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Appunti sulla storia del diritto del lavoro, Appunti di Diritto del Lavoro

Appunti presi da lezioni di prof. Gaeta a diritto del lavoro (prima parte di programma d’esame)

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 17/04/2023

sofia.bianconi
sofia.bianconi 🇮🇹

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Scarica Appunti sulla storia del diritto del lavoro e più Appunti in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! PARTE I. Lezione 1. Il diritto del lavoro è una materia connaturata alla vita sociale, all’uomo. Il lavoro è il valore fondante della repubblica, come è scritto nella Costituzione: ogni norma va interpretata sulla base di questa norma, la prima norma non a caso della nostra Costituzione. Il lavoro è al centro della società, è il lavoro a muovere le economie. Il lavoro nasce come pena e condanna, a cui l’uomo, inteso come genere umano, viene condannato (rif. Adamo ed Eva dall’Eden al lavoro). Nelle varie lingue si hanno termini per indicare il lavoro che derivato da uno strumento con il quale si tenevano legati gli schiavi nell’antica Roma chiamato tripalium che ha fatto derivate in tutte le lingue latine il termine che indica il lavoro, mentre in italiano il “travaglio” indica il momento che precede il parto: il lavoro così di per se nasce come una fatica. Partendo dall’inizio: due milioni di anni fa, la prima specie che riesce a fabbricarsi da sola degli strumenti “di lavoro” con i quali agisce sul mondo circostante è l’homo habilis, perciò il lavoro nasce con l’uomo. Uno studioso ha detto che “tutta la storia è storia del lavoro”, poiché si va a ripercorrere la storia di un uomo che lavora. La storia del lavoro umano parte quindi dall’homo habilis. Il diritto del lavoro è il complesso di regole che disciplina il mondo del lavoro, può essere composto da regole scritte, regole non scritte e consuetudinarie e prassi, le norme di legge intese come regole giuridiche che hanno un loro valore giuridico (un contratto tra privati contiene delle norme che valgono tra le parti, non sono leggi ma sono norme). Ogni epoca ha avuto il proprio diritto del lavoro, anche inconsapevolmente. Così il diritto del lavoro italiano si è iniziato a formare a metà dell’800 con la rivoluzione industriale e sembra che stia cominciando un nuovo diritto del lavoro, quello digitale. Il diritto del lavoro è iniziato a comparire probabilmente al tempo della nascita del lavoro e non appena la scrittura ha cominciato ad imporsi si trovano subito le regole scritte (al Louvre di Parigi c’è uno dei primi testi lavoristici, cioè un pezzo di pietra nera su cui scritto con caratteri cuneiformi da Hammurabi in sumero una serie di regole precise sul lavoro, non degli schiavi, ma che chiameremmo “libero”; al Museo egizio di Torino è conservato un papiro che racconta di alcuni lavoratori liberi che erano stati angaggisti dal faraone per costruire e che non fossero stati “pagati” e che effettivamente avessero fatto “sciopero”: così non appena è cominciata la scrittura si sono subito iniziate a scrivere regole riguardanti il lavoro. Si trattava di lavoro libero in quanto le persone non erano ridotte in schiavitú ma il valore attributo al lavoro era ancora molto basso: ad esempio nel mondo greco ciò che identificava il lavoro era assimilato al peggio del peggio e Aristotele diceva che solo chi non aveva bisogno di lavorare poteva partecipare alla πόλις mentre chi aveva necessità di lavorare non vi poteva partecipare; nell’Odissea Ulisse va nell’Ade e incontra Achille e Ulisse gli dice di essere il re dei morti, e la risposta di Achille è che preferirebbe essere alle dipendenze lavorative piuttosto che stare nell’Ade, allora il lavoro effettivamente è considerato un’attività da disprezzare. Il lavoro nell’antica Roma si regge molto sul lavoro schiavistico, tutta l’economia romana di regge sul lavoro degli schiavi, e così il lavoro libero ha un ruolo marginale e viene inquadrato genericamente secondo il contratto di locazione che poteva essere di due tipi: locatio operis che è la dazione di un lavoro completato e locatio operarum che è l’energia lavorativa del soggetto che viene incaricato di eseguire un determinato lavoro. Così nasce questa grande distinzione identificata come summa divisio. Lezione 2. Nel medioevo, periodo luminosissimo, si ha un istituto che si troverà per molto tempo a seguire, ovvero la corporazione: il giuslavorista ne indica come di un istituto nascente nel medioevo e si sviluppa fino al ‘700 e ‘800 e avrà una rinascita con il fascismo, nel medioevo si tratta di una entità giuridica che sia sviluppa nell’Italia del comuni, raggruppa tutti coloro che a vario titolo lavorano in un determinato settore e detta regole in alcuni casi anche molto rigide, per disciplinare il lavoro in questo determinato settore (es. corporazione della lana che raggruppa tutti coloro che lavorano in questo settore e ne detta le regole). La struttura lavorativa del medioevo è la bottega artigiana, cioè tutto l’universo produttivo, non solo italiano, ma europeo, è formata da una serie di piccole botteghe artigiane nelle quali vi è un capo, maestro, e delle persone che lavorano, quali allievi e discepoli. Così la bottega artigiana ha funzionato per secoli secondo questa metodologia: si trattava di arti. Sostanzialmente questa organizzazione è diffusa nel territorio, ovvero ve ne sono molte di botteghe nelle città che sono di dimensioni ridotte rispetto ad oggi, ma sono diffuse anche nelle campagne, nei piccoli paesi, perché ci voleva poco a costituire una bottega e ad avere un certo numero di aiutanti con lo scopo di imparare il mestiere e mettersi in proprio: le regole che disciplinavano questo tipo di lavoro venivano dettate dalla corporazione, e questa peculiarità dura almeno fino al ‘700. Le cose cambiano con il Cristianesimo che attribuisce un certo valore al lavoro (i divenuti santi attribuivano interesse e importanza al lavoro), ma dopo tanto tempo è soprattutto la religione protestante ad attribuire al lavoro l’attributo di conquista della salvezza eterna, il povero per colpa sua non era riuscito a crearsi una posizione lavorativa necessaria ad ottenere il passaggio per il paradiso. Nel ‘700 con l’illuminismo si ha lo sviluppo di nuove correnti di pensiero, esso punta sul valore dell’individuo, della persona, e dal punto di vista giuridico comporta alcune conseguenze: fino a quel momento (per tutta la società medievale e moderna) si lavora semplicemente perché si è lavoratori ma non per scelta, poiché l’epoca medivela è fondata sulle botteghe ma anche sul lavoro agricolo svolto da persone che nascono e muoiono lavorati, quali i servi della gleba: si va a trattare di una logica di status, la società da questo punto di vista era molto statica. L’illumismo cambia questo concetto: ogni persona nasce libera, ed ogni persona è eguale all’altra si tratta di una vera e propria rivoluzione. Viene scardinato il sistema di status pretendente, a questo punto la persona deve decidere liberamente di svolgere un lavoro, e questa decisione avviene giudicamente attraverso uno strumento esistente da millenni, ovvero il contratto che va a rivestire un nuovo ruolo: si passa dallo status al contratto che avviene nel ‘700 ed è il passaggio dal lavoro esercitato in virtù di uno status al contratto, cioè con un libero contratto si decide quale lavoro fare liberamente. Si tratta di uno dei postulati della teoria illuminista. L’altro è, siccome l’illumismo è fondato sulla volontà individuale, non devono esistere entità intermedie tra l’individuo e la sua volontà individuale e lo stato che deve disciplinare ogni cosa, non ci deve essere alcuna volontà collettiva, andando a scardinare totalmente l’elemento delle corporazioni medievali. Da qui si ha la nascita della rivoluzione francese che porta vantati esattamente i postulati illuministici: dopo la rivoluzione francese che arriva in tutto il mondo, compresa l’Italia, e si ha la costituzione di di traduzioni delle leggi che vigevano in Francia: queste leggi prevedono la libertà contrattuale (per quanto riguarda il lavoro, il rapporto di lavoro si fonda sul fatto che la persona e il datore di lavoro stipulano un contratto, e si ha l’abolizione di ogni organizzazione intermedia, ovvero le corporazioni con la legge nel 1791 di Le Chapelier. In verità la prima abolizione delle corporazioni è avvenuta nel 1770 da Pietro Leopoldo Gran Duca di Toscana). Vi fu un’altra rivoluzione, quella industriale, che è stata molto più forte di quella francese e che ha veramente rivoluzionato il mondo del lavoro e la gestione del diritto del lavoro. Dietro vi è stato il transito dell’ideale illuministico e della rivoluzione francese. La rivoluzione industriale necessità dell’utilizzo delle macchine a vapore nei processi produttivi (inizia a metà ‘700 in Inghilterra e man mano si espande più lentamente, ad esempio in Italia arriva a metà ‘800): si tratta di un grande innovazione tecnologica, e così la produzione è affidata alle macchine che vanno a sostare le perone e ciò provoca incredibile conseguenze rispetto al lavoro e allo stesso diritto del lavoro. Innanzitutto le prime macchine che velocizzano il lavoro e sostituiscono decine di persone nei processi produttivi sono costose e non le può comprare l’organizzazione della bottega artigiana, ma certamente non tutti gli artigiani se la potevano permettere: lo studioso Marx, lo definirà “capitalista” colui che può permettersi di comprare macchine per organizzare la produzione, che non può più essere formata da piccoli centri disseminati per l’Europa ma devono essere in un unico centro per lo più nelle grandi città assistendo ad una “urbanizzazione dell’Europa”, così si ha la nascita delle fabbriche. La popolazione dalle campagne, dove non vi è più lavoro, e sono costretti a spostarsi nei centri cittadini. dal punto di vista sociale, il lavoratore del pre-industriale si trasforma quasi completamente, quanto vi era una • gestione autonoma dei tempi di lavoro, non vi erano tempi rigidi nei quali cominciava e finiva il lavoro, non vi erano ritmi obbligati da mantenere, mentre da parte del lavoratore industriale vi è la perdita del tempo e della tecnica entro le fabbriche poiché esso deve assoggettarsi ai tempi di tutti, i tempi erano rigidamente imposti e predisposti; inoltre il lavoratore pre-industriale faceva qualcosa che sapeva come andava fatta, vi era la conoscenza per produrre quel determinato bene, mentre il lavoratore industriale non è a conoscenza delle metodologie, è estraneo dal prodotto che uscirà alla fine, vi è una “parcellizzazione” dei processi produttivi e ogni lavoratore svolge una mansione differente dall’altro; dal punto di vista giuridico, con l’industrializzazione di un paese, lo strumento giuridico per entrare nel mondo del • lavoro è il contratto: il contratto è “l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare, estinguere un rapporto giuridico patrimoniale” (art.1321 c.c.), che in ambito lavorativo viene fatto tra il “padrone/datore di lavoro” e colui che offre il proprio lavoro, e vi devono essere scritte tutte le informazioni necessarie (quanto dura il lavoro, tempistiche, retribuzione, ferie, malattia (che in altri contratti andrebbe a estinguere il contratto per causa sopravvenuta) e infortunio, tutele contro il licenziamento, a tempo determinato o indeterminato (unica norma presente nel c.c. 1865). A metà dell’800 la parte d’Italia più industrializzata era il centro-sud (al convegno del 1855 la classifica dei paesi più industrializzati al mondo è Inghilterra, Francia, Regno delle due Sicilie). Tutto ciò che è scritto nel contratto viene elaborato a metà ottocento dall’imprenditore in maniera unilaterale, si tratta di un fattore di forza rispetto al lavoratore. Il fatto è che tutti i danni che nel sistema giuridico provoca il diritto eguale trapiantato in una situazione diseguale, vi è sempre una parte forte e una parte debole, perciò effettuando questo non si fa altro che sviluppare ed enfatizzare la disuguaglianza all’interno del diritto, così il debole e costretto a sottostare alle condizioni sottoscritte da un “libero” contratto, alla fine solo formalmente, poiché di fatto è subordinato alle decisioni della parte forte. Al lavoratore resta la coalizzazione, vietata dalla legge che proibiva l’organizzazione, quindi resta il contratto individuale. Lezione 3. Il rapporto che lega il lavoratore al datore di lavoro è la soggezione e all’art.2094 del codice civile viene trattato come “subordinazione” e si tratta quindi di un “rapporto subordinato”. Questa situazione, calata nella realtà del nostro paese che è divenuto nel 1861 uno stato unitario, nonostante le forzature, le violenze e inoltre il fatto che le fabbriche in Italia si trovassero per il 60% nel sud Italia, torturato fino ad arrivare all’unità. Tutto ciò ha importato molte conseguenze sul diritto del lavoro. Legislativamente si unisce nel 1865 con il codice civile, si il copia del codice napoleonico del 1804 particolarmente attento alle imprese, mentre riguardo al lavoro il codice detta pochissime norme che si innestano nel contesto trattato. Sono solo due norme quelle presenti: 1627 e 1628 che erano norme che prevedevano che la lavorazione delle opere potesse essere fata solo a tempo determinato, non vi poteva essere un contratto di lavoro a tempo indeterminato, poiché ciò andasse a vantaggio del lavoratore. Si era appena usciti da una situazione in cui una persona era lavoratrice a vita, quindi il codice napoleonico e poi quello italiano del 1865 dichiara che l’uomo che lavora per tutta la vita diventa uno pseudo schiavo, così deve esistere solo il lavoro che presenti un termine, rappresentabile come termine della “schivitù” e si tratterebbe di una situazione pro labor. Vi furono di conseguenza mori vari di protesta, come in Inghilterra in cui furono appostamente distrutte le macchine del lavoro così da poter idealmente tornare ad una situazione pre-industriale. Marx scriverà il manifesto del partito comunista, vedendo nell’antagonismo tra capitalista e lavoratore, l’essenza di una economia che andasse superata in maniera forte, vi era bisogno di una lotta contro lo strapotere poiché “i lavoratori in questa lotta non hanno da perdere altro che le loro catene”. Ciò che succedeva nel momento in cui i lavoratori si coalizzavano veniva comunque bloccato dal codice penale il quale aveva vietato le associazioni. Andare a contrattare con un gruppo di lavoratori piuttosto che con un singolo debole lavoratore porta dal contratto individuale a un contratto fatto tra il datore di lavoro e il gruppo che rappresenta i lavoratori, non ancora individuabile come sindacato ma andando comunque a formare il “contratto collettivo”. Nel 1864 viene fondata una associazione internazionale dei lavoratori che riunisce i lavoratori un po’ di tutta Europa, vi è Fino a quel momento nessuno si era preoccupato di classificare il contratto di lavoro, con Barassi il diritto del lavoro diviene un a parte importante del diritto privato, vi sono comunque sempre più docenti che inseriscono le tematiche del diritto del lavoro all’interno delle loro lezioni, come appendice. Ciò significa che il diritto del lavoro diviene parte del diritto privato, e secondo il diritto privato va studiato e applicato. Chi studia il diritto del lavoro, secondo Carnelutti, dira che la scienza del lavoro è imperturbabile, mentre Messina elabora la teoria del contratto collettiva su base del saggio di Lotmar, ricostruisce il contratto collettivo (“contratto di tariffa”, e in tedesco si chiama ancora così che è valido erga omnes) come valido solo per gli iscritti al sindacato e può essere derogato anche il peggio per il datore da un successivo contratto individuale. L’Italia si avvia nei primi 15 anni del ‘900 ad essere un paese industrializzato, con l’epoca giolittiana: il diritto del lavoro si sta formando poco alla volta ed è formato da pochissime leggi: viene elaborata una legge generale ma si riteneva cmq che i problemi del lavoro dovessero essere regolati dalle parti. A quel punto lo stato doveva garantire il minimo: che gli infortuni non fossero privi di tutela, che i bambini non lavorassero troppe ore al giorno, ma si trattava di elementi minimali senza troppa disciplina per legge, poiché ciò lo Stato pensava che non si trattasse di interesse pubblico. Lezione 5. Scoppia la prima guerra mondiale, e secondo il storico famoso Hobbesbom, andrebbe ad iniziare il “secolo breve” poiché durerebbe dallo scoppio della guerra mondiale fino al crollo del comunismo, e ciò poiché i caratteri che contrassegnano questo periodo di tempo sarebbero fermi dal ‘14 agli anni ‘90: va a cambiare il diritto del lavoro. Vi sono pochissime leggi in materia di lavoro, si tratta di un diritto del lavoro sostanzialmente liberista che aiuta il consolidamento dell’industrializzazione nel nostro paese. Nel 1911 subentrano i “censimenti” che si fanno normalmente ogni dieci anni dal 1861, e l’agricoltura occupa ancora il 58% degli addetti e nell’industria il 24%, però nell’agricoltura e nei servizi non vi sono leggi che tutelino chi lavora. Nelle industrie si applicano spesso (nelle grandi industrie italiane) quelle regole dell’organizzazione scientifica del lavoro, il c.d. “teilorismo” (da Taylor che era un economista che applico i suddetti principi, ovvero in cui la fase produttiva vi è parcellizzazioni in tante piccole esecuzioni ognuna delle quali è affidata ad una persona e deve essere svolta in un preciso lasso di tempo e soprattutto viene applicata nell’industria automobilistica: ciò prende il nome di “fordismo”, poiché è Ford ad applicare nella sua azienda tali modelli di organizzazione scientifica per produrre di più). Il modello è quello della catena di montaggio, in cui la produzione scorre, fisicamente, su un nastro e ogni operaio addetto a questa catena compie un piccolo gesto che va a compiere al fine della produzione stessa. L’Italia entra in guerra contro la Germania e l’austria e gli eserciti sono formati sostanzialmente da operai e contadini, sottratti al loro lavoro, ma la produzione non si ferma e a lavorare nelle fabbriche e nei campi vanno le donne. Il diritto del l’avrò in Italia cambia perché vengono fatte svariate leggi per la c.d. Mobilitazione industriale che è quel meccanismo in virtù del quale alcune imprese che erano ritenute funzionali allo sforzo bellico (come quelle che fabbricavano proiettili), venivano dichiarate “ausiliarie”, e ciò denotava alcuni vantaggi, così anche altre imprese vollero essere dichiarate tali per ottenere vantaggi: i suoi operai non venivano chiamati a combattere e l’imprenditore poteva far andare nella propia azienda operai che stavano combattendo al fronte, ma soprattutto questo rapporto di lavoro nelle imprese ausiliarie fu trattato da numerose leggi nel corso della guerra, e queste leggi prevedevano la sostanziale militarizzazione degli operatori delle imprese ausiliarie, che erano considerate alla stregua di un rapporto militare (per cui ogni inadempimento era d’oggetto al codice penale militare, erano vietati scioperi, con la possibile conseguenza della detenzione nel carcere militare). Tutto termino più o meno con la fine della guerra. Lo stato in tutto ciò si disinteressava al rapporto del lavoro, ma con la guerra, lo Stato capisce che gli conviene intenrvenite nel mondo del lavoro, e da allora in avanti, lo Stato interverrà sempre più massicciamente nel mondo del lavoro: si tratta di una novità innescata dalla guerra e poi proseguita tranquillamente. Questo tipo di rapporto militarizzato in cui comanda del tutto il datore di lavoro, una volta terminata la guerra e smilitarizzato, proseguirà con il fascismo che ne accoglierà i metodi. Una volta finita la guerra vi è una fortissima inflazione che colpisce particolarmente l’Italia: i lavoratori tornano e non trovano in piedi le loro fabbriche e vi è una situazione economicamente penosa. Nel biennio rosso (1919-1920), in cui si fanno avanti partiti e movimenti di sinistra, si ha un periodo in cui vi sono molte manifestazioni di protesta che sfociano in occupazioni di fabbriche e terreni, in scioperi anche da parte del dipendenti pubblici, così cominciano, a causa della situazione economica, a farsi sentire i lavoratori anche in maniera violenta. A quel punto gli imprenditori reagiscono e così il potere pubblico, che si avvalgono anche del c.d. squadrismo che fa riferimento ad un partito che si è appena costituito nel marzo del 1919, ovvero il partito fascista, che diede man forte alla repressione delle manifestazione di protesta dei lavoratori. Il riferimento preso dai lavoratori fu dall’Unione Sovietica (soviet: consiglio del lavoratori), e così venne a formarsi nel 1921 del partito socialista. Nel 1919 è appena terminata al Guerra e lo Stato fa una legge generale sugli impiegati privati (riguarda tutti gli impiegati italiani delle aziende private): la differenza tra operaio e impiegato, primo svolgeva lavoro manuale e veniva chiamato con un appellativo particolare, ovvero quello di “blue collar” ovvero colletto blu, mentre gli impiegati svolgevano il lavoro intellettuale e avevano un particolare appellativo, ovvero quello di “white collar” perché l’imperatore normalmente indossava un camice, inoltre erano dei ceti medi e veniva dalla piccola borghesia; la legge tutela solo gli impiegati, perché evidentemente in quel momento conveniva accattivarsi il consenso degli • impiegati, e il legislatore le ha captate dalla giurisprudenza del propri viri, Inoltre vengono fatte altre due leggi importanti nel campo assicurativo: viene garantita la pensione in caso di invalidità (anche al 100% se lo è totalmente) e comunque al compimento dei 65 • anni di età viene tutelata la disoccupazione involontaria, ovvero colui che ha perso il posto di lavoro non per sua colpa (ve ne • erano molteplici) si vede garantita una indennità, seppur piccola Inoltre vi è il primo contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dalla CGDL (applicabile solo agli iscritti a questo sindacato • e alle imprese inscritte a Confindustria) si passa alla giornata lavorativa di otto ore • viene fondata l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). • In Germania, durante la repubblica di Weimar, nella costituzione vi è una parte sociale scritta da un professore di diritto del lavoro (Sinzheimer) nelle quali proponeva tutele innovative che ritroveremo. Nel 1922 va al potere il fascismo: esso si impone come dittatura con il mezzo colpo di stato del gennaio del 1925, con il discorso alla camera sulla responsabilità del delitto Matteotti, e così il fascismo emana come prima cosa nel 1926 un complesso di leggi che vengono definite le “leggi fascistissime” che dovevano dare un’importa del regime e una di queste è relativa alla rivisitazione completa del diritto del lavoro collettivo: esse sedimentano l’inizio del corporativismo, che è riferito storicamente alle corporazioni medievali, che teorizza che non esiste più e non deve più esistere un interesse dell’imprenditore, del capitalista, del datore di lavoro, distinto e separato rispetto a quello del lavoratore, ma che questi interessi egoistici devono cedere il passo davanti a un interesse che è “superiore”, ovvero quello della Nazione, dello Stato, della produzione. Quindi la teoria è che non è tollerabile un interesse egoistico, ma va seguito un interesse comune, di tutti. Ancora oggi nel c.c. All’art. 2104 vediamo come: (Diligenza del prestatore di lavoro). Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. Le leggi non rispecchiavano minimante l’ideologia perché in realtà nelle leggi vi era sempre una organizzazione del lavoro individuale che lasciava inalterati i rapporti tra parte debole e parte forte nel contratto, al di là delle ideologie che si rivelarono essere delle mere scenografie, costruendo l’edificio del corporativismo ma che alla fine risolta solo una scenografia a copertura dei veri rapporti di lavoro che vi erano. Con una legge quindi non furono aboliti i conflitti di classe. Nel 1936 gli occupati dell’agricoltura scendono sotto la metà dei lavoratori (in Inghilterra accadde duecento anni prima). Alcune leggi che fa il fascismo sono: nel 1923 una legge che stabilizza per tutti l’orario collettivo di otto ore • nel 1924 una legge su impiegati privati che risistema quella precedente (il fascismo aveva capito che dagli operai non • avrebbe avuto grandi ritorno, mentre dagli impiegati sì e vi riuscì per la gran parte), vengono blandite le classi impiegatizie nel 1927 emana la Carta del lavoro che presenta i principi dello stato corporativo • nel 1938 emana le leggi razziali (espulsione di tutti i lavoratori ebrei, considerazione legislativa degli etiopi come nulli) • La politica sociale del fascismo è rilevante, poiché vi è in quegli anni un notevole sviluppo con l’intento di superare la crisi, governare il mondo della disoccupazione (per lo più femminile): viene riorganizzato il sistema previdenziale (infortuni, vecchiaia, disoccupazione) con una serie di porvvidense che furono irrobustite e le foto di enti pubblici che le amministrassero, soprattutto due, quali l’INFPS (INPS) e l’INFAIL (INAIL), e si intervenne anche sulle provvidenze a favore della donna lavoratrice, ma ciò ebbe conseguenze opposte poiché ai datori di lavoro non conveniva più assumere donne con tutte le tutele che entrano previste a loro favore (dal 1921 al 1931 la quota di donne impiegate nel mondo del lavoro passo dal 28% al 18%), nel 1938 si fece una legge per la quale in tutti i settori pubblici e privati le donne non potevano costituire più del 10% del personale, se non in settori “particolarmente adatti alle donne” decisi con un apposito decreto. Veniva cercato il consenso anche al di fuori del tempo lavorativo e ciò avvenne con l’Opera nazionale dopo lavoro, a favore anche dell’indottrinamento dei lavoratori. Lezione 6. Nel 1926 vi è una legge fascistissima che rivede il contratto collettivo, andando a modificare le situazioni che si creavano precedentemente: in realtà questa legge consente a un solo sindacato di costituirsi e di svolgere tutte le attività tipiche del sindacato, che è “unico” e chiaramente fascista, che un anno prima aveva stipulato il patto di Palazzo Vidoni con Confindustria, riconoscendosi come unici rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. A Confindustria conviene. Il sindacato fascista viene così riconosciuto come unico e gli altri, considerati come antinazionali, vengono vietati e gli viene imposto di agire, così viene abolita la libertà sindacale. Questo passaggio ha natura giuridica di ente pubblico, mentre prima era ricompreso nel diritto privato. Ciò attribuisce natura pubblicistica al sindacato pubblico, che è fondamentalmente una diramazione del partito fascista (cosa che avviene anche in politica con il partito unico Fascista). Il sindacato fascista, quando contratta stipula un contratto collettivo che è un contratto in realtà, ma come dira Carnelutti ha “il contratto collettivo ha il corpo del contratto ma l’anima della legge” e così viene descritto efficacemente il contratto collettivo corporativo: dicesi quello stipulato durante il periodo fascista dal sindacato unico fascista e la controparte e questo contratto giuridicamente è un contratto ma ha anima di legge perché la legge del ‘26 stabilisce che questo contratto collettivo corporativo abbia efficacia generale, erga omnes e si applica anche ai lavoratori non inscritti al sindacato: a differenza di quello del periodo liberale che ha efficacia inter partes e differisce anche dal contratto collettivo attuale, il contratto collettivo vale solo per gli iscritti ai sindacati stipulanti. La legge del ‘26 prevede inoltre una cosa importante: il meccanismo della inderogabilità in peius, cioè le disposizioni del contratto collettivo non possono essere derogate dal contratto individuale se non in meglio per il lavoratore. Il codice civile vigente all’art. 2077 afferma: (Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale). I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo. Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni piu' favorevoli ai prestatori di lavoro. Nel momento in cui il contratto individuale contiene clausole derogatorie rispetto al contratto collettivo, la sorte di queste clausole se sono più favorevoli al lavoratore, sono fatte salve, altrimenti se non più sfavorevoli allora entra in vigore il meccanismo della sostituzione automatica delle clausole del contratto di diritto. Nella legge del ‘26 vi è l’altro lato dell’opera del sindacato, oltre alla stipulazione dei contratti, e al momento del conflitto vi è sciopero, e la ricostruzione giuridica dello sciopero è che esso nasce come reato, poi con il codice Zanardelli è liberalizzato, così lo scioperante non va in carcere a meno di sciopero violento, ma vi è comunque una responsabilità verso il datore di lavoro, durante il fascismo lo sciopero, con la legge del ‘26 e con il codice penale di Rocco del 1930 (ancora oggi vigente), viene penalmente vietato: così diviene di nuovo un reato: per il corporativismo il conflitto è abolito per il diritto, che se ne disinteressa, in quanto vi deve essere la collaborazione tra lavoratore e datore di lavoro. Conseguentemente e vietata l’azione di ritorsione da parte dei datori di lavoro (per la legge del ‘26 entrambi dei comportamenti delittuosi). Il ruolo dei giudici che si occupano di lavoro è funzionale assolutamente al regime, per cui il fascismo crea anche una • Magistratura del lavoro, dedicandosi esclusivamente a cause di lavoro: però è come se operasse clandestinamente. Il ruolo dei giuristi che si occupano di lavoro, non sono necessariamente di regime, e ve ne sono molteplici ed operano • anche egregiamente che spesso per non prendere posizione, sostenevano una posizione afascista (definiti giuristi “tecnici”) i quali andarono poi a formare il codice. Il diritto del lavoro diviene una materia pubblicistica e si va a parlare di “diritto corporativo” non più di diritto del lavoro nell’Università; si ha così una “pubblicizzazione” della materia; nel 1927 viene fondata la prima rivista di diritto del lavoro da abitare che era il ministro delle corporazioni. Con la Seconda Guerra Mondiale si ha un totale sconvolgimento: ad esempio le donne cominciano a lavorare al punto che vi è è fatta la legge che vieta l’impiego di personale maschile in determinate attività, andando a fare contrasto con ciò che era stato emanato nelle leggi del fascismo. Nel 1942 c’è la stesura del codice civile che viene promulgato il 21 aprile poiché si diceva che essa fosse la data della nascita di Roma. Il fascismo aveva fatto una legge per cui anche il 1 maggio aveva subito una modifica, per cui la festa del lavoro fu spostata proprio al 21 aprile. Il codice civile è diviso in sei libri: il quinto libro è intitolato “Del lavoro” ma si tratta di un codice assai poco corporativo, poiché il rapporto di lavoro individuale è ricostruito in maniera privatistica, non vi è nulla di corporativo, vi è ancora lo squilibrio tra parte forte e debole, così vi è pochissimo riguardo al diritto sindacale. L’8 settembre del 43 viene fatto l’Armistizio per cui al nord ci sono fascisti e nazisti mentre al sud sono arrivati gli angloamericani che risalgono lentamente la penisola, allora a questo punto, l’incisione sul diritto del lavoro è che ve ne sono due divisioni del diritto del lavoro: il diritto del lavoro di Regno del sud e al nord viene constituta la repubblica sociale italiana dove continuano a comandare i fascisti e sopratutto i nazisti. al sud, subito dopo la caduta del fascismo la prima cosa che vi è fatta e un accordo tra Confindustria e il nuovo • sindacato libero che si chiama CGIL (confederazione generale italiana del lavoro) che era stato soppresso nel ‘26 e il suo primo atto con Puozzi, fu di fare un accordo con Confindustria, governata da un certo Mazzini: l’accordo Puozzi- Mazzini ricostituisce le commissioni interne, e ciò fa capire la funzionalità delle industrie. Non appena Roma cade in mano ai nazisti, Puozzi viene fucilato. Il sindacato viene ricostituito col patto di Roma del ‘44 e viene abrogato l’ordinamento corporativo, e soprattutto non vi è più il contratto collettivo corporativo ma senza andare ad eliminare quelli già stipulati. Nel ‘44 il diritto del lavoro entra nei piani di studio di giurisprudenza e sostituisce il precedente “diritto corporativo”; al nord, con la Repubblica sociale (Repubblica di Salò), con la presidenza di Mussolini ma di fatto governata dai nazisti, • ma va detto che dal punto di vista teorico la repubblica sociale fa qualcosa di significativo: viene richiamata l’ideologia del Fascismo delle origini, quindi vicino ai lavoratori e quindi il fascismo del ‘44-45 pone mano ad un programma vastò di socializzazione delle imprese, quindi le imprese più grandi dovevano secondo questo programma essere “socializzate”, quindi i lavoratori entravano a fra parte dei consigli di amministrazione e i compensi dovevano essere così egualmente divisi, ma tutto ciò non fu mai realizzato, nè a causa delle tempistiche di eliminazione del fascismo e molto perché si trattava di un’ulteriore operazione scenografica per “tenere buoni” gli operai; la socializzazione fu abolita da un comitato di partigiani il 25 aprile del 1945, la tradizionale data della liberazione di Milano. Finita la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia è ridotta in maniera terribile, i lavoratori a stento tornano dai vari fronti ma come spesso succede in queste situazioni c’è voglia di ricominciare e l’italia diverrà in poco tempo uno dei paesi più industrializzati del’Europa. La nuova Italia dopo la caduta del fascismo è fondata sul lavoro. Nel 1946 l’Italia diventa una Repubblica e decide di stare nel blocco amiercani poiché dopo la fine della Guerra, inizia la Guerra Fredda e l’Italia si schiera con l’America; nel 1948 l’Italia si da una costituzione degna di un paese civile. Art.1 della Costituzione Italiana: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”: i socialcomunisti avevano • proposto: “l’Italia è una repubblica democratica di lavoratori” (ovvero chi lavora per altri, ovvero i lavoratori dipendenti) mentre dire che fondata sul lavoro, raffigura il lavoro di tutti, anche di imprenditori e grandi imprenditori. Inoltre sono presenti le “formazioni sociali” citate dall’art.2 della Costituzione • La vera previsione rivoluzionaria è riguardo all’art.3 che riguarda l’uguaglianza: “(Comma 1) Tutti i cittadini hanno pari • dignita`sociale [XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [292, 371, 481, 511, 1177], di razza, di lingua [6], di religione [8, 19], di opinioni politiche [22], di condizioni personali e sociali.(e qui tratta di eguaglianza formale). (Comma 2) È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva interlocutore nemico e quindi accetta di subire una ingerenza del potere pubblico nei propri confronti. Questa legge dà sostegno al sindacato (legislazione di sostegno). Molte delle regole di tutela del sindacato sono rivolte solo a quelli che lo Statuto dei lavoratori chiama “maggiormente rappresentativi” (art.19). Questi sindacati sono: CGIL, CISL e UIL. L’unità sindacale fa si che 1972 i sindacati stipulino un patto federativo operando strategie comune dando vita alla Triplice. La federazione più importante (quella dei metalmeccanici) viene fuori dalla unione di questi tre sindacati: la FLM. Questo è il diritto del lavoro del garantismo: è un periodo che va dal 1963 fino al 1973. In questi anni i lavoratori acquisiscono sempre nuovi diritti e si rafforzano. È una stagione piuttosto breve e tale diritto del lavoro è comunque sempre modellato sul prototipo (industria medo-grande). Nel 1973 si fa una legge n.553 che modifica il processo del lavoro che lo rende più snello, più veloce. Pochi anni dopo, questa situazione finisce molto brutalmente passando all’esatto opposto. La crisi del 1973 e l’emergenza porta allo scoppio di una crisi petrolifera a livello mondiale: gli effetti sono terribili. Ciò provoca una fortissima inflazione. La disoccupazione aumenta e ci si vede costretti a fare una repentina marcia indietro rispetto alle garanzie degli anni ’60. Si inizia a parlare di diritto del lavoro dell’emergenza perché si ritiene che sia una fase passeggera. La legge fa rinvio alla contrattazione colletiva: deregolamentazione. Il diritto del lavoro si frammenta e si fa strada la flessibilità: sono variabili flessibili adattate alle varie situazioni. Ci sono provvedimenti di tipo emergenziale, destinati a durare lo spazio nel quale dura la crisi ma dureranno molto più di quanto previsto inizialmente. La svolta del sindacato che era partito dalla contrapposizione: non posso tirare troppo la corda se le imprese non ce la fanno. Si iniziano ad accordare con gli imprenditori (accordo Agnelli-Lama): l’accordo verte sul contenimento dei salari dell’industria che era una variabile impazzita. Si mette mano anche all’inderogabilità della norma lavoristica: si fa spazio a standard che non si possono né superare né andare sotto. Il sindacato perde forza perché il lavoratore abituato ad acquisire sempre più diritti, ora si ritrova a dover abbandonare il sindacato unitario e aderire al sindacato autonomo. Nel 1980 ci fu la “Marcia dei quarantamila”: impiegati e quadri della FIAT che sfilano per Torino chiedendo di poter lavorare nelle fabbriche, rivendicando propri diritti. In questo periodo si sfa anche la coalizione tra studenti e operai: Lama viene mandato via dall’università. In sintesi questi anni vengono chiamati: anni di piombo. Il terrorismo e il mondo del lavoro In italia inizia tutto nel 1969 con la Strage di Piazza Fontana. Inoltre le Brigate Rosse si esercitano soprattutto nel mondo del lavoro che attraggono i lavoratori più arrabbiati per portarli a sé. Nel 1978, le Brigate Rosse passano alla politica con il rapimento e assassinio di Aldo Moro che era il massimo artefice di solidarietà nazionale: mettere insieme le forze politiche frodate sulla partecipazione popolare cioè i democristiani e i comunisti. Finisce questa fase quando il diritto del lavoro emergenziale supera questo periodo di crisi con non poche contraddizioni: è uno scopo impossibile perché dopo pochi anni si è ammesso che la crisi non è passeggera ma rimane nel tessuto sociale, economico e produttivo del nostro paese. Lezione 9 (streaming) Gli anni ’70 erano stati angosciosi mentre gli anni ’80 sono quelli del riflusso, della spensieratezza, dell’arricchimento ostentato: nascono le televisioni private… c’è un consumismo di massa dilagante. Nel mondo del lavoro si ha un nuovo modello delle politiche: la concertazione sociale cioè un nuovo modello di gestione delle politiche del lavoro che si afferma dalla notte del 22 gennaio del 1983. In questa notte c’è un incontro tra tre partner: il governo, i rappresentati di imprenditori e quelli dei lavoratori che stipulano il Protocollo Scotti. La novità è che non è un accordo classico ma prevede tre parti contrattuali, ognuna delle quali partecipa alle trattative e prende degli impegni. Il governo non agisce come mediatore ma è esso stesso parte dell’accordo contrattuale. L’accordo è di vertice, interconfederale. Si delineano le politiche del lavoro degli anni a venire: i sindacati si assumono degli impegni, il governo si impegna a trasfondere alcuni contenuti in appositi provvedimenti normativi in modo che i contenuti dell’accordo non rimangano validi solo per i lavoratori iscritti ai sindacati stipulanti ma abbiamo efficacia nei confronti di tutti i lavoratori. Ciò dà vita in tutta Europa al modello neocorporativo delle relazioni industriali. Il sindacato con questa operazione, entra in una logica di scambio politico cioè accetta qualche compromesso in cambio della garanzia che i contenuti della contrattazione valgano per tutti i lavoratori italiani. Questo comporta che da parte di molti lavoratori c’è una contestazione aperta nei confronti dei sindacati accusandoli di pensare solo ai propri interessi mettendosi d’accordo con gli imprenditori. Ci sono molti lavoratori che si fanno catturare dal terrorismo. Le Brigate Rosse vogliono colpire gli artefici di quegli accordi che a loro dire non tutelano più i lavoratori ma solo gli imprenditori (stato imperialista delle multinazionali). Nel 1983, fanno un attentato a Giugni che fallisce solo perché chi era incaricato di ucciderlo, spara ma lo prende ad una gamba. Le leggi di quegli anni sono esempio di legislazione contrattata per la quale c’è stato accordo tra imprenditori e sindacati. Ormai la sostanza dei contratti collettivi finisce di fatto ad applicarsi a tutti i lavoratori. Il contratto collettivo in questo modo, passa da una logica di integrazione addizionale (la legge propone lo standard, il contratto aggiunge qualcosa a vantaggio dei lavoratori) ad una di riduzione/flessibilità delle tutele. È sul contenimento della politica salariale (tema caldo di quei tempi) che si forma uno strappo all’interno del sindacato. La politica salariale: il 14 febbraio 1984 si trovano di nuovo i sindacati e nel governo per stipulare un nuovo accordo sul problema della politica dei redditi. La retribuzione del lavoratore è un debito di valuta; se l’inflazione è forte, il potere di acquisto dello stipendio diminuisce mese dopo mese. Allora c’era un meccanismo chiamata scala mobile dove la retribuzione veniva rivalutata in relazione del costo della vita del lavoratore. Con una inflazione galoppante, il costo del lavoro aumentava in maniera insostenibile per gli imprenditori pensando di dover rivedere questo meccanismo della scala mobile. In quel giorno, i sindacati litigarono: la CGIL non volle firmare l’accordo che invece fu firmato dagli altri sindacati. Essa promosse un referendum, per l’abolizione della legge che aveva ricevuto il contenuto dell’accordo. Vinse il no all’abrogazione del decreto Craxi. L’impatto delle tecnologie elettroniche Negli anni ’80 viene rivoluzionato il modello tayloristico. C’è la rivoluzione elettronica. Il mondo del lavoro viene investito da questa rivoluzione che cambia il modo di produrre anche nelle imprese più tradizionali. È l’impresa automobilista Giapponese che dà vita al toyotismo. La rivoluzione più grande è l’applicazione di nuove tecnologie. L’elettronica favorisce un lavoro più frazionato, i collegamenti a distanza. Si ritorna ad una dimensione pre-industriale perché i servizi della nuova produzione, grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione consentono di lavorare anche in altri modi (da casa, a distanza ecc.) collegati comunque con l’azienda. Si ha delocalizzazione della produzione: alcune azienda pensano che sia più conveniente decentrare la produzione. È facile trovare aziende che pensano che sia più comodo lavorare anche all’estero perché magari non c’erano tutte le garanzie italiane per il lavoratore. Questa frantumazione del lavoro comporta una ancora maggiore crisi della rappresentanza del sindacato. Questa circostanza spiazza il mondo del diritto. Riguardo al lavoro e i lavori Paolo Grossi ha detto che il moto del diritto è i movimento immobile dei ghiacciai perché il diritto si muove con la lentezza di un ghiacciaio mentre l’economia e la società vanno veloci. La figura del prototipo si sgretola con l’irrompere delle tecnologie come la comunicazione e l’informazione. Si inizia a parlare di società post-industriale. Nel 1981, si ha il sorpasso (su 10 lavoratori, 5 lavorano nel settore terziario). Si sgretola il diritto del lavoro e la categoria della subordinazione e i giudici devono qualificare prestazioni di lavoro che ancora non conoscono. Ci sono pochissime norme garantiste. Gli ammortizzatori sociali servono ad attutire il colpo: il lavoratore perde il posto di lavoro e l’ammortizzatore cerca di rendere meno drammatica la situazione. Prima si aveva pudore nel parlare di mercato del lavoro ma il lavoro era già una merce che sta nel mercato. Sono anni di trasformazione molto veloci e il diritto del lavoro non è più quello che deve garantire dei benefici dei lavoratori ma nemmeno dve puntellare la crisi: deve gestire un nuovo mercato. Nel 1991 ricorre il centenario della “Rerum novarum” e il papa di allora (Giovanni Paolo II) emana anche lui un’enciclica “Centesimus annus” che celebra l’enciclica leonina. Si auspica le politiche pubbliche che favoriscano la piena occupazione. I paesi ricchi devono ridurre gli sprechi e vengono incontro ai paesi poveri. Lezione 10 (streaming) Negli anni ‘90 nasce la Seconda Repubblica dove appaiono nuovi partiti e nuovi punti di riferimento. La sinistra non ha più riferimento con l’Unione Sovietica perché è stata sconfitta con la caduta di Berlino. In questi anni, il mondo è informatizzato, tecnicizzato e la società è consumistica. L’Italia è meta di albanesi e poi africani (in cerca di ambienti migliori) diventando un paese multietnico. Si ha una globalizzazione delle economie mondiali (libera circolazione di merci, persone, capitali). La concorrenza è sempre più esercitata dai produttori dei grandi paesi nei confronti dei nuovi stati che si avvincano agli standard di tutela già garantiti dal diritto del lavoro italiano. Acquistano sempre più potere le banche: si ha il dumping sociale cioè i livelli di tutela non essendo omogenei ci sono differenze tra diritto e diritto mentre le economie si muovono in modo omogeneo nel mondo. Si ha anche la progressiva europeizzazione del sistema politico ed economico che spinge il giuslavorista a tenere conto di una cornice dove ci sono tutte le regole del diritto del lavoro. Negli anni’90 c’è anche la possibilità che l’euro diventi moneta unica di alcuni paesi: questo si verificherà nel 2002. Acquista importanza la dimensione comunitaria acquistando maggiore importanza anche la Corte di giustizia europea. I giuslavoristi al comando, gli accordi e le leggi Autorevoli studiosi di diritto del lavoro entrano a far parte del Parlamento. Quindi le leggi vengono scritte da politici che sono anche tecnici. Gli interventi più incisivi hanno riferimento al mercato del lavoro. C’è un complesso di leggi del 1997 che si chiama il “Pacchetto Treu” (Treu è un professore del diritto del lavoro che era ministro del lavoro nel 1997). È nell’ottica della flessibilità che era stata attuata già negli anni passati. Ci sono tanti tipi di lavoro che i giuslavoristi si impegnano a classificare: nascono tante graduazioni. Il sindacato perde progressivamente consensi e che è molto meno forte di quello di qualche anno prima. Dalla sinistra si critica il sindacato che non è più il rappresentante dei lavoratori ma un organismo burocratizzato che non segue più gli interessi del lavoratore. È uno scenario post-moderno (una realtà estremamente frammentata, destrutturata con una difficile ricomposizione all’unità). È un diritto del lavoro che si trova in una crisi di identità e tanti preconizzano la fine del lavoro. Sta finendo il diritto del lavoro iniziato con la rivoluzione industriale e si sta trasformando in qualcosa di nuovo. Sta cambiando lo Statuto epistemologico del diritto del lavoro. Questo statuto sta a significare che stanno cambiando le basi sulle quali è nato il diritto del lavoro. Inizialmente aveva lo scopo di costituire una base di diritti per le persone che lavoravano alle dipendenze altrui, ora la base del diritto del lavoro sta cambiando ragion d’essere: sta diventando qualcosa di diverso. All’alba del terzo millennio nel mondo del lavoro c’è un evento inaspettato: un colpo di coda delle nuove Brigate Rosse che uccidono spietatamente Massimo Dantona (professore di diritto del lavoro all’ora collaboratore del ministro del lavoro del governo di centro sinistra di quegli anni). Individuano in loro il simbolo della mediazione, del dialogo tra capitale e lavoro. Egli era stato l’artefice della stretta di mano tra capitale e lavoro. Nel 2001 c’è la caduta delle Torri gemelle a New York. Al censimento del 2001, il settore terziario occupa il 61%, l’agricoltura il 5% e si inizia a fare spazio un industria super tecnologica. Lezione 11 (streaming) L’Italia si trova nel pieno della globalizzazione e dell’europeizzazione. Spesso le fonti di diritto europeo sono molto meno garantiste di quelle italiane. Le istituzioni finanziarie europee si rafforzano così tanto da condizionare le politiche nazionali. Nel primo decennio del 2000 l’Italia è governata dalla Destra: si parla di alternanza perché ci sono politiche anche divergenti tra governi di destra e quelli di sinistra. La distanza non è ben molto percepibile perché un po’ tutte le politiche hanno l’obiettivo di liberalizzare il mercato del lavoro. La legge più importante è quella che prende il nome da un professore di diritto del lavoro che viene ucciso nel 2002 dalle Brigate Rosse: Marco Biagi. Era inoltre il braccio destro del ministro del lavoro. Egli con il ministro Maroni voleva fare una riforma del diritto del lavoro: flessibilità del mercato del lavoro, maggiori poteri ai datori di lavoro di agire nell’assunzione, nei licenziamenti ecc. (a vantaggi delle imprese). Inoltre il progetto che si trasfuse in un Libro Bianco del 2001, prevedeva anche un incremento di quelli che venivano definiti come ammortizzatori sociali. Dopo la morte di Biagi, il governo approva la legge 276 del 2003 chiamandola “Legge Biagi” perché dice che hanno realizzato ciò che lui voleva porre in essere. In realtà questa legge presenta solo la parte a favore dei datori di lavoro mentre mancano gli ammortizzatori. Questa legge comunque poggia su un patto di concertazione sociale ma è sostanzialmente l’ultima volta nel 2002 che si fa un accordo trilaterale perché in questi anni finisce la prassi della concertazione sociale: i governi di centro-destra scartano questa prassi alla quale si sostituisce una prassi che si chiama “dialogo sociale”. La concertazione sociale è l’accordo trilaterale (governo e sindacati) mentre il dialogo sociale è che in determinate materie il governo procede autonomamente (competenza piena ed esclusiva). Sulle materie più inerenti al lavoro c’è comunque un confronto con il sindacato ma è successivo e non importante come nella concertazione sociale. Il sindacato e lo strappo della Fiat che si scorpora, crea molte piccole compagnie e decide di uscire dalla Confindustria. Non essendo più iscritta a Confindustria non si applicano più i contratti collettivi sottoscritti dalla Confindustria con le tre federazioni (Cisl, Cigl e Uil). Stipulerà solo contratti collettivi (che saranno peggiori per i lavoratori) con Cisl e Uil. La contrattazione collettiva ha sempre più un ruolo ablativo che accrescitivo e quindi di riduzione dei diritti. Si arriva così all’art.8 del decreto di ferragosto il quale prevede la possibilità che un contratto collettivo aziendale possa derogare in peggio per i lavoratori rispetto al contratto collettivo nazionale e anche rispetto alla legge. Il dominio del neoliberismo porta al fatto che il diritto del lavoro del XXI secolo è catalizzato in tendenza neoliberiste. Si fa strada la parola “flexicurity” cioè la flessibilità e la sicurezza cioè i datori di lavoro hanno mano liberissima però il sistema statale garantisce che in breve tempo il lavoratore che è disoccupato ritrovi il lavoro. Si perde sempre di più la cultura delle garanzie e la Costituzione viene messa da parte dal nostro legislatore. Lezione 12 (streaming) Negli anni ’10, la crisi e la “sovranità limitata” c’è una grave crisi economica, si perdono molti posti di lavoro, ci si impoverisce e si perde il senso di fiducia del cittadino e del lavoratore. I centri decisionali delle politiche dei singoli stati solo sempre meno i governi nazionali e sempre di più delle istituzioni sovranazionali e anche i mercati. Nel 1777, Adam Smith parlò della mano invisibile del mercato per significare che i mercati muovevano molto più di quanto si potesse pensare. In Italia, le piccole aziende sono il 95,2% del totale dove non trova applicazione la gran parte del diritto del lavoro. Il lavoro tra azzurri, rossi, gialli e verdi e soprattutto tra tanti grigi: gli anni ’10 sono stati il rimescolamento di questi colori: ci sono stati governi spesso molto grigi cioè tecnici perché nel 2011, il governo di Berlusconi viene sostituito da un governo tecnico eletto da Mario Monti. Ci sarà la Riforma Fornero che interviene soprattutto sul tema dei licenziamenti, liberalizzandoli di fatto. La legge “Jobs Act” di Renzi è quella che rende tutto più flessibile. Negli anni ‘20 lo scenario pare proiettare prospettive inquietanti per il mondo del lavoro che erge muri fisici e ideologici nei confronti di chi è diverso. L’Europa non è più vista come luogo comune ma come luogo burocratico che impone regole. La digitalizzazione è completa e il mondo del lavoro si ribatte tra settori di industria iper tecnologica e settori abbandonati alla mala vita. Qualcuno ha parlato di un diritto del “lavoretto” perché la vita lavorativa è fatta di piccoli lavori mal pagati e mal tutelati. È un mondo dove sembra non esista più la lotta di classe. È un mondo dove i disastri ecologici causati dai paesi più ricchi influenzino nel mondo del lavoro. In sintesi il lavoro è sempre più povero e precario: la disoccupazione è sempre più popolata da Neet (persone non occupate, non studiano e non si stanno formando professionalmente). L’universo femminile è sotto rappresentato e meno pagato: il lavoro è poco dignitoso. Il mutamento di funzione del diritto del lavoro ha la funzione di togliere i diritti garantiti fino ad ora. Le tutele sono fragili e poste al minimo. Se il diritto del lavoro nuovo è questo, allora il diritto del lavoro non è più, come era alle origini, il diritto di tutela della parte debole del lavoro ma il diritto di tutela della parte forte.
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