Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti tecniche della pubblicità, Appunti di Semiotica della Pubblicità

Appunti dalle lezioni di "tecniche della pubblicità e online advertising", con integrazioni attraverso appunti dai libri di testo che il docente ha indicato.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 24/05/2023

CamillaAre87
CamillaAre87 🇮🇹

4.7

(10)

16 documenti

1 / 157

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti tecniche della pubblicità e più Appunti in PDF di Semiotica della Pubblicità solo su Docsity! La pubblica è un modo di comunicare, quindi ha d bisogno di: • qualcuno che parla; • Qualcuno che ascolta; • Qualcosa da dire; • Elementi che uniscono; Lasswell riassume la sua idea con la frase “chi dice che cosa a chi e con quali effetti?“. Egli trascura il mezzo, ma introduce il concetto fondamentale di effetto. La comunicazione pubblicitaria comunica, ma deve anche persuadere e indurre nel pubblico un determinato comportamento. La persuasione sarà più facile se: • Il messaggio è facile da comprendere; • Il messaggio viene ripetuto nel tempo; • Il destinatario è disponibile a farsi influenzare; 
 Teoria forte (Jones). La pubblicità ha un influsso decisivo sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei consumatori. Quindi una comunicazione pubblicitaria ripetuta e martellante incide sulle vendette di singole marche e interi settori merceologici.
 Teoria debole (Jones). Lo scopo della comunicazione pubblicitaria è quello di rafforzare le convinzioni dei consumatori, ma non ha la forza di imporre una uova opinione.
 Si trattata di due teorie che vedono il ricevente del messaggio in una posizione di inferiorità. Il passaggio fondamentale avviene con la domanda relativa a cosa fa il consumatore della pubblicità; questo va di pari passo con quella che è stata l’evoluzione delle teorie sul consumatore, che dal razionalismo arrivano alla concezione postmoderna che vede il consumatore come individuo complesso alla ricerca di informazioni e desideroso di fare esperienze. 
 Razionalismo. Vede il sopravvento sempre e comunque della razionalità: a fronte di una adeguata quantità di informazioni il consumatore compie sempre la scelta corretta. In psicologia l’applicazione della teoria razionalista la troviamo nel behaviorismo e nella riflessologia.
 
 Riflessologia. SI basta sugli studi di Pavlov condotti sui cani, e mirati a dimostrare la potenza del riflesso condizionato. Lo studioso dimostra che associando ripetutamente il suono di un campanello (stimolo neutro) all’odore della carne che stimola la salivazione nel cane (stimolo incondizionato), dopo diverse esposizioni il cane avrà l’acquolina in bocca al solo rumore del campanello (stimolo condizionato). Lo stimolo neutro diventa condizionato affiancandolo ripetutamente ad uno stimolo non condizionato.
 Il compito della pubblicità, quindi, sta nell’associare il prodotto da vendere ad uno stimolo neutro. L’obiettivo è quello di creare nel consumatore un sistema di riflessi condizionati per cui al sorgere di un bisogno sister un solo prodotto in grado di soddisfarlo. La cosa importate è l’intensità dello stimolo. Watson, principale esponente del comportamentalismo, riprese la teoria di Pavlov; egli concentrata la l’atennzionee sul comportamento esterno dell’individuo, quanto realmente può essere osservato. Il comportamento è dovuto agli stimoli esterni ai quali l’individuo è sottoposto; quindi gli unici aspetti che possiamo osservare con un mettono scientifico sono: • Lo stimolo (S); • La risposta (R) dell’individuo; L’individuo risulta così un ricettore passivo che non è in grado di modificare quello che gli succede. 1 Risulta fondamentale l’approccio per tentativi ed errori: quando l’individuo sente l’emergere di un bisogno cercherà di soddisfarlo attraverso una serie di prove, per arrivare al prodotto che lo soddisfa. Se successivamente avrà di uovo quel bisogno si rivolgerà direttamente al prodotto. La pubblicità è uno strumento che permette di creare forti associazioni tra i prodotti da vendere e bisogni da soddisfare. Questa concezione del funzionamento della comunicazione pubblicitaria la possiamo rappresentare attraverso l’equazione 
 
 S=f(ADV) 
 
 le vendite sono direttamene alla quantità di annunci pubblicitari. Quindi l’aspetto importante non è dato dal messaggio, ma dalla ripetizione del messaggio con cui si bombarda il consumatore. La comunicazione pubblicitaria si basa sulla ripetizione ossessiva dei messaggi, che devono essere chiari e accompagnati da una musica riconoscibili.
 
 Teoria ipodermica. Prende le mosse dalla concezione di un consumatore passivo. Prende le mosse dall’assunto che la pubblicità può esercitare qualsiasi tipo di influenza sugli individui, avendo la stessa precisione con cui una siringa ipodermica o una pallottola possono colpire una persona. Anche qui troviamo il rapporto stimolo-risposta: • Lo stimolo è rappresentato dal messaggio inviato a una massa di idividui; • L’individuo è obbligato rispondere aderendo in maniera incondizionata a quanto presupposto dallo stimolo; 
 La suggestione: il contributo della psicoanalisi e le reali motivazioni 
 La psicoanalisi dice che l’individui è guidato nelle sue scelta dal suo inconscio ed è nell’inconscio che risiedono le reali motivazioni di un comportamento. Le ricerche motivazionali partono dalla necessità di far leva sull’inconscio delle persone, anche sotto la soglia della consapevolezza, richiamando sogni e simboli di evasione che corrispondono ai desideri più profondi. Ma nessuna ricerca ha dimostrato l’efficacia di questo approccio, come non è possibile verificare l’effettiva efficacia della pubblicità subliminale. La persuasione. 
 Molte teorie passate non hanno preso in considerazione la coscienza umana. Gli individui sono dotati di carattere hanno esperienze pregresse. Le persone, quindi, devono essere persuase, non suggestionate, dalla comunicazione pubblicitaria (che deve considerare le motivazioni delle persone). Creare dei nuovi bisogni nelle persone è difficile, quindi la funzione della pubblicità sta soprattutto nel rafforzare un’opinione già esistente. Lazarsfeld e Merton studiano l’efficacia della comunicazione e persuasoria: la persuasione funziona meglio se si ripetono e affermano concetti condivisi; quindi la comunicazione si deve basare su un sistema di credenze condivise. Quindi la pubblicità è più efficace se pubblicizza prodotti che soddisfanno bisogni preesistenti e rafforza così un’opinione che già esiste. 
 Ricerche hanno dimostrato che se il messaggio no è coerente col vissuto del consumatore, questo mette in atto meccanismi di difesa. Il consumatore è in grado di sottrarsi a molti dei messaggi da cui è bombardato.
 
 
 
 
 2 
 Il modello più citato e utilizzato è quello realizzato dall’agenzia Foote Cone & Belding. La FCCB grid presuppone uno schema cartesiano che prevede: • Sull’asse delle ascisse la bipartizione che corrisponde agli emisferi del cervello; • Sull’asse delle ordinate il coinvolgimento del consumatore nell’acquisto, che sarà tanto maggiore quanto il prodotto è percepito come costoso, rischioso, innovativo;
 Quindi troviamo: 1. Nel primo quadrate i prodotti ad alto coinvolgimento di tipo prevalentemente razionale, che richiedono un forte esborso di denaro; 2. Nel secondo quadrante prodotti ad alto coinvolgimento affettivo. L’elaborazione prevede tre fasi: sentire, conoscere, agire; 3. Nel terzo e quarto quadrante basso coinvolgimento,esborso di denaro inferiore: • Commodity: prodotti comuni. Il consumatore non è disposto a investire emotivamente o finanziariamente; • “piccoli piaceri della vita”: si parla di acquisto d’impulso, ma il consumatore dovrà in qualche modo affezionarsi per comprendere razionalmente perché sceglie una certa marca; Attraverso la comunicazione pubblicitaria possiamo far si che il consumatore collochi mentalmente un prodotto in un quadrante diverso da quello in cui si inserisse naturalmente.
 
 Rossiter e Percy sviluppano il loro modello sostituendo la distinzione tra ragione ed emozione con le motivazioni dietro alla scelta di un prodotto. Le motivazioni possono essere di due tipi: • Funzionali, legate alle informazioni (sul prodotto). Sono spesso negative perché rappresentano l’eliminazione di un problema; • Trasformazionali. Sono positive in quanto aumentano il piacere e aiutano a farsi accettare; 
 Petty e Cacioppo idearono l’elaboration likelihood model (“modello della probabilità di elaborazione”). Secondo questo modello esistono due strade per persuadere le persone: • Strada centrale. Il destinatario è interessato al prodotto, quindi il messaggio lo porta ad un alto grado di elaborazione. È la persuasione più duratura; • Strada periferica. Il destinatario è solo parzialmente interessato. Il messaggio interviene con un’elaborazione periferica; 
 5 Il grado di elaborazione dipende da: • Coinvolgimento verso il tema; • Capacità del consumatore; • Tempo disponibile per affrontare il tema; • Immediatezza del messaggio; 
 L’ultimo è il modello delle 4i e 4C. La comunicazione deve tenere conto di una serie di variabili (che non hanno necessariamente un ordine prestabilito). Il messaggio deve suscitare: • Impatto (equivalente dell’attenzione); • Interesse; • Informazione (nel senso delle informazioni che il consumatore cerca prima di fare un acquisto) • Identificazione; • Comprensione; • Credibilità; • Coerenza; • Convinzione; 
 Dopo l’elaborazione c’è la fase dell’apprendimento: da questo momento non basta più la sola comunicazione pubblicitaria.
 
 Pubblicità su Internet 
 I dati Nielsen 2015 indicano che Internet è, dopo la tv, il canale che raccoglie i maggiori investimenti pubblicitari. La pubblicità su Internet si evoluta dai semplici banner ai pop-up, le campagne sponsorizzate e le Google ADS. Interazione ed engagement sono i due concetti chiave. Verificare l’efficacia di una pubblicità su internet è molto più facile rispetto alla televisione; quella su Internet è immediata e misurabile. 
 
 13 ottobre fatta fino a 44’22”
 La pubblicità è una parte del marketing. Anche quando fatta online si tratta di pubblicità. Anche e soprattutto in questo secondo caso devi conoscere cos’è la la pubblicità e quali sono le sue regole: queste valgono ancora di più quando si parla del mondo online. Attraverso la pubblicità devi attirare subito l'attenzione, entro i primi pochi secondi (online diventano decimi di secondo). Altrimenti l'utente lo hai perso e non lo riprendi più. Dietro gli oggetti ci sono sempre delle storie. 
 Quando si fa pubblicità, il primo ostacolo da superare è la soglia dell’attenzione dell’utente. Altro tema da affrontare è la convenzione riassumibile nell’acronimo AIDA, che rappresenta i passi che un messaggio deve superare: • Attention (awareness). Creare consapevolezza o “affiliazione” col prodotto o servizio. Si tratta del primo ostacolo da superare; • Interest of the customer. Generare interesse verso i benefici del prodotto o servizio, e interesse sufficiente a incoraggiare l’acquirente ad approfondire la ricerca; • Desire. Desiderio verso il prodotto o servizio, attraverso una connessione “emozionale”, mostrando la personalità del brand. Bisogna far passare il consumatore dal “like” al volere il prodotto; • Action. Far muovere l’acquirente verso l’interazione con l’azienda e fargli fare il passo successivo (scaricare la brochure, fare una telefonata, iscriversi alla newsletter, etc); 6 La pubblicità serve a vendere, anche se non sempre (ad esempio la pubblicità sociale non mira a vendere). Quindi la pubblicità mira a portare il target a compiere una azione verso il prodotto (in alcuni casi l’acquisto): la pubblicità ci porta fino al negozio, lì poi entrano in gioco anche altri fattori come la rete di vendita. La pubblicità lavora sui perché, ovvero la pubblicità lavora sulla reason why. Gli spot, le affissioni, la pubblicità in generale deve mettere in risalto come il prodotto (bene o servizio) può migliorare la vita delle persone.
 La serie si chiama mad men nel senso di “gli uomini di madison avenue”. La pubblicità come professione nasce due volte: • tra le due guerre (ma non proprio come lavoro); • fine anni ’50 - inizio anni 60 nasce la professione dei pubblicitari. Le prime agenzie nascono a New York, e tutte avevano ufficio in madison avenue; All’epoca erano esclusivamente uomini e venivano chiamati “gli uomini di madison Avenue” (mad men, appunto).
 
 Il cervello è suddiviso in due emisferi: • Destro: quello della creatività; • Sinistro: quello della razionalità; Anche se oggi si dice che non sia proprio così, ma che in realtà i vari aspetti siano molto più mischiati. Allo stesso modo in pubblicità esistono due grandi aree: • La pianificazione media, ovvero dove mandare in onda ala pubblicità, con che pressione, a che costo, etc; • La creatività, quindi l’ideazione e produzione degli spot; In termini di budget, la parte più ampia è di gran lunga nei media, così come il numero di persone impiegate.
 
 Troviamo quindi due aree del lavoro in pubblicità: • area creativa —> cosa devo dire. Chi si occupa della creatività, di solito, lavora nelle agenzie pubblicitarie (spesso legate a grandi gruppi internazionali). L’agenzia italiana più famosa è la Armando Testa; • area media. Ci si riferisce ad una parte del lavoro distinta dalla creatività, ovvero la parte di pianificazione pubblicitaria. Quindi, in pratica, come dico quello che voglio comunicare e con quale mezzo: investo sui social, in radio o in tv? Utilizzo le affissioni, i retrobus o altro? Quando parliamo di pianificazione pubblicitaria parliamo di individuare quelli che sono i canali migliori per comunicare il messaggio, quindi quali sono i canali migliori per veicolare la creatività. Vediamo quindi che il mondo della pubblicità è diviso in due: ci sono i creativi e ci suono i pianificatori!
 
 La parola “media” ci arriva, in ambito della pubblicità, non come parola latina che indica i mezzi: nel mondo della pubblicità indica il settore che si occupa della pianificazione. Sempre al maschile, “il media” indica la parte organizzativa della pubblicità. In linguistica si parla di “cavallo di ritorno”: è una parola latina che “è andata in America”, il significato è stato modificato ed è ritornata da noi. I soldi stanno nella parte media, perché è in quella parte dell’agenzia che si decide come allocare il budget. È un lavoro strettamente legato alla matematica, mentre la creatività è basata sull’ispirazione (e tecnica, tanta tecnica).
 
 Il cliente fornisce il briefing all’agenzia, e quest’ultima poi si occupa della parte creativa. Ricevuto il brief l’agenzia andrà poi a fare una proposta creativa al cliente. Andrà poi a relazionarsi con l’agenzia media perché si occupi delle decisioni relative ai media da utilizzare per diffondere il contenuto. Rivolgendosi a due aziende diverse, creatività e media, il cliente si dovrà preoccupare di far sapere ad entrambe tutti i dati: 7 19 ottobre 
 Abbiamo visto che esiste una divisione tra media e creatività, come anche che esistono cinque soggetti fondamentali: 1. Cliente; 2. Agenzia creativa; 3. Centro media; 4. Concessionaria della pubblicità; 5. Editore; Nell’ambito della agenzia creativa un ruolo fondamentale è svolto dal direttore creativo. L’account è la persona che tiene il contatto col cliente, una interfaccia tra i creativi e il cliente dell’agenzia. È un tramite, non ha funzione creativa. Il creativo raramente parla col cliente, c’è sempre il filtro dell’account.
 Vediamo alcune differenze da ricordare: • Copywriter: si occupa della parte testuale; • Art director: si occupa della parte visiva vera e propria. • Direttore creativo: gestisce tutte le coppie formate da copywriter e art. Smista il lavoro tra le varie coppie creative dell’agenzia e supervisiona quanto viene fatto dalle varie coppie. Quando è convito che la coppia sia arrivata all’idea “giusta”, l’idea finale, questa verrà proposta al cliente (tramite l’account); La coppia creativa è il nucleo operativo che crea la pubblicità. Chi presenta l’idea al cliente dovrà averla metabolizzata, in modo da raccontarla in maniera corretta al cliente.
 In pubblicità le idee non sono “le nostre idee”, perché quello che inventiamo è sempre influenzato da quanto altri hanno fatto prima di noi nella pubblicità. Nelle agenzie difficilmente si riesce a risalire alla “proprietà dell’idea”, perché si lavora insieme e ognuno mette il suo pensiero e le sue idee. L’agenzia pubblicitaria ha due anime: • gestione del cliente (account). Ruolo non creativo, fa da interfaccia tra cliente e copy/art director; • parte creativa. Copy e art raramente parlano col cliente; I creativi presentano l’idea al direttore creativo, che andrà a fare delle correzioni (se necessarie) e darà l’approvazione al lavoro. Quando è sicuro che tutti funziona, si relaziona con l’account per la presentazione. 
 Introduciamo il tema della differenza, fondamentale e utile nel mondo della pubblicità. Ovviamente ci leghiamo molto anche al tema del marketing.
 Possiamo individuare quelle che sono le due colonne portanti della pubblicità: • Posizionamento. Concetto del marketing che ha grande importanza in pubblicità. Indica il modo con cui le aziende si posizionano nella testa delle persone (in target e non). Un unico modo, preciso, differente dai concorrenti: su questo si fonda la reason why del brand e si piantano le fondamenta dell’advertising (Mercedes: lusso; Bmw: prestazioni, velocità; Volvo: sicurezza). Senza un posizionamento chiaro un brand non ha possibilità di successo, e soprattutto possiamo affermare che senza un posizionamento chiaro non si fa pubblicità —> il posizionamento crea la reason why del nostro prodotto! È il posizionamento a creare la differenza dai concorrenti; • Unique selling proposition. Tecnica che utilizza la pubblicità per fare posizionamento. Rappresenta il messaggio che si vuole comunicare e che differenzia l’azienda dai concorrenti. Una USP ben congegnata favorisce la comunicazione mirata e ha impatto sul branding, sul copywriting e su molte scelte di marketing. In pubblicità si deve sempre comunicare un solo plus del prodotto, che diventa la reason why per differenziarlo dagli altri. La USP, unica dichiarazione per la vendita, è la regola fondamentale della pubblicità ed è utilizzata in tutti gli annunci e gli spot; 10 Una pubblicità che fa leva su un solo plus si ricorda molto di più rispetto a una che cita più caratteristiche del prodotto Togli! Sicuramente quello che diciamo in 20 parole lo possiamo dire con 15, e probabilmente funzionerà anche meglio nella seconda versione. Il settore delle automobili è quello che ha lavorato di più in termini di marketing, comunicazione e pubblicità sulle differenze (alle volte anche sottili) tra le diverse automobili delle varie casse automobilistiche. Oggi, per esempio, i fari delle automobili sono pubblicità: in base a come li fai comunichi innovazione, eleganza, e altre caratteristiche proprie del brand. Questo fa si che a noi rimangano in testa quelle che sono le macro-differenze tra le varie case automobilistiche.
 La pubblicità ci manipola perché attraverso la pubblicità le aziende posizionano nella nostra testa il loro brand. Ovviamente è come l’azienda vuole, decide e conferma di posizionarsi. Il posizionamento è un patrimonio che non deve disperdersi, ma deve rimanere ben saldo; nel momento in cui l’azienda decide di cambiarlo (perché può essere cambiando nell’arco della vita dell’azienda) si rischia. Attenzione: il posizionamento riguarda il brand, non il singolo prodotto.
 Esagerando, ma non troppo, possiamo dire che i prodotti sono tutti uguali almeno per quanto riguarda la base di partenza (vedi le automobili in termini del “pezzo di metallo” che esce dalla fabbrica); la tecnologia va avanti per tutti e le aziende che fanno prodotti simili guardano sempre a cosa fanno i loro concorrenti. Noi pensiamo che i prodotti siano diversi tra loro per i dettagli, i loghi e il “vestito” dato dalla comunicazione.
 In pubblicità devi distinguerti! Se produco qualcosa simile ad un’altra azienda, sarà compito della comunicazione dare al mio prodotto un vestito diverso a quello del prodotto realizzato dalla concorrenza. Quindi andiamo a posizionare in modo diverso il nostro brand. cos’è il posizionamento? Come il brand (non il prodotto) è dentro la testa del cliente. Il posizionamento fa quattro cose: • Crea la reason why di tutta una vita; • Aggiunge significati simbolici; • Comunica valori; • Crea motivazione all’acquisto; Si comunica per creare uno specifico valore differenziale rispetto ad altre offerte presenti sul mercato, tralasciando altri asset del prodotto o dell’azienda anche se importanti. Quindi si comunica una cosa, tutto il resto non si dice (una macchina è scomoda? Non sei dice in pubblicità, perché comunichiamo che è potente e veloce). 
 La comunicazione non avviene solo a parole, ma anche attraverso le immagini che scegliamo per la pubblicità. Per il brand è fondamentale comunicare il suo posizionamento, in cosa questo si differenzia rispetto ai concorrenti, così per il cliente sarà più facile sceglierci. 
 
 Nel momento in cui il brand sui è posizionato come brand caratterizzato da sicurezza, chi cerca prodotti sicuri verrà certamente da me. Tutto questo era avalla base della comunicazione pensata in quella che chiamiamo l’epoca della fede: il cliente sceglieva un brand perché aveva fede in quella marca. E una volta che aveva comprato da quell’azienda probabilmente non la lasciava più perché si fidava.
 Oggi siamo nell’epoca della fiducia. Non c’è una fede incrollabile in un brand, perché diamo fiducia finché il prodotto non si rompe, poi torniamo a valutarli tutti per (ri)fare la nostra scelta d’acquisto.
 Il posizionamento, quindi, è oggi ancora più importante per differenziarsi dai concorrenti ed emergere agli occhi dei consumatori.
 11 Mad Man —> Pubblicità della Lucky strike: fa riferimento a una case history vera!
 Negli anni ’60 era possibile fare pubblicità per le sigarette e si diceva che “facevano bene”. Una pubblicità della Lucky Strike diceva che 20.000 medici affermavano che le loro sigarette erano “meno irritanti” (di quelle della concorrenza). Di fatti il posizionamento dell’azienda era quello di “sigaretta che aiuta contro la tosse”.
 Oggi i medici non possono fare pubblicità, o quantomeno non potevano più dire che le sigarette fanno bene. La pubblicità si basa sulla felicità. 
 
 In Mad Man, nel video in cui l’agenzia torna dal cliente (per proporre l’idea creativa), vediamo che il direttore creativo non sapeva cosa dire. Ma per questo motivo lo spezzone riporta una scena in maniera molto forzata: nella realtà se non hai niente da presentare l’agenzia vede di rimandare la riunione! Non si va mai dal cliente senza sapere cosa dire e non avendo idee da proporre. Nel video manca il posizionamento del prodotto (e del brand, quindi). Nella realtà questo capita molto raramente. 
 Nella realtà è comunque capitato che una legge cancellasse interamente i posizionamenti delle aziende, come per le sigarette. Il pubblicitario se non c’è il posizionamento non può partire a fare il suo lavoro. Se poi il pubblicitario non conosce nemmeno il prodotto (oltre al suo posizionamento) non può e non deve partire col suo lavoro! Il posizionamento è fondamentale: la pubblicità parte una volta che si hai il posizionamento, deciso dalle strutture marketing delle aziende e poi lo comunicano alla struttura che si occupa della pubblicità (quindi non è un concetto creato e deciso dal chi si occupa della pubblicità). Il bravo pubblicitario conosce bene il prodotto, quasi meglio di chi lo realizza. Quindi il posizionamento è ciò su cui sei costruisce tutto! , in termini di pubblicità e di quello che il cliente ricorda di noi. Noi scegliamo in base alle differenze tra prodotti, quindi in base al posizionamento (quello che il produttore ha deciso di raccontarci del prodotto): se cerco una macchina di un certo tipo, sicuramente andrò a guardare proprio le aziende posizionate in un certo modo.
 Molto raramente capita di non avere o perdere il posizionamento aziendale. Se non hai il posizionamento non puoi pensare alla pubblicità: alla base di quest’ultima troviamo proprio il posizionamento del prodotto. La mancanza di posizionamento indica che l’azienda produttrice non si è preoccupata di differenziarsi dagli altri: quindi se non c’è il posizionamento crolla tutto il resto. Ma di cosa si tratta? Di quello che il produttore vuole farci ricordare e leggere come tale. Noi clienti scegliamo in base al posizionamento. 
 
 David Ogilvy è un pubblicitario, che comprese la natura del ruolo del marketing e della buona scrittura. Disse:"La pubblicità non è una forma d'arte, è un mezzo di informazione, un messaggio con un unico scopo, vendere”. Citiamo due frasi/pensieri di Ogilvy: • “se vuoi essere interessante, interessati”. In buona sostanza: non puoi fare pubblicità se non conosci il prodotto; • non scrivere mai una pubblicità che non vorresti fosse vista/letta dalla tua famiglia. “non diresti bugie a tua moglie, non dirle alla mia”; Ogilvy è il primo a parlare di Brand Personality. Il posizionamento, le differenze dagli altri prodotti, diventano cosi tanto parte integrante del brand che arrivano quasi a far parte della personalità del brand. Significa che il consumatore non acquista solo un prodotto, ma acquista (anche) i benefici fisici e psicologici che il prodotto trasmette.
 Egli fu il primo ad intuire che il brand era fondamentale per costruire: • comunicazioni efficaci; • immagine di marca solida, durevole e coerente attorno ai prodotti; Attraverso il suo stile celebra il prodotto e le sue caratteristiche, costruendo un mondo di marca unico che rende riconoscibile l’oggetto rispetto a quello prodotto dalla concorrenza. 
 
 12 La scelta del testimonial è spesso una scelta congiunta agenzia-cliente, anche se ovviamente pesa di più l’intenzione del cliente (perché è il cliente a spendere i soldi). Il contratto col testimonial, infatti, poi lo stipula il cliente anche se lo spot lo realizza l’agenzia. Se il cliente chiede una cosa e l’agenzia sa che non va fatta, l’agenzia deve far capire che seguire il consiglio è per il suo bene (non sempre ci si riesce, però). Lo stesso accade con la scelta del testimonial, fatta appunto dal cliente, soprattutto se questo ha già un suo testimonial che vuole utilizzare anche in questo caso; cii sono delle volte in cui il soggetto non c’entra nulla con quello che vogliamo pubblicizzare, ma il cliente lo vuole ugualmente.
 
 Il problema del posizionamento sta nel fatto che le aziende non ci stanno a dire di essere forti solo su una cosa, ma vorrebbero elencare tutti gli aspetti sui quali ritengono di essere i migliori! In pubblicità scegliamo di comunicare una cosa, spesso il posizionamento di marca (o del singolo prodotto), tralasciando quelli che sono gli altri asset (anche se sono importanti). l comunicare una cosa sola si traduce in quella che viene chiamata unique selling proposition (acronimo: USP). Se possibile ci si posiziona comunicando quella cosa che i concorrenti non dicono, anche se hanno quella caratteristica.
 Il 99% della creatività, della pubblicità, è fatto di tecnica. Solo una piccolissima parte è fatta di genio e inventiva. Una volta scelto il percorso creativo, la creazione della pubblicità è prevalentemente uso delle tecniche pubblicitarie.
 
 La comunicazione deve lavorare in unique selling proposition perché in questo modo la comunicazione è altamente probabile che funzioni, e riusciremo a farci conoscere, altrimenti si rischia che la pubblicità/comunicazione non funzioni e non arrivi al suo obiettivo. Il problema non è quello che dico, ma che devo tralasciare qualcosa, che potrebbe essere ugualmente importante e identificativo. Si tratta di scegliere una cosa che sia la più rappresentativa del prodotto. Devo scegliere qualcosa che colpisca le persone a cui mi rivolgo, per rimanere nella loro testa. La pubblicità lavora in unique selling proposition perché in questo modo la comunicazione può funzionare, rimanendo nella memoria del pubblico. Altrimenti rischiamo di non essere ricordati. Quindi la USP ci aiuta a raggiungere il nostro obiettivo pubblicitario. Il problema quindi non è quello che prendo, ma tutto quello che lascio fuori dalla pubblicità che realizzo. Comunichiamo per creare valore differenziale con i concorrenti tralasciando gli altri asset.
 Rosser Reeves è un pubblicitario americano passato alla storia come “inventore” della unique selling proposition, anche se il concetto di dire una sola cosa per volta era già stato capito da altri prima di lui: già Cicerone diceva/scriveva che il buon oratore deve dire una cosa sola. Reeves è stato il primo a scriverlo/dirlo ufficialmente.
 I creativi solitamente si dividono tra: • Scientifici. Alcuni art director vanno a studiare contatto e target, usando un approccio scientifico, prima di creare la pubblicità. Reeves fa parte di questo gruppo; • Creativi; Ovviamente anche i creativi scientifici utilizzano la creatività e, viceversa, i creativi vanno a leggere il brief e i dati.
 
 
 15 
 In pubblicità è importante comunicare in maniera semplice! Il pubblico non deve pensare troppo “cosa la pubblicità volesse comunicare”, ma deve poterlo capire in modo semplice e soprattutto veloce. Quello che la pubblicità deve essere capito da tutti: posso fare la controprova domandandomi “come lo direi ad un bambino?” Se scrivo una cosa compresa anche da bambini e illetterati, sarà compresa anche dalle persone acculturare, i ministri e più istruiti. Se la faccio al contrario, pensando a ministri, letterati, acculturati, quasi sicuramente NON sarà compresa dagli altri.
 Attenzione: è comunque vero che numerose pubblicità non lavorano in unique selling proposition, ma c’è sempre da chiedersi quanto ci ricordiamo di quelle pubblicità. 
 Sarà proprio la unique selling proposito a portarci all’acquisto.
 
 Hopkins: pubblicitario “prima” di Reeves, in un periodo pre-America anni ’60. Viene spesso dimenticato perché, al contrario di Reeves, conosceva le tecniche ma non ha messo per iscritto le sue regole/intuizioni. Copywriter, principale esponente della scuola dell'Hard Selling, è uno dei padri della moderna pubblicità. Attento in particolare nel cercare di comprendere il consumatore e nell'integrare la pubblicità nello sforzo di marketing totale.
 
 Chi scrive un comunicato stampa, il social media manager, chi fa sponsorizzazioni durante gli eventi sportivi, anche questi soggetti lavoreranno utilizzando la unique selling proposition! I giornalisit, target del comunicato, dovranno essere colpiti attraverso un unico messaggio (la USP del comunicato) affinché il comunicato venga letto e gli rimanga nella memoria.
 
 NB: in altre aree della comunicazione si applica il medesimo meccanismo, ma non sempre si parla di unique selling proposition. Ad esempio le promo dei programmi tv ci spingono a vedere il programma, quindi ci mandano un unico messaggio (non si parla di “selling” perché ovviamente non vendono un prodotto).
 
 Reeves viene ricordato come uno dei padri della pubblicità perché non ci dice solo che dobbiamo lavorare usando la USP, ma ci dice anche come questa si utilizza. Bisogna fare leva, bisogna comunicare uno e un solo beneficio chiaro. Il beneficio è quella caratteristica del prodotto che risolve un problema del target di riferimento, piccolo o grande che sia questo problema. 
 
 Pubblicità m&m’s. Sono stati i primi a far si che il cioccolato non si sciogliesse in mano (coprendolo con lo zucchero). Quindi il loro posizionamento puntava proprio su questo aspetto, sul fatto che le loro praline di cioccolato non si scioglievano in mano (ma in bocca). 
 La bravura di Reeves, che ha fatto la pubblicità, sta nel fatto che lo ha comunicato in maniera semplice. 
 Il posizionamento del prodotto è proprio che la pralina non si scioglie in mano. Quindi lo ha esplicitato nel claim (si scioglie in bocca e non in mano).
 La bravura di Reeves sta nell’averlo detto in modo semplice e diretto. 16 
 Esempio: Dash pubblicizzava il suo detersivo dicendo che i capi, dopo la lavatrice, erano più bianchi. Questo per un effetto di un additivo che, legandosi ai tessuti, rifletteva la luce e dava un effetto di bianco maggiore. Fino ad un certo punto era un brevetto Dash, poi hanno iniziato ad usarlo tutte le aziende che producono detersivi e nessuno più parla di questo aspetto negli spot.
 
 Nessuno spettatore deve avere dubbi su quello che è il messaggio che vogliamo far passare, quindi va applicata bene la regola della USP. Ricordiamo: la pubblicità deve parlare di un beneficio chiaro, unico ed esclusivo del nostro prodotto.
 Oggi ci troviamo in un mercato pieno di prodotti simili tra loro, quindi l’unicità si trova non più negli oggetti che le aziende vendono: l’unicità oggi si trova nella comunicazione, nella pubblicità del prodotto. In comunicazione funziona che se io sono il primo a dire una cosa del mio prodotto i concorrenti non potranno dirlo! Questo non perché non abbiano quella caratteristica o sia vietato, ma perché partirebbero già sconfitti in partenza.
 
 Il beneficio che comunichiamo con la pubblicità deve quindi essere: • Chiaro • Unico; • Esclusivo; • Forte (usa quindi frasi brevi e veloci. Deve essere forte anche e soprattutto la creatività); • Martellante; La pubblicità è solitamente ripetitiva, perché deve far entrare il prodotto nella testa delle persone che compongono in target. Reeves fu il “teorico del martellamento” pubblicitario.
 Col digitale le cose cambiano, almeno in parte: non so parla più del martellamento pubblicitario, ma si cercano altre vie per rimanere nella mente del target.
 
 Pubblicità e comunicazione, una volta che vengono fatte e iniziano a circolare diventano di dominio pubblico. Azienda (e agenzia) se ne devono prendere la responsabilità e devono saper affrontare il ritorno (buono o cattivo che sia).
 Interesse, desiderio, azione. Stimola l’interesse del cliente, fai nascere quindi il desiderio, quindi il cliente arriva a fare l’azione (quindi l’acquisto) 17 Le concessionarie sono aziende che hanno la concessione pr vendere la pubblicità per un determinato veicolo (o un determinato insieme di veicoli). Sono il primo (e ultimo) interlocutore di chi deve acquistare spazi pubblicitari su un mezzo specifico. Il mondo pubblicitario ha prima studiato noi, gli utenti, poi crea le sue regole per realizzare le pubblicità.Ad esempio l’immagine viene messa solitamente centrale, perché sappiamo che gli utenti guardano prima la creatività; in questo modo andiamo ad attirare subito la sua attenzione; nel metodo AIDA la creatività si trova alla A di attenzione. 
 
 Definizioni/elementi della pubblicità: 1. Headline. È la parte testuale più in evidenza in un contenuto pubblicitario scritto, in particolare in un annuncio stampa, e svolge la funzione di attrarre l'attenzione del destinatario. Viene considerata come uno degli elementi più importanti in un contenuto pubblicitario su carta insieme alla parte visual; 2. Subhead: sottotitolo, che ci fornisce alcune informazioni in più rispetto al titolo; 3. Bodycopy: Il testo principale, la parte più importante del testo complessivo della pubblicità. Generalmente è di 4 o 5 righe, perché altrimenti perdiamo l’attenzione del pubblico. L’allineamento centrato non si utilizza mai, a parte nel titolo; 4. Packshot: immagine fotografica del packaging. Perché metterlo?: • mostra quanto è ampia la gamma dei prodotti offerti dall’azienda. Quindi ci dice “non comprare sempre gli stessi, ma ricorda che ne esistono anche altri”; • per far riconoscere la scatola al supermercato. Utilizzo solitamente del comparto alimentare e per la cosmesi; 5. Logo;. Va in basso a destra perché è l’ultima cosa che il lettore vede; 6. Visual. L'immagine principale di un messaggio pubblicitario, in cui appare, generalmente in bella mostra, il prodotto reclamizzato. È il primo elemento che costituisce un annuncio stampa (ma anche delle affissioni e nel mondo digital). Ricordiamo che è l’elemento che deve attirare l’attenzione dello spettatore, e se non colpisce il lettore non legge altro della pubblicità e va oltre nella lettera del giornale; Carletto - Pubblicità Sofficini findus 
 L’occhio cade per primo sull’immagine, in particolare su Carletto, il visual della pubblicità. La pubblicità è stata pensata e strutturata in questo modo, perché noi guardassimo prima li, perché il mondo pubblicitario sa che ci deve essere qualcosa che attira la nostra attenzione. Carletto, l’immagine, ha il compito di attirare la nostra attenzione.
 —> Visual: immagine, elemento visivo della pubblicità 
 Successivamente l’occhio viene catturato dall’headline, la scritta più grande della foto/ pubblicità. L’headline ci deve dire qualcosa, farci intuire anche che c’è qualcosa in più da sapere stimolando il nostro interesse. Il “tutto maiuscolo” del titolo non andrebbe bene, in termini di regole della pubblicità, perché allineato a destra o sinistra è più elegante, ma in questo caso possiamo anche dire che va bene. I testo è sempre più piccolo. Tanto se lo spettatore non ha interesse non arriva alla fine e va avanti. Altrimenti va avanti nonostante la dimensione.
 Bodycopy: trovo le informazioni per vincere il peluche di Carletto. Giustificato anziché a bandiera 
 20 Dopo l’immagine l’occhio umano va a cercare la scritta più grande, che solitamente è l’headline. Questa serve da ponte per portare il lettore verso un possibile interesse per il prodotto che viene pubblicizzato dall’annuncio. L’headline ci deve dire qualcosa in più rispetto all’immagine, ma non deve dirci tutto: serve per spingerci a scoprire il resto continuando a leggere l’annuncio. Il sottotitolo aggiunge ancora qualcosa in più rispetto al titolo. Per questo il testo va a rimpicciolirsi: se il lettore è arrivato fino a questo punto vuol dire che voglio avere maggiori informazioni per avere quello che l’annuncio promette/ offre. È un po’ come se dalla vetrina del negozio fossi arrivato a parlare col commesso: il potenziale cliente è stato preso dall’annuncio, quindi gli va spiegato cosa può avere. In un annuncio è errato utilizzare il tutto maiuscolo, generalmente visto come un urlo.
 
 Due definizioni da ricordare: • Claim: è quello che un tempo si chiamava “slogan”. Si intende una qualsiasi dichiarazione pubblicitaria. Il claim, detto anche slogan, è una breve frase utilizzata a scopo promozionale contenente la promessa che il prodotto fa al consumatore.; • Pay off: claim specializzato nel passare al pubblico quelli che sono i valori dell’azienda. Non è obbligatorio averlo. Il payoff è quindi la frase principale che accompagna un brand. Di solito si trova sempre insieme al logo. L’obiettivo è di definire con forza l’identità della marca in ogni circostanza, differenziandosi dal claim. 
 Lo troveremo sempre molto vicino al logo. Confuso spesso con headline e slogan, il payoff è uno degli elementi decisivi di una pagina pubblicitaria. Creare un payoff efficace vuol dire definire il futuro della marca;
 
 
 
 Pubblicità LUX 
 Codino: nei video si utilizza di più, messo alla fine per dire una informazione in più senza dover rifare il video.
 Si chiama così proprio perché “in coda”, e non è detto che sia efficace. De Beers
 Caso particolare perché il Pay off è più forte del brand, al punto che tutti ci ricordiamo “un diamante è per sempre” e non la marca.
 21 La bodycopy è un testo lungo, solitamente in prosa. Invogliare alla lettura della bodycopy lunga è importante: anche sue sarà letta dal una minoranza di persone, queste saranno già interessate all’acquisto. Secondo David Ogilvy vi è una correlazione tra una bodycopy lunga che coinvolge il lettore e l’incremento delle vendite. É comunque utile per generare interesse e stimolare il ricordo. Inoltre la lettura della bodycopy è anche un comportamento post-acquisto, in quanto letta assiduamente da lettori recenti che cercano conferma e rassicurazione in relazione alla loro scelta d’acquisto. Una pubblicità può contenere diversi testi per diversi target: • Un testo chiaro diretto alla maggioranza del targa; • Un testo con un significato più nascoso, diretto a un target ristretto; 
 Da un lato la pubblicità deve essere chiara a tutti (o comunque alla maggioranza del target a cui si rivolge); dall’altro lato riprende le voci delle strada per due motivi: • Apparire in sintonia con le nuove tendenze; • Creare un effetto passaparola”; 
 Possiamo coinvolgere il target con un messaggio contenente un “puzzle”. Questo ha diversi vantaggi: • è più coinvolgente; • incrementa il ricordo; • provoca un senso di soddisfazione e di piacere anche fisiologico; La forma più comune di puzzle verbale è il doppio senso che si trova molto spesso spessissimo negli slogan, nelle tag line e nei pay off. In alcuni casi troviamo nella pubblicità elementi o strutture che alludono a formule non riconosciute da gran parte del target (es. eruditi o accenni al latino). La pubblicità spesso riprende frasi e formule conosciute dal pubblico, perché queste creano un richiamo all’espressione originale. Espressioni prese dalla cultura popolare e dal linguaggio gergale comune saranno più riconoscibili e risulteranno più fresche e propense a ritornare nella lingua. 
 Il doppio senso serve per aggiungere un elemento ludico, una sfida la cui soluzione da parte del target incrementa l’assimilazione e il ricordo del messaggio. In alcuni casi troviamo nella pubblicità elementi che alludo a formule non conosciute da tra parte del target: parliamo dei richiami eruditi; a questo riguardo dobbiamo considerare la componente inconscia nelle risposte da parte del pubblico. 
 La pubblicità riprende frasi e formule conosciute, che credo un richiamo all’espressione originale. A volte questo richiamo è a uno stile o genere (letterario, giuridico, filosofico) e crea un effetto gravitas. Questi richiami letterari sono più riconoscibili se la pubblicità attinge a quella che è la cultura di massa: espressioni della cultura popolare e del linguaggio gergale sono più riconoscibili e più propense a diventare delle catchphrase.
 Le figure retoriche 
 Negli ultimi cinquant’anni è aumentato di molto l’utilizzo delle figure retoriche. Secondo Ferraresi vi sono quattro funzioni principali delle figure retoriche: • Amplificazione orizzontale del discorso: aumento dell’efficacia dando rilievo a particolari che acquisiscono valore, o insistendo su concetti fondametali; • Chiarificazione semantica di un messaggio: aiutano a identificare il concetto fondamentale, garantendo anche la facilità di comprensione del testo; • Dilatazione del senso della comunicazione: rilievo al pensiero principale; • Sintetizzazione del messaggio: attraverso l’omissione si tralascia la parte dell’idea fondamentale per creare curiosità e interesse;
 22 La creatività Il dibattito sulla creatività parte dal fatto che non c’è una definizione condivisa e precisa. De Mauro la accosta a una capacità, lasciando aperta la possibilità di acquisirla, svilupparla e migliorarla attraverso pratica e strumenti adeguati. Dal secondo dopoguerra in poi ci sono state numerose ricerche e scuole di pensiero sulla creatività. Le principali sono nove: 1. Henri Poincaré: creatività come capacità di legare elementi esistenti in nuove combinazioni utili. Si identificano le combinazioni del valore creativo attraverso l’utilità (quindi la creatività è data dalla somma nuovo + utile); 2. Howard Gardner: essere creativi significa fare qualcosa di insolito. Perché le persone prendano sul serio l’idea questa deve essere logica; 3. Joy Paul Guilford: la personalità creativa è oggetto dei modelli dei tratti che caratterizzano la persona creativa. Lo schema creativo si manifesta nell’ambito del comportamento creativo (nel quale troviamo attività quali inventare, comporre e pianificare); 4. Paul Torrance: creatività come caratteristica distintiva dell’eccellenza umana; 5. Mel Rhodes: individua circa cinquanta modi possibili per definire il concetto di creatività. Quindi raggruppa le definizioni secondo le facce di un prisma: le quattro facce hanno ciascuna una identità peculiare, ma perché operino in maniera funzionale devono lavorare insieme: • Prima faccia: identifica le caratteristiche della persona creativa; • Seconda faccia: componenti del processo creativo; • Terza faccia: aspetti del prodotto creativo; • Quarta faccia: caratteristiche dell’ambiente che favorisce la creatività; 6. Scott G. Isaksen: a suo avviso le definizioni sembra limitative, quindi i ricercatori devono tollerare un certo grado di ambiguità per ottenere un risultato significativo e ricerche efficaci; 7. Alessandro Amadori e Nicola Piepoli: creatività come capacità del cervello e della personalità di dare vita a produzioni caratterizzate da originalità, corrispondenza a una motivazione e possibilità di ottenere un riconoscimento dalla società; 8. John Young: formula che il processo di creazione è come una sorta di catena di montaggio; 9. Alex Osborn: a lui dobbiamo la tecnica di brainstorming e il creative problem solving process. La creatività allarga i propri ambiti dalla semplice generazione di idee all’indagine, alla scelta del problema da affrontare e alla definizione di azioni da mettere in pratica 
 Albert Einstein sosteneva che “l’immaginazione è più importante della conoscenza”, in quanto quest’ultima si limita a quanto sappiamo e capiamo mentre l’immaginazione può abbracciare tutto quanto quello che possiamo sapere.
 L’immaginazione è l’atto attraverso cui portiamo a livello conscio cose che non sono presenti, quindi è confinata a uno stato o processo mentale; la creatività invece presuppone anche il fare.
 
 
 
 
 
 
 
 25 In molti hanno studiato il cervello e il suo funzionamento. Roger Sperry teorizzò che gli emisferi del cervello svolgono compiti differenti: • L’emisfero sinistro governa le funzioni logiche e razionali. Sarebbe preposta alle scelte, mettere i dati in evidenza e in ordine sequenziale; • L’emisfero destro è quello relativo all’emotività. Può memorizzare un altissimo numero di info e immaginare risposte adeguate; La parte centrale, il corpo calloso, si occupa di mettere in relazione i due emisferi e di farli interagire. Nasce l’ipotesi secondo cui lo sviluppo di un’idea segua una vero e proprio percorso dopo le prime impressioni su un’idea, cerchiamo di convalidarla in modo razionale e accomodiamo l’idea alla situazione cosi da poterla mettere in pratica per poterla mettere in pratica. Il presupposto è, quindi, che vi siano due tipi di pensiero: • razionale; • creativo; Quindi si è arrivati ad affermare che si possano usare strumenti e tecniche di pensiero e di lavoro che guidano l’uso dei due tipi di pensiero. Nel tempo si è studiato e capito che oltre a riconoscere il livello creativo di una persona, è possibile migliorarlo. Si è anche evidenziato che gli individui differiscono tra loro per l’abilità creativa e anche nello stile. La misurazione della creatività è stata inizialmente fatta per valutare tre “capacità”: • Flexibility. Generare una varietà di idee e risposte, in diversi ambiti, e vedere Lee cose da diversi punti di vista; • Fluency. Generare un gran numero di idee o risposte e continuare a crearne anche quando si è soddisfatti del risultato; • Originality. Uscire dagli schemi ovvi per creare novità nelle idee e nelle risposte; 
 Secolo Goleman la creatività si può manifestare a qualsiasi et, anche se però affonda le radici nell’infanzia. Alla base c’è uno stato di scoperta e meraviglia tipico del bambino. Creatività vs intelligenza. La ricerca non evidenza una corrispondenza diretta. Lo psicologo Sternberg propone la suddivisione dell’intelletto in tre parti: • Analitico. • Pratico. • Creativo. Ognuna delle tre parti è preposta a capacità e compiti specifici. 
 Gardner definisce almeno otto intelligenze diverse. La sua tesi è che le intelligenze multiple abbiano competenze autonome e connesse alle altre e siano riconducibili e intelligenza: • linguistica; • Logico-matematica; • Spaziale; • Musicale; • Corporeo-cinestetica; • Personale (intrapersonale e interpersonale); • Naturalistica; • Esistenziale; Intelligenza e creatività sembrano essere concetti distinti anche se correlati. Può essere vero che a volte l’intelligenza costituisca una barriera. 
 26 Guilford teorizzò una netta separazione tra le modalità che utilizziamo per pensare. Definì quindi due tipologie di pensiero: • Pensiero divergente; • Pensiero convergente; Dagli esperimenti emerge che l’individuo inizialmente si allontanasse dalla soluzione attesa, percorrendo strade strane e meno razionali finché il pensiero logico non lo fa focalizzare verso l’unica soluzione applicabile. Guilford quindi etichetta il pensiero divergente come pensiero creativo; egli afferma che inizialmente è più efficace aprire la mente verso idee inusuali e solo in seguito scegliere la migliore o la più promettente. 
 Gli psicologi della Gestalt accostano il pensiero divergente al concetto di pensiero produttivo, in contrapposizione al fattore riproduttivo che condiziona la persona a replicare meccanismi già conosciuti e dominanti. Il processo creativo
 La creazione di una nuova idea segue un vero e proprio processo produttivo. Graham Wallas definisce un processo composto da cinque fasi: 1. Preparation. Consapevolezza dell’esistenza di un problema; 2. Incubation. Si cerca di “dimenticare” il problema lasciando libero il pensiero. Si affida all’inconscio lo sviluppo autonomo e il “rimpasto”; 3. Intimation. Si avverte un chiaro segnale che la sensazione di caos si sta risolvendo; 4. Insight. Come per magia, dal caos si genera un’intuizione; 5. Test. L’individuo traduce l’intuizione in una tesi o soluzione e la spiega; 
 Il pubblicitario John Young considera il processo creativo come una “catena di montaggio” e ipotizza cinque fasi: 1. Raccolta delle materie prime (dati e informazioni riguardanti il problema); 2. Elaborazione mentale per creare combinazioni nuove e varianti possibili; 3. Incubazione con distrazione del pensiero volontario; 4. Ideazione: avviene l’intuizione. Secondo Young avviene perché si smette di cercare la soluzione; 5. Adattamento e messa in pratica dell’idea; Il tema dell’incubatoio è di grande rilevanza negli studi sui meccanismi di pensiero ed. è accreditato come realistico da molti ricercatori; Metodi di creatività deliberata 
 Si intende un processo volontario di ricerca di una soluzione innovativa a un problema dato. TRIZ: il concetto di contraddizione e i quaranta principi. “teoria. Per la soluzione dei problemi inventivi”. La teoria venne sviluppata dal sovietico Genrich Saulovich Altshuller. Egli tentò di capire come le invenzioni venissero generate a livello di pensiero. La sua teoria deriva soprattutto da un approccio sperimentale e fondato sull’esperienza diretta; è utile soprattutto nell’invenzione o sviluppo di nuovi prodotti. Triz si svolge attraverso cinque fasi e ogni step viene affrontato con diversi strumenti: • Definizione del problema; • Formulazione del problema; • Categorizzazione del problema; • Sviluppo delle soluzioni; • Scelta delle priorità e implementazione delle soluzioni; 27 Alla base troviamo l’idea che, per migliorare la creatività di un gruppo, sia necessario dare più spazio all’immaginazione e ai contributi di ognuno. Ciascuna attività è caratterizzata da due diverse fasi di lavoro: 1. Fase divergente: è la fase di esplorazione e ricerca. Si sviluppa da un solo punto di partenza, esplodendo verso tutte le dimensioni possibili: si combinano idee, non ci si preoccupa della realtà e di ciò che effettivamente è possibile creare: esplora la quantità. Serve ad ampliare il modo di guardare e pensare, aiutando un gruppo a prendere in considerazione un numero più elevato di possibili alternative. In questa fase: • si sospende il giudizio; • si cerca la quantità; • si cercano idee pazze e inusuali/wild; • si combinano le idee; • si annota tutto; 2. Fase convergente: è la fase di scelte e decisioni. A partire dall’analisi dei dati raccolti nella fase divergente, attraverso la progressiva semplificazione del ragionamento ed identificazione degli elementi più rilevanti, porta il gruppo a individuare la soluzione al problema: lavora sulla qualità. Dall’equilibrio di queste due forze nascono risultati nuovi, utili e originali; utilizzare al meglio questi due processi è la chiave verso un miglioramento continuo. In questa fase: • si migliorano le idee; • si usano giudizi affermativi; • si cerca di essere decisi e risoluti; • si considera l’originalità; • si resta in tema e coerenti; 30 27 ottobre 
 Continuiamo l’excursus sui mezzi principali e come funzionano. Abbiamo visto la scorsa lezione alcune definizioni da ricordare: above/below the line, mezzi/veicoli e online/offline. Sappiamo che per quanto riguarda la pubblicità fatta sui mezzi broadcast, i mezzi above the line, non c’è ritorno da parte del pubblico: l’editore, quindi, non sa bene cosa accade quando l’utente si trova di fronte alla loro pubblicità. Il web fa eccezione e, infatti, il web one-to-one è below the line. Quando utilizziamo i mezzi above the line, come effetto collaterale, parliamo anche a chi è fuori target. 
 Si sta passando sempre di più dalle affissioni agli schermi/monitor: ad esempio le affissioni che troviamo in metropolitana, sono delle “affissioni fatte su schermo” e risultano a tutti gli effetti “su monitor”. Dai mezzi below the line non ci si aspetta gli stessi numeri di quelli sopra la linea, ma ci si attende un rapporto più caldo col target/pubblico a cui ci si rivolge attraverso la pubblicità. 
 
 Ricordiamo la distinzione tra: • Mezzi. aggregato dei mezzi che possiamo utilizzare per fare pubblicità; • Veicoli. I singoli “canali” utilizzabili per trasmettere/pubblicare la nostra pubblicità; Esempio: la tv è il mezzo, Rai1 è il veicolo!
 Quelle che abbiamo visto sono tutte delle convenzioni, che è necessario conoscere per riuscire a lavorare (e farlo anche bene) in questo ambito.
 
 La creatività stampa ha una sintassi molto precisa. Tutti i mezzi hanno una sintassi precisa, una tecnica strutturata da seguire per realizzare una pubblicità che funzioni correttamente. La tecnica ci serve per sapere dove si devono posizionare tutti i vari elementi dell’annuncio (headline, copy, logo e cosi via hanno una posizione precisa in pagina e dobbiamo conoscerla per strutturare correttamente la pubblicità).
 
 Quali sono gli elementi costitutivi della creatività: • Visual: l’immagine della pubblicità, e può essere un’immagine, una foto, una grafica. È l’elemento principale perché se fallisce il visual fallisce tutto. Ha il compito di attirare l’attenzione dell’utente. Chiaramente, se parliamo di una pubblicità di auto, il visual deve catturar l’attenzione e farci vedere l’auto (mostrandoci anche quelle che sono le sue caratteristiche); • Copy; • headline. Il titolo della pubblicità; • subhead. In genere è attaccato al titolo, ma non sempre; • bodycopy. Testo che descrive quanto viene offerto • logo. In basso a destra perché è l’ultimo punto dove cade l’occhio; • packshot (abbiamo visto che non sempre è presente).
 Nessun grafico parte da zero, sa già dove vanno le varie parti e come costruire e strutturare i vari blocchi.Art e copy hanno stessa importanza e stesso ruolo, ma se fallisce il primo fallisce tutta la pubblicità (l’immagine alle volte dice più di tante parole). se invece fallisce il copy “è leggermente meno grave”, perché la persona è comunque già entrata nella pubblicità. Alla fine del modello AIDA, all’ultima “A”, l’utente ci arriva solo se funziona tutto a dovere.
 Vediamo, quindi, che ci sono delle regole che vengono sempre seguite da chi lavora in questo ambito e una è la regola dell’8 (relativa alla parte testuale): a ogni blocco testuale diminuisci il font di 8 punti (o multipli di 8). Una sorta di “piramide rovesciata”. 
 
 
 31 Oggi sono cambiate molte cose, ad esempio le matrici dei font prima erano “fisiche” e cambiava di 2 in due (13, 25, 27 erano dimensioni che probabilmente non esistevano); quando però si applicano ancora queste regole la differenza si vede perché la pubblicità funziona sicuramente meglio.
 Se nella pubblicità c’è un volto, questo dovrà guardare verso il centro. Quindi:: • Se la figura è a destra, deve guardare a sinistra; • Se la figura è a sinistra dovrà guardare a destra; Se la pubblicità sarà su carta (stampata) il grafico bravo dovrebbe anche chiedere su che pagina va, se a destra o a sinistra, in modo tale che il volto non guardi verso fuori anziché verso il centro.
 
 Nel settore delle auto il logo viene messo in alto a destra, soprattutto per le auto di lusso. È un vezzo partito da Mercedes e le altre case automobilistiche hanno copiato. Mercedes qualche anno fa ha fatto un annuncio nel quale diceva appunto che avrebbe messo il logo in alto e il claim era “le stelle brillano sempre dall’alto” (Mercedes “è la stella che illumina il cielo, quindi la stella del logo la mettiamo in alto).
 Mercedes ha fatto questo cambio con un senso (il logo è comunque una stella o ne richiama una), ma gli altri perché hanno copiato? La pubblicità cavalca quello che funziona, cavalca quanto porta valore o ciò a cui il pubblico si abitua a vedere.
 
 Abbiamo visto che per alcuni prodotti come ad esempio alcuni alimentari e/o gli shampoo non presentano il prodotto nel visual: per gli shampoo, ad esempio, vedremo dei visual che presentano capelli fluenti; al supermercato, però, quella pubblicità “scompare” nella marea dei flaconi che ci troviamo di fronte. Inserire il packshot in pubblicità serve a: • far riconoscere il prodotto quando il consumatore si trova nel punto vendita; • far vedere che non ne esiste solo un tipo, ma si ha scelta tra diversi tipi (ad esempio per soffici); 
 Abbiamo visto che: • Il claim è uno slogan, una dichiarazione pubblicitaria. Si lega, solitamente, ad un singolo annuncio che l’azienda fa; • Il Payoff è un claim che si è specializzato nell’accompagnare l’azienda., Il pauoff dura tutta la vita dell’azienda (anche se alcune lo hanno cambiato). Parliamo di uno sloga che va a identificare l’azienda (“just do it” per Nike). Se è presente il playoff lo troveremo sempre attaccato al logo aziendale, senza eccezioni; 
 Quando viene cambiato il playoff è per una qualche esigenza specifica, add esempio perché sono state fatte delle ricerche di mercato che hanno evidenziato il fatto che i consumatori non capivano cosa producesse l’azienda o venivano confusi dal payoff che era stato adottato. Smart non ha payoff. Ha un claim (slogan pubblicitario) per ogni singolo spot.
 
 Poltrone e sofà ha cambiato claim. Inizialmente era “artigiani della qualità”, ma avevano una produzione industriale e non artigianale. Poi è passato a “autentica qualità”. Oggi il claim è “solo divani, di qualità”.
 
 Pubblicità dinamica: quella sugli autobus
 
 32 Si tratta di uno dei mezzi più “antichi” per fare pubblicità, e hanno un elevato potenziale creativo.
 IGP Decaux la concessionaria principale per quanto riguarda le concessionarie. Tipologie: • Manifesto standard è il 6x3 (sei metri per tre). Si compra a quindicine (2 settimane alla volta) e risulta essere molto efficace: siamo tutti esposti alla pubblicità e tutti le filtriamo. Ma i manifesti ancor colpiscono molto le persone; • Locandina altro formato classico delle affissioni, molto utilizzata nel centro storico; • Maxi affissioni. Sono molto usate e la dimensione è di circa 20x8. Solitamente vengono messe sulle impalcature dei palazzi in ristrutturazione. Molto visibili, perché localizzate in punti di elevato passaggio. Non si comprano a pacchetti, ma un singolo spazio (ad esempio: compro lo spazio a piazza del popolo e pago quello);
 Sembra selvaggia, ma in realtà l’affissione è molto regolamentata! Nel centro di Roma, ad esempio, i 6*3 non possono essere messi, ma possono essere messe solo le locandine.
 
 Digital (NB: ne parleremo nel secondo semestre)
 concessionarie: • Google; • Meta • Amazon; • Aree digital delle concessionarie;
 35 2 Novembre
 Abbiamo parlato dei mezzi utilizzati per la pubblicità. Per quanto riguarda la tv abbiamo visto le tipologie di pubblicità, le diverse categorie (tabellare, all’interno dei break, o sponsorizzazioni). I break non hanno durata predefinita, nel senso che al loro interno ci possono essere vari clienti che fanno pubblicità; il limite sta nella durata dei singoli spot che vengono trasmessi durante i break pubblicitari: ogni singolo spot ha massimo 30” di durata. 
 Billboard: “questo programma è presentato da…”, all’inizio del programma, oppure “questo programma è stato presentato da…” quando va alla fine del programma.
 L’invito all’ascolto è un Billboard evoluto nel senso che al logo si aggiunge anche un piccolo spot/video.
 Anche negli spot audio, che vanno in radio, ritroviamo il visual. La differenza rispetto alle altre tipologie di pubblicità sta nel fatto che il visual viene raccontato a parole anziché mostrato a video.
 Affissione: noi la chiamiamo cosi, ma in tutto il mondo si chiama “out of home” (“fuori di casa”). Noi ci riferiamo ai manifesti attaccati per strada. Mezzo molto antico, ma ancora molto potente soprattutto per intercettare il pubblico che gira per le strade delle città (soprattutto i giovani perché vanno molto in giro). L’affissione funziona molto bene sei riesce a sorprendere. E riesce a sorprendere se si appropria della fisicità (ad esempio i manifesti “in 3D"). Il formato base delle affissioni è il 6x3; ci sono anche altre versioni (ad esempio la locandina e le maxi affissioni). 
 Lo spot al cinema funziona molto perché hanno la totale attenzione del pubblico in sala! Quando andiamo al cinema non possiamo alzarci come e quando vogliamo e distrarci. Gli spot che passano a luci spente costano di più perché c’è maggiore attenzione da parte degli spettatori del film.
 Umbrella branding. Il marchio a ombrello è una pratica di marketing che prevede l'uso di un unico marchio per la vendita di due o più prodotti correlati. Il marchio a ombrello è utilizzato principalmente da aziende con un patrimonio di marca positivo.
 
 Oggi parliamo del Trading Up. Parliamo quindi del posizionamento con (nuove) tecniche pubblicitarie. Quando un’azienda sceglie di riposizionarsi? CI possono essere vari motivi alla base della scelta: • Si rimette in discussione e quindi rivede tutta la sua strategia; • Si pone l’obiettivo di evolversi, si vanno a seguire le esigenze del mercato. SI vanno a cavalcare, quindi, quelle che sono le esigenze che il mercato mostra di avere. L’Italia, in poco più di 70 anni, ha visto stravolgere le tendenze del mercato. Ad esempio nel dopoguerra, nello specifico tra il ’45 al ’50, c’è stato il boom economico e le aziende erano orientate al mercato (qualsiasi cosa era facile da vendere, soprattutto per i beni di consumo, perché di base “serviva tutto”). Poi il mercato adotta un orientamento al cliente: questo vuol dire che quest’ultimo va conosciuto bene, dalle aziende, in termini di gusti. Ad esempio l’azienda Canella si riposiziona creando le bottiglie di Bellini, cocktail che esisteva già da prima. In questo modo si internazionalizza: da una logica di bottega passa ad una logica d’azienda e mette in atto una politica di rebrandig e riposizionamento; • Far fronte a nuovi concorrenti. Harley Davidson, che per anni fu “regina incontrastata” delle moto custom, con l’arrivo di nuovi concorrenti ha dovuto decidere di evolversi per non sparire. Hanno mantenuto un’immagine legata al passato, però modernizzando il loro prodotto: nel 2022 hanno quindi rivoluzionato il marchio, riposizionandosi;
 36 Riposizionarsi significa rivoluzionare l’azienda da molti punti di vista. Il riposizionamento aziendale rappresenta una rivoluzione: • mentale; • creativa; • manageriale;
 Fare un riposizionamento totale pee un brand è sempre un grande rischio perché: • Ti metti in concorrenza con chi già fa da tempo quello che per la tua azienda è una novità; • Rischi di far storcere il naso (ed eventualmente perdere) ai clienti che ti seguono da tanti anni; • Entrare in nuove aree di mercato; 
 Il concetto di riposizionamento ha fatto un salto in avanti dal 2000 in poi. Due consulenti della BCG (Boston Consulting Group) teorizzano il concetto di trading up, politica di innalzamento dell’immagine consistente nell’aggiungere valore al prodotto dotandolo di nuove caratteristiche che garantiscono superiori benefici ai consumatori.
 Coniano il termine “new luxury goods” concetto riferito ad un “nuovo lusso”, un lusso accessibile. Mettono per iscritto per la prima volta questo concetto, che differisce da quello che era il lusso fino a quel momento visto come tale.
 Cambia quindi il concetto di lusso, cosa che prima in pochi potevano permettersi: si evolve il concetto e tutti possiamo vivere questa esperienza. Siamo portati a comprare prodotti che costano tra il 20% e il 200% in più per un prodotto che potremmo acquistare dalla concorrenza avendo le stesse caratteristiche (o quasi). 
 Quindi si parla quello che viene definito il consumatore schizofrenico: colui che è disposto aa spendere 5.000 euro per un completo di Armani, ma poi a casa lo apprende nell’armadio di ikea: ma poco importa, perché l’importante è avere quel completo.
 il lusso accessibile non ci fa vivere nel lusso, ma (in teoria) ci permette di scegliere. Quindi è disposto a spendere di più, ma solo per quelle cose che lo identificano. Ha un comportamento “schizofrenico” nel senso che magari si veste da Zara ma poi spende di più per il cibo, oppure vai al discount per comprare il cibo e spende migliaia di euro per l’abbigliamento. Il suo comportamento d’acquisto non ha andamento orizzontale, ma ha andamento verticale. 
 Che caratteristiche hanno i new luxury goods: 1. Devono avere valenze tangibili; 2. Devono garantire determinati benefit: • essere realmente differente dagli altri prodotti (tecnologia/design) e mantenere le promesse (concetto alla base anche di questi nuovi beni di lusso); • le caratteristiche distintive non devono avere solo carattere estetico o simbolico, ma generare una performance funzionale superiore alla concorrenza; • mix di benefici funzionali e tecnici/emotivi in linea con l’identità dell’azienda; 3. Devono mantenere le promesse; Anche Diesel ha fatto un lento e graduale trading up, in circa 20 anni, e lo ha fatto per non sparire. Rispetto ad altre aziende ha amplificato il concetto di fashion jeans, quando il tessuto di partenza è sempre denim come quello utilizzato da tante altre aziende.
 Col tempo stanno cambiando anche i negozi, perché non deve solo vendere gli oggetti: il cliente deve essere coinvolto anche dall’allestimento del negozio stesso. Lo store deve raccontarsi e raccontare qualcosa a chi entra. Oggi il consumatore, oltre ad essere schizofrenico, è diventato prosumer: il consumatore per rimanere legato al brand pretende che l’azienda lo renda partecipe, lo faccia parlare lo ascolti. 37 3 Novembre
 Target: gruppo di persone a cui indirizziamo la comunicazione. Ed è la prima cosa scritta nel brief. Per costruire il target, quindi pianificare la strategia, dobbiamo sapere: • Età: vi sono fasce d’età predefinite, anche se alle volte per dei prodotti il target è più ampio (Gli acquirenti vanno dai 20 anni (o meno) ai 65+); • Sesso; • Livello di istruzione; • Capacità lavorativa, (lavoratori o meno. Se sono disoccupati o inoccupati, etc); • Capacità di spesa; • Distribuzione geografica; 
 Si usano quindi delle convenzioni per la costruzione. Quando il target è molto largo, di solito, si mette 25+ come fascia d’età. Perché il target che compra, per convenzione, è stato identificato nella fascia 25-54, anche se visto come molto stretto.
 
 Classe socio economica (CSE) – la prima lettera indica il livello economico e la seconda lettera indica il livello sociale: • BB - Basso livello economico e bassa dimensione sociale; • MB - Dimensione economica e sociale medio bassa; • BA - Basso livello economico e alta dimensione sociale; • AB - alto livello economico e bassa dimensione sociale; • MA - dimensione economica e sociale medio alta; • AA - alto livello economico e alta dimensione sociale; • AA+AB - alto livello economico. Indica gli alto spendenti; Quindi quando trovo indicato “25-54 AA+AB” = persone tra i 25 e 54 anni alto-spendenti 
 RA: responsabili d’acquisto. Si intende chi è responsabile della decisione, a prescindere che poi effettua materialmente l’acquisto. Vedi ad esempio i bambini: loro vogliono qualcosa, ma poi l’acquisto in realtà lo fa il genitore.
 RA con figli: genitori con bambini fino alle scuole elementari 
 
 Età, sesso e classe sociio-economica sono tre dati che vengono sempre inseriti nel brief da parte del cliente. 
 Per costruire il target si usano oggi dei software, che semplificano la vita!
 Auditel: sono statistiche, rilevazione fatta solo su. Alcune famiglie. Circa 16.000 famiglie, apparecchio di rilevazione installato nel loro televisore: quello che fanno loro viene poi proiettato su tutta la popolazione. Su auditel, i suoi dati, è costruito tutto il mondo dei software per creare il target. Il target è importante per centro media e per l’agenzia che costruisce la pubblicità: la seconda deve costruire lo spot, il primo deve pianificare la messa in onda dello spot (su quali mezzi mandarlo e diffondere quindi lo spot). è indispensabile sapere a chi s comunica.
 
 Il target può essere: • Primario. Ad esempio: bambini; • Secondario. Es: i genitori dei bambini; Per il centro media è facile avere il doppio target. Il creativo ha il lavoro che viene complicato: dovrà mantenersi principalmente sul target primario perché è quello a cui punta per fare business! La campagna si misura sul target primario. Quello secondario possiamo anche non prenderlo in termini di creatività. Parliamo di un “eventuale” secondo target da aggiungere.
 40 Paradossalmente la creatività ha vita più facile nel creare lo spot quando ci sono più vincoli rispetto al target. Se ho solo “15+” diventa difficile perché potrei pensare a qualsiasi tipo di creatvità.
 
 B2B: aziende che parlano ad altre aziende. Quindi le stesse aziende vendono ad altre aziende.
 
 Anche la posizione degli oggetti sugli scaffali dei supermercati incide sul target e sugli acquisti che fanno. Perché al supermercato troviamo sempre frutta e verdura all’inizio? Perché è “colorata” e ci predispone bene verso gli altri acquisti.
 Perché non mettere l’acqua all’inizio? Perché trasparente, “ingrigisce” l’ambiente e intristisce. Poi, inoltre, se la mettiamo subito nel carrello occupiamo gran parte dello spazio e successivamente compreremo meno.
 Altezza scaffale: altezza occhio per prodotti “premium”, scaffali bassi per quelli “meno importanti”
 
 Fuori target: Tutte quelle persone che non fanno parte del target stabilito, ma vengono comunque colpite dalla pubblicità. In certi casi non si può evitare. Ma bisogna fare attenzione perché potrebbero nascere dei problemi. Prendiamo ad esempio la pubblicità sulla fertilità fatta dal ministero sulla fertilità: il fuori target sono tutte le donne che per svariati motivi non sono fertili o non lo sono più. Queste donne che non possono (piiù) avere figli si sono ovviamente arrabbiate 
 
 
 Un altro caso eclatante di qualche anno fa è la pubblicità Pandora “regala gioiello e non il ferro da stiro”. Il target erano gli uomini, ma si sono arrabbiate le donne viste come quelle che “stirano e non fanno altro”. 
 
 Prima di mandare la pubblicità in onda dobbiamo quindi domandarci se l fuori target può offendersi (e quindi protestare mandando a monte la mia pubblicità). Perché se il fuori target si offende e protesta, potrebbe arrivare a mandare a monte la pubblicità che abbiamo realizzato. 
 
 Spot VOLVO con Van Damme che fa spaccata sugli specchietti: sparano alto mostrando i camion (nessuno di noi ne ha bisogno), ma tra le righe vogliono dirci qualcosa del tipo “se si può fare questo con i camion, pensa te con la tua macchina”. 
 Cosa influenza i target, quindi la nostra azione pubblicitaria: • Comportamenti; • Stile di vita; • Valori; 
 41 Oggi le aziende investono molto sui social perché da quei canali possono avere molte informazioni riguardo i miei valori e il mio stile di vita, ad esempio attraverso i like che metto e le pagine che seguo.
 Una volta che il cliente ha dato il brief all’agenzia e questa ha fatto il debrief, viene strutturata la copy strategy: si tratta del risultato che l’agenzia ha realizzato in risposta dell’agenzia al brief che gli viene dato dal cliente.
 
 Alcune definizioni: • Briefing: è la riunione; • Brief: il documento che il cliente fornisce all’agenzia per chiedere una campagna pubblicitaria. Viene dal latino brevis. Come si fa? La risposta è nella parola: brevemente! Una pagina, una pagina e mezza in word, o massimo tre slide in ppt! È un documento dove l’azienda mi dice che cosa vuole in termini di pubblicità e comunicazione; • Debrief: una sorta di conferma da parte dell’agenzia al cliente, su quello che si sono detti in riunione. Possiamo chiederlo via mail, o via telefono o in altri modi possibili (sarebbe però importante avere poi le risposte anche scritte via mail); 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 42 Cosa troviamo nel brief (fatto dal cliente)? I tratti essenziali sono 8, anche se alcuni possono non essere sempre presenti: 1. (Concept di) prodotto. Spesso si tratta di prodotti che già esistono e il cliente deve dire all’agenzia cos’è il prodotto, quali sono le sue caratteristiche. Ancora più spesso si tratta invece di prodotti nuovi ancora non presenti sul mercato: spesso le campagne vengono lanciate prima dell’arrivo sul mercato, per iniziare a lavorare sul lancio del prodotto. In questo secondo caso si parla di concept di prodotto e l’agenzia lavora da almeno un anno prima rispetto al lancio effettivo del prodotto sul mercato.
 In particolare per prodotti nuovi, l’azienda tende a non dire tutto; 2. Plus e minus di prodotto. Tre/quattro caratteristiche su cui il prodotto fa leva rispetto alla concorrenza (i “plus” che lo differenziano). Un brief corretto dovrà inserire anche i minus. Caso particolare è quando il cliente fa una gara tra diverse agenzie, quindi il brief girerà molto tra numerose persone e si tenderà a non indicare i minus);
 Il cliente tenderà ad evidenziare i plus del prodotto, ma devono essere evidenziati anche i minus: un buon debrief dovrà quindi farli venire fuori. Il rischio, altrimenti, è che la campagna dica qualcosa che non andrebbe evidenziata. La tecnica dell’approccio negativo lavora proprio sui minus per strutturare le campagne pubblicitarie. 3. Offerta commerciale. Quanto costerà il prodotto una volta che arriverà sul mercato. Non sempre è un dato importante, dipende dal settore: per le auto è fondamentale perché da questo dipenderà anche il target; se Le TicTac, invece, sono sempre uguali e il prezzo non è cambiato allora puoi anche non metterlo nel brief! Lo inseriamo, in casi come il secondo che abbiamo detto, solo se c’è una nuova offerta commerciale; 4. Target. Va esplicitato sempre, in tutti i brief! Perché il creativo dovrà impostare la campagna anche in base al target a cui l’azienda si rivolge. Se è un brief per una campagna pubblicitaria si tratterà del target media. Se il cliente è bravo farà la differenza tra target di prodotto e target della campagna.
 Una volta che il cliente ha dato un target, non si propone mai di allargarlo. Nel caso in cui il cliente ne dia uno troppo ampio, l’agenzia deve suggerire di restringerlo; 5. Posizionamento. Si inserisce se è utile! Si tratta del posizionamento del prodotto che va pubblicizzato, quindi serve inserirlo soprattutto per i prodotti nuovi. Intendiamo non il posizionamento del brand, ma si inserisce il posizionamento che il cliente vuole per il suo prodotto (soprattutto se è un prodotto nuovo che deve essere lanciato); 6. Advertising concept. Si tratta dell’idea creativa della pubblicità. Se la creatività viene chiesta all’agenzia non dovrebbe essere presente nel brief. Ma spesso il cliente ha in mente un’idea (9 volte su 10), quindi è bene che esca fuori. Se il cliente vuole uno spot in grafica, l’agenzia non può presentarsi con uno spot girato con gli attori! Se il concept è presente nel brief l’agenzia potrà seguirlo oppure “distruggerlo” facendo capire al cliente perché la sua idea non va bene per quella pubblicità. Purtroppo spesso il cliente ha in mente l’idea che crede sia la migliore del mondo: sta all’account far capire se e perché non va bene. Se il cliente è fissato con un’idea che non funzionerà, l’ultima spiaggia per l’agenzia è realizzarla (a basso costo) per mostrare che l’idea che il cliente ha avuto non funziona; 7. Mood. Rappresenta lo stile da adottare per la campagna, ovvero cosa il cliente si aspetta dalla campagna (che faccia ridere? che faccia piangere?). L’account bravo saprà tirare fuori l’informazione al cliente. Se il cliente non dice nulla al riguardo e l’agenzia non chiede si rischia di presentare uno spot con tono contrario rispetto a quello atteso. Insieme al target, è uno dei punti fondamentali (va sempre indicato); 8. Campagna media. Nel brief si indicano canali (tv, netflix, cinema, quali canali social), il formato e la durata degli spot. Per il creativo è fondamentale sapere dove andrà in onda lo spot e in quale formato;
 45 Più dettagli il cliente inserisce nel brief e meglio lavorerà l’agenzia, che avrà a disposizione già tutte le informazioni necessarie (o molte di esse). Anche se è un documento di 2 pagine, l’agenzia dovrà avere chiari i dettaglio. La domanda fondamentale è “perché serve questa campagna?”: il cliente deve dare risposta a questo interrogativo.
 
 Una volta realizzato il lavoro, l’agenzia torna dal cliente con la copy strategy (o proposta creativa). Cosa troviamo nella copy strategy che l’agenzia presenta al cliente?: 1. Contesto (marca e mercato). 2. Posizionamento; 3. Target group; 4. Promessa/reason why/unique selling proposition. Se usiamo delle slide per la presentazione, questa meglio intitolarla “reason why” (e non usp). Questo aspetto è fondamentale da inserire, perché è su questa promessa che la campagna è strutturata; 5. Mood; 6. Proposta creativa. Ci sono diverse modalità per raccontarla al cliente. Sarebbe bello che ci fosse (sempre) il direttore creativo a presentare la proposta creativa. Ma non sempre succede, ma ci sono pochi direttori creativi che “hanno l’idea in testa” e sono talmente bravi a raccontarla (senza supporti) che il cliente la compra solo sentendola raccontare da lui. Lo strumento più utilizzato per la presentazione è lo storyboard, con l’art director che si occupa di disegnare le immagini dopo che le altre parti dell’agenzia avranno fatto la loro parte di lavoro (di solito sono 6 immagini con relativa didascalia, massimo 12); 
 Alcune cose inserite nella strategia non sarebbero necessarie, come ad esempio il contesto, perché il cliente lavora in quel settore e con quei prodotti: sono informazioni che già conosce, ma vengono comunque inserite.
 Storyboard: letteralmente, significa "tavola della storia" e viene generalmente utilizzato per indicare la rappresentazione grafica, sotto forma di sequenze disegnate in ordine cronologico dello spot (o del film/cartone nel caso del mondo cinematografico). 46 10 Novembre
 La volta scorsa abbiamo parlato di come cliente e agenzia parlano tra loro: 1. Brief: il documento che il cliente fornisce all’agenzia per chiedere una campagna pubblicitaria; 2. Debrief: una “conferma” da parte dell’agenzia al cliente, su quello che si sono detti in riunione; 3. Copy strategy. Documento e modello operativo che contiene i punti cardine di una campagna pubblicitaria. È uno degli strumenti più importanti della comunicazione pubblicitariadefinisce le scelte strategiche di un'azione pubblicitaria articolandole in cinque punti: • Consumer's benefit è il vantaggio che il prodotto promette al consumatore; • Reason why argomento razionale che la pubblicità fornisce per rendere credibili i vantaggi promessi dal prodotto; • Supporting evidence il supporto retorico che avalla la credibilità della promessa; • Tone of voice la modalità espressiva di presentazione; • Target è la definizione precisa della categoria di pubblico cui rivolgersi. Per raccontare l’idea creativa l’azienda ha a disposizione vari strumenti, che vanno dal racconto al video. In mezzo troviamo lo storyboard, di fatto il metodo più utilizzato e più spesso richiesto dal cliente (semplice da inviare, si può utilizzare una semplice mail per condividerlo col cliente). Mai demandare la creatività ad una mail! Qualsiasi creatività, dal comunicato all’evento, va raccontata al cliente (anche se questo dice di non avere tempo). L’aspetto umano + fondamentale perché permette di vedere in tempo reale qual è la reazione del cliente e si danno le “chiavi della creatività” in mano al cliente.
 
 Storyboard. Rappresentazione grafica, sotto forma di sequenze disegnate in ordine cronologico, delle inquadrature di un fumetto o di un film, dal vero come d’animazione. Attraverso le didascalie, poi, viene raccontato cosa accadrà nel testo. Nello storyboard, l’ultima vignetta che si disegna è sempre quella relativa alla scena finale dello spot. Quindi ci troviamo logo (e payoff) del cliente con lo speaker che spiega. La proposta creativa, quindi, la raccontiamo essenzialmente attraverso lo storyboard e la voce dell’account (o dell’art director) che lo racconta al cliente. 
 Script. Testo scritto per raccontare in maniera cronologia scene e immagini di uno spot (o più in generale di un video). Si scrive tutto nel dettaglio. Si tratta della sceneggiatura finalizzata alla creazione di un prodotto audiovisivo a scopo pubblicitario. Di norma viene redatta da un copywriter o da uno sceneggiatore 
 La pubblicità come disciplina nasce a News York tra gli anni ‘50 e ’60, ma in realtà molte cose le avevano già comprese altri molto tempo prima. Tra questi troviamo anche Cicerone, che possiamo prendere come esempio per la sua arte oratoria. Alcuni suggerimenti in relazione alla creatività. Agli oratori nelle cause (oggi sarebbe un avvocato) e pensando a quel mondo lì dava alcuni consigli agli altri oratori. 
 consigli che possono essere utili anche per il mondo della pubblicità: • Inventio. Avere chiaro in mente cosa dobbiamo dire; • Dispositio. In che ordine espongo le cose che ho deciso di inserire nel mio discorso; • Elocutio. Scelta delle parole da utilizzare; • Memoria. Dobbiamo ricordarci quanto avevamo deciso! Le slide che eventualmente ci portiamo, servono a supporto: ci aiutano, non servono per leggere; • Actio. Il modo in cui si racconta;
 47 Ancora oggi la pubblicità risponde a questi due obiettivi, anche se poi ce ne sono anche altri (sempre in aggiunta ai due detti, che non sono ovviamente scomparsi).
 Ai tempi dei romani nasce il bisogno della pubblicità quando c’è il passaggio dai mercati all’aperto a quelli al chiuso: la merce era “nascosta”, non era più esposta fuori, e i clienti non la potevano più vedere con facilità. Questo perché la gente doveva essere portata dentro i negozi, attirata affinché fosse portata ad entrare nel negozio.
 Le insegne avevano sempre logotipo e pittogramma (logo scritto e logo disegnato), anche al tempo dei romani perché molti non sapevano leggere e il disegno li aiutava a capire che cosa avevano davanti (quindi quale merce veniva venduta in quel negozio).
 Le insegne al tempo dei romani erano per terra, oggi sono in alto: questo perché le insegne “vanno dove cade l’occhio delle persone”. Ma oggi stiamo tornando alla personalizzazione dei marciapiedi: lo smartphone porta i nostri occhi verso il basso.
 
 Il volantinaggio ha lo stesso scopo della pubblicità romana: da fuori il negozio ti porto verso di esso lasciandoti in volantino con le indicazioni per arrivarci e le indicazioni relative a cosa si trova in vendita in quel negozio.
 L’arrotino è un caso contrario, da dentro (casa) ci porta fuori casa per farci aggiustare da lui quello di cui abbiamo bisogno di sistemare. Porta le persone a sapere dell’esistenza di un artigiano che fa quel lavoro: se io (possibile9 cliente non so che esiste un professionista che fa quel lavoro, di certo non vado a cercarlo perché ne ho bisogno.
 Nasce la necessità di differenziare, come abbiamo detto, quando vi è (forte) competizione e quindi c’è bisogno di dire alle persone che la merce venduta da un negozio è migliore rispetto a quella dei concorrenti.
 
 La pubblicità non ha una vera e propria data di nascita, ma senza dubbio la fase più intensa della sua evoluzione è legata allo sviluppo della cultura moderna. Pertanto, è stato solo con la seconda rivoluzione industriale dell’800 che essa è entrata in quella fase matura che le ha attribuito le odierne sembianze. • Durante il Medioevo le famiglie rappresentano loro stesse con gli stemmi araldici, che rappresenta la firma della famiglia. È la nascita del concetto di logo, anche se ci vorrà tempo perché questi siano usati a fini commerciali. Uno degli stemmi più famosi ancora oggi è SPQR; • Nel 1448 nasce la stampa a caratteri mobili, grazie a Gutenberg. Questa rappresenta un momento di svolta per la storia della pubblicità perché diventa più semplice stampare uno stesso testo in grandi quantitativi; 
 Nel Seicento aumenta molto la diffusione dei giornali e quindi anche il volume degli annunci pubblicitari, indirizzati all’élite ed ai ceti più benestanti e privilegiati. La reclame in questo periodo era ancora priva di illustrazioni e si basava su un testo simile a quello degli articoli giornalistici, che promuoveva affari, compravendite, libri e sostanze farmaceutiche. Le prime forme di reclame sono del 1625 e furono pubblicate sul giornale inglese “Mercurius Britannicus”. In Italia il più vecchio annuncio è quello uscito nel 1691 sul “Protogiornale Veneto Perpetuo”, che conteneva info sulle feste religiose e civili, sulle barche e traghetti; si trattava di un annuncio per un profumo che veniva pubblicizzato presso le signore più ricche di Venezia associandolo alla regina d’Ungheria, utilizzata come testimonial.
 La figura del venditore di spazi pubblicitari è stata introdotta in Italia dal farmacista Attilio Manzoni che nel 1863 ha creato la prima concessionaria italiana. 
 50 Tra il ’700 e l’800 esplode la pubblicità e si apre quella che viene definita l’epoca d’oro dei manifesti. In questo periodo avviene una svolta per la grafica pubblicitaria moderna e i teatri spingono molto sulla pubblicità per i loro spettacoli; vediamo anche la comparsa di annunci dedicati ad altri prodotti, nei quali la grafica ha sempre un ruolo preponderante. In questa epoca spiccano diversi nomi di personaggi che si sono dedicati al mondo dei manifesti: • Julies Chèret è stato il primo cartellonista a mettere al centro dei manifesti delle figure femminili: donne non ancora emancipate ma che mostravano di avere una spiccata personalità e potere decisionale; • Toulouse-Lautrec, il quale trasse ispirazione dalla grafica giapponese ed ha creato un suo stile personale nei manifesti che ha realizzato; • Adolf Hohenstein (, al quale vali merito di aver coinvolto nella creazionee dei manifesti molti artisti visivi italiani molto validi (tra i quali Mataloni e Dudovich); • Giovanni M. Mataloni. Con lui il prodotto diventa decorazione. Mataloni ha creato un manifesto per promuovere la “Società anonima per la incandescenza a gas – Brevetto Auer” e colpisce lo spettatore perché al suo interno i tubi metallici sono trasformati in elementi decorativi, come se fossero rami di un albero); • Marcello Dudovich . Nel suo manifesto per il cappello Zenit della Borsalino il prodotto appare in primo piano, evocando una presenza umana non raffigurata nel manifesto; in questo modo chi osserva il manifesto è stimolato ad usare la propria immaginazione; Nella fase successiva dell’evoluzione del manifesto cambia anche l’utilizzo dello sfondo nero per creare contrasto con i colori, utilizzato per attirare l’attenzione degli osservatori. : • I manifesti di Leonetto Cappiello portano anche un cambio di linguaggio; il suo uso di un cavallo rosso come “mascotte” che diventa l’immagine del prodotto, porta alla nascita i quello che viene definito il “manifesto-marchio”: questo prevede l’uso di immagini grafiche che sappiano comunicare in maniera istantanea l’essenza del prodotto, rendendola così memorabile; • Federico Seneca (direttore artistico alla Buitoni-Perugina). Ha dato un’identità grafica unica con immagini che presentavano figure essenziali e poco definite, a volte anche senza volto; • Giovanni Pintori . Suo è il manifesto “Olivetti Studio 44”, dove non ci sono immagini delle macchina da scrivere nonostante il prodotto da pubblicizzare sia quello. Viene data molta importanza al visual e inserisce il vasetto d’inchiostro come “vaso” per un fiore, poiché con l’avvento della macchina da scrivere non serviva più l’inchiostro;, La fase di cambiamento più intensa attraversata dalla pubblicità sono stati gli anni venti e trenta del ‘900. In questo periodo la pubblicità è diventata un “sistema industriale e di comunicazione” che ha contribuito in maniera determinante alla creazione di una cultura di massa per la nascente società dei consumi. Questo fenomeno si è sviluppato prima e con forte intensità negli Stati Uniti, per via del loro livello di industrializzazione più avanzato. Ciò ha favorito lo sviluppo della pubblicità e così sono nate numerose agenzie, che avevano sede a New York (nello specifico a Madison Avenue).
 Con James Montgomery Flagg e l’annuncio pubblicitario “I want you” cambia il modo con cui la pubblicità interagisce col pubblico: si passa ad un coinvolgimento diretto del pubblico, grazie ad un obiettivo chiaro e preciso. 
 
 
 51 Anche per quanto riguarda l’Italia questo fu un periodo di deciso sviluppo economico ed espansione del mondo pubblicitario. Ad occuparsi di pubblicità erano in gran parte gli artisti e troviamo numerosi artisti “prestati” al mondo della pubblicità, come ad esempio: • Giacomo Puccini che scrisse dei versi per la pubblicità di un dentifricio; • Gabriele D’Annunzio che inventò il nome de “La Rinascente”; Si stabilì un rapporto molto intenso anche tra quello che era il mondo pubblicitario e i futuristi italiani.
 
 Si evidenzia la grande influenza sul mondo pubblicitario avuta dalla diffusione della radio, avvenuta negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale. Questo mezzo permetteva ai messaggi pubblicitari di arrivare direttamente all’interno delle case dei cittadini, avendo così una comunicazione più “intima” con i consumatori. Negli Stati Uniti il sistema radiofonico è nato grazie all’iniziativa di privati, senza ingerenze statali, e nel 1922 venne trasmesso il primo radiocomunicato. Inizialmente la strada intrapresa dalla pubblicità fu quella delle sponsorizzazioni: le radio si limitavano a vendere gli spazi che possedevano alle agenzie pubblicitarie.
 
 In Italia la pubblicità radiofonica è arrivata nel 1926, anno in cui venne creata la SIPRA (concessionaria), ma la pubblicità fu effettivamente possibile grazie all’URI (divenuta RAI nel 1944). Inizialmente i audiocomunicati avevano un linguaggio sintetico e si trattava di messaggi di interesse locale realizzati utilizzando un linguaggio dialettale e un abbondante ricorso all’uso della rima. Successivamente la pubblicità radiofonica sviluppò un suo linguaggio, facendo anche ricorso alle potenzialità espressive della musica (prime canzonette di accompagnamento). 
 Durante gli anni trenta, il regime fascista tentò di rispondere alla crisi economica intensificando la sua politica di autarchia. Questo portò ad un rallentamento del processo di espansione della pubblicità italiana. Il regime fascista faceva un massiccio impiego della pubblicità ma allo scopo di sostenere le campagne collettive a favore dei prodotti nazionali e anche le aziende hanno imitato l’attività del governo e sono comparsi messaggi pubblicitari focalizzati sull’esaltazione dei prodotti italiani. 
 Durante il Fascismo c’è una maggiore attenzione alla grafica, vengono creati nuovi font, si lavora per trasmettere modernità e forza, esplode l’uso dell’imperativo. È significativa la censura di tipo ideologico che il fascismo ha operato nei confronti dei messaggi prodotti dai pubblicitari, ad es. rifiutando quella figura di donna indipendente che si era affermata nei manifesti dei primi anni del ‘900. 
 Il Fascismo ha portato grande studio nel mondo della pubblicità (es. annuncio Fiat, l’auto si muove sui caratteri, che sono alti e forti, il prodotto cammina sul logo, comunica forza e solidità). 
 Nell’ultimo secolo, spinta dall’espansione dell’economia industriale e dal progresso tecnologico, la pubblicità ha avuto un notevole sviluppo. Si è plasmata attraverso un processo di costruzione capace di costruzione capace di creare suggestioni differenti grazie all’utilizzo di molteplici codici verbovisivi. Esiste però una distinzione di fondo: • La concezione antica distingue retorica e poetica; • La retorica pubblicitaria include le figure linguistiche e anche un repertorio più vasto di strumenti della poetica; 
 Un’altra distinzione riguarda il tipo di testo. La pubblicità contemporanea è un messaggio breve eclatante e memorabile: • la sua struttura è spesso una figura retorica; • la sua forma è poetica e musicale; • mira a stimolare e ad essere ricordata attraverso un linguaggio poetico e visivo; 52 La pubblicità mira a stimolare la curiosità del cliente, cercando di influire sui suoi desideri agendo sui bisogni e desideri (quindi spingerlo a comprare un prodotto). Lo fa colpendo l’inconscio delle persone. La pubblicità vuole regalare emozioni allo spettatore.
 Oggi è impossibile sfuggire agli spot pubblicitari: pere farlo dovremmo chiudere gli occhi e non ascoltare (esagerando, dovremmo metterci a dormire, per non ascoltarli/vederli).
 Il termine advertisitng viene da una parola del “medio” inglese che significa “advertire”.
 
 Nell’ultimo secolo sono anche aumentati vertiginosamente i costi, quanto viene speso per sviluppare le pubblicità e trasmetterle (comprare gli spazi pubblicitari). Le politiche aziendali delle agenzie pubblicitarie è di inventarsi immagini e parole che in qualche anno diventano parte integrante di una cultura, promettendo un benessere da raggiungere. 
 Dal punto di vista commerciale troviamo molti successi ma anche fallimento. Burnett ci dice che la pubblicità che funziona sarebbe in grado di vendere qualsiasi cosa. 
 Secondo le aziende è il marchio a fare la differenza: se non è “quello giusto”, il prodotto rischia di essere un grande flop sul mercato. Ma anche lo sport conta molto, perché il consumatore vi si deve riconoscere. Nei porti dell’antica Grecia c’erano i banditori: quando arrivavano le navi con le merci, ad alta voce (o con degli antesignani dei megafoni) dicevano cosa si trovava sulle navi. Accompagnati dalla musica, i loro “annunci” sono degli antesignani degli spot che vediamo oggi. Grazie ai banditori, chi si trovava nella zona per comprare qualcosa lo poteva sapere.
 Nel XVII secolo iniziano a girare regolarmente i quotidiani, senza includere annunci pubblicitari. Le prime versioni consistevano in una sola pagina stampata (su carta scadente). Nel 1625 in Inghilterra compaiono i primi annunci stampati, e successivamente prendono piede anche nei quotidiani. In quel periodo i quotidiani rappresentavano l’unico mezzo di comunicazione di massa in grado di diffondere gli annunci e gli editori si accorsero dell’importanza di includere spezzoni pubblicitari peer acquisire prestigio a livello nazionale. 
 La maggior parte degli annunci pubblicitari realizzati fino alla fine del XIX secolo erano principalmente degli annunci scritti: venditori locali e mercanti annunciavano la disponibilità dei loro prodotti invitando i consumatori ad acquistarli 
 Il primo quotidiano americano, il “Newsletter” appare a Boston nel 1704. La terza edizione del giornale diventa una pietra miliare perché promuove il primo annuncio pubblicitario negli Stati Uniti. 
 Il video visto a lezione, prima di parlare della storia vera e propria della pubblicità cita la campagna della Marlboro: è una pubblicità che ha funzionato molto bene. Oggi Marlboro è un brand, dal posizionamento molto chiaro: ma inizialmente le sigarette che producevano erano “sigarette peer donne”, e questo era il posizionamento scelto dall’azienda. Infatti inizialmente il filtro era rosso così che il segno del rossetto fosse meno evidente. Ad un certo punto la dirigenza capisce che stanno tagliando vita tutta una fetta di mercato e, inoltre, le vendite stavano anche diminuendo. Hanno tolto il filtro rosso e hanno chiamato un pubblicitario di Chicago, Leo Burnett (uno dei pochissimi pubblicitari non di New York), che rivoluziona l’immagine delle loro sigarette: le “trasforma” da sigarette per donne a sigarette per “gli uomini veri”. Questa pubblicità viene citata spesso perché è una delle poche pubblicità che ha cambiato la percezione del prodotto presso il pubblico. Il video cita anche il caso della pubblicità di un’auto che sulla carta poteva funzionare, ma non è stato ossi per un errore pubblicitario: venne associato al prodotto uno stile di vita nel quale il pubblico non si riconosceva. 
 55 Ricercando la “prima pubblicità della storia”, arriviamo sempre a tremila anni fa (1000 avanti Cristo), che si città la pubblicità di Apu (lo schiavo) o altro. La prima forma di “proto-pubblicità” la possiamo identificare in quella fatta dai venditori di strada per portare i clienti a conoscere quanto loro offrivano. La nascita delle botteghe porta allo sviluppo di forme pubblicitarie più simili a quelle che conosciamo oggi. 
 Nelle economie artigianali sei faceva pubblicità nelle vicinanze del punto vendita, che potremmo definirla come “antenato” del volantinaggio di oggi. Nel ‘900 assistiamo alla trasformazione della pubblicità in un sistema industriale, alla base della nascita di quella che chiamiamo società dei consumi; questo soprattutto negli Stati Uniti, dove il livello di industrializzazione era più avanzato. Iniziava ad essere importante fornire al pubblico delle motivazioni di acquisto, dando significati simbolici al prodotto: nasce così il marketing. Assistiamo ad una trasformazione della comunicazione pubblicitaria, che diventa soprattutto una comunicazione strategica: l’obiettivo era quello di mostrare le capacità delle merci di semplificare la vita degli individui.
 
 Molto interessante la figura dei banditori, che nei porti annunciavano l’arrivo delle navi merci: annunciavano che merci erano arrivate cosi chi le voleva si avvicinava. È interessante perché usavano anche delle musiche, cosa che rendeva il loro parlare una specie di spot primordiale. Vediamo come la pubblicità non inventi nulla, ma semplicemente cavalca quello che la gente vuole.
 
 Nel Medioevo “nascono” le insegne, e questo è un punto di svolta per la pubblicità. È un momento importante perché in questo periodo nascono gli stemmi delle famiglie aristocratiche, i loro araldi, che potremmo definire una sorta di “proto-loghi”. Era un’epoca in cui pochi sapevano leggere e scrivere, quindi gli stemmi erano importanti perché permettevano di identificare facilmente i luoghi (nello specifico i palazzi e di chi era la loro proprietà). Quando le famiglie iniziamo a fare prodotti, ad esempio le famiglie non di alto lignaggio, su questi prodotti veniva messo il loro stemma: si associava un “logo” ad un prodotto; questo ricorda l’associazione che facciamo oggi tra i prodotti e i loghi delle aziende che li producono. Si inizia a brandizzare il prodotto, cosa che fino a quel momento non era mai ancora stato fatto. Si comincia a brandizzare il logo nella sua ripetibilità. 
 Parlare dei primi loghi forse è una provocazione, ma il concetto è esattamente lo stesso.
 
 La nascita della stampa è un fatto della storia della comunicazione, non solo della pubblicità. Siamo nel 1448 ed è un fatto molto importante. Gutenberg in realtà non inventa la stampa, ma inventa la stampa a caratteri mobili. La stampa, in realtà, esisteva già da prima. 
 Prima della stampa (e la stampa a caratteri mobili) le copie erano fatte tutte a mano, da quelli che venivano chiamati amanuensi. La stampa velocizza il processo di “copia” dei libri: con la stampa si incide una lastra che permette di velocizzare le copie delle singole pagine, pressando la lastra intinta d’inchiostro sul foglio. 
 La singola lastra permette di fare più copie, ma di una sola pagina. Una volta finite le copie della singola pagina, quindi, la lastra veniva “buttata” perché era fissa e non poteva essere riassemblata in modo diverso. Gutenberg, che era un orafo, non fa più lastre che corrispondono ad una sola pagina: lui fa delle “piccole lastre” che corrispondono alle singole lettere. Con queste lettere si compone la pagina: si stampa la pagina e poi si cambiano le lettere, senza dover buttare nulla. Il tipografo a quel punto non deve più stampare la singola pagina, ma finita una può comporre la successiva e andare avanti.
 Ci vuole meno tempo rispetto a prima e abbattono i costi (vanno presi solo carta e inchiostro, non più le lastre). Il libro diventa molto più diffuso e, da li a poco, nascono anche i giornali. Con questa invenzione, quindi, arriva un miglioramento decisivo del processo di stampa, che viene definita così “a caratteri mobili” perché i caratteri venivano 56 montati e poi smontati sulla lastra utilizzata per la stampa.
 In questo periodo si ottiene che il libro diventa molto più diffuso e da li a poco nascono anche i quotidiani: senza l’invenzione di Gutenbreg sarebbe stato più difficile realizzare i quotidiani, perché non si sarebbe potuta avere la frequenza di pubblicazione giornaliera.
 È stata l'invenzione della stampa a caratteri mobili a rendere possibile la creazione dei primi manifesti per i muri delle città europee. I detentori del potere politico limitarono però l’uso dei manifesti e, quindi, fino all'800 questi erano per lo più degli avvisi delle autorità pubbliche che promulgavano grida, editti e sentenze o degli annunci di tipo religioso. Tra le eccezioni vanno ricordati i manifesti realizzati nel 1477 dal libraio ed editore londinese William Caxton per promuovere i libri che pubblicava. 
 Nel 1477 viene pubblicato quello che viene considerato il primo annuncio stampato, ad opera di Wiliam Caxton (considerato il primo tipografo inglese e la prima persona ad aver introdotto in Inghilterra il torchio tipografico). Si tratta dell’annuncio relativo al primo primo libro di Caxton “Ordinale secundum usum Sarum”. È un annuncio che riporta semplicemente che Caxton ha scritto un libro, e oggi non ci sembrerebbe per nulla un annuncio: questo perché manca tutto quello che per noi oggi è definito come “pubblicità.
 All’epoca i giornali erano letti da pochissime persone, che tipicamente facevano parte del clero (solitamente la parte di popolazione fin da subito istruita a leggere e scrivere) e fasce altissime della popolazione. Chi sapeva leggere e scrivere aveva a disposizione un giornale al giorno, quindi quello che aveva sei lo leggeva dall’inizio alla fine: all’epoca lo scopo della pubblicità, quindi, non era attirare l’attenzione ma informare.
 
 Reclame. Nel '600 si iniziano a diffondere in Europa quelle che vengono definite “gazzette”, nelle quali venivano riportate notizie e informazioni utili. Sulle gazzette trovarono spazio le reclame, termine che all'epoca indicava quella che viene considerata la prima vera e propria pubblicità. Era ancora priva di illustrazioni e si basava su un testo simile a quello degli articoli di giornale. Le prime forme di reclame sono del 1625 e compaiono sul giornale inglese “Mercurius Britannicus”.
 A Parigi Renaudot ha creato nel 1631 la”Gazzette” che viene considerato il primo giornale francese che dal suo sesto numero ha cominciato a pubblicare anche annunci pubblicitari di vario tipo. In Italia queste forme di giornali con le reclame si diffondono tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700. In Francia Emile de Girardin ha creato nel 1836 “La Presse”, un giornale venduto alla metà del prezzo rispetto ai concorrenti: questo era reso possibile grazie all’ultima pagina che era dedicata alle inserzioni pubblicitarie. In Francia, la stampa tradizionale era contraria all'introduzione della pubblicità: si riteneva che potesse snaturare il ruolo dei giornali e infangarne il prestigio e la buona reputazione. La pubblicità era già all'epoca un fenomeno sociale importante. I notevoli progressi realizzati nelle tecniche di stampa, a cominciare dall'invenzione della linotipia, le hanno consentito di espandersi ulteriormente. Lo testimonia la nascita a Parigi nel 1863 del “Petit Journal”, un quotidiano a basso prezzo e con tirature molto elevate per l'epoca. Sempre a Parigi, intorno alla metà dell'800, sono nate delle concessionarie per la raccolta degli annunci per conto dei giornali. Queste concessionarie svolgevano di solito anche la funzione di agenzia di pubblicità che produce i messaggi pubblicitari. 57 I manifesti in Italia. In Italia, l'uso organizzato dell’affissione si sviluppa negli ultimi decenni dell’800: • 1874: viene istituita dal parlamento la tassa “sopra le insegne e qualsiasi forma di avviso o indirizzi relativi all'esercizio di professioni, industrie, commerci”; • 1881: Antonio Montorgano fonda a Genova una società specializzata nella gestione degli spazi pubblicitari urbani; questa nel 1896 sei fonde con la concorrente Valcarenghi dando vita all'IGAP (Impresa generale di affissioni e pubblicità).; L’arrivo di mezzi di trasporto veloci come i tram, porta a guardare i manifesti in maniera sempre più veloce e frettolosa. Il tram ha inoltre iniziato ad essere uno strumento per l’affissione dei manifesti, oltre a quelli Chee vengono chiamati gli “uomini sandwich”. Vediamo ora alcuni nomi importanti della storia della pubblicità: • Metlicovitz. Triestino che ha iniziato lavorando come apprendista litografo. Ricordi lo portò a lavorare con se. Il uso lavoro più celebre è il manifesto del 1906 realizzato per l’esposizione internazionale in occasione dell'inaugurazione del traforo del Sempione; • Dudovich. Arriva da Ricordi portato da Metlicovitz. Passsò a lavorare per Chappuis, dove realizzò un manifesto promozionale per gli inchiostri da scrivere della Federazione italiana chimico – industriale di Padova. Suo fu anche il manifesto per la marca Zenit dii Borsalino del 1911: questo fu forse il primo manifesto in cui appare il prodotto e la grandezza del manifesto sta nel fatto che evoca una presenza umana che non è riprodotta. Ha inoltre rappresentato, in diversi manifesti, la “bella vita” di inizio ‘900 condotta dall’alta borghesia. Negli anni Dudovich ha assunto la direzione dell’IGAP, avviando poi successivamente anche una collaborazione con i grandi magazzini La Rinascente; • Leonetto Cappiello. Fu il cartellonista italiano più importante. Ha lavorato soprattutto a Parigi realizzando soprattutto ritratti caricaturali di molti personaggi mondani dell’epoca. Successivamente realizzò il manifesto per il cioccolato Klaus, nel quale ha raffigurato una donna verde su un cavallo rosso e un testo giallo su sfondo nero. L’immagine era centrata e il gioco di contrasti era fondamentale per catturare l’attenzione dei passanti. Cappiiello realizzò per il marchio Klaus un’identità immediatamente riconoscibile anche dalle persone analfabete; Grazie a Cappiello è nato quello che chiamiamo “manifesto – marchio”, concezione del manifesto che prevede un'immagine grafica che sappia comunicare all'istante l'essenza del prodotto e renderla memorabile. Cappiello creò poi successivamente numerosi personaggi surreali e clowneschi come: • Il Pierrot che sputa fuoco per Thermogene; • la zebra rossa per il Vermouth Cinzano; • folletto in calzamaglia rossa a pois che esce da un'arancia per il Bitter Campari; Tra i creatori di manifesti ricordiamo anche: • Severo Pozzati (in arte Sepo). Il suo era uno stile quasi iperrealista, nel quale il prodotto era posto al centro del manifesto; • Federico Seneca, che nel 1922 è entrato come cartellonista alla Buitoni - Perugina, dando all’azienda una sua identità grafica unica;
 Molti definiscono la pubblicità come una vera rivoluzione culturale, caratteristica del ‘900: la pubblicità è importante come aggiornamento in fatto di abitudini di consumo, stili di vita e innovazione tecnologica. 60 24 Novembre & 1 Dicembre
 Nelle aziende più grandi i brief, anche se “freddi”, sono sempre molto precisi e dettagliati (quindi sono anche estremamente lunghi). La maggior parte delle volte, invece, sono scarni di informazioni e vi è la necessità di chiedere maggiori indicazioni al cliente.
 Andrebbero indicati, nel brief, sempre anche i plus e i minus del prodotto da promuovere; nel caso in cui non siano stati inseriti, sarebbe bene che l’agenzia incaricata vada a chiedere per comprenderli e realizzare la creatività di conseguenza. 
 
