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Differenza tra reti sociali e di fronteggiamento: caratteristiche, finalità e posizioni - , Appunti di Metodologia Delle Scienze Sociali

La differenza tra reti sociali e reti di fronteggiamento, le loro finalità e le posizioni delle persone all'interno di esse. Vengono presentate le caratteristiche fondamentali di reti naturali di fronteggiamento primarie e secondarie, e vengono analizzate le posizioni di fronteggiatori riflessivi e esecutivi, nonché le posizioni di persone fuori rete. Viene anche presentata un'esercitazione per analizzare la posizione di un segnalante rispetto a una possibile rete naturale di fronteggiamento.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 29/01/2024

miriam-150766
miriam-150766 🇮🇹

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Scarica Differenza tra reti sociali e di fronteggiamento: caratteristiche, finalità e posizioni - e più Appunti in PDF di Metodologia Delle Scienze Sociali solo su Docsity! Appunti Metodi Modulo II: Case work, group work, community work: analisi progetti sociali PENTAGRAMMA SOCIALE Pentagramma perché ha cinque elementi: Ambiente, GR, Finalità, Tempo, Rete Naturale e Rete formale. Bisogna considerare in primo luogo l’elemento cardine: la finalità. È dalla finalità che parte tutta la costruzione successiva. Vi è una differenza tra rete sociale e rete di fronteggiamento, la finalità, una rete sociale infatti non ha la finalità. Le persone che vengono collocate nel Pentagramma sono collocate in diverse posizioni rispetto al fronteggiamento, indica la loro posizione rispetto all’agency che esprimono rispetto alla finalità. Secondo elemento da considerare è il tempo. Nel momento in cui mi arriva la situazione prendo in riferimento il tempo iniziale, in questo tempo dato leggo la situazione per andare a costruire nel tempo la rete, l’unità agente. Terzo elemento è la rete: rete naturale e rete formale. La rete è formale quando vi è una GR consapevole, quando c’è qualcuno che in maniera voluta svolge una funzione di GR nei confronti di una rete naturale, cioè quando vi è un facilitatore. Si chiama formale nel senso letterale del termine, è una rete che ha una forma, la rete è una metafora è intesa come insieme di relazione, la rete è un costrutto mentale, assume una forma solo se vi è una persona esperta che la riconosce e la individua. Rete naturale quando vi è un fronteggiamento che si sviluppa in autonomia, senza una guida, ma perché le persone sentono il dovere di fare qualcosa in direzione della finalità. Quarto elemento è la GR. Quinto elemento è l’ambiente. Le persone che collochiamo nell’ambiente sono quelle connesse alla finalità. Tutti i compiti di vita vengono affrontati grazie all’interconnessione con gli altri, può essere anche una connessione solo mentale che l’altro non conosce, ma non è mai un fronteggiamento unicamente individuale. Le persone nell’ambiente sono quindi connesse con la finalità, la realizzazione o meno della finalità ha delle conseguenze su queste persone, o avrà delle conseguenze in un tempo x. 1 La differenza tra le persone collocate nell’ambiente e quelle collocate nella rete sta nel fatto che chi è all’interno della rete ragiona e riflette sulla situazione e sulla finalità, mentre chi è nell’ambiente no, può anche non sapere della situazione/finalità. Quindi sono dentro nella rete le persone che condividono la finalità e si riconoscono in tutto o in parte in essa, che la fanno propria. In questo condividere la finalità possono anche avere una posizione differenziata; mentre le persone nell’ambiente non sono direttamente agganciate alla finalità, non ne hanno consapevolezza o non sono disponibili/interessati a perseguire quella finalità o esprimono un agency contraria, cioè hanno una finalità in contrasto con quella individuata dalla rete. La rete naturale di fronteggiamento La caratteristica fondamentale è che i membri non sono consapevoli di essere una rete: non si vedono come una rete e ognuno agisce per conto proprio, senza un progetto comune, anche se tutti sono orientati alla stessa finalità generale (senza finalità non c’è rete). Ci possono essere dei “segmenti” di relazioni di fronteggiamento, vi sono diverse relazioni di fronteggiamento nei confronti della finalità comune, non c’è un’organizzazione complessiva dietro; ci può essere una reticolazione informale, coordinamento mite/tenue; una rete naturale non ha un facilitatore. - Reti di fronteggiamento naturali primarie: le relazioni di coping esistevano già come relazioni sociali, prima del problema - Reti di fronteggiamento naturali secondarie: le relazioni di coping si sono create da zero allo scopo di fronteggiare il problema Posizioni delle singole persone rispetto alla rete naturale di fronteggiamento o Fronteggiatori riflessivi: persone preoccupate per il problema, fronteggiamento più pieno, sono i punti di riferimento; sono le persone preoccupate chi è disponibile a investire energie verso la finalità  valutazione “morale” negativa, si dà di una situazione una valutazione negativa, mi accorgo che c’è una situazione che non produce un benessere; coloro che hanno una aspirazione a una soluzione, ma con una incertezza riguardo alla soluzione, un’incertezza sul come fare per migliorare la situazione, disponibilità ad agire personalmente o Fronteggiatori tecnici: persone che danno un contributo tecnico, tecnico cioè relativo ad un aspetto del problema che non coinvolge una dimensione intersoggettiva. o Fronteggiatori esecutivi: contributo meramente azionale al miglioramento di singoli aspetti della situazione, non partecipano alla riflessione complessiva.  La posizione dei fronteggiatori non è mai così tecnicamente definita, ci possono essere posizioni intermedie, bisogna domandarsi chi è più riflessivo e chi più esecutivo, ma questo sarà il suo ruolo prevalente, non definito. o Persone fuori rete perché non percepiscono il problema, pur essendone toccate in prima persona o Persone fuori rete perché non sono toccata dal problema, ma esprimono un’agency contraria alla soluzione o Persone fuori rete perché non sanno del problema, pur essendo connesse alla situazione complessiva (per un legame sociale o per posizione istituzionale) Esercitazione 1: Lucy e Katy Analisi retrospettiva di una vicenda ricostruita a fini didattici: il caso di Lucy e Katy. Analizzare la vicenda utilizzando il pentagramma sociale e identificando la posizione rispetto al fronteggiamento delle diverse persone coinvolte. 2 Esercitazione 2: Una corda sospetta, reti per prevenire il suicidio “Un’assistente domiciliare segue un’anziana da qualche mese. Si accorge che è un po’ depressa e ne parla nel coordinamento. L’assistente sociale la incoraggia a tenere d’occhio la situazione. Nota che l’anziana è spesso in soffitta, con una scusa la segue e si accorge che sta trafficando con una corda. Ne parla con alcuni colleghi informalmente e poi ancora con l’assistente sociale. Assieme decidono che è il caso di contattare la psichiatra. L’assistente domiciliare si incarica di telefonare ad un operatore del servizio psichiatrico, suo amico, il quale ritiene che sia opportuno parlarne con lo psichiatra. Questi decide che è il caso di controllare. Una visita domiciliare conferma un certo rischio di suicidio. L’assistente sociale di base, l’assistente domiciliare, lo psichiatra e il suo collaboratore si incontrano e discutono una strategia di controllo morbido, ma continuativo. Decidono di contattare una parente e con lei studiano come procedere in questo senso.” Ora osserviamo i diversi Pentagrammi sociali che si sviluppano nei vari momenti della situazione. Ricorda  t0 è il momento in cui la rete diventa formale, quindi negli schemi seguenti partiremo dal primo pentagramma sociale in t-4, un tempo antecedente al momento in cui la rete diventerà formale. 5 Notiamo che in t-3, che in t-2, questa rete anche se composta solo da operatori è una rete naturale di fronteggiamento, non vi è una GR. Qui siamo arrivati in t0. La finalità è cambiata, è più precisa, con il passare del tempo la finalità si focalizza. In questo momento ci si immagina che qualcuno di loro 4, abbia organizzato l’incontro, anche in una maniera semplice, questo passaggio è un passaggio di facilitazione (anche se molto inconsapevole). Nasce l’idea che ci voglia un’azione reticolare. Tutti questi fronteggiatori sono sia tecnici che riflessivi. Oltre ad un aiuto tecnico, si trovano e riflettono insieme, non fanno solo il loro “pezzettino”. Questo caso lo vediamo ex post, è un caso già concluso, da persone che non hanno utilizzato un metodo relazionale, per questo non troviamo evidenziato il ruolo di facilitazione. Teoria: Ricapitolando: Saper utilizzare l’analisi reticolare e il pentagramma sociale per ragionare sulle situazioni e per gestire operativamente una funzione di GR svolta da noi stessi come operatori. Primo passaggio: come si fa a identificare se c’è e com’è il fronteggiamento naturale, quindi come si fa a ragionare costruendo il o i pentagramma sociale per ragionare sulla posizione delle persone rispetto al fronteggiamento. Ci possono essere due tipi di analisi: La prima è ex post (caso della corda), ragiono su una vicenda finita guardando indietro e rileggendola in quadro relazionale, guardando indietro non è detto che si trovi un processo di rete e 6 di facilitazione costruito preciso su come dice la metodologia relazionale. Quando ho una situazione in cui si sono ottenuti dei buoni risultati qualche aspetto di relazionalità c’è, anche se inconsciamente. La seconda parte dall’apertura della situazione e si procede, si trovano i primi passaggi della situazione e sulla base delle informazioni che si hanno provare a creare il Pentagramma sociale. Non si ha in mano già il caso tutto finito. Esercitazione 3: Alfredo Analisi e riflessioni in classe: La finalità è “Aiutare la famiglia a costruire l’autonomia di Alfredo”. A questa finalità ci si è arrivati mettendo insieme due obbiettivi appianare i conflitti familiari e aiutare Alfredo in senso generale. Nella rete di fronteggiamento vi sono Adele, il Prof. Verdi e l’AS Neri che svolge anche la funzione di facilitatore. La professoressa Verdi è una fronteggiatrice riflessiva. In t0 dobbiamo domandarci se in quel preciso momento i diversi componenti stanno fronteggiando o meno la situazione, in quel preciso momento Alfredo non sembra essere coinvolto nel fronteggiamento, quindi non sarebbe troppo corretto porlo nella rete di fronteggiamento, si valuterà poi più avanti se aggiungerlo alla rete di fronteggiamento o meno, anche solo come fronteggiatore esecutivo. Alfredo non prende una decisione, non dà mai un suo parere, cerca di capire cosa il suo interlocutore vuole e lo appoggia, altrimenti non si esprime. Ricorda  Il pentagramma sociale ogni AS lo struttura a modo suo, non devono essere tutti uguali. Pietro (il papà) può essere posto nell’ambiente, perché non vuole riflettere sulla finalità. Gli zii al momento sono nell’ambiente, ma magari anche loro condividono la finalità perché comunque hanno offerto un lavoro ad Alfredo, quindi sembrerebbe che siano interessati ad aiutare Alfredo, ma anche questo lo si vedrà con il passare del tempo. La professoressa Verdi in alcune parti facilita la conversazione, ma non assume un ruolo di GR consapevole, però anche solo nel contattare il papà e portare la mamma al colloquio facilita, anche nell’aiutare Adele a raccontare la situazione familiare all’AS. In questa situazione ci sono più finalità (sia per Alfredo che per la situazione familiare). Ma posso scrivere due finalità per un Pentagramma solo? O è meglio fare un pentagramma sociale per ogni finalità? Dipende dalla finalità, è la finalità che fa la rete, quindi se le due finalità sono comunque correlate ci può essere anche un solo Pentagramma, perché i fronteggiatori sarebbero comunque gli stessi. Nel caso di due differenti Pentagrammi è perché le finalità abbracciano diversi attori. Ad esempio, in questo caso le finalità sono due: accompagnare all’indipendenza Alfredo e aiutare Adele nell’autonomia economica; quindi, avremo due Pentagrammi sociali. La finalità che si va ad individuare non è ciò che l’AS vuole ottenere dalla situazione, ma bisogna osservare il fronteggiamento e vedere a cosa mirano gli interlocutori (non la scrive l’AS basandosi solo su ciò a cui mira lei). Analisi della prof: 7 significative. Si è confrontato rispetto a due aspetti: rispetto all’opportunità di chiedere aiuto (quindi ha già elaborato il bisogno che ha), il problema arriva da una rete, secondo aspetto il segnalante è il porta voce di una riflessione congiunta di una rete naturale che si è posta l’obiettivo di parlare con un esperto. Quindi prima individuano il problema (primo aspetto), poi decidono che è il caso di parlarne con un esperto (secondo aspetto). - All’insaputa delle sue relazioni significative. Come può essere l’esempio di una IVG o di una donna che si presenta al servizio per violenza domestica (tendenzialmente il partner non ne ha idea) - Obbligato da una pressione sociale o istituzionale, che si può innestare o meno su una qualche base motivazionale preesistente. Pressione sociale (da parte di un familiare o amico stretto) o per pressione istituzionale (ad esempio mandato da carabinieri per fermo dopo guida con sostanze e vuole riavere la patente) ma non percepisce il problema. Nel caso estremo in cui la motivazione è del tutto assente, il segnalante è fuori rete, quindi se non percepiscono in nessun modo il problema, andrà posto nell’ambiente, perché non è disposto a fronteggiare il problema. Anche un potenziale utente che arriva obbligato da una pressione esterna non è solo negativo, questo comunque porta a una vicinanza e un contatto con il servizio e poi questa persona può essere accompagnata a condividere e far propria la finalità e quindi a far parte della rete, ma è sempre importante capire la posizione iniziale del segnalante. Se il segnalante è invece diverso dalle principali persone coinvolte (e quindi non sarà il “principale” beneficiario dell’aiuto), avremo: o Segnalante informale, qualcuno che segnala senza un obbligo istituzionale, ma come privato cittadino: - strettamente connesso al problema (nipote che segnala problema della nonna) - connesso blandamente (vicino di casa che ogni tanto aiuta) - è semplicemente a conoscenza (prete o volontario che non ha a che fare con il problema, ma segnala per premura civica) - ha una volontà di denuncia, non di care (-> è fuori rete) [in accordo/disaccordo /all’insaputa dei diretti interessati] o Segnalante formale, chi segnala per un dovere d’ufficio: -autorità pubbliche -servizi di welfare non sociali -servizi sociali [in accordo/disaccordo /all’insaputa dei diretti interessati] Nelle situazioni a valenza collettiva ci possono essere dei segnalanti che sono collettivi e che chiedono un aiuto/intervento che riguarda una finalità collettiva. Ad esempio, un gruppo con disabilità fisica che invita un AS per discutere sulla realizzazione di interventi per la vita indipendente; volontari della parrocchia che segnala al SS un problema che riguarda un gruppo di ragazzi, quindi non solo una persona; cittadini o amministratori che segnalano disagi dovuti a microdelinquenze o insediamento di immigrati che creano disturbo a chi abita nel quartiere; sindaco che richiede un progetto per migliorare la qualità di vita degli anziani soli. Anche qui abbiamo i diretti interessati o segnalanti formali o informali. Quindi questo schema può essere utilizzato per identificare il ruolo del segnalante nei singoli casi o per le situazioni a valenza collettiva. 10 Rappresentazioni grafiche della relazione-perno col segnalante, volta ad identificare la rete naturale di fronteggiamento. L’operatore si trova in t0 e si fa raccontare dal segnalante la storia della segnalazione, cioè cerca di ricostruire, sulla base di ciò che racconta il segnalante, qual è stato l’eventuale percorso di reticolazione naturale che ha portato alla segnalazione; l’operatore quindi “guarda indietro” insieme al segnalante verso t0-x. Quindi questo primo schema è costituito dalle persone che hanno concorso alla decisione di segnalare, osservata in “retrospettiva” dall’operatore, sulla base di quanto eventualmente riferito dal segnalante. Nel 2° schema si vede la rete costituita dalle persone che il segnalante ritiene implicate nel fronteggiamento (operatore stesso compreso). Domande guida per svolgere le esercitazioni: “La posizione dei segnalanti” 1. La posizione dei segnalanti Esaminate gli esempi proposti, identificando  Quali sono i segnalanti  Se c’è una (o più di una) rete naturale segnalante  Qual è la posizione dei segnalanti rispetto al fronteggiamento complessivo  Se c’è una rete di fronteggiamento naturale (o un abbozzo di rete) 2. La narrazione del fronteggiamento Esaminando gli stessi esempi, ipotizzate come potreste impostare uno o più colloqui di assessment per sviluppare/approfondire l’assessment della motivazione, per capire qual è la rete di fronteggiamento esistente:  Con chi parlate? Inizialmente con il segnalante e poi bisognerà andare a parlare con le altre persone che il segnalante segnala e che sembrano potenziali fronteggiatori.  Quali temi vi proponete di affrontare? 11 Dobbiamo innanzitutto sapere cosa ne pensa il diretto interessato o i diretti interessati della segnalazione, è importante chiedere se il diretto interessato sa della segnalazione e se il segnalante possa essere nominato una volta convocato il diretto interessato. Poi dobbiamo capire chi vede il problema e in che termini, per quello che il segnalante ne sa. Infine, se ci sono persone che sapendo della situazione sarebbero preoccupate o potrebbero essere interessate a fare qualcosa.  Cosa dite per introdurre il colloquio? Cosa chiedete? È utile spiegare il perché si fanno queste domande (del punto precedente), il motivo per cui faccio una determinata domanda è importante esplicitarlo. Per capire meglio la situazione e per individuare una eventuale rete di fronteggiamento può essere efficace chiedere, se il segnalante ne è a conoscenza, di farsi raccontare il quotidiano della persona; all’interno del racconto sulla quotidianità potrò facilmente individuare le persone presenti nella vita del diretto interessato e che potrebbero quindi essere potenziali fronteggiatori. Nell’assessment della motivazione uno strumento che potrebbe essere utile per ricostruire la quotidianità e andare a vedere le relazioni sociali di una persona è il Diagramma di Seed, può essere usato per esplorare la rete sociale all’interno della quale potremmo trovare dei fronteggiatori attuali o potenziali.  Come vi proponete di concludere il colloquio? Esercitazione. Caso 1: Giuseppina  Quali sono i segnalanti. In questo caso i segnalanti sono le due insegnanti/amiche e i condomini  Se c’è una (o più di una) rete naturale segnalante Nel primo schema che abbiamo visto nella teoria in questo caso vedremo in t0-x due reti naturali segnalanti staccate, nella prima avremo le due amiche/insegnanti che tendenzialmente non si sono accordate con i condomini; la seconda rete composta dai condomini.  Qual è la posizione dei segnalanti rispetto al fronteggiamento complessivo Le insegnanti come segnalanti diverse dal potenziale utente; sono legate strettamente al problema di Giuseppina per la loro relazione significativa con lei. Anche i condomini sono segnalanti diverse dal potenziale utente, ma sono connesse blandamente, non sono preoccupate per la situazione della signora, ma più per la loro sicurezza. Non si sa se potranno essere collocati all’interno della rete di fronteggiamento naturale. Bisogna domandarsi se hanno più una volontà di denuncia o di care? È importante andare a capirlo perché questo ci farà capire se poi andranno collocati nella rete naturale di fronteggiamento o nell’ambiente.  Se c’è una rete di fronteggiamento naturale (o un abbozzo di rete) Sia le insegnanti che i condomini sono una rete informale. Nel secondo schema visto in teoria l’operatore si immaginerà una rete unica in cui le insegnanti sono sicuramente nella rete naturale di fronteggiamento e i condomini posti, per il momento, nell’ambiente, prefiggendosi poi di andare a capire ogni condomino se è disposto a entrare nella rete, anche solo come fronteggiatore esecutivo. Esercitazione. Caso 2: Annamaria  Quali sono i segnalanti I segnalanti in questo caso sono la sig.ra e la sua badante, che sono poi i diretti destinatari dell’intervento. Le due signore sono arrivate a una segnalazione per una pressione istituzionale, da parte dei creditori nei confronti dei quali hanno diversi debiti. Sono segnalanti riflessive, perché dicono di essere consapevoli della situazione dei loro debiti. 12 1. Durante il colloquio con il segnalante: facilitare la narrazione del fronteggiamento (piuttosto che del problema) da parte del segnalante • focalizzare la posizione del segnalante rispetto al fronteggiamento  riformulazione della finalità • focalizzare la “storia” della segnalazione  chi altri percepisce il problema? 2. Durante l’incontro con il primo nucleo della rete di fronteggiamento: • Allargare la narrazione del fronteggiamento, incontrando gli altri (potenziali) fronteggiatori, insieme o separatamente • focalizzare la loro posizione rispetto al fronteggiamento  riformulazione della finalità 3. Riformulare una finalità condivisa  RETE DI FRONTEGGIAMENTO INIZIALE La catalizzazione di reti nuove – con finalità a livello di caso (cap, 8 del manuale) Fino ad ora abbiamo ragionato in questi termini: arriva la segnalazione e vi è già un sociale preoccupato, quindi il mio lavoro è quello di identificare il sociale preoccupato e la rete di fronteggiamento naturale. Vi sono però casi in cui la rete sociale all’inizio non c’è, quindi una finalità a livello di caso, oppure c’è una finalità che ho in mente solo io come operatore. Cosa significa catalizzare una rete? Catalizzare è un termine che viene dalla chimica, i catalizzatori sono sostanze che facilitano l’innescarsi di una relazione chimica che dà origine a un nuovo elemento. Usiamo questo termine per dire che ciò che fa l’operatore non è creare una rete da zero, catalizzare vuol dire che ci sono gli elementi, il sociale c’è, solo che questo sociale non è consapevole di una preoccupazione che in t-1 è solo nella mia testa, e io devo lavorare per fare in modo che questo sociale (che c’è già e che potenzialmente potrebbe fronteggiare) veda la preoccupazione e quindi da lì possa partire un percorso/un processo di fronteggiamento. Quando? Quando una rete naturale non c’è, perché:  I problemi sono percepiti come tali dall’operatore, forse grazie alla sua sensibilità professionale, ma sembra che non vengano percepiti dal “sociale” anche se qualche labile sentore deve esserci, perché il professionista ne possa avere intuizione; qualcuno cioè deve parlargliene all’operatore e se ciò accade vuol dire che una qualche labile idea che forse quella cosa lì non va bene ci deve essere, anche se non è una intuizione già etichettata come un problema. Questi problemi non sono pienamente percepiti, possono talvolta essere solo potenziali (rischio), oppure possono risultare non ben definiti nella percezione degli interessati (incertezza degli interessati e/o dell’operatore)  I problemi sono percepiti come tali da un‘autorità istituzionale esterna, ma senza che ci siano persone che esprimono care (es. autorità giudiziaria in alcuni casi di dispersione scolastica, o tutela minorile, o di violenza domestica, o di abuso di sostanza, ecc) Come fare? 1. Identificare la finalità, esplicitarla (che sta inizialmente “solo nella nostra testa”, nella testa dell’operatore catalizzatore). Il modo va accurato, sul modo con cui esprimo la finalità, questo perché a seconda di come la formulo può risultare più o meno inclusiva rispetto al sociale interessato, più è espressa in maniera larga più lascia spazio a strade diverse. Bisogna formulare la finalità per poterla poi comunicarla e renderla esplicita. 15 2. Renderla esplicita/comunicarla per andare a cercare un sociale interessato, vi sono due strade: - Counseling con cui “propongo” una finalità nuova, al di fuori di un contesto coercitivo e di controllo, se possibile in maniera prudente e non invasiva, con un certo grado di incertezza, riconosco che il problema non è ancora condiviso e quindi devo andare a capire se il problema c’è realmente, quindi la esplicito con prudenza. Motivo metodologico: se impongo una finalità rischio di costruire d’autorità un fronteggiamento che poi non potrà proseguire autonomamente, quindi devo accompagnare i miei interlocutori ad arrivare a riconoscere il problema, bisogna accompagnare la crescita della motivazione nei nostri interlocutori, oppure - Comunicazione di un intervento coattivo, c’è un problema stabilito come tale da una legge, la definizione di un problema per legge non è un presupposto sufficiente per poterlo affrontare dentro il sociale coinvolto, il sociale va catalizzato, altrimenti senza il sociale non si può fare nulla. In partenza può darsi che non troviamo un sociale, può darsi che dobbiamo accompagnare i nostri interlocutori a maturare la consapevolezza che è necessario un cambiamento. Comunicazione accompagnata da un counseling finalizzato a spiegare cosa sta succedendo, accogliere il vissuto, sviluppare motivazione al cambiamento. In tutte le situazioni coattive c’è la necessità di costruire un cambiamento (alcol dipendente, tossico dipendente, persona abusante), un metodo efficace per aiutare le persone ad accettare il cambiamento è il motivational interview, serve ad aiutare le persone che sono in una fase di negazione, che non vedono il problema a vederlo meglio e ad agganciarsi ad una finalità di cambiamento. 3. Quando ho sviluppato questo percorso di accompagnamento devo osservare se questa finalità risulta attrattiva per un qualche sociale preoccupato/motivato (se il sociale davvero manca del tutto, anche a fronte di un procedimento di esplicitazione “ottimale” della finalità, bisogna chiedersi se è una finalità davvero meritevole di venire affrontata con un lavoro sociale, se posso fronteggiarla come AS, se posso affrontarla nella prospettiva del Social Work…) Ricorda: il Counseling è un insieme di atteggiamenti e di tecniche di gestione della comunicazione del colloquio finalizzato ad accompagnare le persone ad esplorare una situazione dal loro punto di vista, le accompagno a ragionare su come la pensano o vedano una situazione in cui sono immersi. Cos’è il colloquio motivazionale? È un metodo di counseling elaborato da due psicologi sociali. “È un tipo di counseling finalizzato ad aiutare la persona a costruire e rafforzare la motivazione per un cambiamento nella sua vita.” Si basa sul modello chiamato: Gli stadi del cambiamento 16 Il colloquio motivazionale si usa quando è ragionevolmente indiscutibile il tipo di cambiamento da costruire. (persona tossicodipendente o abusante, per cui è indiscutibile che i loro sono comportamenti da modificare!) Schema astratto del processo di catalizzazione di una rete nuova In t-1 io operatore mi confronto in primis con i miei colleghi, per capire se sia una finalità meritevole di essere fronteggiata, come posso metterla giù per catalizzare una rete. Dopo averci pensato formulano una finalità e la esplicitano con l’esterno, con le persone coinvolte. 17 1. Identificare la finalità (che sta inizialmente «solo nella nostra testa»). Non so quale sia il sociale interessato a quella finalità. Lavoro da fare con attenzione, prima di comunicarla all’esterno devo ragionarci bene per renderla “attrattiva” al sociale corrispondente. 2. Comunicare la finalità: prima ad un gruppo ristretto di potenziali interessati, poi pubblicizzarla in maniera più ampia, anche in più fasi 3. Osservare se la finalità risulta attrattiva per un qualche sociale preoccupato/motivato, la finalità a qualcuno interessa e sono disposti a fronteggiare congiuntamente. Si potrà poi procedere con il percorso di formalizzazione della rete (che vedremo alla fine del corso). Se il sociale davvero manca del tutto, anche a fronte di un procedimento di pubblicizzazione “ottimale”, bisogna chiedersi se è una finalità davvero meritevole di venire affrontata… Una proposta impegnativa Cinzia è una volontaria del Centro d’Ascolto della Caritas. Un giorno arriva da due supermercati Coop una proposta di collaborazione per ridurre gli sprechi, donando a famiglie in difficoltà i prodotti freschi che non possono essere messi in vendita il giorno seguente. Cinzia ha in mente varie famiglie povere di un quartiere disagiato, per le quali questo aiuto potrebbe essere molto utile. Però la cosa richiederebbe molta disponibilità di tempo e di energie, e il Centro ha pochi volontari: non pensano proprio di farcela. A Cinzia, però, lasciare perdere sembra proprio un peccato. Così pensa di consigliarsi con il parroco del quartiere. Secondo lui, forse qualcuna delle famiglie in difficoltà potrebbe essere disposta a dare una mano ai volontari, o a prendersi l’incarico di collaborare alla distribuzione… t-3 momento iniziale della storia, a Cinzia arriva la proposta dal direttore dei due supermercati Coop. Il direttore è nella rete come fronteggiatore esecutivo, lui dà la possibilità di consegnare il cibo fresco dei banconi a fine giornata ai volontari che andrebbero a ritirarlo, ma non si propone e non sembra avere intenzione di fare altro. Cinzia prospetta che ci siano dei volontari che distribuiscano i prodotti alimentari (che mettiamo nell’ambiente) che potrebbero entrare nella rete (punti interrogativi). Cinzia non è completamente nella rete, non sappiamo ancora bene se vuole fronteggiare, è molto dubbiosa. 20 t-2 Cinzia ha contattato i volontari e ha raccolto una parziale disponibilità di due volontari, non sono completamente in rete, devono capire quale sia l’impegno per poter decidere effettivamente. Pochi volontari disponibili e non si pensa di poter distribuire efficacemente il cibo (punto di domanda con finalità). Tentativo di fronteggiamento naturale. t-1 Cinzia parla con il parroco, che è un fronteggiatore riflessivo, si coinvolge nella riflessione. Il parroco propone una ridefinizione della finalità. Per il parroco vi è una mancata coesione sociale nel quartiere, con la proposta di Cinzia pensa che potesse nascere una finalità focalizzata che servisse anche per la finalità più generale che aveva in mente lui. t0 parroco ha parlato con alcune persone e con il quartiere, si è trovato un sociale interessato. sono entrate poi alcune famiglie e persone come fronteggiatori riflessivi, i volontari hanno quindi deciso di partecipare come fronteggiatori esecutivi. Cinzia ha assunto il ruolo di guida relazionale. Da qui è partito il fronteggiamento vero e proprio. Il sociale è stato trovato in un percorso di ridefinizione della finalità, entrambi avevano in mente una finalità, mettendosi insieme hanno ridefinito una finalità condivisa e questa è stata poi ritenuta “attraente” dalla collettività e dal sociale interessato. Un operatore si pone consapevolmente nel ruolo di osservazione degli elementi comuni di tanti processi di fronteggiamento a livello di caso e osserva che c’è un certo numero di reti di fronteggiamento ciascuna delle quali è impegnata nel fronteggiare una determinata finalità di caso di quella singola rete; l’operatore osservando questi singoli processi di fronteggiamento reticolare può cogliere che le finalità possono avere degli elementi in comune e coglie la possibilità di sviluppare e proporre alla comunità una finalità a livello sovraordinato che tiene insieme gli aspetti comuni dei vari livelli di caso. Una finalità (sovraordinata) di ordine collettivo può essere quella di affrontare un aspetto comune presente in tanti problemi “singoli” osservati trasversalmente dall’operatore, come nello schema qui sotto. Siamo in t1 perché ci sono reti che sono già formali, reti già facilitate, non è un fronteggiamento che parte da 0. Sono tutte reti con già una GR. Vi possono essere anche casi in cui c’è una rete informale e non ancora ben organizzati in una rete di fronteggiamento. Qui il focus è sulla finalità e la comunanza di elementi nei problemi e bisogni. Esercitazione: l’avvio di un gruppo di auto/mutuo aiuto 21 Siamo di fronte ad una rete di fronteggiamento sovraordinata, catalizzata da un problema comune che emerge da più reti (reti «di caso»), ciascuna delle quali è catalizzata da una singola situazione di difficoltà. Solitudine rosa Elena è una assistente sociale del Servizio di Tutela Minori. Da qualche tempo sta osservando che varie mamme, dopo aver preso un po’ di confidenza, quando le incontra a colloquio esprimono molta sofferenza legata a un vissuto di solitudine. Effettivamente, nella zona ci sono vari casi di famiglie mono-genitoriali formati da giovani mamme sole con i loro figli. Siamo in t-2 (t0 sarà quando avremo catalizzato la rete a valenza collettiva), vi sono due reti in cui c’è Elena che facilita la rete di fronteggiamento e una rete informale in cui vi è l’educatrice (che non svolge un ruolo di facilitazione), in tutte queste 3 rete c’è una finalità generale in cui emerge anche la solitudine delle mamme. …Elena si chiede se si possa fare qualcosa per aiutarle riguardo a questa difficoltà, e ne parla con l’educatrice della sua équipe. Assieme pensano che forse si potrebbe proporre a queste mamme di ritrovarsi in un gruppo di auto/mutuo aiuto… 22 Se Franco ed Eliana avessero ragionato in termini di prestazioni e di welfare istituzionale il percorso sarebbe stato diverso perché possono cogliere un bisogno a cui non viene data richiesta (seguire dei ragazzi nei compiti perché a casa non ci sono i genitori) ma avrebbero realizzato solo un servizio dove questi ragazzi potevano accedere. Il vantaggio della strada seguita prima (non quella prestazionale) da Franco ed Eliana è che non hanno solo dato risposta ad un bisogno ma hanno avviato un’attività di sviluppo importante nel territorio che è risultata utile per altre persone. Teoria: L’avvio dei principali tipi di reti con finalità collettive: aspetti da tenere presenti - Reti di auto-mutuo aiuto  (che eventualmente ampliano poi la portata della propria finalità) se intercetto una preoccupazione comune che si basa su finalità individuali molto forti, il fronteggiamento reticolare si avvia più facilmente. La rete si catalizza più facilmente. - Reti di volontariato  c’è una motivazione ad agire strutturalmente debole, perché in partenza il problema è concepito come “di altri” e quindi “non mio”. Una finalità strutturata su problemi di altri e non sulla propria vita, per le persone è una motivazione debole rispetto alla tutela di sé e della propria famiglia. Se si guarda al volontariato come un aiuto anche a me, ciò rinforza la motivazione, sennò per quanto potremmo essere disponibili, se la motivazione è estrinseca, non regge sempre - Lavoro di comunità in senso stretto  (cioè la finalità di affrontare un problema “di tutti”) sono le finalità di advocacy collettiva, cioè fare pressione affinché altri facciano o evitino di fare determinate azioni. Quando c’è una finalità comunitaria proiettata alla sensibilizzazione implicano il modificare atteggiamenti largamente condivisi (pregiudizi diffusi, poca coesione sociale). E’ una finalità difficile da maneggiare se si vuole catalizzare una rete perché il sentire comune verso quella finalità è di segno opposto. Si può lavorare su sotto- finalità collaterali, cioè iniziative presentate con etichette di altro tipo e che poi insieme veicolano un cambiamento verso la finalità che ci interessa Teoria: (capitolo 9 libro Folgheraiter) 25 La formalizzazione delle reti La formalizzazione è la presenza e il rispetto di regole e modalità di funzionamento continuative o comunque stabili. Una rete formale ha una forma, è strutturata, cioè non è lasciato al caso. La formalità si riferisce alla rete nel suo complesso e non al fatto che singole persone abbiano una posizione formale o che singole relazioni duali siamo formali (motivate dal dovere di ufficio). Quindi, una rete può essere informale anche se composta per intero da professionisti in relazione tra loro in virtù del loro ruolo. Ci può essere una rete composta da solo operatori ed essere informale. Quando si parla di formalizzazione delle reti si intende una formalizzazione della struttura relazionale della rete, la conformazione dell’impalcatura dei legami interpersonali finalizzati all’azione, indica le regole che la rete si dà e segue per lavorare meglio insieme e perseguire la finalità. È utile formalizzare la rete affinché collabori secondo la struttura. Invece stabilire azioni rigide su come agire nelle situazioni blocca il fronteggiamento. Bisogna tenere conto della dimensione intersoggettiva. Il ruolo della guida relazionale è quello di formalizzare la rete, si intende la formalizzazione della struttura relazionale della rete, e non la formalizzazione dell’azione della rete. Aiutare la rete a formalizzarsi significa aiutare la rete a costruire una struttura su cui lavorare. L’azione di fronteggiamento non dovrebbe essere troppo predefinita da regole, altrimenti perde la possibilità di connettersi alla intersoggettività degli interessati. Folgheraiter individua due macro funzioni nella guida relazionale: 1) Sviluppo della formalizzazione 2) Aiutare la rete nel problem solving congiunto La facilitazione del problem solving congiunto: processo di base 0) L’operazione “preliminare” è quella di individuare/catalizzare la rete iniziale di fronteggiamento. Bisogna chiedersi se ci sono già delle persone preoccupate/motivate o che potrebbero esserlo. Come faccio ad indentificare se la rete esiste o meno? Si osserva il sociale che si ha davanti cercando di capire se condividono la finalità. Se devo catalizzare la rete nuova, la guida relazione può esprimere una finalità e vedere cosa rispondono le persone nel sociale. La guida ha identificato una finalità e un certo numero di persone che condividono la finalità. 1) Il primo passaggio del problem solving congiunto è definire una finalità condivisa perché la finalità va ridefinita, cosa dobbiamo affrontare insieme? La GR deve utilizzare la riformulazione per esprimere cosa ha osservato fino a lì e dopo ciascun componente della rete risponde. Questa situazione può durare poco o aprire un processo di negoziazione della finalità. La GR deve trovare ciò che c’è di comune in ciò che le persone dicono e poi andrà ridefinita la finalità sulla base di quello, sempre tramite la riformulazione. Le finalità vanno sempre formulate come un cambiamento delle persone che sono all’interno della rete, quindi come i componenti della rete possono migliorarsi. 2) La seconda fase è il brainstorming, cioè il processo ideativo del progetto. La guida relazionale usi come domanda di metodo: “con quali nostre azioni potremmo migliorare la situazione?”. La guida relazionale deve fare attenzione che la rete non si infili in questo passaggio prima di aver condiviso la finalità, perché questo rende complicato costruire un percorso di aiuto. Le persone poi dicono la loro. In seguito da ultimo per riserva anche la guida relazionale può spostarsi dalla sua posizione di guida e diventare temporaneamente un fronteggiatore come gli altri e portare un contributo in termini ideativi. Questo perché se la rete è fatta di persone che non hanno una 26 specifica competenza in questo campo è facile che pensino che siamo noi operatori che dobbiamo dire che cosa fare per continuare il lavoro da fare. Di fronte a questa aspettativa non bisogna mettere il nostro pensiero davanti a quello degli interlocutori così da definire meglio e riformulare e lavorare con la loro testa. Può funzionare che quando arriva il mandato dalla procura si chiameranno in ufficio i genitori ed è meglio che noi diciamo qualcosa prima. Diverso è dire cosa bisogna fare in queste situazioni dicendo cosa devono fare passo per passo. C’è una differenza tra queste due situazioni. Nel secondo caso non si è più guida relazione e non si fa più relational social work, ma è un altro modo in cui si “chiude la bocca” agli interlocutori. La guida relazionale gioca di riserva, cioè quando si chiede il suo contributo lo si dà ma stando coperta perché devono lavorare gli interlocutori stessi. 3) La terza fase è la definizione del progetto. Chi fa che cosa e quando? La guida relazionale deve verificare, osservando la rete, che tutti abbiano capito che cosa va fatto. La guida relazionale può dire: “Dunque, mettendo insieme quello che avete detto, le cose da fare sarebbero”. Le persone possono rispondere. Alla fine, si conclude con una relazione di sintesi. 4) La quarta fase è allargare la rete se opportuno. Non avviene sempre. In ogni caso anche il lavoro per allargare la rete deve essere concepito come funzione della rete e non come qualcosa che deve fare la guida relazionale da sola. La guida relazionale aiuta la rete per far sì che si allarghi da sola. Le persone mostrano difficoltà nel fare le azioni solo loro. Allora la guida si deve chiedere se è opportuno coinvolgere altri soggetti. Come si risponde a questa domanda? Si deve interagire con la rete, partendo con una riformulazione: “stiamo dicendo che noi da soli non ce la facciamo ad affrontare il problema. Chi altri potremmo coinvolgere?”. Devo osservare la consapevolezza che sto accompagnando. Si fa un brainstorming per capire chi altri si potrebbe coinvolgere e come potremmo fare. Attraverso il processo ideativo e il lavoro pratico della rete, questa allarga se stessa. La riformulazione serve per aiutare la guida relazionale a camminare insieme alla rete e a verificare che quello che penso e vedo io corrisponde a quello che pensa l’altra persona, e se non corrisponde la guida relazione lo deve riformulare, così che alla fine si è certi di essersi capiti tutti. 5) La quinta e ultima fase è il monitoraggio e la verifica. La rete si è allargata. La domanda di metodo è: “stiamo raggiungendo quello che speravamo?”. Le persone rispondono e diranno quello che pensano. La guida relazione dice anche lei come la pensa perché è un componente della rete e alla fine si fa la riformulazione di sintesi dicendo: “dunque, stiamo dicendo che un’altra cosa che dobbiamo affrontare è”. 27 persona dice “okay la persona con cui pensavo di passare la mia vita si sta comportando in modo doloroso” e prendere in mano la propria vita non è facile. La persona deve decidere per se stessa senza dipendere dal marito. Questo passaggio non è facile, ma è fondamentale per riuscire a venirne fuori e aiutare la donna. L’operatore deve aiutarla a guardare la sua vita definendo la finalità che deve riguardare lei e non il comportamento di qualcun altro. La guida relazionale deve aiutare le persone a definire una finalità, che parte da una preoccupazione, in termini di azione che sta dentro la rete e non azione di altri, con la pazienza che questo comporta in certe situazioni. Può capitare che si parta già con le persone che hanno in mene una finalità che parta da loro. Teoria: Indicatori di formalizzazione di una rete di fronteggiamento Formalizzare le reti vuol dire accompagnarle e facilitarle nel problem solving congiunto quindi la guida relazione deve: accompagnare la rete verso una progressiva formalizzazione  vuol dire aiutare la rete a prendere forma. La forma di una rete significa sviluppare un metodo, una stabilità nelle relazioni e una solidità nei legami interpersonali che formano la rete Una persona che fa da guida relazionale accompagna la rete in un processo di problem solving congiunto. Qualsiasi rete io voglia guidare utilizzo varie strategie ricondotte sempre al problem solving congiunto. Gli indicatori di formalizzazione non è che vengono realizzati compiutamente in qualsiasi rete di fronteggiamento. Ci sono reti che lavorano bene e riescono ad affrontare la preoccupazione iniziale senza diventare particolarmente formalizzate e possono comunque realizzare il benessere. Questi 7 indicatori di formalizzazione di una rete di fronteggiamento non sono in ordine, sono a ventaglio, vanno avanti in parallelo. Diverse variabili che ci indicano il grado di strutturazione della rete di fronteggiamento. 1. Strutturazione spazio/temporale: consiste nell’organizzazione sul come e quando ci si trova. Una rete che ha un posto stabile e comodo e si dà appuntamenti certi è una rete che ha una 30 forma maggiore di formalizzazione 2. Istituzionalizzazione: Istituzione dal punto di vista sociologico significa che è un aggregato sociale che posso individuare al di là delle singole persone che volta per volta incarnano il ruolo, ad esempio nelle famiglie, di capo famiglia o figli o nonni. Quando una rete si istituzionalizza? Ad esempio, quando un gruppo AMA continua nel tempo al di là del fatto che i suoi membri cambiano nel tempo, con il passare degli anni. Il gruppo AMA può diventare una istituzione. 3. Strutturazione delle funzioni di facilitazione: Nella supervisione tecnica il facilitatore non entra direttamente nel fronteggiamento, a differenza di tutte le altre forme di facilitazioni. La facilitazioni si ha poca consapevolezza, mentre GR è colui che ha studiato il metodo e quindi ha molta consapevolezza nel suo ruolo di GR. 4. Strutturazione dell’identità della rete : a che livello il gruppo fa propria l’idea che l’azione di soluzione è azione in tutta la rete, cioè quanto senso del noi c’è nella rete? 5. Strutturazione dell’empowerment: tutti si rendono conto che le finalità che non restituiscono empowerment alla rete sono delle trappole perché lo sperimentano nel lavoro di fronteggiamento. Se in un gruppo AMA l’ultimo arrivato si lamenta della situazione che ha senza, dopo mesi, spostarsi dalla sua posizione, allora qualcuno gli spiegherà che nel gruppo si impara a cambiare in primis se stessi e racconta di cosa è accaduto a lui. Questo vuol dire che il gruppo ha interiorizzato la regola. 6. Strutturazione dell’eventuale opportunità di ampliamento 7. Strutturazione della consapevolezza circa le funzioni di guida: la rete è tanto più formale quanto più si dà delle regole rispetto a chi e come facilita. Quanto la rete si auto-organizza per avere un facilitatore? Esercitazione: Alcuni assistenti sociali, in supervisione, hanno deciso di attivare un gruppo di auto/mutuo aiuto per famiglie “multiproblematiche”. 31 Cosa ha a che fare un gruppo di auto/mutuo aiuto con il lavoro di rete? Il Gruppo AMA è una rete di fronteggiamento particolare, la si distingue dalla finalità che sarà di AMA. Due di esse si sono date da fare ed hanno organizzato il primo incontro. Hanno coinvolto i colleghi perché invitassero «famiglie in contatto con i servizi sociali per problemi relativi ai figli minori»… Si è presentato un solo interessato. Sono andati tutti e tre direttamente al bar. Al tavolo hanno parlato di come coinvolgere altre persone. L’unico membro del gruppo si è detto disponibile a contattare altri conoscenti. Che cosa può “non aver funzionato” nella pubblicizzazione iniziale del gruppo? Per quali motivi Giuseppe (l’unico partecipante iniziale) potrebbe essere risultato più efficace degli assistenti sociali nel coinvolgere le persone? Grazie al suo lavoro, nell’incontro successivo i membri del gruppo erano quattro. Per alcuni mesi il gruppo è rimasto stabile, senza nessun nuovo ingresso, nonostante l’impegno di tutti a reclutare. Nel frattempo, una delle due assistenti sociali si è staccata e l’altra ha continuato da sola. 32
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