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Caratteri artistici del Cinquecento: l'arte pagana nella Roma dei papi, Appunti di Arte e territorio

Il cinquecento è il secolo di raffaello, leonardo e michelangelo e dei grandi maestri veneti. La roma diventa la capitale delle arti, ma nessuno di questi artisti è romano. L'immaginazione è cristiana nelle commissioni del papa, ma l'anima di leonardo, raffaello e altri è pagana. Le ricerche dei pittori si orientano verso nuove direzioni, soprattutto verso nuove tecniche pittoriche. Michelangelo, scultore, pittore, architetto e poeta, nasce a caprese e si distingue per l'umanesimo improntato al neoplatonismo. La sua opera, caratterizzata da contraddizioni tra la materia e lo spirito, rimane preoccupata dai problemi della scultura e dell'architettura.

Tipologia: Appunti

2015/2016

Caricato il 21/10/2021

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Scarica Caratteri artistici del Cinquecento: l'arte pagana nella Roma dei papi e più Appunti in PDF di Arte e territorio solo su Docsity! Caratteri artistici generali del Cinquecento Il Cinquecento è il secolo di Raffaello Sanzio (1483-1520), di Leonardo da Vinci e di Michelangelo e dei grandi maestri veneti: Tiziano (1485 circa - 1576), Giorgione (1477-1510), Tintoretto (1518-1594) e Veronese (1528-1588). La prima caratteristica del Cinquecento è di ordine politico e geografico. La supremazia fiorentina decade, ed è Roma che diventa la capitale delle arti, la Roma dei papi mecenati, umanisti e munifici come Giulio II (divenuto papa nel 1503), Leone X (nel 1513), Clemente VII (nel 1523). Detto questo, occorre precisare che l'arte del Cinquecento è romana solo perché le commissioni provengono dal papa, il quale fa venire a Roma gli artisti da tutte le parti d'Italia, ma di questi artisti nessuno è romano: sono nati in Toscana, nelle Marche, in Lombardia. La seconda caratteristica è l'abisso esistente tra il messaggio ufficiale che gli artisti sono incaricati di esprimere e le loro opinioni personali. Mentre degli artisti del Trecento e Quattrocento (o almeno di molti di essi) si può dire che avevano il cuore cristiano e l'immaginazione pagana, per il Cinquecento è vero il contrario: l'immaginazione è cristiana, perché il papa commissiona Madonne, Giudizi finali e Annunciazioni, ma l'anima di Leonardo, Raffaello e altri (per Michelangelo il discorso è più complesso) è francamente, coscientemente pagana. Mai forse nella storia dell'arte ci fu così poca sincerità estetica che nelle magnifiche opere del Cinquecento italiano. Da qui discende la terza caratteristica del Cinquecento: la ricerca formale. Gli artisti italiani sono i maestri della scienza della prospettiva, l'anatomia del corpo umano non ha più segreti per loro, e le loro conoscenze archeologiche sono le più approfondite che si potessero avere a quei tempi. Le ricerche che erano tanto originali e difficili, per Paolo Uccello o Mantegna, all'età di Leonardo sono diventate esercizi scolastici. Già alla fine del Quattrocento il Perugino aveva aperto, a Firenze e a Perugia, delle " botteghe " dove formava intere équipes di " garzoni ", con l'aiuto dei quali per una quarantina d'anni produsse in serie Madonne e Gesù Bambini per accontentare una clientela poco esigente quanto all'originalità. Il grande Raffaello fu pure lui uno di questi garzoni. Così dunque, poiché ormai non è più un segreto per nessuno come ottenere un sorriso o uno scorcio, le ricerche dei pittori si orientano verso nuove direzioni, soprattutto verso nuove tecniche pittoriche. Si comincia a usare la pittura a olio, fino allora mal conosciuta, si fa a gara a chi è il più abile nel lavorare alla modellatura o ad ottenere lo sfumato, il graduale passaggio dalla luce all'oscurità attraverso un'ombreggiatura evanescente, in cui Leonardo fu l'incontestato maestro. Vita Michelangielo, scultore, pittore, architetto e poeta, nacque Caprese, presso Arezzo, nel 1475 (Roma 1564). Avviato alla pittura e all'affresco nella bottega del Ghirlandaio, lavora alla scultura studiando le opere antiche nei giardini dei Medici. Supera velocemente, con la Pietà di San Pietro a Roma (1499), l'estetica del quattrocento e, con il David, l'idealismo classico. L'umanesimo improntato al neoplatonismo in onore presso la cerchia di Lorenzo il Magnifico, sovrapposto alla .fede cristiana, anima la sua opera: non solo "là sua scultura, in cui la forma, liberata dalla materia, tende alla spiritualità con un'energia spesso patetica, ma anche la sua pittura, che trova nel vigore della composizione, nella sintesi della forma e del colore, "nell'originalità della visione una potenza senza precedenti (volta della cappella Sistina, decorata sui temi dell'Antico Testamento). La scultura (per la tomba monumentale, incompiuta, di Giulio II, ci lascia: gli Schiavi, Louvre e Accademia di Firenze; Mosè, 1516, S. Pietro in Vincoli a Roma; la Vittoria, 1524 ca.. Palazzo Vecchio a Firenze) e soprattutto i problemi dei rapporti tra la scultura e l'architettura rimangono la preoccupazione dominante dell'artista: lavora alla facciata di S. Lorenzo a Firenze, al vestibolo e alla scalinata della biblioteca Laurenziana, costruisce la Sacrestia Nuova di S. Lorenzo e vi innalza (tra il 1526 e il 1533) le tombe di Lorenzo II e di Giulio de' Medici con quattro allegorie: la Notte e il Giorno, il Crepuscolo e l'Aurora, espressioni tormentate del destino e della sofferenza umana. E ancora stimolato dall'affresco (Giudizio universale della cappella Sistina, 1536, d'ispirazione dantesca) e dalla scultura (Pietà del duomo di Firenze e Pietà "Rondanini" del Castello Sforzesco di Milano, incompiute e patetiche), ma, verso la fine della sua vita, si consacra essenzialmente all'architettura (lavori per la piazza del Campidoglio a Roma e soprattutto, a partire dal 1547, per la nuova San Pietro). Il sentimento acuto delle contraddizioni tra la materia e lo spirito, tra la disperazione umana e il mondo divino, i dubbi e le sofferenze, e infine l'esigenza di perfezione, conferiscono alla sua opera un'umanità e una forza che hanno fatto di lui l'incarnazione stessa del genio. Tomba di Giuliano de' Medici duca di Nemours (1526-34) Per Giulio II Michelangielo si era rifatto all'antico, all'idea del mausoleo- monumento: una poderosa massa plastica in un grande vano architettonico. Qui immagina una soluzione opposta: lo spazio architettonico è vuoto e le sculture sono "integrate" alle pareti. Non soltanto per ragioni di simmetria assume come dato fondamentale del suo progetto la sacrestia vecchia, del Brunelleschi: a Firenze si sente più vicino alla fonte neoplatonica del suo pensiero, ne rievoca il punto di partenza per dimostrare, a un secolo di distanza, quale sia il suo punto d'arrivo. Come il Brunelleschi concepisce la sacrestia come uno spazio cubico, vuoto, definito in limine dalle strutture prospettiche proiettate sulle pareti, disegnate dalle membrature scure sulle superfici candide. Per Michelangielo il vuoto cubico, nella luce chiara che scende dalla cupola, è lo spazio dell'altra vita, dell'intelletto finalmente libero dalla materia: a questo spazio si affacciano, come giungendo dallo spazio esterno della natura o della vita, le figure dei principi. Per il Brunelleschi le pareti erano puri piani, sezioni ideali dello spazio prospettico; per Michelangiolo sono le barriere che separano lo spazio "intellettuale" dallo spazio naturale, la morte dalla vita. La vita preme alla soglia dell'eternità: le pareti sono le strutture spirituali o intellettuali che le si oppongono, la contengono, le impediscono di irrompere e turbare la serenità della verità raggiunta oltre la morte. Le strutture scure non sono più pure scritture geometriche sul piano, come nella sacrestia vecchia, ma formano un forte telaio plastico; le finestre murate e le porte s'incastrano a forza in quel telaio, con una tensione plastica che esprime il maggior sforzo di contenzione là dove maggiore è la spinta dell'esterno. Il significato e il valore della composizione è proprio nel conflitto di queste due realtà, la natura e lo spirito. Gli archi, la limpida scansione proporzionale delle cornici e delle paraste scure sono la forma ideale del concetto, ma la forma deve tradursi in forza per resistere alla pressione della realtà empirica, della natura. Perciò le membrature acquistano un risalto plastico, i nessi strutturali si stringono, lo schermo diventa telaio: su quelle pareti, infine, la verità intellettuale e la realtà naturale si affrontano come due spinte contrarie che trovino, per un istante, una condizione di equilibrio. Le superfici bianche tra le membrature, che nel Brunelleschi erano puri piani, qui sono colmate di luce: e proprio la luce è il motivo dominante, perché lo spazio neoplatonico è soprattutto luce. La luce fisica
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