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Identità e riconoscimento: teorie e pratiche - Prof. Sparti, Appunti di Sociologia

Una serie di lezioni sul concetto di identità, la sua natura, le sue origini e le sue implicazioni nella vita quotidiana e nella società. Le lezioni esplorano la teoria dell'identità personale, la classe delle persone, l'identità come discorso su sé stessi, il riconoscimento identificativo, l'esternalismo, il ruolo dell'identità in manicomio, la storia afro-diasporica del jazz, il nesso fra improvvisazione, identità e riconoscimento, le pratiche di alterazione del sé e le caratteristiche della milonga.

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 23/03/2024

martiinaaaa
martiinaaaa 🇮🇹

4.4

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Scarica Identità e riconoscimento: teorie e pratiche - Prof. Sparti e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! Teorie dell’identità 28/2/2024 Lezione 1 Identità personale  concetto che porta con sé fraintendimenti. Uso dell’identità in rapporto ai social media: sono una ribalta per giocare con la propria identità, proiettarla e personalizzarla - Self branding. Attraverso questa proiezione mostro come desidero essere visto, e questo modo non corrisponde alla mia identità. Altro aspetto sintomatico e attuale sono i dispositivi portatili di tracciamento biometrico (orologi, cellulare ecc), misurano battito cardiaco, il sonno ecc. Anche questo genera l’idea che la nostra identità sia trasparente. Riflessione dell’identità come discorso su sé stessi è moderna e fiorisce soprattutto in occidente. Identità personale: cos’è una persona, quali organismi rientrano nella classe delle persone. Singolarizzazione: siamo tutte persone ma distinti gli uni dagli altri. Il corpo fa sì che ciascuno occupi uno spazio diverso. IPSE Fase persona (persistenza): ciascuno di noi vive, sopravvive un certo numero di decenni. Cosa fa sì che siamo la stessa persona in due spazi tempo diversi? Siamo la stessa o dobbiamo accettare il concetto di discontinuità. IDEM Il fatto che la singolarizzazione sia legata al corpo non in senso fisico ma al corpo espressivo. I nostri volti sono ciò che ci distingue. Paradossi sulla persistenza: il più vecchio riguarda la nave di Teseo, colui che ha ucciso il minotauro. Dopo averlo fatto torna a casa propria ma ogni anno invia in dono agli isolani una barca piena di regali per celebrare la liberazione dal minotauro. Il paradosso è che andando continuamente avanti e indietro la nave si usura. Nel giro di un tot di anni la nave di Teseo è stata rifatta, tutte le tavole di legno sono state sostituite. Quindi la domanda è: la nave di Teseo è sempre la stessa nave? Prospettiva internalista: l’identità è qualcosa incastonato in me, qualcosa che garantisce la mia soggettività. Prospettiva esternalista: l’identità è in noi ma non la controlliamo. 29/2/2024 Lezione 2 Classe delle persone: questione di che cos’è una persona, chi rientra in questa classe, cosa differenzia persona e non-persona. - Distinzione individuale all’interno della classe delle persone: individui di natura simile ma distinti fra di loro. - Seguire l’identità nel tempo: persistenza. Fino a che punto ci prolunghiamo nel tempo rimanendo ancora gli stessi. L’identità è la continuità di una differenza. Ognuno di noi muta anche radicalmente ma non in continuazione. Quello di persona è un titolo che viene tributato e come tale può essere revocato. Condizioni per essere una persona: - Presupposto della razionalità - Riconoscimento (corpo) - Reciprocità: colui che consideriamo persona deve essere in grado di considerare noi delle persone. - Capacità di comunicazione verbale - Autocoscienza: essere in grado di offrire una ragione per spiegare perché si è agito in un certo modo. Propriocezione: si sviluppa attraverso la capacità di agire. Consapevolezza riflessiva. Animale domestico??? Disabile??? Il disabile non è una non-persona. Possiamo dire che una persona è un individuo dotato della possibilità di soddisfare quelle funzioni anche nel caso in cui non possono. Dunque, un disabile È una persona anche se magari non ha una di quelle condizioni. 1/03/2024 Lezione 3 DIBATTITO SULL’IDENTITÀ Fin da Platone sono state sollevate domande sui paradossi (nave di Teseo) riguardo l’identità  empirismo inglese (John Locke e David Hume). La discussione riguardo a questi argomenti si è sempre accompagnata a esperimenti mentali. Le domande che ci poniamo sono per esempio: Cosa fa sì che io mi distingua da te (distinzione) e cosa rende possibile che io sia ancora io in due tempi spazi diversi (continuità)? Qual è il vettore della mia continuità? Queste sono domande stringenti perché il concetto di identità è incompatibile con la duplicazione e la discontinuità (duplicazione e discontinuità). Il dibattito si è incentrato su quali elementi e condizioni garantiscono la distinzione e la continuità. Bicondizionale esprime il criterio relativo all’identità (se e solo se). Tre criteri di identità:  Corpo materiale (identità numerica o quantitativa) – Aristotele  un qualcosa che ci segue dall’inizio alla fine della vita come per esempio le impronte digitali. Essenza metastorica, un qualcosa di rinchiuso dentro il soggetto.  Continuità psicologica (ritenzione) – D. Locke  continuità dell’identità. Ruolo importante qui è giocato dalla MEMORIA, dai processi di ritenzione che mi porto dietro e mi permette di essere quello che sono. Questa è un’identità più psicologica. Le persone che soffrono di un’amnesia completa per colpa della quale si fa fatica a ricordare la vita in un ordine sequenziale  Connettibilità : Hume sfida chi si occupa di identità facendoci notare che accanendoci sul cercare di definire cosa sia l’identità, diamo per scontato che questa ci sia. Per lui questo non è così, parla di una disidentità e spiega che ci sono esigenze nostre, di formattare il caos, di mettere ordine in una vastità più ampia di quello che si pensa. L’identità per Hume, non è una sostanza, ma assomiglia ad un’assemblea o a una città o un’associazione, la quale mantiene il nome ma non i membri. Noi conserviamo il nome, presumiamo che dietro al nome ci sia una sostanza, ma in realtà c’è un assemblaggio di cose diverse. Propone quindi il criterio della connettività: se la continuità è una linea continua e non interrotta, la connettività è un rapporto molto più elastico che non presuppone per forza la continuità. Io posso essere connesso in modo continuo a chi ero ieri o tre giorni fa, ma posso essere connesso in modo più debole al me di 15 anni fa; io sono solo fino a un certo punto il continuatore di ciò che ero prima. Esempio dello spettro combinato: da un lato dello spettro ci sono io, sull’altro lato un’altra persona X. Quando viene attivato le due persone agli estremi si avvicinano e cambiano, avvicinandosi la persona X diventa me, e io divento la persona X. C’è un punto determinato in cui io divento X o X diventa me? La risposta è no, non c’è un punto netto. Non c’è tutto o nulla, ma è una continuità. La continuità ha quindi a che fare con dei gradi, con dei forse e più o meno (Hume). Questa caratteristica era già stata messa in luce da – Paradosso del sorite (Eubulide di Mileto): prendiamo un chicco di grano e ne aggiungiamo un altro e un altro  a partire da quando ne abbiamo un mucchio? A partire da quando una persona è adulta? Sempre legato al concetto di continuità. Parfit  Amnesia retorica: supponiamo di avere delle pillole che provocano un’amnesia retorica, cancello un momento a mia scelta prendendo delle pillole. Se domani io mi sarò dimenticata dell’esperienza che ho fatto, dove sarà la me che ha vissuto quell’esperienza dato che me ne sono dimenticata? La nostra esistenza è piena di binari morti, non è vero che c’è una strada continua che collega tutti i punti. Per questo è più giusto parlare di connettività. Questione della rilevanza: per noi importa di più che una persona si converta, a livello religioso, politico e che quindi cambi radicalmente le sue credenze, rispetto al fatto che materialmente rimane la stessa (ha sempre le stesse impronte digitali). Explanatory gap: quella di Aristotele è una visione riduzionista, se apro il cervello vedo dei rapporti neuronali, che se scompongo ancora trovo degli elettroni che sono tutti uguali. Non abbiamo un’identità: c’è una discontinuità tra il mondo microfisico e quello dove viviamo noi. Più scendiamo nel piccolo/biologico più ci allontaniamo dall’identità L’inconscio: l’intera psicanalisi si basa sul fatto che tutto quello che entra nella nostra identità ci influenza. Ma ci sarà un’oasi di rimosso che interviene (il rimosso). L’ultimo nastro di Crack (Beckett): regista che riprende la sua vita, a un certo punto tira fuori le vecchie cassette e riguardandosi non si riconosce, non riesce a rapportarsi a quello che vede e senti: esempio di come un qualcosa che rappresenta il nostro passato sia sganciato da ciò di cui siamo consapevoli adesso. Il limite dei criteri d’identità è che non si capisce chi li applica: chi stabilisce l’identità? Chi sancisce il criterio?  nella prospettiva esternalista non è mai solo il soggetto che applica il criterio per definire la sua identità, è una cosa intersoggettiva è l’altra persona che ci fa riscontro della nostra identità. In filosofia e in psicanalisi utilizziamo molto la figura dello specchio: io vedo gli altri, ma non vedo mai me stesso eccetto se ho uno specchio o se gli altri non mi danno riflesso di quello che sono, con delle reazioni alle mie azioni per esempio. Esempio: dirigente della FIAT, onorato per il suo successo aziendale, che va in missione con il suo aereo privato in America latina si trova nel mezzo di una tempesta e l’aereo precipita. Si ritrova nella foresta amazzonica dove si riconosciamo una persona e la stimiamo può essere chiamato “bene di identità”, che servono a convalidare l’identità. Riconoscimento negante  quando trattengo i beni di identità: quando vado al teatro come spettatore, il mio sguardo orientato verso il palco, ho persone vicine, ma non le guardo, nel buio sono isolato. A teatro io vedo senza essere visto. Questa situazione del teatro è bella ma è anche un limite, è quella di un mero identificatore, identifico ma non concedo niente. Questo non vuol dire che non possa apprezzare il pezzo, ma lo tendo per me. Se ci comportassimo così anche nella vita reale sarebbe un problema, riconoscere, nel senso di identificare, ma non fare nulla alla luce di quello che ha scoperto è un problema (arrivo a casa e mi viene detto che una persona sta male e io rispondo “sì, me ne rendo conto” ma non faccio niente, è un problema). Questa caricatura è ciò che possiamo ritrovare nei nazisti o in casi nella vita in cui vengo ignorato (passa il bus, alzo la mano, ma lui passa senza fermarsi). Il riconoscimento è la risorsa originaria che ci cediamo mutevolmente, perché senza essere riconosciuti e visti, la mia identità non è convalidata. La distinzione fra i due tipi di riconoscimento è quindi analitica, ma nella vita si sovrappongono. AUTO-RICONOSCIMENTO Il riconoscimento non è onnipotente, non lo è soprattutto in senso temporale: sarebbe curioso se un genitore quando il bambino compie sei anni, dicesse al figlio “ti ho riconosciuto abbastanza, vai per la tua strada”. Il riconoscimento è un atto temporaneo e necessita di essere alimentato dalla batteria sociale del riconoscimento. Si esaurisce una volta concesso, deve quindi essere concesso continuamente. I ruoli che assumiamo nella vita e che coesistono non nascono in maniera meccanica, l’auto riconoscimento è la capacità con cui riesco a mantenere la mia identità, il metodo con cui riesco ad assimilare i vari riconoscimenti che mi spettano. Io sono già stato riconosciuto in passato, ma lo porto con me in maniera diversa, porto con me la sintesi, il sottoinsieme, dei riconoscimenti ricevuti che diventa una sorta di residuo che si sedimenta al quale posso dire sì o no. Nella piatta contemporaneità dell’interazione (piano orizzontale) io bambino vengo riconosciuto, priorità genetica dal pov temporale, ma il riconoscimento non entra e sparisce ma si accumula e diventa una collezione verticale di riconoscimenti cumulativi. Al prossimo riconoscimento io non sono nudo, ho un bagaglio che porto con me e cerco di far valere. Goffman  l’autonomia non è qualcosa legato a un qualcosa di biopsichico, che sta prima del riconoscimento, ma è la conseguenza dei riconoscimenti acquisiti. C’è spesso una discrepanza tra auto riconoscimento e come si è visti dall’altro (cambi di genere, aspetti che mi sfuggono di me stesso e che gli altri notano di più). 13/03/2024 Lezione 7 JAZZ Non affrontato come genere musicale, ma come fatto sociale totale. Ha a che fare con l’identità.  Storia afro-diasporica del Jazz Inizia con la colonizzazione del 1400, traffico umano: da una parte si spostano e deportano schiavi dall’Africa, siglando degli accordi unilaterali e ottenendo la possibilità di deportare intere popolazioni (circa 23 milioni di schiavi), che vengono portate nel “nuovo mondo”, l’America del Nord (New Orleans è dove sbarcavano) e in America Latina.  Quelli che venivano portati in America del Nord vanno in un mondo anglo protestante;  Quelli che vanno in America Latina, invece, in un mondo iberico cattolico. Qui gli schiavi possono vivere insieme e sono in maggioranza, a differenza del Nord America dove erano in minoranza ed erano segregati. Un sesto della popolazione americana era composto da schiavi ed ex schiavi. La teoria della razza in realtà venne dopo: fino alla fine dell’800 lo schiavo era un bene, trattato al pari delle merci. Anche dopo l’800 e l’abolizione della schiavitù continua ad esserci SEGREGAZIONE RAZZIALE e fino agli anni ’60 bianchi e neri non potevano nemmeno sposarsi fra loro. Nascono diversi movimenti, come quello di Rosa Parks e in sit-in, una rivendicazione del proprio posto, o i freedom-riders, altro movimento in cui gruppi misti giravano insieme sugli autobus per andare contro la segregazione razziale. La tratta atlantica ha generato la possibilità di dare spazio a pratiche performative:  CANTI SPIRITUALI: testi protestanti che si cantano a messa, rielaborati in una versione molto personale. Espressioni dapprima canore (non avevano strumenti musicali). Usando e sfruttando voce e corpo si produce musica.  BLUES, chitarra + voce.  STREET BAND: orchestre al servizio degli eventi pubblici a cui si aggrega la popolazione contribuendo alla musica con quello che trovavano. Anche qui, uso di mani, corpo ecc., ma anche di strumenti a fiato.  BIG BAND: sale da ballo miste, musica meno improvvisata.  Jazz moderno Esposizione del tema è secondario, ma si improvvisa insieme. Non si performava nelle sale da ballo. Jam session  invece di avere un gruppo che si conosce, è un insieme di individui che improvvisano senza conoscersi (quasi sfidandosi fra sé). Nel periodo di battaglie per i diritti civili  free jazz. Mette alla prova gli ascoltatori, emancipandosi da certe costrizioni (come le note, il solista ecc). libertà di improvvisare insieme, tre solisti che suonavano contemporaneamente.  Identità, riconoscimento DEPORTAZIONE: perdita delle fonti di riconoscimento, viene meno il contesto che mi faceva riconoscere come quello che sono. Nel nuovo contesto subisco STIGMATIZZAZIONE, sono un soggetto inferiore (MISCONOSCIMENTO). Dal punto di vista religioso queste popolazioni africane non praticavano una religione del libro, ma erano basate su altro, portandoli ad essere ancora più smarriti. La musica diventa NECESSITÀ CULTURALE, per ricreare un’identità e riconoscerli come capaci di dare inizio a qualcosa. Era tollerata dai padroni perché la musica aumentava la produttività degli schiavi. Diventa anche il modo per dire qualcosa e parlare “in codice”. Diventa un DISPOSITIVO IDENTITARIO, funzione extra-estetica, fare società. È un surrogato di lingua: serve per darsi un’identità ma anche per comunicare. Funziona anche da MEMORIA STORICA, permette a chi ascolta di riconoscersi in una collettività. (C. Mingus, J. Coltrane). Il jazz è musica, dunque, afro-diasporica, NON africana. Nasce a New Orleans, continua a Chicago e si sviluppa a New York. Nel 1966 ad esempio ci fu il festival delle arti panafricane. I musicisti jazz vi trovarono musica diversissima. Non è musica ancestrale e non è africana (essenzialismo). Cos’è l’improvvisazione? Affrontare l’ignoto senza garanzia di successo. Jazz come musica commerciale? No, assunto fuorviante. Adorno accusa il jazz di esserlo perché c’era il songwriter, chi suonava e veniva fatto a teatro. SIGNIFYING  faccio una cosa generandone un’altra. 14/03/2024 Lezione 8  Improvvisazione nel jazz Quando cesso di sapere quello che sta per succedere c’è improvvisazione. Può succedere:  Nella vita quotidiana: esempio dell’amico che viene a casa a trovarmi a sorpresa, non ha cenato e si ferma da me. Improvviso una cena. Non ho scelto di improvvisare. Le circostanze impreviste mi costringono a improvvisare.  Nelle arti performative: io scelgo di improvvisare. Ho le competenze di agire senza preparazione. Nella vita quotidiana io mi arrangio. Il jazzista lo fa con un certo agio e ha gli strumenti per affrontare l’ignoto. Anche la deportazione è stata un grande atto di improvvisazione. La quotidianità presuppone quotidianizzazione, mentre nelle arti performative noi provochiamo l’imprevisto. N. Goodman, scrive “i linguaggi dell’arte”. Distingue fra due assi di arti:  Quelle a due fasi (musica classica) o Sono fatte da COMPOSIZIONE ed ESECUZIONE; o Il tempo impiegato per la composizione è un tempo che non ci appartiene, sottratto all’occhio del pubblico. Inoltre, è un’arte riproducibile e il tempo per ottenere il prodotto finale è teoricamente illimitato.  Quelle a una fase (jazz) o Si compone mentre si esegue; o Non abbiamo nulla che garantisca la riproducibilità, è un atto unico. Si esaurisce mentre si porta a compimento;  Inseparabilità fra composizione ed esecuzione (fase unica);  Situazionalità, sono situato in un processo, creo musica mentre la eseguo. Collocato nel solco del presente, qui ed ora;  Contingenza, la musica può evolversi in direzioni inattese in qualsiasi momento. È così, ma anche altrimenti (temporaneità della situazione);  Irreversibilità: quando improvviso si può solo andare avanti.  Non c’è un verso e proprio prodotto, c’è un processo nel farsi. Per imparare a improvvisare servono molti anni, è il frutto di un lungo tirocinio nonostante appaia come un qualcosa di generato. Pur corrispondendo ad un agire non programmato, serve comunque molta pratica e molto lavoro dietro. Mito della spontaneità Esempio dello sciatore che anche se scia fuori pista, si presuppongono certe caratteristiche: pendio, attrezzatura da sci ecc. Altro esempio: domande totalmente inattese. Noi sappiamo rispondere perché conosciamo una lingua, perché sappiamo parlare. Il già acquisito in un’improvvisazione è importante e supera quello che non sappiamo. I surrealisti capiscono che c’è un modo per far uscire il già acquisito  alterazione del sé. Spesso è variazione sul tema e non un inventare, ma creare versione in cui io prevalgo sul brano. 15/03/2024 Lezione 9 Nesso fra improvvisazione – identità – riconoscimento C’è un’improvvisazione quando ci affranchiamo dall’IO. La sorpresa spezza la ricorrenza e senza il riconoscimento siamo disorientati. Nella vita quotidiana  come attori della vita ci muoviamo in CERCHIE SOCIALI. Siamo conservatori, come se volessimo un’assicurazione che ci garantisca il riconoscimento ovunque andiamo. Per l’artista  affrancamento dell’io ma deve oltrepassare l’abitudine e mettere in questione l’identità consolidata. Tensioni verso l’ulteriorità. Originalità: improvviso per generare qualcosa di diverso, di nuovo. Atto unico non iterabile, che non si può ripetere. Arendt parla della natalità come condizione di chi rinasce tramite pratiche artistiche. Miracolo = essere umano può fare l’incalcolabile (come l’improvvisazione). Play safe  si riferisce a chi tende a ripetere gli stessi motivetti. Se questo è vero, la domanda diventa: come indurre il nuovo e vincere l’inerzia? Il surrealismo ha individuato delle tecniche come scrittura automatica, dare voce a qualcosa di sommerso in noi.  Pratiche di alterazione del sé (o tecnologie del sé) 4 tecniche:  OBLIO ATTIVO: cercare di tenere sotto scacco la propria memoria, evitare di suonare cose che ho già fatto. Dimenticanza/sospensione volontaria del passato.  SUONARE CIÓ CHE NON SO: suonare l’impossibile, qualcosa che fuoriesce dal perimetro delle cose che so;  ROTAZIONE DEGLI STRUMENTI: aiuta a lateralizzare le competenze, soprattutto motorie, introducendo flessibilità;  ROTAZIONE DELLE PERSONE (disbanding): dismettere il gruppo per spingerci oltre i limiti della creatività abituale. IDENTITÀ DIFFERITA R. Ellison scrive: perdere identità anche mentre la trovo perché non posso aggrapparmici se voglio improvvisare. Lo spettro dell’improvvisatore è la stagnazione. Un’improvvisazione riuscita è quella in cui accedo me stesso. COLTRANE, cambia identità sonora.
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