Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti tratti dal corso di Chimica, Appunti di Chimica

Appunti tratti dal corso di Chimica anno 2024 tenuto dalla docente G. Luciani.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 10/06/2024

goro_99
goro_99 🇮🇹

3 documenti

1 / 170

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti tratti dal corso di Chimica e più Appunti in PDF di Chimica solo su Docsity! Appunti di Chimica Generale June 10, 2024 Appunti tratti dalle lezioni del corso di Chimica Generale per Ingegneria Industriale (in particolare ingegneria gestionale, navale ed elettrica) tratti dal corso tenutosi dalla prof.ssa Luciani nell’anno 2024. Contents I Dalla materia alla termodinamica 4 1 La materia 5 2 L’atomo 9 2.1 La rappresentazione dell’atomo . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 3 Formule chimiche 13 4 Le confutazioni sperimentali 15 5 L’effetto fotoelettrico 19 5.1 Il modello atomico di Bohr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 5.2 Il modello di Sommerfeld: modello ad orbite ellittiche . . . . . 22 5.3 Modifiche del modello di Sommerfield . . . . . . . . . . . . . . 23 5.4 Limiti del modello di Sommerfeld . . . . . . . . . . . . . . . . 24 5.5 Lo sviluppo della meccanica quantistica: il dualismo onda- particella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 6 I numeri quantici 25 6.1 Principio di indeterminazione di Heisenberg . . . . . . . . . . 25 6.2 Equazione di Schrödinger . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 1 7 Modello quantistico dell’atomo 27 7.1 La distribuzione di probabilità radiali . . . . . . . . . . . . . . 28 7.2 Carica nucleare effettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 7.3 Configurazioni elettroniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 8 La tavola periodica 30 8.1 La proprietà periodiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 8.2 I gruppi di elementi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 8.3 I gas nobili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 8.4 Elettroni di valenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 8.5 Le proprietà degli elementi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 8.6 Le dimensioni atomiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 8.7 Energia di ionizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 8.8 Affinità elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 9 Il legame chimico 37 9.1 Origine della distribuzione elettronica di legame . . . . . . . . 38 9.2 Modello di legame covalente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 9.3 Elettronegatività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 9.4 Il legame ionico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 10 La teoria V.S.E.P.R. 44 11 Orbitali atomici e molecolari 49 11.1 Molecole polari e apolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 12 Le soluzioni 54 13 Le reazioni di ossido-riduzione 55 14 Interazioni intermolecolari 58 14.1 Modelli di interazione tra molecole . . . . . . . . . . . . . . . 58 14.2 Interazioni dipòlo-dipòlo permanente . . . . . . . . . . . . . . 58 14.3 Forze di Van der Waals (legame dipolo-dipolo istantaneao) . . 59 14.4 Legame ponte a idrogeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 15 Gli stati di aggregazione della materia 62 15.1 I gas ideali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 15.2 L’equazione di stato: da cosa è determinata? . . . . . . . . . . 65 16 La risonanza (o mesomeria) 66 16.1 Gas reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 2 1 La materia Le proprietà e le trasformazioni della materia dipendono dalla composizione (entità costitutive) e dalla struttura (disposizione delle entità costitutive). Ci sono 2 tipi di proprietà: ˆ estensive dipendono dalla quantità di materia. ˆ intensive non dipendono dalle quantità di materia. E due tipi di trasformazione: ˆ empirica ottenimento del materiale per l’applicazione richiesta senza comprensione e controllo delle proprietà. ˆ ingegneristica comprensione e il controllo delle proprietà per ottimiz- zarle per l’applicazione richiesta. La chimica è una disciplina scientifico-sperimentale che studia le pro- prietà e trasformazioni della materia, interpretandole attraverso gli aspetti microscopici di composizione e struttura. - Livello macroscopico: proprietà e trasformazioni di oggetti grandi e vis- ibili. - Livello microscopico: tipologia delle entità costitutive e loro organiz- zazione,modifica dell’organizzazione degli atomi costituenti. - Livello simbolico: relazioni matematiche e formule chimiche, reazioni. La materia è tutto ciò che nell’universo è dotato di massa propria ed oc- cupa spazio. La composizione di un campione di materia è determinata dalle entità microscopiche. È la composizione a condizionare le proprietà chimico- fisiche della materia, in quanto il macroscopico dipende dal microscopico. Per struttura si intende il modo in cui le entità microscopiche sono organizzate e disposte nello spazio tridimensionale. A differenza della composizione, la struttura influenza solo le proprietà fisiche della materia. Gli stati di aggregazione della materia sono solido, liquido e gassoso. 5 Le proprietà della materia possono essere estensive o intensive. Proprietà fisiche: peculiarità di un certo campione di materia rilevabili attraverso os- servazione diretta, misura o trasformazioni. Sono proprietà macroscopiche della materia, osservabili e misurabili senza alterare l’identità chimica del campione. Proprietà chimiche: possono essere osservate o misurate solo al- terando l’identità chimica (composizione,unica caratteristica microscopica) del materiale, ossia sottoponendo il campione di materia a trasformazioni chimiche. In quanto disciplina scientifico-sperimentale, la chimica basa la propria indagine sul metodo scientifico, cos̀ı schematizzabile: (1) osservazione del fenomeno; (2) semplificazione del fenomeno a modello e raccolta di dati sperimentali; (3) formulazione della legge e di ipotesi; (4) sperimentazione; (5) se l’ipotesi trova conferma empirica, si procede con la formulazione di una teoria che da esauriente spiegazione della legge; (6) realizzazione di ulteriori esperimenti. Nel campo scientifico per ”modello” si intende la rappresentazione sempli- ficata e idealizzata del fenomeno, identificato da caratteristiche salienti e privato di quelle non interessate all’analisi scientifica. Si fonda su una serie di ipotesi o postulati che identificano le caratteristiche salienti del fenomeno e pertanto ne consentono la spiegazione. Il modello formulato non deve es- sere considerato uno strumento concettuale di cui ci si serve per interpretare il comportamento delle cose. Dalton formula per primo una teoria atomica sulla base di due osservazioni sperimentali principali: Legge di conservazione della massa di Lavoisier: in un sistema chiuso, durante una qualsiasi trasformazione, la massa si con- serva. 6 Legge delle proporzioni definite di Proust: la percentuale in peso degli elementi in un composto è definita e costante, e non dipende dall’origine del composto. %E=m(elemento)/m(composto) Ö 100. Postulati della teoria atomica di Dalton - La materia è costituita da particelle elementari indivisibili, gli atomi. - Gli atomi della stessa specie chimica sono tutti uguali fra loro. - Gli atomi sono indivisibili e indistruttibili. - In una trasformazione chimica si combinano tra di loro secondo un rapporto definito e costante espresso da numeri interi e piccoli. - Le reazioni chimiche consistono nella separazione e ricombinazione di atomi, ma nessun atomo di un elemento si trasforma nell’atomo di un altro elemento. Reazione tra due porzioni di materia costituite da due atomi diversi: Sodio (Na) mNa = massa del singolo atomo di Na NNa = numero di atomi di Na Cloro (Cl) mCl= massa del singolo atomo di Cl NCl= numero di atomi di cloro Gli atomi vengono assimilati a particelle sferiche a partire dalla teoria atomica. La teoria atomica giustifica sia la legge di Lavoisier sia la legge di Proust: la massa di un campione di materia è determinata dalle masse dei singoli atomi costituenti il campione di materia: pur organizzandosi in maniera diversa, nessuno degli atomi si perde durante una trasformazione. Se essi non cambiano in numero, ne segue che la massa totale è inalterata. Essendo determinata e costane la percentuale in peso degli elementi costi- tutivi di un campione, è ugualmente determinato e costante il rapporto tra atomi delle specie chimiche che compongono il campione. L’ipotesi della teoria atomica venne confermata due secoli dopo grazie al pro- gresso tecnologico. Le entità costitutive sono formate da un numero discreto 7 (dal greco èlektron, ambra, poiché l’ambra ebbe un ruolo fondamentale nella scoperta dei fenomeni elettrici). Thomson fu uno dei primi a giustificare la stabilità e la neutralità dell’atomo, poiché teorizzò la presenza in egual numero di particelle positive e negative sparse all’interno dell’atomo. La carica positiva occupa, come una nube, tutto il volume, e gli elettroni sono dispersi nell’atomo in posizioni regolari. La confutazione del modello di Thomson: l’esperimento di Ruther- ford di diffusione delle particelle Il modello di Thomson risultò inadeguato a seguito di alcuni esperimenti sul potere penetrante delle particelle α. Il fisico neozelandese Rutherford intùı che una verifica sperimentale del modello atomico di Thomson poteva essere effettuata analizzando le traiettorie tracciate dai raggi α durante l’attraversamento della materia. L’esperimento consisteva nel bombardare, con un fascio di particelle α (atomi di elio privati di 2 elettroni; in questo modo le particelle hanno carica doppiamente positiva), una sottilissima lamina d’oro (0.01 mm di spessore) dotata di bassa densità di carica e di massa, rivestita di uno schermo di solfuro di zinco, che evidenzia le particelle α. Se il foglio d’oro fosse stato realmente costituito da atomi a plum pudding, la deviazione delle particelle α sarebbe stata quasi nulla. L’esperimento evidenziò che: - La maggior parte delle particelle α attraversava la materia mantenendo la traiettoria iniziale - Alcune venivano leggermente deviate, poiché quando una particella α col- lideva con un elettrone non si avevano significative variazioni di traiettoria, essendo la particella α molto più pesante dell’elettrone. - Una particella ogni 20.000 circa rimbalzava all’indietro, e ciò era dovuto al fatto che la particella α passasse in prossimità di uno dei nuclei, venendo cos̀ı deviata di angoli sensibili (maggiori di 90°) o venendo addirittura deflessa qualora centrasse il nucleo. Questo fenomeno dimostrava l’esistenza all’interno dell’atomo di una zona, dal diametro 100.000 volte più piccolo di quello dell’atomo stesso, capace di deviare particelle cariche positivamente. Rutherford concluse quindi che l’atomo dovesse presentare un nucleo elettricamente positivo, che concen- tri tutta la massa, e attorno al quale ruotano a notevole distanza gli elet- troni. Secondo tale modello l’atomo presenta una struttura prevalentemente vuota. Però tale modello presenta dei limiti, non fornisce cioè alcun det- taglio sulla disposizione degli elettroni intorno al nucleo. Infatti, secondo l’elettrodinamica classica l’elettrone avrebbe dovuto dissipare nella rotazione 10 attorno al nucleo la sua energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche e in brevissimo tempo cadere sul nucleo. Secondo tale modello, l’atomo doveva presentare una struttura planetaria. Questa struttura prevede un’uniforme zona carica positivamente e posta al centro, circondata da elettroni liberi di muoversi. Rutherford non aveva ipotizzato l’esistenza dei protoni. Caratteristiche generali dell’atomo L’atomo è formato da particelle subatomiche: protoni, neutroni ed elettroni. Ogni tipo di atomo si distingue dagli altri per il suo corredo di particelle sub- atomiche. I protoni sono dotati di carica elettrica positiva, i neutroni sono privi di carica elettrica. Il nucleo è formato da protoni e neutroni (nucleoni). Poiché il nucleo è costituito sia da protoni sia da neutroni, solitamente sono chiamati nucleoni. Gli elettroni, particelle dotate di carica elettrica nega- tiva, ruotano attorno al nucleo. In qualsiasi atomo il numero di protoni è sempre uguale a quello degli elettroni, quindi l’atomo risulta elettricamente neutro. Gli elettroni ruotano attorno al nucleo in particolari zone sferiche dello spazio, i livelli energetici. Gli strati elettronici contengono ciascuno un ben preciso numero di elettroni. Quello più vicino al nucleo contiene al massimo 2 elettroni, tutti gli altri possono contenerne fino a 8. Ogni guscio possiede una quantità di ener- gia ben definita, che ne determina il livello energetico. Cambiando il nu- mero di elettroni di un atomo, cambia la sua carica. Gli elettroni risentono dell’attrazione delle cariche positive del nucleo, ma non cadono su di esso per la forza centrifuga che li tiene ad una certa distanza e li fa ruotare. In natura non esiste una carica più piccola di quella dell’elettrone. Gli elettroni che si trovano nell’ultimo livello energetico (caratterizzati quindi da numero quantico principale più alto) sono gli elettroni di valenza. Questi risentono 11 del cambio dell’intorno chimico, quindi caratterizzano le proprietà chimiche dell’elemento. 2.1 La rappresentazione dell’atomo In una trasformazione chimica, l’intorno di un atomo si modifica. Il suo nucleo è poco accessibile: le proprietà chimiche dipendono dal numero di elettroni, in quanto essi sono sensibili al cambio dell’intorno atomico. Numero atomico Z: numero di protoni presenti nel nucleo (fisso). Identi- fica anche il numero di elettroni. È il parametro che identifica un elemento. Le proprietà di un elemento dipendono dal numero atomico. L’energia di un qualsiasi orbitale diminuisce al crescere del numero atomico Z. Numero di massa A: somma di protoni e neutroni presenti complessiva- mente nel nucleo. È il parametro che identifica i vari isotopi di uno stesso elemento. Il comportamento chimico di un elemento è determinato dal suo numero atomico, cioè dal numero di elettroni e di protoni. Isotopi: si possono identificare per ogni tipo di atomo. Il numero di massa di uno stesso elemento può variare. Atomi dello stesso elemento con stesso numero atomico e diverso di neutroni si dicono isotopi dello stesso elemento. Questi hanno stesso numero atomico ma diverso numero di massa ed oc- cupano lo stesso posto nel sistema periodico. Per esempio l’idrogeno ha 3 isotopi: prozio (idrogeno comune con nessun neutrone), deuterio (idrogeno pesante con un neutrone) e trizio (idrogeno radioattivo con due neutroni). Gli isotopi dal punto di vista chimico si comportano allo stesso modo. Dal- ton non li aveva evidenziati perché non si interessava della massa, ma del comportamento chimico in generale. Peso atomico assoluto (Peso molecolare): somma dei pesi atomici delle varie particelle che compongono l’atomo. Molecola: specie poliatomica isolabile sperimentalmente che costituisce la più piccola particella responsabile delle proprietà chimiche delle sostanze molecolari. Ione: atomo o specie poliatomica che possiede una carica elettrica. Si forma quando la specie chimica perde o acquista elettroni rispetto a quelli che bi- lanciano la carica nucleare. Peso atomico: è il rapporto tra il peso dell’atomo considerato e il peso di un atomo di riferimento con peso arbitrario. Si misura in u.m.a. 12 Dà un’informazione qualitativa, ovvero i simboli chimici del tipo di atomi presenti nel composto e un’informazione quantitativa, ovvero un numero di atomo di ogni elemento presenti nella molecola si esprime attraverso i vedici disposti in basso a destra rispetto al simbolo chimico. Inoltre, fornisce un’informazione strutturale indica come sono legati gli atomi e fornisce la loro organizzazione dello spazio. Trasformazione chimica Evento macroscopico che coinvolge entità microscopiche, le quali reagiscono secondo un rapporto numerico definito e costante. Lo scopo del chimico è de- terminare la quantità delle sostanze che reagiscono e si producono per effetto di una trasformazione chimica. Per fare ciò bisogna determinare il numero di particelle (informazione microscopica) contenuto in un campione di massa nota (informazione macroscopica). Mole: insieme numerabile di entità microscopiche, equivalenti in numero pari al numero di Avogadro Na. Massa molare (g): massa espressa in grammi di una mole di sostanza, ovvero il totale della massa di 6,022Ö1023 particelle che la costituiscono. In generale, una mole di sostanze diverse ha massa molare diversa. La massa molare equivale al peso atomico/molecolare. 4 Le confutazioni sperimentali Secondo la teoria di Maxwell dell’elettromagnetismo gli elettroni in orbita intorno al nucleo avrebbero dovuto perdere rapidamente energia per irrag- giamento e quindi precipitare sul nucleo (l’elettrone è attratto dal nucleo, sta in un campo di attrazione gravitazionale, nell’avvicinarsi perde energia). Inoltre, lo spettro di emissione dei gas non è continuo ma a righe. Le conoscenze scientifiche nell’epoca non erano ancora mature per giusti- ficare un simile modello. Il progresso scientifico del tempo si fonda sullo studio delle interazioni tra la luce e la materia (spettrometria). Si studi- ano in particolare l’effetto fotoelettrico e gli spettri di emissione dei gas. La 15 luce è una radiazione elettromagnetica, cioè costituita da onde elettromag- netiche che, partendo da una sorgente, sono in grado diffondersi in tutte le direzioni nello spazio sotto forma di un campo elettrico e di un campo mag- netico oscillanti, tra di loro perpendicolari. Per la sua natura di onda, la luce è caratterizzata da picchi e gole, cioè da punti di massimo e minimo di ampiezza. La distanza fra due picchi (o due gole) è la lunghezza d’onda (λ), la quale si misura in multipli e sottomultipli del metro, mentre la frequenza (ν) è il numero di oscillazioni complete al secondo, misurata in hertz (Hz). Queste due grandezze sono inversamente proporzionali fra loro, in quanto: λ = c ν Di conseguenza, un’onda a bassa fre- quenza ha una lunghezza d’onda molto elevata, e viceversa. L’energia della radiazione luminosa dipende dall’intensità e non dalla frequenza. L’insieme delle radiazioni elettromagnetiche a diverse lunghezze d’onda costituisce lo spettro elettromagnetico. L’ampiezza rappresenta l’altezza di un massimo ed è indicativa dell’intensità dell’onda. La luce esibisce anche un comportamento corpuscolare, oltre che ondulatorio. Malgrado questo, essa non può essere considerata come materia ordinaria non essendo dotata di massa. È tuttavia costituita da fotoni, dei pacchetti discreti (quanti) di energia. L’energia del fotone è direttamente proporzionale alla frequenza d’onda, come spiegato dalla legge di Planck: E = h ν dove la costante di Planck (h) è pari a circa 6,626x10−34 J s. 16 A seconda della lunghezza d’onda, siamo in grado di identificare diversi tipi di radiazioni, che nel loro insieme formano lo spettro elettromagnetico. La luce visibile dall’occhio umano ha una lunghezza d’onda che va da 380 nm (colore violetto) e 750 nm (colore rosso), e comprende tutti i colori dell’arcobaleno (lunghezze d’onda che corrispondono a frequenze comprese tra 3,8 x 1014 e 7,8 x 1014 hertz, vedi figura). Altri animali sono in grado di captare anche lunghezze d’onda diverse, come l’infrarosso (IR) e l’ultravioletto (UV). Come messo in evidenza dalla legge di Planck, le onde a energia mag- giore sono i raggi gamma (Γ), i quali sono pericolosi per l’uomo e utilizzati con cautela in diverse applicazioni (es. chirurgiche). Le onde radio, a bassis- sima energia, sono comunemente utilizzate per le comunicazioni sul pianeta. 17 La massa non è altro che una forma di energia, e massa ed energia si possono convertire l’una nell’altra. Queste si possono quindi considerare come due proprietà indistinguibili. Qualsiasi particella anche a riposo possiede un’energia proporzionale alla sua massa. Se ad un corpo viene fornita una certa energia E, la sua massa non si conserva ma aumenta di una certa quantità ∆m = E c2 . Considerando che già la velocità della luce c è un valore altissimo, questa massa sarà evidenziata quando le energie in gioco diventano notevoli, cioè quando si cerca di portare un corpo a velocità altissime, altrimenti la variazione di massa diventa impercettibile. L’energia che si può ottenere a partire da un corpo di massa m è pari a: E = m c2. Questa equazione svela il mistero che si cela dietro alle misteriose emissioni di energia da elementi radioattivi. 5.1 Il modello atomico di Bohr Bohr riteneva che il modello atomico di Rutherford presentasse due lacune: - Secondo la legge dell’elettromagnetismo (Teoria di Maxwell), l’elettrone in orbita attorno al nucleo avrebbe dovuto perdere rapidamente energia per irraggiamento, andandosi a schiantare sul nucleo inevitabilmente. - Il modello di Rutherford non spiega lo spettro di emissione degli elementi chimici. Bohr studiò in particolare lo spettro di emissione dell’atomo di idrogeno, che, 20 pur essendo l’elemento più semplice, è anche il più complesso da analizzare. Lo spettro di emissione dell’idrogeno è a righe, in quanto presenta uno sfondo nero intervallato da righe di colore che rappresentano una specifica frequenza della luce visibile. Questo evidenzia che l’idrogeno emette energia sotto forma di onde elet- tromagnetiche. Conclusi i suoi studi sull’idrogeno sia nello stato stazionario sia nello stato eccitato, ricavò 3 postulati: - Negli atomi, gli elettroni non emettono normalmente onde elettromag- netiche, poiché si muovono solo lungo orbite privilegiate o stazionarie, og- nuna caratterizzata da una ben definita quantità di energia. - Il momento angolare degli elettroni è quantizzato. - Negli atomi eccitati si verificano emissioni di energia, sotto forma di onde elettromagnetiche, solo quando un elettrone salta da un’orbita stazionaria a energia maggiore a un’altra a energia minore. In questo modo, risolse le lacune del modello di Rutherford: in particolare, gli elettroni sono disposti lungo orbite stazionarie ad energia quantizzata (definita). Ciò però che non spiegò è ancora da cosa sia determinato lo spettro di emis- sione. Bohr allora ipotizzò che, quando un atomo viene eccitato tramite calore o elettricità, i suoi elettroni possano saltare in un’orbita ad energia maggiore. L’elettrone torna immediatamente alla sua orbita stazionaria ad energia minima e, durante questa transizione di ritorno, emette l’energia precedentemente acquistata sotto forma di quanti di energia, luce di fre- quenza determinata. Queste frequenze di luce emessa corrispondono esatta- mente alle frequenze delle bande colorate dello spettro di emissione. Bohr elaborò due formule che permettevano di calcolare i valori del raggio e 21 dell’energia di un’orbita stazionaria qualsiasi, che assume con ciò il signifi- cato di livello energetico. Atomo di Bohr: presentava un nucleo centrale molto denso e carico positiva- mente, attorno al quale ruotano gli elettroni su delle orbite circolari concen- triche fisse e quantizzate, la cui energia aumenta all’aumentare della distanza dal nucleo. Modello di Bohr: giustificava dunque la stabilità dell’atomo. Prevedeva uno spettro di emissione a righe, caratteristico per ogni elemento. La verifica del modello evidenziò però che l’unico spettro in accordo con quello sperimentale fosse relativo all’atomo di idrogeno. Il modello di Bohr introduce al concetto di quantizzazione dell’energia: - Gli elettroni possono muoversi allontanandosi dal nucleo per ”salti” (salti quantici), passando da un livello maggiore ad uno minore, senza però poter stazionare in zone intermedie. Un elettrone può assorbire infatti dei fotoni, pacchetti di energia ben definiti. La carica del fotone corrisponde alla dif- ferenza di energia tra i due livelli energetici tra i quali l’elettrone si è mosso. Quando un elettrone si sposta verso l’alto non può conservare però questo stato a lungo poiché diventa instabile e ricade ancora a salti verso il livello energetico in cui si trovava precedentemente. - Per ricadere sul nucleo, un elettrone dovrebbe assorbire una frazione di fotone, ma ciò è impossibile perché i fotoni non si possono separare, e quindi possono essere assorbiti soltanto interi. Questa ipotesi di Bohr prende il nome di quantizzazione dei livelli di energia dell’atomo Il modello di Bohr riusc̀ı a spiegare gli spettri dei cosiddetti idrogenoidi, ma non fu in grado di spiegare gli spettri degli atomi polielettronici. 5.2 Il modello di Sommerfeld: modello ad orbite ellit- tiche Il modello atomico di Bohr spiega bene il comportamento spettroscopico dell’ idrogeno e, in parte, quello di alcuni metalli alcalini come il litio ed il sodio ma è del tutto inadeguato per l’interpretazione degli spettri di altri elementi. Lo spettro dell’elio, per esempio, non si accorda con le previsioni del modello di Bohr in quanto presenta delle righe non previste. Un tentativo di adatta- mento del modello di Bohr fu fatto nel 1915 dal tedesco Arnold Sommerfeld. Per ogni livello energetico indicato dal numero quantico principale n, sono possibili orbite ellittiche (in cui il nucleo occupava uno dei due fuochi) che resero necessari all’introduzione di un altro numero quantico detto numero quantico secondario (azimutale) l legato al momento angolare dell’elettrone. Ad ogni livello energetico pertanto viene associata non una singola orbita, 22 6 I numeri quantici La diffrazione di un fascio di elettroni è un fenomeno diffrattivo che coinvolge particelle materiali come gli elettroni durante lo scattering (sparpagliamento di fasci di radiazioni) elastico su materiali cristallini, e che ha permesso la verifica della teoria della dualità onda-particella. L’orbitale caratterizza lo stato dell’elettrone nell’atomcontenuto energetico, caratteristiche di moto in termini sia cinetici che posizionale. Numero quantico principale n: indica a quale livello energetico appar- tiene l’elettrone considerato (quindi definisce il raggio dell’orbita, cioè la dis- tanza dell’elettrone dal nucleo) e l’energia dell’orbita. I suoi valori variano da 1 a 7. Numero quantico secondario l: indica la forma dell’orbitale a cui appar- tiene l’elettrone preso in esame. Assume valori da 0 a n-1. Numero quantico magnetico m: indica il tipo di orientamento nello spazio per ogni tipo di orbitale. Assume valori da -l a l. Numero quantico magnetico di spin ms: indica il verso di rotazione dell’elettrone attorno al proprio asse. Può assumere solo due valori: −1 2 e +1 2 . 6.1 Principio di indeterminazione di Heisenberg Per descrivere il moto di una particella occorre conoscere i valori della sua posizione e della sua velocità in qualsiasi istante. Heisenberg dimostrò che non è possibile determinare con precisione contemporaneamente la posizione 25 e la velocità di una particella, enunciando il cosiddetto principio di indeter- minazione. Maggiore sarà la precisione con la quale determiniamo la posizione dell’elettrone, tanto minore sarà la precisione con cui possiamo conoscerne la velocità. ∆X rappresenta la posizione dell’elettrone e ∆p rappresenta la quantità di moto, rappresentano gli errori commessi nella determinazione della posizione e del momento della particella. Quindi l’indeterminazione della posizione della ve- locità di una particella diventa tanto più trascurabile quanto più grande è la sua massa, per cui alle particelle macroscopiche è possibile applicare corretta- mente i principi della meccanica classica. Invece, le conseguenze del principio di Heisenberg sono estremamente importanti nel mondo delle particelle mi- croscopiche infatti questo principio implica che non è operoso descrivere il comportamento dell’elettrone attorno al nucleo secondo un modello classico poiché non è possibile determinare la traiettoria. 6.2 Equazione di Schrödinger Nel 1926 E. Schrödinger propose un modello ondulatorio per la descrizione del comportamento di un elettrone nell’atomo di idrogeno. Le onde si di- vidono in onde progressive e stazionarie a seconda che la loro ampiezza sia funzione dello spazio e del tempo o solo dello spazio. Le onde stazionarie sono quelle la cui ampiezza dipende solo dalle coordinate spaziali x, y e z. Schrödinger descrisse il comportamento di un elettrone orbitante attorno al nucleo come quello di un’onda stazionaria. Propose, quindi, un’equazione, detta equazione d’onda con la quale rappresentare l’onda associata all’elettrone. Tale onda potrebbe essere immaginata come ottenuta dalla vibrazione di una corda chiusa su se stessa.Le soluzioni di questa equazione, dette funzioni d’onda ψ, non hanno un definito significato fisico, ma ad esse è associato un ben determinato valore dell’energia da confrontare con i valori ricavati speri- mentalmente. Matematicamente esistono infinite soluzioni di tale equazione. Soltanto alcune, finite, soluzioni (autofunzioni) soddisfano determinati requi- 26 siti (vincoli) e sono, quindi, accettabili.In particolare, i vincoli della funzione d’onda ψ possono esser cos̀ı riassunti: (1) continua e finita (2) ad un sol valore in ogni punto dello spazio (3) deve tendere a 0 a +inf (4) deve soddisfare la condizione di normalizzazione: ∫ ψ2dV = 1. Principio di esclusione di Pauli In un atomo non possono coesistere elettroni aventi tutti e quattro i numeri quantici uguali. Ciò implica che due elettroni che occupano lo stesso orbitale, e che, quindi hanno gli stessi valori di n, l ed m, debbono avere diversi valori di ms. Dal momento che solo due valori di ms sono possibili (−1 2 e +1 2 ) altro modo di enunciare tale principio è: ogni orbitale è occupato al più da due elettroni, ed essi debbono avere spin opposto. 7 Modello quantistico dell’atomo La formula si chiama funzione di distribuzione radiale dipende dalla distanza del nucleo. La probabilità di trovare l’elettrone molto vicino al nucleo piut- tosto bassa, poiché anche se i valori di ψ al quadrato sono alti, i valori di 4πr2 sono piccoli. Al crescere della distanza dal nucleo la probabilità radiale prima aumenta poi passa per un massimo e poi diminuisce asintoticamente. Per l’orbitale 1s il massimo della curva di probabilità radiale corrisponde al raggio dell’orbita circolare dell’elettrone secondo il modello di Bohr. Nessuna distanza è impossibile per l’elettrone sebbene non tutte le distanze abbiano la stessa probabilità. Le zone dove è presente un addensamento dei punti rapp- resentano le regioni dove è più probabile trovare un’elettrone. essa dovrebbe estendersi all’infinito ma ad una certa distanza la probabilità diventa tal- mente piccola che non ha senso rappresentarla con un numero più o meno grande di punti. Esiste una maggiore ”probabilità puntuale”, descritta da ψ2 (probabilità che l’elettrone si trovi in un punto preciso, ovvero in un volume infinitesimo) di trovare l’elettrone vicino al nucleo (punti più densi attorno al nucleo): tale probabilità diminuisce man mano che ci si allontana dal nu- cleo. Notiamo che i punti a uguale distanza dal nucleo presentano stessa probabilità puntuale; in altri termini tutti i punti appartenenti alla stessa superficie della sfera di raggio r sono equiprobabili. Ciò ci consente di dire che l’orbitale 1s ha forma sferica. Tutte le superfici sferiche di centro coinci- dente col nucleo negli orbitali di tipo s sono equiprobabili. Quindi tutti gli orbitali s sono sferici. 27 detti elettroni di valenza, poiché sono quelli impiegati nella formazione dei legami. Nella costruzione delle configurazioni il potere di penetrazione si ricava osservando i diagrammi delle funzioni densità di probabilità radiale 8 La tavola periodica La prima tavola periodica si attribuisce allo scienziato russo Mendeleev: met- teva in ordine gli elementi in base al numero atomico Z crescente. Mendeleev nota che è possibile individuare elementi con diverso numero atomico, che mostrano un comportamento chimico molto simile. Nella tabella, gli elementi con un comportamento chimico simile sono collocati nella stessa colonna. ”Periodica” perché gli elementi sono raggruppati in base alla periodicità delle proprietà. 8.1 La proprietà periodiche - Gli elettroni più esterni di un atomo condizionano le sue proprietà chimiche. Quindi gli atomi che hanno la stessa configurazione elettronica nel guscio es- terno formano gli stessi legami chimici. - Ogni gruppo (colonna) riunisce gli elementi con la stessa configurazione elettronica nel guscio più esterno (atomi che hanno lo stesso numero di elet- troni nell’ultimo guscio) che gli fa acquisire le stesse proprietà chimiche, come per esempio la famiglia di C o N. - Lungo un gruppo la carica nucleare effettiva vista degli elettroni di valenza (il numero di elettroni di valenza) si mantiene costante, mentre aumenta il numero quantico principale (il loro livello energetico). Quindi l’energia di attrazione tra elettrone e nucleo diminuisce. - Ogni periodo (7 righe) corrisponde al riempimento di un livello energetico. Sono gli atomi che hanno lo stesso livello energetico come ultimo guscio. Le proprietà variano con continuità. - Lungo un periodo la carica nucleare effettiva (quindi il numero di elettroni 30 di valenza) aumenta, mentre si mantiene costante il numero quantico princi- pale (il loro livello energetico). Quindi l’attrazione del nucleo sugli elettroni di valenza aumenta: diminuisce l’energia dell’orbitale. 8.2 I gruppi di elementi La caratteristica principale della tavola periodica è la sistemazione degli el- ementi in modo tale che quelli con proprietà chimiche e fisiche simili si tro- vino in colonne verticali dette gruppi. Gli elementi appartenenti allo stesso gruppo sono caratterizzati dal fatto di avere lo stesso numero di elettroni es- terni per cui la struttura del sistema periodico è una conseguenza dell’ordine con cui gli elettroni riempiono gli orbitali atomici. La lunghezza dei periodi e dovuta all’aumento del numero di orbitali disponibili, al crescere del numero quantico principale n. Il numero del periodo a cui appartiene un elemento corrisponde al valore del livello energetico dei suoi elettroni più esterni.Negli elementi di transizione gli orbitali d sono sempre preceduti dagli orbitali s che hanno un numero quantico principale superiore di un’unità.Negli elementi di transizione interna gli elettroni occupano progressivamente gli orbitali F che sono preceduti da un coefficiente di due unità inferiore al numero del peri- odo. Il numero del gruppo corrisponde al numero totale degli elettroni di valenza, per gli elementi di transizione il numero del sottogruppo coincide con il numero di elettroni presenti negli orbitali di tipo d. I metalli alcalini e alcalino-terrosi appartengono al blocco s corrispondono a riempimento degli orbitali ns. Gli elementi degli altri gruppi principali riempiono gli orbitali np per cui loro insieme viene indicato il blocco p. Gli elementi di transizione costituiscono il blocco d, mentre gli elementi di transizione interna (lantanidi e attinidi) fanno parte del blocco f. Le proprietà chimiche fisiche degli el- ementi sono determinate dalle loro configurazione elettronica e sono quindi funzione periodica del numero atomico. 8.3 I gas nobili Ci sono, nell’aria che respiriamo, i cosiddetti gas inerti. Portano curiosi nomi greci di derivazione dotta, che significano ”il Nuovo”, ”il Nascosto”, ”l’Inoperoso”, ”lo Straniero”. Sono appunto talmente inerti, talmente paghi della loro condizione, che non interferiscono in nessuna reazione chimica, non si combinano con alcun altro elemento, e proprio per questo motivo sono passati inosservati per secoli: solo nel 1962 un chimico di buona volontà, dopo lunghi e ingegnosi sforzi, è riuscito a convincere lo Straniero (lo xenon) a combinarsi fugacemente con l’avidissimo, vivacissimo fluoro, e l’impresa é apparsa talmente straordinaria che gli è stato conferito il Premio Nobel. 31 Si chiamano anche gas nobili, e qui ci sarebbe da discutere se veramente tutti i nobili siano inerti e tutti gli inerti siano nobili, si chiamano infine anche gas rari, benché uno di loro, l’argon, l’Inoperoso, sia presente nell’aria nella rispettabile proporzione dell’uno per cento: cioè venti o trenta volte più abbondante dell’anidride carbonica, senza la quale non ci sarebbe traccia di vita in questo pianeta. Il poco che so dei miei antenati li avvicina a questi gas. 8.4 Elettroni di valenza - In base alle configurazioni elettroniche, gli elettroni sono disposti attorno al nucleo in livelli energetici,corrispondenti a distanze medie dal nucleo vari- abili. - Gli elettroni che si trovano nell’ultimo livello energetico (quindi quelli caratterizzati da numero quantico principale più alto ) sono detti elettroni di valenza. - Gli elettroni di valenza sono quelli che risentono del cambio dell’intorno chimico,quindi caratterizzano le proprietà chimiche dell’elemento. Giustificazione delle similitudini degli elementi dello stesso gruppo Gli elementi dello stesso gruppo hanno gli elettroni di valenza nello stesso tipo di orbitali, e dato che le proprietà degli elementi dipendono dagli elet- troni di valenza questi elementi hanno proprietà simili. 8.5 Le proprietà degli elementi Le proprietà chimico-fisiche degli elementi conosciuti sono casuali o è possibile stabilire una corrispondenza tra esse e la struttura dell’atomo? È possibile classificare gli elementi in famiglie dalle proprietà simili? È possibile organizzare gli elementi per numero atomico crescente, ed è pos- sibile individuare elementi che pur avendo numero atomico diverso mostrano un comportamento chimico molto simile. È come se si riuscisse ad individuare una funzione di variabile indipendente Z e variabile dipendente il comporta- mento chimico. La tavola periodica è organizzata in righe, chiamati periodi, e colonne, dette gruppi. Sui periodi le proprietà chimiche variano con con- tinuità. Lungo i gruppi si hanno elementi dalle proprietà chimiche simili. La dipendenza delle caratteristiche degli elementi dal loro numero atomico evidenzia il fatto che sono gli elettroni i responsabili, in quanto parte più per- iferica dell’atomo, delle sue proprietà. Essi infatti, quando due atomi sono a distanza confrontabile con la propria dimensione, ossia ”vicini”, risentono non solo dell’attrazione con il proprio nucleo ma anche dell’attrazione con il nucleo dell’atomo vicino. In particolare gli elettroni sensibili a variazioni dell’intorno atomico sono quelli appartenenti al livello energetico più esterno 32 particolarmente stabile degli ioni che si ottengono per rimozione di un elet- trone. L’aumento dei valori dell’energia di ionizzazione lungo un periodo è giustificato dall’aumento costante della carica nucleare al crescere del numero atomico e dalla continua diminuzione delle dimensioni atomiche.L’aumento della forza di attrazione e la maggiore vicinanza al nucleo rendono sem- pre più difficile l’ Allontanamento dell’elettrone. Procedendo dall’alto verso il basso lungo un gruppo si osserva una progressiva diminuzione dei valori dell’energia di ionizzazione. È una conseguenza dell’aumento del numero quantico principale che corrisponde a una maggiore distanza dell’elettrone dal nucleo.All’interno delle serie di transizione non vi sono notevoli differenze tra i valori dell’energia di ionizzazione poiché gli elementi non presentano variazioni notevoli dei raggi atomici.Quindi una giustificazione dell’aumento dell’energia di ionizzazione lungo un periodo e che lungo un periodo il nu- mero di elettroni di valenza aumenta mentre si mantiene costante il numero quantico principale. Lungo un periodo la carica nucleare effettiva aumenta E L’attrazione del nucleo sugli elettroni di valenza aumenta Quindi diminuisce l’energia dell’orbitale di conseguenza l’energia ionizzazione aumenta lungo un periodo. 8.8 Affinità elettronica La tendenza ad assumere elettroni è misurata dall’affinità elettronica, è definita come l’energia che viene liberata da un atomo neutro isolato allo stato gassoso quando esso acquista un elettrone in uno degli orbitali esterni vuoto O semivuoto trasformandosi in uno ione negativo. Le affinità elettroniche possono essere espresse sia da numeri negativi che positivi, in quest’ultimo caso non misura una tendenza dell’elettrone ad 35 unirsi all’atomo ma piuttosto una difficoltà che si incontra con un elettrone quando viene acquistato da un atomo. Elevati valori negativi dell’affinità elettronica indicano quindi un’elevata tendenza dell’elemento ad assumere un elettrone. L’andamento periodico dell’affinità elettronica in valore assoluto è legato a quello dell’energia di ionizzazione infatti muovendosi lungo un periodo da sinistra verso destra i valori dell’affinità elettronica aumentano cos̀ı come accade spostandosi dal basso verso l’alto lungo un gruppo. In generale elementi che hanno lo strato più esterno occupato da pochi elettroni hanno bassi valori delle affinità elettroniche. Classificazione degli elementi: non metalli, non metalli, metalloidi. La maggior parte degli elementi del del sistema periodico è costituita da: - Metalli, cioè sostanze solide caratterizzate da buona conducibilità elettrica e termica e presentano un’elevata malleabilità (capacità di essere ridotti in lamine sottili) e duttilità (capacità di essere tirati in fili).I metalli sono carat- terizzati dalla possibilità di poter resistere in soluzione acquosa come gli ioni semplici positivi idratati. Sono elementi con bassa energia di ionizzazione bassa affinità elettronica. - Non metalli, sono pochi e occupano i gruppi a destra della tavola pe- riodica tranne l’idrogeno.Al contrario dei metalli possono essere presenti in soluzione acquosa come ioni semplici negativi idratati o positivi solo se ac- coppiati a qualche altro elemento. Sono prevalentemente allo stato gassoso a temperatura ambiente. Sono elementi alta energia di ionizzazione e alta affinità elettronica. - Semi metalli sono elementi che presentano sia proprietà metalliche che non metalliche, alcuni di essi come il germanio sono dei semiconduttori perché presentano una conduzione elettrica intermedia tra quella dei metalli (con- duttori) e quella dei non metalli (isolanti).Sono elementi con alta affinità elettronica. In natura gli elettroni si conservano se solo se il processo di ion- izzazione comporta sempre la formazione di due ioni di segno contrario.Tutti gli atomi tendono a comportarsi come sistemi meccanici se e solo se tendono a ridurre la propria energia potenziale. I metalli formano solo ioni positivi. I non metalli formano facilmente ioni negativi ma molto difficilmente i positivi. I semi metalli formano difficilmente ioni. Premettendo che la dimensione di un atomo dipende dalla distanza media degli elettroni di valenza dal nucleo, e che un atomo è costituito perlopiù da spazio vuoto, allora: - Il raggio atomico aumenta lungo un gruppo Lungo un gruppo il numero di elettroni di valenza rimane costante mentre aumenta il loro livello energetico. L’aumento di livello energetico corrisponde a un aumento della distanza me- 36 dia dal nucleo, e dato che la dimensione di un atomo dipende dalla distanza media degli elettroni di valenza dal nucleo, il raggio atomico aumenta lungo un gruppo. - Il raggio atomico diminuisce lungo un periodo Lungo un periodo il nu- mero di elettroni di valenza aumenta, mentre si mantiene costante il numero quantico principale. La carica nucleare effettiva aumenta, e quindi aumenta l’attrazione del nucleo sugli elettroni di valenza: perciò gli elettroni tendono a contrarsi sul nucleo. - L’unità di misura del raggio atomico è il picometro, pm. Tuttavia, è im- portante precisare che poiché gli atomi non hanno un confine netto, si può individuare il raggio atomico solo in maniera approssimativa. - L’elettrone più distante dall’atomo subisce l’attrazione dei protoni del nu- cleo atomico, schermata dagli elettroni sottostanti. Più un elettrone è dis- tante dal nucleo, minore è l’attrazione di quest’ultimo sull’elettrone stesso. Idrogeno È l’elemento più semplice presente in natura, formato solo da 1 protone e 1 elettrone. È il gas più leggero dell’aria, si può legare chimicamente a molti altri elementi tra cui composti organici (CH4), acqua e ammoniaca (NH4). È il costituente principale degli esseri viventi. 9 Il legame chimico Per spiegare i motivi della formazione dei legami chimici dobbiamo ricordare che in natura un processo avviene spontaneamente quando viene raggiunto un valore di energia più basso di quello di partenza.Due o più atomi si legano tra di loro quando l’aggregato che si forma ha un contenuto energetico minore di quello dell’insieme dei singoli atomi isolati.Per spezzare i legami presenti in una sostanza e portare gli atomi a distanza occorrerà spendere una deter- minata quantità di energia.Se consideriamo una generica molecola biatomica definiamo energia di legame l’energia necessaria per rompere il legame for- mando i due atomi neutri A e B. Quindi in natura gli atomi non si trovano isolati ma combinati con altri per formare specie con le atomiche l’eccezione sono i gas nobili. La spiegazione teorica: gli atomi si comportano come sis- temi meccanici se solo se tendono a minimizzare la propria energia potenziale. Le specie poliatomiche hanno energia potenziale inferiore a quella degli atomi isolati. 37 maggiore energia di ionizzazione e affinità elettronica attrae la distribuzione elettronica di legame con maggior forza; quest’ultima risulta quindi asim- metrica. L’atomo che attrae con maggior forza assume una parziale carica negativa δ− mentre l’altro atomo assume parziale carica positiva δ+. Poiché la asimmetria della distribuzione elettronica di legame dipende con- temporaneamente dai valori di E.I. e A.E. degli atomi coinvolti, è conveniente definire una nuova grandezza chimica che contempli entrambe: essa è l’elettronegatività, definita come: X = E.I.−A.E. k 9.3 Elettronegatività Si definisce elettronegatività la tendenza di un atomo in una molecola ad attrarre verso di sé gli elettroni di legame, dipende dalla configurazione elet- tronica dell’elemento considerato delle sue dimensioni atomiche.Maggiore la densità elettronica (carica negativa per unità di volume) di un atomo, più alta risulta la sua elettronegatività. È una grandezza che non può essere misurata sperimentalmente e ma può essere calcolata. L’elettronegatività manifesta un andamento periodico simile a quello che si osserva per l’energia di ionizzazione e per l’affinità elettronica.Cresce se ci si sposta da sinistra verso destra lungo un periodo e dal basso verso l’alto in un gruppo.Gli alogeni sono molto elettronegativi mentre i metalli alcalini presentano bassi valori di elettronegatività. Il fluoro è l’elemento che pre- senta il valore più elevato, gli elementi meno elettronegativi è il cesio. La conoscenza dei valori di elettronegatività permette di prevedere se un legame sarà ionico oppure covalente. Se gli atomi sono uguali la differenza di elettronegatività è zero e il legame 40 sarà covalente puro, se la differenza di elettronegatività tra due atomi è mag- giore di due si avrà la formazione di un composto ionico. Aumenta lungo un periodo sulla tavola periodica e diminuisce lungo un gruppo. Osserviamo un attimo la polarità dei legami. La formazione di un legame covalente comporta la condivisione di una coppia di elettroni da parte di due atomi. Se gli atomi sono uguali il baricentro delle cariche positive dei due nuclei coincide con il baricentro delle cariche negative e si trova tra i due atomi. Se sono diversi il baricentro delle cariche nega- tive risulterà spostato verso l’atomo che manifesta una maggiore attrazione verso gli elettroni. Le molecole nelle quali c’è una distribuzione asimmet- rica degli elettroni di legame sono chiamate molecole polari. Definito questo nell’elettronegatività un legame covalente tra atomi diversi ha sempre un parziale carattere ionico che dipende dalla differenza di elettronegatività tra gli atomi che lo costituiscono. Il legame ionico può essere considerato come un caso limite di legame covalente polare in cui lo spostamento di elettroni verso l’atomo più elettronegativo e cos̀ı marcato che si può parlare di un vero trasferimento di elettroni da un atomo all’altro. Se il legame interessa atomi di elementi con valori di elettronegatività molto diversi, ovvero metalli e non metalli, l’attrazione esercitata dal nucleo del non metallo è talmente forte che la distribuzione elettronica di legame si trasferisce completamente sull’atomo del non metallo, che diventa cos̀ı uno ione negativo, mentre il metallo diventa uno ione positivo: tra i due ioni si instaura un’interazione attrattiva, dovute alle forze coulombiane, che prende il nome di legame ionico, di energia. 9.4 Il legame ionico Il legame ionico è un tipo di legame che si realizza per trasferimento di uno o più elettroni da un atomo ad un altra conformazione di ioni di segno opposto. Tra questi ioni si stabiliscono delle forti interazioni di natura elettrostatica che portano alla formazione di aggregati solidi di struttura ordinata. La presenza di ioni nei cristalli ionici spiega perché questi composti conducono la corrente elettrica sia allo stato fuso che in soluzione acquosa. La formazione di un legame ionico avviene soltanto quando il valore dell’energia reticolare è maggiore dell’energia richiesta per formare gli ioni che costruiranno il reticolo 41 cristallino. Questa condizione si realizza quando si uniscono elementi che possiedono bassi valori di energia di ionizzazione ed elementi caratterizzati da elevata affinità elettronica. In sintesi, la differenza di elettronegatività ∆X tra gli atomi reagenti dis- crimina il tipo di legame: - se i due atomi hanno lo stesso valore di elettronegatività (∆X=0), la dis- tribuzione elettronica è simmetrica e il legame è covalente puro; - se i due atomi hanno valori di elettronegatività diversi ma confrontabili (∆X≤1.5), la distribuzione elettronica risulta asimmetrica e il legame è co- valente polare; - se i due atomi hanno valori di elettronegatività molto diversi (∆X≥2), la distribuzione elettronica è completamente trasferita sull’atomo più elet- tronegativo e il legame è ionico. Con valori di ∆X compresi tra 1,5 e 2 il legame può essere covalente polare o ionico, a seconda delle specie chimiche coinvolte. Ma perché le specie poliatomiche hanno formule chimiche ben definite? Giustificare la formula dei composti significa prevedere il numero di legami che un atomo può formare. Per gli elettroni che formano legami chimici, il loro moto è descritto da orbitali non più atomici, ma molecolari. Il modo più semplice di caratterizzare tali orbitali è pensare che essi si originino dalla sovrapposizione degli orbitali atomici degli elettroni di legame. Anche per gli orbitali molecolari vale il principio di esclusione di Pauli: nessuno di essi può descrivere più di due elettroni di spin antiparallelo. Pertanto, si potrebbe concludere che un atomo può formare tanti legami quanti sono i suoi orbitali 42 eccitato, sceglie come compagno Cl. Il Be formerà 2 legami, ciascun atomo di Cl forma 1 legame. L’atomo di Be porta in sovrapposizione con ciascun atomo di Cl due orbitali semipieni diversi tra di loro (2s e 2p). Quindi il primo orbitale molecolare si forma per la sovrapposizione tra il 2s del Be e il 2px del Cl, mentre il secondo orbitale molecolare descrive il secondo legame tra 2px del Be e 2px del Cl. Mi aspetto che gli orbitali molecolari siano diversi quindi 2 legami diversi: a livello sperimentale invece sono uguali fra di loro. Evidentemente la previsione teorica non riesce a spiegare l’evidenza sperimentale. Un modello più elaborato è quello della teoria del legame di valenza, in cui rientra l’ibridazione degli orbitali atomici: definisce le caratteristiche dell’orbitale molecolare generato dalla sovrapposizione di orbitali atomici. L’ibridazione è un’ipotesi teorica di rimescolamento degli orbitali atomici. 45 Conoscendo le caratteristiche degli orbitali molecolari posso avere maggiori informazioni sul comportamento di queste particelle quando sono coinvolte nelle trasformazioni chimiche (che non sarei invece in grado di conoscere sapendo soltanto la loro posizione nello spazio . Devo quindi formulare un’ipotesi teorica che riesca a giustificare il fatto che dalla sovrapposizione degli orbitali atomici del berillio e di quelli di ciascun atomo di fluoro si generano orbitali uguali fra di loro e orientati a 180° fra di loro. L’atomo problematico è l’atomo coordinante, il Be, poiché porta in sovrapposizione 2 orbitali atomici differenti. Ipotizzo quindi una ”preparazione” dell’atomo al legame, cioè che gli orbitali atomici di un atomo possano combinarsi tra loro (ibridazione) per generare nuovi orbitali atomici equivalenti ai precedenti, chiamati orbitali ibridi. Si ipotizza, poichè ogni orbitale viene descritto da una funzione d’onda, che le funzioni d’onda si combinino matematicamente per generare nuove funzioni d’onda, caratteristiche di nuovi orbitali sempre atomici. Vale nell’ambito di questa ipotesi teorica una sorta di principio di conservazione degli orbitali: il numero di orbitali ibridi generati è pari a quello di orbitali atomici mescolati. Per il berillio faccio un’ipotesi di ibridazione sp la scelgo in base agli orbitali di valenza: un orbitale s viene combinato con un orbitale p dello stesso liv- ello energetico. I due orbitali ibridi generati sp si somigliano, hanno la stessa energia e sono orientati a 180°. Ciascuno descrive un elettrone di valenza del berillio (per rispettare la regola di Hund). Ora per descrivere la struttura della molecola di fluoruro di boro (trian- golare planare)applico la teoria VSEPR. Si può anche verificare sperimen- talmente che questi 3 legami boro-fluoro sono uguali fra loro. Considero la struttura atomica del boro. Ipotizzando la promozione di un elettrone dal 2s al 2p, ho 3 orbitali semipieni: uno di tipo 2s e due di tipo 2p. Questi orbitali atomici sovrapponendosi agli orbitali atomici del fluoro non genereranno mai 46 3 orbitali molecolari equivalenti.Il boro porta in dote per formare il legame tre orbitali atomici: un 2s, un 2px, un 2py. Ogni atomo di fluoro invece porta in dote sempre l’orbitale 2px. Devo ipotizzare che un orbitale 2s del boro si sovrappone a un primo orbitale 2px del fluoro, poi che un orbitale 2px del boro si sovrappone all’orbitale 2px del fluoro e il 2py del boro si sovrappone sempre al 2px del fluoro. Si sovrappongono coppie di orbitali di tipo differente: non otterrò orbitali molecolari uguali con un’organizzazione triangolare planare. L’atomo problematico è il boro: porta in sovrappo- sizione orbitali atomici differenti. Ipotizzo che l’atomo coordinante, il boro, si prepari al legame, o cioè ipotizzo l’ibridazione degli orbitali atomici. Ipo- tizzo che gli orbitali atomici del boro nel livello di valenza si combinino fra di loro. Questa è l’ibridazione sp2, per indicare quali sono i tipi di orbitali da combinare e quanti sono. Questi tre orbitali sono ibridi, si somigliano come forma, hanno stessa energia, sono organizzati in modo triangolare planare. La struttura elettronica del boro nel livello di valenza presenterà 3 orbitali ib- ridi sp2 semipieni molecolari, organizzati a 120°. Ho giustificato la geometria di questa molecola seguendo tutto il percorso. Giustifico la geometria della molecola del metano. Il carbonio ha 4 distribuzioni elettroniche di legame, quindi mi aspetto la struttura del tetraedro regolare. Si può verificare sperimentalmente che ciascun legame carbonio-idrogeno è equivalente agli altri: stessa distanza di legame, stessa lunghezza di legame. Posso ipotizzare che l’orbitale molecolare si generi dalla sovrapposizione di orbitali atomici. Mi aspetto che gli orbitali non risulteranno uguali. Poiché è sempre l’atomo coordinante C quello prob- lematico, ipotizzo l’ibridazione, ipotizzando che il mescolamento coinvolga tutti e 4 gli orbitali del livello energetico di valenza, uno di tipo s e tre di tipo p. Quindi sarà ibridazione sp3. Dalla combinazione di questi 4 orbitali atomici si genereranno sempre 4 orbitali atomici, ibridi sp3: uguali come forma, energia e si può verificare che 47 da una sovrapposizione di orbitali atomici p non ibridati, che si dispongono perpendicolarmente all’asse congiungente i due nuclei. La sovrapposizione di testa è quella più efficace, quindi quando possono scegliere gli atomi fanno legami di tipo σ. Se ho solo legami semplici. Come applicare la teoria VSEPR se ho più coppie di elettroni di legame Nell’etilene C2H4 ciascun atomo di carbonio deve formare 4 legami. Ap- plichiamo la teoria VSEPR a ciascun atomo. Se l’atomo coordinante forma un doppio legame, le due coppie si contano una volta nell’applicare la teo- ria VSEPR. Le tre coppie di elettroni di legame devono essere organizzate secondo i vertici di un triangolo equilatero. Dopo la teoria VSEPR dobbi- amo verificare se bisogna fare un’ipotesi di ibridazione per ciascun atomo di carbonio: s̀ı, perché la struttura non è quella di un triangolo. In particolare ibridazione sp2. Costruiamo gli orbitali molecolari dalla sovrapposizione di orbitali atomici: sono tutti di tipo σ poiché la sovrapposizione è di testa. Si sovrappongono di testa gli orbitali sp2, mentre quelli di tipo 2p si devono sovrapporre per forza lateralmente, per motivi geometrici. Se l’atomo forma solo legami semplici, allora gli orbitali molecolari saranno tutti di tipo σ; se però si formano legami doppi come in questo caso, il primo legame può essere di tipo σ, mentre già la seconda coppia di elettroni di legame tra i due atomi non può essere di tipo σ ma deve essere descritta da orbitali di tipo π. Questo ci interessa perché: (1) gli elettroni di tipo π sono descritti da orbitali che sono più esposti; (2) l’orbitale molecolare di tipo σ non si oppone alla rotazione fra gli atomi che interagiscono secondo quel tipo di legame, ma consente la rotazione 50 degli atomi senza causare la rottura dei legami; il legame π invece si rompe ruotando gli atomi. Nella molecola di acetilene C2H2 abbiamo 2 atomi di carbonio e 2 atomi di idrogeno. Ciascun atomo di carbonio forma 4 legami, ciascun atomo di idrogeno ne forma uno solo. Giustifichiamo la geometria di questa molecola partendo sempre dalla teoria VSEPR. Se ho legami doppi o tripli, le coppie di elettroni si contano una volta. Rispettando la teoria VSEPR, conto due coppie, a 180°. Quindi ci aspettiamo una geometria lin- eare. La struttura elettronica dell’atomo di carbonio riesce a spiegare la formazione della molecola? Devo ipotizzare l’ibridazione sp. Quindi ipotizzo che nel livello di valenza un orbitale s del carbonio si combini con un or- bitale di tipo 2p generando 2 orbitali ibridi sp, quelli viola, orientati a 180°. Ciascuno di questi 2 orbitali descrive un elettrone dell’atomo di carbonio. Restano fuori gli orbitali rosa, di tipo 2p 90°, che sono due, e ciascuno di questi descrive un elettrone. Ora un orbitale di tipo sp di un atomo di car- bonio si sovrappone a un orbitale di tipo 1s dell’idrogeno e si genera il primo legame σ. Questo vale per entrambi gli atomi di carbonio. Poi un’ulteriore sovrapposizione di testa avviene tra i due orbitali sp dei due atomi di car- bonio e si genera la prima coppia di elettroni di legame sempre descritta da legami di tipo σ. Nell’avvicinare i due atomi di carbonio io ho ancora due orbitali di tipo 2p che sono a 90°. Inevitabilmente le altre due coppie di elettroni saranno descritte da legami di tipo σ. 11.1 Molecole polari e apolari La distinzione tra molecole polari e non polari si basa su un’evidenza sper- imentale. Le molecole polari, sottoposte all’azione di un campo elettrico, si orientano nel verso dello stesso. Ciò non accade per le molecole apolari. 51 Quindi le molecole polari presentano il comportamento di un dipolo elettrico, le apolari no. Si definisce dipolo elettrico un sistema di due cariche uguali e opposte a distanza definita e costante. Le molecole polari biatomiche presentano un atomo che ha assunto parziale carica negativa e un atomo con parziale carica positiva. Inoltre la distanza di legame è definita e costante. Risulta chiaro pertanto che una molecola polare biatomica è un dipolo elettrico: il legame covalente polare determina tutte le caratteristiche del dipolo. Esso è quindi condizione necessaria e sufficiente affinché la molecola sia polare. Per quanto riguarda le molecole con più di due atomi, la presenza di legami covalenti polari non è più condizione suffi- ciente per determinare la polarità della molecola.Introduciamo la grandezza vettoriale ”momento del dipolo elettrico”: tale vettore ha - modulo ν = q Ö d (con q il valore delle due cariche e d la distanza a cui si trovato); - direzione parallela all’asse congiungente +q e -q; - verso da +q a -q. Tale vettore è applicabile anche alle molecole polari; esso avrà uguale direzione parallela alla congiungente dei due nuclei, direzione dal dipolo positivo a quello negativo e modulo dato dal prodotto da carica del dipolo e distanza di legame (ν = carica Ö l). Condizione sufficiente affinchè una molecola di tre o più atomi sia polare è che la risultante dei momenti di dipolo elettrico sia diversa da zero. Consideriamo l’acido cloridrico: è costituito da molecole fatte da 1 atomo di idrogeno e 1 atomo di cloro. Se la pongo all’interno di un condensatore, noto che le molecole si orientano, si organizzano in modo tale che l’atomo di cloro guardi sempre la piastra positiva del condensatore, mentre l’atomo di idrogeno la piastra negativa. Tutte le molecole che si comportano come l’acido cloridrico sono molecole polari. Per spiegare il comportamento di questa molecola introduco il dipolo elet- trico, un sistema fisico costituito da 2 cariche uguali in modulo ma di segno opposto, separate da una distanza fissa. A questo sistema si può associare la grandezza vettoriale del momento del dipolo elettrico. Il vettore momento di dipolo µ ha come direzione quella che congiunge le due cariche (quella 52 influenza le caratteristiche chimiche della soluzione che non sono determinate dalla quantità assoluta del solvente, ma dalla quantità relativa del soluto rispetto all’altro componente. Le proprietà proprietà fisiche di una soluzione dipendono non solo da quelle dei singoli costituenti ma anche da loro rapporto quantitativo. Il rapporto quantitativo (concentrazione di una soluzione ) può essere espresso secondo diverse modalità. Si esprime in vari modi: Posso uti- lizzare la percentuale ponderale del componente. In questo caso non ho unità di misura perché sono grandezze omogenee. La percentuale percentuale peso: rapporto tra peso in grammi di soluto e 100 g di soluzione.Percentuale di vol- ume: rapporto tra volume di soluto in millilitri e 100 ml di soluzione. da fare attenzione però perché la massa è additiva, il volume no, poiché nella solubilizzazione ci può essere variazione di volume. Molarità: numero di moli di soluto disciolto in 1 l di soluzione, solita- mente indicata con M anche nota come concentrazione molare.Attenzione attenzione il volume della soluzione dipende dalla temperatura, M cambia con T. Molalità: numero di moli di soluto disciolto in un unità di massa di soluzione. Frazione molare: è definita come rapporto tra le moli della sostanza i ed il numero totale delle moli dei componenti della soluzione.Essa assume valori da zero a 1 per una soluzione contenente più sostanze, è data da La relazione: numero di moli = massa Massamolare si ha solo se il sistema è omogeneo a livello microscopico, cioè se è fatto dallo stesso tipo di particelle. 13 Le reazioni di ossido-riduzione Tutte le reazioni di ossido-riduzione comportano necessariamente un trasfer- imento di elettroni. Si identificano all’interno di una reazione, una specie chimica che li perde e una che li acquista. In natura infatti oltre alla massa si conserva anche la carica elettrica. All’interno della trasformazione si distinguono: - L’elemento ossidante, ossia l’elemento che cede elettroni - L’elemento riducente, ossia l’elemento che acquista elettroni L’agente ossidante acquista elettroni, l’agente riducente cede elettroni e si ossida. Il numero di ossidazione è una carica (reale o fittizia) che si può attribuire a un atomo di ogni specie poliatomica assegnando gli elettroni di legame all’atomo dell’elemento più elettronegativo. Questa assegnazione può anche non essere reale. 55 Esempio 1 Consideriamo il cloruro di sodio, in cui il trasferimento di elet- troni è reale: il sodio ha perso un elettrone assumendo carica +1, il cloro diventa ione negativo, e il numero di ossidazione sarà quindi -1. In questo caso il numero di ossidazione è una carica reale. Esempio 2 Consideriamo il composto molecolare dell’acido cloridrico: il legame è covalente polare, quindi la distribuzione elettronica non è perfetta- mente bilanciata ma spostata sull’atomo di cloro. Per attribuire il numero di ossidazione a ciascun atomo trasferisco l’elettrone al cloro. Esempio 3 Stesso ragionamento per l’acqua. Devo attribuire il n di ossi- dazione a tutti gli atomi di questa molecola. Le distribuzioni elettroniche sono spostate sull’atomo di ossigeno. Ciascun atomo di idrogeno è come se perdesse un elettrone ed ”assume” carica +1, che sarà il suo n di ossi- dazione. L’ossigeno riceve 2 distribuzioni elettroniche di legame, quindi in teoria guadagna 2 elettroni, la carica sarebbe -2, il n di ossidazione. Il numero di ossidazione di ogni atomo in un elemento è sempre pari a 0. Per uno ione monoatomico il numero di ossidazione coincide sempre con la carica dello ione, ed è una carica reale. Solitamente il numero di ossidazione dell’idrogeno è pari a +1, ma fanno eccezione gli idruri del 1° e 2° gruppo della tavola periodica. Il modello più utile per descrivere l’interazione tra metallo e non metallo è quello ionico, quindi il metallo forma lo ione positivo e il non metallo lo ione negativo: in questo caso l’idrogeno è lo ione negativo. Le eccezioni per l’ossigeno sono: (1) i perossidi e (2) il floruro di ossigeno. Nel fluoruro di ossigeno il fluoro è l’atomo più eletttronegativo, quindi le coppie di elettroni di legame sono trasferite dall’ossigeno al fluoro. In teoria l’atomo di ossigeno perde 2 elettroni. Sulla tavola periodica non ci sono tutti i numeri di ossidazione. Bilanciamento: metodo della variazione del numero di ossidazione. Il numero di ossidazione consente di visualizzare il trasferimento degli elet- troni. Infatti l’acquisto di elettroni da parte di un atomo comporta la dimin- uzione del numero di ossidazione di tante unità quanti sono gli elettroni acquisiti. Per il bilanciamento, inizio assegnando agli atomi di ciascun elemento pre- sente nelle varie specie chimiche il numero di ossidazione. Sicuramente si ossida il carbonio, cioè chi incrementa il numero di ossidazione da sinistra verso destra: tra i reagenti ha n di ossidazione 0, tra i prodotti ha n di os- sidazione 4. Il carbonio dunque perde elettroni. Il manganese si riduce da +7 a +4. Il verso della freccia indica il flusso di elettroni. 4 elettroni sono in 56 uscita dall’atomo di carbonio. Poi impongo la conservazione del numero di elettroni, condizione microscop- ica per bilanciare la carica elettrica: il n di elettroni ceduti è uguale al n di elettroni acquistati. Associamo quindi opportunamente i coefficienti stechio- metrici per bilanciare la reazione. Nelle trasformazioni chimiche si presup- pone che si rompano dei legami e se ne formino altri: gli atomi devono però essere prossimi, quindi mescolando due sostanze solide (polveri) non accade nulla. Le reazioni in basesolida sono quindi lente. La prossimità si garan- tisce in fase gas o liquida. La soluzione è un sistema omogeneo ottenuto dal mescolamento di 2 o più sostanze. Il cloruro di potassio è un composto ionico, formato da ioni di potassio e ioni di cloruro. Quando porto questa sostanza in soluzione (acqua), gli ioni K+ e Cl- si disperdono nell’acqua. Le specie effettivamente presenti nella soluzione sono K+ e Cl-, poiché queste sono le particelle disperse in soluzione. Tutti i composti ionici si dissociano in acqua. La notazione simbolica prende quindi il nome di reazione in forma ionica. Alcuni ioni sono ”spettatori”: sono uguali dalla parte di reagenti e prodotti. Bilanciamo la reazione in forma ionica: assegno i n di ossidazione. Il cloro aumenta il suo n di ossidazione, quindi si ossida. Il cloro perde elettroni. L’ossigeno si riduce. Dopo il bilanciamento degli elettroni devo applicare il bilanciamento della carica elettrica. Lo ione H+ definisce l’ambiente di reazione, cioè questa reazione avviene solo in ambiente acido. Il sistema di reazione è l’ambiente in cui avviene la reazione chimica. Se la trasformazione avviene in soluzione, tutti i composti ionici devono essere rappresentati con gli ioni costituenti, e gli ioni spettatori si eliminano, si scrivono solo quelli che partecipano alla reazione. La reazione avviene in am- biente basico se avviene in presenza di ioni OH-. Avviene invece in ambiente acido se in presenza di ioni H+. Questa è la specie da sfruttare ai fini del bilanciamento delle cariche. Il dicromato di potassio è un composto ionico sicuramente, perché nella for- mula compare il potassio (primo gruppo), un metallo, che è lo ione positivo. Innanzitutto verifico che la reazione sia di ossido riduzione, e per farlo as- segno i numeri di ossidazione a tutti gli atomi. Ogni atomo di cromo si riduce acquistando 3 elettroni, il carbonio ne cede due. Il rapporto cromo-carbonio deve essere 2 a 3, affinché gli elettroni si conservino. Dopo aver bilanciato gli elettroni, devo bilanciare le cariche elettriche se necessario: devo veri- ficare la somma delle cariche a sinistra e quella a destra. A sinistra ho 2 cariche negative, mentre a destra 6 positive. Procedo sfruttando l’ambiente di reazione: aggiungo la specie OH- a sinistra p a destra, dove servono le cariche negative per imporre la conservazione delle cariche elettriche. Ag- giungo quindi a destra 8OH-, l’ambiente di reazione. In questo modo ho da 57 Ciò vuol dire che il nucleo di H crea un intenso campo elettrico nel suo intorno atomico, campo elettrico di cui risentono gli elettroni di valenza di non legame di un altro atomo di F vicino, elettroni di non valenza ai quali è associata una distribuzione di carica elevata e negativa. Il ponte a idrogeno è conseguenza di tale interazione elettrostatica tra un nucleo di H e gli elet- troni di valenza di non legame di un atomo di F vicino. Il legame a idrogeno deve il proprio nome al fatto che esso si instaura solo in presenza di atomo di idrogeno: l’atomo di idrogeno è l’unico che, privato dell’elettrone di legame, assume una densità di carica elevatissima (il nucleo di H è il più piccolo in assoluto) e positiva (non ci sono altri elettroni nell’atomo). Perché si possa instaurare il legame a ponte idrogeno tra due molecole, le molecole devono anche essere oltre che prossime ben orientate nello spazio. Per esempio nell’acido cloridrico devono avere una struttura esagonale. L’idrogeno si deve affacciare sulla coppia di elettroni di non legame dell’atomo (in questo caso di fluoro) di un’altra molecola. Quindi è un legame direzionale. Ciò ha conseguenze sulle proprietà fisiche della molecola. In particolare temper- atura di ebollizione. Composti che H forma con 4°, 5°, 6° e 7° gruppo. Composti di idrogeno con carbonio, silicio, germanio e stagno (4° gruppo): passando dal carbonio allo stagno vado verso il basso, quindi cresce il n 60 atomico e dunque la massa atomica. Maggiore è l’intensità delle interazioni intermolecolari perché più cresce la massa atomica maggiore sarà la tem- peratura di ebollizione. Le molecole di metano interagiscono con le forze di Van der Waals (molecole non polari), cos̀ı come tutti gli altri composti degli elementi del 4° gruppo con l’idrogeno. Queste molecole hanno massa moleco- lare progressivamente crescente. Aumenta quindi l’intensità delle interazioni intermolecolari per effetto dell’aumento della massa molecolare. Consideriamo i composti che l’idrogeno forma con gli elementi del sesto gruppo della tavola periodica. Muovendomi lungo il gruppo, la temperatura di ebollizione cresce progressivamente, allora l’energia da mettere in gioco per vincere le interazioni sarà maggiore. Ovviamente passando in fase gas, il legame con l’idrogeno rimane inalterato, cambiano le interazioni intermoleco- lari. La temperatura di ebollizione di H2S è più in alto rispetto a quella di SiH4 perché le interazioni intermolecolari sono più forti (dipolo-dipolo contro Van der Waals). La molecola d’acqua: H2O Nella molecola di H2O ci sono atomi di idrogeno legati covalentemente ad atomi di ossigeno molto elettronegativi, i quali presentano due coppie elettroniche di valenza di non legame: tra molecole di H2O si hanno legami a idrogeno. L’atomo di ossigeno forma due legami a idrogeno, mentre ogni atomo di idrogeno ne forma uno: il risultato sono quattro ponti a idrogeno per ogni molecola di H2O. Ogni molecola di acqua si legame attraverso ponte a idrogeno con altre quattro molecole, secondo una disposizione tetraedrica regolare responsabile della struttura esagonale del ghiaccio. Macroscopica- mente lo stato liquido è fluido, quindi a livello microscopico le molecole pos- sono muoversi, invece nello stato solido le molecole sono vincolate. Il legame a ponte idrogeno è direzionale, quindi le molecole d’acqua hanno una ben definita organizzazione strutturale tetraedrica. Assemblando i tetraedri si formano delle maglie esagonali. Quindi nel passaggio da solido a liquido si rompono alcuni legami a ponte idrogeno, ma per farlo crolla la struttura e si riduce il volume. Tale struttura presenta dei veri e propri ”buchi”: ecco perché nel passaggio dalla fase liquida alla fase solida, il volume dell’acqua au- 61 menta e la densità diminuisce (come ben noto il ghiaccio galleggia sull’acqua). 15 Gli stati di aggregazione della materia 15.1 I gas ideali Tutti i gas possono essere compressi facilmente, cioè confinati in un volume più piccolo. Il comportamento dei gas è quello più facile da studiare perché è più facile ricavare la legge. Le proprietà fisiche di un gas dipendono da pressione, volume V, temperatura T e dal numero di particelle n. Bastano 3 grandezze di queste 4 per identificare un gas. Il volume si può esprimere con una relazione matematica che dipende da n, P, T. Lo studio dei gas è un eccellente esempio di applicazione del metodo scien- tifico. Illustra come delle osservazioni possono portare a dedurre delle leggi naturali che a loro volta possono essere spiegati con dei modelli. La pressione P: rapporto tra il modulo della forza e l’area della superficie sulla quale in- siste. La pressione esercitata da solidi e liquidi è unidirezionale, al contrario di quella esercitata dai gas. La pressione esercitata dai gas non è unidirezionale infatti quando si pro- getta un recipiente contenente un gas lo spessore delle pareti è lo stesso.gli strumenti misuratori di pressione possono essere collocati in qualunque po- sizione. Quando un recipiente contenente un gas si rompe per eccesso di pressione l’effetto riguarda tutte le pareti del recipiente. Come è spiegabile questo comportamento dei gas rispetto ai liquidi ai solidi? Utilizziamo il barometro di Torricelli. È uno strumento di misura della pressione atmosferica: la pressione atmosferica viene bilanciata dalla pressione idrostatica esercitata da una colonnina di mercurio di altezza 760 mm. La temperatura è una grandezza fisica misurabile sfruttando una proprietà sensibile alle sue variazioni. 62 Il volume di un gas, a temperature e pressioni costante è direttamente pro- porzionale al numero di moli del gas se e solo se uguali volumi di gas alla stessa temperatura e pressione, contengono un eguale numero di molecole. Il volume molare è lo stesso. 15.2 L’equazione di stato: da cosa è determinata? Come mai tutti i gas rispettano questa relazione dei gas ideali? Bisogna iden- tificarne le cause a livello microscopico. Queste ipotesi fatte vanno a costituire il modello del gas ideale. Nei gas le particelle possono avvicinarsi e allonta- narsi facilmente poichè si ipotizza che le forze di interazione interparticellari siano molto deboli essendo di natura elettrica e quindi per l’elevata distanza, al limite si possono assumere trascurabili. I gas hanno basse densità. Il nu- mero di particelle per unità di volume estremamente ridotto rispetto alle fasi condensate, la distanza tra le particelle elementari lunghe un gas è maggiore rispetto alla dimensione fisica delle stesse. Interpretazione microscopica della pressione Tutti i gas si diffondono rapidamente gli uni negli altri. Il movimento delle particelle microscopiche è molto rapido ma non viene percepito. L’effetto del movimento della particella in fase gas ha effetto macroscopico soltanto quando il movimento avviene in una specifica direzione. Le particelle nel loro movimento urtano qualunque oggetto materiale che incontrano nel loro percorso. Non si manifesta nessun effetto macroscopico sul corpo se i versi e le direzioni sono diverse. Se quest’ultime sono orientate io riesco a percepire le condizioni dello stato gassoso. Il movimento caotico delle particelle è la causa della pressione del gas. Tutte le particelle che si scontrano contro le pareti del contenitore esercitano una forza su di esse. La somma di tutte queste sollecitazioni che impattano sulla parete divisa per l’area della parete è la pressione del gas. Quindi in questo caso la pressione non è unidirezionale. Quindi la forza totale trasmessa alla parete, rapportata all’area della stessa è la pressione del gas. La pressione è direttamente proporzionale al numero di moli. Se lavoriamo a volume e temperatura costanti, tutte le proporzioni che valgono tra le moli valgono anche tra le pressioni parziali. Questo va sottolineato perché in questo caso i rapporti espressi tra i coefficienti stechio- metrici equivalgono ai rapporti tra le pressioni parziali. Quindi le proporzioni stechiometriche si possono applicare direttamente alle pressioni parziali. Se la specie che partecipa alla reazione non è un gas ma è un solido o un liquido, non si può definire la pressione parziale. Volume parziale e pressione parziale 65 non compariranno mai nella stessa equazione di stato. Quindi per calcolare il volume parziale è necessario che nell’equazione di stato compaia la pressione totale. A parità di pressione e temperatura, la frazione volumetrica di un componente di una miscela gassosa coincide con la sua frazione molare. 16 La risonanza (o mesomeria) La risonanza è un’ipotesi introdotta per descrivere una caratteristica di legame della specie poliatomica che non viene descritta in maniera efficace dalla for- mula di struttura di Lewis. In questa notazione, la coppia di elettroni di legame (quelli che causano il vincolo) appartiene ai 2 atomi o ai nuclei dei 2 atomi. Il limite della notazione di Lewis emerge nella descrizione dell’anione carbonato (CO3) 2−. La risonanza è un’ipotesi introdotta per descrivere una caratteristica di legame della specie poliatomica che non viene descritta in maniera efficace dalla formula di struttura di Lewis. In questa notazione, la coppia di elettroni di legame (quelli che causano il vincolo) appartiene ai 2 atomi o ai nuclei dei 2 atomi. Il limite della notazione di Lewis emerge nella descrizione dell’anione carbonato (CO3) 2−. Ipotizzando di ruotare la coppia di elettroni del doppio legame σ cambiano solo la posizione del doppio legame e la posizione delle cariche. Nessuna di queste riesce però a rappresentare in modo efficace la condizione di legame, perché in tutte e 3 una coppia C-O è caratterizzata da un doppio legame, ma la verifica sperimentale evidenza che i 3 legami C-O sono tra di loro equiv- alenti e sono in particolare una via di mezzo tra legame semplice e legame doppio. Si ipotizza allora che tutti e 3 i legami C-O abbiano un parziale carattere di doppio legame.Se gli elettroni di legame appartengono a più atomi, il legame si chiama delocalizzato. La notazione di Lewis non riesce a descrivere la presenza di elettroni delocalizzati. Le tre rappresentazioni simboliche rappresentano una condizione estrema (limite) che prevede la localizzazione della coppia di elettroni σ solo su 2 degli atomi coinvolti, ma non rappresentano la situazione reale. La situazione reale 66 è un ibrido di risonanza tra le tre strutture limite. La coppia di elettroni σ non è localizzata bens̀ı delocalizzata su tutta la specie poliatomica. Le strut- ture limite dello ione nitrato: (NO3) − N ha n.atomico 7 e dunque 5 elettroni di valenza. Ogni atomo di ossigeno ha 6 elettroni di valenza, 18 in totale. Sommando anche l’elettrone in più, ho 24 elettroni in totale. Al massimo nel livello di valenza posso avere 4 x 8 = 32 elettroni. 32 - 24 = 8 elettroni di legame, cioè 4 coppie. Nella notazione di Lewis le aste sono 4: collego prima N a O con 3 legami semplici, e introduco un 4° legame. Rappresento gli altri elettroni come coppie di elettroni di non legame. Ruotando la coppia di elettroni di legame σ, ottengo le 3 strutture limite. Lo ione nitrato è un ibrido di risonanza tra le 3 strutture limite. Se gli elettroni σ sono delocalizzati, ciò significa che la sovrapposizione laterale avviene tra gli orbitali atomici degli atomi che fanno parte della specie poliatomica, e questo avviene se e solo se gli atomi sono sullo stesso piano. Se per una specie poliatomica posso scrivere più strutture di Lewis in cui cambia la po- sizione del legame σ, assumo che si tratti di una specie che ha elettroni σ delocalizzati. Perché gli atomi devono giacere sullo stesso piano? Analizziamo la struttura del benzene: Ogni atomo di carbonio deve formare 4 legami; ogni atomo di idrogeno ne forma 1. Nel benzene (C6H6) ogni atomo di carbonio è legato ad altri 2 atomi di carbonio e ad 1 atomo di idrogeno. È necessario introdurre una coppia di elettroni di doppio legame. Cambiando la posizione degli elettroni σ genero un’altra notazione di Lewis. A livello sperimentale tutti i legami C-C sono uguali fra loro, e sono una via di mezzo tra il legame doppio e quello semplice. La molecola è un ibrido di risonanza tra le 2 strutture limite 67 temperatura, chi si discosta maggiormente dall’idealità? In questo caso la CO2. Le cause sono interazioni non più trascurabili e/o particelle non più puntiformi. Ne basta 1 non più verificata per poterlo definire come non ide- ale. Sicuramente per la CO2 le interazioni non sono più trascurabili. Tutte queste 4 sono molecole non polari, e il modello di interazione che descrive l’attrazione tra molecole non polari sono le forze di Wan Der Waals. La CO2 è la molecola non polare di massa molecolare maggiore, e quindi ha intensità delle forze di Wan Der Waals maggiore delle altre, e per questo si discosta maggiormente dall’idealità. Dal valore numerico del fattore di comprensibilità posso stabilire qual è la causa dello scostamento dall’idealità (un gas si discosta dall’idealità se al- meno una delle due ipotesi del modello costitutivo del gas ideale non è più valida). Se il fattore di compressibilità è maggiore di 1, allora la pressione misurata del gas reale è maggiore rispetto a quella prevista dal comportamento ideale, a causa dell’ingombro fisico delle particelle. Se invece Z è minore di 1, la pressione misurata è minore rispetto a quella prevista dal comportamento ideale, e questo si verifica se le interazioni non sono più trascurabili. In questo diagramma è rappresentato l’azoto a diversa temperatura. Se la temperatura sale, il comportamento del gas si avvicina a quello ideale: questo perchè sicuramente l’energia cinetica è tale da poter trascurare le interazioni. Tutte le curve, andando verso bassa pressione, vanno verso Z = 1, poiché si- curamente il gas approssima il comportamento ideale. A basse temperature e basse pressioni, con z<1, la causa dallo scostamento dall’idealità sono le interazioni non trascurabili. 17 Teoria cinetica dei gas Boltzmann e Maxwell spiegano le proprietà fisiche dei gas a partire dal moto molecolare. La teoria cinetica dei gas fu sviluppata da Maxwell e da Boltz- mann, nel 1859 Maxwell deriva la funzione di distribuzione delle velocità molecolari in equilibrio termico.Per la prima volta un concetto termodinam- ico macroscopico, quale la temperatura, viene collegato quantitativamente alla dinamica microscopica delle molecole. La teoria cinetica dei gas poggia su alcune assunzioni di fondo: - le particelle sono considerate puntiformi, pertanto il volume da esse oc- cupato rispetto al volume complessivo occupato dal gas è trascurabile; - le particelle si muovono velocemente in linea retta; - le particelle non risentono di interazioni reciproche; 70 - le particelle sono in costante moto casuale e urtano elasticamente le pareti del recipiente o le altre particelle; Dimostrazione della Legge di Boyle Le particelle di un sistema gassoso sono in movimento caotico se solo se non si muovono tutte con la stessa velocità e non hanno una direzione preferenziale di movimento. Consideri- amo N come il numero di particelle di gas in movimento caotico con propria velocità e quindi hanno un’energia cinetica Ec1= 1 2 mvi 2. Ora considero un sistema N con lo stesso numero di particelle con la stessa velocità indicata con V media. Avrò una condizione di equivalenza Ec1=Ec2. Al sistema reale sostituisco con un sistema semplificato sostituisco nell’equazione di equiv- alenza e posso ricavare la velocità media semplificando 1 2 m da entrambi i lati. Non essendoci una direzione preferenziale di movimento avrò che la ve- locità quadratica media in tre dimensioni x, y e z potrà essere espressa me- diante: Nella teoria cinetica dei gas vogliamo calcolare anche la pressione: 71 Calcoliamo l’efficacia dell’urto. Nell’urto elastico l’energia cinetica totale è uguale a quella prima e dopo l’urto perché si conserva quindi l’energia cinetica totale iniziale è uguale a quella finale, l’energia cinetica iniziale delle particelle è uguale a quella finale delle particelle. Semplificando troveremo che la velocità iniziale è pari alla velocità finale. Il modulo vettore velocità è uguale non cambia, cambia la direzione e il verso dopo l’urto. La componente lungo y rimane uguale lo stesso per la componente z. Cambia solo la x. Il fatto che l’urto sia elastico comporta che l’unica a variare sarà la componente lungo x della velocità. Allora cambierà solo la componente lungo x della quantità di moto. Durante un urto si conserva anche la quantità di moto complessiva dei sistemi che si scontrano. Cioè, la variazione della quantità di moto totale è 0. 72 Vcollisione=AÖVmedio ∆t Trovati N numero di particelle contenute nel volumetto, quali sono quelle di disegno opposto che non toccano la parete? Ipotizziamo che il modo sia caotico e saranno la metà. Eseguendo questi passaggi posso ricavare la formula dell’energia cinetica, in questa formula posso notare che ho la temperatura che è una grandezza macro e l’energia cinetica delle particelle che è una grandezza micro quindi anche in questo caso ho una relazione che lega entrambe le grandezze.La temperatura è una misura diretta dell’energia cinetica associata al movimento caotico delle particelle. 75 Velocità quadratica media equazione di Maxwell La velocità aumenta con l’aumentare della temperatura e diminuisce con il diminuire della massa molare. Energia cinetica media Consideriamo una miscela di due gas, l’energia cinetica media delle molecole 76 dei due gas è la stessa. Dato che l’energia è la stessa nella formula la eguaglio perché non dipende dal tipo di particelle ma dalla temperatura. Posso ri- cavare questo rapporto che mi dice i quadrati delle velocità molecolari sono inversamente proporzionali alle masse molecolari. Immagino di avere un contenitore contenente due gas con un foro da dove fuoriescono le particelle, il foro è molto piccolo quasi inesistente.I due gas sono diversi però hanno energia cinetica uguale, la velocità media è diversa perché le masse sono diverse e quindi avranno velocità diffusione diversa. La velocità di effusione è proporzionale alla velocità media e dipende dalla temperatura e dalla velocità media delle particelle. Ve=KVmedio Legge di Graham C’è una relazione tra le velocità di effusione di due gas differenti: è inversamente proporzionale alla radice del rapporto delle due masse molari, 77 temperatura e verso sinistra all’aumentare della massa, a conferma della relazione v =3RT M 1 2 80 È Das i m OSSERVAZIONE: anche se le particelle elementari in un gas sono in moto caotico, gli urti tra di esse garantiscono la costanza del numero di particelle aventi velocità in un intervallo generico prefissato. Se così non fosse non avrebbe senso derivare una distribuzione di velocità molecolari, in quanto, essa si modificherebbe nel tempo anche se il sistema non è sottoposto ad alcuna trasformazione È rirbzione dele Velo oe Aumentando la temperatura, il massimo si sposta verso destra x N/Ng 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1890 Molecular speed (m/s) 81 Considero un sistema gassoso a temperatura costante T1 e considero un certo istante di tempo t1, e ho una determinata distribuzione di velocità. All’istante t1 se la temperatura resta T1 la distribuzione di velocità rimane invariata? Le particelle sono in continuo movimento e a causa degli urti reciproci cambia la velocità di ogni particella. Il sistema quindi a livello microscopico è in continua evoluzione. La funzione distribuzione di velocità si mantiene costante, cioè la frazione di particelle che ha velocità in un certo intervallo non si modifica. Se considero due sottoinsiemi A e B, con NA e NB il numero rispettivo di particelle e con vA e vB le rispettive funzioni di distribuzione, anche se la velocità di ogni singola particella cambia, l’elevato numero di urti fa s̀ı che il numero di particelle di ogni insieme sia costante, quindi è costante anche la funzione di distribuzione. A più alte temperature la funzione di distribuzione si sposta verso destra, la curva si allarga ed è anche più uniforme ed il massimo si abbassa. A più alte temperature aumenta l’agitazione delle particelle e dunque anche la frequenza degli urti, e aumenta la velocità quadratica media, che dipende dal tipo di gas e dalla temperatura (Maxwell). 82 isotropi o anisotropi. Un sistema si dice isotropo se la sua risposta ad una sollecitazione esterna dipende esclusivamente dall’intensità della sollecitazione e non dalla sua di- rezione. Nel caso in cui la risposta del sistema dipende anche dalla direzione della sollecitazione esterna, esso si definisce anisotropo. Come si giustificano questi due diversi comportamenti dal punto di vista microscopico? Consideriamo un solido ionico: gli ioni si dispongono sec- ondo una struttura ordinata nello spazio, ovvero sono organizzati secondo un cosiddetto ”ordine a lungo a raggio”, rispettato in tutto il solido, ovvero per porzioni di spazio molto superiori rispetto le dimensioni delle singole particelle. Un sistema si definisce anisotropo se la risposta una sollecitazione esterna dipende anche dalla direzione della sollecitazione esterna. I fattori che influenzano la dimensione e la forma del cristallo sono: la natura chimica e le condizioni in cui si forma. Interpretazione microscopica dell’isotropia 85 Facciamo riferimento a un solido fatto da entità costitutive disordinate. L’applicazione della forza deforma il corpo, ma questa deformazione non dipende dalla direzione della forza applicata. Sembrerebbe quindi che l’anisotropia derivi dalla presenza di un ordine microscopico nell’organizzazione delle par- ticelle. Se sottoponiamo ad una sollecitazione meccanica in un solido in cui la struttura microscopica non presenta un ordine a lungo raggio, ma porzioni di materia ordinata, di dimensioni confrontabili con le dimensioni delle entità microscopiche, in un generale contesto di disordine (un ”ordine a corto raggio”), la risposta alle sollecitazioni è isotropa: infatti la variazione della struttura microscopica in seguito alla sollecitazione interessa un’esigua porzione di materia, non condiziona l’intera struttura microscopica, indipen- dentemente dalla direzione della sollecitazione. Pertanto una struttura micro- scopica caratterizzata da un ordine a lungo raggio implica un comportamento anisotropo del campione di materia; una struttura microscopica caratteriz- zata da un ordine a corto raggio implica un comportamento isotropo del campione di materia. Interpretazione microscopica dell’anisotropia Supponiamo che il nostro sistema materiale sia un solido caratterizzato dalla disposizione regolare di ioni. Gli ioni si dispongono secondo una struttura ordinata nello spazio ovvero sono organizzati secondo un cosiddetto ordine 86 a lungo a raggio , rispettato in tutto il solido, ovvero per porzione di spazio molto superiori rispetto le dimensioni delle singole particelle. Immaginiamo di applicare una forza di taglio orizzontale che tende a far slittare un piano rispetto ad un altro altro: in seguito allo spostamento insorgono delle forze repulsive tra cariche di stesso segno. L’energia potenziale aumenta e il sis- tema per tornare alla condizione di energia minima si rompe perdendo lo strato slittato quindi la forza di taglio deve innanzitutto vincere la resistenza del corpo che cerca di conservare la propria condizione di equilibrio iniziale. Se invece applichiamo una forza di taglio obliqua la condizione in cui il solido si viene a trovare non è la stessa del caso precedente: qui non sono insorte forze repulsive. Il solido pertanto si deforma senza rompersi. 18.1 I solidi cristallini È possibile schematizzare un’organizzazione ordinata e regolare, entità cos- titutive attraverso una disposizione ordinata di punti punti che identificano le corrispondenti posizioni (siti reticolari) tale schematizzazione è detta reti- colo cristallino.Inserendo le particelle elementari nei siti reticolari si ottiene il cristallo la cui dimensione dipende dal volume fisico occupato dal reticolo cristallino. Tutti i solidi schematizzabili attraverso un reticolo cristallino sono detti cristallini, nell’ambito dei solidi cristallini distinguiamo i solidi monocristallini ovvero solidi in cui la dimensione del cristallo coincide con la dimensione fisica del solido e solidi poli cristallini ovvero solidi in cui la dimensione del cristallo è inferiore alla dimensione del solido. All’interno del reticolo cristallino, definiamo ”punto reticolare” la po- sizione che occupa ogni particella; ”cella elementare”, l’unità strutturale minima che ripetuta nelle tre dimensioni in maniera continua riproduce l’intero reticolo; si definisce ”energia reticolare” l’energia necessaria ad azzer- are l’energia potenziale del reticolo, vincendo completamente le forze at- trattive (energia necessaria a ”gassificare” il reticolo); definiamo ”numero di 87 gio, risentendo di volta in volta dell’interazione con i nuclei in quel momento vicini.Pertanto, sono detti ”solidi metallici” quelli il cui reticolo cristallino è occupato da atomi metallici: essi interagiscono attraverso legame metal- lico, interazione di I ordine. I solidi metallici sono gli unici conduttori di corrente elettrica: nel caso di cristalli ionici e molecolari, gli elettroni o gli ioni (i portatori di carica) non sono liberi di compiere spostamenti a lungo raggio, e quindi di creare una corrente di conduzione. Nei metalli gli elet- troni hanno tale libertà di movimento, e possono spostarsi secondo un moto ordinato se sottoposti ad una differenza di potenziale (in caso contrario, sono soggetti al solo moto di agitazione termica, caotico e multi direzionale). I metalli sono duttili e malleabili, perché il reticolo cristallino si lascia de- formare senza andare in contro a rottura: questo è conseguenza del fatto che il legame metallico non è direzionale e non risente dello spostamento re- ciproco degli atomi. La fragilità di un solido è quindi dovuta alla presenza di legami direzionali, caratterizzati da precisi angoli di legame, i quali, se mod- ificati, portano alla rottura del campione (il ghiaccio va incontro a rottura perché il ponte a idrogeno è un legame direzionale). Appartengono ad una quarta tipologia i ”solidi covalenti” o ”reticolari”: i siti reticolari del reticolo cristallino sono occupati non da molecole né da ioni, ma da atomi (non metal- lici); essi interagiscono attraverso legami covalenti, interazioni di I ordine, e si dispongono reticolarmente. Prendiamo in considerazione il carbonio: esso, cristallizzando, può formare diamante o grafite (dalle proprietà Struttura del diamante Nel diamante l’organizzazione è di tipo reticolare; ogni atomo di C si lega ad altri quattro atomi di carbonio, posti ai vertici di un tetraedro regolare (angoli di 109,5°, il carbonio è ibridato sp3) formando legami σ. Il diamante è duro poiché è difficile superare ilegami covalenti. La struttura tetraedrica regolare è quella che minimizza l’energia potenziale del sistema. Se riesco a vincere i vincoli, il solido si distrugge. Il diamante è isolante: non es- istono cariche elettriche che possono compiere spostamenti a lungo raggio; il diamante è duro; gli intensi legami covalenti tra atomi di carbonio portano ad un’elevata resistenza della struttura a sollecitazioni esterne, che devono essere molto intense per provocare una deformazione; il diamante è fragile: i legami covalenti sono direzionali, quindi una leggera deformazione del reti- colo porta alla rottura dell’intero cristallo (il solido covalente rappresenta un raro caso in cui interazioni di I ordine come i legami covalenti sono respons- abili delle proprietà fisiche del campione; questo perché le entità elementari che occupano i siti reticolari sono atomi, e pertanto interagiscono attraverso legami chimici covalenti). 90 Struttura della grafite Nella grafite, ogni atomo di C si lega ad altri tre atomi di carbonio, posti ai vertici di un triangolo equilatero (angoli di 120°: il carbonio è ibridato sp2). Vengono a formarsi anelli esagonali lungo piani paralleli, che determinano una struttura complessiva lamellare. Formando solo tre legami, ogni atomo di carbonio presenta un quarto elettrone, di non legame, che assume compor- tamento quasi metallico (si parla infatti di ”legame pseudo metallico”): esso è libero di muoversi, ma solo lungo il piano al quale appartiene. Una dis- tribuzione elettronica appartenente all’intero strato determina la proprietà della grafite di condurre corrente elettrica, a differenza del diamante. La grafite è sfaldabile: una non intensa sollecitazione porta allo slittamento dei piani, poichè essi interagiscono tra di loro attraverso deboli forze di Van der Waals. Nell’immagine la linea rossa indica la cella elementare. Perchè si creano gli anelli a maglie esagonali? Nella grafite, ogni atomo di C si lega ad altri tre atomi di carbonio, posti ai vertici di un triangolo equilatero (an- goli di 120°: il carbonio è ibridato sp2). Vengono a formarsi anelli esagonali lungo piani paralleli, che determinano una struttura complessiva lamellare. Formando solo tre legami, ogni atomo di carbonio presenta un quarto elet- trone (legame delocalizzazato, appartiene a tutti i nuclei dello stesso atomo 91 e se applico la differenza di energia potenziale le particelle si possono muo- vere in maniera orientata), di non legame, che assume comportamento quasi metallico (si parla infatti di ”legame pseudo metallico”): esso è libero di muoversi, ma solo lungo il piano al quale appartiene. Una distribuzione elet- tronica appartenente all’intero strato determina la proprietà della grafite di condurre corrente elettrica, a differenza del diamante. La grafite è sfaldabile: una non intensa sollecitazione porta allo slittamento dei piani, poichè essi interagiscono tra di loro attraverso deboli forze di Van der Waals. Cercare libro orbitale ibridazione. La conducibilità della grafite è legata alle carat- teristiche dei legami π. Se applico una sollecitazione parallela al piano di atomi di carbonio, è facile deformare il solido. Se applico una sollecitazione perpendicolare, la deformazione è difficile. Il cristallo di grafite è dunque anisotropo. Il solido in sé invece è isotropo: quando il solido è policristallino, è sempre isotropo. Ma come si dispongono le particelle in un solido cristallino? Esse si ”impacchettano” in modo da minimizzare la propria energia poten- ziale, massimizzando il numero e l’intensità di interazioni attrattive. Un primo modello costruibile assimila le particelle a delle sfere (la sfera è l’ente geometrico più confrontabile con la geometria fisica dell’atomo), ognuna di uguale dimensione. Una disposizione a minima energia potenziale comporta un gran numero di entità costitutive alla minima distanza reciproca, ovvero nel minor spazio possibile. Pertanto possiamo in prima approssimazione schematizzare la struttura cristallina di un solido come un ”impacchetta- mento” di sfere, ognuna tangente alle sfere circostanti: In questa condizione, ogni sfera è circondata da altre sei sfere appartenenti allo stesso piano; le cavità vuote sono numerose, e possono essere riempite dalle sfere dello strato superiore e dalle sfere dello strato inferiore (cavità contrassegnate come ”o” e ”x”). In questo sviluppo tridimensionale le possibilità sono molteplici. Possi- amo trovare uno strato di partenza, detto A, con un certo numero di cavità. Al di sotto di esso un secondo strato B, le cui particelle sono disposte in modo da occupare metà delle cavità dello strato A (le ”o” o le ”x”). Al di sotto ancora dello strato B possiamo ritrovare uno strato A, con sfere dis- poste in corrispondenza delle sfere dello strato A di partenza: Si può anche verificare un altro tipo di disposizione degli strati. Partendo da un generico strato A, si ha un secondo strato B al di sotto, le cui sfere si dispongono sulla metà delle cavità del primo strato (”o” oppure ”x”); vi è inoltre un terzo strato di tipo C, posto al disotto dello strato B, le cui sfere si dispongono sulle cavitaà dello strato B, in corrispondenza delle cavità dello strato A las- ciate vuote dalle sfere dello strato B (ad esempio, se le sfere del B hanno 92 bonio è legato ad altri 4 (numero di coordinazione), e il legame è direzionale. Quindi non posso applicare al cristallo diamante il modello di struttura com- patta. Il modello di struttura compatta può descrivere la struttura dei solidi ionici? Il legame ionico è non direzionale e sono particelle sferiche, ma lo ione positivo è più piccolo di quello negativo. Quindi il modello non è applica- bile ai solidi ionici, cioè non giustifica l’ottenimento del minimo dell’energia potenziale. Il modello non si può applicare ai solidi ionici poiché gli ioni hanno diversa dimensione. Gli anioni sono più vicini ai cationi. Le forze di repulsione prevalgono su quelle di attrazione, quindi ciò non spiegherebbe l’esistenza del solido. Ogni catione deve essere circondato dal maggior nu- mero di anioni posti alla minima distanza: ogni catione deve essere tangente ad ogni anione alla minima distanza. 19 Termodinamica Nello studio del fenomeno si cerca di isolare la regione dove avviene il fenomeno. La termodinamica studia gli stati di equilibrio di un sistema chimico nonchè le variazioni di energia associate a trasformazioni di natura chimica o fisica; permette di prevedere la possibilità o impossibilità che una determinata 95 trasformazione avvenga; si limita a porre relazioni tra le proprietà macro- scopiche della materia e il suo comportamento in tali trasformazioni, non pronunciandosi sul tempo necessario alla loro realizzazione e prescindendo da qualunque modello di struttura microscopica della materia. La termodi- namica si fonda su tre principi fondamentali di derivazione sperimentali; essa si divide in termodinamica ”classica”, dall’approccio macroscopico, e ”sta- tistica”, dall’approccio microscopico. Nello studio di un fenomeno, si cerca di isolare quest’ultimo da tutto ciò che lo circonda e che non è oggetto della nostra analisi. La termodinamica classica ha un approccio macroscopico, quella statistica ha un approccio microscopico. Il ”sistema” coincide con l’oggetto della nostra analisi; tutto il resto è definito ”ambiente”. Sistema e ambiente, insieme, formano l’universo. Un sistema è: - isolato, quando non può scambiare nè materia nè energia con l’ambiente; chiuso, quando può scambiare energia ma non materia con l’ambiente; - aperto, quando può scambiare con l’ambiente sia materia che energia. Un sistema si definisce in equilibrio termodinamico se le sue proprietà macroscopiche sono ben definite e invarianti nel tempo. Lo stato di un sis- tema è definito determinando i valori di alcune proprietà macroscopiche: le ”funzioni di stato”. Una funzione di stato è una proprietà del sistema che dipende soltanto dallo stato in considerazione e non dalla cosiddetta ”storia pregressa” del sistema (l’insieme di trasformazioni che hanno portato il sistema a raggiun- gere tale stato). Ne consegue che la variazione di una funzione di stato di un sistema dipende soltanto dagli stati iniziale e finale del sistema e non dalle trasformazioni che interessano il sistema nel passaggio dallo stato iniziale allo stato finale (si ottiene sempre come differenza tra il valore iniziale e quello finale, dipendono solo dalla condizione in cui si trova il sistema). Infatti la variazione di una funzione di stato in una trasformazione ciclica è nulla (lo stato finale coincide con quello iniziale). Esempi di funzioni di stato sono il volume, la pressione e la temperatura. Le proprietà che dipendono dalla quantità di materia sono dette ”estensive” (la massa e il volume sono proprietà estensive); le proprietà che non dipen- dono dalla quantità di materia sono dette ”intensive” (esempi sono la tem- peratura o la densità). Si intende per trasformazione il cambiamento di uno stato termodinamico di un sistema. In altre parole, un sistema è sottoposto ad una trasformazione se alcune delle sue funzioni di stato variano. 96 19.1 Il primo principio della termodinamica Il primo principio della termodinamica, noto anche come principio di conser- vazione dell’energia, afferma che l’energia dell’universo si conserva. L’energia è definita come la capacità di compiere lavoro. Il lavoro è definito come prodotto scalare tra una forza ed uno spostamento. Energia e lavoro si es- primono in Joule (J) o calorie (cal, con 1 cal= 4.186 J). Distinguiamo due modi di esprimere l’energia: - l’energia cinetica (Ec) è correlata allo stato di moto di un corpo; si ha che Ec= 1 2 mv2; - l’energia potenziale (Ep) è collegata alla posizione di un corpo all’interno di un campo di forze; essa trova espressione matematica diversa a seconda del campo di forza. Queste due espressioni dell’energia dipendono quindi dallo stato di moto e dalla posizione di un corpo. Eppure si osserva sperimentalmente che un corpo può immagazzinare o cedere energia senza variare il suo stato di moto o la sua posizione rispetto ad un campo di forze, ovvero senza essere interessato da variazioni di energia cinetica o potenziale rispetto al nostro riferimento es- terno.Un corpo può immagazzinare energia, senza variare il suo stato di moto o la sua posizione in campo di forze. Nessuna variazione di energia cinetica e potenziale del corpo. Distinguiamo quindi un’energia ”esterna” del corpo, somma dei contributi di energia cinetica e potenziale, e un’energia ”interna” del corpo (U), che la termodinamica statistica aiuta a definire come somma di energia cinetica e potenziale delle particelle che costituiscono il sistema. I processi termodinamici comportano esclusivamente variazioni dell’energia interna di un sistema. L’energia interna è una funzione di stato ed è una pro- prietà estensiva. L’energia interna è la somma dell’energia cinetica e poten- ziale molecolare (energia traslazionale, rotazionale, vibrazionale...) delle par- ticelle costituenti il sistema. Il lavoro è stato definito come prodotto scalare tra forza e spostamento. Se la forza non è costante, il lavoro totale compiuto si ottiene integrando i lavori elementari: Il lavoro è una delle modalità attraverso cui l’energia può essere trasferita dal sistema all’ambiente o viceversa. Il lavoro è una modalità attraverso cui il sis- tema può scambiare energia, immagazzinandola o cedendola, con l’ambiente. Il lavoro è energia in transito, e pertanto esiste solo nel momento in cui c’è uno scambio energetico; non è una funzione di stato. Per convenzione si as- sume positivo il lavoro compiuto dall’ambiente sul sistema (l’energia entra nel sistema); negativo il lavoro compiuto dal sistema sull’ambiente (l’energia esce dal sistema). In molte trasformazioni chimiche spesso il lavoro è corre- 97
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved