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La Prima Guerra Mondiale: Cause, Sviluppo e Connessezze, Appunti di Storia

La prima guerra mondiale, durata dal 1914 al 1918, nota come Grande Guerra. Vengono trattati i fattori scatenanti, come la corsa all'armamento e le alleanze, e i principali fronti di guerra, come quello occidentale e orientale. Inoltre, vengono presentate le conseguenze politiche e sociali della guerra.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 21/03/2022

giulia-agnocchetti
giulia-agnocchetti 🇮🇹

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Scarica La Prima Guerra Mondiale: Cause, Sviluppo e Connessezze e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! La prima guerra mondiale durò dal 1914 al 1918 ed è conosciuta come Grande guerra. Questo perché fu un conflitto che per lunghezza, intensità e distruttività fu superiore a tutti i suoi precedenti. Questa guerra non fu solamente un conflitto tra stati, ma fu uno scontro irriducibile tra popoli che avevano condiviso per millenni la storia, la cultura e la civiltà. In più, fu definita un conflitto mondiale perché coinvolse anche nazioni non europee. In realtà, però, fu una guerra profondamente europea, nelle sue origini e nel suo svolgimento. Fu una guerra combattuta per l’egemonia, cioè per stabili quale nazione avrebbe detenuto il primato economico e politico in Europa e nel mondo. CAUSE PRIMA GUERRA MONDIALE Si dice che la prima guerra mondiale sia iniziata a causa di un assassinio, l’assassinio di Francesco Ferdinando (erede al trono dell’impero autro-ungarico) a Sarajevo avvenuto nel giugno del 1914 da parte del nazionalista bosniaco, Gavrilo Princip, che faceva parte dell’associazione Giovani bosniaci. Questa associazione si batteva per l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina, annessa nel 1908 all’impero austro- ungarico. In realtà, però, questo assassinio fu solamente la goccia che fece traboccare il vaso perché dietro alla guerra ci sono molte tensioni internazionali, maturate nei decenni precedenti. I fattori principali che portarono alla guerra furono:  La competizione fra le grandi potenze in campo economico, politico e coloniale. Infatti, la Germania si stava ponendo come la maggiore potenza dal punto di vista industriale e commerciale e stava abbandonando la politica degli equilibri spostandosi verso una politica di forza. La Germania andò contro la Francia provando a impedirle di conquistare il Marocco, cosa che però non gli riuscì. E andò contro la Gran Bretagna costruendo una flotta da guerra che superava quella britannica e, in più, diventò sempre più una concorrenza economica e politica. Per fermare la Germania la Francia e la Gran Bretagna si unirono nel 1904 in un patto di amicizia, che nel 1907 si trasformò, con l’aggiunta dalla Russia che non voleva che la Germania si espandesse nelle sue terre, in un’alleanza chiamata Triplice Intesa. Questa era opposta alla Triplice Allenza, già esistente formata dalla Germania, dall’Italia e dall’Impero austro-ungarico. Queste alleanze erano alleanze difensive e la loro nascita segnò la fine dell’equilibrio tra le potenze e la nascita i una logica di blocchi contrapposti. Oltre al contrasto tra la Germania e la Francia e la Gran Bretagna, c’erano anche il contrasto tra la Russia e l’Austria, per il controllo nell’area balcanica, e tensioni nella zona dell’Italia nord-orientale dove c’erano regioni abitate da popolazioni italiane ma soggette all’impero austro-ungarico. Nelle regioni italiane dopo la terza guerra di d’indipendenza si sviluppò l’irredentismo che rivendicava il ricongiungimento all’Italia.  La corsa agli armamenti. Questa corsa avvenne a seguito delle molteplici tensioni fra le grandi potenze e dalla consapevolezza che non si poteva fare a meno di una guerra. E che questa guerra sarebbe stata una guerra moderna, cioè una guerra di industrie. Infatti la vittoria del Giappone nella guerra contro la Russia indicò che la guerra moderna era strettamente collegata alle industrie. Così le classi dirigenti cominciarono a vedere nella guerra un mezzo per migliorare l’economia e affermare la potenza dello stato.  Il clima culturale ed ideologico sviluppatosi durante le tensioni. La paura durante le tensioni era constante all’interno dei vari governi e si diffondeva anche all’interno dell’opinione pubblica. L’opinione pubblica era divisa tra chi voleva la pace e chi riteneva la guerra inevitabile e desiderabile. Tra quest’ultimi c’erano i nazionalisti che pensavano che combattere fosse necessario e avrebbe affermato la potenza della nazione. La guerra scoppiò a seguito di una rapida successione di eventi, infatti le singole cause prese singolarmente non avrebbero portato ad una guerra. L’attentato di Sarajevo fece scoppiare una trappola delle alleanze. Infatti, nell’estate del 1914 la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa furono i fattori di una reazione a catena. Dopo tre settimane dall’attentato l’Austria inviò alla Serbia un ultimatum che venne respinto. Con l’ultimatum l’Austria pretendeva la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sull'attentato, questa richiesta, però, venne vista dai serbi lesiva della loro sovranità nazionale. Così di fronte al rifiuto del governo di Belgrado il 28 luglio l'Austria dichiarò guerra alla Serbia, che costituiva una minaccia per la stabilità dell'Impero nei Balcani. Con la dichiarazione di guerra da parte dell’Austria anche la Russia venne chiamata in gioco, perché era considerata la paladina dei popoli slavi. Così lo zar Nicola II disse che avrebbe aiutato la Serbia, anche con le armi, e il 29 luglio firmò l’ordine di mobilitazione generale. La pressione esercitata sul governo dall'opinione pubblica e dagli stati maggiori fu decisiva, questi erano convinti che una guerra sarebbe stata inevitabile. Dopo che la Russia dichiarò mobilitazione generale, la guerra era iniziata. Infatti, la Germania dopo la Russia dichiarò anche lei mobilitazione generale e intimò al governo russo di sospendere la propria. Poiché ciò non avvenne, il 1° agosto dichiarò guerra alla Russia. La Germania sostenne che dichiarò guerra alla Russia per difendersi preventivamente da un’invasione russa. La Francia, essendo alleata della Russia nella Triplice Intesa, rispose alla minaccia tedesca mobilitando a sua volta. La Germania iniziò le operazioni belliche, attuando il "piano Schlieffen". Giudicando impossibile combattere contemporaneamente su due fronti, il piano prevedeva uno sfondamento a occidente, attraverso il Belgio, per costringere la Francia alla resa ed affrontare da una posizione di forza lo scontro a oriente. Il Belgio, però, era neutrale, e tutte le grandi potenze si erano dichiarate garanti della sua neutralità. Il 2 agosto, i tedeschi proposero ai belgi di lasciar passare le loro truppe in cambio di un indennizzo, ma i belgi rifiutarono e si disposero a combattere. Il 3 agosto la Germania dichiarò guerra alla Francia e il giorno seguente invase il Belgio. Così la Gran Bretagna il 5 agosto dichiarò guerra alla Germania, perché non poteva abbandonare la Francia, sua alleata, non poteva far sì che la Germania violasse il diritto internazionale sulla neutralità del Belgio e non poteva accettare che la Germania dominasse il continente. SVOLGIMENTO La guerra fu decisa dai governi, ma le popolazioni non rimasero estranee allo svolgersi degli eventi. In tutta Europa la notizia del conflitto fu accolta con patriottismo, i conflitti interni tra le classi sparirono. I francesi, su appello del presidente, celebrarono la sacra unione di tutto il popolo di fronte al nemico, per la difesa della patria; in Germania, tutti i partiti si unirono nella "pace civile", a sostegno dell'imperatore e del governo; in Russia, il parlamento si schierò al fianco dello zar, compresi i rappresentanti delle nazionalità non russe (solo i socialisti votarono contro); in Gran Bretagna, inizialmente l’opinione pubblica rimase indifferente, ma quando entrò in guerra moltissimi volontari andarono ad arruolarsi negli uffici di arruolamento. Così, con ingresso delle popolazioni, la guerra divenne una guerra dei popoli. Nelle persone c’era l’idea che combattere fosse giusto, perché era una guerra difensiva contro un nemico che si stagliava all’orizzonte. Questa guerra difensiva, però, era impostata sul piano militare come una guerra offensiva. I governi pensarono che occorreva distruggere il nemico rapidamente, perché alla lunga una guerra di massa non era sostenibile. Però tutti i piani strategici pensati a tavolino, fallirono. Sul fronte occidentale, le armate del generale tedesco von Moltke vinsero la resistenza dei belgi e puntarono su Parigi. Contemporaneamente, i francesi lanciavano in Lorena l'offensiva, ma non ebbe successo. Nel mentre a nord i tedeschi sembravano inarrestabili, così il 2 settembre il governo francese lasciò Parigi e si rifugiò a Bordeaux. Sembrava che la Francia fosse in disfatta, ma l'offensiva tedesca perse slancio a causa della difficoltà di collegare efficacemente la linea del fronte e le retrovie. Inoltre, i tedeschi dovettero togliere delle forze a ovest per inviarle a est, dove i russi erano passati all'offensiva. Nel settembre del 1914, in una grande battaglia sul fiume Marna, i francesi riuscirono a respingere l'attacco nemico. Sul fronte orientale, invece, i russi attaccarono i tedeschi a nord, nella Prussia orientale, e gli austriaci a sud, in Galizia. Dopo qualche successo queste offensive vennero bloccate con la vittoria tedesca nelle battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri e nella Prussia orientale. La situazione a est, anche, si stabilizzò. Nei Balcani, l’impero austro-ungarico dopo aver occupato Belgrado, fu respinto dai serbi. sfondare a Caporetto, costringendo gli italiani a una ritirata precipitosa fino al fiume Piave, dove fu stabilita la nuova linea del fronte. Per gli imperi centrali nel mese di aprile arrivò una brutta notizia: gli Stati Uniti entravano in guerra con l’Intesa. Allo scoppio del conflitto, il presidente americano Wilson, riconfermando il tradizionale isolazionismo della politica estera americana verso l'Europa, aveva parlato di «una guerra con la quale non abbiamo niente a che fare, le cui cause non possono toccarci». Poi gli Stati Uniti iniziarono a sostenere l'Intesa dal punto di vista economico, attraverso esportazioni di beni che venivano pagati dai governi europei, le cui risorse finanziarie erano interamente assorbite dalla guerra, con crediti concessi dalle banche americane. Da qui si passò all'intervento diretto, che ebbe motivazioni ideali e politiche, la difesa di regimi liberali e democratici, ma anche economiche. Il 1917 fu un anno di crisi per tutti i belligeranti, sia al fronte sia all'interno. I casi di diserzioni in massa, resa, fraternizzazioni con il nemico furono complessivamente. Molto più diffusi furono i fenomeni di rifiuto individuale della guerra, come le automutilazioni, le renitenze, il mancato rientro dalle licenze. Questo avvenne per diversi motivi tra i quali lo shock-shell, il trauma da bombardamento, che provocava tic nervosi, sordità, mutismo, paralisi, dissociazioni psichiche. Una sindrome in cui si manifestava anche una forma di fuga dalla guerra, una sorta di "limbo" della coscienza in cui i soldati si rifugiavano. Per tale ragione, oltre che per la deviazione che rappresentava rispetto al comportamento militare e virile, lo shock- shell era affrontato con cure psichiatriche spesso brutali, come gli elettroshock. In quest’anno ci furono anche episodi di sbandamento di interi reparti, soprattutto nell'esercito francese e in quello italiano. Infatti, dopo un'insensata e sanguinosa offensiva lanciata dal generale Nivelle nel maggio 1917, diversi reparti francesi si ammutinarono. In Italia, la stessa disfatta di Caporetto fu dovuta, oltre che agli errori degli alti comandi, a una profonda crisi morale vissuta dalle truppe. Anche fra le popolazioni, dopo tre anni di lutti e di fame, gli entusiasmi del 1914 erano ben lontani. Il razionamento dei generi alimentari e la denutrizione provocarono, soprattutto in Germania, Francia e Italia, scioperi e sommosse contro la guerra. Negli stati crescevano forze che chiedevano la fine del conflitto. I socialisti, in diversi paesi, iniziarono un'intensa propaganda pacifista. I diversi partiti socialisti europei chiesero la pace «senza annessioni e senza indennità». In quei mesi ci furono molti tentativi di avviare negoziati di pace, ma senza successo: i francesi ponevano come condizione la restituzione dell'Alsazia-Lorena, gli inglesi la liberazione del Belgio, i tedeschi rifiutavano entrambe. Gli italiani non volevano sentir parlare di pace senza le terre irredente, che gli austriaci non erano disposti a concedere. I governi europei si rendevano ben conto che la guerra si stava trasformando in una catastrofe, ma nessuno di loro poteva accettare di chiuderla senza avere ottenuto alcun risultato. Non dopo avere mobilitato i loro popoli, non dopo aver chiesto loro tanti sacrifici e tanto sangue. Tutti pretendevano la capitolazione del nemico. Tutte le nazioni belligeranti, salvo la Russia, superarono la crisi del 1917, sia al fronte sia all'interno. Un ruolo fondamentale nel superamento della crisi la ebbe la censura, che cercava di nascondere la realtà di una guerra in cui nessuno vinceva e nessuno perdeva, ma morivano milioni di persone e la repressione di qualsiasi tentativo di opporsi. In più si radicò nel conflitto un sentimento nazionale che superava qualsiasi solidarietà alternativa e che si dimostrò capace di una resistenza straordinaria. Le persone erano convinte di combattere una guerra giusta in difesa non solo della propria patria contro gli aggressori, ma della civiltà contro la barbarie. Questa convinzione accomunò tutti i combattenti di questo immane scontro fra cristiani. Una sorta di "crociata" in cui sentimenti di identità e solidarietà verso i compatrioti si mescolavano con una profonda componente di odio verso un nemico percepito come "barbaro". Dopo quattro anni di guerra e molti milioni di morti nella geografia dell’Europa non vi furono numerosi mutamenti. Il fronte occidentale si è spostato lungo l'asse nord-sud, prima in una direzione e poi nell'altra, per poche decine di chilometri; sul fronte italiano, la pur disastrosa ritirata di Caporetto non ha avuto portata tale da influire sulla guerra nel suo complesso; nulla di decisivo neppure sul fronte balcanico, salvo la conquista austriaca della Serbia. Profondi, invece, i mutamenti sul fronte russo, con i tedeschi penetrati a est per centinaia di chilometri, sino a impadronirsi della Galizia, della Polonia, di buona parte dell'area baltica. Uno sconvolgimento, tuttavia, dovuto più al crollo dello stato zarista che a vittorie militari vere e proprie. Però dalla primavera del 1918 gli americani sbarcarono in grandi quantità ogni mese, e dietro l'apparenza di forze armate ancora poderose, gli Imperi centrali vivevano una situazione di estrema difficoltà, più ancora che al fronte, nelle retrovie, dove le popolazioni manifestavano una crescente insofferenza per la miseria, la fame, le privazioni provocate dal conflitto. Fu su questo terreno, non su quello militare, che l'Intesa vinse la guerra. La possibilità di far affluire uomini e risorse dalle colonie, di commerciare con i paesi neutrali, di ottenere crediti dagli Stati Uniti si rivelò l'arma decisiva in un conflitto industriale di massa. Dal punto di vista militare, nella primavera del 1918 la situazione sembrava ancora favorevole ai tedeschi, che dopo la pace stretta con il nuovo governo russo a Brest-Litovsk (marzo 1918) potevano concentrare tutte le forze sul fronte occidentale. A partire dal marzo, i tedeschi lanciarono una serie di attacchi, nella speranza di piegare l'Intesa prima che l'impatto delle forze americane si facesse insostenibile. L'offensiva, condotta dal generale Erich Ludendorff, arrivò a 60 chilometri da Parigi, ma li si esaurì. Scattò, invece, la controffensiva delle truppe dell'Intesa, unificate sotto il comando del generale francese Foch, che prima costrinsero i tedeschi a ripassare la Marna, sfondando le linee nemiche ad Amiens (8 agosto 1918). Queta vittoria avvenne grazie agli americani che garantivano la superiorità numerica. La data dell'8 agosto 1918 segna la svolta definitiva della guerra. Fu allora che i tedeschi compresero che la vittoria sarebbe stata impossibile e contemporaneamente, la Bulgaria cedeva a oriente, chiedendo l'armistizio (29 settembre). Nel Medio Oriente gli anglo-indiani, appoggiati dalla guerriglia delle tribù arabe contro i turchi, nel corso del 1917 avevano rovesciato a loro favore le sorti del conflitto, arrivando alla conquista di Gerusalemme (9 dicembre 1917) e poi di Damasco, in Siria (ottobre 1918). A quel punto, anche il governo ottomano chiese l'armistizio (30 ottobre 1918). Intanto, anche l'Austria-Ungheria si disgregava. Dopo il crollo della Bulgaria, le forze dell'Intesa e i serbi dilagarono nei Balcani, cacciandone gli austriaci. Mentre si moltiplicavano le diserzioni al fronte e gli scioperi all'interno, una dopo l'altra le nazionalità dell'Impero (polacchi, cechi, slovacchi), che pure avevano dimostrato grande lealtà alla Corona per tutto il conflitto, si ribellarono. Il 31 ottobre gli ungheresi proclamarono l'indipendenza, così la "duplice monarchia" austro-ungarica finì. Il colpo di grazia per l'Impero venne dal fronte italiano. Dopo la tragedia di Caporetto, Cadorna era stato sostituito con il generale Armando Diaz e nel paese fu compiuto un grande sforzo per superare la crisi, sotto la guida del governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, che comprendeva anche parte delle opposizioni. Fu intensificata la repressione del cosiddetto "disfattismo", ma si presero anche provvedimenti per accrescere il consenso. I reparti furono organizzati in modo più razionale, venne ridotto lo stillicidio degli attacchi inutili e sanguinosi, si ordinò agli ufficiali di trattare le truppe in modo più attento e umano. Organizzazioni pubbliche e private moltiplicarono gli sforzi per dare appoggio e assistenza ai combattenti e alle loro famiglie e nacquero, anche, appositi "uffici P" (propaganda), a cui parteciparono anche intellettuali e pedagogisti, per diffondere al fronte e all'interno la parola d'ordine del patriottismo e della solidarietà nazionale. Furono queste le premesse della vittoria italiana, dopo avere arrestato l'offensiva austriaca sul Piave nel giugno 1918, il 24 ottobre di quell'anno il nostro esercito passò al contrattacco, sbaragliando gli austriaci a Vittorio Veneto. Il nuovo imperatore austriaco Carlo I, salito al trono nel 1916 dopo la morte di Francesco Giuseppe, chiese l'armistizio, che fu firmato il 4 novembre 1918, a Villa Giusti, presso Padova. Una settimana dopo, 1'11 novembre, l'imperatore Carlo I firmò la rinuncia al trono e il giorno successivo anche l'Austria si proclamò repubblica, presto seguita dall'Ungheria e dalla Cecoslovacchia. Ormai senza alleati, stremata economicamente e militarmente anche la Germania si arrese. Anche se il territorio nazionale era ancora integro, lo stato si stava disgregando, il paese era sull'orlo della guerra civile. All'inizio di novembre, i marinai della base di Kiel si ribellarono e formarono un consiglio di operai e di soldati. La rivolta, guidata dalle sinistre, si estese ad altre città del nord e alla Baviera. Il 9 novembre, l'imperatore Guglielmo II fuggi in Olanda e il socialdemocratico Philipp Scheidemann proclamò la repubblica. Due giorni più tardi, 1'11 novembre, il governo tedesco firmava presso Compiègne, in Francia, l'armistizio che di fatto poneva fine alla guerra.
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