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Appunti Tecnologia Meccanica, Appunti di Tecnologia Meccanica

Appunti teorici del corso di Tecnologia Meccanica validi sia per il corso di Veicolo che per Meccanica. Appunti presi dalle lezioni tenute dalla prof.ssa Lucia Denti ed Elena Bassoli. Appunti completamente in digitale con anche disegni annessi per la comprensione del testo. Perfetti per lo studio teorico degli argomenti visti nel corso, e sia per un ripasso generale prima della prova orale. Ps. Non comprendono esercizi numerici. Gli argomenti trattati sono: -Prove tecnologiche -Fusione -Altre tecniche di Fusione -Deformazione plastica -Fucinatura/Forgiatura -Estrusione -Tranciatura/Punzonatura -Trafilatura -Imbutitura -Asportazione di truciolo_Taglio libero ortogonale -Modello di Pijspanen -Costruzione di Merchant -Potenza necessaria in asportazione di truciolo -Tornitura -Foratura -Fresatura -Rettifica -Meccanismi di usura utensili -Legge di Taylor -Ottimizzazione delle lavorazioni -Materiali per utensili -Saldature Scarica il file in formato PDF!

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 21/12/2023

serafix
serafix 🇮🇹

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Scarica Appunti Tecnologia Meccanica e più Appunti in PDF di Tecnologia Meccanica solo su Docsity! Appunti delle lezioni di tecnologia meccanica PROVE TECNOLOGICHE Prova di trazione Nella prova di trazione sottopongo un pezzo di materiale detto ‘Provino’ con una sezione iniziale ‘S0’ ad una determinata forza applicata lungo il proprio asse, provocando un allungamento del provino che farà variare la sua sezione. Per quantificare dal punto di vista analitico la tensione alla quale è sottoposto il provino istante per istante, definiamo la ‘TENSIONE NOMINALE’ indicato con ‘σ’(sigma), il rapporto: 𝜎𝑁 = 𝑃𝑆0 = [ 𝑁𝑚𝑚2] = [𝑀𝑃𝑎] 𝑑𝑜𝑣𝑒 ∶ 𝑃 = 𝐶𝑎𝑟𝑖𝑐𝑜 𝑠𝑢 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑖𝑛𝑜 ; 𝑆0 = 𝑆𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑖𝑛𝑜 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 Un altro parametro fondamentale è calcolare la deformazione, ovvero di quanto si allunga il provino che da una lunghezza iniziale ‘L0’ passa ad una lunghezza finale ‘L’, definiamo così la ‘DEFORMAZIONE NOMINALE’ indicata con ‘ε’, il rapporto: ε𝑁 = 𝛥𝐿𝐿0 = 𝐿 − 𝐿0𝐿0 = [%] 𝑑𝑜𝑣𝑒 ∶ 𝛥𝐿 = 𝐴𝑙𝑙𝑢𝑛𝑔𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑖𝑛𝑜 ; 𝐿0 = 𝐿𝑢𝑛𝑔ℎ𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑖𝑛𝑜 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 Mettendo in relazione la Tensione e la Deformazione nominale, posso formare un grafico chiamato ‘GRAFICO TENSIONE-DEFORMAZIONE’. Dove appunto sull’asse delle ordinate (asse y) avrò la tensione nominale in MPa e sull’asse delle ascisse (asse x) la deformazione nominale in %: In generale quando si esegue una prova di trazione su di un qualsiasi provino si avrà una prima zona chiamata ‘CAMPO ELASTICO’ caratterizzato da un tratto indicato come ‘TRATTO ELASTICO’, dove la tensione cresce in maniera lineare rispetto alla deformazione. In questo tratto vale la Legge di Hooke  𝜎 = 𝐸 ε = [𝑀𝑃𝑎], dove 𝐸 = 𝑇𝑔𝛼 ed è il modulo di Young solitamente tabellato in base alle normative. Se in qualunque punto del tratto elastico esempio ‘A’ si dalla curva disegnata in verde sul grafico precedente, definisce quella che viene detta ‘TENACITÀ’ del materiale e indica la quantità di energia che il materiale è in grado di immagazzinare fino alla rottura. Dal punto di vista analitico viene indicata come L’integrale ∫ 𝜎 𝑑ε = [ 𝐽𝑚𝑚3]εb0 . La Tenacità non è indice di resistenza a trazione del materiale, perché come si può vedere dal grafico sottostante dove si hanno due curve di sforzo-deformazione ‘A e B’ che indicano due materiali diversi, e dove in questo caso il materiale ‘A’ avrà una resistenza a trazione più alta rispetto al materiale ‘B’ che invece sarà più Tenace e Duttile questo perché ha un’area sottesa alla curva maggiore. Quindi in definitiva la Tenacità è correlata in parte alla resistenza a trazione e la duttilità del materiale. Come abbiamo detto in precedenza, ovvero che quasi sempre il provino sarà soggetto a strizione dal punto di resistenza a trazione in poi, ma appunto quasi sempre e non sempre in quanto questo dipende da materiale a materiale. Alcuni materiali non avranno strizione e quindi si potranno rompere senza mai raggiungere una strizione (curva A grafico sottostante). Esistono anche materiali che non hanno un punto di snervamento Rs ben localizzato come si può vedere dalla curva B del grafico a sinistra, ma avranno una zona chiamata zona di Instabilità dove non si avrà un cambio netto tra campo elastico e quello plastico, ma si avranno due punti limite di snervamento, uno inferiore ed uno superiore. Tutte le Curve TENSIONE-DEFORMAZIONE viste in precedenza sono dette ‘CURVE NOMINALI’ da dove andremo a calcolarci la tensione nominale 𝜎𝑁, la deformazione nominale ε𝑁 , la possibilità di ricavare il Modulo di Young ‘E’ , il punto limite di snervamento ‘Rs’, il valore delle resistenza a Trazione massima del materiale ‘RMAX’ ovvero tutte le quantità tabulate rispetto alla normativa UNI EN ISO di riferimento. Normativa che appunto ci indica come deve essere il provino, come deve essere trazionato e come calcolare le quantità sopracitate. In realtà esistono altre quantità che noi ci troveremo in fase di svolgimento della prova di trazione del provino che ci daranno una curva TENSIONE- DEFORMAZIONE definita ‘VERA’. La ‘CURVA TENSIONE-DEFORMAZIONE VERA’ dove si andrà a definire la tensione vera indicata con ‘𝜎𝑡 ’ che mette in relazione il carico sul provino diviso la sezione non più iniziale, ma istantanea ovvero misurata istante per istante nella prova  𝜎𝑡 = 𝑃𝑆 = [𝑀𝑃𝑎] Per calcolare la tensione vera nel campo plastico utilizzeremo l’ipotesi della costanza dei volumi, questo perché in campo plastico i volumi rimangono costanti rispetto al campo elastico dove le deformazioni sono dovute sostanzialmente allo stiramenti dei legami atomici del materiale. Definiamo anche la deformazione vera dove: 𝑑𝜀𝑡 = 𝑑𝐿𝐿 da cui 𝜀𝑡 = ∫ 𝑑𝐿𝐿 = ln 𝐿𝐿0𝑙0𝑙  𝜀𝑡 = ln 𝐿𝐿0 = [%] La curva tensione-deformazione in campo plastico nel caso ‘Vera’ rispetto alla curva nominale sarà sempre crescente (grafico a sinistra), questo perché la tensione è calcolata rispetto alla sezione istantanea e non quella iniziale, quindi anche in caso la stessi studiando nel momento della strizione del provino la sezione istantanea sarà molto piccola e la tensione continua a salire. Possiamo descrivere la curva Tensione-deformazione Vera nel campo plastico con la ‘CURVA DI FLUSSO’ che dice che: 𝜎𝑡 = 𝐾 ε𝑡𝑛 𝑑𝑜𝑣𝑒 ∶ 𝐾 = 𝐹𝑎𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 ; 𝑛 = 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑖𝑛𝑐𝑟𝑢𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 Nel caso in cui volessimo scrivere la curva in chiave logaritmica sarà che: log 𝜎𝑡 = log 𝐾 + 𝑛 log ε𝑡 Dove dal punto di vista grafico otterrò una retta, che avrà come l’incrocio con l’asse delle ordinate pari a log 𝐾 e l’inclinazione della retta sarà pari all’indice di incrudimento ‘𝑛’. Quindi le tensioni- deformazioni vere scritte in chiave logaritmica daranno vita ad una retta formata da dei punti distribuiti. Un’altra cosa da ricordare sempre nel caso di curva tensione-deformazione Vera che nel caso in cui il provino dovesse avere una strizione, la deformazione vera nel punto di strizione sarà pari all’indice di incrudimento ovvero  ε𝑡 = 𝑛 . Questo è possibile dimostrarlo partendo dal fatto che 𝜀𝑡 = ln 𝐿𝐿0 e sapendo che vale la costanza dei volumi ovvero che 𝑆 𝐿 = S0L0 allora anche 𝐿𝐿0 = S0𝑆 e quindi si scriverà e varrà sempre che 𝜀𝑡 = ln S0𝑆 . Sapendo anche che 𝜎𝑡 = 𝑃𝑆 dove per formula inversa si ricava che 𝑃 = 𝜎𝑡𝑆 , con la sezione istantanea che vale, applicando la costanza dei volumi 𝑒𝜀𝑡 = 𝑒lnS0𝑆 → S0𝑆 = 𝑒𝜀𝑡 → 𝑆 = S0𝑒−𝜀𝑡 . Da questo appena ottenuto ricordando che il carico nel punto di strizione nel caso ci fosse, avrà un punto di massimo nella curva tensione-deformazione e che dal punto di vista matematico il punto di strizione è il punto in cui la derivata del carico rispetto alla deformazione è uguale a zero  𝑑𝑃𝑑𝜀 = 0 , facendo la derivata della sezione istantanea si otterrà: 𝑑𝑑𝜀 (𝜎𝑡S0−𝜀𝑡) = S0 (𝑑𝜎𝑡𝑑𝜀𝑡 𝑒𝜀𝑡 − 𝜎𝑡𝑒𝜀𝑡) = 0 semplificando le costanti  𝑑𝑑𝜀 (𝜎𝑡S0−𝜀𝑡) = (𝑑𝜎𝑡𝑑𝜀𝑡 − 𝜎𝑡) = 0 si rivaca che  𝑑𝜎𝑡𝑑𝜀𝑡 − 𝜎𝑡 = 0 e visto che in campo plastico vale la curva di flusso 𝜎𝑡 = 𝐾 ε𝑡𝑛 si sostituirà e si avrà che  𝐾ε𝑡𝑛 = 𝑛𝐾ε𝑡𝑛−1 , e semplificando le costanti si ricava cheε𝑡 = 𝑛, dimostrando come appena detto che nel punto di strizione (massimo carico) la deformazione vera è pari all’indice di incrudimento. Si studiano ora casi in cui durante la prova di trazione del provino si andranno a variare o la velocità di deformazione o la temperatura: Nel caso in cui aumentassimo sempre più la Velocità di deformazione, come si può vedere dal grafico a sinistra, prendendo come riferimento la curva tensione-deformazione (1), si può vedere andando ad aumentare la velocità di deformazione, a parità di materiale la curva che si otterrà e la curva (2), che risulta più alta rispetto (1) e questo indica un comportamento diverso dello stesso materiale alla variazione della velocità di deformazione, denotando un modulo di Young (E) maggiore e quindi il materiale si comporterà in maniera più rigida, ma avrà una minore deformazione a rottura e quindi sarà meno Duttile. Mano a mano che si andrà ad aumentare la velocità di deformazione come si può vedere dal grafico, si ricava sempre a parità dello stesso materiale, un materiale con un modulo di Young sempre più grande ed una maggiore rigidità ma più fragile quindi meno Duttile e con un’apparente Resistenza a trazione (UTS) maggiore. Quindi più si andranno ad aumentare le velocità di deformazione, sempre più con un piezoelettrico che registrerà la deformazione. Da normativa risulta essere tassativo l’utilizzo dell’estensometro per il calcolo del Modulo di Young (E) , perché essendo caratterizzato da deformazioni molto piccole, calcolando con il solo dato della corsa in mm comporterà degli errori di approssimazione. La normativa afferma che per calcolare il modulo di Young, si dovrà calcolare la pendenza della corda, pendenza che si calcola con la formula: → 𝐸 = |𝜎2 − 𝜎1||ε2 − ε1| = [𝑀𝑃𝑎] Dove i relativi valori di 𝜎1, 𝜎2 e ε1, ε2 si ricavano sul grafico prendendo due punti campione sul tratto elastico della curva che proiettati sui rispettivi assi mi daranno i valori. (vedi grafico a sinistra). Tutti i valori tabulati come Modulo di Young (E), resistenza a trazione (UTS) e snervamento (Rs), verranno calcolati tutti secondo normativa (es. UNI EN ISO …) La prova di trazione si può definire statica, ma nello stesso tempo molto variabile perché è possibile sfruttarla per fare delle prove specifiche come ad esempio, diminuire o aumentare la velocità di deformazione e guardare come si comporta il materiale, o ad esempio montare un forno attorno al provino per fare una prova a caldo, oppure montare un sistema di raffreddamento per raffreddare il provino per svolgere un prova a freddo, e così via. Questo ci darà la possibilità di studiare un materiale con lo scopo di capire se è più o meno adatto all’utilizzo che se ne dovrà fare. PROVE DI DUREZZA Le prove di durezza sono prove che misurano la capacità di un materiale a resistere al fatto di essere indentato tramite un apposito indentatore sotto un certo carico. Quindi con queste prove andrò a misurare una capacità del materiale che solitamente può essere o una capacità di tutto il materiale o una capacità superficiale del materiale. Le prove di durezza provo delle prove NON distruttive come ad esempio la prova di trazione vista in precedenza. Le principali prove di durezza sono tre: - “BRINELL” espressa con “HB” - “VICKERS” espressa con “HV” - “ROCKWELL” espressa con “HR”  Prova BRINELL In questa prova si utilizza un indentatore a forma Sferica di diametro D=10mm, prodotto in un materiale molto duro come il carburo di tungsteno. Per eseguire la prova, andrò a premere sulla superficie del materiale mediante un carico variabile che può variare tra i 500 e i 3000 Kg, l’indentatore sferico. La sfera premendo appunto sulla superficie deformerà il materiale. Una volta deformata la superficie, la sfera verrà rimossa e lascerà un’impronta (calotta sferica) di diametro “d”. In generale la Durezza Brinell verrà calcolata come la forza applicata sull’indentatore, diviso la superficie dell’impronta a calotta sferica 𝐻𝐵 = 𝐹𝑆 Le durezze non hanno unità di misura e sono definire secondo normativa, quindi sono adimensionali. La cosa importante in questa prova che la sfera non lasci un’impronta molto grande sulla superficie del materiale. E’ importante che il diametro “d” dell’impronta, sarà minore di 0.5 volte il diametro della sfera “D”  𝑑 < 0.5𝐷 per far sì che la prova sia valida dal punto di vista della normativa.  Prova VICKERS: E’ una prova molto utilizzata in quanto molto versatile, perché impiegabile su un’ampia gamma di materiale come ad esempio materiali ceramici. Rispetto alla prova Brinell, l’indentatore ha una forma piramidale a base quadrata costruito con un materiale molto duro tipo il diamante. La prova si esegue andando ad imprimere sulla superficie sulla quale si dovrà eseguire la prova, l’indentatore mediante un carico, quest’ultimo deformerà la superficie. Una volta deformata la superficie dall’indentatore, quest’ultimo verrà rimosso e lascerà un’impronta a forma quadrata. Impronta che vista dall’alto avrà forma quadrata e sarà caratterizzata da due diagonali “d1” e “d2”. Queste due diagonali verranno misurate in maniera molto scrupolosa mediante l’utilizzo della tecnologia laser ed un software appositamente programmato, questo perché è importante che l’indentatore sia perfettamente perpendicolare rispetto la superficie da indentare, e se così non fosse la forma dell’impronta sarà ad esempio a forma rombica e quindi potrebbe invalidare la prova stessa. C’è però un range di accettazione tra le due diagonali “d1” e “d2” che non devono superare una differenza > 5%. Un altro parametro da tener conto in fase di verifica sulla validità della prova, e che agli apici dell’impronta non ci dovranno essere delle cricche (lesioni) o fessure, cricche molto facili da ottenere in fase di prova con materiali ceramici in quanto molto scalfibili. In generale la durezza Vickers verrà calcolata come la forza applicata sull’indentatore, diviso la superficie dell’impronta. 