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Appunti Vari di Italiano, Appunti di Italiano

Sintesi su: Positivismo, Evoluzionismo, Naturalismo, Verismo, Verga, La Scapigliatura, Carducci, Simbolismo, Estetismo, Decadentismo, Pascoli e D'Annunzio.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 08/04/2018

erica-mignogna
erica-mignogna 🇮🇹

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Scarica Appunti Vari di Italiano e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! POSITIVISMO. In Europa, nella seconda metà dell'Ottocento, si va affermando un distacco polemico dal Romanticismo, che coinvolge tutti i suoi aspetti più deteriori e manieristici: sentimentalismo, soggettivismo esasperato, esotismo e medievalismo. Un'importanza determinante in questa svolta assume la diffusione della filosofia positivistica, che investe anche la mentalità comune. Il Positivismo Il Positivismo nacque in Francia ad opera di Auguste Comte (1798-1858), e prese il nome di "positivismo"appunto dall'espressione "filosofia positiva", utilizzata da Comte per indicare una riflessione filosofica volta all'esame del dato di fatto, di ciò che è concreto e positivo. Il Positivismo è infatti caratterizzato dalla tendenza a considerare base di ogni autentica conoscenza solo i dati reali e concreti e dall'invito a prendere in esame solo i fatti reali ed ad analizzarli in modo scientifico. Alla scienza, in particolare, il Positivismo attribuisce il compito di individuare le leggi che governano la realtà naturale, umana e sociale, evitando ogni speculazione sull'esistenza di entità superiori e sulle cause ultime dell'essere. A partire appunto dalla scienza, la filosofia positivista si propone di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dell'umanità. I Positivisti espressero la convinzione che il genere umano procedeva in modo continuo ed inarrestabile verso un grado sempre maggiore di giustizia e di benessere: il movimento positivista si rivelò così caratterizzato da una sorta di ottimismo acritico, in parte comprensibile se si tiene conto dei grandi progressi tecnici e scientifici dell'epoca. L'ottimismo positivista riflette di fatti la sicurezza della borghesia. Il Positivismo tentò di applicare i principi e i metodi delle scienze naturali allo studio della società e dell'uomo: così il suo fondatore, il francese August Comte è anche il fondatore della moderna sociologia, cioè della disciplina che studia in modo scientifico la società, come se si trattasse di un organismo naturale. EVOLUZIONISMO. Sempre partendo dai presupposti del Positivismo, il filosofo e naturalista inglese Charles Darwin (1809-1892) arrivò a formulare la rivoluzionaria teoria biologica dell'evoluzione naturale degli esseri viventi, che studia anche l'uomo, ultimo anello della catena naturale. Secondo Darwin, infatti, all'interno delle varie specie viventi avviene un vera propria lotta per l'esistenza; a causa di essa, si determina una selezione naturale, in virtù della quale sopravvivono solo gli individui dotati di caratteristiche particolari, che consentono un migliore adattamento all'ambiente. Gli individui sopravvissuti trasmettono poi ai 1 discendenti le loro particolari caratteristiche, cosicché la specie subisce con il tempo modificazioni permanenti. Anche l'uomo deve considerarsi il risultato di alcune modificazioni intervenute all'interno di una specie animale, quella delle scimmie. Tali idee, divulgate attraverso due opere famose "L'origine della specie" (1859) e "L'origine dell'uomo"(1871) suscitarono vivaci polemiche. Il Positivismo investì anche la sfera dell'estetica. Il pensatore francese Hyppolite Taine (1828-1893) affermò che l'attività artistica, come la vita spirituale dell'uomo, dipende da fattori naturali e sociali. Secondo Taine perciò l'artista deve limitarsi a registrare i dati reali, mettendo in evidenza gli elementi oggettivi che condizionano il comportamento e da cui egli stesso è condizionato: la race ("la razza"); il milieu ( "l'ambiente"); e il moment ("il momento"). Le teorie di Taine influenzarono notevolmente gli scrittori del Naturalismo francese e anche, sia pure in modo mediato, i veristi italiani. Ma in Italia la filosofia del positivismo non registrò molto successo: infatti l'Italia non aveva ancora raggiunto, alla metà dell'Ottocento, un significativo sviluppo industriale e perciò ancora scarse erano le sollecitazioni concrete verso la dimensione tecnico- scientifica. Inoltre, il pensiero filosofico continuava a subire condizionamenti di ordine religioso. Comunque, ad introdurre in Italia i temi del Positivismo contribuirono 11 soprattutto il filosofo Roberto Ardirgò e lo psichiatra Cesare Lombroso, fondatore dell'antropologia culturale. IL NATURALISMO. Il Naturalismo nacque in Francia attorno alla metà dell'Ottocento, per opera di scrittori come Flaubert, Zolà, e Maupassant. Tale corrente letteraria, in realtà, aveva già avuto, nella prima metà del secolo, un illustre precursore in Honorè de Balzac, che, con la sua "Commedia umana", un grandioso affresco della società francese dalla Rivoluzione al 1848, aveva offerto un primo esempio di realismo sociologico. Tuttavia, il vero caposcuola dei naturalisti francesi e il maggiore teorico del movimento fu Emile Zolà, che ne fissò i principi nella teoria del "romanzo sperimentale", prendendo a prestito dalla scienza il metodo della osservazione diretta. Secondo Zola lo scrittore non doveva scrivere stando seduto al tavolo di lavoro, chiuso nel suo studio, ma sarebbe dovuto uscire in mezzo alla gente, "sperimentare"le azioni, frequentare i luoghi dove avrebbe inserito i personaggi del suo romanzo. Poi, una volta a casa, lo scrittore doveva limitarsi a trascrivere sulla pagina, con distacco ed imparzialità, ciò che aveva visto e sentito, come uno scienziato riferisce dell'esperimento appena terminato. Lo scrittore doveva individuare i moventi delle azioni umane e doveva andarli a cercare nella dipendenza di ogni individuo dall'ambiente in cui vive e dalle tare ereditarie che porta con sé. E ciò in piena adesione all'estetica naturalistica, per cui l'opera d'arte doveva appunto mettere in evidenza i condizionamenti oggettivi dell'uomo, e cioè quelli della razza, dell'ambiente e del momento storico, come 2 affermava Taine. Perciò l'attenzione di Zolà e degli altri naturalisti è incentrata sugli aspetti meno gradevoli della realtà sociale, e in particolare sulla plebe parigina, sui diseredati che vivono nei bassifondi delle grandi città, sui minatori, e sul proletariato in genere, tutti analizzati in stretto rapporto con l'ambiente in cui si muovono. PRINCIPI DEL NATURALISMO I principi del Naturalismo definiti da Zolà possono essere così sintetizzati: lo scrittore deve essere simile ad uno scienziato sperimentatore e riprodurre nella sua opera l'esperienza reale e vissuta; l'argomento dell'opera letteraria deve essere la realtà sociale, studiata nel rispetto nelle leggi scientifiche che la governano, e soprattutto quella della ereditarietà e del condizionamento ambientale; la pagina scritta deve riflettere la realtà, assumendo l'aspetto di un documento oggettivo e non lasciare mai trasparire la soggettività e l'opinione dell'autore. Gli scrittori naturalisti, mentre denunciano gli aspetti più negativi della società e la penosa condizione degli emarginati e dei diseredati, manifestano al tempo stesso la volontà di contribuire a renderla migliore, anche a costo di battaglie personali. IL VERISMO. Anche in Italia, intorno al 1870, e dietro la spinta del Naturalismo, si impose la tendenza al reale dando vita al Verismo, che dal movimento francese prendeva le caratteristiche fondamentali, calandole però in una situazione storica ben diversa. In Italia, infatti, la rivoluzione industriale era solo agli inizi, mentre la raggiunta unità politica aveva aggravato problemi già esistenti. Affliggeva la nostra nazione, infatti, la "questione meridionale", prodotta da una netta spaccatura tra il nord, già sulla via dell'industrializzazione, e il sud, ancora legato al sistema del latifondo e afflitto dalle piaghe della miseria e del brigantaggio. E gli scrittori veristi, per la maggior parte uomini del sud, pur essendo il movimento nato a Milano, assunsero ad argomento delle loro opere proprio le dolorose condizioni delle loro terre d'origine. Così il verismo acquistò un carattere regionalistico, poiché la realtà italiana, pur uguale nell'arretratezza, presentava caratteristiche diverse da regione a regione. 11 come in Cavalleria Rusticana o La lupa, altri testimoniano l’arretratezza dell’ambiente siciliano, basti pensare allo sfruttamento dei minori impiegati in mansioni lavorative durissime, come nel caso di Rosso Malpelo. A loro modo ci appaiono chiaramente come eroi tragici, che non riuscendo a superare le avversità della vita, si palesano già da subito come sconfitti, vinti. Sono quindi due le caratteristiche principali di questa raccolta: le ambientazioni tipiche di un modo rurale e la psicologia dei protagonisti inseriti in questo contesto arcaico e alienante. -VITA DEI CAMPI RIASSUNTO NOVELLE- Ecco le otto novelle di Vita dei Campi raccontate dal Verga. Troverai i riassunti completi di alcune novelle famose, come Cavalleria Rusticana, La Lupa e Rosso Malpelo, lette e approfondite per voi. • Riassunto Fantasticheria: questa novella è la prima ad essere scritta e rappresenta una sorta di premessa ai testi seguenti. Narra il ritorno dell'autore in Sicilia e il suo desiderio di raccontare la vita che si svolge tra la povera gente. • Riassunto Jeli il pastore è un ingenuo e semplice guardiano di bestiame che, dopo aver scoperto che la moglie è stata sedotta da un amante, con primitiva spontaneità si ribella a questa realta e finisce per tagliare la gola al rivale • Riassunto Cavalleria rusticana: Alfio sfida a duello e uccide Turiddu, poiché questi ha osato riaccostarsi a Lola, ora sua moglie ma già amante dello stesso Turiddu. • Riassunto La Lupa: la protagonista, è una donna di grande fascino, magnetica. Si invaghisce del genero che per liberarsi dal suo malefico carisma, la uccide • Riassunto L'amante di Gramigna: la giovane Peppa si trasforma in lupa, assecondando l'istinto che la porta ad amare un bandito, Gramigna, così chiamato dal nome di un'erbaccia • Riassunto Pentolaccia narra la storia di un marito cieco, che, vittima dei tradimenti della moglie, uccide il rivale per liberarsi della vergogna del torto subito. • Riassunto Rosso Malpelo ha per protagonista un singolo personaggio, un povero minatore che si perde nella miniera per inseguire il fantasma del padre defunto • Riassunto Guerra dei santi, ha invece come protagonista un intero paese, coinvolto nei conflitti fra bande rivali. -NOVELLE RUSTICANE.- La raccolta Novelle Rusticane comprende 12 novelle, tra cui La roba, Malaria e Libertà. Le novelle sono ambientate nel mondo rurale della Sicilia, ma alle storie di singoli personaggi si accompagnano quelle legate alle vicende della collettività, in modo tale da analizzare gruppi sociali. I temi dominanti sono quelli del conflitto tra le classi, della roba e dell’ascesa sociale, che poi si svilupperanno nell’opera Mastro Don Gesualdo. Significativo è anche il tema degli scontri sociali e politici legati all’unificazione nazionale che non ha risolto i problemi del Sud, lasciando nella gente una profonda delusione. Confrontando questa raccolta con Vita dei Campi, le Novelle Rusticane mostrano quindi una maggiore attenzione ai movimenti economici e materiali dell’esistenza, in quanto spariscono le figure tragiche di Rosso Malpelo o della Lupa, che vengono sostituite da concetti astratti, così come i personaggi appaiono dominati dalla logica del profitto e dalla volontà di ascesa sociale, ma finiscono per essere sconfitti dalle leggi della natura. - La roba = protagonista della novella è Mazzarò, il contadino analfabeta, il quale è riuscito ad appropriarsi di tutti i beni del padrone ed è quindi riuscito ad accumulare tanta “roba” sacrificando ad essa tutta la sua vita, anche gli affetti più cari. Si è impossessato dell’uliveto, delle vigne, dei pascoli e dello stesso palazzo. La roba è psicologicamente il sintomo di un’angoscia, l’incubo della miseria passata così come il termine di un’adorazione esclusiva e maniacale che gli proibisce ogni distrazione e gli impone persino la riduzione dei bisogni al minimo della sopravvivenza: è un uomo senza pace e senza gioia, oppresso dalla propria ricchezza e tormentato dall’idea di perderla. In tal senso, assume la figura di un eroe della rinuncia, della solitudine e della continua lotta per accumulare beni che non gli 11 servono, ma il suo è un eroismo vano e tragico. Tuttavia, il racconto non è la celebrazione dell’avidità o della sete di ricchezza, bensì una condanna all’ossessione della roba: neanche in punto di morte la figura di Mazzarò si eleva spiritualmente e moralmente poiché, proprio nell’esclamazione finale si evidenzia lo squilibrio che si crea fra la roba, di natura divina e la morte, atto concreto. - Libertà = questa novella prende spunto da un episodio realmente accaduto: una violenta rivolta contadina a Bronte scoppiata nel 1860 alla notizia delle vittorie di Garibaldi che veniva a portare la “libertà” e che, dal suo quartiere generale a Palermo aveva decretato la spartizione dei terreni di proprietà comunale. Nino Bixio, inviato da Garibaldi per sedare la rivolta, la trovò già placata ma attuò comunque una durissima repressione. -MASTRO DON GESUALDO.- Gesualdo Motta, un modesto muratore, è un accanito lavoratore dai sentimenti semplici ed elementari. Grazie alla sua intelligenza pratica e alla sua totale dedizione al lavoro riesce ad accumulare una fortuna. Egli ama, corrisposto, la sua fedele serva Diodata, ma per elevarsi socialmente accetta di sposare Bianca Trao, discendente di una famiglia nobile decaduta. Il suo tentativo di inserirsi nell’aristocrazia locale, però, non riesce, così come non riesce a farsi amare dalla moglie e dalla figlia Isabella, frutto forse di una precedente relazione della moglie con il cugino. È disprezzato dai Trao per le sue umili origini, ma anche da suo padre e dai suoi fratelli, gelosi della sua fortuna. Durante i moti del 1848, i nobili del paese che considerano Gesualdo come un intruso, mobilitano il popolo contro di lui, che a stento riesce a sottrarsi dall’ira della folla. Isabella si innamora di un cugino povero e fugge con lui, ma è costretta a un matrimonio riparatore con il duca di Leyra, nobile squattrinato interessato solo alla ricca dote della giovane. I due vanno a vivere a Palermo, nel palazzo del duca e Gesualdo, rimasto vedovo, vecchio e malato, si trasferisce da loro. Muore emarginato da tutti assistendo allo sperpero dei propri beni, dimenticato da tutti, tranne che dalla fedele Diodata. - I temi—> Il tema di fondo dell’opera è già presente nella novella rusticana La roba, che ha come protagonista Mazzarò e il suo mondo dominato dal “valore epico ed etico della lotta per la roba”. Nelle vicende di questo “eroe assurdo e sovrumano, sullo sfondo del declino della vecchia classe feudale e dell’affermazione della borghesia si dipana il filo della ricerca e della rappresentazione di un mondo dai molti aspetti che si prepara a tradursi nell’affresco epico ed espressionisticamente grottesco del Mastro- don Gesualdo”. - Lo spazio e il tempo —> Il romanzo ha un’ambientazione diversa da quella dei Malavoglia rispetto allo spazio e al tempo. Le vicende si svolgono non solo a Vizzini, un borgo agricolo di medie dimensioni, ma anche a Mangalavite, un podere in cui il protagonista si trasferisce per evitare il contagio del Colera e poi a Palermo, dove muore. È possibile datare le vicende del romanzo lungo un arco di una cinquantina d’anni tra l’inizio e la metà del 1800. -Le caratteristiche del romanzo —>Il romanzo si fonda su due grandi momenti narrativi: nel primo viene descritta l’ascesa economica e sociale di Gesualdo che appare quasi come un eroe; nel secondo viene tratteggiato il suo declino e la sua sconfitta sul piano affettivo ed esistenziale. Può essere, dunque, definito come: il romanzo della “morale eroica” dell’individualismo, perché il protagonista è pronto a dare l’anima al diavolo, pur di arricchirsi, di procurarsi e accumulare “roba”; il romanzo dell’”eroe della modernità”, perché Gesualdo rappresenta l’uomo dinamico e intraprendente che si costruisce da sé il suo destino; il romanzo della “sconfitta esistenziale”, perché il mito della “roba” porta Gesualdo a una totale sconfitta umana. In tal senso, con la vicenda dell’umile mastro che si è arricchito divenendo don, cioè un proprietario terriero invidiato e temuto, ma sconfitto negli affetti, Verga ribadisce il fallimento di ogni tentativo di riscatto sociale. 11 - I MALAVOGLIA- Il primo e più famoso romanzo verista di Giovanni Verga inizia con la descrizione dei protagonisti della vicenda: una famiglia di pescatori che vive in un paesino vicino Catania (Aci-Trezza), nei primi anni dell'unità d'Italia. Questa famiglia possiede una casa di suaproprietà detta "del nespolo" per il suddetto albero che le cresceva accanto e una barca da pesca detta "La Provvidenza". Domina Padron 'Ntoni, un vecchio che tutti stimano per la sua saggezza. Gli altri, il figlio Bastianazzo, la nuora Maruzza la longa, i cinque nipoti, 'Ntoni, Luca, Mena detta S. Agata, Lia e Lessi, gli ubbidiscono e la famigliola unita e solidale prospera nel suo lavoro. Spesso nomi e nomignoli sono usati in senso ironico col sentimento del contrario. Con pochi tratti Verga delinea i personaggi del romanzo, rendendo l'idea di una famiglia umile e compatta tutta raccolta intorno al vecchio capofamiglia. L’originalità della tecnica del Verga, nei Malavoglia, consiste nell’uso del “discorso indiretto libero”, poi coltivato da tutti i romanzieri classici italiani. I principi della sua tecnica narrativa si distaccano dalla tradizione: infatti nell’opera l’autore si “eclissa”, si cala nella “pelle dei personaggi”, riproducendone i livelli culturali, i valori e i principi morali; con questo metodo il lettore si trova “faccia a faccia” con il fatto “nudo e schietto”. L'autore usa una filtro sistematico nella narrazione del romanzo intero, dal primo all’ultimo capitolo, attraverso un “coro” di popolari, in cui il parlato potrebbe essere realtà oggettiva, ma non si sa davvero se lo è. Da ciò si evidenzia una struttura romanzesca bipolare dove il “coro” si divide nettamente in due: da un lato si collocano i Malavoglia, con alcuni personaggi a loro collegati (Alfio, Nunziata e la cugina Anna), che rappresentano la fedeltà dei valori puri; dall’altro la comunità pettegola del paese, cinica, mossa solo dall’interesse insensibile fino alla disumanità. Verga per esempio non descrive la morte di Bastianazzo sulla barca “La Provvidenza” ma il processo per cui questa morte diventa realtà per il villaggio e per sua moglie, attraverso discorsi e gesti, e in base alle attitudini di tutti i membri della comunità. Il narratore che per questo non cessa di essere un narratore autentico, sceglie di raccontare gli eventi come si riflettono nelle menti e nei cuori dei personaggi I Malavoglia spesso vengono interpretati come la celebrazione di un mondo primordiale (la religione, la famiglia, il lavoro, l’onore), stanno a simboleggiare una civiltà contadina. Al mondo popolare del romanzo giovano una sapiente sfumatura dialettale della lingua e la franchezza varia e accorta del periodo, che rappresenta una vera e propria novità dal punto di vista della tecnica, per il suo uso originale e protratto a lungo, come mai prima era avvenuto; questo è stato definito da un maestro della critica come Spitzer “Erlebte Rede” (racconto vissuto). LA SCAPIGLIATURA. La scapigliatura - LaScapigliatura non è una scuola o un movimento organizzato, ma un gruppo di scrittori che vivono nello stesso periodo, gli anni ’60-’70, e negli stessi ambienti e che sono accomunati, in negativo, da un’insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea, per i principi e i costumi della società borghese, e da un impulso di rifiuto e di rivolta, che si manifesta nell’arte come nella vita. Il termine “scapigliatura” fu proposto per la prima volta da Cletto Arrighi, nel suo romanzo “La Scapigliatura e il 6 febbraio”, a designare un gruppo di spostati e ribelli alla loro classe di provenienza, che amano vivere in maniera eccentrica e disordinata. Il termine fu poi utilizzato come autodefinizione dagli scapigliati stessi. La scapigliatura. In Italia il movimento decadente per eccellenza è la Scapigliatura. È un movimento che raccoglie molti ambiti, c'è una contrapposizione con la cultura 11 ESTETISMO. L’Estetismo è un movimento artistico e letterario nato in Inghilterra che si fonda sul principio dell'arte Pura, quindi il contenuto non conta, conta solo la bellezza esteriore. È un movimento artistico che nasce in Inghilterra nell'ultimo ventennio dell'800. Qui il principio base è "l'arte per l'arte", si esalta infatti il valore della bellezza artistica. L'arte è libera. C'è un rifiuto del realismo. L'artista si afferma come un individuo eccezionale, che si distingue dalla massa; nasce così la figura dell'esteta (o dandy) rappresentato da aristocratici. L'esteta è perennemente alla ricerca della bellezza. Quest'artista deve vivere la propria vita come un'opera d'arte, una manifestazione di odio verso la vita comune e di disprezzo verso la massa. Ha però una sorta di ossessione e attrazione per la mondanità portata all'eccesso (fama, oggetti preziosi ma inutili). Alle regole morali si sostituiscono la ricerca del bello e delle cose raffinate. In Italia il più importante esteta è Gabriele D’Annunzio. DECADENTISMO. Da queste diverse esperienze nacque il decadentismo, fenomeno che nasce in Francia ed interessa la letteratura ma che influenza tutti i movimenti artistici. Il decadentismo fu una corrente letteraria tra il 1880 e 1915. Questa corrente promuove un'arte antinaturalista, fondata quindi sui lati oscuri del mondo e della vita, su quanto sfugge alla ragione, come l'inconscio e l'enigma. Quindi insiste su elementi irrazionali, come la sensazione e l'intuizione. Il precursore di questo movimento è Baudelaire che aveva avviato questa controtendenza. Ci furono due fasi: · La prima fu un Decadentismo più irrazionale e ribelle, ovvero caratterizzato dall'Estetismo, il culto della sensazione, istinti e inconscio ed orientato alla poesia. In Francia abbiamo i Simbolisti Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmé. In Italia abbiamo i poeti della Scapigliatura Pascoli e D'Annunzio; · La seconda fu un Decadentismo più maturo, con Svevo e Pirandello, orientato alla prosa e al romanzo, la letteratura deve rappresentare la debolezza individuale, e l'artista non può mutare la realtà, ma può rivelarla senza illudersi di migliorarla. Durante il Decadentismo va in crisi il pensiero Positivista, quindi tutto viene avvolto da mistero e irrazionalità. PASCOLI. Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. Quarto di dieci figli, Giovanni Pascoli trascorse un’infanzia serena nel paese natale, dove il padre Ruggero era amministratore di una tenuta dei principi di Torlonia. Nel 1862 entrò nel collegio dei padri Scolopi di Urbino, dove compì gli studi elementari e medi. Quando Giovanni Pascoli aveva dodici anni, il 10 agosto 1867, il padre fu misteriosamente assassinato, forse per motivi di interesse legati alla sua professione, mentre ritornava a casa. Negli anni successivi altri lutti familiari funestarono l’adolescenza del poeta: morirono infatti la madre, una sorella e due fratelli. Nonostante le difficoltà finanziarie e il disgregamento del nucleo familiare, egli riuscì a portare a termine brillantemente gli studi classici, ottenendo una borsa di studio che gli permise di iscriversi alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, dove fu allievo di Giosue Carducci. Portati a termine con successo gli studi universitari, Giovanni Pascoli iniziò la carriera di insegnante di latino e greco nei licei di Matera, Massa e Livorno e poi nelle Università di Messina e di Pisa. Intanto cercava di ricostruire, almeno in parte, il nucleo familiare, chiamando a vivere con sé le sorelle Ida e Maria. Ma l’illusione di una ritrovata serenità familiare fu interrotta dal matrimonio di Ida, che il poeta percepì come un tradimento. Si stabilì così con la sorella Maria a Castelvecchio di Barga, presso Lucca. Qui, mentre continuava l’insegnamento universitario, si dedicò alla 11 scrittura di opere in versi e di saggi di critica letteraria ma, soprattutto, all’osservazione della natura e alla direzione del lavoro dei campi della sua tenuta. In questi ultimi anni la sua attività poetica si orientò verso poesie celebrative della grandezza d’Italia, e Pascoli diviene così il poeta ufficiale del regno, subentrando, anche in questo ruolo, al suo maestro Carducci. Giovanni Pascoli morì a Bologna il 6 aprile 1912, all’età di 57 anni. Giovanni Pascoli: le opere Tra le raccolte poetiche di Giovanni Pascoli vanno segnalate Myricae (1891), la prima e fondamentale, i Poemetti (1897) e i Canti di Castelvecchio (1903), opere in cui il sereno mondo della campagna, con i diversi fenomeni atmosferici e i ciclici lavori agresti, pullula di suggestioni, di memorie e di visioni. Del suo interesse per le opere antiche, colte specialmente nei momenti di decadenza e di trapasso, testimoniano i Poemi Conviviali (1904) e i numerosi Carmina in latino (1891-1912), di cui molti composti per il Concorso di poesia latina dell’Accademia di Amsterdam, che vinse ripetutamente. Anche le ultime raccolte – Odi e Inni (1906), le Canzoni di Re Enzio (1909), i Poemi Italici(1911), i Poemi del Risorgimento (1913, postumi) – manifestano, pur con i loro temi patriottici e celebrativi, la medesima attenzione per le epoche passate.Oltre che poeta, Giovanni Pascoli fu anche prosatore. Tra le sue opere in prosa ricordiamo la riflessione sulla poesia intitolata Il fanciullino (1897, 1902), il discorso politico La grande proletaria s’è mossa (1911), pronunciato in occasione dell’impresa libica, che contiene confusi spunti socialisti accanto ad atteggiamenti nazionalistici e gli scritti, assai originali, di critica dantesca: Minerva oscura, Sotto il velame, La mirabile visione.Giovanni Pascoli: la poeticaGiovanni Pascoli insieme a Gabriele D’Annunzio è l’autore più rappresentativo del Decadentismo italiano. —Esprime la propria poetica ne "Il fanciullino", pubblicato una prima volta nel 1897 e, nella redazione definitiva, nel 1902. Nell’opera il poeta afferma che nell’intimo di ciascuno di noi è nascosta una parte infantile che ci rende capace di stupirci davanti alle piccole cose, ma che gli uomini soffocano e mettono a tacere quando prevale in essi la razionalità dell’età adulta. Il poeta, invece, lascia il fanciullino che ha in sé libero di osservare il mondo: solo così egli riesce a penetrare nel mistero delle cose e a cogliere nella complessa realtà che lo circonda gli aspetti più veri e profondi. Nel mondo lirico di Pascoli domina la natura con tutte le sue creature: semplici e piccole cose (fiori, piante, oggetti quotidiani della vita dei campi) diventano nei suoi versi simboli di un universo misterioso, che soltanto il poeta può conoscere e indagare. La poesia secondo Pascoli svolge anche una funzione sociale: rendendo gli uomini consapevoli del dolore dell’esistenza e della vanità di ogni sogno, essa «pone un soave e leggero freno all’instancabile desiderio, che ci fa perpetuamente correre con infelice ansia per la via della felicità» e, consolando dolcemente «le anime irrequiete», dispone gli uomini ad accontentarsi del proprio piccolo mondo. Pertanto la poesia contribuisce ad «abolire la lotta di classe e la guerra tra i popoli». La poesia di Giovanni Pascoli, apparentemente semplice nella sua descrittività, è in realtà frutto di un attentissimo lavoro di ricerca lessicale e retorica. Egli usa un linguaggio estremamente preciso ( ad esempio, piante e fiori sono sempre indicati con una proprietà terminologica da esperto botanico) che a un’analisi attenta si rivela fortemente allusivo e suggestivo. Ricorre frequentemente alle figure retoriche e le sue soluzioni sintattiche e metriche risultano spesso innovative rispetto alla tradizione: cura in particolare gli effetti musicali di onomatopee e di pause improvvise. -MYRICAE- Myricae è la prima raccolta di Giovanni Pascoli e viene pubblicata per la prima volta nel 1891, in un’edizione comprendente solo 22 componimenti. 11 Successivamente, il poeta interverrà spesso per rimaneggiare e modificare il testo, che nel 1911 giungerà a raccogliere complessivamente ben 156 poesie. Il titolo, come indicato anche dall’epigrafe alla prima edizione, è di ascendenza classica: è tratto infatti dalla quarta ecloga di Virgilio ed indica da subito l’ambientazione della raccolta nell’umile realtà del mondo della campagna, che il poeta descrive con sfumature simboliste. -Tematiche: Myricae, pur essendo una raccolta in progress dal 1891 al 1911, presenta alcuni nuclei tematici ben identificabili, che costituiscono anche la linea fondamentale della poetica pascoliana. Innanzitutto, spicca nei testi di Myricae il mondo della natura e della campagna, contemplato nelle sue realtà più “umili” (simboleggiate appunto dalle “tamerici” del titolo) e cariche di implicazioni simboliche. È compito del poeta, che deve farsi “fanciullino” (come Pascoli spiegherà in un importante testo teorico), cogliere il mistero che sta dietro alle cose e trasmetterlo agli altri uomini con gli strumenti della creazione letteraria. Alla descrizione del mondo naturale (che raggiunge le punte di massima espressività in testi come L’assiuolo o Novembre) e della sua ciclicità, si aggiungono - soprattutto a partire dall’edizione del 1894 - altri temi tipicamente pascoliani, come il dolore per la perdita degli affetti familiari (esemplare in questo senso X Agosto) e in generale il tema della morte e del conflitto tra la purezza del mondo di Natura e le minacce del mondo reale, fino ad arrivare al compito storico-sociale della figura del poeta. -Stile e poetica: Dal punto di vista letterario Myricae si inserisce nella tradizione poetica simbolista, di cui Pascoli è uno dei principali esponenti; in tal senso, il poeta si serve di una serie di strumenti tecnici e di figure retoriche ricorrenti, all’interno di strutture metriche che restano regolari ed ancorate alla tradizione per quanto riguarda le strutture strofiche e il ricorso alla rima o alle forme di assonanza e consonanza. Innanzitutto, ad essere privilegiate sono le sensazioni e le percezioni indistinte, che riproducono le sensazioni sfumate (e talvolta inquietanti) dell’io poetico di fronte al mistero della natura, come ad esempio in Lavandare. Pascoli così privilegia strutture sintattiche leggere, prevalentemente costruite per paratassi, su cui intervenire per mezzo di figure retoriche caratteristiche (analogie, sinestesie, metonimie e onomatopee). Importantissimo è poi l’aspetto fonosimbolico del testo, per cui la struttura di suoni della poesia deve evocare sulla pagina le sensazioni e le intuizioni provate dal poeta. (Lavandare, X Agosto, L’Assiuolo, Novembre) -I CANTI DI CASTEL VECCHIO- La prima edizione dei Canti di Castelvecchio (i cui singoli componimenti sono precedentemente apparsi su diverse riviste) viene pubblicata nel 1903 e, come già avvenuto in Myricae, viene poi rivista ed accresciuta nel corso degli anni, sino all’edizione postuma del 1912. La raccolta, dedicata alla memoria della madre, presenta la stessa epigrafe di Myricae, tratta dalla quarta bucolica di Virgilio (vv. 1-2: “Sicelides Musae, paulo maiora canamus! | Non omnis arbusta iuvant humilesque myricae”), e descrive sempre l’umile vita campagnola e il mondo della natura, privilegiando in questo caso la realtà della Garfagnana (il poeta dal 1895 risiede a Castelvecchio di Barga, in provincia di Lucca). -Tematiche: La celebrazione del mondo della Natura —> Dal punto di vista tematico, i Canti di Castelvecchio si avvicinano a Myricae nell'attenzione riservata al mondo naturale, che si fa portatore e simbolo del valore delle cose semplici e umili, intese spesso come uno “schermo”, una protezione contro i lutti e i dolori del mondo, e come un universo protetto dove ricostruire il proprio “nido” familiare. La prospettiva rispetto a Myricae è però in parte diversa: se nella prima raccolta Pascoli descriveva un microcosmo misterioso e perturbante (si pensi a L’assiuolo o Lavandare) qui si privilegia il ciclo naturale delle stagioni, con l’alternarsi delle diverse stagioni. La scelta per Pascoli ha valore simbolico: all’eterno ritorno del 11 il Paese all’entrata in guerra. Nel dopoguerra si mise a capo di un gruppo di volontari e marciò trionfalmente sulla piccola cittadina di Fiume, rivendicandone l’appartenenza al popolo italiano e dando voce, con quel gesto, alla disapprovazione e polemica contro la “vittoria mutilata” che il governo aveva accettato alla fine del conflitto. A Fiume il vate instaurò un dominio personale sfidando lo Stato Italiano: scacciato con le armi, strinse rapporti con Mussolini e fu celebrato come Padre della Patria dal fascismo, che però, avendone un po’ paura, lo confinò in una suntuosa villa di Gardone. Fu qui che D’Annunzio visse gli ultimi anni: trasformò la villa in un mausoleo vivente, con suppellettili costose e ricercatissime, statue che lo rappresentavano, lussi e comodità. Qui morì, ormai stanco e malato, all’età di 75 anni. Era il 1938. -Le opere e i temi di Gabriele D’Annunzio —> La raccolta poetica d’esordio “Primo Vere” (1879), “ Canto Novo” del 1882 e le novelle di “Terra Vergine” dello stesso anno sono le prime opere di D’Annunzio: influenzate dagli scritti contemporanei di Carducci e Verga, mostrano un’attenzione per la realtà concreta, per la natura solare e per un interesse di tipo quasi panistico, ma presentano visioni cupe e mortuarie in perfetta ottica decadente. “Il libro delle Vergini” (1884), “San Pantaleone” (1886) e “Novelle della Pescara” (1902) si distaccano dall’interesse sociale e documentario del Verismo per inserirsi in una cornice irrazionalista dichiaratamente decadente. Ben presto D’Annunzio si sposta verso un estetismo che lo porta ad affermare che “Il Verso è tutto” e a vivere come un difensore della bellezza, della pura arte e della sensibilità. Ma con il suo romanzo più famoso, “Il piacere” (1889), questa fiducia nella capacità di giudizio dell’esteta viene decisamente meno. Il vate si rende conto dell’intima debolezza di questa figura che non ha nessuna forza di opposizione contro la borghesia in ascesa e che, abituato all’isolamento sdegnoso contro le masse, non potrà mai cambiare nulla. “Il piacere” ha per protagonista Andrea Sperelli,un esteta che altri non è che il corrispettivo di D’Annunzio stesso: è un giovane aristocratico, colto, sostenitore dell’arte, che come ogni buon esteta vuole costruire la propria vita come si fa con un quadro o una statua. Ma tale intento diviene una forza autodistruttrice per Andrea, che finisce per rimanere triste e solo nella sua sconfitta. A “Il piacere” segue una fase di incerte sperimentazioni che cercano di distaccarsi il più possibile dall’estetismo. E’ però solo con il “Trionfo della morte” (1894) che l’artista inizia a proporre una nuova figura mitica, seppur ancora non completamente definita: **il “superuomo”. Il concetto parte da alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche, che vengono però semplificati e forzati entro un diverso sistema di concezioni: anzitutto ci si scaglia contro il conformismo borghese e i principi egualitari colpevoli di livellare e banalizzare la personalità; in secondo luogo si esalta lo spirito vitalistico, ovvero gioioso, energico, pieno, capace di andare contro le convenzioni, i pregiudizi e gli scandali; infine si rifiuta la pietà, la compassione, l’altruismo, che sono visti come retaggio della tradizione cristiana e giudicati ostacolo alla gioia del vivere. La voglia di affermarsi, di celebrare la propria individualità e di creare qualcosa di nuovo si impongono come le caratteristiche di un nuovo uomo, superiore alle masse: il superuomo. -Nel “Trionfo della morte” viene abbozzata una figura umana che ricerca un nuovo senso della vita, ma che cede infine alla morte: la vera svolta ideologica si registra solo con “Le vergini delle rocce” del 1895, dove si descrive un eroe sicuro, che procede senza esitazione verso la meta. E’ questo il manifesto politico del Superuomo dannunziano. Tale nuova linea di personaggi è confermata da “Fuoco”( 1900), “Forse che sì forse che no” (1910) e soprattutto nella produzione teatrale ( tra i quali ricordiamo “Francesca da Rimini” dramma che si svolge nel Medioevo che risente dell’influenza del verismo”; “La figlia di Iorio” dramma più famoso di D’Annunzio ambientata nel mondo pastorale abruzzese). PENSIERO E POETICA. Il giovane D'annunzio assume come modelli il classicismo carducciano (primo vere) e il realismo Verghiano (terra vergine), non solo per una strategia editoriale, ma anche per la natura del suo talento che lo porta ad assimilare fino all'apparente plagio i prodotti letterari altrui, che investe però di nuovi significati 11 grazie a una sensibilità eccellente e una amore per la parola e l'immenso desiderio di esprimere se stesso attraverso l'arte (l'espressione è il mio unico modo di vivere). Presto abbandona però il verismo accusato di non essere sufficientemente schietto, sufficientemente vero e delinea un ideale di prosa moderna che armonizza tutte le varietà del conoscimento. L'elemento costante diventa l'esperienza sensibile che viene resa attraverso la magia della parola (magia di sensi e allusioni) che evoca la realtà insieme al suo mistero, alla sua sensuale ambiguità. L'estetismo diventa valore supremo e unico che egli identifica con la vita stessa. E allora inizia la ricerca per la parola raffinata, egli dichiara il proprio amore sensuale per la parola, il verso diventa tutto. La parola possiede elementi musicali, e la musica parla direttamente all'anima; si stacca dal testo, assume valenza magica e diventa azione, gesto. Essa diventa "incantesimo di massa" commuove, persuade, affascina e seduce. Ecco quindi la necessità di rivelare le cose con le più sottili raffinatezze dello stile, della metrica e la scelta di ogni termine. Il carattere dominante della poesia di D'Annunzio è dunque la sensualità intesa come gioia di vedere, di possedere e di godere. Si è soliti periodizzare la sua produzione in fasi, la cui scansione è da considerarsi per fittizia in quanto non rappresenta un evoluzione, ma qualcosa che è nel poeta già in origine e che prevale in diversi momenti: Naturalismo sensuale: Il Naturalismo sensuale è tipico delle opere del primo periodo (1879-1886); esso è caratterizzato da una breve fase di intonazione Carducciana (Primo vere 1879) che però già comprende tracce della sua personalità e da cui poi rapidamente si allontana per esprimere la sua originalità (Canto novo 1881) e per approdare, anche qui per poco, a"Terra vergine" (1882), una raccolta di novelle di intonazione verghiana. Estetismo Sensuale: L'estetismo sensuale appartiene al secondo periodo romano, ispirato dal principio che i valori estetici e il culto della bellezza devono avere l'assoluta priorità nell'arte e nella vita, si caratterizza da una eleganza stilistica che tenta di dare una soluzione intellettualistica al suo sensualismo. Ci viene teorizzato nella sua forma più esplicita ne "Il piacere" (1889) il primo romanzo dannunziano. In esso viene trattato il dramma dell'esistenza dell'autobiografico Andrea Sperelli ossessionata dall'avidità di soddisfazioni sensuali e dal tentativo di spiritualizzare questa sensualità nell'arte. Il superomismo. La personale concezione del superuomo matura sotto l'influsso di Nietzsche, ma in realtà ne è una rielaborazione che fraintende o che, diversamente da Nietzsche, rielabora L'ubermensch (l'oltre-uomo: metafora dell'espressione, della liberazione dell'uomo dalle sue miserie e affermazione di valori come la vitù) e lo identifica con l'eroe, secondo cui l'stinto è la sola verità e la morale una menzogna; l'unica legge è il dominio. Avvicinandosi alla belva l'uomo supera l'uomo e realizza, appunto, l'eroe Quindi le caratteristiche del superuomo dannunziano sono: a) l'energia, la forza, che «si manifesta con la volontà di dominio, con l'amore della violenza, lo sprezzo del pericolo»; b) l'esuberanza sensuale, «il libero disfrenarsi dei diritti della carne e della natura umana» ; c) la visione aristocratica della società, il disprezzo per la plebe e «contro la nuova borghesia dell'industria e del commercio», animata solo da ideali bassi e meschini di gretto guadagno; d) rifiuto dei nuovi princìpi di libertà e di uguaglianza, in nome di un diritto superiore al dominio, che spetta a pochi eletti, i quali formino un'oligarchia tesa a difendere la Bellezza e tenere schiave le plebi, che hanno un innato bisogno di essere tenute schiave. Ma è una vita inapplicabile, i personaggi sono collocati in un'atmosfera irreale e dominati da questi ideali risultano troppo perversi, degenerati e amorali e non suscitano quel necessario moto di simpatia verso il lettore. Naturalismo panico 11 Il naturalismo panico è il punto di approdo della poesia dannunziana. Teorizzato nell'Alcione, ove viene instaurato un rapporto con la natura in chiave mistico-magica (panismo: come nel mito greco del dio Pan), la natura è sentita come una forza misteriosa, terribile e attraente, a cui l'uomo può unirsi solo abbandonandosi ad un flusso istintivo ed inferiore che nulla ha di razionale e di meditato. L'Alcione è il diario poetico di una estate in Toscana, è il superamento della sensualità primaria nella ricerca del godimento completo perseguito da tutti i sensi e goduto con l'anima. Il poeta immerso nella natura, il suo canto non è più solo dell'uomo, ma è il canto stesso della natura. Si pensi solo alla freschezza verbale de "La sera fiesolana", o alla pura musica de "La pioggia nel pineto": «Le parole, più che al significato verbale, tendono... alla pura grazia della trama fonica, atta a suggerire la dolcezza d'immaginare una pioggia che bagna il viso, le mani, le vesti di una donna bella e amata, nel fresco di una pineta, al tempo dell'estate» (F. Flora). Al naturalismo panico si affianca anche la prosa del "Notturno" diario dei giorni successivi all'incidente che lo porterà al rischio della cecità; qui il poeta si accosta a una prosa meno opulenta e fastosa, nel momento di sospensione della vita pratica l'impulso creativo ha libero campo e si libera da inserti narcisisti e da pose superomiste, la scrittura si sensibilizza e acquista una nuova dolcezza melodica che conclude la sua parabola stilistica. 11
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