i canali e la loro direzione. La risposta sociale al rischio è sempre innescata dalla comunicazione che “corre” in un ampio insieme di canali, sia formali che informali: ignorare i segnali, amplifica i rischi. Ma quali segnali? Il processo di amplificazione “prevede” una selezione dei segnali di rischio: le informazioni sono riconosciute come rilevanti in base all’esperienza diretta, che può attribuire al segnale un contenuto allarmante o tranquillizzante. Per i rischi non conosciuti invece, ci si affida all’esperienza secondaria: quella fornita dai media e dal contesto sociale. Il secondo step è quello di decodificare e riclassificare i segnali all’interno di nuove cornici interpretative, attraverso le informazioni veicolate da più canali e interpretati in base a percezioni e schemi mentali preesistenti. I messaggi e le loro implicazioni sono valutati alla luce dei valori e delle norme sociali valide nei contesti di riferimento e vengono analizzate le possibili conseguenze sulle successive decisioni politiche e gestionali. Se i messaggi appaiono rilevanti o coerenti rispetto alle credenze preesistenti, i segnali saranno intensificati. L’interazione sociale consente la validazione del significato dei messaggi e di 16 37 l’adeguamento delle interpretazioni individuali a quelle del gruppo (gli individui agiscono come membri di unità sociali che contribuiscono a determinare i modi in cui i rischi sono elaborati). A questa valutazione segue la formulazione si specifiche intenzioni sul comportamento da tenere. Questi comportamenti si attualizzano come risposte capaci di amplificare o ridurre il rischio. Il contesto interpretativo agisce sull’elaborazione dei significati, generando nuove valutazioni e considerazioni danno luogo a una serie di iterazioni del processo, il cui esito è un effetto di amplificazione o mitigazione del segnale stesso. Amplificazione sociale del rischio II (Lezione 18) L’approccio SARF evidenzia numerose e rilevanti analogie con quelle teoriche che studiano i processi attraverso cui una minaccia è enfatizzata dai media* fino a produrre conseguenze sociali reali**. Ciò aiuta a capire come alcuni tipi di eventi percepiti come rischiosi inneschino un repentino e temporaneo aumento dell’attenzione dei media e con essa imprevedibili catene di eventi, con rilevanti conseguenze sugli attori istituzionali e anche sugli altri sistemi sociali. *L’attenzione ai media digitali è importante per le numerose e importanti implicazioni (sia teoriche che pratiche) dei social media sul processo di valutazione, comunicazione e gestione del rischio. I media interattivi rappresentano un mondo ancora poco esplorato, che può essere letto sia come un’opportunità ma anche come fonte di problemi relativamente inediti o come fattori in grado di acuire problemi già noti. **Il concatenarsi degli impatti secondari può innescare “ripple effects”, cioè effetti di amplificazione a lungo termine (es: crisi economiche, aumento del conflitto politico, modifica dei quadri normativi, ecc). Rayner critica la metafora dell’amplificazione, ritenuta insufficiente per connettere efficacemente concetti e ipotesi: suggerisce l’idea che gli attori sociali siano passivi in un quadro in cui non c’è molto spazio per le scelte individuali. + La scarsa capacità previsionale: non va bene dire “cosa succede” senza spiegare “perché” e serve più attenzione all’analisi della cultura e dei modi in cui essa incorpora delle teorie istituzionali dell’azione. Dalle buone intuizioni alla buone pratiche (Lezione 19) Migliorare la comunicazione del rischio significa per prima cosa interrogarsi sugli assunti impliciti (ciò che è dato per scontato) e sui loro fondamenti epistemologici. La comunicazione del rischio serve a prendere decisioni informate sulle azioni individuali e sulle policy necessarie per affrontare e mitigare determinati rischi. Il ruolo del comunicatore del rischio è quello di un mediatore, in grado di assicurare la comprensione di tutti i soggetti coinvolti di quello che può o è successo. Ciò significa, che il comunicatore deve conoscere i linguaggi, i contesti, le forme di razionalità e le culture sottese alle azioni dei soggetti. Il comunicatore del rischio può essere: consapevole (non è la sua prima occupazione ma è ferrato sul tema) o esperto (ha un forte background accademico e professionale). Sostanzialmente si occupa di tutti i messaggi che riguardano i rischi per conto di un’istituzione, un’ente o un’impresa e coordina il proprio lavoro con altri uffici che si occupano di comunicazione. Concretamente, studia e sviluppa le soluzioni più opportune per migliorare la credibilità e l’autorevolezza dell’organizzazione e per testimoniare di 17 37 entro una prospettiva razionale e riflessiva. 
 Ricerca: la ricerca ha implicazioni concrete, perché la comunicazione possa “funzionare” è necessario che l’emittente conosca le caratteristiche del proprio interlocutore, basandosi su fatti dimostrati piuttosto che su intuizioni o credenze. La ricerca è anche fondamentale per legittimare le azioni di policymaking. Pratiche: la codifica di pratiche evidence based rende più uniformi e omogenei i comportamenti delle organizzazioni, garantendo un’efficace traduzione e condivisione dei principi e delle indicazioni provenienti dalla teoria e dalla ricerca empirica. Valutazione: valutare la comunicazione del rischio è indispensabile, serve a verificare la coerenza tra obiettivi e risultati e aiuta ad esplicitare le assunzioni implica sul come e sul perché un certo programma di comunicazione dovrebbe funzionare. Comunicazione d’emergenza concetti base (Lezione 21) La comunicazione del rischio in qualche misura prepara la società rispetto alla possibilità di un’emergenza e sollecita il miglioramento delle capacità di risposta da parte degli individui e della società. La comunicazione d’emergenza invece opera nell’incombenza dell’evento o nell’immediato post-evento per ridurne l’impatto e favorire il ritorno alla «normalità» nei tempi più rapidi. - La crisi è caratterizzata da un decorso relativamente “lento”, con adeguate contromisure può essere previsto e controllato; - L’emergenza ha un carattere repentino e inatteso, colpisce improvvisamente e ha conseguenze non sempre facilmente definibili. Crisi e distrati sono collegati: il disastro può innescare una o più crisi che possono diventare poi disastri. La situazione di forte disequilibrio che si crea a seguito delle emergenze di massa può essere letta su due distinte dimensioni: 1. La dimensione strutturale ed organizzativa: necessità di predisporre mezzi e risorse per contrastare i danni dell’emergenza, 2. La dimensione percettivo-cognitiva: necessità di ridurre il senso d’incertezza e impotenza delle popolazioni coinvolte e dell’opinione pubblica. Marco Lombardi propone due possibili letture del concetto di emergenza: La prima è legata ad una concezione probabilistica, che considera l’evento emergenziale come una deviazione dalla “normalità”. La seconda è legata ad una condizione cognitiva: l’adattamento dell’uomo all’ambiente è determinato dalla sua capacità di conoscere, prevedere, approntare strategia di mitigazione dei danni. In questo contesto l’emergenza è un evento che eccede queste capacità, non è dominabile cognitivamente. Il modello ad onde descrive le modalità di reazione dei sistemi sociali colpiti da una emergenza di massa relativamente alla domanda di risorse e alla capacità di offerta. L’area tra le intersezioni delle due curve definisce una vulnerabilità specifica del sistema, nei termini di incapacità di dare risposte nei tempi desiderati. In Rosso la curva della domanda. In Celeste la curva dell’offerta. di 20 37 Il ruolo della comunicazione pubblica ed istituzionale è quello di mettere in atto interventi comunicativi volti a favorire la soluzione dei problemi e il ritorno alla normalità. Facendo riferimento al “modello ad onde”, possono essere sviluppati interventi atti a minimizzare il tempo di risposta dei media ai bisogni informativi generati dall’emergenza. Si possono individuare 3 criteri: 1. Tempestività → dimensione politica: possibilità maggiore di far valere la propria voce rispetto ad altri attori “concorrenti”; dimensione strategica: arrivare prima significa guadagnare fiducia; dimensione tattica: maggiore possibilità di influire sullo scenario. 2. Ridondanza → effetto stereo: una notizia proveniente da più fonti contemporaneamente ha più possibilità di essere considerata attendibile. 3. Auto-efficacia → fornire indicazioni chiare su cosa fare per ridurre l’impatto e/o facilitare i soccorsi. Riduce la possibilità che le persone percepiscano l’assoluta mancanza di controllo sulla situazione in corso, consentendo quindi di “fare qualcosa”. Quindi: garantire efficenza e efficacia dei canali comunicativi per il trasporto di messaggi importanti per la risoluzione dell’emergenza + garantire flussi di informazioni in grado di supportare la collettività: rispondere a “cosa è successo” e “cosa si deve fare”. L’emergenza può essere letta come un evento in grado di aumentare il livello di disordine (entropia) all’interno di un sistema sociale: per ridurre l’entropia è necessario che le informazioni trasmesse abbiano un significato per chi le riceve, che siano utili alla comprensione. In fin dei conti, l’emergenza è un processo sociale e in quanto tale l’impatto di un evento fisico è sempre mediato dalla cultura simbolica e materiale (basti pensare al caso: tsunami di Sumatra del 2004 → la popolazione aveva subito un evento simile nel 1907, è stato introdotto un certo sistema educativo con la canzone “smong”, che ha contribuito a limitare moltissimo i danni nel 2004). Con il Quadro di riferimento di Sendai per la Riduzione del Rischio di Disastri 2015-2030, la comunità internazionale risponde all’esigenza di definire una strategia comune per fronteggiare le catastrofi che, negli ultimi decenni, sono state caratterizzate da crescenti livelli di intensità, frequenza e complessità. Il protocollo di Sendai si basa su 4 pilastri: 1. Comprensione e conoscenza dei rischi, 2. Rafforzamento della Risk governance per la gestione dei disastri, 3. Investire nella riduzione del rischio e nella resilienza, 4. Migliorare la preparazione ai disastri per una risposta efficace e per “ricostruire meglio” nelle fasi di ripristino, ripresa e ricostruzione. Comunicazione d’emergenza concetti base II (Lezione 22) La comunicazione d’emergenza è uno strumento per la riduzione del rischio dovuta ad un evento disastroso. Tra la terminologia più utilizzata della Disaster Risk Reduction (DRR): - Vulnerabilità, - Consapevolezza (il livello di diffusione di conoscere condivide sui rischi), - Preparadness (tali azioni sono svolte nell’ambito della gestione del rischio, con l’obiettivo di costruire le capacità necessarie per gestirli in maniera sempre più efficiente), - Resilienza. Volendo rimanere nell’ambito “terminologia”: “disaster” viene usato in italiano come “emergenza” ma mentre il primo «connota un evento che, colpendo un sistema sociale, a livello comunitario, produce un danno osservabile attraverso l’interruzione dello sviluppo del sistema vittima», il secondo definisce «un input stressante e potente [...] al quale il di 21 37 sistema reagisce [...] per ritornare poi allo stato normale di equilibrio, al suo trend di sviluppo». Semplificando, l’Italia è un paese capace di gestire molto bene le emergenze, lo è un po’ meno nella prevenzione dei rischi. Nel nostro ordinamento giuridico la comunicazione del rischio e dell’emergenza sono indicate come attività di prevenzione “non strutturale”. Queste attività si distinguono dalla “prevenzione strutturale di protezione civile” che riguardano l’elaborazione di norme edilizie, di parametri per la costruzione di opere di consolidamento e di messa in sicurezza delle infrastrutture critiche. Comunicazione ed emergenze: - Livello della struttura sociale = nelle società contemporanee il rischio è una dimensione centrale dell’esperienza, siamo costantemente minacciati dai rischi. - Livello del sistema della comunicazione = la comunicazione e l’informazione rappresentato una risorsa determinante per la società e per l’individuo per la sua capacità “regolativa”. - Livello del pubblico approccio usi e gratificazioni = nelle situazioni di emergenza, la comunicazione e l’informazione debbono soddisfare una pluralità di bisogni individuali e collettivi tra cui la possibilità di ottenere rassicurazione e di alleviare lo stress. - Livello delle organizzazioni - istituzioni = la legittimazioni di imprese ed istituzioni è strettamente connessa alla sua capacità di soddisfare le aspettative sociali connesse al ruolo e alla mission. Definizione di Comunicazione d’Emergenza: processo dinamico di raccolta e disseminazione delle informazioni necessarie per contrastare un evento emergenziale. • Dinamico = la comunicazione è pianificata per tutta la durata dell’emergenza. • Raccolta = le emergenze richiedono analisi continue della situazione in corso. • Disseminazione = le informazioni disponibili devono essere fornite tempestivamente, in modo chiaro e concretamente utili. • Contrasto dell’emergenza = concezione della comunicazione come agente contro il caos. 3 Fasi della comunicazione d’emergenza. • Prima dell’evento = piani operativi, procedure, individuazione dei canali preferenziali, modelli decisionali ecc. • Fase emergenziale = priorità alla raccolta e alla disseminazione delle informazioni. • Fase post-emergenziale = valutazione dei flussi comunicativi e ripristino della normalità dei processi comunicativi. Sulla questione della “normalità” possiamo ampliare con due differenze: se l’interruzione riguarda la comunità si parla di comunicazione di emergenza; se l’interruzione riguarda l’organizzazione si parla di comunicazione di crisi. Ne consegue che lo stesso evento può essere letto sia come crisi, che come emergenza. Il modello Care - Consensus - Crisis (Lungren e McMakin) Il modello delle 3C mette in evidenza: - L’esistenza di finalità generali e condivise di tattiche comunicative diverse, a seconda del contesto. - Il bisogno di continuità, integrazione coerenza tra comunicazione del rischio e d’emergenza. - Le differenti funzioni e obiettivi che caratterizzano diversi stadi. di 22 37 Umanitarismo: complesso delle idealità e delle intenzioni proprie di chi è umanitario; il fatto di ispirarsi a principi e di tendere a fini umanitari. L'azione umanitaria si fonda [...] simultaneamente su un imperativo etico individuale, quello di salvare vite o alleviare la sofferenza e sull’(impegno dell’) organizzazione sociale per migliorare le condizioni di vita collettive. Le specificità del «campo» dell’azione umanitaria, le sue gerarchie e lotte interne, così come i suoi confini esterni sempre contestati, derivano dall'interfacciarsi di queste due dimensioni e mai da una sola. «La comunicazione umanitaria si riferisce a pratiche pubbliche di creazione di significati che hanno per oggetto la rappresentazione della sofferenza umana e come finalità quella di causare emozioni e azioni collettive. Che si tratti di una campagna online di Action Aid, di una celebrità che parla a una conferenza delle Nazioni Unite, di un film sui diritti umani al cinema o di un tweet su un disastro naturale, tutte queste forme di discorso possono essere considerate come comunicazione umanitaria nella misura in cui esprimono la vulnerabilità degli altri attraverso il linguaggio o l'immagine al fine di invitare il pubblico ad intervenire sulla loro vulnerabilità, per aiutare ad alleviare la loro sofferenza o proteggerli dal danno». Le dimensioni della comunicazione umanitaria: - Disastri naturali, - Sviluppo e anomalie nello sviluppo, - Diritti umani, - Conflitti armati e guerre L’umanitarismo nasce in origine come espressione mondana di sentimenti di natura religiosa, si fonda sul sentimento di compassione ed empatia. Nella sua forma secolarizzata, l’umanitarismo afferma l’ideale della realizzazione del potenziale individuale e del diritto di ciascuno a decidere del proprio destino. L’interventismo umanitario nasce in origine come espressione di una nuova sensibilità secolare, legata alle istanze dell’illuminismo. Si fonda sull’idea di diritti umanitari universali, di cui gli uomini sono depositari “per natura” e che non derivano dallo Stato o dal governo. La comunicazione umanitaria II (Lezione 26) Dalla fine della seconda guerra mondiale iniziano ad apparire evidenti i limiti del modello di intervento umanitario tradizionale, legato in particolare al modello della Croce Rossa Internazionale, che fino agli anni ‘90 del XX secolo «ha avuto il monopolio della definizione ed elaborazione dei principi umanitari». [ I principi della Croce Rossa Int. Umanità, Imparzialità, Neutralità, Indipendenza, Volontarietà, Unità, Universalità ]. L’idea è che non ci si possa limitare a fornire cibo e assistenza alle vittime ma che si debba cercare di prevenire le crisi e sostenere i diritti delle vittime, anche per mezzo di campagne di comunicazione (la guerra del Biafra come punto di svolta). Nel campo dell’intervento umanitario iniziano a precisarsi alcune idee nuove, che definiscono questo «nuovo modello umanitario»: riconoscimento della rilevanza della comunicazione come strumento di intervento; spostamento del focus dai bisogni ai diritti (lavorare per evitare le situazioni disperate); i diritti umani non sono negoziabili nell’intervento umanitario; organizzazioni umanitarie come strumento per far valere i diritti di chi non ha voce; ruolo crescente delle ONG. = meno neutralità politica rispetto ai principi della Croce Rossa Internazionale. di 25 37 Gli anni ’90: Le organizzazioni umanitarie si sono trovate a fronteggiare nuove guerre (USA-URSS). Il nuovo approccio umanitario abbraccia sempre più i diritti umani. Gli anni ’00: L’azione umanitaria diventa un tema di rilevanza geopolitica soprattutto legato al terrorismo, tra cui quello di matrice islamica. Alcune crisi umanitarie però, appaiono controverse (caso Israele) o ciò che è legato con il tema dei rifugiati e dei migranti (nuove crisi umanitarie in Medio Oriente). Le ONG lavorano in contesti sempre più complessi, la loro legittimità è sempre più messa in discussione. Dalla guerra del Biafra in poi si assiste ad una progressiva ma inesorabile tendenza alla mediatizzazione, che riguarda sia le crisi umanitarie in sé che le organizzazioni umanitarie nel loro complesso. La mediatizzazione è un «processo per cui la società è sempre più sottomessa o dipendente dai media e dalle loro logiche». Questa mediatizzazione è un’arma a doppio taglio per le organizzazioni umanitarie: da un lato le aiuta a costruire legittimazione e ad attrarre risorse (es: fundraising) dall’altro le espone a forti crisi di legittimazione e sfiducia, che possono avere conseguenze negative, i cui effetti vanno molto al di là della singola campagna e della singola organizzazione. La comunicazione umanitaria III (Lezione 27) Contro la comunicazione umanitaria Chouliaraki: «La storia della comunicazione umanitaria può essere utilmente raccontata come storia delle critiche alla sua estetica della sofferenza». Questa critica riguarda la natura effimera delle relazioni sociali che l'immaginario della sofferenza stabilisce tra spettatore e sofferente, e che si basa su una connessione emotiva. Lilie Chouliaraki sostiene che al mutamento degli approcci all’intervento umanitario debba corrispondere ad un radicale cambiamento nei modi di pensare e praticare la comunicazione umanitaria. Il massiccio ricorso all’estetica della sofferenza rischia di oscurare il discorso etico sotteso all’azione umanitaria, che sposta il focus dal fare le cose perché siamo emozionati al fare le cose perché è giusto farle. Si rischia di proporre messaggi politicamente ed eticamente ambivalenti, che possono essere interpretati dal pubblico come tentativi di manipolazione e generare reazioni negative, ad esempio favorendo atteggiamenti di cinismo o di sospetto. Il nuovo umanitarismo richiede un cambio di registro e di stile, in grado di opporsi alla mercificazione della sofferenza (tipico di molte campagne), spostando il focus dall’aiuto al singolo sofferente al contrasto delle cause della sua (e altrui) sofferenza. di 26 37 Definizione di comunicazione umanitaria (2): La comunicazione umanitaria è un insieme di retoriche e di pratiche utilizzate dagli attori transnazionali che si mobilitano e agiscono per contrastare la sofferenza umana sulla base di rivendicazioni etiche di carattere universale, quali la comune appartenenza all’umanità di ogni singola persona e i doveri della società civile globalizzata. Gli obiettivi della comunicazione umanitaria: 1. Fare luce sulle crisi umanitarie, sulle loro cause e sulle sofferenze delle vittime, 2. Fornire supporto sociale, politico ed economico a sostegno delle attività svolte dalle organizzazioni umanitarie a beneficio delle vittime, 3. Costruire e promuovere frame alternativi a quelli costruiti dai media, contrastare i frame negativi nei confronti degli “altri distanti” e dell’intervento umanitario. Caratteristiche del nuovo umanitarismo: l'umanitarismo moderno viene concepito dai suoi promotori e attivisti come un regime che ha carattere permanente, transnazionale, istituzionale, neutrale e laico, che si propone di comprendere e affrontare alla radice le cause della sofferenza umana. Inoltre, la comunicazione umanitaria generalmente parlando tenta di costruire un legame emotivo di intimità con l’«altro lontano». La ricerca di Orgad e Seu mette in evidenza alcuni aspetti critici: - Coltivare l’«illusione di intimità» tra i benefattori del Nord globalizzato e i beneficiari nel Sud del mondo, tra ONG e beneficiari, e tra ONG e i loro pubblici è limitato, fuorviante e potenzialmente rischioso, - Il più delle volte questa «illusione dell'intimità» si rivela effimera e poco autentica, - Il pubblico è abituato al linguaggio del capitalismo emotivo (es: pubblicità) e riconosce i limiti di questa intimità mediata, - In definitiva, l’intimità a distanza può evidenziare e accentuare la distanza che la comunicazione umanitaria cerca di ridurre. La cultura delle organizzazioni umanitarie non è orientata al profitto ma al raggiungimento degli scopi umanitari che definiscono la loro mission e orientano l’azione. • Le organizzazioni umanitarie dipendono in tutto e per tutto dalla natura e dalla qualità delle relazioni che sono in grado di costruire con i propri stakeholder. • La credibilità, la reputazione e l’operatività delle organizzazioni umanitarie dipendono unicamente dalla coerenza tra il piano degli intenti e quello delle azioni concrete. • La comunicazione umanitaria è centrata sulla testimonianza e sulla coerenza tra valori professati ed esempio concreto. In questo ambito, il tema della disinformazione sta diventando cruciale. La comunicazione umanitaria IV (Lezione 28) La comunicazione sociale è la comunicazione volta a promuovere i diritti, la giustizia e la solidarietà sociale. Comunicazione sociale e umanitaria condividono una radice comune: sono sempre testimonianza di valori, pertanto la scelta di temi, di strategie e di strumenti deve sempre essere coerente con i valori che vengono professati. 
 = Analogie: - La comunicazione è intesa come mezzo per costruire relazioni, - Persegue l’obiettivo di aiutare, - È orientata alla promozione di specifici valori, - Ha un carattere inclusivo e universalistico, - Rifiuta l’idea di comunicazione come strumento per imporre la propria volontà, di 27 37 SOCIAL MEDIA E COMUNICAZIONE D’EMERGENZA 1) Premessa 2) La comunicazione di emergenza nel contesto contemporaneo (G. Anzera) 3) Twittare in condizioni di emergenza. Dall’attivazione spontanea degli utenti alle strategia istituzionali (S. Mulargia) 4) Social media e disastri naturali: un’analisi dei tweet durante il terremoto in Emilia 2012 (F. Comunello, L. Parisi) 1) Premessa L’utilizzo dei social media in contesti di emergenza inizia ad avere una discreta visibilità. In un paese a rischio sismico e idrogeologico, come l’Italia, la diffusione di informazione affidabili può giocare un ruolo importante ed episodi recenti hanno constatato come sempre più cittadini si rivolgono ai social media, non solo per trovare supporto o esprimere le proprie emozioni ma anche per ottenere e diffondere informazioni utili. Ciò nonostante, è ancora presente un comportamento di “diffidenza” nei confronti delle piattaforma social. Tra i social in voga, quello più “adatto” alla comunicazione d’emergenza (si intende quella comunicazione che si innesca al verificarsi di un fenomeno inaspettato e inatteso che, probabilmente, causerà danni a persone e cose), risulta essere twitter. Sostanzialmente per i seguenti motivi: - Fornisce la possibilità di reperire e esprimere informazioni in tempo reale, - Le varie funzionalità dell’applicazione permettono una grade diffusione dell’informazione, - Favorisce discussioni focalizzate anche tra utenti che non sono in contatto tra loro. Chiaramente quello di twitter non è un profilo completamente perfetto, basti pensare al poco livello di diffusione nel nostro Paese, o al fatto che sussiste una grande disparità tra coloro che hanno molti follower e coloro che ne hanno meno ed infine a far riflettere a una sostanziale assenza delle istituzioni e delle organizzazioni “che contano”, le quali molto spesso lasciano il posto a twitstar o esponenti del mondo dello spettacolo. In ogni caso, è da tenere a mente che ciascuna piattaforma social si evolve e assieme a lei le modalità d’uso da parte degli utenti. Questo non permette di generalizzare ma di analizzare lo stadio del soggetto preso in analisi, in questo momento, con le determinate caratteristiche che lo contraddistinguono. 2) La comunicazione di emergenza nel contesto contemporaneo Difficilmente possono verificarsi eventi emergenziali che non si trasformano, presto o tardi, in eventi mediatici. Ne deriva una forma di comunicazione del tutto peculiare, in cui il ruolo delle istituzioni e dei media può essere determinante nella gestione dell’emergenza stessa. I. Alcune distinzioni: rischio vs. emergenza/disastro Spesso il concetto di emergenza viene inserito negli ambiti dell’analisi del rischio e, soprattutto, dal management di eventi critici di grande portata. Tuttavia, dobbiamo evidenziare due differenti casi di distacco dalla realtà. - Il concetto di CRISI, - Il contesto EMERGENZIALE. di 30 37 Il primo è un evento inaspettato che destabilizza la routine ma è caratterizzata da un decorso più lento e con il tempo diventa controllabile e prevedibile. Il secondo invece è spesso dato da un evento repentino e inatteso capace di colpire all’improvviso e di creare confusione sull’impatto provocato, ciò significa che è complesso da gestire e da controllare, richiedendo uno sforzo in termini di risorse e tempo superiore. Ciò non toglie che i due aspetti siano particolarmente legati tra loro: - Un disastro può prevedere al suo interno l’avvio di alcune crisi, - Le crisi possono acuirsi e diventare disastri. Le principali differenze: a) Le risorse; le emergenze richiedono maggiori risorse rispetto alle crisi b) Le fonti di comunicazione; la gestione delle emergenze è affidata a una serie di istituzioni differenti rischiando di innescare problemi di coordinamento, in ogni caso, in contesti emergenziali ci saranno sempre diversi attori, quali sono le competenze richieste, rispetto alle situazioni di crisi, c) I soggetti interessati; la comunicazione di crisi può riguardare anche un solo soggetto privato, mentre quella di emergenza riguarda essenzialmente istituzioni pubbliche d) Le ripercussioni sul piano politico; le emergenze possono innescare più conseguenze sul piano politico rispetto alle crisi. I principali punti in comune: a) Il bisogno di emanare una serie di indicazioni, prescrizioni e informazioni immediatamente dopo il verificarsi dell’evento b) Considerare la sicurezza dei coinvolti come obiettivo primario nella gestione dell’evento c) Rivolgere ai soggetti interessati i propri flussi comunicativi, considerando che nel caso delle emergenze (gravi) l’audience può essere anche di carattere mondiale. II. La comunicazione di emergenza La comunicazione di emergenza è definita come un processo che acquisisce e dissemina le informazioni necessarie per contrastare un evento emergenziale. Ciò significa che “prima” dell’evento vengono preposti tutti gli strumenti che eventualmente devono essere utilizzati, basti pensare ai piani operativi; “durante” l’evento risulta necessario disseminare le informazioni; e “dopo” l’evento prevalgono le dinamiche di valutazione. Le modalità comunicative di risposta all’emergenza da parte delle istituzioni sono generalmente divise tra: elementi di carattere tattico (1) e elementi di carattere strategico (2). (1) Le modalità di carattere tattico riguardano prescrizioni e consigli per i soggetti istituzionali che sono chiamati a fornire informazioni e a interagire con i media. Si tratta di una serie di consigli e di buone pratiche da seguire, come lo stile comunicativo da adottare o la scelta del portavoce. Alcuni di questi possono essere: evitare i “no comment” (nella fase immediatamente successiva all’emergenza è importante comunicare con il pubblico), rispondere al massimo entro un’ora (la rapidità è essenziale, essere il primo a trasmettere la notizia non solo fa godere di credibilità ma evita anche la circolazione di fake news), coerenza nelle affermazioni (parlare con una sola voce non significa che esiste solo un portavoce, bensì che c’è coordinamento tra i soggetti che comunicano con i media). (2) La comunicazione di emergenza di tipo strategico mira a creare una cornice comunicativa collegata all’interno del settore del management dell’emergenza. L’obiettivo è quello di creare un modello uniforme tra fase pre, durante e post emergenza. Il punto è che, la reazione del pubblico colpito può giocare un ruolo importante nella gestione dell’emergenza e la reazione del pubblico è strettamente collegata alle di 31 37 informazioni che riceve. L’analisi della risposta del pubblico alla comunicazione d’emergenza si aggira attorno a due approcci: - La teoria dell’attribuzione (secondo cui, specialmente di fronte a eventi negativi/ traumatici, gli individui tendono a individuare una causa, che sia umana o meno, con l’obiettivo di trovare un “responsabile”), - La teoria della contingenza (analizza il contesto emergenziale in ottica situazionale, tentando di comprendere la risposta del pubblico in base all’evento verificatosi). Tuttavia, il pubblico reagisce in maniera eterogenea e l’analisi di Grunig è esplicativa di questo. L’autore ha individuato una serie di segmentazioni di pubblico: 1. “No public”, gruppo composto da coloro che non comprendono la gravità della situazione e che quindi sottovalutano i messaggi di pericolo. 2. Il pubblico latente, un gruppo potenzialmente coinvolto nell’evento ma che non è ancora pienamente consapevole del contesto. 3. Il pubblico consapevole, gruppo che si rende perfettamente conto della situazione e esige un flusso ininterrotto di informazioni e indicazioni da parte delle istituzioni. 4. Il pubblico attivo, gruppo direttamente collegato nella gestione dell’emergenza che va informato sul campo delle procedure da seguire per essere di supporto alle istituzioni. La questione centrale è che la comunicazione d’emergenza deve tenere conto di tutti e quattro i gruppi di pubblico: uno stesso messaggio, recepito dai diversi pubblici innesca reazioni diverse, motivo per cui il messaggio deve essere ben pesato in modo da non generare reazioni estremiste. III. Le fasi e gli strumenti della comunicazione di emergenza Attualmente la più importante guida teorica, valida sia per la comunicazione di crisi che per la comunicazione di emergenza è la SCCT (Situational Crisis Communication Theory) un approccio che tenta di sintetizzare efficacemente esperienze pratiche e modelli teorici. La SCCT divide la comunicazione di emergenza in tre fasi: pre-emergenziale, emergenziale e post-emergenziale: la prima fase prevede un lavoro preventivo, in questa fase è importante “consolidare i rapporti” fra le varie entità che dovranno affrontare l’emergenza; la seconda fase può essere suddivisa a sua volta in gestione iniziale e mantenimento, nella prima le esigenze principali riguardano la tempestività, la chiarezza e la verificabilità delle informazioni, nella seconda le informazioni cominciano ad essere più selettive, anche riguardo ai comportamenti da seguire ed è anche l’occasione in cui si possono correggere eventuali errori fatti nella fase precedente; la terza fase è il momento della risoluzione e della valutazione, durante la risoluzione si fa un grande focus sull’importanza della prevenzione, mentre durante la valutazione le istituzioni possono fare il punto della situazione. I mezzi di comunicazione: a) Broadcast: vengono usati dalle istituzioni per comunicare con i cittadini in maniera indifferenziata, b) One to One unidirezionali: sono utilizzati dalle istituzioni per parlare ai cittadini ma in maniera differenziata (SMS, newsletter), c) One to One bidirezionali: sono utilizzati dalle istituzioni per parlare ai cittadini ma anche dai cittadini per mettersi in contatto con le istituzioni (email, numero verde), d) Many to Many: sono utilizzati dai cittadini per mettersi in contatto tra loro (social). IV. La comunicazione d’emergenza e le sfide per le istituzioni Prima, durante e dopo un’emergenza è importante la gestione della comunicazione, al fine di informare, persuadere e “addestrare” i (possibili) coinvolti e non. Molto spesso la comunicazione d’emergenza viene trattata come una complessa e unilaterale operazione di 32 37 Social, bensì ha rilievo dove e quanti utenti di quel luogo adoperano tali mezzi di comunicazione. Infine, l’autorevolezza delle istituzioni, anche sui social, influisce sulla gestione comunicativa dell’emergenza. Se le categorie delle varie forme di attivazione degli utenti sono varie, anche i bisogni da questi esplicitati sono diversi: bisogni legati all’informazione, bisogni connessi agli usi sociali, bisogni di convenienza, bisogni legati allo humor, bisogni di auto-mobilitazione, ricerca di supporto emotivo e di cure. II. Cosa stiamo realmente osservando Il fatto che gli utenti spendano risorse emotive e cognitive per partecipare alle conversazioni online durante un evento catastrofico rappresenta un segnale di volontà di partecipazione che potrebbe potenzialmente essere valorizzato dalle istituzioni pubbliche. Tuttavia, bisogna tenere chiaro a mente che i social media non trasformano le persone in volontari ma sicuramente, le rendono più collaborative. Starbird e Palen individuano varie forme di volontariato online, analizzando il terremoto di Haiti del 2010. Un primo livello vede un attivazione singola che trova online, attraverso il confronto, un ambiente che gli permette di espandere la propria azione; mentre altri non hanno ben chiara la percezione del ruolo di uno strumento come twitter in una situazione di emergenza. In conclusione, chi tweetta non deve necessariamente essere considerato un potenziale volontario offline. III. Per un empowerment del rapporto cittadini-istituzioni Come si è detto, un evento catastrofico richiede una risposta ai soggetti coinvolti. I vari sentimenti di demotivazione o paura, si trovano riverberati all’interno di un ambiente come twitter. È chiaro, che lo scambio di opinioni, informazioni e la condivisione dell’esperienza possa condurre a un miglioramento ma, ancora, non sono sufficienti. Sicuramente, twitter e i social possono innescare processi di empowerment. Stando allo studio di Zimmerman il concetto di empowerment si può considerare su 3 livelli: individuale, delle organizzazioni e della comunità. Tutti e tre i livelli si basano sull’importanza del senso di utilità che gli utenti provano condividendo le informazioni. IV. Conclusioni Le interazioni comunicative che avvengono a ridosso di un evento sismico coinvolgono da un lato le istituzioni votate alla gestione effettiva dell’emergenza e dall’altro gli utenti che, secondo quando messo in luce, si attivano in risposta all’evento stesso. I rapporti tra i due soggetti sono cambiati nel tempo, l’ecosistema comunicativo contemporaneo ha polverizzato quel sistema di scambio di informazioni unidirezionale, producendo nuove forme di fruizione e condivisione dei contenuti. In particolare, ad oggi, si è parte di un pubblico e al tempo stesso è possibile averne uno. Un’istituzione che vuole essere presente in una social, deve tenere presente di questo recente fenomeno. Durante un sisma, si registra il primo picco di attivazione comunicativa quasi a ridosso della scossa che poi, a cascata, arriverà a coloro che sono fortemente interessati (per vari motivi) ma non direttamente coinvolti. In un contesto di questo tipo, l’Istituzione coinvolta deve giocare un ruolo particolare, tra le altre cose deve farsi portavoce delle informazioni più dettagliate e credibili, passate, per esempio, al vaglio di un esperto. In generale, l’Istituzione può indirizzare la comunicazione anche basandosi sulle richieste degli altri utenti. Un seconda fase infatti, può essere quella di individuare gli utenti che più si sono dedicati alla testimonianza dell’evento, rendendoli “interlocutori privilegiati dell’Istituzione”. Infine, l’Istituzione deve continuare a farsi sentire presente, nella piattaforma, anche in merito a news sul sisma o la sismologia in genere. In conclusione, di 35 37 Twitter può essere una delle risorse in grado di migliorare la fitness complessiva di una comunità colpita dall’emergenza. 4) Social media e disastri naturali: un’analisi dei tweet durante il terremoto in Emilia (maggio 2012) Il ruolo dei media digitali nella comunicazione d’emergenza e nella gestione dei disastri naturali è stato riconosciuto solo in tempi recenti. Sappiamo infatti, che i social media possono rivestire un ruolo fondamentale anche nelle fasi successive all’emergenza, fornendo uno spazio per la ricostruzione delle relazioni sociali, per la condivisione di esperienze e per l’espressione del lutto e della solidarietà, per la costruzione collaborativa della memoria collettiva. I. #terremoto: un’analisi del ruolo di Twitter durante il terremoto in Emilia (maggio 12) Nel maggio 2012 una rilevante sequenza sismica si è verificata nel Nord Italia. Il sisma, ha rappresentato uno dei primi disastri naturali commentati in modo esteso su Twitter. L’obiettivo dello studio qui riportato è quello di comprendere se la distanza degli utenti dall’epicentro di un sisma, attivi differenti strategie nell’uso di Twitter. In questo senso, è stato funzionale distinguere tre zone: la zona rossa (dove il terremoto è stato percepito con una grande intensità), la zona verde (dove il terremoto è stato percepito distintamente sebbene in misura minore rispetto alla zona rossa) e la zona bianca (dove il terremoto non è stato praticamente percepito). - La più alta concentrazione di tweet dopo le scosse principali si verifica nella zona verde (probabilmente a causa di una maggiore concentrazione di utenti nella zona). In ogni caso, Twitter conferma il suo orientamento verso una comunicazione praticamente in tempo reale. Durante l’emergenza, l’account più attivo è sicuramente @ingtvterremoti ma il primo tweet relativo alla scossa in Emilia è apparso 47min dopo la scossa nei pressi di Modena. - Nella zona rossa anche utenti poco attivi pubblicano sulla piattaforma contenuti sul terremoto, questo a conferma che il tema “prevale” sull’utilizzo quotidiano di Twitter (il contrario avviene nella zona bianca). Questo conferma come la distanza geografica da un evento determini il coinvolgimento emotivo del pubblico. - La zona rossa fa registrare la più alta percentuale di tweet che contengono hashtag. - La zona bianca fa registrare la percentuale più alta di mention e RT. In generale, tra i profili maggiormente retwittati, tra twitstar, giornalisti o media, uno è comune a tutte e tre le aree ed è anche l’unico profilo citato che rappresenta un’istituzione: @ingvterremoti. In questo senso, i profili dei media e le twistar hanno colmato il vuoto lasciato dalle istituzioni italiane. II. L’uso di Twitter nelle ore successive alle due maggiori scosse sismiche Lo studio ha individuato circa dodici categorie, rispetto allo stile di comunicazione adottato e alla tipologia di contenuto pubblicato. Tra le varie categorie troviamo le “informazioni di prima mano” (gli utenti che segnalano la scossa nei primi minuti), “localizzazione” (segnalano dove si trovano nel momento della scossa), i “tweet emotivi” (descrivono le loro emozioni rispetto al sisma), quelli che contengono una specifica descrizione degli effetti (possono essere i danni riportati a cose e persone), l’ “interruzione della routine” (molti utenti descrivono cosa stavano facendo al momento della scossa), le “informazioni di seconda mano” (rilanciare informazioni per dargli più visibilità), i “commenti” (che possono essere di protesta verso un certo tipo di gestione di 36 37 dell’emergenza), l’ “ironia”, le “richieste di informazioni”, la “diffusione di informazioni”, i “meta social media” e tutti gli altri. III. Conclusioni Il contributo si è posto l’obiettivo di osservare da vicino le informazioni pubblicate dagli utenti su Twitter nel corso di una sequenza sismica allo scopo di descrivere, anche in base alla distanza degli utenti rispetto all’epicentro terremoto, quali siano le modalità di diffusione dell’informazione, gli attori partecipanti, i bisogni e le esigenze dei cittadini che abitano queste piattaforme, anche per contribuire alla progettazione di servizi informativi più efficaci. - Si conferma un uso “real time” della piattaforma, - L’assenza delle istituzioni, colmata da altri utenti, - La grande variabile della distanza dall’evento sismico. di 37 37
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