𝐻𝑉 = 𝐹𝑆 Anch’essa come la Brinell darà un numero adimensinale. Questa prova può essere eseguita con un range di carichi di carichi che variano da carichi molto piccoli a carichi molto grandi. E quindi parleremo di “Microdurezza” per carichi che variano da 50 a 1000g, e “Durezza” per carichi che variano da 1 a 120kg. PROVE DI IMPATTO Con le prove di impatto si andrà a studiare, come risponde il materiale ad un carico impulsivo ovvero un carico applicato in un intervallo di tempo molto piccolo che si riassume con il termine di “URTO”. Le Prove di impatto sono due e sono:  Prova di CHARPHY  Prova di IZOD Simili concettualmente, ma i differiscono l’una dall’altra nel modo in cui viene posizionato il provino rispetto al pendolo, durante l’esecuzione della prova. Queste prove vengono eseguite mediante un macchina costituita da un “PENDOLO”, concettualmente visto come una massa che viene alzata ad una certa altezza così da far guadagnare alla massa (pendolo) una certa energia potenziale. Questo pendolo con alla sua estremità un punzone, verrà lasciato cadere ed andrà a colpire il provino rompendolo, proseguirà la sua corsa risalendo fino ad un’altra altezza inversa a quella data di partenza come si può vedere dal disegno riportato tratteggiato. A seconda di quanto il pendolo risale dalla parte opposta formando un angolo ‘α’, si potrà calcolare la “RESILIENZA” del provino sottoposto alla prova. La Resilienza che non è altro che la capacità del materiale a resistere ad un urto. I provini utilizzati nelle prove di impatto sono caratterizzati da una scanalatura al centro, per facilitare la rottura come nel disegno riportato a destra. Come detto in precedenza le due prove Charphy e Izod differiscono l’una dall’altra in base a come viene posizionato il provino rispetto al pendolo. Nel Caso della prova Charphy il provino viene posizionato orizzontalmente (come nel disegno di sopra). Il provino, come si può vedere dal disegno di sinistra con vista dall’alto, sarà così posizionato e bloccato alle sue estremità, ed il punzone del pendolo andrà a colpirlo proprio in mezzeria. Mentre nella caso della prova Izod il provino è posizionato verticalmente, e come si può vedere dal disegno a destra in vista frontale, il provino è bloccato solo dalla base ed il punzone del pendolo andrà ad impattare non la mezzeria, ma la parte alta del provino provocandone la rottura. Prendendo in esame le due prove di impatto, ovvero prova “A” e prova “B”. La prima cosa che si può notare, è come nella prova “B” il pendolo sia risalito più in alto rispetto alla prova “A”. Questo sta ad indicare una maggiore Resilienza del materiale del provino utilizzato nella prova “A” rispetto alla prova “B”. Il provino nel caso della prova “A” essendo di un materiale più resiliente, ha la capacità di dissipare più energia potenziale del pendolo in fase di impatto, quindi il pendolo sfruttando più energia precedentemente acquisita, la fase di risalita sarà minore rispetto al provino “B”. La Resilienza indica appunto l’energia che viene dissipata per rompere il materiale. (Ps. Non si confonda la RESILIENZA con il modulo di Resilienza che si calcola nella prova di trazione ed indica l’energia elastica immagazzinata fino allo snervamento. La resilienza viene calcolata rispetto l’area della sezione più stretta all’intaglio del provino e non rispetto al volume). Anche questa prova per avere una certa credibilità dal punto di vista scientifico, e normata appunto da normative (es. UNI EN ISO….) che delineano come dovrà essere il provino, come dovrà essere il pendolo, il punzone e l’altezza dalla quale il pendolo dovrà partire prima della caduta libera. La Resilienza però oltre all’energia d’urto, è strettamente collegata alla temperatura d’esercizio del materiale stesso. La stragrande maggior parte dei materiali avrà grandissima resilienza a temperatura ambiente e temperature superiori, mentre nel caso di temperature più fredde ad esempio materiali sottoposti a temperature di -10°C o -20°C, quest’ultimi saranno sicuramente meno resilienti quindi qualunque urto potrebbe romperli. Come si può vedere dal grafico sulla destra, il materiale avrà una zona (Tratteggio verticale) che viene definita come “TEMPERATURA DI TRANSIZIONE DUTTILE- FRAGILE”, dove il materiale cambia il comportamento nel sopportare un urto (Resilienza), e questo è di fondamentale importanza nel caso in cui si volesse progettare un qualsiasi sistema in un certo materiale, che dovrà operare a temperatura molto basse, con questo un bravo progettista dovrà tenere conto di questo aspetto. PROVA DI CREEP (SCORRIMENTO VISCOSO) Nella prova di creep o scorrimento viscoso, si andrà a studiare il comportamento di un provino costruito in un certo materiale, sottoposto ad una certo carico o una certa deformazione che si manterrà costante per tutta la dura della prova. Nel prove di creep possono essere classificate in due modi: - A Tensione costante - A Deformazione costante Nella prova di creep viene sottoposto un provino in un determinato materiale, ad esempio a trazione (Ps.ma non solo) nel caso di tensione costante, e si andrà a studiare la deformazione di quest’ultimo in funzione del tempo ovvero al passare del tempo nella prova (Come si può vedere dal grafico sottostante). In questo caso si parte da un deformazione ε0 al tempo t0, e col passate del tempo, si avrà un aumento dell’andamento della curva riguardante la deformazione, dove si andranno a delineare diverse zone: I) Zona di creep primario in cui si avrà un veloce aumento delle deformazioni senza una correlazione tra il tempo e la deformazione del provino sottoposto a tensione costante; II) Zona di creep secondario, in questa zona si avrà un legame lineare tra l’aumento della deformazione ed il tempo. Dal punto di vista progettuale, è possibile vedere appunto quale sarà l’aumento della deformazione costante al passare del tempo; III) Zona di creep terziario, in questa zona la deformazione aumenta in maniera esponenziale ed il provino andrà ad un certo punto a rompersi. In generale nei componenti metallici a temperatura ambiente questo fenomeno di creep non accade, tranne nel caso di alte temperature ovvero a temperature omologhe (TOM) > 0.6, proprio per questo che questa prova viene fatta soprattutto su materiali metalli sottoposti ad alte temperature di esercizio. Può accadere in materiali come polimeri a temperature ambiente. Nel caso invece in cui il provino è sottoposto ad esempio a trazione con una deformazione costante, come si può vedere dal grafico alla sinistra, partendo da una certa tensione iniziale σ0, con il passare del tempo nella prova si avrà un rilassamento delle tensioni fino all’annulamento, provocando anche qui problemi meccanici (esempio dado avvitato con un certo carico che si svita). Mentre mettendo in relazione la variazione di densità della lega in funzione del Temperatura avremo che: La lega metallica come si può vedere dal grafico a sinistra, nel tratto da (1) a (2) la densità sarà molto bassa ad una temperatura molto alta, e che mano a mano nei tratti da (2) a (3) e da (3) a (4), andrà ad aumentare con l’abbassamento della temperatura che comporta il raffreddamento della lega metallica in questione, arrivando al punto (4) dove la lega sarà del tutto solida a densità molto alta. Tutte queste variazioni descritte qui sopra, sono molto importati per sottolineare il concetto di “Ritiro Volumetrico” nel processo di fusione. Ritiro volumetrico dovuto da un cambio di fase o da un Δ di temperatura. Il Ritiro volumetrico da punto di vista analitico è possibile quantificarlo con la seguente formula: → ∆𝐿 = 𝛼 ∆𝑇 𝐿0 𝑑𝑜𝑣𝑒: ∆𝐿 = 𝑑𝑖𝑙𝑎𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎𝑟𝑒; 𝛼 ∆𝑇 = 𝐶𝑜𝑒𝑓𝑓. 𝑑𝑖 𝑅𝑖𝑡𝑖𝑟𝑜 𝛼 = 𝐶𝑜𝑒𝑓𝑓. 𝑑𝑖 𝑑𝑖𝑙𝑎𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑐𝑎 𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎𝑟𝑒 [1𝐾] ; 𝐿0 = 𝑙𝑢𝑛𝑔ℎ𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑖𝑛𝑖𝑧. 𝑙𝑖𝑛𝑒 In realtà si andrà a quantificarlo utilizzando direttamente il valore  𝛼 ∆𝑇 perché i range di temperatura di solidificazione saranno range noti, ed in generale la contrazione maggiore si avrà nel passaggio tra lo stato liquido e quello solido. Ora si andrà a studiare il comportamento del materiale che da fuso verrà colato nel contenitore e mano a mano che si raffredda avverrà il cosiddetto fenomeno di ritiro: Con questo si ipotizza di avere un contenitore (forma) riempito con un certo metallo liquido. Subito dopo il termine della colata si verificherà che il metallo fuso inizierà a solidificarsi dal lato più esterno ovvero a contato con le pareti del contenitore esterne, e si avrà una prima contrazione di volume in fase liquida provocando una diminuzione di liquido fuso. Il comportamento appena descritto avverrà varie volte mano a mano che il metallo fuso si solidifichi in fase di raffreddamento, provocando la formazione di piccoli strati solidificati e sempre meno liquido dovuto oltre a questo, anche dalla contrazione di volume. Quasi al termine del processo di solidificazione del materiale, si avranno tanti strati solidificati che formeranno quello che viene definito “CONO DI RITIRO” (vedi disegno tratteggio rosso), dovuto appunto dalla contrazione da ritiro in fase di passaggio da solido a liquido. Nel momento in cui il materiale dopo che risulta essere completamente solido e a temperatura ambiente sarà soggetto ad un’ulteriore restringimento del pezzo rispetto alle dimensioni del contenitore nel quale si è colato in prima fase il metallo. Questo fenomeno del cono di ritiro sarà presente in QUALUNQUE caso in cui un qualsiasi metallo viene fatto raffreddare in maniera autonoma dentro il contenitore (forma). Si farà in modo che il cono di ritiro avvenga in un punto tale dell’oggetto che sarà possibile rimuoverlo in seguito con un’altra lavorazione. Il fenomeno ritiro genererà dei difetti al pezzo, definiti appunto “DIFETTI DA RITIRO” che possono essere: - Ovviamente il Cono di Ritiro; - Cavità o Porosità da Ritiro, nel caso in cui si dovesse verificare che del metallo fuso rimanga rinchiuso intorno ad una zona già solidificata e lontana dalla zona la quale dovrebbe avvenire il cono di ritiro, sicuramente nel momento in cui il metallo si andrà anch’esso a solidificarsi, genererà appunto una cavità. - Concavità da Ritiro, dove il pezzo finale ritirandosi avrà una forma concava, oppure nel caso in cui il pezzo finale sarà caratterizzato da una serie di spessori diversi, sempre nel momento di raffreddamento questi diversi spessori provocano a loro volta ritiri differenti, che daranno luogo a difetti di planarità tra superfici. Ora si andrà a studiare dal punto di vista analitico a cosa e legato il “TEMPO DI SOLIDIFICAZIONE”. Il tempo di solidificazione del metallo viene quantificato mediate il calcolo di quello che viene definito come il “Modulo di raffreddamento” che è il rapporto tra il volume del pezzo (V) e la superficie di scambio termico (S)  𝑀 = 𝑉𝑆 Il motivo per il quale il tempo di solidificazione sia legato al modulo di raffreddamento del materiale è stato verificato dallo studioso Chvorinov, che ha studiato i vari moduli di raffreddamento facendo un esperimento chiamato “esperienza di Chvorinov” che appunto spiega il motivo per il quale ci sia questo legame. L’esperimento consiste nel prendere una piastra di metallo, di dimensioni indefinite e spessore “s”, dove viene preso come riferimento un cubetto generico all’interno della piastra. Di questo cubetto si andrà a calcolare il modulo di raffreddamento che sarà  𝑀𝑐𝑢𝑏𝑒𝑡𝑡𝑜 = 𝑆32𝑆2 = 𝑆2 e dove le superfici che scambieranno calore saranno la faccia di sopra e quella sotto del cubetto disegnate in verde nel disegno di sopra. Ed essendo che la piastra è di grandezza indefinita, il modulo della piastra sarà approssimabile a quello del cubetto (𝑀𝑝𝑖𝑠𝑡𝑟𝑎 ≅ 𝑀𝑐𝑢𝑏𝑒𝑡𝑡𝑜). Da questo esperimento è stato dimostrato anche che il valore dello spessore dello strato solidificato della piastra sarà uguale a  𝑥 = 𝐾√𝑇, questa relazione è stata ricavata sperimentalmente, e dove “T” è il tempo di solidificazione e “K” è una costante in funzione della lega metallica utilizzata. Conoscendo questa relazione sarà possibile calcolare il tempo di solidificazione della piastra (Ts) di dimensioni indefinite, sapendo appunto che sarà solidificata quando “x” raggiungerà metà dello spessore e sarà uguale a “x=S/2” che sarà indicato come il modulo di raffreddamento, quindi si avrà che  𝑆2 = 𝐾√𝑇 → 𝑇𝑠 = (𝑆 2⁄𝐾 )2 → 𝑇𝑠 = 𝑀2𝐾2 In definitiva questa esperienza di Chvorinov dimostra che “il tempo di solidificazione è proporzionale al quadrato del modulo di raffreddamento”, questo è molto importante perché sarà possibile calcolare appunto questi moduli di raffreddamento, permettendo di capire quali parti del pezze si raffredderanno prima. Questo esperimento oltre ad essere dimostrato per una generica piastra indefinita, e in prima approssimazione sempre applicabile. Conoscendo l’andamento di raffreddamento del pezzo sarà possibile conoscere appunto quale parte si solidificherà per prima e quale per ultima, quindi permettendo di sapere in quale direzione sarà la solidificazione e la zona dove sarà posizionata la “MATEROZZA” che verrà posizionata sull’ultimo elemento che si solidificherà così da contenere il fenomeno del cono di ritiro. La direzione di solidificazione del pezzo sarà possibile conoscerla tenendo conto del fatto che se un elemento avrà un modulo di raffreddamento maggiore del 10% (M>10%) dell’elemento vicino, quest’ultimo solidificherà in maniera successiva. Per esempio dividendo un pezzo in elementi geometricamente semplificati si avrà che l’elemento (2) dovrà avere un 𝑀2 > 1.1 𝑀1, se così fosse la solidificazione avverrà nella direzione della freccia (vedi disegno a sinistra) , e quindi l’elemento (2) si solidificherà dopo l’elemento (1). In pezzi più complessi formati da più elementi come riportato nel disegno di destra, se 𝑀2 > 1.1 𝑀1 𝑒 𝑀2 > 1.1 𝑀3, la solidificazione procede nel verso delle frecce, e questo sta a indicare che l’ultimo pezzo che si solidificherà sarà l’elemento (2). A questo punto sull’elemento (2) si andrà a posizionare la “Materozza” che avrà 𝑀𝑀 > 1.2 𝑀2 quindi un modulo maggiore del 20% di 𝑀2,questo perché dovrà essere l’ultimo elemento in assoluto a solidificarsi così che il cono di ritiro si formerà sulla materozza, oltrepassando il difetto direttamente sul pezzo finito. Materozza che verrà in seguito eliminata con un processo ad esempio di tranciatura. Si studia ora il volume totale del materiale che si ritirerà in fase di raffreddamento. Volume calcolato mediante la seguente formula: → 𝑉𝑅𝑖𝑡𝑖𝑟𝑜 = 𝑏(𝑉𝑀𝑎𝑡𝑒𝑟𝑜𝑧𝑧𝑎 + 𝑉𝑃𝑒𝑧𝑧𝑜) Dove “b” è appunto il coefficiente di ritiro volumetrico moltiplicato per il totale del volume del metallo fuso (VM+Vp). Il volume di ritiro comprenderà sia il volume del cono di ritiro ed il ritiro dimensionale uniforme del pezzo. Per determinare quanto volume del cono di ritiro è possibile occupare all’interno della materozza affinché quest’ultimo non vada a compromettere il pezzo, si fa fede a delle regole che in base alla forma scelta dalla materozza diranno che:  Se la materozza è Cilindrica, la profondità del cono di ritiro dovrà essere 0.8 volte l’altezza totale (h) della materozza cosi che la profondità del cono non arrivi al punto di attacco della materozza sul pezzo disegnato in rosso. Questo vuol dire che in termini di volume, il cono di ritiro nel caso della materozza di forma cilindrica dovrà occupare il 14% del volume della materozza.  Anche nel caso di materozza a forma Sferica, la profondità del cono di ritiro dovrà essere 0.8 volte l’altezza totale (h) della materozza cosi che la profondità del cono non arrivi al punto di attacco della materozza sul pezzo. Questo vuol dire che in termini di volume, il cono di ritiro nel caso della materozza di forma cilindrica dovrà occupare il 20% del volume della materozza. In generale il volume del cono di ritiro sarà pari a X volte il volume della materozza → 𝑉𝐶𝑜𝑛𝑜 𝑟𝑖𝑡𝑖𝑟𝑜 = 𝑋 𝑉𝑀𝑎𝑡𝑒𝑟𝑜𝑧𝑧𝑎 Dove X=0.14 nel caso di Materozza Cilindrica e X=0.20 nel caso di Materozza Sferica o Emisferica. Una verifica a favore di sicurezza molto conveniente da fare è quella di imporre una verifica peggiorativa imponendo che: → 𝑉𝐶𝑜𝑛𝑜 𝑟𝑖𝑡𝑖𝑟𝑜 = 𝑋 𝑉𝑀𝑎𝑡𝑒𝑟𝑜𝑧𝑧𝑎 = 𝑏(𝑉𝑀𝑎𝑡𝑒𝑟𝑜𝑧𝑧𝑎 + 𝑉𝑃𝑒𝑧𝑧𝑜) Ovvero che il volume del cono di ritiro sia imposto uguale a volume totale di ritiro. Dalla formula di sopra è possibile definire il volume totale del pezzo che sarà: → 𝑉𝑃𝑒𝑧𝑧𝑜 = 𝑋 − 𝑏𝑏 ∗ 𝑉𝑀𝑎𝑡𝑒𝑟𝑜𝑧𝑧𝑎 Definendo anche le due verifiche possibili a favore della sicurezza. Esse sono:  𝑉𝑃𝑒𝑧𝑧𝑜 ≤ 𝑋−𝑏𝑏 ∗ 𝑉𝑀𝑎𝑡𝑒𝑟𝑜𝑧𝑧𝑎  Verifica Massimo Volume Alimentabile  𝑉𝑀𝑎𝑡𝑒𝑟𝑜𝑧𝑧𝑎 ≤ 𝑋−𝑏𝑏 ∗ 𝑉𝑃𝑒𝑧𝑧𝑜  Verifica del minimo volume della materozza che è in grado di alimentare il getto di colata del metallo fuso (Ps. questi risultati dovranno essere coerenti con i moduli di raffreddamento una volta calcolati) 3) Nella terza fase verrà valutato il Raggio di Influenza della materozza, che definisce una quantità (lunghezza di raggio) che andrà a coprire una distanza rispetto alla quale la materozza e posizionata sul pezzo e che verrà coperta (intendo la distanza) dal getto. Il raggio di influenza è molto importante da valutare in quanto non è detto che per quanto possibile si possa calcolare ogni singolo modulo di raffreddamento, e che la materozza sia in grado di coprire il getto per l’intero pezzo (caso di pezzo magari molto lungo). Esempio nel caso del pezzo disegnato nella figura a sinistra, anche se nel caso dal punto di vista dei moduli M2 risulterà maggiore del 10% sia di M1 che di M3, non è detto che la materozza posizionata sul zona (2) sia in grado di coprire con il getto tutta la lunghezza del pezzo e che non si formino in esso delle zone dove potrebbe rimanere del metallo liquido intrappolato provocando difetti sul pezzo finale. Nel caso come questo si andrà a valutare oltre al modulo di raffreddamento di ogni zona, anche la lunghezza del pezzo e quindi il raggio di influenza della materozza che sarà dato da:  𝑅 = 𝐾 ∗ 𝑠 Dove “s” è lo spesso medio (tra i vari spessori medi del pezzo) del getto, e “K” è la costante che dipende dal materiale (es. tra 3.5 e 5 per acciai, 5 per ghisa, e da 5 a 7 per leghe leggere). In base a la formula elencata qui sopra, e rifacendoci all’esempio di sopra sarà possibile verificare che il raggio di influenza copre tutta la zona (3) che risulta essere la più critica per via della lunghezza. In caso di estremità come nel caso di sopra si può utilizzare il così detto “effetto d’estremità” oltre alla verifica di raggio di influenza. Questo perché nell’estremità si potranno riscontrare problemi di solidificazione precoce in quanto essa è più a stretto contatto con lo scambio termico della temperatura ambiente, rispetto alla zona centrale (2) che sarà sempre alimentata dal getto continuo della materozza. Quindi nel caso di estremità come nell’esempio di sopra, il raggio di influenza della materozza sarà dato da  𝑅 = 𝐾 ∗ 𝑠 + 2.5 𝑠 = (𝑘 + 2.5)𝑠, ovvero si dovrà tenere conto di un ulteriore copertura del 2.5 volte lo spessore medio del getto. In generale il raggio di influenza dovrà essere maggiore rispetto alla lunghezza totale del pezzo (R>L). In definitiva per far sì che il Progettazione/Dimensionamento della Materozza sia corretto sarà necessario che i tre punti 1), 2) e 3) siano verificati al contempo, nel caso che il 2) quindi il massimo volume alimentabile non sia verificato si andrà ad aumentare il volume della materozza. Nel caso in cui il punto 3) quindi il raggio di influenza non garantisca la copertura sul totale pezzo si dovrà:  Aumentare lo spessore del pezzo (Ps. nel caso in cui questo parametro sia possibile da modificare in progettazione o design);  Aggiungere una materozza secondaria, diminuendo il volume complessivo delle materozze rispetto che averne una sola (Ps. controllando il volume alimentabile);  Utilizzo di marchingegni come raffreddatori esterni posizionati su parti a rischio e particolari da raffreddare;  Aggiunta di isolanti nel caso in cui ci fosse il rischio che una zona si solidifichi prima delle altre (tipo estremità) Fusione in Terra: E’ un processo molto diffuso per la produzione di pezzi di qualsiasi dimensione. Il processo di fusione a terra si divide a seconda:  Della Forma (fatta con terra da fonderia), che può essere: - Permanente, quando la forma verrà utilizzata per produrre più pezzi uguali (Ps. sempre per un certo numero di pezzi, perché la forma dopo un po’ di processi dovrà comunque essere sostituita in quanto si usura); - Transitorio, ovvero che al finire di un processo di fusione la forma viene distrutta.  Del Modello, che permette di ottenere la cavità all’interno della forma, e può essere: - Permanente, quando verrà utilizzato per produrre più pezzi uguali; - Transitorio, ovvero che al finire di un processo di fusione il modello viene distrutto; - Assente, nel senso che può non esserci Nel processo di fusione in terra si utilizza della terra definita terra da fonderia, terra che è formata con sabbia, argilla, acqua e additivi vari. Solitamente si presenterà di colore nero. Le caratteristica principale della terra da fonderia e che essa sia refrattaria essendo utilizzata ad alte temperature, che sia sgretolabile così da poter tirar fuori il pezzo dopo essersi raffreddato a fine processo, che sia formabile appunto perché si andrà ad imprimere il modello sulla terra e si formerà la cavità all’interno della sabbia per scorrimento dei grani, ed infine dovrà essere permeabile ai gas in quanto durante la solidificazione si genereranno dei gas che nel caso in cui non riuscissero a fuoriuscire creerebbero dei difetti al getto del metallo fuso. Nel processo di fusione in terra si dovrà immaginare di dividere il pezzo da produrre in due parti rispetto a quello che viene definito “Piano di Divisione”, che dividerà le due staffe che compongo la forma del pezzo che bisogna produrre. Ad esempio come si può vedere dal disegno di destra, si avranno due staffe una superiore ed una inferiore, prodotto in legno che collegate insieme rispetto al piano di divisione (disegnato in rosso) prestabilito ci daranno la forma del pezzo. Nelle due staffe si andrà ad inserire Ultima cosa da fare è quella di “Aggiungere del sovrametallo” dove risulta necessario. Il sovrametallo permette di aggiungere appunto del metallo sulle superfici del pezzo che in seguito alla fusione dovranno avere una specifica rugosità superficiale, e quindi saranno soggette ad una lavorazione successiva ad esempio di rettificatura. Il sovrametallo che viene aggiunto sulle superfici varia di solito dai 2 ai 3 mm. Rifacendoci sempre al pezzo dell’esempio precedete, il disegno completo per la realizzazione del pezzo per mezzo della tecnica di fusione in terra sarà il seguente: Nel bacino di colata dove appunto il metallo viene colato, e caratterizzato da questa forma a conca, così che nel frattempo che il metallo arrivi all’interno della forma, sarà movimentato da un moto laminare e non turbolento, questo perché sennò andrebbe ad incorporare dell’aria all’interno, che in fase di raffreddamento genererà dei pori. Bacino collegato alla forma tramite il canale di alimentazione. In prossimità della forma del pezzo ci sarà la materozza e lo sfiato (linea obliqua nera nel disegno), che servirà per far sì che i gas formati durante la solidificazione possano uscire. Alla fine che il pezzo sia del tutto solidificato, le staffe verranno aperte, verrà estratto tutto il metallo solido, e tutti gli elementi verranno tagliati dal pezzo. Nel caso in cui mediante il processo di fusione si voglia creare un pezzo che finito dovrà essere caratterizzato da un foro senza farlo in seguito con un altro processo ad esempio di foratura, in questo caso si utilizza quella che viene detta “Anima”. L’anima è un pezzo prodotto spesso in sabbia silicea e leganti polimerici, che viene costruita con stampi che si chiamano casse d’anima. L’anima viene inserita nella cavità della forma e NON è parte del modello dove verranno però calcolate le “portate d’anima” (vedi disegno a sinistra) che sono uguali a  𝐿𝑃𝑜𝑟𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑑′𝑎𝑛𝑖𝑚𝑎 = 1 ÷ 1.5 𝐷 dove “D” è il diametro nominale del foro che a sua volta caratterizzerà anche il diametro dell’anima stessa (Ps. diametro anima non soggetto ad aumento dimensionale rispetto al coeff. di ritiro), e la lunghezza d’anima verrà somma due volte ovvero rispetto ad un’estremità ed all’altra della lunghezza che dovrà avere il foro (vedi disegno a destra) . Portate d’anima che saranno delle protuberanze sul modello anch’esse sformare perpendicolarmente rispetto al piano di divisione, mentre per quanto riguarda la forma che lascia il modello impresso nella sabbia da fonderia, non saranno altro che dei supporti per l’anima all’interno della concavità, così che l’anima stessa non galleggi e si sposti nel momento della colata del metallo fuso. Una volta avvenuto il processo di fusione ed il completo raffreddamento del pezzo, oltre la tranciature delle varie materozze, canali di bava ecce Ecc … l’anima verrà frantumata tramite macchine vibranti così da ottenere il pezzo finito con il foro voluto. L’anima si divide in:  Anima “Orizzontale” quando quest’ultima sarà parallela rispetto al piano di divisione (l’anima nel disegno di sopra è orizzontale)  Anima “Verticale” quando quest’ultima sarà perpendicolare rispetto al piano di divisione, come si può vedere dall’esempio alla sinistra, e con il modello che sarà come nel disegno di destra, e dove appunto le protuberanze in basso ed i alto del modello sono le portate d’anima che saranno sformate. Anima che a sua volta sarà come si può vedere dal disegno sottostante: Caratterizzata da un diametro “D”, che non è altro che il diametro nominale del foro NON aumentato, e lunghezza totale che è uguale alla lunghezza del foro sommata alla lunghezza della portata d’anima ad un estremo ed all’altro. Rispetto ad un’anima orizzontale, quella verticale dovrà avere le portate d’anima sempre sformate così da essere perfettamente uguali alle portate d’anima del modello che si impronterà sulla terra da fonderia, così che a sua volta inserendo l’anima all’interno, andrà ad incastrarsi perfettamente, garantendo un bloccaggio perfetto. Questo nel caso di anime verticali è molto importante in quanto un’anima non bloccata all’estremità potrebbe galleggia nel metallo fuso, oppure nel caso di anima più fine, il metallo andrebbe ad insidiarsi tra l’anima e la portata d’anima generando, una volta che il metallo sarà solidificato, delle bave laterali. Con quanto appena detto sull’importanza del bloccaggio dell’anima è di non meno importanza appunto lo studio del fenomeno della “Forza di Archimede”, fenomeno da non sottovalutare soprattutto nel caso di anime verticali. La forza di Archimede viene calcolata mediante la seguente formula  𝐹𝐴 = 𝑉(𝛾𝑀 − 𝛾𝐴) , dove “V” è il volume circondato dal metallo liquido e "𝛾𝑀 − 𝛾𝐴" è la differenza tra densità del metallo fuso e l’anima, e ad esempio per "𝛾𝐺ℎ𝑖𝑠𝑎” varierà dai 7 a 8 𝐾𝑔𝑑𝑚3 e "𝛾𝐴𝑐𝑐. = 2 𝐾𝑔𝑑𝑚3 . Un altro fenomeno da non sottovalutare è dato dalla “Spinta metallostatica”, generata dal fatto che nel processo di fusione si andrà ad avere un liquido ad una certa profondità rispetto al pelo libero. Come si può vedere dall’esempio del disegno a destra, il liquido tenderà a spingere verso tutte direzioni sulle pareti della cavità della forma, questo è dovuta dalla densità del liquido e dalla profondità del baricentro della superficie su cui sta spingendo il liquido rispetto al pelo libero. Su di una superficie planare ovvero parallela al piano di divisione, la forza della spinta metallostatica varrà 𝐹 = 𝑆 ℎ 𝛾𝑀 dove “S” è la superficie dell’area , “h” è la profondità rispetto al baricentro e “𝛾𝑀" è la densità del metallo. La spinta metallostatica del liquido (metallo) appunto avverrà su tutte le superfici di forme complesse, ma in generale si terrà conto solo della spinta generata sulle superfici verso l’alto quindi forze verticali, trascurando le spinte che insisteranno sugli sformi e le varie materozze. Le spinte verticali verso l’alto saranno importati da calcolare in quanto provocheranno quelle forze che potrebbero causare l’apertura della staffa superiore della forma portando alla trafilatura del metallo liquido, ed appunto calcolando con la seguente formula ovvero la sommatori delle forze 𝐹𝑇𝑂𝑇 = ∑ 𝐹𝑖𝑖 si potrà verificare se il peso della staffa superiore è maggiore della Forza totale e quindi non si andrà incontro a questo genere di problema, nel caso contrario si andranno a posizionare dei pesi aggiuntivi sulla staffa. Nel caso di superficie semi-cilindrica parallela rispetto al piano di divisione, la forza dovuta dalla spinta metallostatica varrà  𝐹 = 𝛾𝑀 𝐷 𝐿 (𝐻 − 𝜋 𝐷8) dove “D” è il diametro del cilindro, “L” è la lunghezza del cilindro ,“𝛾𝑀" è la densità del metallo e “H” è la profondità dell’asse del cilindro rispetto al pelo libero. Nel caso di superfici inclinate rispetto al piano di divisione, per il calcolo della spinta si utilizzerà la seguente formula  𝐹 = 𝑆𝑃𝑟𝑜𝑖𝑒𝑡𝑡𝑎𝑡𝑎 ℎ𝐺 𝛾𝑀 , dove “𝑆𝑃𝑟𝑜𝑖𝑒𝑡𝑡𝑎𝑡𝑎” è l’area della superficie proiettata, “ℎ𝐺"è la profondità della superficie rispetto al suo baricentro e "𝛾𝑀"è la densità del metallo. Come si può vedere dal disegno a destra, appunto viene calcolata la spinta metallostatica della superficie proiettando rispetto alla freccia, quest’ultima proprio sul piano di divisione. ALTRE TECNICHE DI FUSIONE Le tecniche di fusione come già detto variano a seconda del modello utilizzato e a seconda della forma utilizzata. Ora si andrà a studiare una serie di tecniche di fusione.  Cold Box: Questa tecnica è simile alla fusione in terra, differisce da quest’ultima perché oltre la generica terra da fonderia, viene immischiata del “legante polimerico” che serve per far sì che si possa iniettare durante il processo della Anidride Carbonica (CO2) che funziona come attivatore, ovvero ha lo scopo di far reagire questo legante polimerico così da avere una forma più solida, questo genera una grande quantità di vantaggi: - La possibilità di produrre pezzi con forme molto complesse; - La diminuzione di sformi e raggi di raccordo in fase di progettazione del modello; - Produzione di pezzi aventi sezioni o nervature più sottili, questo perché se la forma non fosse molto solida come nella tecnica del Cold Box, in fase di colata del metallo fuso, o nel momento dell’estrazione del pezzo si potrebbe distruggere appunto la forma.  Hot Box Shell Moulding: Questa tecnica di fusione viene eseguita con un processo a caldo, rispetto ai più comuni eseguiti a temperatura ambiente. In questa tecnica il modello voluto sarà dato da un “Semi- modello in metallo”, come quello disegnato a destra, che verrà in seguito appoggiato su un contenitore (disegno a sinistra), contenente della sabbia rivestita dove ogni granello di quest’ultima e rivestito da una resina termoindurente. Il semi-modello in metallo viene in prima fase scaldato portandolo ad una temperatura tra i 200/300°C, e successivamente il contenitore con il modello appoggiato, verrà capovolto così che i granelli di sabbia cadranno sulla superficie rovente del modello ed essendo che ogni granello di sabbia è rivestito di resina termoindurente, quest’ultima a contatto con il modello rovente andrà pian piano a solidificarsi fino a generare uno spessore solidificato indicato da normativa che può variare tra i 5-10 mm (vedi disegno a destra). Una volta arrivati allo spesso indicato, il guscio formatosi dallo spesso solidificato, verrà estratto e quest’ultimo verrà a sua volta sottoposto ad una sinterizzazione ad una temperatura che varia dai 800/1000°C che permette di consolidare ulteriormente lo spessore del guscio. Questa processo sopra descritto, verrà eseguito due o più volte così da produrre due semi-gusci in metallo. I due gusci in seguito verranno messi in un contenitore riempito con sabbia da fonderia o graniglia per stabilizzare i gusci. I due gusci vengono collegati tra di loro e rispetto al loro piano di divisione che solitamente è in verticale, avverrà la colata del metallo fuso all’interno del modello appunto formato dai gusci come si può vedere dal disegno a sinistra. Dopo la solidificazione del metallo all’interno del modello, i gusci verranno tutte le volte distrutti così da ricavare il pezzo voluto (Ps. appunto perché questo processo è un processo con modello permanente ma con forma transitoria). Tutto questo processo sopra descritto avrà come di consuete i vari canali di colaggio e le eventuali materozze. Le differenze tra la fusione mediante la tecnica dell’Hot Box rispetto alla più classica fusione a terra sono: - Il guscio più sottile, quindi questo comporta un raffreddamento più veloce rispetto alla fusione in terra. Con il raffreddamento più veloce del pezzo si avranno caratteristiche meccaniche migliori in quanto la microstruttura del materiale sarà più fine e quindi più resistente (Ps. ad esempio la resistenza a trazione di un materiale è inversamente proporzionale alle dimensioni dei grani cristallini delle microstrutture); - migliore rugosità superficiale che varia tra i 2-3μm. Con questa tecnica si avrà appunta una rugosità più bassa in quanto la sabbia con la resina termoindurente andrà a rivestire meglio la superficie del semi-modello nella fase di creazione del guscio, così da caratterizzare quest’ultimo da una superficie più liscia; - Migliori tolleranze dimensionali e geometriche del pezzo, in quanto quest’ultime sono più controllabili in fase di costruzione del guscio che essendo in metallo sarà caratterizzato da sformi e raccordi minori rispetto alla forma nel caso della fusione in terra; - Possibilità di creare pezzi più complessi, questo è dovuto dal fatto che è possibile modulare due o più gusci incollandoli tra di loro, ovviando al problema del sottosquadra più frequente nella fusione in terra. L’unica limitazione per quanto riguarda la produzione mediante questa tecnica, è quella di produrre pezzi con un peso massimo di 30kg, questo perché utilizzando gusci sottili, quest’ultimi potrebbero rompersi per conto del fenomeno della spinta metallo-statica (fenomeno che avviene in qualunque metallo ad una certa profondità rispetto al pelo libero, generando una spinta su tutte le pareti). Nel caso di pezzi assial-simmetrici e possibile costruire i semi-modelli (gusci) in maniera automatizzata, costruendo due semi-stampi in metallo che si chiudono e si aprono mediante un sistema di presse elettroidrauliche, e dove viene inserita la sabbia con resina termoindurente. I due stampi a loro volta si riscalderanno e per via delle caratteristiche della sabbia termoindurente sottoposta a calore, si genererà uno spessore voluto che una volta raffreddato i due stampi si allontaneranno tra di loro e si avrà il guscio voluto che sarà appoggiato su di un nastro trasportatore e trasportato fuori dalla filiera.  Fusione con Modello a Perdere: Questa tecnica di fusione viene utilizzata nella meccanica di precisione, in ambito odontoiatrico per la produzione di protesi dentali o nella gioielleria. Questa tecnica che prende anche il nome di “Microfusione” o “Investment Casting”, a “Cera/Schiuma persa” o “Replicast”. E’ un processo dove non si avrà un modello permanente come per le altre tecniche descritte prima, ma il modello dopo ogni processo andrà perso. Modello che può essere costruito in Cera o in Polistirene espanso. Andremo ora a descrivere le fasi di questa tecnica, sostanzialmente si vorrà appunto creare un pezzo dove rispetto ad esso si progetterà e produrrà un modello che sarà costruito con i materiali elencati sopra. Questo modello verrà immerso in un liquido ovvero “Malta Ceramica” e fatto ruotare così da far aderire questo composto su tutte le superfici del modello, dopo di che viene estratto e fatto essiccare a temperatura ambiente, formandosi un sottile strato ceramico sulle superfici del modello. Questo passaggio viene eseguito più volte, fino a che non si arrivi ad uno spessore di malta ceramica sul modello desiderato. Una volta arrivati a lo spessore desiderato si procedere con un sinterizzazione a circa 800°C in forno, così da consolidare perfettamente il guscio ceramico formatosi sul modello (Ps. nel caso di modello di cera anziché sinterizzazione si procederà con un processo di evacuazione della cera nel forno così che quest’ultimo si sciolga). Dopo tutti questi passaggi descritti si ricaverà il guscio definitivo e si procederà con la colata del metallo fuso al suo interno. Una volta eseguita la colata, il metallo fuso si farà raffreddare ed una volta che solidificato il guscio ceramico verrà frantumato così che otterrò il mio pezzo finito. Pezzi prodotti con questa tecnica fusione saranno caratterizzati dalle seguenti caratteristiche: - Ottima rugosità superficiale che varia tra i 1.5-3μm; - Ottime tolleranze geometriche e dimensionali; - Raffreddamento del metallo dopo colata molto rapido, questo darà al materiale ottime caratteristiche meccaniche per via della formazione di una microstruttura fine; - Processo definito “NET SHARE” o “NEAR NET SHAPE” ovvero il pezzo finale sarà molto simile a quello progettato, senza dover procedere con altre lavorazioni successive; DEFORMAZIONE PLASTICA E’ una delle lavorazioni primarie insieme al processo di fusione, che permette di lavorare una materia allo stato solido ed ottenere un semilavorato. La deformazione plastica è un processo che si può effettuare: A CALDO  se (TOM) > 0.6 A FREDDO  se (TOM) < 0.4 Per ottenere le stesse deformazioni, in un processo a caldo , le Forze in gioco, le pressioni e le potenze saranno minori rispetto al processo a freddo, questo perché il materiale a caldo risulta essere più facile da deformare. Questo comporterà il vantaggio di avere un costo energetico minore rispetto al processo a freddo. Nel processo a caldo è però molto probabile la formazione di ossidi superficiali dovuti dalle temperature troppo alte che non si formeranno nel processo a freddo. Altro svantaggio del processo a caldo è la difficoltà nella lubrificazione in quanto non è possibile utilizzare tanti tipi di lubrificanti in quanto essendo che ci sono in gioco alte temperature si potrebbero degradare, ma solo lubrificanti come Grafite o vetro fuso . Il processo a caldo è governato dalla formula  𝜎𝑡 = 𝐶 ε𝑡̇ 𝑚 che è definita come la curva di flusso a caldo. Nel processo a freddo, le forze, le pressioni e le potenze di gioco saranno superiori rispetto al processo a caldo. Il vantaggio del processo a freddo è quello di avere un processo più controllabile dal punto di vista di tolleranze dimensionali e geometriche che quindi saranno migliori rispetto al processo a caldo. Minor rischio di avere ossidi in superficie. Processo più facile da lubrificare in quanto è possibile utilizzare qualsiasi tipo di lubrorefrigerante rispetto al processo a caldo. Il processo a freddo è governato dalla formula  𝜎𝑡 = 𝐾 ε𝑡𝑛 che è definita come la curva di flusso a freddo. I processi di deformazione plastica risultano talmente complessi da punto di vista di tensioni in gioco che agiscono su diverse direzione, che sarebbe un errore assimilarli ad una sola tensione mono-assiale. A questo punto si studia la possibilità di trasformare uno stato tria-assiale in un stato mono-assiale. In generale si avrà una certa deformazione “ε” che sarà la deformazione che si vorrà ottenere, e si andrà a calcolare la tensione nominale “σ” così da conoscere lo stato finale. Ad esempio nel caso della prova di trazione ci sarà una tensione “σ” mono-assiale come si può vedere dal cubetto di destra, dove si avrà una tensione lungo l’asse, mentre in uno stato più complesso si avranno delle tensioni normali “σ” e tensioni tangenziali “𝜏” su tutte le facce del cubetto, questo si può definire come stato tensionale complesso o triassiale (vedi disegno a sinistra). A questo punto per ricondursi sempre ad uno stato mono-assiale, è bene ricordarsi che è stato dimostrato che esiste sempre un sistema di riferimento in cui le tensioni tangenziali “𝜏” si annullano, ed in questo sistema di riferimento si avranno soltanto le tensioni definite principali che sono “σ1”, “σ2” e “σ3” come si può vedere dal disegno a destra del foglio. Da quanto appena detto, sono stati studiati da diversi studiosi una serie di “Criteri di Resistenza o di Deformazione Platica”, criteri che ne sono circa sei, ma nel nostro caso andremo ad approfondire quelli che si applicano al meglio ai materiali metallici. In pratica i criteri permettono di assimilare lo stato tensionale Triassiale in uno stato tensionale mono-assiale.  Il primo criterio che si andrà ad approfondire è il “CRITERIO 𝝉𝒎𝒂𝒙 O TRESCA”. Esso dice che due stati tensionali sono paragonabili se è uguale la massima tensione tangenziale "𝜏𝑚𝑎𝑥" Per capire meglio questo concetto è bene disegnare il circolo di Mohr, come nel disegno a sinistra, dove si ha un caso dato da tensioni triassiali, e dove la tensione massima tangenziale sarà  𝜏𝑚𝑎𝑥 = 12 (𝜎1 − 𝜎3) espressa in valore assoluto. Nel caso mono-assiale (disegno a sinistra) disegnando il circolo di Mohr, la tensione massima sarà  𝜏𝑚𝑎𝑥 = 12 𝜎 Infine si andranno a confrontare le due tensioni massime eguagliandole come in questo caso  12 𝜎 = 12 (𝜎1 − 𝜎3) e si avrà che  𝜎 = 𝜎1 − 𝜎3. In definitiva questo criterio tresca dice appunto che i due stati tensionali sono equivalenti se la tensione mono- assiale e pari alla differenza delle tue tensioni principali. Questo criterio si applica bene nel campo dei materiali metallici, questo perché essi cedono soprattutto per effetto di tensioni tangenziali. Nel caso di uno stato di tensione “Idrostatico” ovvero quando  𝜎1 = 𝜎2 = 𝜎3, il cubetto è sottoposto alla stessa tensione su tutte le facce, come si può vedere dal disegno a sinistra, e andando a calcolare la tensione massima si può vedere che sarà pari a zero  𝜏𝑚𝑎𝑥 = 0, questo vorrà dire che il pezzo sottoposto ad una tensione di tipo idrostatica non si snerverà, romperà o deformerà.  Il secondo criterio che si andrà ad approfondire è il “CRITERIO DELLA MASSIMA ENERGIA DI DEFORMAZIONE O CRITERIO DI VON MISES”. Questo criterio dice che due stati tensionali sono equivalenti se hanno la stessa energia di deformazione. Nel caso di solo tensioni principali l’energia di deformazione si calcolerà come:  (𝜎1 − 𝜎2)2 + (𝜎1 − 𝜎3)2 + (𝜎2 − 𝜎3)2 Mentre nel caso mono-assiale l’energia di deformazione sarà  2𝜎2 In definitiva il Criterio di Von Mises dice che due stati tensionali sono paragonabili se la loro energia di deformazione è eguagliata (𝜎1 − 𝜎2)2 + (𝜎1 − 𝜎3)2 + (𝜎2 − 𝜎3)2 = 2𝜎2 Ed essendo un’equazione di per sé molto complessa, quest’ultima si può semplificare nel caso di: - Tensioni Piane, ovvero quando tutte le tensioni giacciono su un piano e quindi una delle tensioni principali sarà nulla (𝐸𝑠. 𝜎2 = 0), ed applicando i criteri di Tresca o di Von Mises studiati prima: Per quanto riguarda Tresca, se 𝜎2 = 0, il circolo di mohr sarà come nel disegno riportato a destra, e la tensione mono-assiale sarà uguale alla tensione ideale massima  𝜎 = 𝜎3 Per quanto riguarda Von Mises invece sostituendo sempre 𝜎2 = 0, si otterrà che  𝜎12 + 𝜎32 − 𝜎1𝜎3 = 𝜎2. Questi criteri nel caso di tensioni piane, come si è potuto notare sono simili ma non particolarmente equivalenti. - Deformazioni Piane, ovvero quando tutte le deformazioni giacciono su un piano e sempre secondo i due criteri di Tresca o di Von Mises si avrà che: Secondo Tresca  𝜎1 − 𝜎3 = 𝜎 , dove "𝜎" che è la tensione assiale verrà definita come la tensione equivalente "𝜎𝑒𝑞" che è quella tensione di uno stato mono-assiale equivalente ad uno stato triassiale. Secondo invece Von Mises in uno stato di deformazione piana si avrà che  𝜎1 − 𝜎3 = 2√3 𝜎𝑒𝑞. In questo caso di deformazione piano i due criteri sono simili perché 2√3=1.15 quindi nel caso utilizzassimo uno anziché l’altro il risultato sarà paragonabilmente uguale. FUCINATURA (SLAB ANALISI) Nel processo di fucinatura (Ps. sarebbe la forgiatura con lo stampo aperto e piano), si studia cosa succede quando si applica una certa forza di compressione su un pezzo in esame. Questo esempio è uno dei pochissimi casi il quale sarà possibile risolvere a livello analitico cosa succede dal punto di vista tensionale, questo utilizzando il metodo dell’elemento sottile detto anche “Slab Analisi”. Per fare questo, si procede prendendo una porzione di materiale metallico detto massello di altezza “h” e larghezza “b” e schiacciarlo tra due piani paralleli mediante una forza “P”. Questo massello che può essere di forma cilindrica o un parallelepipedo sarà soggetto ad una deformazione. Come seconda cosa per applicare il metodo dell’elemento finito, si prenderà una piccola porzione di materiale definito come l’elemento infinitesimo (zona in blu nel disegno a sinistra), si collocheranno degli assi di riferimento x e y, e si dirà che per Ipotesi ci troviamo difronte una deformazione piana quindi con “εz=0”. Come possiamo vedere la forza di compressione “P” genererà sul nostro elemento infinitesimo in questo caso di forma parallelepipeda (disegno a sinistra) delle tensioni di tipo normali indicate con “σx “da un lato e “σx+dσx” dall’altro e tangenziali indicate con “μP”. Nel caso in cui si volessero calcolare le tensioni all’equilibrio delle forze rispetto all’asse x avremo che:  𝜎𝑥(ℎ ∗ 1) − (𝜎𝑥 + 𝑑𝜎𝑥) ∗ (ℎ ∗ 1) − 2𝜇𝑃(𝑑𝑥 ∗ 1) = 0 dove 1 è un valore indicativo preso come profondità dell’elemento che viene moltiplicato per il lato destro, sinistro e due volte le tensioni tangenziali superiori ed inferiori all’elemento utile, sempre rispetto ad x. Risolvendo questa equazione si avrà che  ℎ 𝑑𝜎𝑥 = −2𝜇𝑃𝑑𝑥, mentre calcolando le tensioni all’equilibrio lungo y si avrà che  𝜎𝑦 = 𝑃. A questo punto ipotizzando che il coefficiente d’attrito μ sia abbastanza piccolo da essere trascurato, si possono applicare nel caso di deformazione piana i criteri studiati in precedenza ovvero “Von Mises” che sostiene che 𝜎1 − 𝜎3 = 2√3 𝜎𝐹 o “Tresca” che sostiene che 𝜎1 − 𝜎3 = 𝜎𝐹, in tutti e due i casi 𝜎𝐹 è la curva di flusso e non la tensione media. Nel caso in cui si applicasse Tresca e si sostituisce si ricaverà che  𝜎𝑥 − 𝜎𝑦 = 𝜎𝐹 e sapendo che 𝜎𝑦 = 𝑃 avremo che  𝜎𝑥 = 𝜎𝐹 − 𝑃, riprendo l’ equazione di partenza  ℎ 𝑑𝜎𝑥 = −2𝜇𝑃𝑑𝑥, sostituendo quanto trovato prima si avrà che  ℎ (𝜎𝐹 − 𝑃) = −2𝜇𝑃𝑑𝑥, la derivata 𝑑𝜎𝑓 = 0 perché non varia rispetto ad x ma soltanto ai coefficienti della curva di flusso a seconda se siamo in un processo a caldo o a freddo. Continuando la trattazione si avrà che  ℎ 𝑑𝑃 = −2𝜇𝑃𝑑𝑥 scritto meglio  𝑑𝑃𝑃 = − 2𝜇ℎ 𝑑𝑥, a questo punto integrando si avrà che  ln 𝑃 = − 2𝜇ℎ 𝑥 che sarà la nostra equazione generale dal quale otterrò che  𝑃 = 𝐶𝑒−2𝜇ℎ 𝑥 . Si impongano ora le condizioni a contorno che saranno  (𝑥 = 𝑏2 ; 𝜎𝑥 = 0 → 𝑃 = 𝜎𝐹) dove x avrà quel valore in quanto guardando il disegno iniziale, x parte da meta , e a sua volta la tensione su x è nulla ed essendo tale succede che “p” abbia quel valore. Sostituendo si otterrà che la costante sarà  𝐶 = 𝜎𝐹𝑒2𝜇𝑏2ℎ che a sua volta sostituita ci permetterà di sostenere che nel processo di fucinatura la pressione sarà  𝑃 = 𝜎𝐹𝑒(2𝜇ℎ (𝑏2−𝑥)) . Dal punto di vista grafico riprendendo il disegno di prima si avrà che: come si può vedere dal disegno di sinistra la distribuzione delle pressioni sarà esponenziale con un pressione massima al centro e minima esternamente. Quindi sarà:  {𝑝𝑚𝑎𝑥 = 𝜎𝐹𝑒𝜇𝑏ℎ𝑝𝑚𝑖𝑛 = 𝜎𝐹 tutto questo varrà, se varranno le ipotesi in cui siamo in difronte ad una deformazione piana e con coefficiente d’attrito “μ” molto piccolo. Facendo l’integrale della pressione “P” lungo l’asse x si può calcolare la pressione media 𝑃𝑎𝑣 ≅ 𝜎𝐹 (1 + 𝜇𝑏2ℎ) che a sua volta sarà utile per calcolare la forza necessaria per azionare lo stampo nel processo di fucinatura che sarà  𝐹 = 𝑃𝑎𝑣 𝑏 𝑎 dove “a” è la profondità di tutto lo stampo (1 è dell’elemento sottile). Stesso studio che si è fatto per l’elemento sottile a forma di parallelepipedo, si può eseguire per un elemento sottile radiale a forma “Cilindrica”. In questo caso si procederà andando a prendere l’elemento sottile del cilindro come nel disegno di sinistra, elemento sottile di raggio “r”, largo “dr” e di angolo “dθ”. Da qui, è possibile andare a ricavare le formule come ad esempio la pressione sarà data da 𝑃 = √32 𝜎𝐹𝑒2𝜇ℎ (𝑟−𝑥) → {𝑃𝑚𝑎𝑥 = √32 𝜎𝐹𝑒2𝜇𝑟ℎ𝑃𝑚𝑖𝑛 = √32 𝜎𝐹 , la pressione media sarà  𝑃𝑎𝑣 ≅ √32 𝜎𝐹 (1 + 2𝜇𝑟3ℎ ), e la forza per azionare lo stampo sarà  𝐹 = 𝑃𝑎𝑣 𝜋𝑟2 dove 𝜋𝑟2 è l’area su cui insiste la forza. (RICORDA!!! la formula della pressione sia nel caso di parallelepipedo che cilindro varrà istante per istante in base all’altezza “h” e base “b” dell’elemento sottile in questione. La pressione andrà contestualizzata a seconda del momento durante il processo in cui ci troviamo, ad esempio a fine processo la pressione sarà massima con “h” che diminuisce in quanto completamente sciacciato e “b” massima) Una volta scelto il piano di bava più consono in base al pezzo che bisogna creare mediante il processo di forgiatura, si andranno ad inserire gli “Angoli di sformo” nello stampo. Come nel caso della fusione, tutte le superfici in questo caso perpendicolari al piano di bava andranno sformate. Questo in modo tala da agevolare l’estrazione del pezzo dallo stampo, e per permettere a sua volta un migliore riempimento dello stampo. Angoli di sformo che saranno come si può vedere dal disegno indicativo di sinistra, di 7° dove il ritiro del pezzo agevola il distacco dalla pareti dello stampo, e di 12° dove il ritiro contrasta il distacco. Ritiro del pezzo che avviene sempre verso il centro, ritiro dovuto dalla temperatura a caldo del processo. Oltre agli angoli di sformo, sono da tenere conto anche i “Raggi di raccordo”, che come si può vedere dal disegno a destra, saranno di 2-3mm concavi sui spigoli esterni, e di 7-10mm convessi in spigoli interni al pezzo con maggiori raggi di raccordo in quanto più sollecitati per via del fatto che sbatte il metallo caldo. Raccordi che vanno inseriti in quanto diminuiranno l’usura dello stampo, e per permettere che il metallo fluisca in maniera uniforme nella forma dello stampo come si può vedere dal disegno alla sinistra, cosa che non succederebbe nel caso in cui non ci fossero i raccordi come nell’esempio a destra dove si vede come il metallo al passaggio tra gli spigoli vivi, vada a ritorcersi su se stesso provocando il “difetto di Sopradosso”. In generale la scelta del Piano di bava deriva appunto da diversi criteri come abbiamo appena visto, dove a seconda della scelta verranno:  Sformate alcune superfici perpendicolari al Piano di Bava;  Nel caso di più scelte plausibili del Piano di bava, si andrà a scegliere quello dove i volumi sono equamente distribuiti rispetto alle due semi-metà dello stampo;  Modalità di riempimento del materiale nello stampo abbastanza lineare in maniera tale da generare le linee di flusso con maggiore orientazioni dei grani cristallini del materiale che porteranno ad una maggiore anisotropia del pezzo;  In base ai costi, dove i costi sono generati in questo caso dalla costruzione dello stampo che in base alla scelta del piano di bava può più o meno risultare complesso dal punto di vista costruttivo, e quindi questo comporta un maggior costo di produzione dello stampo stesso. Rispetto all’ultimo punto sulla questione costi, prendiamo come esempio quello di scegliere diversi piani di bava rispetto al pezzo disegnato a sinistra del foglio, e studiare come cambiano i vari stampi. Lo stampo viene ricava dal pieno di un pezzo, quindi i costi saranno direttamente collegati oltre al costo della materia prima, anche alla complessità di lavorazione. Rifacendoci al pezzo del disegno di sopra, prendiamo il piano “1”, rispetto al piano “1” lo stampo a sua volta si presenterà come nel disegno a sinistra del foglio, con rispettivamente due semi-stampi. Ora per completezza studiamo come dovrebbe essere lo stampo nel caso in cui prendessimo il piano “4”, come si può vedere in questo caso dal disegno a destra, guardando i due stampi, viene subito all’occhio come lo stampo nel caso del piano di bava “4” sia più articolato a livello geometrico con maggiori lavorazioni di asportazione di materiale da applicare per produrlo, questo significa maggior costo di produzione rispetto allo stampo nel caso si scegliesse di usare il piano di bava “1”. (Ps. in tutti e i due casi sono disegni qualitativi in quanto sono mancanti di eventuali raccordi e sformi che dovranno essere presenti) Una conseguenza alla scelta del piano di bava, è la progettazione del “Canale di Bava”, definito anche cordone di bava. Canale di bava che permette di scegliere e dimensionare il masselo in maniera più semplice possibile, e permette di ottenere un riempimento più omogeneo nella forma dello stampo allo sciacciamento del masselo, questo perché come gia detto il canale di bava essendo appunto tutto intorno alla forma dello stampo, in fase di fluizione del metallo nello stampo, in parte andrà a fluire nel canale di bava. Il canale di bava dal punto di vista geometrico è caratterizzato da una parte sottile ed una spessa come si può vedere dal disegno a sinistra. Esso viene progettato e dimensionato attraverso la seguente formula dove si andrà a calcolare la dimensione dello spessore sottile  𝐿 = 0.0175√𝐴, dove “A” è l’area del pezzo proiettata sul piano di bava. Una volta che si conosce “L”, tramite una tabella standartizzata, si potrà, partendo appunto dallo spessore sottile “L” conoscere tutti gli altri parametri che caratterizzano il canale di bava come riportati nel disegno sottostante. Dove “h” è l’altezza del canale di bava spesso meno quello sottile, “m” è la lunghezza canale sottile e “n” è la lunghezza di quello spesso. Una volta dimensionato il canale di bava, si passa con il dimensionamento del “Volume del Massello” , mediante la seguente formula che andrà a calcolare il volume del massello a caldo:  𝑉𝑀𝑐 = 𝑉𝑃𝑐𝑎𝑙𝑑𝑜 + 12 𝑉𝐶𝐵 = [𝑚𝑚3], dove “VP” è il volume del pezzo e “VCB” è il volume del canale di bava. Ma essendo che il massello in fase di acquisto dal rifornitore non sarà appunto caldo ma a temperatura ambiente, con la successiva formula andremo a calcolare il volume del massello appunto a temperatura ambiente: → 𝑉𝑀 𝑇°𝑎𝑚𝑏 = 0.97 + 𝑉𝑀𝑐 Dal valore ottenuto con la formula precedente, possiamo iniziare con il dimensionamento del massello che come già detto potrà essere di forma “Cilindrica” o un “Parallelepipedo”, forma scelta anche in base alla forma dello stampo e a loro volta scelte le dimensioni di base in maniera tale che il massello entri agevolmente nello stampo, e che abbia un appoggio stabile in quanto se così non fosse in fase di apertura e chiusura veloce dello stampo si potrebbero avere problematiche come un rovescio del massello. In base a quanto detto, qui sotto vengono riportati esempi di masselli non adatti alla tipologia di stampo. In questo primo esempio riportato nel disegno di sinistra, il massello risulta essere troppo sovradimensionato in quanto esso non dovrebbe appoggiarsi sul canale di bava come in questo caso, il sovradimensionamento del massello provoca un difetto di riempimento precoce dello stampo generando nel pezzo delle cricche. Nel secondo esempio invece riportato a destra, il massello anche in questo caso non risulta essere adatto in quanto poco stabile visto che poggia solo centralmente sullo stampo creando instabilità di quest’ultimo in fase di apertura e chiusura dello stampo generando difetti. Un altro caratteristica da tener conto nella scelta del massello, è quella di non scegliere un massello troppo alto e snello, perché in fase di compressione del massello mediante i due stampi, potrebbe succedere che il massello tenda ad incurvarsi come nel disegno a sinistra. Questo fenomeno viene detto “difetto di backing”. Per far sì che questo non avvenga, nel momento della scelta del massello, l’altezza totale di quest’ultimo dovrà essere minore di 1.5 il diametro del massello  ℎ < 1.5𝐷. Infine ultima cosa e non perché di meno importanza, e quella di immaginare a priori la deformazione del massello in modo tale che avvenga nella maniera più omogena. acciai molto duri contenenti carburi. Matrice che a livello fisico è costitutita come si può vedere dal disegno a destra, da tre zone ovvero: - Zona di Imbocco, dove il materiale viene accompagnato dentro la parte centrale della matrice, essa è caratterizzata da un angolo “α” definito angolo d’imbocco, angolo di imbocco molto importante perché se non ci fosse il materiale tenderebbe a fluire verso il centro creando delle zone definite “morte”; - Zona di Calibrazione, essa è la zona dove il materiale che passa attraverso prende la forma voluta; - Zona di Uscita, anch’essa caratterizzata da un angolo di uscita necessario in quanto il materiale precedentemente deformato plasticamente sarà soggeto nel momento in cui si toglie il carico ad avere un ritorno elastico.  Estrusione Inversa, in questo caso non sarà più presente un pistone che spinge la billetta, ma la matrice stessa funge da pistone, in quanto spinge imprimento un certa forza e velocità, in direzione opposta rispetto alla fuoriuscita della barra come possiamo dedurre dal disegno sottostante. In questo caso appunto la velocità e forza che la matrice imprime alla billetta, sono discordi alla velocità di estrusione “Ve” della barra.  Estrusione Idrostatica, in questo caso a livello funzionale è come l’estrusione diretta descritta precedentemente, differisce però dal fatto che nel contenitore della macchina di estrusione, oltre la billetta, tutto intorno da essa, ci sarà del liquido pressocchè olio, così che il pistone andrà ad imprimere una pressione sullo strato di olio e non direttamente sulla billetta. Questo permettere di esercitare una pressione più uniforme. Dal punto di vista analitico nel processo di estrusione si andrà a definire il “RAPPORTO DI ESTRUSIONE” mediante la seguente formula che mette in relazione la sezione iniziale con quella finale: 𝑅 = 𝐴0𝐴𝐹 o se sez.circolare 𝑅 = 𝐷02𝐷𝐹2 , rapporto che indica quanto si sta deformando il materiale sottoposto a questo processo, dal punto di vista analitico, ma non ci darà informazioni sulla complessità geometrica della barra da estrudere. Si definisce la deformazione che avviene durante il processo di estrusione che sarà  ε = 𝑙𝑛 𝐴0𝐴𝑓 = 𝑙𝑛 𝐷02𝐷𝐹2 = 𝑙𝑛𝑅. Per quanto riguarda invece il calcolo della forza necessaria per estrudere, si parte dall’ipotesi che siamo in un processo a FREDDO, dove la curva di flusso come ben sappiamo è uguale a  𝜎𝑓 = 𝐾 ε𝑡𝑛 , e sapendo come si calcola l’energia di deformazione per unità di volume mediante l’integrale  u = ∫ 𝜎𝑑ε𝑙0 ε = 𝐾 ε1𝑛+1𝑛+1 = [ 𝐽𝑚𝑚3] , da qui sappiamo anche che la tensione media di flusso sarà  ?̅?𝑓 = 𝐾ε1𝑛𝑛+1 . Per quanto riguarda invece la pressione esercitata sul pistone nel processo di estrusione si dirà che è uguale a  𝑃 = 𝐹𝐴0. Definendo come “L0”, la lunghezza iniziale della billetta si potrà definire il lavoro necessario che verrà effettuato in questo processo come  𝐿𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 = 𝐹 𝐿0 = 𝑝 𝐴0 𝐿0 , lavoro che viene fornito mediante la forza “F” e che servirà in parte, per deformare il materiale e dissipato per il fenomeno d’attrito sempre presente, che nel caso del processo di estrusione sarà tra il materiale e il contenitore e tra il materiale e la matrice. Facendo riferimento a quanto detto sull’attrito, nel caso in cui ci trovassimo in “Condizioni ideali” quindi con coefficiente d’attrito nullo"𝜇 = 0", tutto il lavoro andrà solo ed esclusivamente a deformare plasticamente il materiale, e quindi a livello analitico sapendo che l’energia di deformazione per unità di volume sarà uguale ad “u” allora il lavoro sarà 𝐿𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 = 𝑢 𝐴0 𝐿0 = 𝑢 𝑉0 e la pressione sarà  P = 𝑢 = 𝐾 ε1𝑛+1𝑛+1 = ?̅?𝐹𝑙𝑛𝑅. Nel caso in cui ci trovassimo in “Condizioni di Attrito Adesivo” con angolo di imbocco della matrice "𝛼 = 45°"(Ps. l’attrito adesivo non dipenderà da 𝛼, ma da altri fattori). La pressione nel caso di attrito adesivo nell’Estrusione diretta sarà:  𝑃 = ?̅?𝐹(1.7 ln 𝑅 + 2𝐿0𝐷0 ), dove 1.7 è un coefficiente correttivo che tiene conto delle tensioni tangenziali "τ" dovute dall’attrito adesivo, e 2𝐿0𝐷0 dipende dall’estensione della superficie di contatto, ovvero a seconda di quanto sarà lunga la billetta, si ricaverà un termine più o meno grande, più la superficie sarà grande più il termine lo sarà a sua volta. Nel caso più generico possibile con dell’angolo di imbocco non di 45° ma qualsiasi, la formula della pressione sarà:  𝑃 = ?̅?𝐹(𝑏 ln 𝑅 + 𝑎) dove “b” e “a” sono coefficiente che si ricaveranno sperimentalmente. Infine per quanto riguarda la pressione esercitata nel caso di “Estrusione Inversa” sempre con attrito adesivo, questa sarà  𝑃 = 1.7 ln 𝑅 ?̅?𝐹 , si dovrà per forza esplicitarla con una formula diversa rispetto all’estrusione diretta, in quanto nell’inversa non ci sarà nessun tipo di attrito tra il contenitore e il materiale, ma solo su matrice e materiale, in quanto la matrice è l’unico organo che si muove. Andando a graficare la pressione in funzione della forza, nell’estrusione diretta e quella inversa, si avrà che: - Nel caso estrusione DIRETTA, in prima fase la pressione sale fino al punto massimo dove si inizia ad estrudere il materiale fuori dalla matrice, e in seconda fase dove avviene la vera e propria estrusione, la pressione scende in quanto diminuisce sempre più il materiale e quindi calerà l’attrito sulle pareti del contenitore e il materiale, fino a che si arriva nel punto che il pistone è a fine corsa e da lì in poi nella terza fase la pressione aumenta di nuovo in maniera esponenziale. - Nel caso di estrusione INVERSA, in prima fase la pressione sale un po’ per poi rimanere costante nella seconda fase dove avviene la vera e propria estrusione del materiale al di fuori della matrice, fino al punto che la matrice arriva a fine corsa e quindi nella terza fase la pressione sale in maniera esponenziale in quanto il processo è completato. In definitiva guardando il grafico soprastante, salta subito all’occhia come nel caso di estrusione inversa si andrà a spendere meno dal punto di vista energetico, ma dal punto di vista dell’attrezzatura, l’estrusione inversa è più costoso della diretta, in quanto la matrice che funge sia da calibratore che da pistone contemporaneamente è più costosa da costruire. Dopo aver visto dal punto di vista analitico cosa succede nel processo a freddo, si studia ora il processo definito a CALDO, dove la curva di flusso come ben sappiamo è uguale a  𝜎𝑓 = 𝐶 ε̇𝑚 e una volta calcolato questo valore si andrà a calcolare il valore della tensione media di flusso "?̅?𝐹" che sarà costante nel caso a caldo in quanto varia soltanto al variare della velocità di deformazione " ε̇". Velocità di deformazione che verrà calcolata come ε̇ = 6 𝑉0 𝐷02 𝑡𝑔𝛼 𝑙𝑛𝑅𝐷03−𝐷𝑓3 dove Tutti questi elementi descritti in precedenza, ovvero l’estensione della bava, del tratto a rottura e via dicendo, dipendo dal gioco, gioco che si calcola mediante la seguente formula  𝑔 = 0.002 𝑆 (45 𝑅𝑀) dove “s” è lo spesso della lamiera, e " 45 𝑅𝑀" è il coefficiente sperimentale dovuto dalla resistenza a taglio del materiale e varia in base al materiale. Lo scopo in generale è quello di creare un taglio più netto e pulito possibile così che si cerca di applicare un carico impulsivo che genererà una velocità di deformazione "𝜀̇" molto elevata così che il materiale si comporterà in maniera più fragile possibile, per questo motivo che il processo di Punzonatura/Tranciatura si svolgerà a Freddo. E possibile calcolarci anche la forza necessaria per effettuare questo processo che sia nel caso in cui dobbiamo effettuare una punzonatura, sia nel caso di tranciatura, sarà data dalla seguente formula  𝐹 = 45 𝑅𝑀 𝐿 𝑆 dove “L” è il perimetro della forma che stiamo tagliano e gli altri due elementi già familiari. La forza necessaria non sarà influenzata molto dalla grandezza del pezzo da tagliare, ma per lo più dalla forma del pezzo che può essere più o meno complessa. Più complessa è la geometria del foro/piattello da effettuare più sarà necessaria una forza maggiore. Andando a graficare l’andamento della forza in base alla si può vedere: come la forza aumenterà velocemente fino al taglio del pezzo dove ci sarà la forza massima, e da lì un brusco calo di forza dopo la fine del taglio, fino a che rimane costante e viene definita la forza residua che permette di espellere il piattello una volta tagliato fuori dalla matrice. Nella zona dove la forza è costante ci sarà dell’attrito tra piattello e matrice fino alla caduta del piattello ad esempio su di un contenitore di raccolta, dove la forza si azzera. Dipenderà da noi infine sapere se il processo è stato necessario per ottenere un piattello cosi da tenere quello (tranciatura), o tenere la lamiera con il foro e gettare il piattello (punzonatura). Questo processo risulta essere ad elevatissima produttività, che viene calcolata in base a quante volte al minuto viene eseguita una Punzonatura/Trancatura. È possibile ricavare anche un piattello forato come nell’esempio del disegno di destra, dove in prima battuta si fa una punzonatura sulla lamiera così da creare il foro, ed in seconda fase una tranciatura cosi da ricavare un piattello forato. Esistono anche processi di Tranciatura/Punzonatura di “PRECISIONE” processo che sarà caratterizzato da costi di produzione più elevati rispetto a quello standard, ma risultati finiti con:  Gioco ridottissimo ovvero calcolabile al centesimo di millimetro;  Tolleranze di lavorazione matrice e punzone elevate, stando attenti a non avere interferenza tra i due organi;  Presse molto precise nel moto assiale, che permettono al punzone di agire mediante una pressione e forza costante;  Macchine aventi premi lamiera con cunei per mantenere bloccata la lamiera in maniera più sicura evitando che la lamiera scorra lateralmente e permetta di indurre uno stato tensionale maggiore così da favorire una rottura fragile, cunei o denti che sono come nel disegno a destra;  Utilizzo di un contro-punzone, che permette di tenere la superficie inferiore del piattello premuta contro il punzone così da avere un contatto del punzone più stabile e uniforme sulla lamiera da lavorare, e per far sì che la lamiera non sia soggetta a incurvarsi, questo soprattutto succede per fori di dimensioni molto grandi, migliorando così la tolleranze di planarità. TRAFILATURA È un processo che permette di ottenere in uscita dei pezzi molto lunghi caratterizzati da una sezione circolare piena. In pratica si otterranno dei “Fili” di metallo, che possono essere di diverso diametro. Il processo di trafilatura è un processo “Continuo”, a meno di interruzioni dovute dal caricamento di nuovo materiale nella macchina. È un processo che viene eseguito soltanto a Freddo, e in condizioni di buona lubrificazione. Il cuore del processo è la “FILIERA”, quest’ultima non è da confondere con la matrice dell’estrusione, questo perché nella trafilatura in filo viene tirato in uscita, e non spinto dall’interno come nel caso dell’estrusione. Filiera che è formata come si può vedere dal disegno sottostante da: - Una “zona di imbocco” dove il filo di sezione “D0” viene incanalato al suo interno; - Una “zona di trafilatura” dove inizia ad avvenire la deformazione plastica del materiale, questa zona è caratterizzata da un angolo “α” definito come angolo di trafilatura e varia dai 10 ai 20°; - “zona di Calibrazione” dove essendo a diametro costante, permette al filo di stabilizzare la deformazione; - “zona di uscita” avente una svasatura per facilitare l’uscita del filo senza che quest’ultimo vada a strisciare su possibili spigoli vivi che andrebbero a rovinarlo. Filo che in uscita avrà sezione “Df”, e sarà avvolto su di una bobina di molti metri di filo. Il Filo durante tutto il processo sarà caratterizzato da una forza “F” di trazionamento che genererà una tensione normale “σ”. In questo processo in uscita non ci sarà il fenomeno del “Ritorno elastico” in quanto viene continuamente tenuto sotto tensione normale di trazione fino al suo taglio. Dal punto di vista analitico possiamo calcolare la tensione indotta sulla sezione del filo mettendo il relazione la forza “F” diviso l’area finale con la seguente formula  𝜎 = 𝐹𝐴𝑓 se sez.circolare  𝜎 = 𝐹𝜋4 𝐷𝑓2 . Definiamo ora un altro numero importante nel processo di trafilatura, ovvero il “Rapporto di trafilatura” con la seguente formula 𝑅 = 𝐴0𝐴𝑓 se sez.circolare 𝑅 = 𝐷02 𝐷𝑓2 dove si mettono in relazione l’area iniziale del filo fratto l’area finale del filo in uscita. Mentre la deformazione sarà data da  ε = ln 𝑅 . Il processo di imbutitura è un processo che può essere eseguito sia a CALDO che a FREDDO dove in questo caso, la temperatura (°𝑇 ≠ 𝑇𝑎𝑚𝑏) questo perché così si eviterà di portare a strizione la lamiera rompendola. Visto che in questo processo si andrà a lavorare una lamiera, diremo che quest’ultima in questo caso sarà definita “Anisotropa” perché avrà caratteristiche meccaniche diverse a seconda della direzione di deformazione, in questo caso in quanto subirà una laminazione i grani del materiale, saranno disposti lungo la direzione di laminazione. Appunto perché la lamiera è anisotropa, partendo da una lamiera circolare (piattello) la deformazione cambierà in base alla direzione di deformazione, questo comporta alla formazione di “Orecchie” che si andranno a formare da entrambe i lati (vedi disegno di sopra). Per sfuggire a questo problema nella pratica si parte da un piattello non proprio di forma cilindrica, ma di forma più ovalizzata come nel disegno di sinistra, che una volta imbutito ci permetterà di ottenere una coppia imbutita cilindrica senza il difetto sopracitato. In generale dopo quanto appena detto tratteremo il processo di imbutitura a seconda di due ipotesi, nel caso in cui la lamiera sarà “Isotropa”, e il caso in cui la lamiera sarà a “Spessore costante” (ps. nella realtà ci sarà sempre un assottigliamento della lamiera). Come prima cosa da fare nel caso in cui da una lamiera volessimo ricavare una coppa imbutita, sarà quella di “calcolare il disco primitivo” che non è altro il piattello iniziale che sarà sottoposto al processo. Per calcolo del disco primitivo si supponga di avere un piattello caratterizzato da uno spesso “s” costante, dove usando la “costanza dei volumi” che ci mette in relazione il fatto che tra la coppa imbutita finale e il piattello iniziale i volumi saranno pressoché uguali. Detto ciò prendendo come esempio il processo di imbutitura descritto con la convenzione del filo nel disegno sottostante: Per la regola della costanza dei volumi troveremo che  𝜋4 𝐷02 = 𝜋4 𝐷02 + 𝜋 𝑑 ℎ dove appunto si andrà ad eguagliare i due volumi dove in questo caso " 𝜋4 𝐷02" è l’area del piattello primitivo e " 𝜋4 𝐷02 + 𝜋 𝑑 ℎ" è l’area del piattello una volta imbutito. Non sempre si andranno ad eseguire delle imbutiture semplici caratterizzate da un solo diametro, ma molte volte sono a doppi diametri come nel disegno a destra. In questo caso si utilizzerà la “costanza delle Aree” che sarà data da  𝜋4 𝐷02 = ∑ 𝑆𝑖𝑖 dove " ∑ 𝑆𝑖"𝑖 , è la somma delle varie superfici. Una volta definito il disco primitivo si andrà a definire il “Rapporto di Imbutitura” che è uguale a  𝐷0𝑑 dove "𝐷0" è il diametro iniziale del piattello, e "𝑑" invece è il diametro finale desiderato. Rapporto che definisce in base al valore del diametro finale che si vorrà ottenere "𝑑", quanto dovrà essere il diametro del piattello iniziale "𝐷0" in modo da ottenere il diametro voluto, e viceversa. Rapporto che in base a quanto detto ci permette di capire a sua volta che il processo per ottenere un imbutitura desiderata, sarà un processo di imbutitura “Completo” ovvero eseguibile in un unico passaggio o un processo di imbutitura “Parziale” dove saranno necessari 2 o più passaggi per ottenere il risultato finale. Per ogni materiale imbutito varierà il rapporto di imbutitura, ad esempio per piattello in acciaio il rapporto di imbutitura per 1° imbutitura sarà  𝐷0𝑑 ≤ 1.7, mentre se il materiale a già subito una prima imbutitura quindi è stato sottoposto già ad una deformazione portando quest’ultimo ad incrudirsi, il limite sarà inferiore ovvero  𝐷0𝑑 ≤ 1.2 altrimenti rischierebbe di rompersi. Detto ciò è bene verificare se il prezzo che si vuole creare mediate il processo di imbutitura sarà possibile eseguirlo in un solo stadio, o scomporlo in più stadi, per ogni dei quali andrà calcolato il rapporto di imbutitura. Oltre al rapporto di imbutitura è possibile calcolare la “Forza applicata dalla pressa” con la formula  𝐹 = 𝜋 𝑑 𝑆 𝑅𝑀( 𝐷0𝑑 − 0.7). Cosa succede se il rapporto di imbutitura risulta  𝐷0𝑑 > 1.7, succede che sarà necessario procedere in più stadi, e per sapere numericamente quanti stati andranno fatti, si procedere nel calcolare il massimo diametro da poter imbutire (I). Si andrà a prendere il diametro iniziale " 𝐷0", e si calcolerà la porzione possibile da imbutire nel 1°stadio senza eccedere il limite del rapporto di imbutitura. Porzione che prende il nome di diametro equivalente " 𝐷𝑒𝑞1"come si può vedere dal disegno alla sinistra, e si calcolerà in questo modo  𝐷𝑒𝑞1𝑑 = 1.7 ovvero eguagliando il rapporto tra il diametro equivalente e il diametro finale a 1.7 che è il limite massimo da non oltrepassare nella prima imbutitura. Dopo aver trovato il diametro equivalente " 𝐷𝑒𝑞1" utilizzando la costanza dei volumi calcolerò 𝜋4 𝐷𝑒𝑞12 = 𝜋4 𝑑2 + 𝜋 𝑑 ℎ1 per formule inverse calcolerò l’altezza parziale “h1”. Dopo questi due passaggi ci troveremo nel (II) step (disegno a sinistra), dove appunto abbiamo svolto nel 1°stadio un’imbutitura parziale e tutto il " 𝐷𝑒𝑞1"e stato imbutito diventato una coppa di diametro “d” ed altezza “h1”. Per procedere si andrà a calcolare il diametro esterno " 𝐷𝑒𝑠𝑡1" che è il valore del diametro non imbutito nel primo step. Diametro esterno che viene calcolato mediante la costanza dei volumi eguagliando L’area del piattello iniziale con l’area della porzione equivalente imbutita, con l’area della parte esterna non ancora imbutita  𝜋4 𝐷02 = 𝜋4 𝐷𝑒𝑞12 + 𝜋 𝑑 ℎ1 + 𝜋4 ( 𝐷𝑒𝑠𝑡12 − 𝑑2). Dopo aver ottenuto il diametro esterno " 𝐷𝑒𝑠𝑡1" per formula inversa, si andrà a verificare con il rapporto di imbutitura se sarà necessario soltanto eseguire un (III) step per completare il 1°stadio oppure sarà necessario un 2°stadio. Tutto ciò imponendo che  𝐷𝑒𝑠𝑡1𝑑 ≤ 1.2 se questo fosse verificato allora si farà soltanto con un altro stadio , sennò se il rapporto risultasse maggiore di 1.2 si procedere con il 2°stadio andando a calcolare " 𝐷𝑒𝑞2" e "ℎ2" ed una volta completato si andrà a riformulare la verifica mediante il rapporto di imbutitura per riverificare quanto detto. (Ps. fare attenzione tra la differenza di Stadio e step / utilizziamo 1.2 nella verifica e non 1.7, perché quanto è stato detto in precedenza il materiale è stato già deformato e quindi incrudito). Si elenchino ora i possibili DIFETTI derivati nel processo di imbutitura. Oltre la possibilità di avere delle “orecchie” dovute appunto all’anisotropia del materiale, un altro difetto possibile e quello di avere delle “Grinze” ovvero la formazione di ondulazioni (vedi disegno a destra) superficiali dovute principalmente e due fattori, ovvero se il gioco tra punzone e matrice e molto elevato, oppure se la pressione del premi-lamiera risulta essere molto bassa. Per ovviare a questo difetto le soluzioni potrebbero essere due, la prima e la più intuitiva ed è quella di modificare il gioco e le pressione dei premi-lamiera, la seconda è quella di utilizzare un “premi-lamiera con rompi grinze”. Questi premi-lamiera come si può vedere dal disegno alla sinistra, sono caratterizzati da una protuberanza che può essere di diverse forme, e dove insieme alla cavità sulla matrice, vincolerà la superficie del piattello di passare attraverso questa geometria in questo caso a forma di “U”. A sua volta la forza che sarà orizzontale, sarà direttamente proporzionale al tipo di geometria per il quale dovrà passare la lamiera. Nel caso venisse scelto di ovviare a questo difetto sopracitato mediante l’utilizzo dei premi-lamiera con rompi grinze, è quasi inutile dire che il costo del processo diventerà più costoso sia dal punto di vista di attrezzaggio, sia dal punto di vista energetico in quanto le forze in gioco saranno maggiori. Altra tipologia di difetto, è la possibilità di avere degli “Strappi” tra fondo e superficie laterale e tra gli spigoli nella coppa imbutita (disegno a destra), le concause di questo difetto saranno due, ovvero nel caso il gioco tra punzone e matrice fosse troppo picco, o la pressione esercitata sul premi-lamiera risulta essere molto elevata da non permettere un adeguato scorrimento orizzontale della lamiera. Le ipotetiche soluzione per ovviare a questo difetto sono eventualmente, di ridurre la pressione sul premi-lamiera, aumentare la temperatura °T della lamiera così da aumentare la duttilità di quest’ultima, o ridurre la velocità (v) di esecuzione del processo. Se queste ipotesi saranno tutte e tre verificate allora sarà possibile di schematizzare il contato Utensile-Pezzo in 2D in questo modo: dove "𝑡0", è lo spessore di truciolo indeformato o è definibile come la profondità di passata ovvero lo spesso di materiale da esportare. "𝑡" invece è lo spesso del truciolo formatosi dal materiale asportato. Lo spessore del truciolo "𝑡" risulterà sempre maggiore dello spessore del truciolo indeformato "𝑡0". L’Utensile sarà caratterizzato da una velocitò di taglio "𝑉𝑇",parallela alla superficie da lavorare, e da una forza “F” tangente detta anche forza repulsiva che è la forza uguale e contraria che si scambiano il pezzo con il tagliente. Utensile che a sua volta sarà posizionato rispetto al pezzo da lavorare, in maniera tale che ci sia un “Angolo di Spoglia Superiore (α)” che è l’inclinazione del petto dell’utensile rispetto alla normale della superficie da lavorare e che può essere rispetto alla normale sia positivo che negativo (foto alla destra). Da un “Angolo di Spoglia Inferiore” che non è altro che l’inclinazione del fianco dell’utensile rispetto alla superficie da lavorare, angolo che a sua volta dovrà essere sempre maggiore di zero in quanto se così non fosse andrebbe a strisciare sulla superficie appena lavorata rovinandola (PS. angolo maggiore e non maggiore o uguale a zero per lo stesso motivo). Infine da un “Angolo solido Utensile”, che è l’angolo tra il petto ed il fianco dell’utensile che dal punto di vista trigonometrico sarà uguale a  90° − 𝛼 − 𝐴𝑛𝑔. 𝑠𝑝𝑜𝑔𝑙𝑖𝑎 𝑖𝑛𝑓. In quanto sia stato facile definire il petto dell’utensile negli esempi riportati prima, in realtà non sarà sempre così facile. Per aggevolare questa cosa si usa una “Regola” ber precise, regola che dice:  L’angolo di spoglia superiore “α” sarà positivo, se il truciolo fluirà sul petto con una componente di velocità “V” opposta alla velocità di taglio "𝑉𝑇"; (disegno di destra )  L’angolo di spoglia superiore “α” sarà negativo, se il truciolo fluirà sul petto con una componente di velocità “V” uguale alla velocità di taglio "𝑉𝑇". (disegno di destra ) MODELLO DI PIJSPANEN Questo modello studia il meccanismo con il quale si forma il truciolo. Questo modello prende il nome dello scienziato che l’ha studiato, quest’ultimo ha appunto studiato diverse forme di truciolo in laboratorio, constatando che il processo di taglio ha a che fare con lo “slittamento di blocchi” a forma di parallelepipedo l’uno rispetto all’altro come si può vedere dal disegno sottostante. Questi blocchetti che appunto scorrono l’uno su l’altro rispetto ad un piano di scorrimento, andranno a formare un angolo chiamato “Angolo di Scorrimento” indicato con “ϕ”. Il truciolo formatosi a sua volta sarà caratterizzato da una parte frastagliata (indicato con la freccia in rosso) esterna del truciolo, e da una parte liscia (indicata con freccia azzurra) che sarà quella a contatto con il petto dell’utensile. In poche parole questo scorrimento è descrivibile come un mazzo di carte che scorrono tra di loro, questo scorrimento produce il così detto truciolo. Il materiale sottoposto al tagliente riceverà una “Deformazione primaria” ovvero uno scorrimento a taglio lungo un piano di scorrimento che appunto sarà caratterizzato dall’angolo “ϕ”, angolo che dipenderà dal materiale e dall’angolo di spoglia superiore “α” dell’utensile. Oltre la deformazione primaria, il materiale sarà sottoposto ad una “Deformazione Secondaria” dovuta dallo schiacciamento dei blocchetti sul petto dell’utensile, questo per causa dello strisciamento sul petto del truciolo. Schematizzando di nuovo il processo di asportazione del materiale, ci interessa sapere che in corrispondenza del tagliente (evidenziato in viola nel disegno di sinistra), zona nel quale avviene la deformazione primari del materiale da asportare, ci sarà un attrito talmente elevato definito “Attrito Adesivo”, attrito dovuto dalle elevate pressioni e dove il materiale scorrerà per cedimento a taglio. Attrito adesivo che sarà uno delle principali cause per il quale l’utensile si usura. Mentre in corrisponde del petto dell’utensile (evidenziato in verde nel disegno soprastante), zona nel quale avverrà la deformazione secondaria, ci sarà un attrito definito “Attrito di Strisciamento”. In questo caso le tensioni e le pressioni saranno minori, ma si genereranno delle temperature molto più elevate dovute appunto dallo strisciamento del truciolo, truciolo formatosi in questa zona sarà incandescente e geometricamente piatto e curvo. Appunto perché nella zona di attrito di strisciamento ci saranno temperature molto elevate, il processo di asportazione di truciolo sarà lubro-refrigerato. Si studia ora dal punto di vista analitico quali e quanto sono gli spessori del truciolo e le velocità in gioco. Ricordando che “t” è lo spessore del truciolo e “t0” è lo spessore del truciolo indeformato e sapendo che “t > t0”, si può definire il “Rapporto di Taglio” che sarà uguale:  𝑟 = 𝑡0t < 1 che sarà anche uguale a  𝑟 = 𝑠𝑒𝑛ϕcos (ϕ−α), perché come si può vedere dallo schema del disegno a destra, dove viene ingrandita la zona, dove "𝑡𝑠" è lo spessore del truciolo sul piano di scorrimento che sarà uguale a 90° − ϕ + α. A questo punto scrivendo questa semplice relazione che dice che  𝑡𝑠𝑠𝑒𝑛ϕ = 𝑡0, che  𝑡𝑠𝑠𝑒𝑛(90° − ϕ + α) = 𝑡 che sarà anche uguale scrivendo che  𝑡𝑠𝑐𝑜𝑠(ϕ − α) = 𝑡 da cui deduciamo che  𝑡0t = 𝑡𝑠𝑠𝑒𝑛ϕ𝑡𝑠𝑐𝑜𝑠(ϕ−α) , da qui "𝑡𝑠" con "𝑡𝑠" si semplificano e si avrà appunto quanto detto ovvero che  𝑟 = 𝑠𝑒𝑛ϕcos (ϕ−α). Per quanto riguarda invece le velocità in gioco, si potranno definire rifacendoci allo schema del disegno a sinistra del foglio, e dove "𝑉𝑇" è indicata come la velocità di taglio ovvero la velocità relativa del tagliente rispetto al pezzo, "𝑉𝑆" è la velocità di scorrimento, ovvero la velocità con cui avviene la deformazione primaria di Pijspanen, ed infine "𝑉𝑐" che è la velocità di flusso, ovvero la velocità che ha il truciolo che scorre sul petto dell’utensile. Anche le velocità sopracitate si posso legare a livello trigonometrico. Partendo schematizzando e definendo gli angoli come nel disegno a destra, si andrà ad eguagliare il tratto in giallo riportato nel disegno con la seguente relazione  𝑉𝑐 𝑐𝑜𝑠α = 𝑉𝑆 𝑠𝑒𝑛ϕ. Facendo una seconda schematizzazione come nel disegno sottostante, riportando i seguenti angoli dove, l’angolo in verde sarà uguale a 90° − ϕ + α , l’angolo viola sarà 90° − α e l’angolo in giallo sarà  ϕ + α. A questo punto si potrà scrivere la relazione che eguaglierà il tratto disegnato in blu come 𝑉𝑇 𝑠𝑒𝑛ϕ = 𝑉𝑐 cos (ϕ − α). Una volta scomposte tutte le forze rispetto a tutte e tre le direzioni come descritto precedentemente, si andranno a unire tutte insieme come si può vedere dal disegno a sinistra del foglio, così da permetterci di ricavare le varie relazioni che li legano in base a tutte le forze e gli angoli in gioco. Come prima cosa si andrà a definire gli angoli che si sono venuti a creare mettendo tutti e tre i disegni precedementemente studianti insieme. Da qui vedremo appunto l’angolo (indicato in verde) che si genera tra la forza risultante "𝑅",e la forza di attrito "𝐹", è uguale a  𝜋2 − β; l’angolo (indicato in griggio) che si genera tra la forza risultate "𝑅", e la forza di taglio "𝐹𝑇", è definito come  𝜋2 − 𝛼 − (− 𝜋2 − β) = β − 𝛼 e infine l’angolo (indicato in blu) che si genera tra la forza risultate "𝑅", e la forza di scorrimento "𝐹𝑆", che è definito come  ϕ + β − 𝛼. Una volta definiti tutti gli angoli si inizieranno come già detto a descrivere le varie relazioni che li lega. Scriviamo a questo punto che  {𝐹𝑇 = 𝑅 cos (β − 𝛼) 𝐹𝑛 = 𝑅 sen (β − 𝛼) allo stesso modo  { 𝐹𝑠 = 𝑅 cos (ϕ + β − 𝛼) 𝑁𝑠 = 𝑅 sen (ϕ + β − 𝛼) , una volta scritti aggiungiamo quello che avevo precedentemente trovato nella terza scomposizione ovvero che  {𝐹 = 𝑅 𝑠𝑒𝑛 β𝑁 = 𝑅 cos β . Dopo aver fatto tutta questa digressione di relazioni, in definitiva si potrà andare a misurare la risultante “R” che con gli angoli mi permetterà di calcolare le varie forze. Si studia ora cosa succede sul piano di scorrimento, prendendo come riferimento la schematizzazione del disegno di destra, dove tra le due facce dei blocchetti che caratterizzano il truciolo, varrà la seguente formula  𝐹𝑠 = 𝜏𝑆 𝐴𝑠 ovvero che la forza di scorrimento "𝐹𝑆" è uguale alla “Tensione sul piano di scorrimento” indicata con "𝜏𝑆", moltiplicata per “L’area del truciolo sul piano di scorrimento” indicata con "𝐴𝑠". Area della sezione del truciolo ideformato varrà  𝐴0 = 𝑡𝑜 𝑏 dove "𝑡𝑜" è lo spessore di truciolo indeformato e “b” è la larghezza di taglio, mentre l’area della sezione del truciolo deformato varrà invece  𝐴 = 𝑡 𝑏 dove "𝑡" è il truciolo deformato. Studiando dal punto di vista trigonometrico, è possibile calcolare gli spessori del truciolo deformato e indeformato. Rifacendoci alla schematizzazione del disegno sottostante, è possibile dire che:  𝑡𝑜 = 𝑡𝑆 𝑠𝑒𝑛 ϕ;  𝑡 = 𝑡𝑆 𝑐𝑜𝑠 (ϕ − 𝛼) Da qui facendo il rapporto tra "𝑏 𝑡𝑜" e" 𝑏 𝑡𝑆"  𝑏 𝑡𝑜𝑏 𝑡𝑆 = 𝑠𝑒𝑛 ϕ = 𝐴0𝐴 , ovvero non è altro che uguale al rapporto tra l’ area della sezione del truciolo ideformato "𝐴0" e L’area del truciolo sul piano di scorrimento "𝐴𝑠". Si può calcolare anche la “Forza di scorrimento” come  𝐹𝑆 = 𝜏𝑆 𝐴𝑆 = 𝜏𝑆 𝐴0𝑠𝑒𝑛 ϕ, e da qui calcolare la “Tensione sul piano di scorrimento” che è uguale a:  𝜏𝑆 = 𝐹𝑆 𝑠𝑒𝑛 ϕ𝐴0 sostituendo "𝐹𝑆 "con quanto scritto prima diremo che:  𝜏𝑆 = 𝑅𝐴0 𝑠𝑒𝑛 ϕ cos (ϕ + β − 𝛼) , con questo concluderemo che, data una certa lavorazione varrà sempre questa relazione. Si dimostra che  “Esiste sempre un valore di “ϕ” tale per cui "𝜏𝑆" è massima, per questo valore si attiva la deformazione di Pijspanen”, in poche parole in base a quanto detto da questo teorema, la deformazione di Pijspanen si attiva lungo un angolo “ϕ” per cui il valore della tensione "𝜏𝑆" e semplicemente massimo. Per calcolare questo valore, sapendo che è un massimo vorrà dire scrivere che la derivata  𝑑𝜏𝑆𝑑ϕ = 0. Sviluppando la derivata facendone il prodotto si otterrà:  𝑅𝐴0 [cos ϕ cos(ϕ + β − 𝛼) − sen ϕ sen(ϕ + β − 𝛼)] = 0 semplificando le costanti , e raccogliendo si otterrà che: cos(𝛼 + β) = cos 𝛼 cos β − sen 𝛼 sen β = 0 Rifacendoci alla regola che dice che "cos(𝛼 + β) = ⋯ … … … " , l’equazione precedente può essere espressa anche in questo modo:  cos(ϕ + ϕ + β − 𝛼) = 0 , ed essendo in questo caso che il coseno di un angolo è uguale a zero, e sapendo che il 𝑐𝑜𝑠 𝜋2 = 0 ,allora scriveremo che:  2ϕ + β − 𝛼 = 𝜋2 questa equazione appena trovata è definita come la “LEGGE DI MERCHANT”, che dice che L’angolo di scorrimento "𝜙", l’angolo di scorrimento "𝛽" e l’angolo di spoglia superiore "𝛼" sono legati da questa legge. Questa legge sarà sempre valida anche in casi non ideali dove:  2ϕ + β − 𝛼 = 𝐶 con che “C” che è definita come la costante di Merchant. POTENZA NECESSARIA IN ASPORTAZIONE DI TRUCIOLO Il valore della Potenza necessaria in asportazione di truciolo o più comunemente chiamata potenza di taglio, risulta di grande importanza quando si ha a che fare con processi per asportazione di truciolo. Come precedentemente visto, la potenza di taglio si calcola come la forza di taglio "𝐹𝑇" per la velocità di taglio "𝑉𝑇"  𝑃𝑇 = 𝐹𝑇 𝑉𝑇 , quest’ultima si potrà anche calcolare come  𝑃𝑇 = 𝑢𝑇 𝑀𝑅𝑅 dove "𝑢𝑇" è definita come “L’energia specifica di taglio” e si misura in 𝐽𝑚𝑚3, mentre "𝑀𝑅𝑅" è definito come il “Material Removal Rate”, ovvero la quantità di materiale o truciolo asportato rispetto all’unità di tempo, e si misura in 𝑚𝑚3𝑠𝑒𝑐 . Material Removal Rate che si può calcolare come  𝑀𝑅𝑅 = 𝐴0 𝑉𝑇 dove "𝑉𝑇" come ormai ben sappiamo è la velocità di taglio, e "𝐴0" è l’area della sezione del truciolo indeformato che sarà anche uguale a  𝐴0 = 𝑡0𝑏 dove ”𝑡0" è il truciolo indeformato e “b” e la lunghezza di taglio, e quindi possiamo definire anche il:  𝑀𝑅𝑅 = 𝑡0𝑏 𝑉𝑇 . Andando a confrontare le due formule, quella sulla potenza di taglio "𝑃𝑇", con quella del “MRR” sarà possibile ottenere la forza di taglio "𝐹𝑇" come:  𝐹𝑇 = 𝑢𝑇 𝐴0, con valori di "𝑢𝑇" che variano in base al materiale da lavorare. Ad esempio per l’Alluminio (Al) il valore di "𝑢𝑇" sarà compreso tra 0.4 e 1.3 𝐽𝑚𝑚3, mentre per quanto riguarda L’acciaio, "𝑢𝑇" sarà compreso tra 3 e 9 𝐽𝑚𝑚3 anche se in questo caso si utilizzerà per lo più il valore di 4 o 5. L’energia specifica di taglio "𝑢𝑇" invece sarà data da una parte dovuta dall’attrito nella deformazione secondaria di Pijspanen, e un’altra parte dovuta dalla deformazione primaria di Pijspanen, ovvero 𝑢𝑇 = 𝑢𝑆 + 𝑢𝐹 La potenza di tutto il processo in generale sarà data da: 𝑃 = 𝑃𝑇 + 𝑃𝑎 = 𝐹𝑇𝑉𝑇 + 𝐹𝑎𝑉𝑎 ma come detto in precedenza la potenza di avanzamento essendo trascurabile in definitiva diremo che la potenza di taglio sarà data da 𝑃𝑇 = 𝐹𝑇𝑉𝑇 = 𝑢𝑇𝐴0𝑉𝑇, e sapendo che 𝐴0𝑉𝑇 = 𝑀𝑅𝑅 si potrà anche scrivere che 𝑃𝑇 = 𝑢𝑇𝑀𝑅𝑅. Si studia ora in maniera più dettagliata com’è composto l’utensile con i vari angoli di spoglia presenti sull’utensile stesso. Prendendo sempre come riferimento un utensile integrale così schematizzato: Formato come già detto da un petto due fianchi e da due taglienti, uno principale che asporterà la maggior parte del materiale, e un secondario, che a loro volta avranno due angoli di spoglia superiore e inferiore. Per far ciò, ovvero studiare gli angoli formati dal tagliente principale e quello secondario, è bene disegnare più viste ovvero una frontale per poter individuare gli angoli sviluppati dal tagliente principale e una vista laterale per individuare gli angoli sviluppati dal tagliente secondario. Disegnando appunto la vista frontale rispetto al disegno di sopra, riportata qui sotto, si potranno appunto individuare gli angoli generati dal tagliente principale che nella vista frontale è indicato con il puntino rosso. A questo punto si avrà un “Angolo di spoglia superiore principale” indicato con (𝛼′) che avrà una certa inclinazione rispetto al tagliente principale e può essere sia negativa che positiva ,e da un “Angolo di spoglia inferiore principale” indicato anch’esso con (𝛼′). Mentre per individuare gli angoli ricavati dal tagliente secondario si andrà appunto a disegnare una vista laterale sempre rispetto alla schematizzazione di sopra, e sarà così disegnata: In questa vista il tagliente secondario è raffigurato mediante il punto verde e gli angoli generati sono individuabili come “Angolo di spoglia superiore secondario” e “Angolo di spoglia inferiore secondario” tutti e due indicati con la lettera (𝛼′′). È bene sapere che comunque gli angoli di spoglia principali secondario a loro volta superiori ed inferiori possono essere sia positivi che negativi, o alcuni positivi e altri negativi e viceversa. Per completezza si disegna anche la vista dall’alto così da avere la possibilità di guardare il “Raggio di punta” dell’utensile, che come già precedentemente detto, separerà il tagliente secondario (colorato in verde) con quello primario (disegnato in rosso). Il raggio di punta che a sua volta sarà di fondamentale importanza in quanto da quest’ultimo dipenderà per la “Rugosità” superficiale del pezzo una volta tornito, rugosità indicata con la lettera "𝑅𝑎". Con quanto appena detto, e bene sapere che esiste una relazione che dirà che 𝑅𝑎 = 𝑎232 𝑟 dove appunto “r” è il raggio di punta. Se il raggio di punta a sua volta aumenta, la rugosità superficiale sarà minore e viceversa. Come si può vedere dal disegno sottostante, dove si è andato a fare uno zoom molto grande della superficie il quale e stata lavorata da un utensile caratterizzato da un raggio di punta molto piccolo, questo come si può anche notare dal disegno, genererà delle creste di materiale pronunciate, dando appunto una rugosità superficiale maggiore. Mentre prendendo come esempio lo zoom di una superficie di materiale lavorata mediante un utensile caratterizzato da un raggio di punta molto grande e con lo stesso avanzamento del precedente, come si può vedere dal disegno a destra, le punta delle cresce del materiale saranno molto più arrotondate, e questo daranno una bassa rugosità superficiale. Come anticipato inizialmente oltre il classico utensile integrale, esistono anche utensili più complessi, formati da una parte fissa chiamata “Stelo”, ed una parte intercambiabile ovvero le “Placchette” che saranno caratterizzate dai taglienti. Placchette che possono essere di vari forme anche di tipo circolare come si puo vedere dal disegno a sinistra. Placchette circolari che essendo caratterizzate da ampi raggi di punta daranno rugosità superficiali molto basse. Esistono anche placchette a forma triangolare e rettangolare come nel disegno di destra, che risultano modulabili, perché come si può vedere dal disegno a sinistra con raffigurata una placchetta triangolare tridimensionale, dove quest’ultima, prima di essere sostituita, sarà possibile utilizzarla rispetto i tre lati della faccia superiore, ed in seguito ruotarla rispetto la faccia inferiore che mi darà altri 3 lati da utilizzare per un totale di 6 configurazioni possibili di utilizzo prima di essere cambiata. Mentre per la placchetta quadrata si potra utilizzare per un totale di 8 volte in quanto 4 lati rispetto la faccia superiore e 4 rispetto quella inferiore. Questi tipi di utensili con placchete intercambiabili rispetto gli utensili integrali risultano essere più consigliati da utilizzare in quanto più economiche per via del fatto che si dovrà sostituire solo la placchetta una volta usurata, mentre in quelli integrali una volta usurati si dovranno sostituire completamente. Il Processo di tornitura cilindrica a sua volta sarà diviso in più passate caratterizzate da una prima lavorazione di “Sgrossatura” dove si andrà asportare molto materiale superficiale per renderlo pulito superficialmente da possibili imperfezioni o punte di ruggine createsi durante lo stoccaggio in magazzino della barra cilindrica prima di essere utilizzata. In questa lavorazioni non essendo la definitiva si utilizzerà una velocità di taglio basse, ma un avanzamento più alto. Nella seconda lavorazione definita “Finitura” invece si andrà ad asportare poco materiale, perché in questo caso interesserà al fine di avere una piu o meno rugosità superficiale per appunto rifinire la superficie in precedenza sgrossata. In questa lavorazioni si utilizzerà un’alta velocità di taglio ma un avanzamento minore. La rugosità è collegata a sua volta all’avanzamento perché come si puo vedere dal disegno di destra, dove è raffigurata una superficie lavorata con un avanzamento superiore che genererà una rugosità superficale maggiore, rispetto alla superfici del disegno a sinistra dove l’avanzamento risulta essere più basso generando appunto una rugosità più bassa per via delle creste del materiale meno alte ed acute e quindi più ravvicinate tra di loro. Oltre al processo di tornitura cilindrica esterna, sarà possibile eseguire con il tornio anche un altro processo ovvero la “Sfacciatura”, dove lo scopo è quello di dimunire la lunghezza della barra cilindrica portandola da una lunghezza inizale “L0” ad una lunghezza finale “Lf”. Nella sfacciatura sarà asportato la superficie del materiale perpendicolare rispetto all’asse del pezzo da lavorare (Ps. e come se tagliassimo una fetta di salame). Rispetto a quanto detto cambierà la composizione delle forze e velocità in gioco che saranno raffigurante mediante questa schematizzazione disegnata qui sotto: Dove una barra cilindrica viene sempre messa in rotazione caratterizzando quest’ultima da un moto di taglio rotativo, ed un utensile perpendicolare alla superficie da lavorare, che asporterà del materiale a seconda di una profondità di passata “p”. Utensile che a sua volta sarà caratterizzato da un moto (o velocità) di avanzamento indicato con "𝑉𝑎". In questo caso "𝑉𝑎" andrà dall’esterno verso il centro del pezzo rispetto all’asse di simmetria. Velocità di avanzamento che sarà possibile calcolarla analiticamente rispetto questa formula 𝑉𝑎 = 𝑎 𝑁 dove “a” è l’avanzamento al giro e misurabile come 𝑚𝑚𝑔𝑖𝑟𝑜. “L’area del truciolo indeformato” sarà calcolata rispetto la seguente formula 𝐴0 = 𝑎 𝑝 dove rifacendoci alla zona del truciolo indeformato rispetto al disegno di sopra (parallelepipedo nero), quest’ultimo sarà caratterizzato dalle seguenti quote per il calcolo di "𝐴0" (vedi disegno di destra ). Ridisegnando la vista frontale della punta, così da poter studiare il truciolo indeformato indicato con "𝐴0" . Considerando appunto che la punta giri in senso orario, in questo caso definiremo il petto del tagliente “AB”, e il fianco del tagliente “CE” in questo modo. A loro volta per vedere il petto e il fianco rispettivamente del tagliente “CE” e “AB”, sarà necessario disegnare una vista di dietro rispetto a questa frontale. Il questo caso il truciolo ideformato sarà calcolabile con la seguente formula  𝐴0 = 𝑎2 𝐷2 è sarà appunto la sezione del truciolo che singolarmente ogni tagliente andrà ad asportare dal pezzo, e dove " 𝑎2 " come si può vedere dal disegno a sinistra, risulterà essere avanzamento ad ogni mezzo giro per ogni singolo tagliente. Immaginando di fare mezzo giro alla volta avanzando appunto di " 𝑎2 ", partendo da (AB) e (CE) ci troveremo a forare il materiale , così che la punta si troverà più in basso, arrivando fino ad (A’B’) e (C’E’), e quindi facendo un altro mezzo giro, si andrà a completare un giro completo, che sommato a quello precedente quindi " 𝑎2 + 𝑎2 " ci permetterà di scendere fino ad (A’’B’’) e (C’’E’’). Sapendo che la forza di taglio sarà appunto data dalla formula 𝐹𝑇 = 𝑢𝐴0 dove come ben sappiamo "𝐴0 = 𝑎𝐷4 " allora la forza di taglio per ogni singolo tagliente sarà 𝐹𝑇 = 𝑢𝑇 𝑎𝐷4 . Essendo due forze di taglio appunto una per ogni tagliente, queste due forze genereranno una coppia, definita come “Coppia di taglio” ed indicata con "𝐶𝑇" che sarà uguale a 𝐶𝑇 = 𝐹𝑇 𝐷2 . Mentre la “Potenza di taglio” indicata con "𝑃𝑇" sarà uguale a 𝑃𝑇 = 𝑢𝑇𝑀𝑅𝑅 o oppure ad 𝑃𝑇 = 2𝐹𝑇 𝑉𝑇 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎, dove il “2” davanti alla formula sta ad indicare il fatto che le forze di taglio in gioco come ben sappiamo saranno due, e la velocità di taglio sarà la media, oppure potenza che sarà possibile calcolarla anche passando per la coppia di taglio 𝑃𝑇 = 𝐶𝑇 𝑊𝑇 dove "𝑊𝑇 " è la velocità di rotazione e sarà uguale a  𝑊𝑇 = 2 𝜋𝑁60 espressa in 𝑅𝑎𝑑𝑠𝑒𝑐 , mentre invece “N” è il numero di giri al minuto. È possibile andare a calcolare il “Material Removal Rate” con la seguente formula  𝑀𝑅𝑅 = 𝑉𝑇 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 2 𝐴0 dove il “2” davanti ad "𝐴0" sta ad indicare il fatto che si andranno a formare due trucioli. MRR che a sua volta sarà anche declinabile anche come  𝑀𝑅𝑅 = 𝜋 𝐷𝑁2 2 𝑎𝐷4 = 𝜋 𝐷2𝑎𝑁4 e sapendo che 𝑉𝑎 = 𝑎 𝑁 allora in definitiva  𝑀𝑅𝑅 = 𝜋4 𝐷2 𝑉𝑎 , formula che così scritta sembra appunto il calcolo dell’area della punta cilindrica moltiplicato in questo caso per la velocità di avanzamento. Per quanto riguarda invece i tempi di lavorazione nella foratura possiamo calcolarli con la seguente formula, dove  𝑡𝐿 = 𝐿𝑇𝑜𝑡 𝑉𝑎 dove "𝐿𝑇𝑜𝑡" è la lunghezza di foratura totale eseguita sul pezzo. Il problema della punta da foratura è appunto il calcolo della lunghezza, in quanto immaginando il processo che avviene in foratura, dove come schematizzato qui sotto, abbiamo una punta che si avvicina sulla superficie da forare, e caratterizzata da una distanza "∆𝐿" che indica la distanza dal momento che la punta tocca la superficie, al momento che la punta inizi effettivamente la presa con l’asportazione di truciolo, in seconda battuta la punta inizierà a forare per una lunghezza “L”. Il foro sarà terminato quando la punta si troverà al di fuori del materiale, così da essere sicuri di averlo svuotato. Nel caso in cui non ci sarà dato la lunghezza totale di foratura, per calcolarla partiamo con il calcolare la lunghezza della punta, e conoscendo l’angolo tra i taglienti "η", facendo un po’ di calcoli trigonometrici, sarà possibile calcolare il segmento indicato come nel disegno di destra da “OH” la distanza tra la parte più esterna rispetto al punto dove i taglienti inizieranno ad asportate il truciolo. Quindi per formule trigonometriche ricaveremo in prima battuta 𝑂𝐵 = 𝑡𝑎𝑛 η2 = 𝐷2 e da qui 𝑂𝐻 = OB𝑡𝑎𝑛η2. Una volta calcolato questo, per calcolare la nostra incognita ovvero la lunghezza totale di foratura, andremo a sommare la lunghezza del foro nota più il segmento “OB” 𝐿𝑇𝑜𝑡 = 𝐿𝑓𝑜𝑟𝑜 + 𝐷 2⁄ 𝑡𝑎𝑛η2. Una nota da ricordare riguardante la punta da foratura e che i taglienti che parteciperanno ad asportate il materiale non saranno lungo tutto lo stelo della punta, ma solo nella parte iniziale. Ovvero come si può vedere dal disegno a destra, i bordi dell’elica che gira intorno all’asse della punta da foratura, indicatati in giallo, non saranno affilati e quindi non parteciperanno all’asportazione di truciolo, ma faciliteranno la fuoriuscita del truciolo che si incanalerà e fluirà all’esterno del foro. Oltre ad eseguire un foro passante come nell’esempio riportato precedentemente, con il processo di foratura sarà possibile eseguire un foro di tipo cieco come nel caso del disegno a sinistra. FRESATURA Il processo di Fresatura è un processo per asportazione di truciolo che permette una grandissima varietà di utilizzo. Questo perché l’utensile chiamato in gergo “Fresa” sarà molto variegato. Prendendo in esame ad esempio una “Fresa a denti diritti cilindrica” schematizzata qui a sinistra, quest’ultimo sarà formata da tanti taglienti, taglienti pari al numero dei “Denti” dell’utensile in uso. Denti definiti anche “Cunei”, dove ogni cuneo è caratterizzato a sua volta da un “Tagliente”, un “Petto” ed un “Fianco”, e in base al disegno di destra dove viene preso un dente singolarmente, è possibile vedere come quest’ultimo è dotato di un “Angolo di spoglia superiore” ed un “Angoli di spoglia inferiore”, tutti e due indicati con la lettera "𝛼". Nel caso in questione ovvero fresa a denti diritti il numero di taglienti potrà essere maggiore di due per ogni dente. Come avviene questo processo di fresatura, avviene che un utensile fresatore verrà masso in rotazione rispetto il proprio asse, e mediante più denti in presa sulla superficie, si andrà appunto ad asportare materiale. Fresa che a sua volta possiede la “Velocità di taglio” "𝑉𝑇" che si calcolerà come sempre  𝑉𝑇 = 𝜋𝐷𝑁, mentre la “Velocità di avanzamento” "𝑉𝑎", sarà posseduta dal pezzo. In commercio oltre alla fresa a denti diritti, ci saranno anche altri tipi di frese caratterizzate anche da denti a forma elicoidale, o fresa che al posto dei denti hanno placchette che a loro volta risultano intercambiabili. In generale il processo di Fresatura si dividerà in:  Fresatura Frontale, dove la superficie da lavorare sarà perpendicolare all’asse di simmetria della fresa. Le frese utilizzate nella Fresatura frontale, avranno dei denti sia su superficie laterale, che sulla base inferiore della fresa stessa, ed ogni dente della fresa sarà caratterizzato da un tagliente sia sulla base che sulla superficie da lavorare. In questo caso di fresatura frontale, la velocità di taglio varierà, perché essendo che lavorerà sia mediante taglienti laterali che quelli frontali, i primi avranno velocità di taglio costante, mentre i secondi ovvero i taglienti dei denti frontali, la velocità di taglio varierà.  Fresatura Periferica, dove la superficie da lavorare sarà parallela all’asse di simmetria della fresa. Nella fresatura periferica, la fresa utilizzata non avrà taglienti sulla base dei denti, ma soltanto sulle superfici laterali, che saranno quelle a contatto con la superficie da lavorare. In questo caso di fresatura periferica, la velocità di taglio sarà costante in quanto i taglienti lavoreranno solo sulle superfici laterali. Si studia ora com’è formato il truciolo, partendo per facilitare l’apprendimento di schematizzarlo in questo modo: da qui dobbiamo calcolarci il massimo spessore del truciolo. Sapendo che la fresa si impegna tangente a se stessa, ovvero il dente sarà tangente alla circonferenza del truciolo. La fresa quindi taglierà il truciolo lungo il raggio e quindi non si dovrà pensare di prendere "aZ" come sezione del truciolo massimo, ma facendo un ulteriore schematizzazione come nel disegno di destra, nel caso in cui li dente della fresa si trovi nel punto “A”, lo spessore del truciolo sarà il segmento “AB”, è l’angolo disegnato in giallo, creatosi nel punto vicino ad “A” sarà uguale a  𝜋2 − ϕ. Detto ciò la sezione massima del truciolo indicata con il segmento “AB” varrà in questo caso: 𝐴𝐵 = 𝑎𝑧 ( 𝜋2 − ϕ)  𝑆𝑒𝑧. 𝑇𝑟𝑢𝑐𝑖𝑜𝑙𝑜𝑀𝑎𝑥 = aZ 𝑠𝑒𝑛ϕ  Nel caso di profondità  𝑝𝑟 < 𝑅 e ϕ < 𝜋2 𝑜 90° l’area del truciolo indeformato vari tra  0 ≤ A0 ≤ aZ 𝑠𝑒𝑛ϕ 𝑝𝑎 dove "aZ 𝑠𝑒𝑛ϕ 𝑝𝑎" è la sezione in diagonale che si vede nel disegno di sopra dov’è schematizzato il truciolo. La Forza di taglio "FT" che sarà uguale a FT = 𝜇T A0, quest’ultima varierà  0 ≤ FT ≤ 𝜇T A0 = 𝜇T A0𝑠𝑒𝑛ϕ 𝑝𝑎 Nel caso in cui ϕ > 𝜋2 𝑜 90° con 𝑝𝑟 > 𝑅 , in questo caso la 𝑆𝑒𝑧. 𝑇𝑟𝑢𝑐𝑖𝑜𝑙𝑜𝑀𝑎𝑥 = aZ 𝑝𝑎 in questo caso il valore massimo sarà nella direzione orizzontale da come si può vedere dal disegno così da definirlo come scritto sopra. Mentre tutti gli altri valori saranno minori. Questo ci porterà dire che in generale la forza di taglio, varierà tra un massimo ed un minimo, questo in base al fatto se siamo nel caso di fresatura in discordanza o in concordanza. Il grafico riportato a sinistra, è riferito nel caso di fresatura in discordanza, dove si può ben vedere come la forza parte da zero ed arriva ad un massimo, poi ritorna a zero e risale ad un massimo e così via, questo ipotizzando un solo dente in presa. Se invece si ipotizzano più denti in presa, sempre per quanto riguarda la fresatura in discordanza, come si può vedere dal grafico a destra, le discontinuità delle forze saranno molto più graduali. Più aumentano i denti presa, più le forze si andranno a sommare. Tutti e due i casi indicati sopra, riguardano per frese con denti dritti, nel caso di frese con denti elicoidali le discontinuità sarebbero ancora più graduali. Per quanto riguarda invece il calcolo dei “Numeri dei denti in presa” è bene utilizzare la seguente formula  𝑧𝑖 = ϕ2𝜋 𝑧 dove rispettivamente “z” è il numero di denti della fresa utilizzata e "2𝜋" se si esprime in rad/sec senno al posto di 2π →360° se lo si vuole in gradi Nel caso di Fresatura in concordanza, come si può vedere dal grafico qui sotto, la forza in questo caso passa da un massimo ad un minimo, ed anche in questo caso si hanno più denti in presa, il grafico sarebbe più regolare. Si studia ora come calcolare la “Potenza totale” nel processo di fresatura. In questo caso avendo le velocità di taglio "𝑉𝑇" e le forze di taglio "𝐹𝑇" NON costanti, conviene utilizzare la classica formula  𝑃𝑇𝑡𝑜𝑡 = 𝜇T MRR dove “MRR” che come già sappiamo è il Material Removal Rate sarà  MRR=𝑝𝑎 𝑝𝑟 𝑉𝑎 = 𝑝𝑎 𝑝𝑟 𝑎𝑍 𝑧 𝑁. Oltre la potenza massima è possibile calcolare anche la “Potenza media per ogni singolo dente” indicata con "𝑃𝑇𝑖" ed uguale a 𝑃𝑇𝑖 = 𝐹𝑇𝑖 𝑉T = aZ 𝑠𝑒𝑛ϕ2 𝑝𝑎 𝜇T 𝑉T dove come sappiamo "aZ 𝑠𝑒𝑛ϕ" sarà lo spesso massimo del truciolo. Nel calcolo della "𝑃𝑇𝑖" sarà da tener conto il tipo di fresatura che si sta eseguendo, in quanto nella fresatura periferica ad esempio le velocità di taglio essendo costante non ci servirà calcolare la velocità di taglio media, in altri casi dovrò calcolare appunto la velocità di taglio media. La “Potenza di taglio per ogni singolo dente” sarà data invece dalla seguente formula 𝑃𝑇 = 𝑧𝑖 𝑃𝑇𝑖 Si studia ora qualche caso particolare della fresatura come la “Fresatura Frontale”, fresatura che sarà così schematizzate per semplicità di comprensione: Nella fresatura frontale ci sarà una fresa che viene impegna su una superficie come nel disegno di sinistra. La fresa possiederà velocità di taglio "𝑉𝑇", e il pezzo una certa velocità di avanzamento "𝑉𝑎". Nella fresatura frontale parte della lavorazione avverrà in concordanza dove "𝑉𝑇" sarà concorde con "𝑉𝑎” e parte in discordanza. L’angolo di impegno massimo nel quale è possibile utilizzare nella fresatura frontale e  "ϕ𝑀𝑎𝑥 = 180°", è bene dire a questo punto che per angoli ϕ < 90°, si avrà una parte di truciolo asportato secondo fresatura in discordanza ed i suoi pregi e difetti elencati prima, ed altra parte di truciolo asportato con i pregi e difetti della fresatura in concordanza. Per completezza è bene dire anche che utilizzare una angolo di impegno 𝛟 = 𝟏𝟖𝟎° non è molto consigliato, in quanto come si può vedere dal disegno a destra, dove è schematizzata una prima passata disegnata in arancione, ed una seconda in rosso, come si può vedere tra le due passante non essendoci sovrapposizione della fresa tra una e l’altra si andrà a creare una bava, ovvero un finissimo strato di superficie non lavorato. Oltre alla bava, l’utilizzo di una fresa con impego di 180° genererà grandi sollecitazioni dovute da un maggiore numero di denti in presa, portando ad una maggiore usura dei denti. Nel caso in cui utilizzassimo un angoli di impegno ad esempio 𝛟 = 𝟗𝟎° quindi non totale come nel caso in precedenza. La fresa si posizionerà come nel disegno di sinistra, sovrapponendosi così tra una passata e l’altra come si può vedere dal disegno a destra, così da non creare delle bave superficiali. Infine si calcoli il tempo di lavorazione necessario per eseguire una fresatura. Tempo calcolato mediante la seguente formula 𝑡𝐿 = 𝐿𝑡𝑜𝑡𝑉𝑎 dove “L” è la lunghezza totale da lavorare che non riguarda soltanto il tratto di materiale da asportare (1-2) come si può vedere dal disegno alla sinistra, ma viene sommata la lunghezza nel tratto in cui il primo dente tocca la superficie"∆𝐿" fino alla momento il cui l’ultimo dente lascia la superficie appena lavora "∆𝐿" intervallo (1-3), quindi la lunghezza totale sarà 𝐿𝑡𝑜𝑡 = 2 ∆𝐿 + 𝐿. Per il calcolo di "∆𝐿" come sempre ci verrà in aiuto la trigonometria, ed appunto sarà ∆𝐿= 𝑅 𝑠𝑒𝑛 ϕ, dove “R” è il raggio della fresa oppure utilizzando Pitagora  ∆𝐿= √𝑅2 − ( 𝑅 − 𝑝𝑟)2. Per far sì che non si facciano errori con i calcoli trigonometrici, come detto in precedenza sarà buona abitudine di fare uno schema qualitativo come potrà esserlo quello disegnato a destra riguardante l’esempio in questione. In un caso di Fresatura frontale schematizzata come qui in a sinistra, l’intervallo “Contatto e uscita completa” sarà (1-3), mentre l’intervallo di lavorazione sulla superficie sarà (1-2), dove però in questo caso la fine della lavorazione avverrà prima del punto 2, dove la fresa sarà tangente ai due spigoli del pezzo per intenderci. MECCANISMI DI USURA DEGLI UTENSILI Sono meccanismi che ci permettono di capire il tipo di usura che avviene sull’utensile, ed a loro volta ci indicheranno il momento in cui l’utensile sarà necessario essere sostituito. Meccanismi di usura che appunto saranno:  Usura del fianco o labbro d’usura, in questo caso, è come se si avesse sull’utensile un’abrasione progressiva parallela alla superficie lavorata, come si può vedere dal disegno di destra indicato con le linee tratteggiate in rosso. Il tagliente mano a mano e come se arretrasse sul fianco del tagliente, così facendo si arriverà ad avere un angolo di spoglia nullo, che mano a mano andrà a compromettere la rugosità superficiale del pezzo lavorato in quanto striscerà. Si avranno anche tolleranza dimensionali e geometriche peggiori, e l’energia necessaria per la lavorazione sarà supeririore in quanto ci sarà più attrito dovuto da un maggiore contato utensile- pezzo. Questo meccanismo di usura non è eliminabile, ma è possibile rallentarlo utilizzando un utensile che abbia delle buone prestazioni dal punto di vista di durabilità. Labro di usura indicato con "𝑣𝑏" è definito lo spessore del labbro d’usura come si può vedere dal disegno a sinistra, che a sua volta guardandolo dal basso come indicato con l’occhio risultera come nel disegno a destra , dove appunto si può notare che lo spessore di usura non è altro che la profondità dovuta da questo meccanismo di usura rispetto al tagliente. In definitiva questo meccanismo di usura dipenderà soprattuto dalla velocità di taglio "𝑉𝑇". Ad esempio in un utensile si avrà una velocità non costante sul tutto il tagliente come nel caso dei taglienti della punta per il processo di foratura, come schematizzata nel disegno sottostante, come si può vedere la forma di dello spessore del labbro di usura "𝑣𝑏" sarà di tipo triangolare.  Usura del petto o cratere d’usura, in questo caso si creerà sull’utensile un cratere sul petto di quest’ultimo come si può vedere dal disegno a destra. Cratere che si formerà in prossimità del tagliente, e si genererà per effetto dello strisciamento del truciolo sul petto dell’utensile. Cratere che comporterà un indebolimento dell’utensile provocandone una possibile rottura. Questo meccanismo di usura non è eliminabile , quindi risulta intevitabile non averlo, ma sarà possibile posticiparlo con utilizzo di un’utensile costruito in un materiale migliore rispetto ad un altro. Meccanismo che però risulta essere meno comune del labbro d’usura, ma meccanismo che quando si presenta, si presenterà nel punto in cui si avrà un picco di temperatura, punto nel quale si avrà la deformazione secondaria di Pijspanen. Altra causa può essere dovuta dall’affinità chimica tra untensile e pezzo, ad esempio se si lavorare una superficie acciaio con un utensile ricoperto in diamante, sicuramente si avrà un’affinità chimica del carbonio, affinità che comporta la possibilità di ritrovare degli atomi di carbonio che si diffondono sull’utensile portandolo piano piano ad indebolirsi. Quindi in definitiva si dovrà scegliere un utensile costruito in un materiale che non sarà chimicamente affine rispetto al materiale sul quale dovrà lavorare.  Tagliente di riporto, questo meccanismo si evolve quando sul tagliente rimane attaccato una piccola quantità di truciolo che incandescente si andrà a saldare sul petto dell’utensile. Come si può vedere dal disegno a destra, il materiale esportato dalla superficie, che non riuscira a fluire su petto, attaccandosi su quest’ultimo, andrà a compromettere la forma del tagliente. Questo meccanismo di usura è causato dal fatto che ci sarà attrito adesivo in corrispondenza del tagliente dovuto dalla deformazione primaria di Pijspanen. Oltre ad una delle cause appena eleganta, e bene dire che questo meccanismo è facilitato da eventuali velocità di taglio "𝑉𝑇" molto basse. Questo meccanismo, provocando questo materiale di riporto sul tagliente andando a compromettere come già detto la forma di quest’ultimo, andrà a provocare sulla superficie del pezzo che sta lavorando, un aumento della rugosità superficiale, delle tolleranze dimensionali e geometriche peggiori, ed un consumo di energia e potenza maggiore dovuto da più attrito tra utensile e pezzo.  Scheggiatura, meccanismo di usura molto comunque, dove la punta dell’utensile si scheggia, scheggiatura causata o dall’utilizzo di un materiale di costruzione fragile, o da condizioni di taglio non stabili tipo vibrazioni o forze di taglio elevate. Questo meccanismo come tutti gli altri compromette la superfici del pezzo sotto lavorazione nel caso in cui uno non se ne accorga.  Formazione di intagli o cricche, meccanismo di usura incontrollabile e molto comune negli utensili utilizzati nei processi di asportazione di truciolo.  Deformazione plastica, non è definita come un vero e proprio meccanismo d’usura, ma come tale compromettendo la forma dell’utensile, andrà come sempre a rovinare la superficie che sta lavorando. LEGGE DI TAYLOR Questa legge ci permette di calcolare il tempo di vita dell’utensile. Come già detto in precedenza, l’usura del fianco è quel meccanismo inevitabile che va mano a mano ad usurare il fianco dell’utensile, e dove il labbro creatosi si misura con "𝑣𝑏", labbro che sarà determinato dalla velocità di taglio"𝑉𝑇", sull’utensile. Questo meccanismo verrà descritto tramite la legge di Taylor, che appunto ci darà la possibilità di vedere come procede l’usura nel tempo in funzione delle condizioni di taglio. Se si graficasse l’avanzamento del labbro d’usura rispetto al tempo, si può constatare che nell’intervallo (1), ci sarà una crescita molto ampia e non lineare di questo meccanismo, nell’intervallo (2), la crescita sarà lineare nel tempo, ed infine nel tratto (3) la crescita ritornerà a salire in maniera molto alta fino a che l’utensile risulterà non più utilizzabile. La legge di Taylor legherà questo meccanismo in funzione della velocità di taglio con la seguente formula  𝑉𝑇 𝑇𝑛 = 𝐵 dove “n” è definito come l’esponente di Taylor e sarà un numero costante, “B” è la costante di Taylor, questi primi due elementi saranno legati al tipo di materiale dell’utensile in uso. “T” è definito come il tempo di vita dell’utensile e misurato in [𝑚𝑖𝑛], tempo prima che quest’ultimo venga sostituito, ovvero un certo valore di "𝑣𝑏", per il quale quest’ultimo risulta essere ancora utilizzabile, e infine la velocità di taglio "𝑉𝑇"misurata in [ 𝑚𝑚𝑖𝑛]. Quindi come già detto essendo che il tempo di vita dell’utensile è legato alla "𝑉𝑇", stessa velocità di taglio per il quale è legato il MRR e il tempo di lavorazione"𝑡𝐿", quindi più si andrà ad alzare la velocità di taglio, più si alzerà il MRR, più si abbasserà il tempo di lavorazione , e più l’utensile si usurerà in maniera più veloce. Se andassimo a scrivere la formula della legge di Taylor in forma logaritmica otterremmo che ln 𝑉𝑇 + 𝑛 𝑙𝑛 𝑇 = ln 𝐵, e provandola a scrivere come una retta e disegnare il diagramma dove sulle ordinate (asse y) ci sarà "𝑙𝑛 𝑇", e sulle ascisse (asse x) si sarà il " ln 𝑉𝑇 " si avrà che: dove ogni retta sarà caratterizzata dalla seguente formula  𝑙𝑛 𝑇 = − 1𝑛 ln 𝑉𝑇 + ln 𝐵𝑛 , da qui vedremo come la pendenza varierà con " − 1𝑛 ", e l’ordina all’origine varierà come " ln 𝐵𝑛 ". In funzione della velocità di taglio si andrà ad ottenere un certo valore di tempo. Ogni retta disegnata nel grafico varrà per ogni combinazione tra utensile e pezzo. Nel caso avessimo con lo stesso tipo di lavorazione, degli utensili caratterizzati da una durezza sempre più elevata, la retta a sua volta crescerà. Questo vuol dire tempi di vita degli utensili maggiore, in quanto l’utensile più e duro e più l’usura sarà più lenta.
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