 Attenzione ai font che utilizziamo! Perché anche il font scelto racconta qualcosa a chi legge quanto abbiamo scritto e presentiamo.
 Quando presentiamo lo storyboard di uno spot, siamo noi che presentiamo supportati dallo spot e non viceversa. Quindi non specifichiamo “nella prima scena accade a, nella seconda b” e così via: racontiamo la storia, poi chi ci guarda usa lo storyboard come supporto. L’agenzia deve presentare “come se non esistesse”. 
 
 È bene fare un collegamento molto chiaro tra la reason why e il claim: , come è anche importante legarli quando si va a presentare la creatività al cliente. 
 
 Nel brief mettiamo prima il target che vogliamo raggiungere, dopo andremo ad inserire la campagna media che si vuole andare a realizzare. Il cliente propone quello che è il suo target da colpire. Capita che, però, l’agenzia proponga di restringerlo perché troppo largo. Se vi è la necessità l’agenzia proponga di farlo.
 
 Advertising concept: da trattare esponendo tutti quelli che possono essere i “mattoni” che il cliente si aspetta di trovare nel suo spot.
 
 Attenzione a scrivere dal basso verso l’alto quando si fa una presentazione e si realizza una grafica: siamo abituati a leggere dall’alto verso il basso. Se viene raccontata, il problema si pone poco, perché viene spiegato quanto è stato scritto; se invece viene mandato al cliente via mail, senza alcuna spiegazione, è meglio evitare di scrivere in questo modo.
 Quando racconti la creatività al cliente, usa le pause: queste aiutano (molto) a creare suspence e, quindi, attirare l’attenzione del cliente.
 
 Grafica “moderna”: bisogna sempre fare molta attenzione, perché può capitare che si perda in leggibilità. Al cliente “è permesso”, mentre dalla parte dell’agenzia un po’ meno, perché se il cliente non legge diventa un problema.
 
 Se abbiamo uno schermo, usiamolo in fase di presentazione! Piò essere utile “indicare” sullo schermo di cosa stiamo parlando, ad esempio se il cliente va di fretta dire semplicemente “qui abbiamo inserito il riassunto di quanto detto in fase di riunione per il brief”.
 
 Non serve che l’agenzia racconti la storia dell’azienda che ha chiesto la creatività: il cliente già la conosce, quindi risulta un “esercizio” di troppo e inutile.
 L’agenzia propone, non decide! A prendere le decisioni finali sarà sempre e comunque il cliente: a noi agenzia/creativi spetta fare delle proposte in base a quanto chiesto nel brief.
 
 61 La grafica è molto importante, perché serve a colpire e attrarre l’attenzione. Colpire e affascinare il cliente si può fare anche usando presentazioni con delle grafiche semplici: sono degli “estremi” che sicuramente colpiscono (all’altro estremo troviamo le grafiche molto tech).
 
 Titolo delle slide: possiamo utilizzare le domande (“come facciamo?” “cosa facciamo?”). Le domande danno anche l’idea, immediatamente, di cosa si parlerà nella slide.
 
 Moodboard: è uno strumento sicuramente molto efficace. DI cosa si tratta? Solitamente si tratta di una serie di immagini unite tra di loro come in un collage, che serve ai progettisti a mostrare in un formato visivo un progetto e i concetti di prodotto ad esso correlati. Unique selling propositon: rappresenta il concetto che ci porterà poi a pensare il claim per la pubblicità. Se per la nostra agenzia è un cliente nuovo, risulta utile analizzare gli spot precedenti. Se lo si fa e si dice in fase di riunione, non facciamo vedere subito lo storyboard del nostro spot, ma facciamo questa parte di discorso con una slide “nera”.
 I brief dedicati a spot fatti “solo per farsi conoscere” sono difficili da dare e difficili da ricevere. E spesso danno vita a spot non memorabili, che vengono dimenticati in poco tempo. Lo storyboard se presentato una inquadratura alla volta è un buon metodo per poi andarlo a raccontare al cliente.
 62 Dal punto di vista del linguaggio, i filmati trasmessi in Carosello possiamo dividerli in due filoni principali: • i film d'animazione, che a loro volta si distinguono in cartoni animati e in “passo uno” (cioè realizzati con oggetti in movimento). Questi hanno dato vita a personaggi di fantasia che si sono imposti stabilmente nell'immaginario collettivo: Calimero, Topo Gigio, Caballero e Carmencita; • i film dal vivo (con attori in carne ed ossa). Si trattava di veri e propri spettacoli interpretati da attori importanti dell’epoca;
 Nascita dello spot. Quanto visto per Carosello è importante perché, nel momento in cui nel 1977 viene chiuso (e vengono aperti i break), le aziende tagliarono le scenette e mantenevano gli ultimi 30” di pubblicità. Questo è il motivo per cui in Italia la pubblicità ha questo formato di 30 secondi di durata (all’estero troviamo più spesso il formato dai 15” o 20”). Il problema vero della pubblicità Italiana è che il Carosello, “seconda palestra” della creatività/pubblicità italiana, ha allo stesso tempo isolato la pubblicità italiana dal resto del mondo. Il brand risulta staccato dalla scenetta, non c’era alcun nesso tra quanto visto per i primi 105 secondi e quello che si diceva negli ultimi 30. In più, all’inizio della scena non si poteva in alcun modo menzionare il prodotto 
 
 
 
 65 14 Dicembre
 Il programma Carosello è finito circa 50 anni fa, e da allora sono successe (e cambiate) molte cose nel mondo televisivo. Il periodo fascista fu un primo periodo di grande produzione pubblicitaria; un secondo periodo fu proprio quello del Carosello. 
 
 Gli anni ’80 furono un terzo periodo di grande fermento per il mondo pubblicitario. In quegli anni, periodo di un nuovo boom economico, le tv private (che già si esistevano) si strutturano come dei network nazionali (per intenderci parliamo di mediaset e Tele Montecarlo, che diventa La7). Cambia tutto perché prima c’era solo la RAI, con 3 soli canali, mentre col boom degli anni Ottanta aumenta moltissimo il numero di canali a disposizione per fare pubblicità.
 Ovviamente questo significa molto più spazio per la pubblicità: sui canali delle tv private c’era molto più spazio a disposizione per la pubblicità. La RAI è sottoposta ad una legge che limita in modo molto stringente la quantità di pubblicità che può essere trasmessa (parliamo di circa la metà rispetto alle TV private): viene messo il limite perché la RAI ha un canone che viene pagato dagli utenti, le altre tv (vedi La7) si sostengono proprio attraverso la pubblicità. Quindi per comprare uno spazio sulla RAI, prima, ci si doveva mettere in fila: con le tv private questo non accade e, inoltre, gli spazi in vendita sulle tv private costano anche di meno. L’aumento dello spazio pubblicitario, dei canali a disposizione, porta anche la necessità di creare anche molto più in termini di spot da poter creare. Questo momento è un momento in cui la pubblicità diventa di massa, per la quantità di pubblicità che veniva trasmessa e quindi la possibilità di raggiungere gli utenti/ spettatori. 
 Carosello va in onda dal 1957 al 1977, e poche aziende potevano permettersi di acquistare lo spazio al suo interno. Era uno spazio dedicato esclusivamente alla pubblicità. Per volontà dei dirigenti RAI dell’epoca, lo spazio a disposizione era di 135 secondi per cliente. La caratteristica principale di questi 135 secondi era che: • i primi 105” erano dedicati a scenette. Non c’erano vincoli a quello che si poteva raccontare, poteva essere un filmato o una animazione, e col tempo si andò comunque standardizzando la forma; • solo gli ultimi 30” erano dedicati alla pubblicità vera e propria (come la conosciamo); 
 Perché la pubblicità in Italia dura 30”? Possiamo vederla come una sorta di eredità del Carosello. Quando nel 1977 viene chiuso Carosello, le aziende tagliano la prima parte col filmato (i “primi” 105 secondi) e tengono solo l’ultima parte da 30” per mandarla in onda come pubblicità Alcuni fatti storici legati al Carosello.: 1. Inizialmente veniva trasmesso alle 20:50, poi viene spostato alle 20:30. L’austerity, spinse la Rai ad anticipare i programmi della serata a partire dal TG: quindi dal 2 dicembre 1973 fu trasmesso alle 20:30; 2. Prese molto i bambini, tanto che si diceva “dopo carosello tutti a letto”; 3. Veniva trasmesso tutti i giorni tranne Venerdì Santo e 2 novembre; 4. Sospensioni: • 9-11 ottobre 1958 per la morte di papa Pio XII; • 22 novembre 1963: assassinio di J.F. Kennedy; • 31/5 - 6/6 1963 morte papa Giovanni XXIII; • 5 giugno 1968 assassinio Robert Kennedy; • 12-15 dicembre 1969 strage di piazza Fontana; • 9 Febbraio 1971: allunaggio navicella Apollo 14;
 66 Carosello è rimasto molto impresso nell’immaginario collettivo degli italiani dell’epoca, le famiglie addirittura si riunivano per vedere il Carosello. All’epoca la tv trasmetteva solo programmi molto impostati, sicuramente “non adatti” al divertimento dei bambini: motivo per cui probabilmente è rimasto molto nella mente dei bambini dell’epoca (oggi adulti). 
 Era una sorta di intrattenimento leggero che all’epoca non esisteva. Con Carosello nascono le Mascotte, che negli USA esistevano fgià (Leo Burnettt ne fu un grande utilizzatore): alcuni esempi sono Topo Gigio, l’omino con i baffi della Bialetti, Joe Condor, Calimero e altri ancora 
 SIPRA (la concessionaria della RAI per la pubblicità) ha provato per due volte a rifare Carosello, ma non ha mai avuto successo. Perché il formato è rimasto nell’immaginario come “la perfezione della pubblicità”. Ha mantenuto un’aura di eccezionalità, anche se ha lasciato eredità non sempre positiva (ad esempio la “nascita” del formato di 30” dovuto al solo taglio della scena iniziale). Alcuni brand che hanno trasmesso durante il carosello hanno poi ripreso quegli spot, perché cercano di colpire quegli spettatori di oggi che sono sufficientemente anziani da aver visto il programma (carne Montana, Algida e alcuni altri). Carosello fu una palestra per pubblicitari e autori televisivi. Vediamo come il ricordo dell’infanzia aiuti molto dal punto di vista pubblicitario, le emozioni hanno un effetto sugli spettatori. Un altro formato pubblicitario dell’epoca era quello dell’intervallo: era un momento in cui il segnale televisivo andava via, proprio dalla RAI si perdeva il segnale e, in quel caso, se passava un minuto compariva un cartello “le trasmissioni riprenderanno il prima possibile”; se questo non accadeva arrivava l’intervallo, un filmato narrato con la musica e foto di città che funzionava da riempitivo.
 
 Apriamo il “capitolo” relativo al mondo della creatività, aspetto importante della pubblicità perché ci serve per “parlare alle persone”. È comunque fondamentale ricordare che stiamo parlando di qualcosa (la pubblicità) che ci serve a parlare alle persone; queste “sono strane”, hanno un cervello e una pancia: due cose che messe insieme lavorano in modo molto strano. Ad esempio, se prendiamo i “giochini” su Internet sui testi contenenti errori molti lettori non si accorgono degli errori: questo perché il nostro cervello è portato a leggere quello che pensa di trovare (e non quello che effettivamente è scritto); chi vede l’errore spesso lo vede solo perché si è fermato proprio li, per caso (non perché sia più intelligente degli altri).
 
 Al 99% la creatività è tecnica, il rimanente 1% è fatto di ispirazione. L’ispirazione, però in realtà si rifà a quello che il grafico/creativo vede intorno a sé. Nel mondo intorno aa noi ci sono sempre delle piccole cose che ci fanno pensare, che ci colpiscono e volenti o meno verranno utilizzate in pubblicità.ò Le idee vengono dal mondo esterno, poi i pubblicitari bravi riusciranno a farla diventare il prodotto (la pubblicità per farlo conoscere e comprare). Tutto comincia col brief dato dal cliente all’agenzia. L’account si farà dare tutte le informazioni necessarie da dare al creativo, il quale ha una sorta di “cassetta degli attrezzi” da utilizzare per realizzare la creatività necessaria per realizzare la creatività da proporre al cliente. È proprio l’esistenza dii queste tecniche che rendono quello del creativo un lavoro; se non fosse cos’. Sue fosse solo ispirazione dovremmo parlare di artisti e non di creativi/pubblicitari.
 
 Vediamo due spot che si trovano agli antipodi: trasgressione e “fuori dagli schemi” nel primo, romanticismo nel secondo. Troviamo anche due creatività diverse tra loro. Anche se in entrambi i casi ritroviamo delle “storie raccontate”. 67 15 Dicembre
 Abbiamo parlato della tecnica creativa denominata “problema—>soluzione”, che viene definita come la vera e propria tecnica creativa. Le altre che vedremo sono più che altro definibili come degli approcci. Consiste nel mettere in scena il problema e affiancargli la soluzione, tipicamente rappresentata dal prodotto che si sta pubblicizzando. Perché questa tecnica sia efficace, bisogna stare il più possibile sul problema e meno sul prodotto (anche se è su questo che si dovrebbero dire più cose). L’equilibrio va gestito tra account, coppia creativa e cliente. Ovviamente è più facile applicarla ai video, quindi agli spot, ma può ovviamente essere utilizzata con qualsiasi tipo di pubblicità! Se stiamo lavorando con formati statici (affissioni, sui giornali, sui social) il visual sarà il modo con cui andiamo a rappresentare il problema.
 Esempio: se sto pubblicizzando uno stampo “contro le doppie punte” nel visual metterò proprio le doppie punte.
 
 Se nello spot ho la possibilità di voice over e di far vedere il prodotto alla fine della pubblicità, nella pubblicità statica non ho la possibilità se non attraverso il packshot. Quindi quest’ultimo diventa fondamentale, per far riconoscere il prodotto quando il cliente si trova a dover effettivamente scegliere il prodotto (quando si trova in negozio fisico oppure online) Le pubblicità fatte in questo modo funzionano perché gli spettatori si rivedono nel personaggio che ha il problema (e non nel prodotto, ovviamente). Rivedendosi in quella persona, guarderanno con attenzione perché vorranno risolvere il problema. 
 L’iperbole è una sorta di “spin-off” della tecnica appena vista e prevede un’esagerazione del problema. La utilizziamo quando nel brief troviamo l’indicazione di una pubblicità che faccia ridere/sorridere lo spettatore. Dobbiamo andare leggermente te oltre la realtà, ma non troppo per non creare un effetto ridicolo; altrimenti rischiamo il “rigetto” da parte dello spettatore, che potrebbero “rifiutare” quello che stanno vedendo (è rischioso e il brand diventa poco affidabile agli occhi dello spettatore).
 
 La pubblicità che non funziona colpisce più persone rispetto a quella che invece funziona: quella fatta buona colpisce 1 persona, che poi eventualmente parla con altre, quella fatta male ne colpisce 7 (che a loro volta parlano con tante altre). Ricordiamo ad esempio che le persone tendono a lasciare recensioni più quando sono state male o hanno avuto problemi, e lo fanno molto di meno quando invece hanno avuto esperienze positive con quanto offerto dall’azienda.
 
 La tecnica “problema-soluzione” risulta essere utile in moltissimi casi, e si parte sempre dal brief. È la tecnica che ha l’applicazione più vasta, va bene per tantissimi prodotti diversi che nascono e vengono comunicati e hanno un effetto (risolvono diversi problemi). Ad esempio, va benissimo per il settore beauty, i farmaci da banco e numerosi prodotti tecnologici. Quando non è applicabile questa tecnica, dobbiamo trovare un’altra soluzione.
 
 Vediamo ora due padri fondatori della pubblicità. Questo perché, mentre la tecnica “problema-soluzione” non ha un vero e proprio padre fondatore, ci sono altre tecniche che sono state inventate da loro due: Bill Bernbach e Leo Burnett.
 
 
 70 Bill Bernbach
 Pubblicitario americano degli anni ’50/’60, ha “inventato” la coppia creativa nell’ambito del lavoro creativo. Ancora oggi troviamo l’art (chi si occupa della parte creativa) e il copy, che invece si occupa della parte testuale: prima di Bernbach, le due figure lavoravano separatamente! Prima il brief arrivava all’account che lo portava al copy (predominante sulle altre figure), il quale da solo studiava e si faceva venire l’idea: quindi solo a quel punto andava dall’art a chiedere se poteva illustrare la sua idea creativa. Non a caso tutti i grandi pubblicitari sono nati come copy e hanno fatto carriera. Oggi ci sono già “le coppie creative”, copy e art non stanno più “in stanze separate” lavorando su vie parallele. Quindi il brief viene dato a entrambi. Secondo advertising age (rivista e sito pubblicitario) è da considerarsi la figura più influente del mondo pubblicitario del XXI secolo. Poco conosciuto dai non addetti ai lavori, nel suo campo lavorativo è considerato una figura fondamentale. Anche lui ha fondato la sua agenzia.
 
 Lui è l’inventore di quella che oggi chiamiamo tecnica dell’approccio negativo, tecnica che ancora oggi viene usata (dopo 70 anni). Una cosa che troviamo in molte agenzie è che la linea del fondatore continua ad essere portata avanti anche dopo che quest’ultimo non c’è più. Questo facilita molto i clienti, quando devono scegliere a quale agenzia affidarsi per la loro pubblicità. Pone molta attenzione alla creatività, nello specifico viene dato molto peso all’aspetto visivo della pubblicità. La parte visual tende ad occupare gran parte dello spazio della pubblicità. Sono pubblicità molto pulite. 
 
 Cosa significa “approccio negativo”? Normalmente la pubblicità mette in evidenza gli aspetti positivi, ed è giusto farlo se i plus sono molto forti. Bernbach usa invece un approccio diverso, quasi opposto: se il plus è molto forte ovviamente lavoreremo su quello, ma quando ci troviamo di fronte ad un “minus”, siamo sicuri che lo sia davvero? Non potrebbe diventare un plus, un aspetto da mettere in evidenza? 
 
 
 Oggi in genere nelle “serie successive” di un prodotto vengono fatte invece delle piccole modifiche anche estetiche, in modo tale che la comunicazione ne possa parlare (e il prodotto risulti differente anche all’occhio del consumatore.
 L’approccio negativo consiste nel prendere un minus e trasformarlo in un plus. Si tratta, quindi, di non nascondere nulla e trasformare in un punto di forza quello che inizialmente Di Bernbach è la pubblicità del maggiolino seconda serie. Il primo maggiolino aveva avuto molto successo, soprattutto come icona, per lo stile e le dimensioni. Aveva però dei minus, soprattutto tecnologici. Nella seconda serie avevano messo a posto diversi aspetti che in quello precedente erano dei minus.
 L’estetica però rimase identica. Avrebbero potuto fare la pubblicità puntando su una delle cose che avevano migliorato, ad esempio sul fatto che la macchina era meno rumorosa.
 
 Bernbach si pose la domanda sul perché l’esterno non era stato cambiato. La risposta la troviamo nel fatto che l’esterno era diventato iconico. Da questo, quindi, l’unica cosa che non avevano cambiato (“migliorato”) diventa un punto di forza del prodotto che stavano pubblicizzando. 71 era stato visto come un qualcosa di negativo.
 Questo tipo di pubblicità necessita di un minimo di attenzione in più da parte del consumatore. È sicuramente un rischio, ma funziona molto bene se studiata a fondo. Questo perché è una pubblicità di qualità che non si basa sul “compra questo prodotto perché scontato”, ma evidenzia punti di forza del prodotto e, soprattutto, non nasconde quelli che potrebbero essere aspetti negativi. Possiamo definirla una pubblicità “etica”, attraverso la quale le aziende non nascondono i loro problemi.
 Questo tipo di pubblicità è caratterizzata da una headline e tanta bodycopy.
 
 
 La sua è una tecnica è efficace perché è il pubblico che guarda a convincersi, nel senso che se viene attirata la sua attenzione andrà “da solo” a leggere tutto il resto di quanto scritto. Non è la pubblicità a “persuadere”. Sono le persone che devono fare uno sforzo per capire la pubblicità e dedicarle il tempo per comprenderla.
 Il caso di Avis ci mostra come il leader di mercato tenda sempre a rilassarsi, perché è il leader del settore e sa che le persone andranno a comprare i suoi servizi.
 
 Devi avere grande capacità di rompere la soglia dell’attenzione, dando al pubblico quello che non si aspetta da una pubblicità!
 Parliamo di approccio negativo, e non tecnica, perché è proprio un approccio mentale (e non si tratta di tecnica)
 
 Vediamo lo spot di Telefunken, casa tedesca che realizzava televisori. Prodotti che “compravi per la vita”, indistruttibili e che duravano veramente tanto, L’azienda è stata per lungo tempo leader del settore, poi sono arrivati i concorrenti come Philips e Sony. Da un lato troviamo i concorrenti che comunicavano “effetti speciali”, dall’altro la Telefunken che realizzava prodotti durevoli. Quindi trasformano questo loro minus in un plus da raccontare nel loro spot. Il loro claim era: “Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci, ok basta così. Ma noi siamo scienza, non fantascienza” Sono così sicuri del loro approccio che il televisore nello sport è spento! Se lo spot è fatto bene, il consumatore si convincerà che allora quel prodotto via bene per lui (e per risolvere molti dei suoi problemi). Ricordiamoci che oggi i consumatori non si accontentano più del prodotto standard e questo può diventare un problema per il Pubblicità Avis. In America era “il numero due”, dopo la Hertz, nel mondo del noleggio auto. Le cose belle da dire erano tanto: auto pulite, sempre col pieno, le hostess sempre molto gentili.
 Quale era il problema? Che le a gente tendeva a scegliere il concorrente per noleggiare l’auto. Può questo minus, l’essere il numero due, diventare un plus? Si! Perché essere il numero uno significa che puoi rilassarti, mentre se sei il secondo non puoi permetterti distrazioni: “non puoi permetterti il posacenere sporco! Oppure di farti partire col serbatoio che non è pieno, le hostess non gentili e così via. La forza del copy è maggiore rispetto a quello del visual, che è un po’ brutto (col posacenere sporco). 72 Armando Testa Torinese, a 14 anni inizia a lavorare per una tipografia. Ha fondato la sua agenzia, oggi la più importante in Italia. Tra le sue creatività più importanti e conosciute troviamo: • manifesto delle Olimpiadi di Roma (1960); • Annuncio per l’aperitivo Punt e Mes della Carpano, esposto anche al MOMA di NY. Nell’annuncio ritroviamo tutti i tratti caratteristici del suo stile: fondo bianco, uso dei colori primari e forme semplici, ma di grande impatto comunicativo. Nell’immagine astratta manifesta le sue “ossessioni” dell’autore da un punto di vista eidetico (punto di dolce e mezzo di amaro) 
 Nella sua carriera ha realizzato manifesti, confezioni, loghi aziendali e copertine. Una case history di successo della sua agenzia è quella per Esselunga, dove troviamo gli elementi stilistici chiave della sua tecnica: ironia, colore, sfondo bianco, estrema sintesi dell’headline e immediatezza del messaggio. La possiamo definire una campagna accattivante che conferisce personalità ai prodotti pubblicizzati. 
 Gavino Sanna Uno dei nomi più noti della comunicazione creativa in ambito internazionale, e vinse numerosi premi internazionali. A Milano si è occupato di pubblicità e di satira. Era convinto che i pubblicitari dovevano riuscire a inventarsi la personalità del prodotto.
 Sua è la campagna Barilla “dei buoni sentimenti e della semplicità”, con cui avvia una serie di 14 storie; ancora oggi ricordiamo il claim “Dove c'è Barilla c'è casa”. 
 Tra i lanci promozionali di maggior successo ricordiamo quelli per Giovanni Rana, FIAT, Coca-Cola. Il segreto della sua comunicazione stava nel trovare e raccontare storie genuine. 75 21 Dicembre
 Riprendiamo il discorso sulle tecniche creative e vediamo come la scelta della tecnica da utilizzare si basa sull’obiettivo da raggiungere con la creatività che stiamo creando. Quindi scegliamo in base al brief che il cliente ha dato all’agenzia. La stessa cosa vale per quanto riguarda il testimonial: utilizzo “una persona comune” o il modello? Una persona come tutti o una persona che molti sognano di essere/diventare? 
 Se possiamo realizzare lo spot utilizzando più di una tecnica, la scelta sarà indirizzata dal gusto personale del creativo o dalla tendenza dell’agenzia (quella di Burnett tenderà ad utilizzare la tecnica del suo fondatore).
 
 Approccio negativo - Tecnica inventa da Bill Bernbach. Si parte da quello che si ritiene essere un aspetto negativo del prodotto pubblicizzato e lo si fa diventare un elemento positivo. Ovviamente lo possiamo fare solo nel caso in cui si possa effettivamente effettivamente applicare “trasformazione”, altrimenti è meglio usare altre tecniche. La pubblicità non è poi cosi immediata, questo approccio ciò mette un po’ “ad arrivare” allo spettatore dello spot: va letto, anche con un minimo di attenzione in più forse, non si capisce subito con una sola occhiata. Quindi questa tecnica richiede la complicità di chi sta leggendo: una volta che sa leggendo, quella persona è stata “catturata”. Se la vedi e la capisci, questa pubblicità sicuramente ti cattura e “ti rimane in testa”. Possiamo dire che cerca di instaurare un rapporto caldo con il consumatore.
 Ricordiamo che Bernbach è anche inventore della coppia creativa e di un approccio integrato tra art director e copy.
 
 Common touch - Burnett punta tutto sulla quotidianità, le persone normali, la vita vera (quella realmente vissuta dalla persone); Burnett, quindi, cerca di dare un tocco comune alla pubblicità. Vuole far uscire il valore drammatico che si trova dentro le cose. Burnett diceva di scrivere poco e far uscire il “dramma interno”, rappresentare una fetta di vita vera. L’apice di questa tecnica è quello che avviene nelle pubblicità sociali (Amref, Save the Children, ec) che fanno vedere i drammi della vita di tutti i giorni.
 Nelle pubblicità di oggi troviamo quasi sempre la “slice of life” (fetta di vita vera), ma non sempre ci ritroviamo l’inner drama (“dramma profondo”). Burnett diceva che si doveva scrivere poco, facendo emergere attraverso il visual quello che vogliamo dire.
 
 Pubblicità aspirazionale: quella pubblicità che ci mostra qualcosa a cui aspiriamo. 
 Il marketing aspirazionale utilizza una leva che agisce sul concetto di “appartenenza” ad una determinata classe sociale: avere o meno un determinato prodotto significa intrinsecamente appartenere o meno a tale classe.
 
 Una cosa buona da fare quando scriviamo, anche e soprattutto in pubblicità, è quello di usare pochi aggettivi e soprattutto cercare di evitare le espressioni già fatto (“la splendida cornice” che vuol dire? Ognuno di noi darà un significato diverso alla stessa espressione).
 
 GAG - Tipologia pubblicitaria “tutta italiana”, nasce in Italia dalla mano di Armando Testa.
 
 76 Vediamo ora altre tecniche pubblicitarie che “non hanno un padre/madre” e che vengono comunemente utilizzate. 
 Tecnica della comparazione - Pubblicità comparativa. Capita spesso di ricevere la domanda se è possibile fare pubblicita comparativa o se è possibile inserire un riferimento (ad esempio il logo) al proprio competitor. Si può fare una comparazione, inserire un riferimento al competitor o il suo logo. C’è però un unico avvertimento, una sola condizione: non dobbiamo screditare screditare l’altro, va fatta una pubblicità oggettiva. Dobbiamo fare attenzione ai prodotti che compariamo e capire su quali aspetti fare il paragone. I dati devono essere veri, verificabili (chiunque deve poter andare sul sito del concorrente e trovarli); ma soprattutto i dati vanno riportati correttamente. Ricordiamo che se i dati del concorrente sono falsi/sbagliati l’azienda concorrente può denunciare l’azienda, bloccando così la nostra pubblicità 
 Questa è una tecnica che, soprattutto in Italia, viene utilizzata abbastanza poco perché è una tecnica difficile da applicare. In teoria sarebbe la migliore pubblicità perché è chiara e palese nel mettere a confronto noi con i concorrenti, per dare poi la migliore possibilità di scelta al consumatore. Ma i problemi fondamentali sono due: • I consumatori devono avere tempo per leggere la tabella e i dati messi a confronto. (anche superando la soglia dell’attenzione) i consumatori sono comunque prevenuti! Perché chi è che firma la pubblicità? L’azienda che ovviamente nella pubblicità dirà di essere la migliore. Non dirà cosse false, ma farà forse vedere solo i dati dai quali esce meglio; • Le pubblicità che funzionano sono quelle che parlano alla pancia delle persone, non alla testa, quelle che ci emozionano anche se di razionale non c’è niente; 
 Le pubblicità che parlano solo alla testa funzionano molto raramente, proprio perché non ci fanno emozionare, e quindi sono “difficili” da realizzare. Ad esempio la pubblicità del nuovo iPad è “solo emozioni”: gioca sui nuovi colori e non utilizza dati pere descrivere il prodotto. La comparazione pura, razionale, funziona quando ce la facciamo da soli (ad esempio quando vogliamo fare un viaggio e compariamo le diverse tariffe delle compagnie aeree). Se la fa la compagnia il consumatore, abbiamo detto, rimane diffidente.
 Quando nella pubblicità comparativa sfidi il leader lo devi fare con attenzione! Perché l’altro potrebbe rispondere e se è il leader di mercato potrebbe anche “vincere la sfida” umiliandoci.
 Un caso in cui questa tecnica funziona è sulle tariffe (telefoniche, aeree così via). Metto a confronto la mia tariffa con quella dei concorrenti e se i dati sono giusti nessuno potrà contestarla; inoltre le persone, a parità di aspetti emotivi, le persone lavorano tanto anche sugli aspetti razionali! Se offro una tariffa più bassa i consumatori preferiranno quello che io ho da offrire e sceglieranno me (lavoriamo quindi solo sulla loro razionalità). Questa comparazione funziona perché va a colpire persone che in quel momento hanno come unico metodo per decidere quello più razionale (e non c’è niente di più razionale del prezzo del prodotto).
 
 
 
 77 
 In questo modo ci inserisce in temi già aperti. Vedi Certe con le elezioni: in quei giorni le persone erano sicuramente molto sensibili a quel tema e diventa più facile “colpirli” e intercettarli.
 Un esempio sono le pubblicità realizzate da Taffo: utilizza l’instant marketing per fare brand awareness. Elezioni, Totti lascia il calcio, Cattelan e la sua opera con la banana attaccata al muro sono tutti argomenti “di attualità” che l’azienda riprende sul momento le news e fa la sua pubblicità.
 La mappa realizzata da Rebecca Lieb e Jessica Groopman è molto utile per capire quali sono le opzioni che si hanno a disposizione per gestire questo tipo di eventi. 
 Pubblicità Ceres. Riprende la candidatura della Moretti, che poi non viene eletta. Quindi giocano sul suo cognome, che è anche il nome di una birra concorrente: quindi sfruttano il momento per farsi pubblicità 80 22 Dicembre
 Abbiamo parlato della tecnica comparativa, che possiamo utilizzare tutta la comunicazione dell’azienda. Mette a confronto il nostro prodotto con quello di un competitor.
 Un limite legale è quello di riportare dati oggettivi, veri e verificabili; senza screditare il competitor. Non si danno giudizi sul prodotto del competitor, ma lasciamo che siano i numeri a parlare per noi. È legale, ma viene poco utilizzata per diversi motivi: • FairPlay delle aziende (se attacchiamo un competitor lui farà la stessa cosa); • Diffidenza di chi la riceve, perché chi fa la comparazione è l’azienda che produce uno dei prodotti; • È totalmente razionale! Le pubblicità che funzionano di più sono quelle che giocano su emozioni e sentimenti (quindi quelle che parlano alla pancia delle persone); L’arrivo del digital ha fatto nascere quella che abbiamo chiamato la comparativa 2.0, in cui c’è un botta e risposta simpatico (una sorta di sfottò) col competitor che chiamiamo in causa. Non compariamo nulla se non l’immagine. In questo caso ci si aspetta la risposta da parte del competitor, perché poi può diventare una sorta di “gioco al rialzo”.
 Non è una comparativa pura perché non confronta nulla e non punta alla razionalità (ma alla sfera che tocca elementi soggettivi e non oggettivi). La comparativa 2.0 funziona molto nel punto vendita, quindi sulla fisicità, oltre che online (nel secondo caso può addirittura virale).
 L’instant marketing (o real time marketing) è collegato alla comparativa: è l’attività di postare contenuti partendo dall’attualità e legandoli al proprio brand. È una attività totalmente nuova, dovuta alla nascita dei social; non esisteva nemmeno la professionalità per farla: sono sempre copy e art a lavorarci, ma è proprio un altro modo di pensare (oltre ad essere sbilanciato più verso il copy che verso l’art).
 Alcune caratteristiche dell’instant marketing: • immediato; • reattivo; • istantaneo; 
 Inoltre la pubblicità classica ha sempre avuto il problema di ricevere un feedback, inventandosi molti modi per monitorarlo. Il creativo quindi tende anche molto a disinteressarsi. Oggi i creativi sono in realtà sono anche SMM, content manager ed è tutto molto più fluido; ma devono anche scontrarsi col feedback di chi la vede e ci interagisce. Cambia quindi l’approccio mentale, anche se le caratteristiche rimangono bene o male sempre le stesse: • Sintesi; • (attenzione a) impaginazione; • relazione tra copy e visual (se cito il nome del brand nell’headline non utilizzo il font del logotipo, ma quello della headline); Quindi i fondamentali restano sempre i fondamentali anche per il mondo del digital.
 Nel gestire questo tipo di attività può essere utile ragionare in termini di attività pianificata o non pianificata. Nel piano editoriale saranno pianificate numerose attività, tipologie di post e vengono inserite tutte le cose e gli eventi noti che accadranno nei mesi di piano. Ma alcune cose ì, legate all’attualità, non possono essere programmate! Ad esempio posso programmare di pubblicare qualcosa in relazione alle elezioni che si terranno in una data nota, ma non posso già definire quale post (posso prepararne diverse opzioni, ma fino all’ultimo non saprò quale andrò a pubblicare). Oppure posso orientarmi verso quelli che sono i trend topic del giorno/momento e realizzare un post.
 Il creativo classico non ha nulla di tutta quest’area, perché si lavorava solo su quanto era possibile programmare e le aziende erano proattive (avviavano loro la comunicazione col pubblico, ma la cosa poi finiva lì). 
 81 Non c’era un dialogo con le persone, un confronto, che oggi invece diamo per scontato che ci sia. Il fattore tempo è fondamentale: bisogna esserci nel momento giusto (meglio un lavoro non proprio perfetto fatto in tempo, che uno perfetto consegnato però in ritardo). Bisogna esserci nel momento giusto. Non dobbiamo trascurare il fattore tempo, oggi la comunicazione è efficace se è una comunicazione “qui e ora” (altrimenti servirà a poco).
 
 Jingle
 Si tratta di musica/canzone fatta ad hoc per la pubblicità, in cui si cita il brand. Sembra un accessorio dello spot, a cui lo aggiungiamo per far ricordare il brand. In alcuni casi è così, ma lo consideriamo tra le tecniche creative vere e proprie perché in tanti spot il jingle è la creatività. Quando usiamo il jingle? Dipende dal brief. Ad esempio per i prodotti nuovi o quando dobbiamo fare brand awareness. Quindi il jingle è un modo per diventare “top of mind”. Oggi è usato meno perché “fa molto anni ottanta”, ma è molto efficace perché è audio e lavora in modo irrazionale. È efficace proprio perché lo memorizziamo anche senza volerlo; si impone nella testa del consumatore senza che questo voglia effettivamente. ricordarlo/memorizzarlo. Essendo irrazionale il consumatore non lo considererà nemmeno “spam”. perché appunto è un elemento irrazionale. Le aziende lo usano perché tornerà in mente quando le persone saranno nel pieno del processo di acquisto: una persona su dieci, indeciso su quale prodotto acquistare, comprerà il prodotto di cui ricorda il jingle. Alcune aziende, nel tempo, hanno anche cambiato il jingle.
 Il jingle non è solo un accessorio, ma lo definiamo come una vera e propria tecnica pubblicitaria, perché è il jingle il modo per far memorizzare il prodotto/brand; è quasi il video a diventare un accessorio della musica.
 Come si fa un jingle? Si va dai professionisti che li realizzano, secondo determinate regole di composizione. Solitamente sono musiche molto semplici, con accordi “in maggiore”, tutto molto allegro. Quello che funziona meglio è il jingle che ha il nome del brand nel ritornello. Ovviamente deve essere facile da memorizzare e ricordare. 
 Quando scegliamo una canzone già conosciuta (come fa cornetto algida che usa tormentoni estivi), il meccanismo è totalmente diverso! Non si cita il prodotto, perché la canzone esisteva già prima, ma serve per far associare la canzone al prodotto. La canzone la sentirò anche fuori dallo spot, ma nella mia testa la associo inconsciamente al prodotto della pubblicità.
 
 
 Testimonial
 Diverso dall’uso degli influencer, si tratta di personaggi famosi, un attore/cantante/ calciatore che viene pagato perché il mio prodotto venga associato al suo nome.Il personaggio scelto potrebbe anche non essere un utilizzatore del prodotto, potrebbe anche non averlo mai visto. Viene pagato per parlarne, “recitando” un testo già scritto (come un copione di un film o una serie tv). Un esempio è la pubblicità Sky con Mika o quella di Sky Glass con Laura Pausini. Il meccanismo funziona sul concetto che se quella persona famosa ne parla bene allora il prodotto è da comprare. Funziona bene sulle fasce più anziane della popolazione, ma comunque ancora funziona. La credibilità del testimonial si trasferisce sul prodotto. Viene preso per periodi abbastanza lunghi, dai sei mesi ai diversi anni. Quella persona si impegna a fare un tot di. spot, un certo numero di campagne dii affissioni e tutto quanto previsto dal contratto che è stato firmato. 
 Di solito il contratto. Prevede l’esclusiva merceologica, quindi se pubblicizzo un’azienda (es. Barilla). non posso fare pubblicità per aziende dello stesso settore (es. Rummo o Voiello), ma posso eventualmente farla per aziende di altri settori (es. per TIM). In altri casi si richiede l’esclusiva totale (quindi non si possono fare pubblicità per altre aziende).
 82 
 Vediamo che il cuore del gioco di parole sta in quello che voglio raccontare al pubblico. Se il gioco di parole non riesci a trovarlo è meglio evitare di utilizzare questa tecnica. Non deve essere sganciato da quello che fai e quello che vuoi dire. Se è fatto bene, ci lascia sempre qualcosa in più della semplice simpatia del brand. Lascia quasi un rimando all’intelligenza del brand, nell’utilizzo sottile di questo modo di fare pubblicità. Non va usato quando non c’entra nulla col prodotto! Non bisogna compiacersi dell’aver fatto ridere il pubblico, la pubblicità che si compiace poi sicuramente non funzionerà. Pubblicità Smart. Il gioco di parole non è sulla macchina, ma sulla vernice opaca (“matt”) che era possibile applicare alla macchina. L’oggetto della comunicazione è la smart con vernice opaca (“matt” in inglese) e il gioco di parole è su smart-matt. 85 15 & 17 febbraio
 Per rispondere a “quando è nata la pubblicità?” dobbiamo prima decidere se parliamo di quando l’uomo ha deciso di iniziare a rendere pubbliche le cose o parliamo di altro. Perché dire le cose pubblicamente è una attitudine che l’uomo è da sempre. Anche la disciplina pubblicitaria non ha una vera e propria data di nascita. C’è stato fermento nel ‘700, ma oggi si usa la tecnica nata negli anni ’50 con la nascita della professione negli Stati Uniti.
 Ricordiamoci che dobbiamo comunicare una sola cosa alla volta, in modo costante e martellante (hard selling). Dobbiamo parlare di una cosa sola, quindi parliamo di unique selling proposition.
 
 Hard selling. Pubblicità o campagna che utilizza un messaggio di vendita più diretto e palese. Si tratta di quella che Reeves chiamava teoria del martellamento, che consisteva nel ripetere incessantemente (anno dopo anno e campagna dopo campagna)s il benefit distintivo del prodotto pubblicizzato, perché più viene ripetuto e più rimane nella testa delle persone. 
 Soft selling —> Tecnica che tende far convincere il consumatore da solo. Ad esempio il product placement: ti faccio vedere il prodotto così ti convinci da solo a comprarlo.
 
 Abbiamo definito la “Tecnica problema-soluzione” come la tecnica madre della pubblicità! Ti facciamo vedere il problema e poi la soluzione proposta. Si usa l’iperbole, figura retorica che indica l’amplificazione (del problema). Si deve stare molto sul problema e molto poco sulla soluzione, e questo fa la differenza tra cosa funziona e cosa no.
 
 Il target è composto da tanti piccoli tasselli, costruito sula base di tanti aspetti sociali, demografici, economici e così via. Target RA: “responsabile d’acquisto”. Chi decide cosa si compra, anche se non ci mette i soldi (es. la moglie fa la lista della spesa, il marito va al supermercato. Il responsabile d’acquisto è la moglie).
 
 I nostro cervello, si divide in due parti: una fa capo alla razionalità e l’altra alla creatività.
 Lo stesso vale per la pubblicità: una parte è quella creativa, l’altra parte è quella più razionale che si occupa dei media.
 
 Cosa sono i media, quindi? Settore pubblicitario che si occupa della pianificazione, dove verrà mandata la pubblicità, in che formati, area geografica, budget e così via.
 
 Piano media: piano che descrive, nei dettagli, la pianificazione della creatività. Documento che aiuta il dialogo col centro media.
 
 I soggetti del mondo pubblicitario sono cinque.
 Cliente: ha i soldi che vengono investiti. Il cliente è il soggetto che deve comunicare qualcosa e fornisce il brief all’agenzia Agenzia creativa: realizza la creatività; Centro media: soggetto che aiuta il cliente nella pianificazione della pubblicità. Concessionaria: società che vende gli spazi pubblicitari; Editore: quello che pubblica il mezzo usato per la pubblicità;
 
 I soggetti che si occupano dei media sono due, il centro media e la concessionaria.
 
 86 Un concetto importante è quello del GRP, Gross rating point, unità di misura utilizzata in ambito pubblicitario per indicare il livello della pressione pubblicitaria esercitata da una campagna pubblicitaria sul pubblico di riferimento Quanta pubblicità —> quante persone in target la vedranno —> quante volte la vedranno. Il fuori target non entra nel GRP perché non ci serve conoscerlo e andrebbe a falsare le statistiche che utilizziamo per calcolarlo.
 
 GRP= copertura (reach)*frequenza
 
 Ovviamente i numeri emersi dalla formula vanno sempre contestualizzati, ad esempio in termini di budget/persone raggiunte/numero di passaggi. Dobbiamo avere anche dei termini di paragone per valutare.
 Le formule per il calcolo del grp sono molte, proprio perché è un qualcosa di molto evoluto.
 
 A che costo? Quanto ho speso e quanta pubblicità ho fatto.
 La formula quindi è investimento netto/grp 
 Abbiamo detto che il GRP è un indice inventato per misurare la pressione pubblicitaria. Parliamo di indice sintetico della pressione pubblicitaria perché fa la sintesi di due elementi: 
 - copertura (le persone raggiunte)
 - frequenza (quante volte ho raggiunto il mio target);
 
 In pubblicità la copertura si calcola solo sul target: il fuori target non viene considerato perché non fanno parte delle persone da cui vogliono il feedback (e che vogliamo che comprino i prodotti).
 
 L’annuncio visto una sola volta è come se non fosse stato visto, a parte rari casi (ad esempio le pubblicità dei farmaci). Lo spot funziona da un certo numero di visualizzazioni in poi (ad esempio almeno 6/7 passaggi al giorno): oggi siamo sommersi da miriadi di pubblicità, il nostro cervello filtra tantissime informazioni e dobbiamo quindi rimanere in testa al nostro target.
 
 Se il target è pari a “100”, va poi considerato che non tutti potrebbero aver sentito/ guardato l’annuncio. Quindi per ogni passaggio andrebbe calcolata la percentuale di quanti hanno visto o ascoltato. Come lo calcolo? Ovviamente nel mondo digital è più facile (e paghiamo solo per le cose che ottengo, ad esempio paghiamo “per 100 click”, “100 visualizzazioni”, “tot nuovi contatti”.
 
 Per il mondo non digital sono le concessionarie a fare una stima delle percentuali d’ascolto. In base a quella stima, molto vicine alla realtà (il margine d’errore è molto stretto), si decideranno i passaggi delle pubblicità. La concessionaria conosce il target, quindi sapendo anche il numero di passaggi possiamo calcolare quale sarà il nostro grp.
 Il dato finale va contestualizzato, analizzando se e quanto abbiamo raggiunto il nostro obiettivo finale (ad esempio le vendite). Quindi sul digital abbiamo molti più strumenti per calcolare e stimare utenti e altri dati.
 
 Reach: portata 
 OTS: Frequenza (opportunity to see)
 —> quando parliamo del GRP ricordiamoci di indicare entrambi i dati, perché ci servono per valutare i risultati e decidere se e cosa cambiare le prossime campagne. 
 87 1 Marzo
 La parte dei media ha un linguaggio proprio, attraverso il quale parla di quello che fa e attraverso il quale possiamo valutare il lavoro svolto.
 Abbiamo detto che il GRP è un indice sintetico della pressione pubblicitaria. Si tratta di un numero, formato mettendo insieme due elementi. Sono alla base del calcolo: • copertura del target: • Prima della campagna: percentuale del mio target che voglio raggiungere; • Dopo la campagna: percentuale del target effettivamente raggiunto; • frequenza quante volte lo sport è stato visto; 
 Copertura*Frequenza = GRP.
 
 (GRP: gross rating point, indice sintetico della pressione pubblicitaria) Se il target vede la campagna una o due volte, questa è una frequenza molto bassa e non gli rimarrà impresso (quindi meglio non fare la campagna).
 Per calcolare il GRP andiamo a guardare su quante persone abbiamo lavorato e quante volte li abbiamo colpiti. Il grp viene analizzato storicamente, diventando quindi la base per le pianificazioni successive. Ogni azienda avrà, quindi, un suo storico del GRP sul quale basare le analisi. Tutti i mezzi possono essere misurati in GRP, tranne il mondo digital (che ha le sue metriche). I risultati dei vari canali possono successivamente essere sommati per arrivare a un numero complessivo). Ovviamente devo avere un metro di paragone sul quale basarmi in futuro: uno storico dei dati che poi userò per un confronto col calcolo successivo.
 Le campagne pubblicitarie si programmano dalla domenica al sabato, perché si basa sulla settimana considerata Stati Uniti (dove per consuetudine la settimana parte la domenica). Le campagne possono lavorare in due modi: • In continuity: quando la campagna continua senza interruzione. Solitamente si usa sui mezzi di settore; • Flight: tecnica solitamente utilizzata sui principali mezzi di comunicazione, rappresenta lo standard. Si porta avanti per un periodo limitato di tempo, solitamente due settimane. Il nome fa riferimento ai nomi dei voli da guerra, pianificati “a momenti alterni”; La tecnica flight si utilizza guardando a quella che è la curva del ricordo: serve a capire quando cc’è la necessità di investire di nuovo perché il ricordo del pubblico è al suo minimo: • All’inizio della campagna pubblicitaria il ricordo è alto; • Successivamente, in assenza di pubblicità, la curva scende. Quando torna al minimo, all’origine, allora si pianifica un’altra campagna; Tutto è estremamente studiato e cadenzato. Non c’è niente di casuale, ma tutto viene studiato e analizzato (anche quando devo stare zitto, quindi non mandare campagne).
 Indice di affinità. Numero a cui dobbiamo dare un significato. Ci dice quanto quel break che sto comprando è giusto per il target che voglio raggiungere con la mia campagna. Il baricentro è aa 100, valore che indica la buona corrispondenza del break con il target che voglio raggiungere. Se il valore è maggiore di 100 vuol dire che è molto affine a quanto sto cercando. Viene quindi utilizzato per identificare programmi e veicoli migliori per la mia attività di pianificazione degli spot pubblicitari. È quindi un indice della capacità del mezzo di raggiungere, all’interno dell’audience, quello che è il mio target di riferimento (quante persone in target raggiungo). Il valore viene espresso in indice di concentrazione e concorre alla costruzione dei valori di frequenza di un piano. 90 
 Ascolto medio: numero di persone che di media stanno ascoltando il programma (quindi lo spot trasmesso durante quel programma).
 
 La share è molto importante perché, al netto di indicarmi quante persone hanno guardato un programma, mi permette di capire qual è il programma più visto di una serata (quale programma ha. “vinto” la serata, quindi quello più guardato).
 Le sfide in ambito editoriale si giocano tutte sulla share! In termini pubblicitari sono importanti sia lo share sia l’ascolto medio.
 
 Vediamo adesso un esempio di piano media con indicati i vari break ed altri dati relativi alla programmazione degli spot. Vediamo che all’inizio viene indicato: • chi ha fatto il piano media (quale centro media); • il cliente per cui è stato fatto; • Il target • il periodo di riferimento; • Il media mix scelto; 
 
 Dopo la programmazione di un flight specifico, come nell’esempio, troviamo la programmazione di tutto l’anno. Questo perché il cliente, a colpo d’occhio, deve poter vedere subito dove sta andando; inoltre si capisce se è necessario fare degli aggiustamenti in base a quelli che sono i canali da utilizzare o il budget da stanziare. Vediamo che il target è sempre molto importante. Se viene indicata solo una fascia specifica d’età, senza aggiungere altro, non c’è differenziazione in termini di altre caratteristiche socio-demografiche! Nel caso dell’esempio, quindi, il target sarà composto da uomini e donne in misura uguale (senza ulteriori caratteristiche specifiche in relazione all’istruzione, alla fascia di reddito e così via). 54 anni: ultimo anno della forbice d’età Auditel considerata come “forbice commerciale”. Il target 25-54 anni è il target che spende di più, anche se oggi l’età si sta spostando in avanti (chi ha 60 anni ha maggiori disponibilità economiche di chi ha 20/25 anni).
 
 Per ciascun periodo è ovviamente indicato anche il periodo (in termini di mesi/settimane, giorno di inizio e fine) e vediamo che nel piano media vengono programmati anche i periodi di silenzio. Nella tabella della programmazione portata come esempio, vediamo che nella prima riga sono segnati i vari flight previsti dalla campagna: • 3 settimane di flight; • 5 settimane di silenzio; • 2 settimane di silenzio; • 6 settimane di silenzio; • … Ovviamente le date non sono casuali, viene tutto studiato in precedenza. Quindi è tutto studiato nel minimo dettaglio, anche se c’è comunque margine d’errore.
 Le curve di ricordo le scopriremo solo successivamente rispetto alla messa in onda, anche se attraverso delle indagini possiamo rivedere alcuni particolari della pianificazione (ad esempio anticipando un flight rispetto a quanto era stato previsto).
 
 Per quanto riguarda la stampa specializzata, spesso si lavora con una programmazione in continuity. La pubblicità costa di meno, ed è importante che le aziende siano presenti.
 91 Vediamo che non viene indicato il “prezzo lordo” del break, ovvero il prezzo di listino (a quanto la concessionaria mette in vendita il break). 
 Ogni cliente ha il suo sconto, che porta dal lordo al prezzo netto. Quindi quanto il cliente sta realmente pagando. In realtà quello che le aziende spendono è il “nettissimo” (in sigla “net net”): ovvero il netto con un ulteriore sconto del 15% (fisso). Si ha questo sconto quando si passa attraverso un centro media.Quando si pianifica, l’unico numero economico che si guarda è quello relativo al “net-net”.
 Nel piano viene indicato anche.
 
 Altre voci del piano: • cosa si acquista da ogni singola concessionaria; • Conto economico: quanto sto spendendo; • Risultati di comunicazione: cosa sto ottenendo in termini di comunicazione (grp, copertura, frequenza); 
 GRP: possiamo calcolato sia per gli spot a 15” sia per gli spot a 30”. Ovviamente, però, per poter confrontare i due valori dovrò prima fare un calcolo per renderli confrontabili.
 Come? Se ad esempio ho: • Prima campagna: grp di spot a 30”; • Seconda campagna: grp di spot a 15”; Devo “normalizzare” i grp degli spot a 15” rispetto a quelli da 30”. (quindi calcoliamo a quanto ammonterebbero se gli spot della seconda campagna media fossero stati di una lunghezza pari a 30”).
 Cinema: gli spot si comprano “a schermi”. Inoltre, il costo sarà differente tra gli spot mandati a luci accese e quelli mandati a luci spente (nel secondo caso costano di più perché si ha maggiore. Attenzione da parte del pubblico).
 
 Il cliente come paga agenzia e centro media? Si può fare in due modi: • A forfait. L’importo è fisso e solitamente questo è la modalità scelta per pagare le agenzie. Viene dato un importo fisso all’anno e po, però, l’agenzia dovrà fare una creatività ogni volta che il cliente lo chiede! Infatti, in realtà, spesso il contratto viene blindato almeno in parte (ad esempio indicando un numero di creatività da fare durante il periodo indicato); • A percentuale. Si tratta di una percentuale di quello che è l’investimento complessivo. Si chiama free (quindi “compenso”) e solitamente è il metodo adottato per pagare i centri media; 
 
 Nascita dell’offerta: dal palinsesto al palbreak per vendere la pubblicità 
 Gli spazi vengono venduti dalla concessionaria, per conto dell’editore. Tutto quello che è in vendita ha un prezzo, quindi anche gli spazi pubblicitari hanno il loro prezzo (che viene pagato dalle aziende che li comprano).
 Come si fa a decidere quanto costa uno spazio pubblicitario? Sappiamo che tutto quanto è sul mercato ha un prezzo, che ovviamente viene deciso da qualcuno. Il prezzo non dovrebbe essere solo la somma del costo per la produzione e il profitto che voglio; questo funziona solo in quelli che sono i mercati più primordiali (e “semplici”). È un meccanismo iniziale per dare un prezzo ad un oggetto. In realtà sappiamo che il prezzo non è solo il risultato di quella somma, ma è una leva che si basa anche sul come voglio posizionarmi. 
 
 92 Abbiamo detto, quindi, che si deve fare una stima dei (probabili) ascolti per dare un valore economico al break. Le stime si fanno partendo da analisi relative a: • Tendenza recente; • Tendenza pari periodo; • Precedenti del programma; • Campagne promozionali; • Età del format; • Meteo; • Indice di zapping del programma e del target; 
 Lo zapping varia in funzione di cinque aspetti: • Fascia oraria: la mattina se ne fa di meno rispetto alla sera; • Genere: le donne fanno meno zapping degli uomini; • Età: i bambini fanno meno zapping; • Integrazione col contenuto editoriale; • Controprogrammazione editoriale e pubblicitaria; Cos’è lo zapping: la flessione della curva dell’ascolto rispetto ai 10 minuti limitrofi.
 Esempio: • AM break = 700; • AM 5’ prima = 1.100; • AM 5’ dopo=900; • Media minuti limitrofi = 1.000; • Delta = 300; 300:1.000 = 30% zapping pubblicitario 
 Una volta fatta la stima degli ascolti si decide il prezzo, in base al quale si crea il listino. Il prezzo varia in base a: 1. Domanda di mercato 2. Disponibilità del prodotto 3. Stagionalità degli ascolti 4. Contatti attesi 5. Target 6. Collocazione oraria 
 Leibenstein (1950) individua tre meccanismi di influenza sociale alla base di tre tipi di condizionamento: 1. Effetto valanga (bandwagon effect): funziona grazie a una motivazione di tipo conformistico. Adottiamo un modello di consumo con più frequenza in base alla sua (maggiore o minore) diffusione nel contesto sociale a cui apparteniamo; 2. Effetto snobistico (snob effect): si basa su motivazioni opposte al precedente. La motivazione è anticonformista: un modello diventa desiderabile se è poco diffuso nel contesto a cui appartengo: 3. Effetto Veblen: secondo Veblen il consumo ha uno scopo dimostrativo, finalizzato a certificare il mio status socioeconomico e la mia posizione sociale. Quindi consumiamo per elevare il nostro status sociale; Bordieu nel 1983 parla di tre tipi di capitale dell’individuo: 1. Capitale economico: quello relativo alla disponibilità finanziaria; 2. Capitale culturale: il suo bagaglio di conoscenze e cultura; 3. Capitale sociale: relativo a quantità e qualità delle relazioni sociali; La combinazione di questi capitali rappresenta una “matrice” alla base delle scelte di consumo in cui tutti noi ci collochiamo.
 95 3 Marzo
 Vediamo un video del regista Duccio Forzano che mostra cosa succede in regia durante una diretta col regista che deve sapere camere, luci, tempistiche (anche quando devono andare in onda gli spot).
 Fiat 500 pubblicità con Leonardo di Caprio. Uso del testimonial, che mostra “come possiamo essere vip anche senza il macchinone”. 
 Tecnica problema-soluzione relativo al fatto che molti non prendevano la 500 perché due porte e la pubblicità mostra una terza porta (soluzione al problema delle porte).
 Uso della gag giocata sul prodotto e non all’italiana, che quindi gioca sulla reason why del prodotto. È una gag ironica si, ma non come quelle tipiche italiane alle volte anche esagerate e non giocate sul prodotto (che viene “incollato” solo alla fine dello spot). 
 Ricordiamo le fasi del passaggio dal palinsesto editoriale alla vendita: • Palinsesto editoriale; • Palinsesto pubblicitario (palbreak); • Stime; • Pricing; • Listino; • Vendita; 
 Esistono diversi piani editoriale per diversi target. Avremo il calendario generale per tre mesi (di solito si fanno in base alla stagione (autunno – inverno-primavera -estate) che sarà generico riportando “film” nelle serate in cui si trasmetterà un film. Abbiamo poi un palinsesto settimanale nel quale vengono inseriti anche i titoli dei film.
 
 La Rai per legge può fare molta meno pubblicità rispetto alle altre reti. Questo significa che nei vari break sulla rai troveremo meno spot trasmessi: questo può significare maggiore visibilità perché i vari break sono meno affollati.
 
 Il break viene deciso per motivi editoriali. Prendiamo ad esempio la prima puntata di Sanremo 2023, con Mattarella. Durante la prima parte non sono stati trasmessi spot; probabilmente erano previsti dal piano pubblicitario, però essendoci lì il presidente e Benigni che interagiva con lui potrebbe anche essere che il regista abbia deciso che lì in quel caso non sarebbero stati trasmessi spot (era un momento troppo importante per tagliarlo con la pubblicità). 
 Il Billboard è considerato un fuori spot quindi non entra nel calcolo dell’affollamento pubblicitario, al contrario dei consigli per gli acquisiti o i “questo programma è offerto da…”. Ricordiamo quindi la differenza tra: • Billboard: forma di sponsorizzazione. Il cliente sceglie uno o più programmi a cui abbina il proprio marchio, in video si vedrà il logo del cliente con la dicitura “Questo programma è presentato da”; • Invito all’ascolto: quando anziché il logo si vede un piccolo spot, sempre con la stessa dicitura, concettualmente non cambia nulla ma con l’invito all’ascolto il cliente ha più visibilità e di conseguenza è un formato più costoso rispetto al billboard; 
 
 
 
 
 
 
 
 96 Le stime di ascolto dei break partono da analisi specifiche che tengono conto di vari aspetti come: • Le tendenze raccolte devono far riferimento allo stesso periodo da stimare (se devo fare il palinsesto estivo devo guardare come andava il canale nel 2022); • Devo poi fare i conti con le tendenze precedenti del programma stesso, anche se prima andava in onda su altri canali o in altre stagioni; • Sono poi previste anche altre tipologie di campagne promozionali? Perché queste andranno ad aumentare l pubblico stimato del programma; • Età del format: da quanto va in onda il programma? Avrà probabilmente un pubblico fidelizzato, ma i casi come il Maurizio Costanzo show diventato un cult sono pochi. Sotto i 4 anni auditel non traccia l’ascolto. Quindi si punta agli RA con figli.
 I bambini non fanno zapping perché ovviamente quando sono piccoli (diciamo sotto i 4 anni) non capiscono bene di cosa si tratta. Quindi su questo nasce un dibattito su quanto questo possa essere etico dire ai bambini “compra/fammi comprare”. Su Rai yoyo la rai ha deciso infatti di non fare più pubblicità (cosa che ha ovviamente portato una perdita in termini di soldi); • Meteo: quando piove si stima che più persone staranno a casa, probabilmente guardando la televisione. Infatti d’estate gli ascolti calano sempre; • indice di zapping del programma e del target-. A ogni interruzione pubblicitaria il pubblico diminuisce perché molti cambiano canale. Quindi dal totale di pubblico tolgo la percentuale di zapping; 
 Le pubblicità sono sempre contestualizzate. Sui canali per bambini è sempre molto verticale, perché non ci metteremo mai pubblicità di auto o cose simili, a meno che non siamo auto familiari (station wagon) o comunque cose adatta alla famiglia. Al massimo ci troveremo cose per la casa. La pubblicità DEVE ovviamente essere esplicita, nel senso che si deve dire che quella è una pubblicità. Non possiamo (mai) fare pubblicità occulta. Il pubblico DEVE sapere che ad un certo punto si sta facendo vedere pubblicità.
 
 Integrazione col contenuto editoriale. La pubblicità deve essere “in tema” con quanto si sta trasmettendo in quel momento: • un conto sarà porta a porta che è un programma generico; • diverso sarà un programma come moto GP o la formula 1: chi li guarda non sarà interessato alla pubblicità del detersivo; Quindi la pubblicità deve essere coerente.
 
 Controprogrammazione editoriale: se su un altro canale c’è un programma molto forte, ai break lo zapping sarà molto alta. Lo zapping lo esprimiamo in percentuale. Ogni programma ha un suo indice di ascolto e un suo indicie di zapping.
 Ovviamente l’indice di zapping inciderà sul prezzo richiesto per un determinato break.
 
 Una cosa importante. Le concessionarie fanno tutto questo con largo anticipo, sapendo cosi molto prima a quanto vendeeranno un determinato break che va in onda ad agosto.
 Successuvamente si va a fare l’analisi post-messa in onda. Si fanno quindi delle statistiche che ci daranno uno storico dei dati (e avremo dati sempre più precisi più si va avanti con le analisi). Se sbaglia la stima la concessionaria ci perde, sia che stimi di meno sia che stimi in eccesso. Se stimo 1 milione e il programma fa 900.000, il giorno dopo il cliente saprà che la concessionaria gli ha venduto un pubblico maggiore.
 Il rapporto concessioanria-cliente è molto importante. Ovviamente non si ridanno indietro i soldi, ma al massimo si regalano dei passaggi gratuiti. I centri media nascono per migliorare le performance d’acquisto dei clienti 97
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved