Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

appunti utili esame Craig SFP Unical, Dispense di Psicopatologia

Vari appunti sugli argomenti più cari al professore craig

Tipologia: Dispense

2020/2021
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 12/01/2022

distributoredifile
distributoredifile 🇮🇹

4.5

(71)

30 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica appunti utili esame Craig SFP Unical e più Dispense in PDF di Psicopatologia solo su Docsity! Psicologia della disabilità e dell’integrazione Lezione 13/03/2019 La Psicologia di disabilità si deve considerare come un’attività fortemente legata al gruppo classe. La teoria di U. FRITH sull’autismo è importante perché Uta Frith è stato uno dei primi ad uscire dall’interpretazione classica che c’era sull’autismo che era legata ai disturbi relazionali; Uta Frith inizia a considerare, invece, aspetti diversi. Paola Venuti è una psicologa dell’università di Trento che sta studiando la familiarità cioè sta sottoponendo ad una serie di osservazione i fratelli dei bambini con diagnosi della sindrome spettro autistico, non perché l’autismo sia ereditario e non per mettere l’etichetta, ma lo sta studiando molto precocemente nei primissimi mesi di vita perché c’è comunque una familiarità. Quando si parlava di disturbi come disabilità intellettiva, psicosi, l’ipotesi era quella di escludere sempre la causa organica; si tendeva a privilegiare un’eziologia sociale. È grazie agli studi delle neuroscienze che si può notare che c’è qualcosa che non va già nei primi mesi di vita e, tutto questo ha mostrato che in alcuni casi ci può essere una familiarità. Dunque, la diagnosi precoce è importante non per mettere l’etichetta, ma perché la diagnosi precoce può abbassare l’effetto dell’autismo perché grazie all’intervento “fare training” si lavora con i genitori non perché sono loro i responsabili, ma per creare situazioni di maggior stimolo per un bambino che inevitabilmente è visto come passivo. Nel DSMS che viene utilizzato per i criteri diagnostici, un criterio diagnostico, appunto, è l’assenza di un comportamento molto precoce che si chiama joint attention che è l’attenzione condivisa. Paola Venuti sta facendo proprio queste ricerche: non è importante se un fratello di un bambino con sindrome autistica ha difficoltà in questa capacità, ma è importante individuare, innanzitutto, se ci può essere una predisposizione e, poi, vedere come recuperare questi comportamenti in quanto si deve considerare che le relazioni precoci formano il cervello. Avviare una stimolazione verso gli 8- 9 mesi è già tardi perché il bambino nel frattempo ha perso già molti stimoli. Questo tipo di ricerca, con bambini di questo tipo che possono essere individuati così precocemente, ha una collaborazione importante che è quella dei pediatri; il neuropsichiatra arriva dopo. MODELLO CAUSA-EFFETTO Una volta stabilito che il bambino avesse qualche tipo di difficoltà, qualche lesione, qualche patologia alla nascita si pensava che ad una causa corrispondesse un effetto: questo era il modello causa di tipo organica o psicologica cioè se alla nascita vi era una diagnosi di un certo tipo, l’esito doveva essere legato per forza alla diagnosi. Quindi per esempio una diagnosi di lieve intensità produceva una difficoltà media, mentre una diagnosi ad alta intensità produceva un alto livello di handicap. Come se ci fosse un ordinario che produceva un unico percorso 3 questo è un modello prettamente ORGANICISTICO (causa organica — effetto organico) o un modello eccessivamente PSICOLOGICO (causa psicologica produce un danno psicologico). Questo modello non ha avuto vita breve: gli interventi sono stati legati a questo modello per molto tempo. È stato messo in crisi proprio dal fatto che vede strettamente collegato l’aspetto fisico e l’aspetto psicologico, dal vedere con un’influenza reciproca, che si può definire interdipendenza, l’ambiente e le strutture interne. Quindi, messo in crisi dalla visione che prende il nome di ETIGENETICA ossia gli ambienti che influenzano gli aspetti genetici. Dunque, il modello causa-effetto non viene più utilizzato come modello interventivo. Definire un problema a base organica o ambientale non cambia nulla nell’intervento: se stabiliamo che c’è una causa organica andiamo verso l’impotenza perché le cause organiche sono più immodificabili (per. esempio se c’è una lesione neurologica non è che la si può mettere a posto); la causa solo ambientale può produrre un senso di onnipotenza in quanto si ritiene che tutto derivi dall’ambiente culturale, dalle deprivazioni, dalle madri troppo o poco stimolanti e, se si fa un intervento tutto legato all'ambiente non si hanno risultati adeguati. L’ottica in cui dobbiamo entrare, invece, è quella dei FATTORI DI RISCHIO. Il RISCHIO viene definito come la probabilità di sviluppare un disadattamento cioè può darsi che un bambino che nasca con una situazione organica/neurologica di un certo tipo può sviluppare un disadattamento, un disturbo. Quindi diventa importante la diagnosi precoce. Innanzitutto, la diagnosi deve essere modificata, deve essere dinamica non deve essere una, una volta per tutte. Ad ogni modo la diagnosi precoce è la prima condizione che ci aiuta in questi fattori di rischio e, poi il nostro atteggiamento che come dicevano autori importanti, quali Vygotskij, Bruner, Winnicott, deve essere di fiducia nel cambiamento, nella crescita di quel bambino. Si parla di fiducia e personalità perché il nostro atteggiamento, la capacità di individuare interventi adeguati per i bambini all’interno del gruppo classe, insieme agli insegnanti, fa la differenza in quanto produrrà un esito inatteso leggendo solo la diagnosi. Se gli insegnanti con la propria professionalità, atteggiamenti e motivazione entrano nell’ottica dei fattori di rischio e protettivi, quindi, dell’abbassamento del rischio di un esito negativo, anche in situazioni di gravi disabilità verranno fuori una serie di capacità e competenze: tutto ciò è gratificante per l’insegnante. Vygotskij, Bruner, Winnicott dicono che i bambini crescono nella mente di chi li pensa. Bisogna avere fiducia nel fatto che l’esito può cambiare. Per quanto riguarda il sistema famiglia e sistema scuola fare riferimento a Bronfen Brenner che propone un modello con il sistema più ampio che è il mondo, la nazione in cui viviamo, la regione, la scuola e, poi, il sistema più piccolo è la famiglia: questi sistemi sono in relazione tra loro. Esempio se un bambino con difficoltà si trova in una famiglia con gli strumenti culturali adatti anche all’accettazione di tale difficoltà (in quanto il problema principale dei genitori, spesso, è la non accettazione o la negazione della difficoltà del figlio) il bambino si sente accettato perché pensato nella mente degli adulti come un bambino che può raggiungere dei risultati, si ha già una dote che abbassa il rischio. Se poi si trova anche in una scuola dove l’inclusione è centrale dove non c’è un bambino che ha problema e, quando a scuola non c’è l’inclusione, il problema non è del bambino, ma dell’istituzione. Si trova, quindi, in una scuola inclusiva, in una classe dove gli insegnanti sono preparati a ciò, l’esito di questa disabilità sarà molto più basso in intensità cioè si arriva ad un esito medio o inesistente perché è una probabilità, non c’è certezza che un danno di un certo tipo produca sempre una disabilità collegata; è una probabilità, un fattore. Esempio > un bambino che vive in una famiglia che non accetta la disabilità, non ha gli strumenti culturali, non ha avuto nei primi anni i mezzi economici per fare diagnosi, un bambino ce ha accumulato insieme al suo fattore di rischio, una famiglia problematica o instabile proprio a causa della difficoltà del bambino, poi, magari si 2 capacità di reagire attivando resilienza e coping. Le strategie di coping sono molto individuali, quindi, non c’è una regola precisa per applicarlo, non c’è un modo valido per tutti di reagire ( c’è chi sta in silenzio chi ne parla di più e con più persone). Quando si lavora con i bambini non siamo noi a proporre le strategie, ma noi dobbiamo trovare le risorse per resistere ad una certa situazione di difficoltà che può esserci sia nei gruppi classi con disabilità che senza. È un fattore trasversale che noi abbiamo l’obbligo morale di proporlo quando si ha davanti un bambino disabile. La scuola riguarda un arco temporale ristretto, ci sono situazioni di difficoltà che avvengono al di fuori della scuola. Per quanto riguarda i fattori protettivi, è stato studiato che ci sono delle caratteristiche individuali che favoriscono la protezione dal rischio ciò vuol dire che ci sono bambini con più facilità riescono ad ottenere attenzione, ascolto e a richiedere l’aiuto. I bambini con sindrome down hanno un carattere docile, un temperamento che tende a ricevere attenzione e questi sono dei fattori protettivi. Alcune forme di disabilità hanno dei fattori protettivi in più che bisogna riconoscere. Ci sono delle situazioni che, indubbiamente, favorevoli ad abbassare il rischio ed, altre che sono più a rischio. I bambini con disabilità intellettiva grave e con sindrome dello spettro autistico ad alto funzionamento sono quelli che si teme di più incontrare perché i loro traguardi sono piccolissimi. Un bambino con sindrome dello spettro autistico ad alto funzionamento ha gravi difficoltà comunicative e bisogna lavorare sui confini per accettare alcune stereotipie. L'importante è avere consapevolezza del fatto che ci sono delle situazioni più facili ed altre più difficili. LA CLASSIFICAZIONE Molto efficace è il modello di cui ci parla Soresi sulla disabilità. Nel libro di Soresi, innanzitutto, viene definita la MENOMAZIONE o IMPAIRMENT (in inglese). La menomazione può essere permanente o transitoria, può essere organica o funzionale, per cui abbiamo delle anomalie o dei difetti che possono riguardare gli organi interni, gli arti, i tessuti. Altra definizione è quella di DISABILITÀ che può essere, anche, permanente o transitoria. La disabilità è conseguenza della menomazione. È un modello molto rigido, non si parla di fattori di rischio, c'è la disabilità legata alla menomazione per cui ci può essere una prestazione interiore o nulla rispetto ad un certo ambito e, poi si ha ’HANDICAP. L’HANDICAP che prende il nome dal linguaggio legato al limite, è un ostacolo. Quando si parlava di handicap si parlava di un portatore di handicap, di menomato, ha un deficit. È diventato, poi, centrale l’ICF nella nostra attualità: ci mette tutti sullo stesso piano, ma allo stesso tempo ci differenzia. Ci mette tutti sullo stesso piano perché tutti possiamo vivere una situazione di handicap, per alcuni momenti della nostra vita, quindi, l’handicap non è qualcosa che ci portiamo per tutta la vita sempre uguale, ma sono degli ostacoli che ognuno di noi può vivere, avere a seconda del contesto e della funzione: questo è il modello dell’ICF che ci parla di contesti e funzioni. La funzione deambulatoria, sensoriale, visiva, uditiva non è detto che sia sempre uguale in qualunque circostanza. Non è un cambio di terminologia formale, ma di contenuto, di modello. Il modello di portatore di handicap è un modello deterministico causa- effetto: posto l’handicap non posso camminare, non posso arrivare ad un certo apprendimento, non posso raggiungere una certa prestazione perché porto l’handicap. “IO NON PORTO L’HANDICAP” ma si ha un’abilità diversa in un certo contesto, in quel gruppo classe che mi permette di raggiungere un risultato o mi ostacola; è il contesto, è come io adulto (genitore, insegnante) vivo quella situazione e creo le condizioni. Ci sono sempre delle risorse residue che bisogna tirare fuori e generalizzare in altri contesti. Il modello è cambiato. Già a partire dalla seconda metà del secolo scorso, l'OMS ha elaborato strumenti di classificazione per osservazioni e analisi delle patologie organiche, comportamentali, psicologiche e psichiche per migliorare la diagnosi del bambino. L’OMS, a metà del ‘900, ha fatto in modo che ci siano delle classificazioni utili per fare l’intervento. Una delle prime classificazioni è l’ICD (INTERNAZIONAL CLASSIFICATION OF DISEASES) del 1970, classificazione internazionale delle malattie. Intanto che c'erano queste classificazioni di disabilità andavano in produzione questi manuali come il DSM, manuali della salute mentale; i DSM raccolgono le ricerche di anni, escono ogni 7-8 anni; l’ultimo è il DSM5 che è la quinta edizione uscito nel 2013 ed è stato tradotto in Italia 2015. Il DSM è importante perché con la diagnosi il bambino ha il diritto di accedere ad una serie di servizi, il riconoscimento di un disturbo, garantisce tutti una serie di diritti che prima si chiamavano di pari opportunità, adesso non basta più parlare di apri opportunità per i disabili, ma bisogna parlare di opportunità di successo formativo ed autonomia. Mentre ci sono questi classificazioni, procede il DSM e quando esce suscita sempre tante polemiche. Il limite del DSM è che, spesso, risponde a delle logiche economiche, ha eliminato tutti una serie di disturbi, li ha spostati, non li ha più considerati disturbi da manuale e, ciò vuol dire che quando il bambino viene visitato e presenta dei sintomi e questi sintomi sul manuale, non si può fare la diagnosi di un certo tipo perché mette poi in atto degli interventi di serie economica; ci si deve rapportare in modo adeguato con gli altri specialisti. Il non riconoscimento, spesso, è legato ad un problema economico. Lezione 14/03/2019 Dove si trovavano i bambini disabili negli anni del 700? stavano negli ospizi, manicomi, nelle strutture chiuse. Ed erano lì, insieme ai malati di mente ma anche alle persone che erano solo un po’ strane, che non si adattavano al contesto ambientale, per es. un autore importante che abbiamo studiato che è Vygotskij ne rimane molto colpito, e poi fonda quella che verrà chiamata la pedologia sperimentale, quella che si occupava dei bambini gravemente disabili, quindi perché rimase colpito V? perché questi bambini non avevano nessun tipo di intervento, potevano essere considerati abbandonati. L'attenzione per questi bambini portò Vygotskij anche a criticare e ad offrire dei motivi di riflessione rispetto alla teorie di Piaget, perché nel libro “Pensieri e Linguaggio”, V ci dirà che la teoria di Piaget è interessante, è una sfida pensare all'intelligenza del bambino che evolve in queste fasi, ma dirà V "io sto visitando gli istituti dove sono questi bambini che intanto hanno delle disabilità e rimangono lì molto tempo. Vigotskij dirà che la teoria di Piaget non si può applicare a bambini che vivono in realtà molto distanti da quelle per es. svizzere o del centro Europa che, in quel momento, era una realtà avanzata. Partiamo da lì, i bambini una volta stabilita la diagnosi rimangono lì quasi a vegetare. Cosa accade poi? in Italia? la Normativa consente ai bambini di frequentare la scuola, ma che classi frequentano? qua facciamo riferimento già agli anni 70, le classi differenziali perché si portano l'handicap, sono menomati e sono portatori di handicap. Per molto tempo sono stati considerati questi termini per riferirsi a questi bambini che frequentavano le classi differenziali e dove di solito gli insegnanti non è che fossero particolarmente entusiasti nell'essere docenti di queste classi (differenziali). Non avevano alcuna attività di integrazione con gli altri, quindi siamo partiti dall'essere ricoverati in manicomi, dall'avere delle classi differenziali ad avere poi una normativa che come sappiamo in Italia è stata all'avanguardia. Inizia a farsi strada, a fianco o in alternativa al concetto di malattia, il concetto di salute e benessere. Noi siamo partiti dal modello BIOMEDICO, definito causa ed effetto, noi non dobbiamo pensare di rifiutare il modello bio-organico perché andremmo incontro ad una serie di fallimenti, non solo diagnostici, ma anche terapeutici. causa----> effetto: In questo modello noi stiamo curando il sintomo, in alcune situazioni è stato usato il farmaco, per es. per l'iperattività. Noi dobbiamo intanto capire che ci sono di vere cause, alcune di tipo organico, e magari l'uso di un altro farmaco. Unito però sempre ad un'attenzione per l'aspetto psicologico. Anche nella causa organica, noi dobbiamo lavorare sull'aspetto psicologico. Perché se noi andassimo solo sull'organico, noi potremmo eliminare il sintomo. Ma poi dove va a finire la normalità del bambino che stiamo trattando? Se quel bambino può diminuire i suoi sintomi, può manifestare un comportamento più tranquillo, in ambito scolastico, però per esempio se noi non abbiamo un'attenzione per l'aspetto psicologico della sua normalità, potrebbe essere difficile far accettare al bambino una serie di effetti collaterali, di situazioni rispetto alle quali lui deve essere pronto insomma: es. il rallentamento dell'apprendimento, una difficoltà di memorizzazione. Se non lo aiutiamo con altre forme di trattamento, noi non abbiamo risolto il problema della sua disabilità. Il modello biomedico è stato quello esclusivo nei primi anni di attenzione per la disabilità, non solo per la disabilità, diciamo per tutti gli stati di malattia, proprio perché si lavorava sulla malattia. E'anche l'approccio che per molti anni ha aiutato le interpretazioni mediche in generale, anche nei disturbi che noi riteniamo prevalentemente organici, che perlomeno fino a poco tempo fa ritenevamo fondamentalmente organici, di cosa si parla da qualche anno in poi? Di sicuro dagli anni 70. Si parla anche lì di fattori di rischio, nel senso ...che cosa si dice? che si sono abbassate le difese, quando si abbassano le difese ci prendiamo il raffreddore, l'influenza, purtroppo alcuni vivono situazioni di difese molto basse a causa dello stress, addirittura possono instaurarsi delle neo-aplasie, dei tumori. Ma questo fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile. Adesso non ci stupiamo tanto se viene detto che alcune forme di disturbi hanno una chiara evidenza psicologica. Proprio perché c'è questo legame appunto tra la situazione organica e la situazione psicologica, le difese si abbassano, si parla di situazioni di alto stress, di grave difficoltà. Se cambia la struttura cerebrale è chiaro che si possono creare delle situazioni che producono una malattia che fino a poco tempo pensavamo solo organica. Quindi il modello degli anni 70 è il modello che supera quello che viene considerato solo organico. E aggiunge questa promozione della salute e questa attenzione per gli aspetti psicologici ma anche sociali più ampi. Perché allora abbiamo bisogno di un ulteriore modello? Perché quando si è instaurato questo modello che viene definito sociale e che considerava appunto l'influenza di aspetti interni anche di tipo psicologico o di pressioni esterne, di stimoli ambientali sullo stato di salute; nei primi anni famiglia, qual è il problema di quel gruppo di coetanei rispetto ad un certo individuo. Quindi questo bambino può avere degli ostacoli in quel gruppo classe, noi dobbiamo operare nel rimuovere questi ostacoli, anche se a volte ci saranno degli ostacoli che noi non riusciremo a rimuovere, non è che vogliamo fargli vedere una realtà edulcorata, per cui se noi stiamo attenti agli ostacoli, li rimuoviamo e si risolvono tutti i problemi, i nostri, dei bambini e del gruppo. Non è così perché noi potremmo trovarvi in una situazione in cui un bambino che ha difficoltà di comunicazione in genere o dei comportamenti aggressivi per es., immaginiamo una sindrome dello spettro autistico a basso funzionamento con alta disabilità intellettiva, allora è chiaro che non stiamo dicendo che basta che noi individuiamo gli ostacoli, ma ricordando quello che abbiamo detto ieri, Fattori di Rischio e Fattoria protettivi. Professionalità, preparazione, empatia, che sono strettamente collegati. bisogna analizzare la situazione, utilizzare le strategie e le tecniche che noi conosciamo, che possono essere delle scale di valutazione, delle osservazioni del comportamento, dei training specifici da condividere coni colleghi, un'applicazione chiara sul cooperative learning, quindi, noi con la nostra professionalità, con l'empatia che deve essere appresa, noi possiamo iniziare ad abbassare, individuare le difficoltà. Per individuare le difficoltà dobbiamo utilizzare una serie di tecniche e metodi, però dobbiamo anche avere come punto di riferimento un comportamento che non sempre viene applicato, che è quello che si chiama la sospensione del giudizio, cioè la nostra professionalità, ci deve portare ad un atteggiamento che non contrasta con l'empatia. Ad un atteggiamento neutrale, potremmo dire, ma allora devo essere neutrale o devo essere empatica? Il primo impatto deve essere neutrale, dobbiamo sospendere il giudizio, che dati abbiamo per capire come agire? Abbiamo una diagnosi, abbiamo un progetto educativo, però dobbiamo intanto conoscere il bambino con cui dobbiamo lavorare e la realtà in cui si trova il bambino. Quindi dobbiamo sospendere il giudizio perché prima di noi ci saranno stati altri insegnanti, che o per iscritto o verbalmente, ci avranno parlato di ciò che possiamo aspettarci. Ci avranno espresso le loro difficoltà, anche i punti di forza per quella situazione, dobbiamo farci una nostra idea. E per farci una nostra idea non possiamo basarci sulle sensazioni, sull'epidermico "a me sembra che...", non va bene! Quindi per individuare ostacoli e difficoltà del contesto e non del bambino dobbiamo studiare il contesto (sempre dopo aver sospeso il giudizio), che sia il gruppo classe, che sia il collegio del consiglio dei docenti, quindi cercare di capire qual è la situazione nella quale ci troviamo a lavorare. Per individuare le difficoltà dobbiamo utilizzare una serie di tecniche e metodi, però dobbiamo anche avere come punto di riferimento un comportamento che non sempre viene applicato, che è quello che si chiama la sospensione del giudizio, cioè la nostra professionalità, ci deve portare ad un atteggiamento che non contrasta con l'empatia. Ad un atteggiamento neutrale, potremmo dire, ma allora devo essere neutrale o devo essere empatica? Il primo impatto deve essere neutrale, dobbiamo sospendere il giudizio, che dati abbiamo per capire come agire? Abbiamo una diagnosi, abbiamo un progetto educativo, però dobbiamo intanto conoscere il bambino con cui dobbiamo lavorare e la realtà in cui si trova il bambino. Quindi dobbiamo sospendere il giudizio perché prima di noi ci saranno stati altri insegnanti, che o per iscritto o verbalmente, ci avranno parlato di ciò che possiamo aspettarci. Ci avranno espresso le loro difficoltà, anche i punti di forza per quella situazione, dobbiamo farci una nostra idea. E per farci una nostra idea non possiamo basarci sulle sensazioni, sull'epidermico "a me sembra che...", non va bene! quindi per individuare ostacoli e difficoltà 10 del contesto e non del bambino dobbiamo studiare il contesto (sempre dopo aver sospeso il giudizio), che sia il gruppo classe, che sia il collegio dei docenti,ecc... quindi cercare di capire qual è la situazione nella quale ci troviamo a lavorare. Quindi attenzione particolare al modello ICF, al contesto e a tutte le strategie che possono essere aggiunte a questo. L'ICF è necessario per un training specifico ma raggiungere degli obiettivi molto particolari e importanti, intanto fornisce una base scientifica per comprendere e studiare la salute, le condizioni generali, conseguenze e cause. Poi un altro obiettivo, un altro scopo, è quello di stabilire un linguaggio comune, questo è molto importante perché noi abbiamo detto che nei prossimi giorni vedremo insieme, avremo modo di toccare con mano il DSM, che è un manuale diagnostico, e quindi noi troviamo le diagnosi intere fatte, prese dal DSM. In questo caso è più semplice perché appunto c'è un linguaggio che non è solo quello del neuropsichiatra o dello psicologo, è un linguaggio che può essere condiviso da diversi operatori e che può essere condiviso anche dalla popolazione, che vuol dire dalla popolazione? Per esempio dai genitori, dai parenti, dagli altri che si occupano di questo tema. Poi, guardate è molto importante perché permette il confronto tra paesi diversi; è“international” e se abbiamo tradotto in modo preciso quello che vuol dire ogni termine, quindi se la traduzione rispetta il significato,noi possiamo usare questa classificazione in paesi diversi. Alla fine poi un altro scopo è quello che questi dati possono essere inseriti nel sistema sanitario nazionale. L'OMS attraverso questa classificazione propone un modello di disabilità universale, che permette di essere applicato a qualunque persona. Viene detto contenuto tipico e atipico. Il contenuto tipico è l'eventuale presenza di disabilità, lo possiamo applicare a chiunque. Quindi questo abbassa lo Stigma, abbassa l'esclusione, la discriminazione. Lo schema di DECODIFICA: prevede nella prima parte una attenzione alle funzioni e alle strutture corporee e al coinvolgimento, cioè al grado di partecipazione durante l'attività, quindi è il modello che considera in ambiti diversi e vedremo adesso appunto le direzioni. Funzionamento e disabilità: le dimensioni. Le dimensioni riguardano il corpo, il funzionamento, nella prima definizione. Senza avere l'idea dell'immobilità del tutto, perché con degli esercizi, degli ausili, con delle protesi alcune parti del corpo possono riprendere a funzionare o recuperare alcune abilità. Ormai siamo nell'epoca robotica. Il corpo e le funzioni corporee: sono positive quando sono integre e sono negative quando c'è qualche menomazione. Le principali funzioni corporee sono elencate, naturalmente sono le sensoriali, cardiovascolari, ecc. Alcune naturalmente sono più centrali perché sono importanti per la principale funzione, anche legata all'apprendimento che è quella della relazione, è chiaro che la relazione sulla quale si basa il nostro Essere umano e la nostra stessa conoscenza, è l'ambito nel quale le funzioni corporee ci aspettiamo che siano più integre o su quale ambito sul quale dobbiamo lavorare di più. Sulle attività ci sono 2 aspetti importanti sui quali si può lavorare. Quello che io metto in atto, la mia performance, quello che io riesco a realizzare è quello che possiamo dire la capacità, la potenzialità. E su questo naturalmente dobbiamo lavorare noi, perché quando noi dobbiamo esprimere il comportamento di un bambino senza voler andare a riprendere per forza Vygotskij e lo sviluppo prossimale, però diciamo che potenzialmente potrebbe raggiungere altri risultati. Su questo ‘potenzialmente’ però io vi chiedo, siccome a volte diventa un po’ un alibi, "è arrivato a questo punto ma avrebbe grandi potenzialità" allora smontiamo un po’ questo termine "potenzialità" perché molto dipende, come abbiamo detto ieri, da come noi stiamo "forzando" quel bambino, da come noi 11 immaginiamo che possa o no incrementare la sua prestazione. Al di là di tutto, se noi siamo convinti fino in fondo che quella potenzialità possa esplodere, esplicitarsi, tutto sommato ce l'aspettiamo questa nostra convinzione. Questo lo sappiamo da tanti studi e da tante ricerche. La fiducia che possiamo avere in queste potenzialità. La fiducia che possiamo avere in queste potenzialità si può tradurre in prestazione, in performance, se invece noi ci fermiamo "bene, ha questa potenzialità ma....", c'è il MA, è quello che blocca il passaggio, la potenzialità, la performance e la prestazione; Quindi su questo bisogna stare particolarmente attenti perché abbiamo un grande potere di intervento, possiamo anche ancora migliorare quello che ho detto sopra. Abbiamo un bambino con la stessa diagnosi, non possiamo attenderci lo stesso conseguimento. Quindi il rispetto dei tempi nei confronti del bambino. Lezione 15/03/2019 Prima di parlare di disabilità intellettiva affronteremo e ricorderemo teorie e studiosi già conosciuti. Per esempio una teoria rilevante è quella di Piaget; cerchiamo di ricordare cosa ci dice sullo sviluppo anche per capire come possiamo collocare i comportamenti di questi bambini. Piaget parla di un’intelligenza come adattamento all’ambiente e la considera in stadi che chiama periodi; da quale intelligenza parte? Quali sono le fasi legate anche alle diverse fasce d’età? Quanti sono i periodi? I periodi sono 4: — 1° PERIODO: va da 0 a circa 2 anni. Si chiama senso-motorio. Il bambino inizia dai riflessi. È chiaro che si va da una fase percettiva-manipolatoria verso forme più astratte [come vedremo uno dei criteri diagnostici è proprio la mancanza, nella disabilità intellettiva, di questa capacità di ragionamento astratto che caratterizza un po’ tutte le forme]. Che cosa fa il bambino nei primi due anni? — Conosce proprietà degli oggetti e le loro relazioni; — Permanenza dell’oggetto; — Comportamento più intensionale. Dire che raggiunge l’oggetto permanente vuol dire la permanenza dell’oggetto al di là del dato percettivo ed è qui che subentra l’astrazione, chiamata in questo periodo rappresentazione mentale che è la prima forma di astrazione. Quindi alla fine dei 2 anni, nello sviluppo tipico, secondo il modello di Piaget, si completa il percorso senso-motorio e quindi si ha la rappresentazione mentale; si è decentrati dalla percezione e il pensiero è un po’ meno rigido. Vuol dire che se l’oggetto non è presente in quel momento. Il bambino non pensa che l’oggetto non esiste più, l’oggetto esiste e riesce a rappresentarlo, completato questo percorso. Per cui ad es. quando dobbiamo evocare un oggetto o un individuo non presente in quel momento, il bambino ci segue o utilizzando le sillabe che caratterizzano l’oggetto o imitando qualche comportamento, noi capiamo che il bambino ha presente l’oggetto nella mente. 12 Nella relazione tra insegnante e allievo, poi, va considerata la motivazione ad apprendere che va stimolata nel bambino e la nostra motivazione a condividere la conoscenza. Nella definizione di Ritardo mentale dell’ICD-10 vediamo che si tratta di “una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichcico” e può presentarsi con o senza altre patologie (= comorbilità). Per queste definizioni si fa riferimento ai test d’intelligenza, standard e su questo aspetto si differenzieranno di più le classificazioni successive. Quando abbiamo parlato di classificazioni abbiamo detto che si è partiti da quella di tipo organico, poi di tipo sociale, fino ad arrivare a quella attuale: biopsico-sociale, collegata al termine di epigenetica. L’epigenetica è definita probabilistica per cui non solo considera una contaminazione e un collegamento e una interdipendenza tra l’ambiente e l’ereditarietà genetica, ma è anche NON deterministica ma probabilistica. Nei vari manuali e linee guida, però, c’era un errore di fondo: l’uso del test standardizzato che presuppone una sola forma di intelligenza. Una qualche integrazione è stata aggiunta quando dice che “questi test possono essere completati da scale che valutano l’adattamento sociale”. Però al centro c’è il Q. I. con la famosa distribuzione con la curva di Gauss, quindi la parte centrale più le code. La visione di un Q. I. che misura chi entra nel novero degli intelligenti e chi dei ritardati, in alcune realtà, aveva anche discriminato tra chi apparteneva ad una razza e chi ad un’altra. Per es. ciò che è accaduto negli anni 20 in USA in seguito ad uso indiscriminato dei test di intelligenza anche in ambito militare per fare lo screening per chi voleva arruolarsi, e divenne motivo per discriminare tra chi aveva un Q. I. elevato e apparteneva quasi esclusivamente alla razza bianca, e chi aveva un Q. I. basso che apparteneva alla razza nera. Quindi la visione di un’intelligenza unica da misurare (Q.I .) ha causato molti danni anche agli stessi psicologi, considerati per anni quelli che avevano fornito gli strumenti per discriminare. Questa visione è stata decisamente superata. Dagli anni ’80 in poi, inizia ad esserci una metabolizzazione del modello sociale; dal 1983 abbiamo avuto la considerazione di tre elementi chiave che ritroveremo nel DSM-V: - Capacità - Ambiente di vita - Funzionamento reale Dal 2002 in poi, quando si parla di disagio mentale, si vede la necessità di considerare non solo le capacità intellettive, ma di accompagnarle con l’attenzione per il comportamento adattivo, alla partecipazione alla vita sociale, allo stato di salute in generale, al contesto nel quale si vive. Iniziamo ora a considerare come si è passati dal ritardo mentale alla disabilità intellettiva, partendo dalla definizione classica che facciamo sul DSM per cui “la disabilità intellettiva è una grave alterazione permanente dello sviluppo”. Troviamo il disturbo intellettivo nella sezione “disturbo del neuro-sviluppo”, per cui è una sindrome legata all’età, perché viene collocata prima dei 18 anni. Nei disturbi del neuro-sviluppo troviamo: - Disabilità intellettiva 15 Disturbi della comunicazione e del linguaggio Disturbi dello spettro autistico Deficit di iperattività e d’attenzione - ADHD DSA Disturbi del movimento (in comprobilità). Sono considerati così perché si manifestano nella prima parte dello sviluppo e hanno esordio prima che il bambino inizia la scuola primaria, e dobbiamo considerare l’ampia variabilità di ciascun disturbo. Rispetto alla disabilità intellettiva dobbiamo considerare tre criteri diagnostici: Deficit delle funzioni intellettive (ragionamento, problem solving, l’apprendimento scolastico, informale...) Deficit del funzionamento adattivo (è deficitaria la vita sociale, la partecipazione alla vita quotidiana) L’insorgenza (che deve essere all’interno del periodo di sviluppo). Una nota del DSM specifica che nell’ICD-11 la disabilità intellettiva viene chiamata “disturbi dello sviluppo intellettivo”, invece per il ritardo mentale non viene più utilizzato. Attualmente, secondo il DSM-V abbiamo quattro forme: Lieve Moderata Grave Estrema All’interno di questa divisione dobbiamo considerare gli ambienti che ci interessano, che sono tre: Astratto concettuale, del ragionamento: strumenti sono test cognitivi, test della personalità, questionari, da proporre a bambini, genitori e insegnanti Vita sociale Quotidianità (ambito pratico) Vedremo ora come si incrociano forme e ambiti. AMBITO CONCETTUALE Gravità lieve > potrebbe anche non esserci alcuna evidenza nella scuola dell’infanzia; invece nei bambini in età scolare ci sono ritardi e difficoltà nell’apprendimento di lettura, scrittura, capacità di calcolo. Negli adulti è in difficoltà tutto quello che si chiama “funzione esecutiva e il pensiero astratto” in cui presentano carenze (per es. elaborare e pianificare le ) attività, decidere quali sono prioritarie, organizzarsi AMBITO SOCIALE Gravità lieve > si manifesta un’immaturità nel linguaggio e nella comunicazione, per esempio potrebbe accadere che questi bambini non riescano a riconoscere i segnali degli altri; hanno quindi un’incapacità sociale, parti integranti delle competenze socio-cognitive come l’empatia, legata alla TOM. Inoltre si aggiunge l’aspetto della “credulità”, cioè si 16 crede a qualunque cosa dicano gli altri. In generale quindi c’è un senso di immaturità sociale, comunicativa e cognitiva (= si alimentano le credenze). AMBITO PRATICO - Gravità lieve > nella vita quotidiana c’è bisogno di un supporto per l’acquisto di alimenti, per organizzare le attività da avviare, per gestire le finanze. Lezione 19/03/2019 La teoria di Maslow e quella di Bandura dell’apprendimento sociale individuano in una fonte esterna (Bandura) o interna (Maslow) quella spinta alla definizione degli stili di personalità e di come ci siano tante forze che determinano il nostro modo di stare al mondo, il modo in cui siamo fatti, interpretiamo le cose che ci succedono, ecc. Cambiando ambito ci interesseremo delle teorie che rientrano nel grande contenitore delle teorie psicodinamiche. “Dinamico” è un termine che viene fatto risalire alla psicoanalisi di Freud perché indica il fronteggiarsi di forze, spinte interne contrapposte. Quindi le psicologie dinamiche, proprio a partire da Freud hanno elaborato un modello di disturbo detto del conflitto di istante interne. Il nostro libro colloca la teoria dell’attaccamento di Bowlby nelle teorie psicodinamiche, ma ci sono elementi che inducono, in realtà, a non inserire l’attaccamento di Bowlby e le sue applicazioni nelle psicologie dinamiche: la teoria dell’attaccamento e le sue applicazioni cliniche partono dal presupposto diverso da quello freudiano di conflitto; alla base degli stili di attaccamento e delle inclinazioni patologiche dell’attaccamento non c’è l’idea che il disturbo psichico legato all’attaccamento sia legato ad un conflitto, piuttosto si suggerisce che alcuni dei problemi o delle modalità disturbate sono determinate da un deficit, ad esempio un deficit dell’accudimento primario. Ecco allora che le due grande linee di interpretazione del disturbo psichico sono: un filone che intende il disturbo clinico come una forma di conflitto interno che poi si manifesta nei vissuti, un’altra linea la vede come una forma di deficit dell’accudimento primario. Tendenzialmente questi due modelli sono nati per non incontrarsi, però molto spesso nella clinica si incontrano. Il modello di Erikson, invece, un modello molto ricco per la parte clinica e poi ci dedicheremo al modello (il libro non ne parla) delle relazioni oggettuali di Klein. Freud Opera tra fine ‘800 e inizi ‘900, in un contesto in cui il bambino veniva considerato una specie di angelo innocente, incapace di sperimentare altre forme di godimento al di fuori del nutrimento, egli introduce nella sua riflessione sugli sviluppi psichici un'immagine di bambino inquietante. Freud, infatti, sostiene che nel corpo e nella mente nascente del bambino si agitino un insieme di forze e spinte pulsionali. Freud definisce la pulsione come il correlato psichico dell’istinto, una forza a cavallo tra lo psichico e il somatico che tendenzialmente cerca la gratificazione, cerca di esaurirsi nel godimento come energia psichica. Freud, inoltre, ci restituisce un'immagine dell’infante particolarmente convincente perché definisce il bambino molto piccolo un “Io corpo”, cioè un’entità corporea in cui però la mente non è ancora venuta al 17 3) una catena associativa che consentiva al pensiero, con l’aiuto dell’analista, di arrivare in termini retrogressivi ad un contenuto inconscio. All’inizio le pazienti non avevano nulla da dire e così Freud metteva la mano sulla testa per autosuggestionarle così da indurre a dire ciò che veniva in mente a loro; lapsus o atti mancati: attengono più al dominio dell’inconscio che del conscio. Freud giunge così a ridefinire il suo modello della mente, mettendo da parte la prima topica. Nella seconda topica Freud ritiene che le istanze psichiche sono sempre tre ma cambiano ruolo e finalità: 1) 2) 3) ES > sede degli istinti, è un’istanza psichica inconscia. Si tratta di una sorta di calderone di energia psichica in evoluzione che sta quasi per sbollire, cioè deve trovare un oggetto di sfogo perché una condizione di perenne remissione indotta dalle spinte pulsionali permanente ed intollerabile. Lo scopo della pulsione è di essere soddisfatta e così si giunge al piacere e alla calma mentale, se non viene soddisfatta si genera una condizione di remissione. La spinta pulsionale, presente sin dalla nascita, per Freud è quasi sempre connotata sessualmente, è erotico-sessuale che non necessariamente rimanda alla sola sessualità, però gli esempi di Freud sono quelli. Quindi 1’ES agisce secondo il principio di piacere; IO > se fossimo sotto la guida del solo ES non potremmo vivere in società. Allora l’Io diventa un’istanza di mediazione tra l’ES e la necessità di adattarsi alla realtà. L’IO è l’istanza dell’adattamento ed è un’istanza di mediazione perché da un lato cerca di assecondare le mire dell’ES, quando si possono assecondare le sue richieste, però, lo si deve fare in base alla realtà in cui ci troviamo, utilizzando quella forma di razionalità che consente di adattarsi all’ambiente. L’IO non equivale alla coscienza, la maggior parte di esso equivale all’inconscio perché media anche le spinte interne dell’ES mettendo in campo modalità difensive inconsce rispetto alle richieste dell’ES che vengono chiamate meccanismi di difesa: rimozione, scissione (determinati vissuti vengono dissociati, però questi rimangono e continuano ad agire), sublimazione (si viene a patti con la realtà, tenendo a bada alcune spinte rendendole ad esempio una professione o in una forma creativa a disposizione della società), proiezione (proiezione paranoide, tipica delle persone paranoiche, perché si vede nell’altro qualcosa che appartiene a sé e si tende a leggere nel comportamento degli altri una certa aggressività, quando in realtà l'aggressività appartiene al sé). Però c’è da dire che noi non scegliamo i meccanismi di difesa, perché sono inconsci, al massimo si possono individuare nella terapia con l’analista. Il coping è l’insieme delle strategie che noi utilizziamo consciamente per fronteggiare le situazioni difficili. SUPER-IO + inteso come istanza delle regole, delle proibizioni e della morale. Parte interna che dice ciò che non dovrebbe essere fatto e che fa sentire male quando vengono fatte. Si genera così una dinamica di forze contrapposte che può generare un malessere. 20 Lezione 20/03/2019 Ricapitolazione... La scorsa volta abbiamo parlato della disabilità intellettiva e abbiamo ripreso, prendendo spunto dal DSM, quello che avevamo studiato sullo sviluppo cognitivo e sulle fasi dello sviluppo, su questo avvio dallo stadio senso-motorio (quello che riguarda i primi 2 anni di vita) che è uno stadio che viene chiamato anche pre-rappresentazionale (nel quale non c’è la rappresentazione), poi abbiamo considerato il secondo stadio/periodo in cui c’è la rappresentazione, ma il pensiero è irreversibile perché uno stadio nel quale il bambino non conserva la quantità e nel quale il bambino è focalizzato sugli stati e non sui processi e troviamo l’animismo e l’artificialismo, infine nell’età scolare abbiamo il periodo operatorio nel quale si conserva la quantità ed iniziano una serie di attività di classificazione, seriazione, rappresentazione spazio-temporale, per arrivare all’ultimo stadio, quello logico-formale, nel quale il bambino è in grado di rappresentarsi il mondo come un suo pensiero. L’ultimo stadio, seguendo questo modello, nella disabilità intellettiva non è quasi per nulla presente, o è presente, in quella lieve, in piccola parte. Questo è lo stadio nel quale si programma, si progetta e mentalmente si decide di far qualcosa e nello stesso tempo si esaminano i pro e i contro (si decide se avviare un comportamento o meno); quindi il pensiero ha una prudenza che nella disabilità è presente solo in una piccola parte. Parlando di disabilità consideriamo tre ambiti e questo è molto utile perché usciamo dalla visione monolitica dell’intelligenza (cioè quella in cui si pensa che il ritardo mentale compre questo intervallo di Q. I. e se questo è sotto un certo livello non è presente il pensiero logico formale e quindi c’è un ritardo), ma noi abbiamo detto che sia la visione dell’intelligenza e una visione ampia e pluralista che con Gardner e ancor prima Sperman che parlava di intelligenza globale e specifica (G ed S erano i due fatto, globale e specifico), si è visto che la disabilità intellettiva e che l’intelligenza è un adattamento all’ambiente come ci diceva lo stesso Piaget e in questa adattamento all'ambiente noi non possiamo avere al centro solo il pensiero ipotetico-deduttivo, la capacità di astrarre in assoluto, ma dobbiamo considerare almeno altri due ambiti, quello sociale e l’ambito quotidiano. Ci stiamo quindi muovendo dalla considerazione di tre aree e di quattro livelli di intensità. Abbiamo detto qualcosa sul primo livello che è quello lieve, secondo questi tre aspetti. Ricordate che è importante sempre considerare i criteri diagnostici, cioè in base a cosa si parla di disabilità, è anche importante ricordare che nella disabilità c’è anche un disturbo di apprendimento che non va confuso con il DSA perché nel DSA il test d'intelligenza ci dà un Q. I. nella norma. Abbiamo detto che non possiamo considerare solo l’intelligenza logico-formale ma anche qui occorre evitare di pensare che non si considera per nulla il Q. I. e che i test di intelligenza non si applichino, perché si applicano insieme ad altre valutazioni: questionari di personalità, test di conoscenza sulle diverse autonomie, quindi osservazioni dirette e indirette e le cui risposte le troviamo grazie all’opera di educatori, operatori che lavorano con i bambini, genitori. Ricordiamo che le caratteristiche del livello lieve sono: che di solito nell’età pre-scolare a livello concettuale non si esplicita molto, mentre c’è qualche disturbo nell’età scolare; la funzione di elaborazione progettuale manca; l’aspetto poi importante è quello della credulità, un bambino che 21 può essere ingannato facilmente e che può trovarsi inserito in un circuito non propriamente positivo, in quanto al limite tra le persone buone/ingenue perché qui c’è qualcosa in più. Nell’ambito pratico non ci sono grandi difficoltà, però possono esserci difficoltà man mano che il bambino cresce perché deve iniziare a raggiungere una sua autonomia: scendere sotto casa a comprare qualcosa o in altre attività che potrebbero poi portare in età adulta all’incapacità di creare una famiglia, di essere autonomi. Su questo ci sono molti esempi, anche film: Forest Gumb (anche se siamo ad un livello tra il lieve e il moderato), Jo mi chiamo Sam (anche qui la disabilità è tra il lieve e il moderato, qui il padre mette in atto una serie di comportamenti che denotano come il padre non riesce a curare da solo la bambina e ne prende atto), ecc. Questi film denotano come l’aspetto più importante sia quello di saper affrontare i piccoli compiti di autonomia sui quali a livello scolastico si può lavorare. Nel caso della disabilità moderata a livello pre-scolare si nota che il linguaggio ha un ritardo notevole, a livello scolare poi che l’apprendimento è molto lento e limitato, cioè non raggiunge il livello raggiunto dagli altri coetanei nell’apprendimento della scrittura, della lettura, del calcolo. Ciò in età adulta porta in modo chiaro che il terzo stadio di Piaget non si raggiunge: va a mancare la comprensione chiara dei concetti, quindi manca l’ultimo livello. Nel comportamento sociale si nota sofferenza perché se il rapporto con glia adulti è asimmetrico per cui davanti ad una difficoltà linguistica del bambino l’adulto cerca di andare incontro, con i coetanei il rapporto è simmetrico e reciproco soprattutto a livello linguistico e ciò non accade; allora ciò che viene a mancare è proprio tale reciprocità linguistica: spesso si afferma che i bambini sono crudeli, che non fanno sconti ai loro coetanei, ma in effetti ciò è tipico della loro età e della loro relazione. Perciò il bambino che non si esprime bene, che non ha un linguaggio adeguato rispetto a quello dei coetanei non è che viene accettato con grande facilità nel gruppo. Ciò non vuol dire che questo è il suo destino: senza l’intervento di adulti il bambino, con una disabilità intellettiva moderata, ha una competenza e una abilità sociale limitata, soprattutto per queste carenze del linguaggio; è chiaro, però, che poi spetta a noi trovare le occasioni di inclusione e cercare le risorse che possono esserci anche in un bambino che non riesce ad esprimersi bene. Altro aspetto importante è che il bambino con una disabilità intellettiva moderata tende ad avere rapporti molto limitati e sicuri, cioè può avere un rapporto molto forte con i fratelli, i cugini, con pochi bambini, quindi rapporti esclusivi, ciò lo aiuta ma può creare comunque dei problemi all’interno nella classe. Problemi simili si trovano nei bambini con lo spettro autistico: se l’amico in classe non c’è si possono creare dei problemi nella classe. Non si tratta, come si evince, di rapporti totalmente esclusivi come accade generalmente nei casi di disabilità intellettiva più grave, ma di rapporti limitati a pochi coetanei. Nell’ambito lavorativo, la disabilità intellettiva moderata potrebbe aver bisogno di qualcuno che faciliti la comunicazione, non necessariamente esperto, ma figura di supporto. Dal punto di vista operativo, c’è la possibilità di cure personali: il bambino è in grado in modo autonomo di mangiare, vestirsi e curare l’igiene, però in alcuni casi c’è bisogno di stimoli ulteriori e ciò ha un rapporto diretto anche con il tipo di relazione parentale: in classe alcuni bambini della 22 l’età di insorgenza). In questa classificazione ci sono punti di forza e di limitazione, quindi va considerata non come una etichetta che si attribuisce in maniera stabile, ma in modo dinamico. È chiaro che in base alla tipologia e intensità di disabilità noi programmiamo tutta una serie di sostegni: sostegni legati allo sviluppo individuale, alla parte prettamente legata alla educazione, alla vita quotidiana, alla salute, alla sicurezza fino alla protezione della salute mentale. Advocacy > nelle situazioni più gravi, dovute anche a disagi familiari, legate ad associazioni che possono costituirsi come tutori. Ci sono le diagnosi funzionali, il profilo dinamico funzionale e poi c’è una diagnosi dello sviluppo che ci dovrebbe interessare di più: che tipo di evoluzione può esserci? Quest’ultima deve essere fatta in stretto contatto con gli psicologi dell’età evolutiva. Questa diagnosi comporta anche la valutazione della genitorialità e se questa necessita di un sostegno anche solo psicologico. Perché il punto di partenza è l’accettazione: la famiglia che riconosce che c’è una certa disabilità facilita lo sviluppo del bambino che non dovrà confrontarsi con un altro normodotato, ma il suo sviluppo, i suoi progressi, i suoi obiettivi anche concordati con gli insegnanti. Questa è una definizione (diapositive) che mette insieme l’ICD-10 e parte di alcune classificazione precedenti: si considera il Q.I. con altre forme di valutazione. Per parlare di disabilità intellettiva dobbiamo considerare: di quello che accade nel contesto, cioè dobbiamo inserirla nel contesto di quell’individuo; notevoli differenze nella comunicazione (differenze sensoriali, motorie e comportamentali). È chiaro che per la prognosi bisogna considerare diversi fattori: culturali, sensoriale-motorio, i sostegni necessari (qui entra anche la possibilità economica). L’intervento cognitivo-comportamentale quando viene proposto? Viene proposto al massimo 3 ore a settimana, poi però ci possono essere genitori che hanno possibilità economiche e che affiancano il loro educatore, mentre ci sono bambini che hanno al massimo due ore a settimana. Quindi c’è una differenza sostanziale tra le possibilità date ad un bambino e ad un altro, anche se giocano un ruolo importante anche le associazioni di volontariato. Quello che emerge da questo discorso è sicuramente l’importanza di una diagnosi precoce e poi anche di un intervento sistematico. Nell’uno come nell’altro caso bisogna avere gli strumenti culturali e possibilità economiche. Tra le cause individuate, soprattutto dal punto di vista epigenetico si devono ricordare: lo sviluppo embrionale, oltre all’elemento genetico e ambientale. La valutazione della disabilità ha una diagnosi medica, psicologica con test standardizzati (dal Q.I. alle Matrici di Raven, la scala di ...) e poi si valuta lo sviluppo. La disabilità intellettiva può essere trovata: nella sindrome di Down, quella dell’X fragile, la sindrome di Red, ecc. Nella disabilità intellettiva abbiamo una serie di disturbi emotivi, della condotta, depressione, ansia, deficit dell’attenzione; in quella del livello più grave — come già detto — abbiamo comportamenti aggressivi quando viene turbato lo status ordinario e stereotipati. Questi possono essere aumentati o diminuiti nella loro intensità in base all’attenzione e all'accettazione. 25 Le patologie psichiatriche che possono portare a psicosi in casi di disabilità intellettiva sono facilmente individuabili. Lezione 21/03/2019 Libro La gestione della classe di Ianes Libro Come fare per gestire la classe di Dalonzo Argomento: Gestione della classe e apprendimento cooperativo Evidence Based Intervention, in acronimo EBI, si occupa di strategie di intervento. Qualunque forma di intervento che proponiamo, come ad esempio quelli per il bullismo, ha bisogno di un prima, per la conoscenza della situazione, di un durante per il monitoraggio e di un dopo per la valutazione: analisi situazione iniziale, monitoraggio e valutazione. EBI si trova nelle linee guida per l’autismo. Quando uno psicologo o un esperto applicava un certo metodo per un certo tipo di disturbo, come la musicaterapia, lo faceva perché studiandolo aveva pensato fosse giusto; successivamente ci si è resi conto che non era positivo come attività e si è sentito la necessità di ricorrere alla meta-analisi, analisi dell’analisi, della letteratura e di tutti gli interventi e soprattutto di un monitoraggio molto accurato, sistematico e scientifico. Si arriva così all’EBI che è appunto un metodo scientifico. Si è infatti deciso di avviare questo percorso che consiste in fasi: 1) analisi della situazione iniziale che può riguardare il singolo o il gruppo classe; 2) la proposta dell’intervento, all’inizio dell’anno (dopo un mese dall’inizio della scuola); 3) a metà faccio un monitoraggio per verificare: si verifica se la situazione è stabile o è modificata. Il monitoraggio non viene fatta solo dopo pochi mesi, ma pensarlo come stazionario per poi continuare a proporre quel metodo, oppure nel caso in cui si verifica un peggioramento della situazione allora conviene cambiare qualcosa, modificare qualche variabile (può essere anche il momento della giornata in cui si propone) e poi.. 4) la valutazione finale. Non è tanto importante il risultato, ma il metodo che garantisce noi come operatori perché abbiamo un controllo interno e poi ci serve in quel momento per il futuro in cui possono verificarsi situazioni simili. Ecco perché è scientifico, perché implica la replicabilità: possiamo riutilizzarlo noi stessi in un’altra situazione o contesto, con lo stesso disturbo o con un altro, perché conosciamo già e abbiamo già tutto scritto in precedenza, ma poi serve anche ai miei colleghi. Quindi l’EBI è significativo per noi e per gli altri. Le linee guida sullo Spettro autistico ci dicono che c’è sì la libertà assoluta di fare gli interventi in considerazione dei dati empirici emersi, proprio perché l’EBI ci fornisce i risultati, i dati di questi interventi. Ricordiamo che alla base di ciò di cui parleremo c’è sempre l’EBI Prima di ogni forma di intervento, l’aspetto essenziale è quello della teoria: non esistono interventi che non abbiano un approccio teorico sottostante. Non esiste teoria e poi la pratica, non c’è dicotomia tra le due: non c’è migliore prassi di una buona teoria. La teoria di riferimento cambia 26 molto sia l’intervento che intendiamo proporre, ma anche i risultati che ci attendiamo, ad esempio: se noi ci muoviamo nell’ottica di Gadner dell’intelligenze multiple, l’intervento sarà di un certo tipo e avrà un esito rilevante sulle intelligenze multiple. Quindi ogni qual volta si parlerà di interventi dovremmo tener presente questi due parametri: EBI e l’approccio teorico. Gestione della classe Abbiamo una serie di proposte per capire che cos’è la gestione della classe. Quando parliamo di “Gestione” dobbiamo valutare una serie di aspetti: - il “clima” presente nella classe; - gli aspetti organizzativi (come si organizza lo spazio, il tempo, ecc.); - relazioni interpersonali, tra i docenti nella gestione del gruppo classe, degli insegnanti con il Dirigente e altro personale, relazioni con i bambini e tra i bambini. Lasciamo sullo sfondo la relazione con i genitori. Se manca la relazione tra il team docenti anche il più importante degli interventi può non essere efficace, stessa cosa per l'assenza degli altri fattori sopra citati. Gli aspetti sociali allora sono: clima della classe e relazioni interpersonali. Quest'ultima non deve essere immaginata come tra due poli, perché la relazione è un sistema. Occorre pensare allora al modello di Bronfenbrenner dei sistemi: il sistema individuale, il sistema scuola, il sistema esterno (che nel nostro lavoro non vediamo ma fanno riferimento all’ambiente esterno della scuola, all’ente locale, dal tempo del lavoro dei genitori, alla barriere architettoniche), il sistema più esterno (norme scolastiche, nazionali, ecc.). Ora vediamo che strumenti possiamo utilizzare per fare la nostra attività/intervento. Oltre ai test cognitivi, di valutazione sociale, dei questionari, abbiamo anche due strumenti: l'osservazione e il test sociometrico. Questi ultimi metodi sono semplici da proporre e ci danno un’idea della dinamica del gruppo classe, cioè ci aiutano a definire il clima della classe e le relazione interpersonali tra i bambini del gruppo classe. Relazioni interpersonali e clima che una volta conosciuti sono importanti per noi perché potremmo trovare un clima poco sereno, che tende verso aggressività, delle relazioni interpersonali caratterizzate dall’esclusione a volte evidenti e a volte no. Abbiamo bisogno quindi di avere un momento di osservazione indipendente rispetto alla gestione della classe stessa, cioè in accordo con gli altri colleghi: uno si occupa di gestire la classe mentre noi facciamo l’osservazione o raccogliamo i dati, perché non possiamo fare tutte e due; questo crea un vantaggio per tutti perché conoscere le dinamiche della classe e perché la classe in quel momento è disturbata dall’aggressività serve a tutti, anche perché in certe circostanze non si favorisce l’apprendimento. Le emozioni positive facilitano l'apprendimento, anche perché in una situazione di emozioni positive e di cooperazione l’errore (cognitivo o sociale che sia) non diventa un motivo di esclusione, ma viene analizzato e condiviso per essere risolto. Nella prospettiva che abbiamo chiamato intervento multidimensionale perché noi possiamo anche essere interessati ad applicare una sola strategia, ma questa da sola non è efficace come un approccio multidimensionale. L'intervento multidimensionale che va calato in un sistema necessita che si lavori in un multi sistema. Analizzando lo schema di Bronfenbrenner notiamo che l’anello 27 l’osservazione, che va intesa come una fase preliminare della programmazione può indirizzarci nella scelta dei metodi e degli strumenti e poi anche per verificare e valutare il processo stesso. Lezione 22/03/2019 L’intervista può avere delle domande, meglio dire delle aree di interesse perché noi con l’intervista potremmo raccogliere dei dati che dovrebbero rientrare nella informazione diaristica sul comportamento di quel bambino o di quel gruppo di bambini, o informazioni dai genitori soprattutto con i bambini molto piccoli (si chiede ai genitori di fare un diario per annotare i comportamenti del bambino per vedere se il comportamento è episodico o meno e con che frequenza avviene). Quindi esiste un’intervista diretta e una indiretta, in quest’ultimo caso ci dobbiamo affidare alla memoria dei genitori, dell'insegnante, del collega o dell’altro operatore. Nei questionari e anche in certe interviste si ricorre a ciò che è accaduto nella scorsa settimana, ad esempio si può chiedere “nella scorsa settimana quando sei entrata in classe, quante volte il bambino si è alzato ed è andato all’ultimo posto?” “quante volte ha insultato nell’ultima settimana o mese?”. Però dobbiamo considerare che l'osservazione indiretta, che è comunque molto utile per raccogliere dati da analizzare, ha una serie di errori sistematici che dobbiamo considerare. Questi sono presenti anche quando noi decidiamo o programmiamo un intervento senza dati empirici, è una cosa molto comune e frequente, perché si utilizzano dei dati che sono presi da anni precedenti o che rientrano nel novero di informazioni del tipo “ogni volta che...”, “sempre”, ecc. Annotazioni di questo tipo sui comportamenti non sono corrette, non possono essere considerate dei veri e propri dati. Ciò perché possiamo avviare il percorso di empatia e valorizzazione solo nel momento in cui conosco bene cosa c’è in quella classe, cosa che non si può sapere solo con consigli di classe e da una prima entrata in classe. Dobbiamo far ricorso quindi al metodo dell’osservazione, nella sua forma indiretta e diretta. L'osservazione può essere condotta anche insieme ad un collega con il quale appunto osservare le dinamiche, la situazione che è comunque fluida, dinamica anche perché possono cambiare gli individui e le situazioni anche di un singolo bambino (evento esterno, anche drammatico). Come si può avviare l’osservazione? Intanto dobbiamo partire dal contesto: l’osservazione deve essere molto dettagliata, dobbiamo capire cosa sta accadendo. Ricordiamo che l’osservazione sistematica è importante perché possiamo proporla in un’altra scuola, decidiamo di proporre questo metodo, ma per valutare l’intervento dobbiamo considerare anche ciò che avviene nella classe è anche legato a qualcosa che avviene fuori (l’orario prolungato, parziale, pieno, ecc.) e questa osservazione rimane lì come un documento. Questo rientra nel del descrivere il contesto. Nel 1987 Graziella Ballanti, prima pedagogista a portare in Italia un metodo per l’analisi e la modificazione del comportamento insegnante chiamato microteaching. Questo metodo è molto interessante per valutare il comportamento insegnante in modo incrociato: si va ad osservare quello che accade nella classe del mio collega e lui fa lo stesso con la mia secondo una serie di indicatori e comportamenti che sono legati alla comunicazione verbale e non verbale, allo stile di interazione, e tutto ciò rientra nel clima della classe. Se la mia comunicazione verbale con la classe è un tipo di comunicazione che rispetta e fa rispettare il turno, che rispetta gli interventi degli allievi, se la mia 30 comunicazione non verbale ha poche espressioni interattive, cioè si punta a mettere in evidenza se il nostro comportamento varia a seconda del bambino a cui ci rivolgiamo. Infatti questo è stato osservato perché la gratificazione, l’accondiscendenza sono tutti comportamenti non verbali che rinforzano un comportamento positivo o negativo. Noi sappiamo che nella dinamica di gruppo i bambini che più spesso ricevono gratificazione e approvazione di comportamenti positivi da parte degli insegnanti, consolidano i loro comportamenti e questo a volta in modo inconsapevole viene fatto anche per i comportamenti negativi. Quando pensiamo di ricorrere ad una strategia di ignorare il comportamento negativo, dovremmo utilizzare un rinforzo negativo (la punizione) che può condurre all’estinzione di quel comportamento, ma dobbiamo essere consapevoli di come il nostro comportamento influenza quello dei nostri alunni. Quindi noi dobbiamo essere consapevoli del fatto che anche il nostro comportamento può essere oggetto di osservazione ed è quello che avviene con il microteaching. Lasciando da parte ora il microteaching, ciò che ci interessa è che Ballanti dice che l’osservazione scopre le diversità tra gli alunni e fornisce una buona didattica, attenua le differenze e se può le cancella. Questi ultimi sono sicuramente termini che non sono più tanto utilizzati, ma il significato è comunque molto importante. Abbiamo anche l’osservazione etologica che proviene da Lorenz (vedi slide), ma andando avanti troviamo che il punto fondamentale è tenere ben presente dove si osserva, cosa si osserva, come si osserva, chi viene osservato e chi compie l’osservazione. Quindi nel rapporto di osservazione occorre segnare: preliminarmente dobbiamo programmare l’osservazione perché non può essere estemporanea avendo i dati sui comportamenti da osservare o anche senza (si va ad osservare che comportamenti ha un bambino o un gruppetto di bambini della classe, ciò risulta importante anche per capire quali risorse ha quel bambino) e i dati sul contesto nel quale operiamo. Solo quando abbiamo questi elementi possiamo avviare l’osservazione, che si prefigura, ovviamente, come non partecipe. Quella di tipo etologico è un’osservazione naturalistica che viene definita neutrale: dobbiamo cercare di non interagire perché altrimenti dobbiamo valutare anche il nostro ruolo. Gli strumenti utilizzati sono: carta e matita, ma anche un registratore. In ogni caso dobbiamo avere un idea di quali comportamenti osservare, se quelli di tipo psicosociale, modalità comunicative particolari (verbale o non verbale), comportamenti che serviranno per impostare il nostro intervento, conviene avere i test scritti prima e quindi una check list sui comportamenti che andiamo ad osservare. Quindi l’osservazione scientifica è un’osservazione che deve seguire alcune indicazioni: descrivere lo spazio nel quale noi osserviamo, il contesto, decidere i comportamenti e attuare l’osservazione che può durare anche un’ora al giorno anche in orari diversi (l’orario migliore è a metà mattinata) per massimo tre sessioni di osservazione; poi occorre discutere e fare la “restribuzione” con i colleghi, perché il dato non serve solo a me. Solo dopo si parte con la programmazione. L’altro metodo che possiamo utilizzare che è anche molto semplice è quello del test sociometrico: ci aiuta per individuare il “clima” in classe. Quando parliamo di “clima in classe” o di atmosfera in classe, l’insegnante ha la funzione di modificarlo o influenzarlo. L’insegnante è il leader della classe, perché ha una leadership. Ciò significa che il clima prende alcuni nomi, cioè viene definito 31 in base a come l’insegnante si comporta con la classe, quindi al tipo di leadership che l’insegnante esercita. Il rapporto tra l’insegnante è gli alunni non è paritario, ma è a-simmetrico, i termini di “tutor”, “facilitatore”, ecc., rientrano nella tipologia di leadership, ecco perché questa determina il clima della classe. Il clima prima di andarlo a misurare nei bambini, dobbiamo misurarlo su noi stessi, cioè capire noi che leader siamo su questo gruppo. C’è una certa influenza del tipo di leadership rispetto a ciò che accade in classe per esempio: Leader autoritario: si impone in modo rigido e si impone e impone le regole; non chiarisce gli obiettivi da raggiungere né cosa accade, non condivide gli obiettivi, quindi, che restano confusi; non attribuisce gratificazioni o punizioni in modo prevedibile. Perciò il clima che si va a creare e di confusione e aggressività perché nessuno capisce bene che tipo di comportamento si deve tenere. Questo clima danneggia le persone deboli del gruppo, anche perché si crea quel che si chiama capro espiatorio: decenni di ricerche fanno emergere che la persona più debole sarà presa di mira. Questi studi partono dallo studioso Kurt Lewin, il primo a parlare di ricerca- azione, che ha studiato ciò in un centro a Boston nell’MIT (Massachusett Institute of Technology). Lewin ha avviato un importante studio sulla ricerca-azione e sulle leadership. Era interessato alle leadership perché costretto all’esilio, a scappare negli USA negli anni ’40 perché ebreo, allora incominciò a studiare la leadership autoritaria chiedendosi perché essa creasse tanta autorità; perciò iniziò studiare delle proporzioni con una serie di tesi sperimentali. Le sperimentazioni partirono da gruppi di ragazzi. Nelle prime ricerche sulle dinamiche di gruppo e della leadership veniva chiesto allo sperimentatore di avere un atteggiamento autoritario con il primo gruppo e portava del materiale diverso per costruire delle maschere e così dava due ore per procedere alla costruzione di queste maschere; lo sperimentatore non dava indicazioni sul tipo di maschere da costruire e nemmeno sul materiale da utilizzare. Man mano che andava avanti il lavoro, lo sperimentatore diceva che qualche maschera andava bene, magari a quello che aveva lavorato di meno, mentre esprimeva disapprovazione per un altro lavoro, ciò per essere appunto imprevedibile. Si notò allora che si andava a creare un clima di confusione e aggressività e che la persona più debole era il capro espiatorio, cioè la persona sulla quale riversare l'aggressività. Leadership democratica: quella nella quale si decidono insieme le regole di funzionamento del gruppo; il processo; si chiariscono e si condividono gli obiettivi; durante la lezione si utilizzano gratificazione e disapprovazione motivandole, ciò aumenta la cooperazione e abbassa l’aggressività perché si condivide, appunto un percorso. Nella ricerca di Lewin accadeva che lo sperimentatore democratico portava il materiale e chiariva come si potevano costruire le maschere lasciando, però, una certa libertà di poter utilizzare i materiali che si voleva. Leadership Laissez-Faire (permissiva): confuso con il rispetto delle individualità e della creatività infantile, ma in realtà questo stile permissivo non stimola la curiosità e la creatività perché consiste in un clima trascurante, dove l’insegnante si tira da parte, non esprime il proprio 32 autistici. La theory of mind comporta il capire come funziona la mente degli altri, comprendere il punto di vista dell’altro. C'è quindi una natura affettiva e una cognitiva. L’empatia è efficace se noi utilizziamo almeno due strategie: la prima, che è alla base anche dell’utilizzo di metodi scientifici per conoscere il gruppo, ed è la sospensione del giudizio, questa richiede tempo perché ci si pone di fronte all’altro e alla mente dell’altro; dobbiamo poi fare attenzione ai due meccanismi di difesa che non possono modificare il nostro comportamento, quindi non possono essere attivati quando si prova angoscia, si tratta dell’identificazione e della proiezione. Noi possiamo identificarci, perché abbiamo quei confini che abbiamo detto sono “invischiati”, non ci distinguiamo dal bambino con disabilità e dai genitori e questo è un rischio perché l’identificazione non è empatia ma è creare confusione e false aspettative, non vedere quello che è il bambino e i suoi bisogni. Empatia non vuol dire nemmeno proiezione, perché se io ho paura, ansia, incertezza la vedo nell’altro. Lezione 27/03/2019 L’empatia viene vista spesso come un corollario di qualcosa di più significativo. Tutta la sfera emotiva, empatica va considerata con attenzione e dobbiamo pensare che dobbiamo apprenderla noi stessi e poi farla apprendere ai bambini. COSA FA UN INSEGNANTE EMPATICO? 1 Verifica (t! senti...questa mattina?) per confermare o meno la propria ipotesi e rendere consapevole l'alunno Riflette il sentimento che è stato espresso dall'alunno o che era implicito nell'azione (questo ti fa davvero adirare..) 3. Accetta che lo studente si senta in un certo modo ma non comunica che condivide quei sentimenti (è naturale sentirsi...) + Estende: l'insegnante deve aiutare lo studente ad estendere o a fare altre riflessioni sui propri sentimenti e azioni 4 È importante fare in modo anche che il bambino mantenga un contatto con le proprie parti del corpo, localizzando le emozioni per iniziare ad elaborarle. 35 ERRORI o Risposte che implicano accondiscendenza 0 manipolazione © Consigli non richiesti o Confronti prematuri o Risposte difensive o Utilizzo di cliché o frasi fatte o Risposte inadeguate a ambigue o Risposte che ignorano quello che l’altro dice © Domande inappropriate o irrilevanti © Uso inappropriato di compassione o Giudizi L’uso inappropriato della compassione non favorisce la consapevolezza della possibilità di migliorare. Il tema della compassione è nuovo, soprattutto negli ultimi tre-quattro anni, e si stanno studiando gli effetti che tali comportamenti hanno. Si è dimostrato che se la compassione viene utilizzata e applicata in modo sistematico ed hanno degli effetti positivi, naturalmente ciò deve avvenire senza proiezioni e identificazione. Tecniche nell’ambito della disabilità La prima ispirazione viene dal comportamentismo a partire da Skinner e la teoria dei rinforzi. Nel contesto scolastico i rinforzi vengono definiti anche rinforza tori e che dovrebbero consolidare il comportamento che vogliamo. I punti di forza e di debolezza dell’approccio con i rinforzi nei bambini diversamente abili sono: - punti critici: 1) l’individuo manifesta un comportamento che non sarebbe nel suo repertorio e che quindi viene forzato a fare e poi trasferirlo, non avendolo ben interiorizzato o consapevolezza, in un contesto sbagliato. Il comportamento-problema non è il comportamento del singolo, perché è un comportamento di risposta ad un sistema e non appunto del singolo. Parliamo per un attimo del comportamento problema con il modello sistemico. La visione lineare ci dice che c’è qualcuno che disturba, che è ostile ed è perciò da controllare, magari perché ha problemi in famiglia. Queste sono le frasi che si sentono molto spesso nel contesto scolastico. Se noi accettiamo la visione sistemica, invece dobbiamo lavorare sul gruppo classe, sul contesto, sull’atmosfera e primariamente su di noi: come ci comportiamo con i bambini? Il comportamento-problema considerato in modo lineare non ha una soluzione, perché gli interventi non sono risolutivi; andiamo incontro ad un blocco che è molto comune perché si continua a lavorare sul singolo guadagnando solo tempo. Bisogna allora adottare una visione circolare. Di solito chi mette in atto un comportamento-problema manda un segnale sulla visione del gruppo, possono anche essere regole che dal punto di vista della disabilità possono essere difficili da accettare e vanno dalla compassione inutile all’iper-protezionismo che mortifica quello che il bambino sente di poter fare. Allora l’approccio sistemico va fatto in gruppo, con gli altri colleghi, perché deve essere condiviso anche a livello di programmazione. Può succedere che il bambino disabile si faccia carico di un problema di un altro o di una patologia del gruppo, pensiamo alle dinamiche di prevaricazione del gruppo che possono provocare un disagio generalizzato che in un 36 primo momento non viene colto dall’insegnante e che il bambino tende a portare in luce attraverso il comportamento-problema. Per cui dobbiamo agire osservando ma soprattutto lavorando in team e mettendo in evidenza con test sociometrici ciò che in precedenza non viene colto, poi lavorare sulla relazione. Bisogna infine chiedersi se quel comportamento alla fine è davvero un comportamento- problema: chi è che lo ha definito? Il mio collega? Ci sono colleghi che sono magari troppo attenti all’ordine, alle regole, perciò dobbiamo capire se il comportamento può produrre un danno o un ostacolo, perché solo in questo contesto si tratta di un comportamento-problema. Ci possono essere situazioni in cui ci troviamo davanti ad una crisi e quando è possibile dobbiamo ignorare il comportamento-problematico, dobbiamo proteggere la persona e gli altri in situazioni di autolesionismo o lesionismo, fermarli durante l’episodio e introdurre stimoli o comportamenti non problematici. Quest'ultimo caso quando ci troviamo davanti al danno o all’ostacolo, cioè quando ci troviamo all’apice. Torniamo alla teoria comportamentale. È l’ultima spiaggia quando ci troviamo in situazione di crisi. Abbiamo messo in evidenza che può condizionare, manipolare il comportamento di un bambino e che questo comportamento potrebbe non manifestarsi in altre situazioni. La manipolazione può quindi essere un aspetto negativo insieme al fatto che in assenza di chi propone il rinforzo il comportamento rinforzato non si manifesti. La manipolazione sui bambini diversamente abili può essere un male minore, perché si tratta di possibilità che il bambino inizi a manifestare dei comportamenti, avere una serie di autonomie in seguito ad un nostro rinforzo e quindi per esempio inizi ad andare al bagno da solo, che mangi da solo, cioè una serie di comportamenti che possano andare a riguardare l’area dell’autonomia o al contesto scolastico, non è tanto manipolazione, ma proporre una serie di comportamenti in fasi successive che sono comportamenti di adattamento. Ci possiamo sentire un po’ manipolatori, ma del resto nel metodo sperimentale del comportamentismo si prevedeva di manipolare le variabili, però una cosa è manipolare la variabile per andare a influenzare anche negativamente un soggetto o popolazione, altra cosa è stabilire come obiettivo l’avvio dell’autonomia e utilizzare il rinforzo per produrre un certo comportamento che poi va consolidato. Quindi la manipolazione è un rischio reale del metodo che è, però, un rischio da correre per favorire l'adattamento o l’apprendimento di abilità di base; quindi dobbiamo riconoscere che il comportamentismo classico secondo il modello stimolo-risposta è un modello che funziona quando gli ambiti in cui avviene il controllo dall’alto sono necessari. Ciò è vero sia per la disabilità sia in contesti in cui ci si trova ad davanti a sintomi dello sviluppo atipico: esempio per alcuni disturbi del linguaggio, dei tic, nei casi del mancato controllo degli sfinteri, ecc. Se questi però sono dei sintomi di risposta ad un problema come potrebbe essere l’aver subito violenza, si elimina sì il sintomo ma poi se ne ripresenta un altro. Intanto però si può eliminare questo sintomo e poi lavorare sull’origine di questo. Il rinforzo funziona anche nella disabilità intellettiva grave e con gli autisti. Il problema è che i bambini hanno poche ore a disposizione per certe terapie e perché poi i risultati si vedono maggiormente in quei bambini le cui famiglie possono permettersi anche l’educatore a casa. 37 Feuerstein riguarda la stimolazione dell’accomodamento per modificare le strutture ed è chiaro che c’è tutto un set di stimoli che vengono proposti per far sì che la modificabilità avvenga, su questo punto Feuerstein innova rispetto a Piaget. È chiaro che alla base della teoria di Feuerstein c’è la teoria stadiale di Piaget, però anche lui prende spunto da una teoria importante come quella di Vygotskij, perché se noi parliamo della modificabilità e partiamo da un certo livello di quel bambino, diciamo pre-rappresentazionale se noi non entriamo nella zona di sviluppo prossimale, cioè se noi non abbiamo in mente che quel bambino può arrivare alla rappresentazione, noi gli proponiamo degli stimoli sempre di un livello basso o medio; dobbiamo alzare il livello si stimolazione che proponiamo. Come? Sappiamo che è difficile alternare il prompting e il parting (l’aiuto e l’attenuazione, soprattutto se facciamo l’attenuazione troppo presto il bambino crolla, non riesce a raggiungere l’obiettivo e si ha la regressione), in questo caso la responsabilità è lo stimolo giusto e le situazioni adeguate. La difficoltà a livello di stimolo e della modificabilità che prende dentro lo sviluppo prossimale è che occorre tener presente il rapporto che c’è tra il compito che noi proponiamo, la prestazione e il successo o l’insuccesso perché questi vanno ad incidere sull’autostima. Perché parlando di bambini disabili in ogni caso ci può essere il rischio di uno stimolo troppo elevato che può produrre una prestazione troppo bassa, non si raggiungono gli obiettivi e quindi un abbassamento dell’autostima. Un compito troppo basso può produrre un esito che non modifica nulla, non produce cambiamento, quindi bisogna trovare un compito che non oggi, ma domani, il bambino potrebbe raggiungere. Abbiamo poi l’esperienza dell’apprendimento mediato: si considera il profilo individualizzato, cioè “mediato” sta per un modello comportamentista che però considera fortemente l’organismo, cioè il singolo individuo nel senso che la mediazione viene anche rappresentata con la lettera “H” (acronimo di Homo, organismo). La mediazione secondo Feuerstein può avvenire sia ad opera dei genitori che degli operatori. Il ruolo dei genitori una volta che si propone una metodologia, non è un ruolo di “occupazione di spazi”, ma un “rinforzo” di conferma, perché si possono far svolgere a casa le stesse attività che vengono anche fatte a scuola. La mediazione consiste nello scegliere lo stimolo corretto, nell'organizzare lo stimolo, fornire strategie, adattare la risposta dell’individuo e sollecitare la motivazione. Cioè tutta una serie di fasi, queste citate sono solo le più importanti, che vanno dalla scelta dello stimolo fino alla motivazione che sono tutte inserite nei processi apprenditivi e motivazionali. Naturalmente nel processo di apprendimento e nelle motivazioni abbiamo uno spazio rilevante attribuito alle pratiche comportamentali e cognitivo-comportamentali. Per cognitivo noi consideriamo l’organismo, quindi considerando le teorie classiche siamo passati dal considerare lo Stimolo-Risposta (S>R) al modello Stimolo-Organismo-Risposta (SDOIR) e siamo passati dal comportamentismo al cognitivismo mettendo proprio al centro l’Organismo con il quale passiamo a considerare i processi cognitivi interni che sono diverso da individuo a individuo. L’ultimo modello di Feuerstein è il Programma di arricchimento strumentale (PAS), che contiene una serie di stimoli già pronti e divide gli esercizi in 14 possibili aree; ci sono dei fascicoli e ogni fascicolo ha degli esercizi già pronti. Il PAS è un metodo che si focalizza su alcune funzioni strumentale, tenendo conto della zona di sviluppo prossimale. Gli strumenti vanno 40 dall’organizzazione dei punti, a quella spaziale, confronti, relazione analitica, le relazioni familiari, ecc. Ogni strumento introduce una serie di stimoli, tutto ben delineato, ad esempio nell’organizzazione dei punti si inseriscono: i concetti di linea, di figura chiusa, tutto ciò che riguarda l’organizzazione dello spazio e quindi anche della scrittura. Molti di questi esercizi rientrano nella scuola dell’infanzia, ma in questo caso possono essere utilizzati come modalità di intervento per la disabilità intellettiva e in casi di disabilità motoria legate alla scrittura, possono anche essere usati come indicatori di rischio nella scuola dell’infanzia per la disgrafia. Altro intervento è l’ Apprendimento Cooperativo. Quando parliamo di Apprendimento Cooperativo dobbiamo parlare di Rogers che si è occupato di psicoterapia perché si è interessato di apprendimento significativo ed autonomo. Se dobbiamo applicare il Cooperative Learning come tecnica di intervento e strategia di intervento sul bambino disabile, soprattutto all’interno del gruppo classe, dobbiamo partire dalla teoria di riferimento: favorire l’apprendimento significativo. Le parole chiave in questo caso sono: - clima favorevole alla crescita, positivo: il clima presente in classe è legato sia alla nostra leadership che all’attenzione legata a relazioni patologiche, relazioni negative, perché il clima favorevole rende l’apprendimento più rapido; - apprendimento scolastico diventa significativo solo se si considera l’individuo nella sua globalità e nella sua interazione con i coetanei e con l’insegnante. Quindi i concetti centrali del Cooperative Learning sono: clima favorevole e leadership democratica, attenzione per lo sviluppo della personalità nella sua globalità. Ciò perché l’apprendimento significativo è quello che stimola la motivazione al sé, alla riuscita e all’autoefficacia. Il Cooperative Learning molte volte non viene accolto con facilità, la difficoltà nell’accettare il Lavoro Cooperativo è stato l’idea che esso fosse asimmetrico o squilibrato. La difficoltà nello stare insieme, come generalmente pensato, è che c’è sempre l’idea che il lavoro cada sempre sulle stesse persone; infatti si pensa che il Cooperative Learning consolidi l’apprendimento solo di chi ha già un livello medio-alto e che chi invece avrebbe più bisogno si trova più indietro perché tende a rimanere sempre in disparte. Tuttavia occorre, per essere davvero un apprendimento cooperativo, coinvolgere attivamente tutte le persone del gruppo, cioè coinvolgere gli studenti nel processo di apprendimento. Se si propone in classe un apprendimento cooperativo, la prima cosa che si nota è ce i bambini davanti alla proposta chiedono di lavorare con l’amico, ma a decidere i gruppi deve essere l’insegnante in base a certi criteri ben precisi e seguendo delle fasi. Quando l’insegnante entra in classe dice i bambini che quell’argomento sarà sviluppato lavorando in gruppi, ma si devono rispettare alcuni punti. Caratteristiche dell’apprendimento cooperativo: - interdipendenza sociale: possiamo considerare che possiamo avere interessi comuni e che i gruppi sono insiemi dinamici, quindi se in gruppo ci sono due che sanno disegnare bene posso spostare un bambino di questo gruppo nell’altro, perché l’obiettivo centrale è apprendere in modo strategico; 41 - abilità sociali: fare un campionamento, perché dobbiamo avere qualche dato scientifico per comporre il gruppo e utilizziamo scale o test per abilità sociali. L'insegnante girando tra i gruppi fa in modo che si raggiunga anche al consapevolezza che occorre interagire rispettando i turni, l’opinione dell’altro, ecc.; - interazione promozionale face-to-face: dobbiamo modificare lo spazio in modo che ci sia un’interazione faccia a faccia; - responsabilità individuale: deve essere chiarita, occorre lavorare per garantire ad ognuno il proprio spazio, così che ognuno può agire contribuendo con la propria intelligenza. La responsabilità poi motiva i singoli che compongono il gruppo; - valutazione del lavoro: chiarire che il lavoro andrà valutato, perché dobbiamo mettere in condizione tutti di raggiungere il successo formativo. Compiti insegnanti - il gruppo deve essere costituito dall’insegnante come il compito. L'insegnante deve fare delle scelte, non in modo estemporaneo, ma con gli strumenti a disposizione, con dati empirici perché sono da supporto nella scelta e da confronto con i colleghi; - spiegare i compiti: approfondire un tema dividendo il generale in sotto-obiettivi. Prima di parlare dei contenuti è utile che il bambino parli anche delle dinamiche avvenute nel gruppo anche per mentalizzare, così da lavorare sulla dinamica e sul metodo. C’è un livello di funzionamento del gruppo che è importante perché è un livello meta; - interviene e controlla: essendo un sistema occorre agire rafforzando la rete, ad esempio, intorno ad un bambino isolato, agendo magari sull’empatia. Si tratta di una azione non sul singolo. Cooperative Learning - metodo che utilizza gruppi di lavoro: piccoli gruppi per obiettivi condivisi; - migliora il benessere del gruppo, migliora le relazioni sociali (efficace anche con i bambini disabili). Ostacoli - - ansia per la sua applicazione: si ha ansia per la sua applicazione dalla struttura dei gruppi alla classe. Però occorre dare tempo ai piccoli gruppi anche di adattarsi, di attuare un problem solving. Un altro problema è la creazione di gruppi. Tipi di gruppo - Gruppi formali: vanno avanti da alcune lezioni ad alcune settimane per completare il tema/attività; - Informali: da pochi minuti a una lezione; - Eterogenei a lungo termine: trimestre o periodo dell’anno; - Pseudo gruppo di apprendimento: gruppo con stesso interesse; 42 Le cause della sordità possono essere: - ereditarie: dominanti e recessive - acquisite: prenatali (collegate anche ad un’infezione da parte della madre), neonatali (si possono verificare causate dalle infezioni quando si è nei primi due o tre mesi di vita), postnatali. Per quanto riguarda lo sviluppo affettivo e sociale nei bambini sordi, occorre dire che intanto c’è una differenza tra i bambini sordi di madri udenti e le madri udenti dei bambini sordi. Questo potrebbe sembrarci strano perché la disabilità del bambino legata alla disabilità della madre potrebbe avere un affetto amplificatori, ma in realtà l’attaccamento più efficace si ha a parità di disabilità: madri sorde riescono ad attaccarsi di più ai bambini sordi; le madri udenti di bambini sordi sono quelle più a rischio, perché non leggono i segnali del bambino, hanno delle difficoltà come le madri con i bambini pre-termine o di bambini con altre disabilità come con lo spettro autistico. In queste circostanze sono i padri che reagiscono meglio, perché le madri tendono a voler iper-stimolare il bambino e finiscono per allontanare il bambino. I padri, invece, anche se il bambino impiega più tempo, anche durante la terapia per fare un piccolo gioco simbolico rispetta i tempi del bambino, perché meno invadenti e ansiosi. Ciò perché la madre si sente responsabile sempre e comunque della disabilità del bambino, si sente in colpa e cerca di colmare questa colpa con questa iper-stimolazione e con l’invadenza. Intuiting parenting > anche quando i genitori hanno coscienza che il bambino sia sordo o che sia cieco, in modo intuitivo lo stimolano, quasi come se fosse un modo innato di rapportarsi ai piccoli della specie, questo ha lo scopo di stabilire la relazione affettiva e sociale. Sullo sviluppo cognitivo e sulla memoria diciamo che ci può essere un ritardo se non viene applicata la metodologia bimodale (linguaggio dei segni e oralità), possono esserci dei ritardi da attribuire anche alla scarsità di esperienze e al linguaggio (rapporto percezione e linguaggio, soprattutto nella produzione del pensiero astratto tenendo conto dell’ottica di Bruner e Vygotskij. La memoria a breve e lungo temine appare collegata al livello di competenze linguistiche raggiunte ed ai codici utilizzati (visivo-spaziali o verbali-sequenziali). Qui c’è tutto il discorso sul pensiero narrativo, della capacità della verbalizzazione delle emozioni e delle esperienze, del rapporto che c’è tra la rappresentazione mentale dell’evento e rappresentazione linguistica. Molti autori hanno evidenziato che si può parlare di costruzione mentale del sé quando il bambino descrive sé e gli altri. Questa idea di una consapevolezza del sé legata al linguaggio è un po’ stata superata, ma in ogni caso si parla di un sé narrato e di un sé che nei primi mesi è di tipo relazionale ma che non è legato all’autoconsapevolezza. In bambini sordi alla nascita, che quindi non hanno avuto nessuna esposizione al linguaggio si riscontra la preposizione al linguaggio orale, alla comunicazione da parte dell’ambiente e poi abbiamo delle competenze che vanno separate tra quelle fonologiche a quelle pragmatiche. Ricordiamo che Bruner sostiene che si sviluppano prima quelle pragmatiche, perché pre-verbale e linguistica che connota in modo positivo la comunicazione stessa (la mimica facciale è collegata a quel che si dice). Quindi da qui possiamo dedurre che ci sono una serie di difficoltà e nel corso 45 degli anni anche su questo ha lavorato la lingua dei segni: la lingua dei segni è stata adeguata allo sviluppo, naturalmente ci sono lingue dei segni nelle diverse lingue. I metodi riabilitativi sono: - bimodale - educazione bilingue - orale classico - verbo-tonale - tecnologico-informatico - creativo-stimolativo Disabilità visiva- Cecità La cecità ha diverse tipologie: - visus o acuità visiva (distinzione forme a distanza, visione centrale) -. campo visivo (visione periferica) Si hanno diverse intensità. La legge 138 del 2001 di Zanobini, tiene conto di diverse tipologie di cecità che vanno dall’ipovedente lieve al cieco totale. Nella cecità totale non si ha nessuna percezione; nella cecità legale vi è un residuo minimo; poi vi è l’ipovisione. Importante anche in questo caso è l’epoca di insorgenza: dalla nascita oppure subentrata successivamente. Negli ultimi anni ci sono una serie di opportunità legate alle tecnologie che danno la possibilità di non utilizzare solo il linguaggio braille ma anche audiolibri, sintesi vocale, ecc. Si tratta però di tener conto anche dell’accessibilità, ai supporti ma anche agli edifici. Per quanto riguarda le aree di sviluppo, quelle più colpite, possono esserlo direttamente o indirettamente o indirettamente e in base a queste ci possono essere delle aree/sensi che vengono incrementati senza bisogno di stimolo ulteriore. C’è poi uno sviluppo motorio diverso: per esempio andare carponi viene effettuato da seduto per aver un contatto più forte, la percezione manuale dell’oggetto può avvenire più tardi di 5 mesi. Anche il sorriso nella sua struttura non ancora sociale è diverso. Effetti della cecità congenita sullo sviluppo motorio Noi ci orientiamo con il supporto di tutti gli organi di senso, nel caso della cecità ciò avviene in modo diverso,infatti c'è un ritardo nell’acquisizione e nel controllo della postura, perché la motricità legata all’orientamento ha bisogno di esperienze diverse. C’è quindi una motricità grossolana, un camminare barcollando; sia la motricità più fine che quella della corsa come quella che si osserva a tre anni (perché il bambino ha acquisito un certo controllo). Lo sviluppo cognitivo dipende dal periodo di insorgenza. Ricordiamo che Piaget ritiene che il bambino sviluppa la sua intelligenza interagendo con l’ambiente attraverso un processo attivo. Nel periodo senso motorio il bambino acquisisce una certa conoscenza degli oggetti, di coordinazione degli schemi motori (coordinazioni comunque di base, come il mettere in bocca un oggetto) e inizia la sua conoscenza del mondo. Quindi in questo caso ci possono essere dei ritardi, come anche per la 46 permanenza dell’oggetto che viene acquisita più tardi e così tutte le altre fasi, anche perché mancando le immagini mentali vanno poi a ritardare le operazioni concrete e formali. Negli interventi ci si deve soffermare su quello che avviene nello sviluppo senso motorio, perché è qui che avviene una parte importante. Nello sviluppo sociale non ci si può incentrare sullo sviluppo dello sguardo con il quale si fonda anche l’attaccamento, allora si usa il canale uditivo che si accompagna al canale tattile. Rispetto allo sviluppo linguistico c’è questo ritardo perché ritardano le altre tappe precedenti. Bisogna comunque tener presente che alcuni input da parte dei genitori non favoriscono l’acquisizione dl linguaggio come: far riferimento ad oggetti non presenti nel contesto, sovrautilizzare il canale comunicativo senza accompagnamento dell’azione, ecc. Abbiamo poi le pluridisabilità: non sono le somme di più limitazioni o deficit ma l’interazione permanente di patologie e limitazioni all’interno di un sistema dinamico influenzato da ambienti esterni ed interni alla personali. La cecità comunque può legarsi a danni celebrali (le più gravi), ma anche a disabilità motorie, ecc. — Pluridisabilità Lieve (le compromissioni —cognitive, motorie, sensoriali- non determinano una limitazione significativa di percezione ed espressività) — Pluridisabilità Media (l’associazione di un deficit sensoriale ad una disabilità motoria o intellettiva impedisce uno sviluppo armonico del soggetto) — Pluridisabilità Grave (deficit intellettivo e motorio grave, danni cerebrali. Scarsa autonomia percezione, espressività, attività relazionale). Rapporto con i genitori: disabilità e pregiudizi I principali pregiudizi che dobbiamo cercare di eliminare sono: - Che il disabile è un infelice; - Cheil disabile non è la persona non capace; - Che il disabile non è malato; - Nonè bisognoso di aiuto per definizione; - Nonè debole. BREVI CENNI SULLA FAMIGLIA METODOLOGIE DIDATTICHE PER= i i L'INTEGRAZIONE DELLA La scelta di avere un figlio... DISABILITÀ 2 Ascolto attivo o Diagnosi (quando viene comunicata, come viene 1 . comunicata, a chi?) > Conversazione o dialogo 0 Tipologia (malattia rara-genetica/deficit di altra natura) o Shock (bambino immaginario/bambino reale, trauma, 2 Role-play, depressione. negazione del problema) 3 Lavori di gruppo La a Costmittivismo o Tperpretettività/Traseuratezza » Apprendimento cooperativo o Mamma chioccia/Padre lavoratore » Tutoring Sono dei pregiudizi che hanno un effetto alone e che sono in realtà radicate culturalmente. 47 oggi per curare le balbuzie, 16 seminario sull’autismo 4h, 15 seminario, 21 maggio 4h seminario sulle nuove famiglie, 22 maggio seminario DSA?, seminario DSA e le abilità logico-matematiche). DSM come tratta l’autismo, i criteri diagnostici: > deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molti contesti, deficit della reciprocità socio-emotiva, vanno dall’approccio sociale anonimo e dal fallimento della normale reciprocità della conversazione ad un ridotto interesse per il sentimento, all’incapacità di dare inizio o risolvere le interazioni sociali. Reciprocità socio-emotiva è la parola chiave. >» deficit comunicativi non verbali: sono quei deficit che vengono chiamati anche la pragmatica della comunicazione. > deficit dello sviluppo, della gestione e della comprensione delle relazioni che potremmo anche chiamare come deficit della percezione e della cognizione sociale. Da tutto ciò ci possiamo rendere conto come siamo lontani dall’idea dell’autismo come isolamento. Nell’autismo sono dei deficit molto precisi. Questi deficit vanno considerati su due livelli o per lo meno secondo due approcci: 1. conoscere questi deficit può aiutarci a capire che tipo di intervento si può proporre; 2. che cosa valorizza quello che stiamo dicendo? Valorizza quello che viene chiamato il Parent Training che non significa che la responsabilità è materna e allora facciamo un training alla madre o al padre per fare recuperare queste abilità e competenze sociali che i genitori non hanno, invece vuol dire che considerato che le relazioni sociali si sviluppano all’interno di una fase precoce che vogliamo chiamarla attaccamento o intersoggettività, considerato tutto questo noi dobbiamo aiutare i genitori a instaurare questo rapporto. Abbiamo criticato Michele Zappella con il suo costringere la madre a farsi guardare dal bambino perché questo è holding. Holding è stato poco efficace anche rifiutato perché ritenuto frustrante e dannoso per la salute mentale della madre: perché avevamo di fronte questa madre che doveva far sì che il bambino già grande la doveva guardare. In parent training invece che funzione ha? Intanto noi lo proponiamo partendo da un punto di vista diverso: noi diciamo ai genitori guarda c’è un rischio, una diagnosi di una possibile sindrome autistica, il tuo bambino ha delle difficoltà (come ci dicono anche le Linee Guida), c è questa eziologia, è un disturbo biologico ecc. spieghiamo tutto questo e poi diciamo che il bambino può essere aiutato favorendo le relazioni sociali. È un metodo molto diverso il training rispetto all’holding. Si favorisce nel training, il gioco, in parte il momento di autonomia, di esplorazione da parte del bambino. Questo è molto diverso dall’holding per il quale tu vai li e sai già di avere una responsabilità, devi riparare un danno. L’holding aveva quest’idea: la madre aveva prodotto questo danno che doveva essere riparato. Il parent training è importante perché stiamo parlando di abilità e competenze sociali che hanno la loro origine nelle prime relazioni, pertanto non c’è un isolamento bensì un deficit di queste abilità. In questo deficit è importante guardare quali sono i comportamenti coinvolti e poi vedere come poter agire. Il livello di gravità può riguardare non solo la compromissione delle relazioni sociali, ma anche il tipo e la frequenza dei comportamenti stereotipati (è un disturbo del neuro sviluppo). Il DSM parla dei vari aspetti dell’autismo: reciprocità precoce ne hanno parlato gli autori dagli anni 70 in poi, che hanno discusso anche del tema dell’intersoggettività, autori come Bruner e Trevarthen (secondo Bowlby il legame di attaccamento è una fusione filogenetica, dalla parte dalla psicanalisi per 50 arrivareall’etologia). Tra i comportamenti deficitari c’è quello che Bruner chiama attenzione condivisa ossia joint attentation. Quando la psicologia dello sviluppo ci parla di legame essenziale per la salute mentale? Questo disturbo mentale non si verifica quando abbiamo quello che è definito da Bowlby legame sicuro. Noi per adattarci abbiamo bisogno dell’attaccamento questo ci manda un segnale chiaro sul disadattamento di alcuni comportamenti: il comportamento di un bambino che fin dalla nascita non avvia questo percorso è un comportamento disadattato perché non crea l’imprinting. In alcuni casi i maltrattamenti derivano da un fallimento dell’imprinting. Il bambino che non si attacca secondo l’ottica evoluzionistica ha difficoltà nel sopravvivere. Quindi il bambino che non ha la reciprocità potrebbe essere non adatto, questa visione evoluzionistica ha qualche conferma anche in altre situazioni: un bambino che abbia delle difficoltà neurologiche alla nascita per cui non ha la suzione (comportamento che crea l’imprinting) è un bambino che potenzialmente potrebbe morire. Autismo: bambini con difficoltà di adattamento. L’ipotesi di Bowlby ci intessa perché già negli anni 50 ci ha parlato di salute mentale legata all’attaccamento. Per lui l’attaccamento si basa su meccanismi innati che permettono lo stabilirsi delle comunicazioni che sono degli aspetti assenti elle prime fasi dello sviluppo del bambino col sospetto di autismo. Questa assenza viene messa in evidenza dai genitori. L’autismo è quel tipo di disabilità che ha il maggior numero di associazioni di genitori, è un disturbo che mina alla base quello che costruisce un individuo (le relazioni). Ci sono due approcci che forniscono un supporto per definire l’autismo sono: 1. l’intersoggettività 2. l’approccio epigenetico: nella relazione tra il bambini e gli altri entrano in gioco fattori ambientali legati più che a un ambiente favorevole a quello nocivo (gli inquinamenti ambientali sembra che intervengano e creano dei disturbi neurologici). L’epigenetica ha prodotto un interessante ipotesi che troviamo principalmente nel libro La mente relazionale di Siegel. Nella mente relazionale la connessione tra i neuroni sono create dalle relazioni. Queste sinapsi relazionali vengono costruite fin dai primi mesi di vita. manifestazione dei disturbi: il bambino non risponde quando viene chiamato, non risponde agli stimoli sociali. Che cosa sta perdendo questo bambino? Sta perdendo le sinapsi perché non le sta costruendo, questo ci porta a mettere in evidenza il parent training che lo possiamo usare anche nel caso dei bambini pretermine con sospetto dell’autismo. Pertanto l’ipotesi della mente relazionale è molto importante perché pone al centro le relazioni, la reciprocità. Il pianto di un bambino autistico è molto particolare. Negli anni Settanta viene superata la teoria dell’attaccamento di Bowlby, perché autori come Trevarthen e altri hanno iniziato a parlare della costruzione della conoscenza per cui tutto si basa sulla comunicazione. Bowlby diceva che fino ai di 6 mesi cresceva l’attaccamento, 6-7 mesi si manifesta invece la paura dell’estraneo. Gli autori degli anni 70 invece ci parlano di 2-3 mesi, tra il bambino e la madre siamo davanti ad un sistema aperto, le prime interazioni sociali fondono lo sviluppo mentale: relazioni precoci. Nell’autismo abbiamo il deficit di queste capacità e competenze. Sistema di valutazione neuropsicologica: scala di Bresenton? ancora oggi molto utilizzata. Sviluppo tipico del bambino, manifestazioni (intersoggettività primaria): ® Contatto occhio occhio: direzione dello sguardo, interesse per il volto materno 51 * sorriso sociale: da parte della madre e del bambino come stimolo reciproco come interdipendenza * comportamenti prelinguistici * localizzazioni del piacere * comportamento sociale diatico perché è una diade la relazione tra l’adulto e il bambino * reciprocità, sincronia, coordinazione, armonia: parliamo della capacità di seguire quello che il partner sta proponendo, di essere influenzato e di influenzare il partner stesso. * Èunbambino pronto all’adattamento, alla sopravvivenza Daniel Stern psicanalista ha considerato questi comportamenti dello sviluppo tipico. Oggi si può avere la diagnosi precoce: un anno, un anno e mezzo. Nella relazione inizia la madre a sorridere, ad usare il baby talk e il baby sounds (la madre imita qualunque suono il bambino manifesti). Nello sviluppo tipico il bambino guarda la madre la imita e vocalizza, questo viene considerato una reciprocità. Tronick parla della contingenza interpersonale: nel contesto della diade io bambino nel mio sviluppo tipico mi comporto in modo adeguato rispetto alle situazioni. Volto inespressivo che si chiama depressione simulata: quando noi abbiamo un genitore con una diagnosi psichiatrica di depressione ha un comportamento imprevedibile in quanto mentre sorride al bambino può fare il volto inespressivo e il bambino a 2 mesi è in grado di riconoscere tutto questo. Davanti a un volto inespressivo il bambino si comporta in modo contingente. Quindi nella reciprocità entrano anche le emozioni e la capacità di esprimerle e di rispondere alle emozioni stesse. Si dice che il bambino autistico non provi emozioni, non riesce ad esprimerle, ma non è proprio così perché ciò che manca è la contingenza (il bambino non avendo la reciprocità non riesce ad esprimere in modo corretto le sue emozioni). Intersoggettività secondaria: (deficit della joint attention) è legata di più all’aspetto cognitivo, contesto legato all’esplorazione, al rapporto con gli oggetti e all’acquisizione del linguaggio, consolidamento delle relazioni sociali. Parliamo di legame triadico: il bambino, la madre e il mondo esterno. Stiamo passando dalla reciprocità ai comportamenti comunicativi non verbali (secondo criterio). Primo criterio diagnostico: da Bowlby fino a Trevarthen e poi a Bruner troviamo la reciprocità principalmente. L’intersoggettività secondaria triangola l’oggetto (triangolo percettivo), stiamo parlando di 4-5 mesi e a quest’età un bambino nello sviluppo tipico manifesta almeno due comportamenti molto importanti: 1. Attenzione condivisa o joing attention (precede la teoria della mente): guarda un oggetto prima il bambino e poi guarda la madre. La madre intercetta lo sguardo del bambino e si crea l’episodio di attenzione condivisa (3-4 mesi). Ne segue che la madre prende l’oggetto e lo fa vedere al bambino. Poi quando il bambino sarà più grande la madre avvierà la funzione semiotica (ripetizione delle parole). Vi è l’attenzione per il mondo esterno. Prendere il turno nell’ambito comunicativo. 2. Indicare o pointing Questi due comportamenti sono deficitari o assenti nei bambini autistici. A_2 mesi inizia la reciprocità, a 3 mesi è consolidata (bidirezionalità). Il rapporto tra sviluppo tipico e quello atipico non è così distante. Nella relazione triadica possono esserci due motivazioni: 52 sostituita poi dall’INDICARE, prima della teoria della mente. L ‘attenzione condivisa può avvenire o con lo SGUARDO o col GESTO. Probabilmente anche 1 ‘Indicare è assente nel bambino con spettro autistico. Quindi, gli manca tutta una parte di costruzione cognitiva. Qualunque sia il suo livello di gravità manca. Una bambina di cui vi sto parlando, ad alto funzionamento, ha dovuto fare esercizio per indicare. Che vuol dire esercizio? Una serie di interventi a livello cognitivo- comportamentali in modo che il bambino quando vuole un oggetto inizi a indicare. Pensate come è banale e scontato per noi che un bambino nello sviluppo tipico voglia un oggetto e ce lo indichi, eppure questo pointing, questo indicare; uno dei comportamenti studiati da CAMAIONI in collaborazione con altri colleghi, soprattutto inglesi. Ebbene, questi autori posero al centro, quando iniziarono a mettere in evidenzia che non c’era la teoria della mente, perché loro iniziarono a studiare la teoria della mente nello sviluppo tipico, come vi dicevo c’è questo passaggio dalle ricerche dello sviluppo atipico a quello tipico e viceversa; iniziarono a studiare la teoria della mente , elaborarono questi esperimenti e videro che prima della teoria della mente, c’era il pointing e prima ancora l’attenzione condivisa e dopo iniziarono a osservare che erano completamenti assenti nei bambini con lo spettro autistico; cioè pensate un comportamento come indicare che a noi sembra , sul quale non abbiamo mai posto grande attenzione e invece, pensate al percorso mentale del bambino indica prima ancora di poter dire una sola singola sillaba di quell’oggetto, indica e noi prendiamo l’oggetto , glielo denominiamo e tutto questo avviene molte volte al giorno in quanto il bambino si avvicina all'oggetto, lo prende lui o lo indica lui, e inizia a costruire il suo linguaggio. Allora, noi secondo Bruner, nello sviluppo tipico nelle altre forme di sviluppo, nello sviluppo tipico noi quindi abbiamo una continuità della comunicazione, quindi passiamo dalla comunicazione non verbale, pre-linguistica passiamo a quella linguistica, quindi il linguaggio ci dice Bruner, viene acquisito anche attraverso questi comportamenti. E questo, probabilmente ci fa capire come anche nell’alto funzionamento ci siano gravi ritardi del linguaggio, ci siano le famose ecolalie, forme di linguaggio che non riescono a comunicare, questo ci fa capire come anche nei comportamenti motori, e come sappiamo queste sono anche ripetizioni che riprendono un po anche i comportamenti stereotipati, anche il linguaggio tende ad avere questa caratteristica. Quindi, che cosa è fortemente carente? Non c’è l’isolamento, c’è un Ritardo, una difficoltà nella comunicazione, sia che parliamo di reciprocità, di contingenza interpersonale, sia che parliamo di questa continuità pre-linguistica che linguistica perché pensateci un po’: se questi bambini non hanno questa esperienza diciamo che avviene nel pre-linguaggio dell’indicare, di iniziare a dire le prime sillabe riguardanti un certo oggetto come fanno poi a esprimere con le parole o con le frasi il loro pensiero?!. Dobbiamo anche considerare che quando siamo nella fase dei 2- 3 anni che è la fase critica , in quel momento se si riesce a sbloccare il linguaggio, anche nell’alto funzionamento, il pensiero procede, altrimenti anche il pensiero viene fortemente ritardato. È questo conferma le teorie vigoskiane che le bruneriane, su questo non possiamo concordare con Piaget che il pensiero viene prima di tutto, e dopo il pensiero favorisce il linguaggio. Il modello di Vigoski che noi troviamo molto chiaro in Bruner invece è quello che ci convince di più. E allora oltre alla continuità pre- linguistica e linguistica, c’è un altro aspetto molto importante che è la famosa INTENZIONALITA?. Il concetto di intenzionalità è stato molto studiato dalla psicologia e dalla psicologia dello sviluppo perché cosa c’è dietro l’intenzionalità? C’è la costruzione del sé. l’intenzionalità produce la consapevolezza che posso comunicare o non comunicare; promuovere un’azione, attivare un comportamento o non; l’intenzionalità quindi costruisce il sé, costruisce l’io. L’intenzionalità mi permette di distinguere 55 tra il me e non me perché io posso avviare un certo comportamento, posso avere , diciamo promuovere una comunicazione, quindi il tema dell’intenzionalità viene visto, vissuto da Bruner nell’ambito comunicativo. E dice infatti che l’intenzionalità permette di “anticipare” il comportamento. E che vuol dire? Vuol dire che se io ho la teoria della mente degli altri, quindi se io ho questa capacità di comprendere come funziona la mia mente e come funziona la mente della figura di riferimento, io posso decidere, posso operare una scelta, posso intenzionalmente mettere in atto un certo comportamento. Pensiamo a quello che viene osservato negli ultimi anni, vi ricordo la capacità del bambino di comprendere non solo le azioni ma anche le conseguenze delle azioni cioè un bambino che rompe qualcosa già a 1 o 2 anni nasconde quello che ha rotto oppure si mette addirittura davanti e ci fa capire che c’è qualcosa che non va, oppure ce lo comunica. In ogni caso, già quando è molto piccolo sta anticipando un comportamento, capite che è un comportamento cognitivo elevato perché anticipa il comportamento e quindi, prevede quello che potrebbe accadere e ha un sistema di aspettative che non è molto diverso dal nostro perché per es poi quell’emozioni che vengono definite condivise socialmente, (l’imbarazzo, la vergogna, il senso di colpa) a quest’età già a 1 anno e mezzo, due, iniziano ad essere acquisite perché se il bambino rompe qualcosa e l’adulto non finge che non sia accaduto niente ma in qualche modo mette in evidenza che è qualcosa che non si fa, quindi mette dei confini, inizia ad instaurarsi un’emozione socialmente condivisa che è il SENSO DI COLPA. E capite che tutto questo non crea frustrazione o ostacolo come tante volte si pensa ma anzi, supporta la creazione della propria identità, mettere dei confini , aiuta il bambino alla costruzione del sé . Quindi, questo è il percorso del quale ci parla Bruner nello sviluppo tipico ed in quello in cui probabilmente non solo è fortemente carente ma anche a volte assente. c’è una comunicazione vera e propria ; c'è una comunicazione verbale e non verbale; c’è la pragmatica. Ora, la pragmatica della comunicazione è molto importante da conoscere, da riprendere ( vi scansionerò delle parti sulla pragmatica) perché nel momento in cui noi abbiamo davanti un bambino che abbia una carenza di comunicazione, dobbiamo capire quali sono le leggi della comunicazione. Ci sono degli ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE, e questi assiomi della comunicazione che ci servono per il bambino con spettro autistico; per tutti gli interventi che abbiamo detto devono riguardare la gestione della classe; il primo assioma che può sembrare strano , anche perché una di voi mi ha detto “se un bambino non parla, se rimane in silenzio come faccio a comunicare”?. Allora il PRIMO ASSIOMA dice che: NON SI Può NON COMUNICARE e quindi il silenzio, il comportamento, l’evitamento dello sguardo che noi interpretiamo come “non vuole comunicare”; come” un rifiuto della comunicazione” è già una comunicazione. Vi dicevo, gli assiomi della comunicazione che vengono fuori dalla pragmatica sono molto importanti, è il primo è che non si può non comunicare. Gli altri interessanti sono legati al rapporto che c’è tra comunicazione verbale e non verbale, e quindi all'importanza, anche quando proponiamo degli interventi , ma naturalmente ci sono delle tecniche per la comunicazione , la famosa C.A, “la comunicazione alternativa”, quindi su questi temi ci sono anche delle tecniche che intervengono ma alcuni principi base io vorrei che li condividessimo. Il PRIMO è appunto questo che SI COMUNICA SEMPRE. Il SECONDO è che ci deve essere un legame tra IL VERBALE E IL NON VERBALE, è il legame viene dato dal fatto che il contenuto di quello che noi vogliamo comunicare deve essere congruente con le modalità della comunicazione, con la pragmatica, cioè se noi vogliamo comunicare con grande interesse e verbalmente diciamo “parla perché io ti ascolto” lo dobbiamo accompagnare con un non verbale adeguato, contingente (e non sempre lo facciamo). Se io sto inviando un segnale di ascolto che comportamenti non verbali devo 56 avere? la direzione dello sguardo, un’espressione distesa, un’apertura, un corpo che nn sia vicino ( già la posizione del corpo indietro manda un segnale di distacco). Quindi, tutte una serie di comportamenti non verbale che, soprattutto in alcune situazioni, quando ancora l’uso del linguaggio non è molto sviluppato diventano addirittura più importanti del verbale. Quindi, cerchiamo di capire come usiamo il nostro non verbale, come usiamo il nostro corpo, come usiamo le nostre braccia, come usiamo il nostro viso quindi la nostra espressione facciale, come usiamo il tono della voce. Tutto questo fa parte della PRAGMATICA. Cioè la pragmatica è costituita da tutto il non verbale, quindi dall’uso del corpo, dalla postura , dai gesti, dall’espressione facciale e dal tono della voce. E ricordiamo che quando il bambino è ancora a un livello di non comprensione verbale, per diversi motivi, per l’età o per la forma di disabilità , tante volte come facciamo noi? stabiliamo Un contatto fisico. Naturalmente, per i bambini con disturbi dello spettro autistico che tendono , noi immaginiamoli come dei bambini sommersi dagli stimoli quindi dobbiamo cercare di limitare gli stimoli, e come vedrete, come forse già sapete strutturare bene l’ambiente, mettere dei confini per non invaderli ma in tutte le situazioni nelle quali il verbale non passa, il non verbale passa per diversi motivi: perché filogeneticamente noi veniamo da un non verbale, e non è un non verbale di cento anni fa ma di milioni di anni fa. un libro “comunicazioni umane”, in questo libro molto importante perché utile per tutti gli interventi, perché mette in evidenza una serie di aspetti, mette in evidenzia che come operatori dovranno valutare come il nostro non verbale viene vissuto dagli altri prima ancora di qualsiasi tipo di intervento. Se per es mi accorgo che tendo a usare troppo l’espressione depressa, o troppo l’espressione sorridente, quindi un controllo dell’uso del corpo e delle mani, al di là di questo, in questo libro c’è un aspetto che diciamo oggi ci sembra controverso perché in questo libro si inizia a parlare delle madri che creano la schizofrenia, situazioni di dissociazione, soprattutto le madri ma anche in genere i genitori, e perché? Perché si mette in evidenza che c’è quello che viene definito il DOPPIO LEGAME, la teoria che è presente in questo libro è quella di DOPPIO LEGAME. La teoria del doppio legame sembra che possa anche trovare uno spazio in questa comunicazione che viene chiamata PARADOSSALE, un po’ quella che vi ho detto poc'anzi, “io ti aspetto, parla, ti ascolto”, e il mio non verbale è quello invece del massimo disinteresse: distogliere lo sguardo, o avere espressioni neutre o negative, e quindi questo doppio legame , questa dissociazione fra le parole affettuose, legate a questa doppia relazione e il non verbale che invece manda un segnale completamente opposto, secondo questi autori sarebbe all’origine della dissociazione della personalità, del disturbo bipolare. Tutto questo appunto, come capite bene, è stato completamente rivoluzionato, confutato. Però somiglia un po’ a quello che abbiamo detto rispetto all’autismo, come sapete in molti casi quando si parlava di madri fredde e distanziate, si parlava di madri che potevano generare schizofrenia o psicosi infantile, quella che prima si chiamava così, adesso si chiama disturbi del neuro sviluppo che è l’autismo. “L’EPIGENETICA”, le ultime ricerche. Vi ho dato la parte che riguarda l’epigenetica , quella sulla mente relazionale. Su quello dobbiamo ricordare quello che abbiamo già detto, che secondo le teorie più recenti il cervello del bambino viene costruito in base alle relazioni, le relazioni sociali creano il cervello del bambino. Esperienza ambientali di deprivazioni, di maltrattamento o aspetti derivanti dalla incapacità di rispondere a questi stimoli e quindi di utilizzare queste situazioni positive, come nel caso della sindrome dello spettro autistico eliminano intere parti del cervello, nel senso che dalle neuroimaging si vedono proprio che ci sono delle parti del cervello che non si attivano allora questo non vuol dire che rimarranno per sempre così, non c’è né determinismo assoluto né c’è la rigidità di pensare che ciò che non si sviluppa in un certo contesto 57 certo ingrediente quindi attirarono da questo, e poi accadde che entrarono in contatto con altri genitori. Io ricordo, alcuni anni fa, il presidente dell’ASSOCIAZIONE NAZIONALE GENITORI SINDROME AUTISTICA, io conobbi il presidente nazionale a un convegno, un presidente che veniva da Bologna, erano appena iniziati gli studi, c'erano poche sedi in Italia e mi rimase in mente che in quell’occasione io trattai in quel seminario cosa accade nei primi anni di vita, vi ricordo da 0 a 3 anni. Era un seminario organizzato dall’amministrazione comunale, e questo genitore alla fine mi parlò spensando che io fossi in quell’area, cioè che parlando dell’importanza delle relazioni da 0 a 3 anni, vorresti dire se c'è un bambino che ha un problema dipende da quello che accade nel suo ambiente. Ma siccome io avevo letto qualcosa su questo, lo rassicurai e parlammo a lungo e mi colpì molto quello che lui mi disse, mi disse che a livello nazionale e internazionale si stavano sottoponendo dei sacrifici economici per finanziare delle ricerche che potessero appunto fargli uscire da quelli che non li convinceva più, perché non erano convinti che i loro figli avessero problemi socio emotivi, che fossero geniali e che avessero un intelligenza nella norma. Lui stesso disse non è così, ci sono appunto dei bambini che hanno gravi ritardi, gravi disabilità intellettive e non possiamo pensare che tutto derivi da quello che accade in famiglia nei primi mesi di vita e mi parlò anche delle difficoltà di coppia, delle difficoltà che la famiglia aveva manifestato in questa occasione, quindi ricordiamo che il modo inatteso perché probabilmente parlando sempre di autori di neurologi, di psicologi si può pensare che l’input alla ricerca sia venuto da questi ricercatori, in parte sì ma è stata l’ostinazione di questi genitori che ha fatto partire il tutto. Il tema all’insorgenza precoce è quello che consente di mettere insieme tutti questi disturbi come la disabilità intellettiva, come il linguaggio, l’iperattività che di solito per essere classificati secondo il DSM devono avere un’insorgenza entro il 18esimo anno di età. Ricordiamo anche , che pure la schizofrenia ha un’insorgenza nell’età giovanile. E abbiamo poi , queste sono le classificazioni che voi conoscete ad ALTO FUNZIONAMENTO E A BASSO FUNZIONAMENTO con la sindrome di asperger, e vediamo quali possono essere le eziologie. Le vediamo un po’ velocemente perché alcune le avete già trattate e perché di altre parleremo con il collega. Intanto, ricordiamo che ci sono diverse fonti eziologiche nell’autismo, sapete che ci sono delle fonti neurobiologiche, e tra queste c’è uno di quei indicatori che sarebbe facile individuare, es. le dimensioni della testa. Parlando con i colleghi che si occupano di questo tema, per es. appunto quando abbiamo visto qui PAOLA VENUTI che aveva questo protocollo di alcuni anni coni pediatri di base, i neuropsichiatri, quando c’era qualche dubbio nella madre si aggiungeva questo indice della dimensione dell’allargamento anormale della testa per un aumento della materia bianca, probabilmente quello che convince di più è qualcosa che riguarda il CONNETTOMA, c’è qualche difficoltà nella connessione tra le aree celebrali, questa è l’ipotesi che negli ultimi anni si sta sempre più verificando ed è quella che proprio lo scorso anno ci è stata presentata da questo pediatra, ed è quella nella quale noi abbiamo visto l’intervento dell’ambiente sui geni, non sul gene singolo ma sulla possibilità di connettersi. Questo gruppo di pediatri sta cercando di vedere come questa alterazione nelle connessioni neuronali possa alterare il connettoma da prima della nascita. Ci sono degli studi sulle placente che arrivano dalle cosiddette zone a rischio, ne abbiamo una in Calabria, sappiamo che a Crotone hanno fatto degli studi , Taranto, Casale Monferrato, stanno studiando le placente per capire fino a che livello passi questo inquinamento. Passa l’inquinamento atmosferico ma perché l’inquinamento elettromagnetico, tutto quello collegato ai ripetitori, quindi qual è l’ipotesi che sembra più plausibile? Perché c’è un 60 aumento nei casi della sindrome dello spettro autistico, cioè l’epidemiologia ci dice che c’è un aumento. Da una parte perché c è una maggiore capacità di diagnosi, però non basta, quindi si sta studiando fino a che livello possa arrivare l’inquinamento che altera il meccanismo cellulare e che interviene non solo sullo sviluppo neurologico ma soprattutto quello che è molto importante sono le CONNESSIONI, non sono i singoli geni, i singoli neuroni ma cosa accade nella parte che connette? Perché è lì che sta la nostra intelligenza, il nostro adattamento, nella CONNESSIONE. Allora, naturalmente negli ultimi anni sono anche aumentati gli studi sulla familiarità e questo ci fa pensare a una qualche responsabilità genetica per cui per es. nei gemelli monozigoti si arriva quasi al 70% di trasmissione ereditaria. Dobbiamo sempre considerare che sono gemelli che vivono nella stessa placenta. Gli studi sulla familiarità, il 70% che si trova sui gemelli monozigoti e c’è un’altra ricerca si parla di fenotipo, il fenotipo è quello osservabile, il genotipo è quello interno. Si parla di ENDOFENOTIPO nel caso dell’autismo, cioè vuol dire che ci sono delle caratteristiche ereditabili che sono associati a delle condizioni patologiche ma che non producono direttamente il sintomo, quindi ci sono delle caratteristiche associate a delle condizioni patologiche ma che non sempre producono il sintomo . è a questo proposito c’è questa ricerca che ho citato del 2001, nella quale questo autore dice che in genitori con bambini con sindrome autistica hanno tratti di personalità particolari, cioè sono rigidi, sono molto ansiosi, hanno poche relazioni sociali e hanno dei deficit nelle funzioni esecutive. il fatto che ci siano delle caratteristiche ereditarie potrebbe avere un qualche interesse sempre nell’ottica non del determinismo ma dei fattori di rischio anche se andiamo sempre di più verso un’attenzione tra quello che possiamo vedere all’interno del cervello e quello che è il comportamento vero e proprio. Abbiamo alcuni dati sul funzionamento celebrale che per es. possono riguardare il sistema delle emozioni che è fortemente alterato, il sistema limbico, e l’amigdala, sono fortemente alterati, è questi diciamo sono studi che sempre di più vengono confermati. Si osserva che c’è questa difficoltà che ricordiamo non vuol dire assenza di emozioni, e non vuol dire isolamento; vuol dire difficoltà di esprimere le emozioni e di rispondere alle emozioni dell’altro che secondo me non è tanto diverso da quello che abbiamo detto poc’anzi sull’attenzione condivisa sulla teoria della mente; non è che la teoria della mente ci parla solo dei processi cognitivi, noi con la teoria della mente anticipiamo il comportamento degli altri ma anche le emozioni: il bambino che nasconde l’oggetto rotto anticipa la rabbia di chi vedrà quell’oggetto tanto che tanto più l’oggetto lui sa essere prezioso per l’altra persona, tanto più lui manifesterà paura anticipando quindi la reazione dell’altro. Ricordiamo quindi che quando parliamo di sistema limbico e di emozioni , e di amigdala, parliamo anche della capacità di manifestare le emozioni degli altri. Poi abbiamo appunto delle difficoltà in un’altra parte che è quella legata alla pianificazione e all’astrazione, noi abbiamo già detto che in alcuni casi abbiamo situazioni di basso funzionamento ma che nell’alto funzionamento la capacità di astrazione ha dei problemi perché noi stiamo parlando di metacognizione, quindi di cognizione della cognizione, di processi cognitivi superiori che quindi sono inevitabilmente collegati alla pianificazione e all’astrazione perché poi quando pariamo di comportamento ripetitivo e stereotipato che caratterizza un po’ tutte le forme, noi stiamo parlando di che tipo di pensiero? Un pensiero rigido, quindi il pensiero rigido, il pensiero poco aperto alla pianificazione, alla programmazione è il pensiero del bambino. Ma perché è rigido ? ancora secondo molti autori perché riceve sempre molti stimoli e quindi deve mettere dei confini. Perché uno degli interventi di base centrali è quello di strutturare gli ambienti? Perché strutturando l’ambiente non lo costringiamo a un'eccessiva rigidità, può 61 liberare alcuni comportamenti stereotipati perché se noi già lo delimitiamo si rassicura e quindi può aprire un po il suo cervello rispetto all’eccessiva rigidità che ha. Quindi corteccia frontale e pre-frontale; astrazione; pianificazione. I principali disturbi che abbiamo detto sono nell’area dell’intersoggettività che come abbiamo citato le ipotesi sui neuroni specchio eventualmente appunto chiederemo al collega di parlarne e sono diciamo gli ambiti più nuovi della ricerca neurologica, quindi che vengono diciamo da Rizzolati perché gli allievi di Rizzolati sono in tutto il mondo come ricercatori e poi, nel funzionamento cognitivo abbiamo delle difficoltà di connessione tra le diverse aree per es tra l’area sensoriale, quella delle funzioni esecutive e le principali difficoltà riguardano la globalità del comportamento del bambino con sindrome dello spettro autistico. Ora rispetto a questi temi, come organizzeremo il lavoro nei prossimi giorni? Intanto chiudiamo l’incontro di oggi ricordando che abbiamo cercato di definire, di completare il quadro dello sviluppo tipico per vedere quello che non è presente nello sviluppo atipico soprattutto legato alla sindrome dello sviluppo dello spettro autistico e per confutare alcuni errori sistematici di valutazione, che hanno bisogno di essere confutati per intervenire. L’intervento deve essere: più precoce possibile, deve strutturare l’ambiente, favorire le relazioni soprattutto nei primi mesi di vita perché le relazioni che possono essere più favorite aiuteranno il bambino a recuperare alcuni comportamenti che per la sua struttura celebrale non riesce a realizzare, e che oltretutto questi comportamenti vedono preparati i genitori, i genitori sono pronti a essere i genitori, ad avviare le relazioni sociali, a supportare ma quando sono davanti a un rifiuto da parte del bambino hanno delle difficoltà, pensano di essere intrusivi, di dover lasciare più tempo, immaginano che ci sia un ritardo nel raggiungimento di queste tappe che poi si raggiungerà , ecco perché anche la diagnosi viene tardi, perché si pensa a un ritardo e non invece a questi comportamenti che potrebbero non verificarsi mai. 62
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved