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Santità e miracoli nel Medioevo: vita dei santi e cristianesimo, Appunti di Storia

La funzione dei miracoli nella società medievale, in particolare come essi hanno contribuito alla promozione e diffusione del cristianesimo. Del 'legenda aurea' di jacopo da varagine, delle vite dei santi e dei martiri, dell'invenzione della terra santa, dell'agiografia e della sua importanza nella storia cristiana, della promessa della vita oltre la morte e della risurrezione dopo la morte, del culto dei martiri e della loro influenza sulla cultura cristiana. Il documento anche discute del ruolo dei santi intercessori presso dio e del potere delle loro reliquie, della sacralizzazione di luoghi e oggetti, dell'antropologizzazione dello spazio sacro e della sacralizzazione de contactu.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 20/03/2024

Anonimo25
Anonimo25 🇮🇹

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Scarica Santità e miracoli nel Medioevo: vita dei santi e cristianesimo e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Lezione 1 03.10.2023   Il professore consiglia il manuale di Zorzi per integrare la conoscenza generale, o quello di Massimo Montanari.   —————————-   ORGANIZZAZIONE DEL CORSO: Inizio medioevo - nascita del Purgatorio. Analizzeremo una serie di fonti, caricate su classroom. Leggeremo tante fonti. Per i frequentanti l’esame consiste nelle dispense di classroom, qualche articolo: i non frequentanti hanno i libri.   ———————————-   Alto medioevo VI-XI 6 11 secolo -> contiene il tardoantico: gli usi della società non si sono esauriti e convivono nei prossimi secoli Pieno medioevo XII-XIII secolo 12 13 Basso medioevo XIII-XVI secolo 13 16   Il tema del corso è sul soprannaturale nel medioevo: fonti e contesti. Con Contesti si intende sia ciò che è relativo alle fonti (che tipo di ambiente è quello dell’autore? Che ideologia ha? Perché scrive? All’interno di quale problema culturale e periodo?)   Parole chiave del corso: Rappresentazioni: ciò che ogni fonte fa. Rappresenta un problema attraverso la scrittura, l’iconologia, la liturgia, la musica… non ci sono solo rappresentazioni di tipo scritto. Funzioni: che tipo di funzione si affida a un testo? Scrivere nel medioevo non era semplice, a partire dal fatto che il supporto di scrittura costava tanto (ad es. La pergamena, fatta con la pelle di pecora, per scrivere un testo lungo serviva utilizzare tanto bestiame e spendere molti soldi). Lo stesso vale per l’inchiostro: un inchiostro che non sbiadisce deve essere fatto con certe pietre specifiche (es. Blu per il lapislazzuli). Soprattutto, serve qualcuno che sappia scrivere, cosa non comune nel medioevo / nelle società dell’antico regime. C’era una bassissima percentuale di alfabetizzazione. Nella società medievale esisteva chi sapeva solo leggere e chi sapeva solamente scrivere. Saper leggere non era ritenuto importante: la cultura passava principalmente per l’oralità. (Es. Carlo Magno, ci dice il suo biografo che sapeva a malapena leggere) Il documento scritto acquisisce importanza soprattutto alla fine dell’undicesimo 11 secolo, tra 11 undicesimo e 12 dodicesimo. Fruizioni: Nella cultura medievale non è interessante la novitas, è più interessante riportare la saggezza antica: i codici solitamente non portano cose originali ma riportano cose antiche. A scrivere e leggere sono solitamente i chierici, i monaci … ciò accade per interpretare correttamente le scritture, importanti per la liturgia. Gli ecclesiastici hanno un sistema di valori e orizzonti culturali ideologici, ovvero quella della religione cristiana. Tutto ciò che è importante è quindi tutto ciò che è legato alla fede cristiana. Es. Tempo e spazio, categorie basilari umani, sono sottoposte a quest’ideologia. Le interpretiamo come qualcosa di oggettivo, ma sono in realtà categorie culturali che hanno una conseguenza: gli uomini dividono il tempo secondo le loro scelte culturali-ideologich e . Nel caso della cultura medievale e cristiana è la religione che determina il modo di scandire il tempo . 2023-> 2023 anni dopo cristo, un avvenimento ritenuto così importante che è ancora fulcro di un modo di calcolare il tempo positivo e negativo. Sono monaci e chierici a darci questa visione del tempo sui loro orizzonti culturali e ideologici. Lo stesso medioevo è per noi una convenzione: in Italia il medioevo comincia nel 476, con la deposizione di Romolo Augustolo, ma non è così ovunque. In altre regioni di Europa non comincia nel 476 ma ci sono altri momenti chiave che funzionano da inizio del medioevo.   Il medioevo nasce con uno stigma negativo -> sono gli intellettuali del rinascimento che per dare risalto alla loro esperienza culturale lo interpretano alla luce del loro orientamento culturale e rinchiudendo il medioevo nella categoria di “secoli bui”.   Tuttavia, è importante sottolineare che non tutte le tradizioni culturali o religiose hanno respinto o stigmatizzato i miracoli. Per molte persone, i miracoli rappresentano esperienze di fede profonde e intime. QUINDI Il tema del miracolo ci permette di esplorare ciò che per una società e normale o no, ciò che è spiegabile scientificamente e ciò che non lo è.   Monumenta Germaniae Historica: progetto culturale del 19 secolo, una raccolta di fonti relative al medioevo. "Monumenta Germaniae Historica" rappresenta un contributo significativo alla storiografia medievale e continua a essere uno strumento essenziale per gli studiosi interessati a esplorare le fonti primarie della storia tedesca medievale. Edizioni critiche di fonti medievali. Sono online e open access. MGH online.   Il miracolo è diventato un oggetto storico da poco tempo, è una rivoluzione storiografica del diciannovesimo secolo. L’approccio storico al concetto di miracolo ha subito delle trasformazioni significative nel corso del 19 secolo , rappresentando una sorta di rivoluzione storiografica. Durante questo periodo, ci fu un cambiamento nell'approccio degli storici verso la storia religiosa e verso concetti come miracoli e fenomeni soprannaturali. Il concetto di miracolo come rappresentazione sociale di un fenomeno culturale riflette una-> comune comprensione di tutta la società di cos’è un miracolo. La percezione dei miracoli è strettamente intrecciata con le credenze culturali, religiose e sociali di una comunità. Quindi il miracolo non è solo un evento isolato, ma piuttosto una rappresentazione sociale radicata nelle credenze, nelle tradizioni e nei valori della società, contribuendo a costruire e sostenere la comprensione condivisa di cosa costituisce un miracolo.   Certificazione del miracolo: chi stabilisce cos’è un miracolo e cosa no? Il processo di stabilire cos'è un miracolo coinvolge spesso meccanismi sociali, economici e di controllo sociale. È un meccanismo sociale, economico e di controllo sociale. Per certificare il miracolo serve qualcuno che funzioni da sentinella di razionalità della società. Perché esista un santo è necessario che questo santo abbia compiuto miracoli nella società: almeno un miracolo certificato in vita e almeno un miracolo certificato in morte. Chi è al più alto grado di scientificità nella società medievale? Oggi sono i biologi, medici, talvolta i fisici. Nel medioevo i medici erano considerati buffoni e non gli veniva riconosciuta una particolare capacità scientifico-tecnologica. Nel medioevo il picco della conoscenza era il vescovo , che i n virtù della sua scienza (la conoscenza della scrittura) certifica se una cosa è miracolosa o meno. La scienza delle scritture è considerata la più importante. Funzionava da interprete della parola di Dio -> scienza più importante. Da un certo punto il vescovo ha la parola finale sulla questione, ma nel BASSO MEDIOEVO e nell’ETÀ MODERNA si ricorre al notaio, l’esperto di legge. Nel BASSO MEDIOEVO la legge è la scienza più importante e col maggior livello di criticità logica.   CAPIRE LA NECESSITÀ DEL MIRACOLO CI FORNISCE MOLTE INFORMAZIONI SU UNA SOCIETÀ: es. Se una società ritiene un miracolo aggiustare una zappa, un setaccio o un falcetto, questo ci dice tanto della società: la rottura di questi strumenti significava morire di fame. La società quindi a livello di sussistenza è povera tecnologicamente e ha necessità primarie.   La maggior parte delle fonti parlano d i miracoli che riguardano l’alimentazione. Ci sono anche moltissimi miracoli che riguardano le malattie, che ci aiutano a capire quali sono le MALATTIE più frequenti di una società .   Lezione 2 04.10.2023 Cos’è il miracolo come elemento storico? Presenta una serie di caratteristiche interessanti per ricostruire la storia della società all’interno delle quali viene riconosciuta. Hanno lavorato vari studiosi all’analisi dei miracoli, tra cui Marc Van Uytfanghe, studioso fiammingo che ha scritto “La controversia biblica e patristica intorno al miracolo e le sue ripercussioni sulla geografia e le sue ripercussioni nel tardo medioevo”.   AGIOGRAFIA: genere letterari che si occupa della scrittura della vita dei santi -> sono dei testi e fonti che riguardano la santità. Questi documentano le loro virtù, miracoli e le circostanze della loro morte. Le angiografie sono importanti non solo dal punto di vista religioso, ma anche come fonti storiche e culturali. Le agiografie offrono una finestra sulla spiritualità, le credenze e le pratiche religiose di un'epoca specifica. Esempi di alcune agiografie: "Legenda Aurea" di Jacopo da Varagine: questo è uno dei testi agiografici più noti del Medioevo. Scritto nel XIII secolo, il "Legenda Aurea" (Leggenda Aurea o "La Leggenda dei Santi") di Jacopo da Varagine contiene vite dei santi, dei martiri e delle feste liturgiche. È stato ampiamente utilizzato come fonte di ispirazione per la predicazione e l'iconografia medievale. "Vite dei Santi Padri" di Giovanni Cassiano: Questo testo, scritto nel V secolo, contiene le biografie di alcuni dei primi monaci del deserto, noti come i "Padri del deserto". Le loro vite e insegnamenti influenzarono profondamente la tradizione monastica cristiana. "Dialogo" di Gregorio Magno: Questo lavoro, scritto nel VI secolo, include una vita di San Benedetto, il fondatore dell'ordine benedettino. Gregorio Magno fornisce dettagli sulla vita e sui miracoli di San Benedetto, contribuendo a stabilire la figura del santo nell'agiografia cristiana. Marc Van Uytfanghe dice che il miracolo ha una funzione primordiale nella civiltà della cultura dell’insicurezza, caratteristica dell’alto medioevo, ovvero i secoli iniziali del medioevo (sesto - decimo secolo). Il miracolo risponde a delle esigenze, sia individuali che collettive, molto profonde. Spesso i miracoli riportati nelle fonti sono semplici, quasi banali, è spia di una società che vive nell’insicurezza e alle soglie dell’indigenza. La funzione del miracolo, di risolvere anche piccoli problemi, è rilevante per il nostro studio. Altro aspetto importante: Il concetto di miracolo è intrinsecamente complesso e sfaccettato, privo di un'unica caratterizzazione definitiva. (quindi è un – tematiche e formali = come modo di espressioni anche qui c’è un pregiudizio, in latino barbarico imbarbarito quello del basso impero. – è la stessa nozione di verità che viene disturbata= parla della storiografia cioè delle opere che fanno storia nel basso impero, e dice che la stessa nozione della vertà viene disturbata cioè c’è una sorta di calo della razionalità. – Più in generale è l’intrusione del miracoloso che sconvolge i criteri di verità e verisimiglianza della storiografia classica. Non solo le vite dei santi hanno i loro miracoli. Serie storie pagane, come quella di Ammiano Marcellino, accolgono divinazione magia a piene mani». Momigliano è uno dei più grandi storici che abbiamo avuto, è interessante la su testimonianza. È bello, importante (con verità) tutto ciò che è classico e tutto ciò che si allontana da questa idea, da questo concetto e giudizio perde forza, perde capacità di espressione. Inoltre, ci dice che la nozione di verità e di razionalità viene disturbata dall’intrusione del miracoloso, che sconvolge i criteri di verità della storiografia. La sua testimonianza ci fa capire che ciò che è considerato “giusto” è tutto ciò che è classico, mentre il resto perde capacità di espressione alta. Tardoantico: terzo-ottavo, nono secolo è una società dove il miracolo ha importanza nelle forme scrittorie e nei quadri mentali della società. E un grande storico che si chiama Peter Brown ha scritto un saggio che si chiama “il culto dei santi”, 1980, è il libro che un po’ crea la nozione storiografica di tardoantico dicendoci che questi secoli non sono decadenza e imbarbarimento ma hanno delle loro caratteristiche originali che hanno una loro valenza per l’evoluzione delle società. Es. Introduzione del cristianesimo nella società e nei modi di pensare della società che ha risvolti epocali. L'introduzione del cristianesimo nella società ha avuto un impatto epocale, plasmando profondamente i modi di pensare, le istituzioni e la cultura di molte civiltà nel corso dei secoli. L'avvento del cristianesimo è strettamente legato alla figura di Gesù Cristo e ai primi seguaci che diffusero i suoi insegnamenti nel contesto dell'Impero Romano durante il I secolo. Non entra e cambia tutto repentinamente, la stessa introduzione del cristianesimo è osmotica (in un senso figurato per rappresentare come le idee, i principi e gli insegnamenti cristiani si siano diffusi e si siano insinuati gradualmente attraverso la cultura e la mentalità delle persone): si forma nel corso dei secoli, la dottrina si forma, i primi cristiani hanno delle credenze completamente diverse sotto una serie di aspetti dal cristianesimo dei secoli prossimi. Il cristianesimo prescinde dalla necessità di andare in un luogo concreto per celebrare il sacro e la dottrina cristiana, a partire dal quarto secolo le cose sono diverse. Il cristianesimo, fin dai suoi primi giorni, ha avuto un carattere flessibile rispetto alla celebrazione del sacro, e il modo in cui i cristiani praticano la loro fede è variato nel corso della storia. I cristiani in origine non hanno le chiese, qualunque luogo andava bene, erano perseguitati e non potevano avere dei templi dove professare la propria fede. È un modo di avere fede diverso da quello profano: statue, templi… questa caratteristica viene poi accolta nel corso di quattro secoli al cristianesimo. L’ecclesia, che inizialmente rappresenta l’ecumene, una comunità di persone, comincia a indicare anche il luogo in cui questa comunità si riunisce, e quindi l’ecclesia prende il significato che oggi conosciamo ovvero il luogo dove si celebra la liturgia. QUINDI: Originariamente, nel contesto del Nuovo Testamento e delle prime comunità cristiane, "ecclesia" era un termine greco che indicava l'assemblea o la comunità dei credenti , piuttosto che un luogo fisico. "Ecclesia " si riferiva alla riunione dei credenti chiamati da Dio a far parte della comunità dei fedeli. Tuttavia, con il passare del tempo, soprattutto a partire dal IV secolo in seguito al riconoscimento del cristianesimo come religione ufficiale nell'Impero Romano, il termine "ecclesia" ha cominciato a essere utilizzato anche per indicare il luogo fisico in cui i cristiani si riunivano per il culto. Le chiese furono costruite come luoghi di culto formali , e la parola "ecclesia" iniziò a essere associata non solo alla comunità dei credenti , ma anche al luogo fisico in cui si svolgeva il culto. Siamo nel periodo della svolta costantiniana, con l’imperatore Costantino, in cui il cristianesimo diventa qualcosa di universalmente condiviso.   INVENTIO DELLA TERRA SANTA -> intesa come la scoperta e la promozione dei luoghi associati alla vita di Gesù, ha giocato un ruolo significativo nella storia cristiana, influenzando profondamente il modo in cui le persone pensavano alla vita, alla religione e alla sacralità del terreno. Questa scoperta viene portata in occidente attraverso le reliquie di Gesù. ELENA, COSTANTINO E LE RELIQUIE DI GESÙ La storia racconta che l'imperatore romano Costantino il Grande e sua madre Elena svolsero un ruolo chiave nella promozione dei luoghi associati alla vita di Gesù. Si dice che Elena, durante un pellegrinaggio in Terra Santa nel IV secolo, abbia ritrovato la Vera Croce e altre reliquie legate alla vita di Cristo. Queste reliquie furono poi portate in Occidente e donate a importanti basiliche di Roma, tra cui San Giovanni in Laterano, San Pietro, San Lorenzo e San Croce in Gerusalemme (trasposizione di Gerusalemme in occidente). Quindi queste chiese vengono dotate di reliquie che le rendono sacre. È un profondo cambiamento del modo di pensare la vita e la religione, tra terreno e divino.  Questo trasporto di reliquie e la costruzione di chiese che le ospitavano segnarono un profondo cambiamento nella percezione del sacro. Le reliquie venivano considerate particolarmente sacre e si credeva che avessero il potere di santificare il luogo in cui erano collocate. La pratica di portare reliquie dalla Terra Santa e diffonderle in Europa contribuì a "trasportare" simbolicamente la sacralità di Gerusalemme in Occidente. Questi eventi hanno avuto profonde implicazioni per il modo in cui le persone omprendevano la loro fede. La presenza fisica delle reliquie ha creato un legame tangibile tra il terreno e il divino , trasformando i luoghi in cui erano conservate in centri di devozione e pellegrinaggio. Questa trasposizione simbolica di Gerusalemme in Occidente ha contribuito a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità cristiana e a rafforzare la centralità di Roma come centro della fede. Inoltre, questa "inventio" della Terra Santa ha anche alimentato la nascita di tradizioni di pellegrinaggio, con numerosi cristiani che si recavano in Terra Santa per visitare i luoghi sacri associati alla vita di Gesù. Questi cambiamenti hanno influenzato profondamente il modo in cui le persone concepivano la connessione tra il terreno e il divino nella loro vita quotidiana e nella pratica della fede cristiana. Tornando a Momigliano quindi, la sua frase è espressione di concepire la storia che ha una direzione specifica, classica. Questo concetto è spesso associato all'idea che la storia segue un certo ordine o progresso lineare nel tempo. Es. Arco di Costantino: cambiamento della rappresentazione iconologica (si fa riferimento alla pratica di riutilizzare elementi iconografici da monumenti più antichi). Conseguenza del pensiero di Momigliano: gerarchizzazione delle fonti. spesso includevano racconti di miracoli, eventi straordinari attribuiti all'intercessione divina o alla presenza di forze soprannaturali. Il cristianesimo propone la vita oltre la morte, è la premessa della risurrezione dopo la morte, per far recepire questa caratteristica dalla società si utilizzano degli eventi ritenuti veritieri dalla società: i miracoli presso le tombe dei martiri. La promessa della vita oltre la morte e della risurrezione dopo la morte è un aspetto centrale della fede cristiana, e i miracoli associati alle tombe dei martiri hanno svolto un ruolo significativo nel consolidare questa credenza nella mente delle persone. Questi miracoli erano spesso interpretati come segni della presenza divina e della santità dei martiri, rafforzando la fede nella vita oltre la morte. NON SONO SOLO I MARTIRI CRISTIANI CHE FANNO I MIRACOLI, c’erano anche prima nei templi con funzione terapeutica, ma i cristiani ne fanno di più e “Meglio”, sono quelli più efficaci a cui il popolo comincia a dare credito, e lo sappiamo attraverso le fonti che testimoniano tutto questo. -> IMPORTANZA DEL CULTO DEI MARTIRI E DEI SANTI.  Le reliquie, come i resti o gli oggetti associati ai martiri, erano oggetto di devozione e pellegrinaggi. Questo culto ha contribuito a creare una connessione più intima tra i credenti e la divinità attraverso l'intercessione dei santi. Le fonti dialogano bene con la società che quindi accoglie l’opzione cristiana.   Il martire assolve delle funzioni importanti raccogliendo su di sé caratteristiche che provengono dalla cultura romana, diventa patrono (patronus, potente che si prende cura di una serie di persone) Il miracoloso che a detta di Momigliano inquina la storiografia basso imperiale è in realtà un interessante cambiamento di prospettiva a livello sociale, c’è una differenza rispetto alla società precedente, un cambiamento che poi rimane.   Due estremi dell’interpretazione del miracolo: ●     Miracolo all’interno di un confinamento esclusivamente teologico, una rappresentazione e semplificazione di concetti teologici. Quindi senza tener conto della sua valenza più ampia e delle possibili interpretazioni al di fuori del contesto teologico. Questo non ci aiuta a capirlo nella sua valenza proteiforme (cioè il miracolo può assumere molte forme e manifestarsi in modi diversi a seconda del contesto). ●     Un altro atteggiamento è quello di considerare il miracolo solo come superstizione di una società poco colta, barbarica, dove l’elemento miracoloso sopperisce una difficoltà di ragionamento. Il miracolo non è né puro folklore né è mediazione ecclesiastica alta.     Non è sostenibile la mediazione storiografica del miracolo come fatto da Momigliano in cui il miracolo viene confinato in un contenitore “immaginario”, questo non ci aiuta a capire il miracolo come dato storico. C’è un patto tra chi scrive e chi legge, viene riconosciuto il miracolo come tale. Non si pensa sia una metafora, ma si crede un evento realmente accaduto.   L'evoluzione delle opinioni riguardo al miracolo all'interno della tradizione cristiana ha visto diverse sfumature di pensiero nel corso dei secoli. Figure di importanti intellettuali cristiani che svincolano il miracolo in senso teologico: inizialmente le élite ecclesiastiche non vedono con favore la comunità che è incline a recepire il fenomeno miracoloso. Mentre all'inizio alcuni intellettuali cristiani potrebbero aver avuto riserve o visioni negative verso il miracolo, nel tempo alcune figure di spicco hanno contribuito a sdoganarlo in senso teologico Agostino Inizialmente, Agostino era scettico nei confronti dei miracoli e aveva una visione critica nei confronti di alcuni eventi prodigiosi. Quindi all’inizio ha un’idea del miracolo di tutti gli eventi prodigiosi negativa, li vede con fastidio. Quando poi Agostino si reca alla tomba di S. Stefano, protomartire, si ricrede e sviluppa una teologia del miracolo e delle reliquie che diventa una base importante per far recepire questi elementi all’interno della dottrina cristiana. La sua opera "Confessioni" riflette la sua fase di dubbio e distacco da alcune forme di miracoli. Tuttavia, nel corso del tempo, la sua comprensione del miracolo ha subito una trasformazione. Agostino ha sviluppato una prospettiva più matura e sofisticata sulla relazione tra fede e ragione, inclusi i miracoli. Agostino ha affrontato la questione dei miracoli in opere come "La città di Dio" e ha sottolineato che i miracoli possono essere interpretati come segni della presenza divina nella storia umana. Ha contribuito a integrare il concetto di miracolo nella teologia cristiana, aprendo la strada a una visione più equilibrata e accettante all'interno della tradizione cristiana. Ancora importante è Gregorio Magno.   I concetti di miracoli e di santità NON sono esclusivamente cristiani: sono presenti già nel mondo classico. Il termine sanctus non nasce con il cristianesimo, ma era usato già nel mondo antico . Era un titolo onorifico che poteva essere connesso a chi si occupava del sacro, ma comprendeva una sfera di significati semantici ancora più complessa e articolata. Il fenomeno della santità come noi lo intendiamo comunemente è essenzialmente cristiano. Riguarda particolarmente le regioni dove si è affermato particolarmente il cristianesimo.   Due interpretazioni del medioevo: ●      Leggenda rosa del medioevo: immaginare il medioevo come periodo di intenso fervore spirituale (caratterizzato da una profonda devozione religiosa, la costruzione di magnifiche cattedrali, la creazione di opere d'arte sacra e lo sviluppo del pensiero teologico. Si enfatizza la ricchezza culturale, la crescita delle università, la produzione di manoscritti e l'influenza positiva della Chiesa cattolica nella conservazione e trasmissione della conoscenza). ●      Leggenda nera del medioevo: disprezzo del periodo medievale. Epoca irrazionale e superstiziosa. È un’idea figlia del positivismo. Voltaire, Montesquieu, non è una riflessione storiografica per noi rilevante perché è un dibattito culturale specifico della loro epoca. Questa visione critica del Medioevo lo dipinge come u n'epoca caratterizzata da irrazionalità, superstizione , oscurantismo e un'assenza di progresso scientifico e culturale. Talvolta, questa prospettiva può essere influenzata da stereotipi e pregiudizi, come quelli emersi nel periodo dell'Illuminismo, quando alcune figure come Voltaire e Montesquieu criticavano il medioevo per contrastare il loro desiderio di promuovere la ragione e il progresso.   È importante notare che entrambe queste interpretazioni possono essere estreme tendono a semplificare la complessità del periodo medievale. La realtà è che il Medioevo fu un'epoca di cambiamenti dinamici, in cui coesistevano elementi di PROGRESSO e Lo STUDIO è l’attitudine con cui ci si accosta a una fonte, in generale, si riferisce all'atto di esaminare, analizzare o approfondire un determinato soggetto o argomento . Può implicare la raccolta di informazioni, la lettura di testi, l'acquisizione di conoscenze senza necessariamente impiegare un approccio critico rigoroso. Lo studio può essere basato sull'interesse personale, sulla familiarizzazione con un argomento o sulla volontà di acquisire conoscenze senza necessariamente mettere in discussione o esaminare in dettaglio le fonti. lo STUDIO CRITICO implica un approccio più rigoroso e analitico. Comprende l'applicazione di principi critici nell'esaminare le fonti, valutando la loro affidabilità, considerando il contesto storico e cercando di separare fatti da interpretazioni o leggende. Quindi ci permette di elaborare delle regole di analisi dei documenti, basate su criteri definiti, e il giudizio critico è supportato da prove e argomentazioni solide. Queste regole non erano così definite nel medioevo, spesso il giudizio critico era frutto di criteri non definiti, derivava spesso da giudizi non suffragati da prove. Alla fine del medioevo proliferavano le vite che raccontavano di santi mai esistiti, che raccontavano imprese prodigiose, senza controllo delle autorità ecclesiastiche: è questa una delle maggiori accuse di quegli studiosi che non riconoscono i santi. Questa situazione è stata oggetto di critica da parte di alcuni studiosi moderni che, con uno spirito più critico, contestano la storicità di certe figure e avvenimenti presenti in tali narrazioni agiografiche. in risposta alle critiche degli studiosi che contestavano la storicità di alcune figure e avvenimenti agiografici, sia cattolici che protestanti cercarono di fare luce sulla storia dei santi. Questo sforzo di discernere tra ciò che poteva essere provato come storico e ciò che poteva essere considerato leggendario riflette una fase di revisione critica nella storiografia cristiana. I protestanti, in particolare, con la creazione (guidati dai) dei Centuriatori di Magdeburgo1 creano l’Historia Ecclesiastica2, un’ opera fortemente polemica contro il cattolicesimo che ha come obiettivo quello di dimostrare tutte le falsità relative la storia del culto 1 furono un gruppo di studiosi protestanti che produssero l'opera intitolata "Historia Ecclesiastica" nel XVI secolo. Quest'opera è comunemente conosciuta come la "Centurie di Magdeburgo." Il termine "centurie" si riferisce alle centurie storiche, o sezioni, in cui l'opera è suddivisa. 2 La "Historia Ecclesiastica" è una vasta opera storiografica che copre la storia della Chiesa cristiana dai primi tempi fino al XVI secolo. La sua realizzazione fu un progetto collettivo, con numerosi contributi da parte di diversi studiosi che lavoravano a Magdeburgo, in Germania. L'opera fu pubblicata tra il 1559 e il 1574, ma alcuni volumi successivi furono pubblicati postum. dei santi contestando pratiche e credenze che ritenevano essere non basate su fondamenti storici solidi. i cattolici di fronte alle critiche e alla crescente consapevolezza dell’esigenza di una metodologia più rigorosa cominciano a cercare di fare luce sulle vicende che riguardano i santi e che realmente sono provabili, esistenti e reali e quelle che invece non lo sono , tutto ciò esaminando in maniera più critica le storie dei santi. La storiografia cattolica reagisce cercando di dimostrare la veridicità delle vicende dei santi attraverso l'analisi accurata dei documenti storici. Questa guerra viene chiamata anche bella diplomatica. (=diplomatica riferito ai diplomi medievali, quindi i documenti, bisogna provare i criteri oggettivi tramite i documenti). rappresenta dunque una fase in cui la storiografia cristiana si confrontò con il compito di stabilire criteri oggettivi basati su documenti autentici per dimostrare la storicità degli avvenimenti legati ai santi. Comincia una fitta produzione e polemica tra protestanti e cattolici riguardo il tema dei documenti della storia della santità. La disputa tra protestanti e cattolici sulla storia della santità portò a una fitta produzione di opere e documenti polemici. C’è un vaglio delle fonti, nasce un giudizio critico per capire se le fonti sono vere o no, nasce quindi la DIPLOMATICA, ovvero quella serie di criteri scientifici della storiografia. Si elabora uno studio critico della documentazione che in qualche modo possa dare la possibilità al lettore di rendersi conto se un documento è vero o falso. QUINDI LA DIPLOMATICA si occupa dell'analisi critica dei documenti medievali, come diplomi e altre fonti scritte. La diplomatica è una disciplina storica che si occupa della valutazione, dell'interpretazione e dell'uso critico di documenti storici. Questo approccio diventa particolarmente rilevante nel contesto della disputa tra protestanti e cattolici sulla storia della santità. È un periodo decisivo per l’evoluzione della disciplina storica e della storiografia, ci sono degli ambienti principali che hanno contribuito in modo significativo alla metodologia critica nello studio della storia: ●      Convento dei padri maurini di Saint-Germain-des-prés, il personaggio più importante è Jean Mabillon3 che scrive il De re diplomatica (1681). La sua opera è la nascita della disciplina storiografica in senso critico. ●      Ambiente dei Bollandisti4, gruppo di gesuiti che per difendere la cattolicità dalle accuse di superstizione che venivano mosse dai protestanti danno vita a una mostruosa opera che sono gli Acta Sanctorum. Sono edizioni critiche delle vite dei santi che eliminano tutti i santi di cui non si ha la certezza esistessero. Danno quindi credibilità alle fonti sante. Abbiamo tutte le vite dei santi fino al 31 ottobre, si sono fermati per la grandezza dell’opera. Entrambi questi ambienti e le opere dei protagonisti sottolineano il passaggio da un approccio più tradizionale e acritico alla storia a un metodo critico basato su regole chiare e documentate, gettando le fondamenta per la moderna disciplina storica. La commemorazione dei santi nella tradizione cristiana è un elemento importante della vita religiosa e liturgica. La FESTA DEI SANTI è spesso associata al giorno della loro morte, in quanto la morte viene vista come un passaggio verso la vita eterna e l'unione con Dio. Si festeggia la morte dei santi: la morte è l’accesso alla vita dell’aldilà. Un santo è un personaggio cristiano esemplare e ha compiuto la vita secondo la perfezione dell’essere cristiano . La santità non è solo associata ai miracoli che il santo può aver compiuto , ma anche alla sua dedizione a vivere secondo gli insegnamenti di Cristo e la perfezione dell'essere cristiano. I santi sono spesso venerati per le loro virtù, la loro carità, la loro fede e la loro vita di preghiera Il santo compie miracoli in nome di Dio. 3 un monaco benedettino del convento di Saint-Germain-des-Prés è una figura chiave in questo contesto. Nel 1681, Mabillon scrisse il "De re diplomatica," un'opera fondamentale che segnò la nascita della disciplina diplomatica. Quest'opera fu pionieristica nel suo approccio critico all'analisi di documenti medievali e fu un contributo significativo all'evoluzione della storiografia. Nel "De re diplomatica," Mabillon propose una metodologia sistematica per la valutazione critica dei documenti medievali. Egli delineò criteri chiari per stabilire l'autenticità e la validità storica dei documenti, gettando le basi per uno studio storico più accurato e scientifico. 4 erano un gruppo di gesuiti che operavano all'interno del movimento dei Bollandisti. La loro opera più nota è l'"Acta Sanctorum," un vasto progetto editoriale che mirava a pubblicare edizioni critiche delle vite dei santi. Iniziarono questo lavoro nel XVII secolo per difendere la cattolicità dalle accuse di superstizione avanzate dai protestanti. versione cristiana accettata dalla Chiesa cattolica, ortodossa e molte chiese protestanti) come la religione di stato dell'Impero Romano e condannò gli altri culti come eretici. Ciò rappresentò un cambiamento significativo nella politica religiosa dell'Impero. Da questo momento in poi i martiri non esistono più. con l'affermarsi del cristianesimo come religione di stato nell'Impero Romano, emersero nuovi generi di agiografia che riflettevano le nuove dinamiche della Chiesa. Due figure particolarmente apprezzate e celebrate in questi nuovi generi erano i vescovi e gli asceti. Nascono quindi altri generi; si riconoscono due qualità apprezzate, i vescovi e gli asceti. TRASFORMAZIONE VESCOVO (Questo cambiamento di ruolo contribuì anche all'evoluzione dell'agiografia e dei culti legati alle figure dei vescovi) I vescovi (pastore, in origine considerati sorveglianti delle piccole comunità di cristiani) cominciano a essere sempre più importanti come referenti centrali e coordinatori sia delle funzioni civili che religiose. Con il tempo, il loro ruolo si è espanso e hanno assunto responsabilità più ampie, diventando figure centrali nella guida della Chiesa sia dal punto di vista spirituale che amministrativo. Coordina una serie di funzioni civili e religiose, fa da legante all’interno della comunità. Spesso quando i vescovi muoiono, spesso in modo violento, si sviluppa un culto per queste figure eccezionali che hanno assunto il ruolo di patrono in vita. Le sepolture dei vescovi nelle chiese cattedrali, in prossimità dell'altare che conteneva le loro reliquie, diventavano centri di venerazione. Accadevano miracoli associati alle reliquie dei vescovi defunti, contribuendo a rafforzare il culto e l'influenza di queste figure eccezionali Non sono più martiri ma confessori , che pur non essendo martirizzate, hanno professato la vita cristiana in maniera eccezionale. -> SI PASSA DAI MARTIRI AI CONFESSORI. Gli ASCETI rifiutano in toto il mondo con i suoi valori culturali, politici e filosofici, si ritirano dal mondo e che in origine non sono perfettamente integrati con la comunità. -> Vanno in un non-luogo, nel deserto, per sfuggire alla società. Praticano l’ascesi = intesa come disciplina rigorosa e autocontrollo, era una parte fondamentale della vita degli asceti. Questa pratica mirava a raggiungere una maggiore santità attraverso la rinuncia ai piaceri materiali e alla vita mondana. Sono inizialmente figure incontrollabili perfettamente integrate nella comunità cristiana. Il loro stile di vita radicale e il ritiro dal mondo potevano sembrare estremi, ma diventano poi punti di riferimento per la curiosità dei fedeli . Quindi: nonostante la loro iniziale incontrollabilità, gli asceti divennero poi punti di riferimento per i fedeli. La loro dedizione al servizio di Dio e la loro pratica dell'ascesi li resero oggetto di curiosità e rispetto da parte di coloro che cercavano una vita più profondamente radicata nella fede e a coloro che erano interessati al “martirio bianco5”, non è rosso perché non si versa sangue ma rinunciano alla loro vita per la fede in Dio. Cominciano anch’essi ad essere ricordati e annoverati tra i santi. Nel corso del tempo, molti asceti furono inclusi tra i santi. La loro vita di sacrificio e dedizione alla fede cristiana li ha resi esempi di santità, e i loro culti sono cresciuti all'interno della tradizione cristiana. Gli agiografi hanno a disposizione due modelli di riferimento formali: il bios classico (bibliografia classica) e la Bibbia. Questi modelli influenzano la struttura e lo stile delle agiografie, contribuendo a definire diversi generi letterari utilizzati per raccontare le vite dei santi. Generi letterari riguardo il racconto delle biografie: ●      Biografia (narra la vita di una persona in modo cronologico, fornendo dettagli sulla sua nascita, educazione, attività e eventuale morte. Nelle agiografie , questo genere è spesso utilizzato per presentare in modo completo la vita di un santo) ●      Elogio (l'elogio è un genere che esalta e celebra le virtù e le opere di una persona. Nelle agiografie, l'elogio viene spesso utilizzato per mettere in luce la santit à , la devozione e i miracoli associati al santo). ●      Panegirico. Il panegirico è un genere letterario che consiste in un discorso laudatorio o una composizione che esprime l'ammirazione e l'encomio per una persona . 5 L'ascesi praticata dagli asceti è talvolta definita come "martirio bianco". Sebbene non versassero sangue come i martiri tradizionali, rinunciavano alla loro vita quotidiana, dedicandosi completamente a Dio attraverso la rinuncia e l'autoimposizione di sofferenze fisiche. Nelle agiografie, il panegirico può essere utilizzato per elogiare il santo in modo enfatico. ●      Apologia. L'apologia è un genere che difende o giustifica una causa o una persona. Nelle agiografie, l'apologia può essere impiegata per difendere la reputazione o la santità del santo contro eventuali critiche o contestazioni. ●      Lode commemorativa La lode commemorativa è un genere che celebra e commemora una persona o un evento. Nelle agiografie, questo genere può essere utilizzato per onorare la memoria del santo, spesso in occasione della sua festa liturgica. Gli agiografi spesso mescolano questi generi letterari per creare una narrazione completa e coinvolgente delle vite dei santi. L'uso di modelli come il bios classico e la Bibbia fornisce agli agiografi un quadro formale per presentare in modo efficace la vita e il significato spirituale dei santi nella tradizione cristiana. Mentre la tradizione biblica e in particolare il modello di Gesù Cristo, costituisce un fondamentale punto di riferimento per gli agiografi e per la narrativa delle vite dei santi. modello di riferimento anche per i miracoli effettuati dai Santi. Il modello di Gesù Cristo influisce su diversi aspetti delle agiografie, tra cui temi, contenuti e persino la struttura delle narrazioni. In sintesi, gli agiografi attingono sia dalla Bibbia che prendono temi e contenuti e sia dalla letteratura classica che prendono le forme retoriche le strutture narrative. Tuttavia, la loro finalità principale è quella di rappresentare una continuazione delle Sacre Scritture, offrendo un'estensione delle narrazioni bibliche attraverso le vite dei santi. Pur utilizzando elementi della letteratura classica, gli agiografi si discostano però nelle finalità, (che si riagganciano direttamente alle Sacre scritture di cui vogliono rappresentare una continuazione), focalizzandosi sulla tradizione sacra e cercando di trasmettere insegnamenti spirituali e il significato della vita dei santi come esempi di fede e santità. Le vite dei santi hanno tutte delle sezioni comuni, dei momenti topici Questi momenti topici offrono una struttura narrativa che mira a coprire importanti fasi della vita del santo e a presentarne la storia in modo completo e significativo. Diventa un modello per l’agiografia successiva.  Modello per l'Agiografia Successiva: Gregorio Magno ha influenzato notevolmente l'agiografia successiva. La sua presentazione di storie di santi e miracoli, con uno stile accessibile, ha stabilito un modello per le future opere agiografiche. La sua enfasi sulla santità quotidiana e la comunicazione chiara delle dottrine cristiane ha lasciato un'impronta duratura nella tradizione agiografica. I DIALOGHI LIBRO SECONDO Vita e miracoli del venerabile ABATE BENEDETTO. Analisi del testo: (Ricordiamo che spesso le vite dei santi non rappresentano il pensiero del santo ma dell’agiografo) Un uomo di vita venerabile: che vale la pena elogiare. Aveva il cuore di un vecchio: era saggio, diverso dagli altri ragazzi. Aveva il cuore (Sede dell’intelligenza) da vecchio: è un topos, che parte dall’idea che una persona eccellente non ha mutamenti di personalità. Topos del Puer Senex10. Nulla concesse al piacere: affermazione ideologica forte del modo di pensare dell’autore: non è scontato che non si conceda nulla al piacere, ovvero non abbandonarsi ai beni materiali e alle passioni. Nella versione latina l’autore usa la parola voluptas, al piacere carnale. L’autore è interno all’ambiente monastico, in quanto si parla di voluptas. Scrive un monaco rigorista e sembra enfatizzare la rinuncia ai piaceri mondani, in particolare il controllo della "voluptas", come elemento fondamentale per vivere la vita monastica Necessità di trovare un nuovo tempo che diminuisca la frequenza di dormire e mangiare, istinti a cui non possiamo rinunciare: è un 10 rappresenta l'idea di un giovane che ha la saggezza e le caratteristiche tipiche di una persona anziana. "Puer Senex" è una locuzione latina che significa "giovane vecchio" o "giovane saggio". Questo topos è spesso utilizzato nelle narrazioni per descrivere un personaggio che, nonostante la giovane età fisica, mostra una maturità, una saggezza o una serietà che sono tipiche di una persona anziana. controllo che ti permette di fare il monaco (una volontà di disciplina e autocontrollo, elementi chiave nella vita monastica) La preghiera è uno scardinamento di un atteggiamento per concentrarsi continuamente su Dio, qui parliamo di qualcuno che sa già controllare la voluptas. La preghiera viene presentata come uno strumento per sradicare atteggiamenti che potrebbero distrarre da Dio, evidenziando la capacità di controllare la "voluptas" attraverso la focalizzazione spirituale continua. In sintesi, il passo sembra delineare la visione di Gregorio Magno sulla vita monastica, incentrata sulla rinuncia ai piaceri materiali e sulla disciplina spirituale attraverso la preghiera. Disprezza i beni temporali: sul modello di Gesù, seguito poi dagli asceti. In aula è stato posto l’esempio di San Francesco: non si può fare un paragone con quello che c’è in questo testo con quello che c’è in questo testo perché San Francesco viene dopo, perché i presupposti sono diversi. Uno studio critico parte da ciò che c’è prima e non dopo. IL MODELLO E’ CRISTICO, è il primo modello di ogni vita: sequela christi. Il passo evangelico di riferimento qui è quello del giovane ricco11-> torniamo all’ambiente monastico. Il mondo è arido deserto: Benedetto va nel deserto. Il deserto è qualcosa che da frutti, la vita del santo ne è un esempio. La metafora del deserto è spesso utilizzata in contesti spirituali e religiosi per rappresentare un luogo di prova, purificazione e ritiro dal mondo materiale. Nella tradizione cristiana, il deserto è associato alla figura di Gesù, che trascorse quaranta giorni nel deserto in preghiera e digiuno, resistendo alle tentazioni di Satana. Secondo la tradizione, Benedetto si ritirò nel deserto per vivere una vita di preghiera, riflessione e ascesi. La sua esperienza nel deserto è spesso considerata simbolica della ricerca interiore e della lotta contro le tentazioni mondane. 11 Il passo evangelico del giovane ricco si trova nei Vangeli sinottici, ovvero nei Vangeli di Matteo (19:16-30), Marco (10:17-31) e Luca (18:18-30). La narrazione racconta di un giovane che si avvicina a Gesù e gli chiede cosa deve fare per ottenere la vita eterna. Gesù gli risponde dicendo di osservare i comandamenti. Il giovane sostiene di averli già osservati, e chiede cosa gli manchi ancora. R In risposta, Gesù gli dice di vendere tutte le sue ricchezze, di dare i proventi ai poveri e di seguirlo. Il giovane ricco, però, si rattrista perché possiede molte ricchezze e non è disposto a rinunciarvi. Gesù conclude dicendo quanto sia difficile per un ricco entrare nel regno dei cieli, affermando che è più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago. Questo passo è spesso citato per enfatizzare il concetto di rinuncia ai beni materiali e la dedizione totale a Dio, sottolineando l'importanza della povertà spirituale e della sequela di Cristo. In contesti monastici o ascetici, il riferimento al giovane ricco può essere utilizzato per illustrare la necessità di distaccarsi dai beni terreni per perseguire una vita spirituale più profonda Quindi IL MONDO È ARIDO DESERTO = potrebbe indicare una percezione negativa del mondo materiale, suggerendo che la vera vita, quella che dà frutti spirituali, si trova in un ritiro dal mondo e nell'adesione a una vita più ascetica e dedicata a Dio. La vita di un santo, come Benedetto, è quindi vista come un esempio di come la rinuncia al mondo possa portare a una vita spirituale feconda e significativa.   Lezione 3 05.10.2023 La letteratura agiografica costituisce un momento fondamentale per la santità cristiana (è cruciale per la promozione della santità cristiana). La letteratura agiografica si occupa della scrittura di biografie o racconti sulla vita dei santi, compresi quelli dei primi seguaci di Cristo e di coloro che hanno compiuto azioni straordinarie nel nome della fede. Inizialmente la figura sacra è la figura di Gesù, che recupera degli attributi dell’eccezionalità religiosa non solo di tradizione biblica ma ne assume anche di nuovi, incentrati sulla nuova religione incentrata sulla morte. Inizialmente, Gesù stesso è presentato come la figura suprema di eccezionalità religiosa. I Vangeli narrano la sua vita, le sue opere miracolose, il suo insegnamento etico e la sua morte redentrice. Questi racconti agiografici, inclusi nel Nuovo Testamento, contribuiscono a plasmare la percezione di Gesù come modello di santità e incarnazione di Dio. Con l'avanzare del cristianesimo, la letteratura agiografica si estende ai santi e alle sante che hanno seguito l'esempio di Gesù. Questi racconti narrano di miracoli, sacrifici, e virtù che dimostrano la santità di tali individui. La vita di Gesù serve come modello, ma la letteratura agiografica successiva si concentra su come i santi incarnino tali virtù nella loro vita quotidiana. La centralità della morte di Gesù nella fede cristiana è spesso riflessa in questa letteratura agiografica, sottolineando la redenzione e la salvezza attraverso il sacrificio di Cristo. Questi racconti aiutano a comunicare il messaggio centrale della fede cristiana e a ispirare i credenti a seguire l'esempio di Gesù e dei santi. Si articolano delle forme di mediazione sia sul piano teologico che sul piano devozionale , si moltiplicano oggetti e soggetti che hanno adesione a diversi bisogni della società. Sul piano teologico, ci fu un'accentuazione della relazione personale con Dio attraverso la fede in Cristo. La mediazione tradizionale tramite sacerdoti o intermediari venne ridimensionata. Sul piano devozionale, oggetti come reliquie, icone, e luoghi santi divennero veicoli di connessione spirituale e di adempimento di bisogni spirituali. Si assistette a una crescente varietà di oggetti devozionali come reliquie, icone, amuleti, e oggetti sacri. Questi oggetti erano spesso associati a guarigioni miracolose e venivano venerati per la loro presunta sacralità. La figura del SANTO divenne un soggetto devoto importante, con molte persone che cercavano l'intercessione di santi specifici per questioni particolari I primi martiri per eccellenza sono gli apostoli16, essendo considerati i primi martiri e testimoni della resurrezione di Gesù Cristo. Hanno reso fondamentale la testimonianza della resurrezione del signore, che è il punto centrale della nuova fede cristiana. (la testimonianza della resurrezione costituì il nucleo centrale della loro predicazione e della nuova fede cristiana Gli apostoli sottolinearono la centralità della fede in Cristo risorto come elemento essenziale per la salvezza. Lo stesso cristo aveva reso testimonianza in questo senso proclamandosi figlio di Dio. La sua testimonianza, insieme ai miracoli e all'insegnamento, formò la base su cui gli apostoli costruirono la loro predicazione sulla divinità di Cristo   -> tutti i cristiani sono chiamati a testimoniare questa verità di fede proclamandosi, appunto, cristiani.   La FEDE, soprattutto nei primi secoli, può comportare la morte: Martyr17 significa morto per la fede. Il martirio era visto come un atto di testimonianza estrema della fede, con la convinzione che la morte fosse solo un passaggio alla vita eterna. 16 Molti degli apostoli subirono il martirio per la loro fede. Furono disposti a morire piuttosto che negare la loro testimonianza sulla resurrezione di Gesù. Il martirio degli apostoli contribuì a consolidare la forza della loro testimonianza e a ispirare altri a seguire il cammino della fede cristiana 17 deriva dal greco μάρτυς (mártys), che significa "testimone", ma nel contesto cristiano antico è spesso associato a coloro che muoiono per la loro fede. Lo attestano le fonti, come gli atti di sant’Alicardo (metà II sec) testimoniano un’accezione del termine martyr in tal senso. È una morte che si salda in maniera immediata con la certezza della resurrezione, per i martiri si rivendica l’immediata gloria celeste per la loro stessa morte. Partecipano così alla gloria celeste, azione che porta all’assoluzione da tutte le colpe. La morte del martire veniva considerata un accesso immediato alla gloria celeste. Si credeva che i martiri, con il loro sacrificio supremo, partecipassero subito alla vita divina, ottenendo così l'assoluzione completa da ogni colpa. La morte del martire era vista come una sorta di purificazione istantanea. La loro testimonianza attraverso la morte garantiva loro il perdono totale dei peccati e l'accesso alla presenza di Dio.   Sin dalle origini la scelta del modello martiriale viene accettata dai credenti come adesione al modello perfetto di CRISTO, considerato il primo martire per eccellenza.   Tutte le prime comunità di cristiani concentrate soprattutto nelle città (fenomeno prettamente urbano che ha un lungo processo di cristianizzazione delle campagne) cominciano ad avere i propri martiri ●      Palestrina, con il protomartire S. Stefano , il cui culto si diffonde dopo la scoperta delle sue reliquie alla fine del secolo IV. Il culto per questo martire si diffonde su tutte le rive del mediterraneo. ●      Roma, Pietro e Paolo, Roma viene definita come il luogo in cui ci sono i limina apostolorum. Fondano la sacralità cristiana della capitale dell’impero, non capitale politica ma simbolica , morale, il centro della cultura romana . Sostituiscono i due gemelli su cui si fondava il culto di Roma, Romolo e Remo.   Ogni movimento religioso e politico ha i suoi martiri, ovvero rende onore a coloro che muoiono per l’ideale condiviso dal gruppo. L’ideale martiriale è attestato al di là della tradizione ecclesiastica ufficiale, e anche dopo il cristianesimo. Es. Nello stesso ambito cristiano si sviluppano delle forme concorrenziali, come ad es. La chiesa guidata da Donato, che guida i donatisti: si definisce come chiesa dei Martiri. Fine III - Prima metà IV sec. Il movimento donatista emerse in risposta alle controversie sorte tra i cristiani dopo la persecuzione dell'imperatore Diocleziano nel III e IV secolo. Il donatismo si concentrava principalmente sulla purezza della Chiesa e si oppose vigorosamente ai vescovi e ai sacerdoti che avevano ceduto durante la persecuzione, i cosiddetti "lapsi" . Questi erano cristiani che avevano rinnegato la fede cristiana o avevano compiuto atti contrari alla loro fede per evitare la persecuzione. Donato e i suoi seguaci sostenevano che solo coloro che erano rimasti saldi nella fede durante la persecuzione erano legittimi membri della Chiesa e che le ordinazioni e i sacramenti amministrati dai vescovi compromessi erano invalidi. In questo contesto, il termine "Chiesa dei Martiri" si riferiva al desiderio di mantenere la purezza della Chiesa attraverso la testimonianza dei martiri che avevano sofferto per la loro fede. Donato era vescovo di Cartagine, molto rigorista nei confronti di coloro che erano venuti a compromessi con l’autorità nel corso della persecuzione avvenuta agli inizi del IV sec. In quell’occasione molti cristiani per paura di essere perseguitati e di morire avevano rinnegato Cristo e avevano sacrificato all’imperatore, costoro si chiamavano i lapsi. Il movimento che guida donato ottiene un consenso soprattutto presso le popolazioni africane per motivi anche etnici e sociali oltre che religiosi, attecchisce perché assume su di sé anche valenze di rivendicazione politica in quel bacino geografico.   -> il culto dei martiri antichi rimane la struttura portante del culto dei santi per tutto il medioevo e oltre. <-   Questo è testimoniato dalla netta prevalenza delle passioni nei manoscritti agiografici medievali e nelle vite dei santi di età moderna. Nei manoscritti agiografici medievali e nelle vite dei santi dell'età moderna, le passioni dei martiri continuavano a svolgere un ruolo predominante. Le passioni erano narrazioni dettagliate dei martiri e dei loro patimenti. Ma perché i martiri sono più importanti? Sono più vicini al tempo di Cristo. Un mito della chiesa è l’ecclesiae primitivae forma (chiesa primitiva), ovvero la chiesa più vicina possibile al tempo di Cristo più vicina all'insegnamento originale di Gesù Cristo e degli apostoli. idea che, quanto più ci si avvicina cronologicamente al tempo di Cristo e degli apostoli, tanto più autentica e pura sarebbe la pratica cristiana. Più ci si allontana dalla venuta di Cristo più il tempo perde di valore. L'idealizzazione della Chiesa primitiva è spesso collegata alla ricerca di un modello di purezza e semplicità nel cristianesimo. Si suppone che nei primi tempi del cristianesimo, prima che la Chiesa si organizzasse in una struttura gerarchica sicuramente dagli inizi del V secolo, le reliquie diventano un vero e proprio motore. Nel 401 viene sancito che una chiesa per essere tale deve avere una reliquia all’altare. Nel momento in cui i loro resti vengono posti nell’altare, il centro della chiesa, ha un significato teologico. Nulla è messo lì per caso ed è tutto in funzione di questo. L’altare è il fulcro attorno a cui prende significato ogni spazio della chiesa. Associazione a Cristo dell’altare.   Vengono utilizzati in qualità di intercessori inizialmente, passano solo gradualmente dalla categoria di defunti per i quali si rivolgono delle preghiere a Dio a intercessori ai quali si rivolgono preghiere. È un passaggio molto importante, ad es. Abbiamo già nel II sec nelle catacombe di S. Sebastiano a Roma dei graffiti dove possiamo leggere delle preghiere di invocazione ai martiri. È una pratica che si consolida nel IV sec e poi sancito da Sant’Agostino che muore nel 430, nel V sec quindi è la prassi. Agostino scrive in un suo testo che è sconveniente pregare per i martiri, e piuttosto bisogna raccomandarsi alle loro preghiere in quanto sono uomini di Dio che hanno vinto il mondo confessando la loro fede in Dio.   La terminologia ci aiuta a cogliere l’evoluzione del culto dei martiri. Nelle prime generazioni il termine santo in greco, aghios, o sanctus in latino è un termine onorifico, come lo era nel mondo classico-romano. Poi, grazie a una serie di testi epigrafici, abbiamo la testimonianza che il termine comincia a indicare specificamente i martiri e soprattutto i corpi dei martiri, presso cui si anelava ad essere sepolti come garanzia di benefici per l’anima. Sin dai primi momenti di riconoscimento dell’importanza speciale dei martiri c’è una volontà ad essere sepolti il più possibile vicino ai corpi dei martiri . -> maggiore possibilità di avere intercessione e quindi raggiungere la vita eterna. Per questo motivo dietro le cripte delle chiese ci sono molte sepolture.   Il termine di santo comincia soprattutto dopo la fine delle persecuzioni ad estendersi gradualmente da coloro che sono morti per professare la fede a coloro che testimoniano la loro fede con l’esemplarità della loro vita, e quindi i confessori. La venerazione resa ai martiri dalle comunità cristiana con la celebrazione dell’anniversario all’onore delle reliquie, la costruzione di edifici sacri sulle tombe, si estende a coloro che hanno s offerto per la fede anche se non hanno incontrato la morte per essa e ai grandi asceti che hanno praticato una vita di rinuncia ai valori e ai beni del mondo. È una vita di privazione che viene equiparata al martirio di sangue -> il MARTIRIO BIANCO . Riservato agli asceti e ai grandi vescovi.   Con la pacificazione costantiniana la vita delle comunità cristiana conosce un mutamento. Il rapporto tra scelte religiose e riconoscimento di santità diventa più diversificato.   Il modello cristico basato sulla Bibbia e sulla tradizione apostolica, seppur il più diffuso, non riassume la complessità delle fonti cristiane. ci sono numerose variazioni nelle credenze e nelle pratiche tra le diverse denominazioni e correnti del cristianesimo. È solo il più importante, ma non l’unico: si costituisce un pantheon diversificato per generi, modelli, funzioni, che ingloba tanti santi nuovi e santifica anche delle figure storiche e mitiche del vecchio e nuovo testamento. Vengono assunte all’interno della santità cristiana figure come profeti, o personaggi del vangelo come Maria Maddalena, gli arcangeli… Questo fatto assicura l’esigenza alle credenze dei fedeli, favorendo la diffusione del fenomeno cristiano.   Pratica dell’incubatio: consuetudine del mondo classico di dormire nel santuario per ottenere in sogno la guarigione . È una pratica testimoniata nel cristianesimo almeno fino al VI sec , mutuata dalla tradizione antica. Lo stesso vale per i miracoli terapeutici che si realizzano solo in luoghi considerati sacri dalla cultura pagana, poi cristianizzati. Ne sono un esempio i santuari micaelici. per facilitare la conversione delle popolazioni locali al cristianesimo, le autorità ecclesiastiche hanno scelto di cristianizzare luoghi di culto e santuari già esistenti. Cosi avvenne per i santuari Miacelici erano taumaturgi dedicate a San Michele arcangelo che guarisce e salva dal demonio.  Le comunità umane hanno cercato di integrare le loro tradizioni culturali e religiose preesistenti con le nuove influenze portate da conquiste o conversioni. Il fatto che i Longobardi18 abbiano identificato San Michele con figure della mitologia germanica e nordica come Botan e Odino è un esempio di SINCRETISMO RELIGIOSO . Questo processo coinvolge l'associazione e l'adattamento di elementi delle credenze pagane alle nuove credenze cristiane , spesso per facilitare la transizione delle popolazioni locali verso il cristianesimo. Quindi i longobardi identificavano san Michele con Botan e Odino 19, lo adottarono nella loro religione e a Bisanzio diviene un santo Psicopompo (ovvero che accompagna le anime ( con la stratera la bilancia che bilanciava l'anima.) indica una reinterpretazione cristiana di ruoli che potrebbero essere stati attribuiti a divinità pagane o figure mitiche. Non si tratta solo di un fenomeno folkloristico, ma riguarda anche persone di alto rango sociale: si cercava nel santo il cosiddetto “amico invisibile”, come definito da Brown, capace di dare conforto nel passaggio verso la morte. Sono SINCRETISMI che si creano sulla base della cultura pre- esistente su cui si innesta il cristianesimo.   Culto della reliquia: la percezione e il riconoscimento dell’eccezionalità ha il suo fondamento nella scelta originaria dell’individuo che viene poi riconosciuto come eccezionale. Es. La scelta del maritrio è una scelta individuale , o nel caso degli asceti la scelta di abbandonare un luogo per un altro sentito più idoneo. Lo stesso vale per la scelta pastorale o missionaria. A questa scelta fanno capo dei comportamenti che diversificano i vari santi. CORPO Il corpo è la realtà fisica in cui si inscrive il percorso spirituale. La santità si gioca moltissimo sul rapporto con il corpo. Nel caso degli asceti è la capacità di dominare il proprio corpo e arrivare oltre a quelli considerati limiti umani. 18 Longobardi, un popolo germanico che invase l'Italia nel VI secolo, possiamo osservare un'interessante fusione di credenze pagane e cristiane. 19 sono figure appartenenti alla mitologia germanica e nordica, particolarmente associate alle divinità dell'aldilà e all'accompagnamento delle anime dei defunti  può proteggere le comunità che si rivolgono a lui,  può guarire e arrivare anche a sconfiggere la morte fisica operando la resurrezione dei corpi morti secondo il modello cristico. Sogni, visioni e profezie, esperienze mistiche, sono tutte espressioni collegate alla capacità del santo di attivare il rapporto con il soprannaturale, avviene sia dal basso all’alto (attraverso ad es la capacità di esercitare le virtù, la penitenza, l’ascesi…) ma viene anche dall’alto in basso (attraverso il riconoscimento divino del percorso compiuto dall’uomo e la speciale concezione della grazia spirituale che si presenta nei santi nella loro capacità di operare miracoli.) In vita IL CORPO DEL SANTO È GIÀ SANTO, e accade spesso che continui a vivere nel suo corpo morto. -> CORPO COME ELEMENTO CENTRALE NELLA SANTITA’. La naturale conseguenza di ciò è il potere taumaturgico, ovvero il potere di guarire che viene attribuito al corpo del santo anche dopo la sua morte. È un potere che è in qualche modo la prova della sopravvivenza dell’anima, fulcro centrale della dottrina cristiana. Il corpo è anche il luogo in cui si vede inscritto il percorso spirituale del santo: è la testimonianza dell’unità tra ciò che è umano e ciò che è divino. Il corpo non interrompe l’unità umano-divino ma lo rafforza. La tomba del santo acquisisce un’importanza centrale, e diventa il punto centrale di quest’incontro. Umano e divino   RELIQUIA Tra gli onori tributati ai santi c’è anche la grande cura con cui vengono sepolti i loro corpi, in quanto vengono trattati come oggetti preziosi. I corpi dei martiri sono così importanti per i cristiani che i persecutori durante le persecuzioni del III sec si preoccupano di disperdere e distruggere i resti dei santi (caso dei Martiri di Lione in Francia, vengono prima bruciati i resti e poi le ceneri disperse nel fiume Rodano per fare in modo che nessuna loro reliquia potesse essere rimasta sulla terra). Siamo al confine etimologico di reliquia tra ciò che resta e resto sacro, ciò che diventa. Nella lingua latina reliquia vuol dire solo spoglie mortali, durante il medioevo c’è uno slittamento semantico e comincia ad indicare un resto santo, qualcosa che va onorato. È questo il significato più forte a partire dal IV sec.   Sono molto interessanti gli altri modi in cui viene chiamato il corpo del santo morto, ci fa capire ciò che diventa una vera e propria teologia di questo tipo di oggetti: ●      Pignola, Pignus, Pignolis: pegno in quanto promessa. Indica una doppia presenza del santo sia in cielo che in terra, e di conseguenza il pegno è la promessa di un potere taumaturgico. Il corpo del santo martire può operare miracoli come pegno di ciò che è l’assioma centrale della religione cristiana, ovvero la sopravvivenza dell’anima dopo la morte terrena. La designazione del corpo del santo come "pegno" o "pignus" riflette la concezione di un legame speciale tra il corpo del martire e la promessa divina della vita eterna. Questo concetto sottolinea la duplice presenza del santo sia in cielo che in terra. Il corpo diventa un simbolo tangibile della promessa di salvezza, e il suo potere taumaturgico è visto come una conferma di questa promessa. La riflessione teologica che ne consegue è quella che porta al culto delle reliquie che parte dalla sacralità del corpo di Cristo. La riflessione teologica evidenzia il legame con la sacralità del corpo di Cristo. La fede nella resurrezione di Cristo e la sua ascensione al cielo sono fondamentali nella teologia cristiana, e il culto delle reliquie si basa su questa concezione. Il corpo del martire diventa un simbolo potente di questa fede nella vita eterna. È tutto in funzione al messaggio di salvezza eterna. Il culto delle reliquie, nel contesto di questa teologia, è quindi orientato verso il messaggio centrale della fede cristiana: la speranza nella salvezza eterna attraverso Cristo. La preservazione e la venerazione delle reliquie sono viste come un segno tangibile di questa speranza e della continuità della vita spirituale dopo la morte terrena. Così come Cristo si è incarnato, ha operato il miracolo dell’eucarestia ed è poi risorto -> promessa del miracolo del giorno del giudizio. Sant’Agostino tra la fine del IV sec e gli inizi del V ha dapprima un giudizio negativo nei confronti della possibilità dei miracoli contemporanei (che erano comunque diffusi). In seguito però constata di persona i miracoli che vengono operati dal protomartire Stefano le cui reliquie erano traslate in Africa e vari luoghi dell’area Mediterranea, modifica quindi il suo scetticismo e arriva ad inserire il racconto dei miracoli di Stefano nella sua principale opera teologica, ovvero il De Civitate Dei, uno dei testi più importanti della patristica cristiana.   Il potere dei santi intercessori presso Dio e il potere delle loro reliquie è garanzia della possibilità di guarigione e di resurrezione dei corpi. Si assicura così anche la resurrezione finale riservata a tutti i cristiani in analogia con la resurrezione di Cristo.   Il culto che si va spargendo per il bacino mediterraneo delle reliquie ha qualche dose di scetticismo da parte delle gerarchie ecclesiastiche21, ma incontra un altro problema: quello delle leggi romane, che proibivano la manomissione dei corpi dei defunti. Con Settimio Severo ad es (Fine II sec - primi anni del III) ogni violazione di questa legge si configurava nella categoria del sacrilegio, uno degli atti più esecrabili per la legge romana. Alla metà del IV sec con Costanzo c’è ancora una conferma della pena capitale e della condanna a morte per chiunque si macchiasse di CONTRACTATIO, ovvero manomissione dei corpi . -> Ci sono però una serie di contraddizioni e comportamenti lassisti da parte delle autorità. Si diffonde comunque il culto delle reliquie. Per l’imperatore Giuliano l’apostata22 (perché intorno alla metà del IV sec cerca di riportare e restaurare la religione romana) fa buon gioco: ma la successivamente legislazione sempre più influenzata dal cristianesimo fa modificare quest’usanza di condannare la manomissione dei cadaveri. 21 In alcuni casi, alcune figure ecclesiastiche potrebbero aver mostrato scetticismo nei confronti del culto delle reliquie, forse a causa di preoccupazioni riguardanti il possibile abuso o l'idolatria. Alcuni teologi o membri della Chiesa potrebbero aver sollevato interrogativi sulla validità o sulla necessità di venerare i resti fisici dei santi. 22 Giuliano tentò di ripristinare e promuovere la religione tradizionale romana (noto come paganesimo) dopo decenni di predominanza del cristianesimo. Tuttavia, la sua politica di restaurazione pagana incontrò delle sfide, e alla fine morì durante una campagna militare nel 363 d.C.  portate dai credenti per portare protezione  o donate per rafforzare legami di amicizia interpersonale  o rapporti religiosi tra comunità lontane nello spazio  o per sancire accordi di natura politica ed ecclesiastica. Diventano sempre più oggetti ritenuti importanti dalla società e vengono quindi utilizzati anche in sede diplomatica e di scambio di doni tra potenti. Le reliquie diventano quindi dei veri e propri mana, amuleti, che possono essere di varia natura: più pregiati sono i resti del martire, ma c’è tutta una tipologia di sfumature di reliquie.   In occidente a partire dal IV sec vengono rifatte molte chiese in immagine della nastasi e vengono rispettate le proporzioni architettoniche, questo già conferisce sacralità all’uomo.   La reliquia diventa anche uno strumento di potere. Chiunque esercita un’autorità o un potere cerca di provvedersi di reliquie per poter validare la propria dinastia -> i re, le grandi dinastie sono instancabili collezionisti di reliquie. Tutto ciò dà sacralità a chi le detiene. Si tratta di un potere interno, immanente, assimilabile a delle forme animistiche ma hanno anche un potere esterno, sociale, la reliquia conferisce un potere al suo possessore /all’istituzione che la possiede. La reliquia conferisce potere al suo possessore, il desiderio di appropriarsi di una reliquia non si lega necessariamente a un suo potere immediatamente manifesto o a una virtus attiva, o a una virtus presunta: basta anche solo questo a conferire potere sociale a chi possiede una reliquia. Viene concepita come un tesoro, come un oggetto di natura preziosa, capace di conferire prestigio a chi la detiene. Il desiderio di appropriarsi una reliquia non si lega a una VIRTUS attiva, ma una VIRTUS presunta, anche questo basta a conferire potere sociale, la reliquia viene concepita come un tesoro un oggetto prezioso che da una VIRTUS a chi la detiene. La vera posta del potere sta nella gestione e nel controllo della sacralità. Di questo i sovrani si rendono conto molto in fretta, chi detiene il potere di controllare il sacro ha di fatto un potere sociale. Difatti nel corso del MEDIOEVO le dinastie, i poteri civili si affannano a dotarsi di monasteri e santuari: la gestione di monasteri e santuari indicava potere in quanto erano i luoghi centro di pellegrinaggio , dove si gestisce il sacro. Si controlla il sacro non solo a livello religioso ma anche a livello amministrativo e politico. I monasteri vengono spesso posti in luoghi di controllo del territorio di una dinastia (celebre il caso dei Canossa, XI sec, che puntellano le loro conquiste con santuari e monasteri che svolgono la funzione di luoghi di controllo e indicatori della presenza dell’autorità attraverso la gestione del sacro). -> ciò che avviene è la sacralizzazione dello spazio in senso cristiano, riconfigurando lo spazio occidentale e la concezione dello spazio da parte degli occidentali stessi. Si tratta di una nuova organizzazione della società sulla base della religione ma che sconfina l’aspetto religioso.   Reliquiari: l’elevazione in luoghi visibili e prestigiosi delle reliquie, il porre le reliquie in un posto che ne svolga l’elevazione immediata per valorizzarle e richiama subito il potere e il valore in senso tecnico delle reliquie, più i reliquiari sono preziosi più sono degni di ospitare la reliquia. Bisogna usare contenitori consoni alle reliquie preziose. È un discorso che generalmente vale anche per le chiese, vengono addobbate con materiali preziosi, non per un discorso meramente economico ma perché si tratta del luogo che ospita il sacro e deve quindi essere adeguato.   La fisicità e la sacralità rendono la reliquia un oggetto analogo quasi al corpo di Cristo, che viene conservato sotto le chiese in specie eucaristica. L’arte tende ad accentuare quest’identificazione: i reliquiari sono sempre meno dei semplici contenitori e diventano sempre più degli oggetti preziosi essi stessi che avvolgono con le loro forme splendide il contenuto. Le reliquie sono pegno di sacralità e potere, quindi vengono spesso sottratte al nemico, come ad es nel caso delle invasioni normanne. Diventavano spesso oggetti di furti, venivano rubate come - le reliquie di San Nicola a Bari che sono frutto di una rapina da parte di marinai baresi che le rubano dalla regione della Turchia dove si trovavano precedentemente. Ciò che conta è che il santo opera attraverso le reliquie il miracolo , chi le possiede ha potere e se il santo si fa rubare vuol dire che chi ruba è legittimato ad averlo.   Passiamo all’analisi di una fonte: LA VITA DI SAN MARTINO DI TOURS. La sua vita è scritta da Sulpicio Severo, è un santo importante perché è uno di quelli che contribuiscono a diffondere il cristianesimo nell’occidente. Martino cristianizza le Gallie lottando con druidi e sacerdoti della religione celtica e cristianizza le Gallie. Diventa il santo titolare della dinastia dei Franchi. -> tra le reliquie più importanti c’era il mantello di S. Martino. Quando muore gli abitanti di Poitiers reclamano il suo corpo in quanto era stato abate e monaco di Marmoutier (?), un monastero che si trova verso Poitiers. Diventa poi vescovo di Tours, quindi le due comunità si affrontano per ricevere il corpo del santo. La sua santità viene riconosciuta già in vita perché opera miracoli, ha una virtus superiore nella parola e nelle azioni e poi c’è il discorso del possesso del corpo di cui stiamo parlando attualmente.   CAP 48 IL TRANSITO DI SAN MARTINO: Nel Medioevo era normale che la morte, non solo dei santi ma in generale dei grandi, era un momento sociale importantissimo . Quando un grande o un santo muore c’è tutta la possiblità di mettere in gioco quelle che sono le relazioni sociali attraverso le reti sociali della morte del signore, del santo ecc. Si parla della contesa tra Poitiers e Tours: gli abitanti di Poitiers lo reclamano in quanto è diventato monaco e poi abate presso Poitiers. In più un vescovo parla in maniera eloquente attraverso la sua capacità culturale. La sua conduzione dell’episcopato è stata tale per cui i membri di Tours hanno già beneficiato della sua presenza. Gli  Il secondo è un caposaldo della storia letteraria dei Franchi ossia GREGORIO DI TOURS. Lettura del Cap. 48 dell’opera di Gregorio di Tours ‘’Historia Francorum’’scritta intorno al 576-580. Quest'opera è una delle principali fonti storiche per il periodo merovingio, che copre gli eventi dalla creazione del mondo fino al 591. Gregorio di Tours nasce tra 538/39 - muore 594, anno in cui Gregorio Magno24 scrive ‘’I Dialoghi’’. È stato vescovo di Tours città che successivamente ospitano le reliquie di Martino, è stato un importante angiografia e storico dell’età Merovingia (dinastia del 6 secolo, prende nome da Meroveo leggendario capostipite, il celebre re Clodoveo è responsabile della Cristianizzazione dei Franchi, l’unico popolo barbarico dell’occidente che passa direttamente dal paganesimo al cristianesimo mentre tutte le altre popolazioni barbariche hanno avuto fase intermedia detta ariana (come i Longobardi) dunque da sempre i Franchi hanno avuto questo rapporto particolare con la nuova religione. Rapporto che si concretizza anche nel fatto che ben presto la dinastia merovingia e l’elitè che governa il popolo dei franchi, ossia l’aristocrazia militare franca, si cristianizza entrando nelle file dell’episcopato. Così molti rampolli dell’aristocrazia franca diventano vescovi e questo favorisce un’UNIONE dei NUOVI INVASORI BARBARI FRANCHI con l’ ARISTOCRAZIA GALLO SENATORIA e dunque questo permette una più efficace coesione e cristianizzazione precoce di questa popolazione che è anche quella militarmente più forte dell’occidente. Quindi questa unione, alleanza tra l’aristocrazia franca e cristianesimo ne garantisce anche il successo politico militare a livello continentale. Questi sono tutti i motivi per capire perché il cristianesimo è così importante per i franchi. CONTESTUALIZZAZIONE I Merovingi regnano fino alla metà del 8 secolo quando avviene un colpo di stato dai maestri di palazzo (ministro della difesa o 24 Va notato che Gregorio di Tours non va confuso con papa Gregorio I, noto anche come Gregorio Magno, che visse in un periodo successivo (nacque intorno al 540 e morì nel 604) e scrisse opere diverse, tra cui "I Dialoghi". I due Gregori erano contemporanei, ma erano figure distinte con attività e contributi diversi interno chi ha in mano il potere militare) era la dinastia Pipinide e Pipino il Breve fa un colpo di stato, appoggiato dai vescovi della Francia e dal papato e si prende il potere e da via alla dinastia Carolingia. Gregorio di Tours è un vescovo, un importante storico e agiografo dell’età merovingia della quale costituisce la fonte principale Historia Francorum. Gregorio capisce l’importanza che ha avuto San Martino per la cristianizzazione dei Franchi e dedica pagine molto importanti alla vicenda di san martino per promuovere il culto e fa si che sa martino diventi un’icona e un simbolo della cristianità franca. Infatti, non è un caso che le reliquie di Martino diventano le più preziose che custodiscono i Re i Francia. Nel primo libro libro Gregorio inquadra la storia dei Franchi all’interno alla storia universale. Ciò inquadrare la storia all’interno della più generale storia della salvezza dell’uomo. La storia ha senso solo se è riferita a Dio. Inizio a narrare la storia dei franchi partendo dalla creazione e dunque seguendo il modello Biblico. Martino ha una funzione priorizzante nella storia dei franchi per Gregorio, è così importante che ne fa il termine della prima parte della storia del popolo franco. Gregorio di Tours scrive anche delle agiografie: 1) iber dei miraculis beati Andrae apostoli (uno scritto agiografico sull’apostolo Andrea); 2) E un celebre passio dei sette dormienti di Efeso (altra leggenda molto diffusa della cultura cristiana);   Leggiamo il cap. 48, De Transitu Sancti Martini Traduzione. Vita di san Martino di Tours Cap. 48. Il transito di san Martino «Nel secondo anno del regno di Arcadio e di Onorio, morì san Martino, vescovo di Tours, il quale aveva compiuto tante buone opere verso gli infermi, era così santo e aveva operato tanti miracoli, a Candes, villaggio della sua propria diocesi, nell’ottantunesimo anno della sua età e nel ventiseiesimo anno del suo episcopato, e così andò felicemente incontro a Cristo. Morì a mezzanotte di domenica, durante il consolato di Attico e Cesario. Mentre moriva, molti udirono nel cielo il canto dei salmi, che ho descritto più diffusamente nel primo libro dei suoi Miracoli. Quando il santo di Dio Martino cominciò ad essere malato nella città di Candes le popolazioni del Poitou e di Tours vi si recarono per assistere al trapasso. Quando il santo morì, sorse una grande disputa tra le popolazioni delle due città. Infatti gli abitanti di Poitou dicevano: «È un nostro monaco. Egli è divenuto abate da noi. Noi reclamiamo colui che ci è stato assegnato. Che vi sia sufficiente di aver profittato della sua eloquenza quando è stato vescovo in questo mondo; voi avete preso parte alla sua tavola, voi siete stati riempiti delle sue benedizioni e in più voi avete fruito dei suoi miracoli. Che tutte queste cose vi siano sufficienti dunque, e che ci sia permesso di portare via il suo cadavere inanimato». A questo gli abitanti di Tours rispondevano: « Se voi pretendete che i miracoli operati presso di noi ci debbano bastare, sappiate che egli ne ha operati di più quando si trovava presso di voi, perché tralasciando da parte il più grande numero egli ha resuscitato due morti presso di voi e solamente uno presso di noi. Come diceva sovente lui stesso, la sua virtù miracolosa è stata maggiore prima del suo episcopato che dopo il suo episcopato. È necessario dunque che ciò che non ha compiuto presso di noi durante la sua vita lo compia dopo la sua morte. Vi è stato tolto e ci è stato donato da Dio. Inoltre se si rispetta un’usanza istituita sin dall’antichità, è nella città in cui è stato ordinato che secondo il comandamento di Dio dovrà avere il suo sepolcro. In verità se voi pretendete di rivendicare un privilegio per il vostro monastero sappiate che il suo primo monastero si trovava presso i milanesi. Continuarono a discutere finché il sole tramontò e cominciò a calare la notte. Il corpo è stato deposto al centro della stanza, le porte erano chiuse ed era sorvegliato dai due gruppi. Gli uomini di Poitiers progettavano di portare via il corpo con la forza non appena fosse venuto il mattino, ma Dio Onnipotente non avrebbe permesso che la città di Tours fosse privata del suo patrono ( patronus). Alla fine tutti gli uomini di Poitiers si addormentarono nel cuore della notte, e non Tra le popolazioni delle due città sorse una grande disputa. Gli abitanti di Poitiou sostengono che:  era un loro monaco e che era divenuto abate da loro  e che gli abitanti di Tours abbiano beneficiato abbastanza di Martino e dei suoi miracoli in vita,  e di conseguenza spettava a loro il corpo del Santo. Gli abitanti di Tours sostengono che  Martino abbia passato più tempo a Poitiers  , operando più virtù e più miracoli a Poitiers a beneficio di tutta la popolazione.  A Tours aveva resuscitato solo 1 morto, a Poitiers 2 morti e come diceva lo stesso Martino, la sua virtù miracolosa è stata maggiore prima del suo episcopato che dopo il suo episcopato  . Era necessario dunque che ciò che non ha compiuto presso Tours durante la sua vita lo compia dopo la sua morte. È palese che quel corpo produrrà miracoli. È la testimonianza della fama sanctitatis, ovvero Martino gode di fama già in vita ed è un fatto così scontato che è del tutto evidente che continuerà ad operare miracoli anche il suo corpo morto. Vobis est enim ablatus, nobis a Deo donatus -> A voi è stato tolto, a noi donato : è giusto che resti a Tours. Inoltre, gli abitanti di Tours dicono che  secondo la tradizione antica conta più dove è stato ordinato sacerdote o vescovo un santo , ed è lì che deve essere sepolto. Inoltre è stato vescovo a Poitiers, ma lo è stato anche a Milano -> sminuiscono il reclamo da parte degli abitanti di Poitiers. Mentre gli abitanti discutono il sole si oscura, il corpo viene messo tra i litiganti e le porte vengono chiusi per evitare che qualcuno scappasse. Gli abitanti di Poitiers dichiarano di volerlo portar via con la violenza, ma Dio onnipotente non volle che la città di Tours fosse privata del proprio patrono. -> SVOLGEVA LA FIGURA DEL PATRONUS ROMANO. Ruolo ancora più importante in un periodo di continua guerra, in cui le civiltà hanno bisogno di protezione a più livelli. Nel cuore della notte tutta la falange degli abitanti di Poitiers si addormenta e nessuno rimane a vigilare. Appena gli abitanti di Tours se ne accorgono, afferrano il cadavere del santo, alcuni lo buttano giù dalla finestra mentre altri da fuori lo prendono e lo mettono nella nave con cui erano pervenuti a Candes. Il gruppo di cittadini di Tours risale due fiumi fino ad arrivare alla città di Tours con enormi lodi. -> FURTO DI RELIQUIA, nessun sentimento di colpa perché sono convinti che sia stata volontà del santo quella di stare da loro. Gli abitanti di Poitiers furono svegliati dai loro inni e dalla loro gioia, e non era rimasto nulla di quel tesoro (preziosità a livello materiale) Tours diventa una delle principali mete di pellegrinaggio nel medioevo, lo attestano le fonti. Acquisisce importanza anche dal profilo economico, in quanto i pellegrini portano introiti e commerci. Incomincia un incessante richiesta di reliquie.   Tra VII e X sec c’è una stagione intensa di traffico di reliquie, quella che viene chiamata la grande rapina dei corpi santi. È necessario provvedere tutte le chiese di reliquie e tanto più sono grandi le reliquie, più importante sarà il potere che ne consegue. Centro produttore di reliquie per antonomasia è Roma, in quanto era ricca di reliquie, quindi si incentiva in maniera esponenziale il pellegrinaggio a Roma anche allo scopo di visitare le tombe dei martiri ma anche per accaparrarsi qualche reliquia. Molte fonti descrivono quest’attività, ad es. Il professore propone come fonte la Translatio sancti Pietri e Marcellini da parte di un esponente importante della corte Carolingia, ovvero Eginardo, autore della vita di Carlo Magno. Eginardo era vissuto nella corte di Carlo Magno nella prima meta del 9 secolo, e questo a corte aveva un soprannome Nardulus (piccola statura) questo membro della corte di Caro Magno, era talmente importante che aveva scritto la sua biografia. Alla morte di Carlo Magno, Eginardo si ritira nelle sue campagne (in Germania) e fonda un monastero insieme alla moglie.(anche questa era una pratica molto diffusa, cioè della fondazione di monasteri da parte della aristocrazia, per la propria salvezza). Entrambi vogliono fare diventare il monastero importante e per farlo lo deve dotare di reliquie, per questo compiono un viaggio a Roma alla ricerca di reliquie. Lo stesso EGINARDO, da letterato quale egli è, racconta il suo viaggio, elenca tutti i pericoli che ha corso e come è riuscito a prendere le reliquie. Quindi, racconta il viaggio a Roma per dotare la dinastia monastica di reliquie. Racconta di aver incontra i (sola? Lol) un personaggio che gli vuole spacciare delle reliquie senza certificazione. (Er sola prometteva ai pellegrini di trovare le reliquie + potenti che c’erano e li porta nei cimiteri spacciando reliquie senza nessuna certificazione). Riescono però a sopravvivere alla truffa e riescono a trovare (rubandole) le reliquie di Pietro e Marcellino, portandole in Germania, facendo una serie di tappe in monasteri e pregando per suggellare la santità delle reliquie. DOMANDA. I mirabilia Urbis potevano localizzare le reliquie? Assolutamente, questo fanno i mirabilia, ma viene fatto dopo (basso medioevo 12-13 secolo). Questo di Eginardo è una sorta di racconto di tute le mirabilia che ci sono a Roma, ma siamo in un periodo molto precedente. Pero si proliferano i racconti relativi alle reliquie tra le quali ci sono anche le traslationes. Le traslationes sono i racconti agiografici che hanno come protagonisti le reliquie e non i santi, in particolare i modi prodigiosi in cui vengono portate e vengono portate ad onore e depositate verso un degno luogo (chiesa o monastero) e dove viene attivata la sacralità di questo luogo. Quindi le traslationes sono molto importanti perché ci aiutano a capire i modi di ragionare della società medievale. _________________________________________________________ QUINDI Gradualmente il termine signum lascia il posto al termine virtus . È lo stesso termine che viene in genere utilizzato per indicare le virtù morali: affermazione di una concezione che lega la santità spirituale e morale all’esercizio della taumaturgia. È dunque interessante che da signum si passa a virtus perché il miracolo è una conseguenza delle virtù del santo, che ha spiritualmente e moralmente delle (doti) virtù eccezionali e può quindi operare miracoli. Il miracolo è una conseguenza della sua perfezione di vita del santo. In questo modo si cerca di costruire dei recinti di contenimento del miracoloso in senso cristiano, per evitare di finire di rivolgersi al santo in sé e facendolo divenire una sorta di divinità in sé, una figura intermediaria tra gli uomini e Dio. Il MERAVIGLIOSO era un dato costante nel mondo classico, il rapporto con la divinità nel mondo classico era appositi intermediari, come sacerdoti profeti e da pratiche rituali molto specifiche legate per lo più a tempi e santuari terapeutici, poi c’era l’ampio campo delle manifestazioni soprannaturali legate ai demoni legate alle magie di cui parla numerosi testi romani e greci. Naturalmente il MIRACOLO, inteso come evento fuori dall’ordinario extra-ordinario e dunque straordinario, pervade tutta la storia del popolo eletto e narrato dalla bibbia. In tutti i principali libri della Bibbia ci sono racconti miracolosi > (Nell’antico testamento i miracoli vengono operati dagli eroi.) La presenza di Dio si manifesta grazie a degli eroi. Storia degli uomini è storia sacra, in quanto la storia dell’uomo ha senso in quanto creazione. La storia il tempo i luoghi sono creature di cui Dio è creatore. Di conseguenza, i miracoli si manifestano per premiare o punire gli uomini. Ma tutti i miracoli rappresentano la manifestazione di Dio. Nel nuovo testamento ossia i Vangeli, i miracoli testimoniano il potere di Dio attraverso Gesù. Gesù opera una moltiplicità di miracoli di tipo spirituale e materiale. Fino a quello che è uno dei miracoli per eccellenza, il miracolo decisivo, che è quello della trasformazione del pane e del vino, miracolo centrale. Destinato a una costante ripetizione di in ogni sacrifico eucaristico che viene fatto dal cristianesimo, e anche questo fatto subisce dei rafforzamenti nella storia cristiana, soprattutto dal 13 secolo, con i miracolo delle ostie sanguinanti, il miracolo di Santa Cristina da Bolsena, cioè un miracolo destinato a trovare la presenza reale del corpo di cristo nell’ostia del pane e del sangue nella celebrazione eucaristica. Nel miracolo sacro ci sono delle tradizioni che lo caratterizzano. Abbiamo la tradizione classica e biblica e ovviamente i vangeli che sono un punto di riferimento per tutti la storia dei miracoli e per la santità cristiana. Le guarigioni dei corpi sono una conseguenza della perfezione raggiunta dal santo nel del suo corpo e del suo spirito. Il potere nei confronti della natura è la conseguenza di tutto questo. Il santo che sa dominare sé stesso e avere un perfetto controllo della sua parte materiale, corporea e spirituale ha come corollario il potere del santo nei confronti della natura. Questo si manifesta attraverso l’azione di ammansire le bestie feroci, a partire da Antonio che ammansisce le bestie del deserto. O capita anche che ci siano fenomeni naturali: fa sgorgare l’acqua dalle rocce rendendo, o rendere abitabile ciò che non è, per es. rendere abitabile il deserto.C’è anche il miracolo della moltiplicazione del cibo. Sono tutte operazioni di controllo della natura. La virtus del santo si verifica anche con il moltiplicarsi degli oggetti che toccano il corpo del santo. In tutta la lunga storia della santità cristiana c’è un rapporto ambivalente tra santità e miracolo. Cosa vuol dire? Il santo fa i miracoli in virtù della santità della sua vita, ma il miracolo è anche il segno e la prova della santità. Ovvero: senza santità non vi è miracolo, ma senza miracolo non vi è santità. Il miracolo può avvenire per volontà consapevole del santo, ma può essere compiuto anche senza che il santo lo sappia. È il modello evangelico, ancora una volta, in cui Gesù fa il miracolo senza saperlo, ma solo per essere toccato.   In questa direzione intravediamo che il miracolo può essere realizzato anche da reliquie sconosciute. Es. Miracolo san Gervasio e Protasio, avvenuto a Milano quando era vescovo Ambrogio. Questo permette loro di recuperare l’identità di corpo santo. Il miracolo spesso è dotato di una sua autonomia rispetto alla santità. Per es. nelle cronache medievali, piene di eventi naturali interpretate consapevolmente come manifestazioni sovrannaturali, come premonizioni di sciagure. C’è anche il caso degli oggetti che vengono considerati essi stessi come manufatti miracolosi(e quindi si continua a fare esempi di autonomia del miracolo, senza la santità) es. Il dipinto della Vergine con il bambino attribuito tradizionalmente a S. Luca, o anche la Sindone, che è sia immagine di Cristo, ma anche reliquia. Tutto questo per dire una cosa importante: il miracolo non è frutto di una generica mentalità religiosa, ma è piuttosto il prodotto di una costruzione sociale e culturale intorno alla quale una società e una cultura si riconosce. Es. Stimmate di S. Francesco: nella ricostruzione fatta da Chiara Frugoni mostra come le reliquie da segno corporeo, visibile, materiale dell’esperienza interiore di Francesco (così come viene presentato dalle mille testimonianze) diventano poi in un opera di Bonaventura e poi da Giotto, diventa un segno impresso su Francesco dall’esterno, da Dio, un segno sovrannaturale, in una sorta di sigillo miracoloso dell’identificazione di S. Francesco con Cristo. Ma tutto questo è una costruzione culturale. Le prime angiografie francescane presentano le stimmate come una sorta di manifestazione di Francesco della sua forza di preghiera e della sua ansia di identificazione con cristo, qualcosa che viene fuori dal corpo. Viceversa nella ricostruzione di Bonaventura e di Giotto che mettono per immagine il santo e le stimmate vengono imposte dall’estero e quindi da Dio, non qualcosa che viene da Francesco, ma da Dio come sigillo della venuta identificazione tra Francesco e Cristo. Domanda. Era un modo per togliere potere a Francesco? Da una parte certamente, ma è un modo per togliere ambiguità rispetto ad un episodio che riguarda Francesco. Non è tanto Francesco che si produce le stimmate, ma sono il segno che dio benedice Francesco attraverso questa sua identificazione con cristo. (Sempre un problema anche con Padre Pio). 1:28 _________________________________________________________   La ricerca della vita perfetta di questo tipo di individui coincide con la ricerca di luoghi dove abitare, è quindi una ricerca anche geografica. Ricercare una vita perfetta vuol dire ricercare dei luoghi che possano garantire il raggiungimento di quella perfezione. Luoghi e spazio è una condizione fondamentale di ogni esperienza di santità. Questo riguarda tutti i Santi. Non riguarda solo gli eremiti: ad es. Il vescovo ricerca la propria perfezione in un ambiente dove ci siano uomini da ammaestrare e condurre. Spesso il vescovo nel caso italiano sta nella città e questo è lo spazio della sua azione. Altro esempio sono le cellane (coloro che si chiudevano nelle celle alla fine del Medioevo) si murano vive in nome della santità, le mura le tengono rinchiuse ma le mura sono anche un luogo di comunicazione con il resto della città (tutti sanno che la dentro c’è rinchiusa la santa che con il suo esempio vive prega protegge) e quindi che possono prendere esempio dalla loro reclusione. Ogni esperienza di santità è legata al luogo al contesto in cui si va a iscrivere. Questo aspetto è presente nei testi che riguardano la Santità. Cioè nella l’agiografia fa quindi costantemente riferimento agli spazi in relazione alla santità dei protagonisti, lo possiamo vedere in modo chiarissimo dalla vita di Benedetto. Rileggiamo la vita di Benedetto in luce di quest’analisi: Benedetto nacque nella regione di Norcia da famiglia di buona condizione e viene mandato a Roma per essere educato alle arti liberali, ma vedendo il rischio di precipitare nel vizio ( come molti che si erano dedicati a questi studi erano caduti nel vizio) decise di ritrarre il piede con il quale stava già entrando nel mondo del vizio -> da leggere con un’ottica spaziale, cioè mettere un piede nel mondo profano comporta precipitare in un baratro, e quindi una profonda discesa, da contrapporre all’ascesi, l’attività principale del santo. Abbiamo una dimensione orizzontale e verticale, se Benedetto fa certi comportamenti precipita se ne fa altri (che vedremo) è un costante salire fino ad essere assunto in cielo in una palla di fuoco. La scelta dell’inserzione dello spazio è decisiva per l’ esperienza di santità. Mette il piedi ma lo ritrae perché sa che lì lui scende e invece deve cercare un posto che lo faccia salire. Abbandona il mondo degli studi -> abbandona il sistema culturale sul quale si è retta la società per secoli, il sistema delle arti liberali e la conoscenza classica non servono nel tipo di esperienza di vita che vuole ricercare Benedetto. Perciò che fa disprezzati gli studi letterari (bisogna ricordare che a scrivere è Gregorio Magno, qualcuno che non ha assolutamente disprezzato gli studi liberali, anzi uno dei più grandi letterari del tempo). Abbandonati la casa e i beni paterni -> lo stesso che h fatto Antonio, è quello che ha fatto Cristo e gli apostolo (se non lasci tutto e non mi segui non avrai accesso al regno dei cieli). Soli Deo placebere desiderare: il desiderio assoluto di un religioso. Questo è quello che vuole un monaco. Ma cosa fa per ottenere ciò? Qual’è la conseguenza di questa inclinazione? La conseguenza di questa inclinazione è sancti conversationis abitum quesirit -> cercò l’abito della vita monastica. È interessante a quest’altezza cronologica pensare alla forma di vita che può ospitare questa forma di desiderio. La santa conversazione è un modo di rappresentare la vita monastica. Si pensi che utilizziamo la parola abito sia per il vestiario sia per un modo di vivere questo era accentuato nel mondo altomedievale dove le persone erano l’abito che indossavano . Uno dei delitti più gravi del mondo altomedievali era quello del travestirsi, perché se indossi un abito che non corrisponde al tuo essere fai un tradimento di tutta la società. Non c’erano i passaporti o documenti d’identità o foto e quindi l’abito era il doc d’identità e poteva essere passato da generazione in generazione. (Ricchi facevano venire colori migliori per i loro abiti, bellissimi blu che non si stingevano, mentre i poveri all’inzio erano blu poi grigi). Quindi indossare un abito di un’identità che non apparteneva alla persona che lo indossava era visto come un tradimento della società punibile con pena di morte, perché sei qualcosa che non devi essere. Quindi l’identikit non è sulla faccia ma sul modo di vestirsi. Non è normale cambiare abito. Questo perché? Perché è una distruzione dell’ordine della società.   Scaricamento di tutto ciò che è considerato normalmente giusto. Per essere uomini saggi, bisogna percorrere un cammino di formazione culturale, qui invece si dice il contrario. Ogni spostamento del santo diventa manifestazione del suo percorso spirituale alla ricerca della perfezione. -> per essere uomini saggi non bisogna percorrere un cammino di formazione. È una rivoluzione culturale, inconcepibile per un romano (anche convertito alla nuova formazione): per vivere in modo giusto la propria vita NON bisogna avere una conoscenza culturale, bisogna disprezzare gli studi letterari e ritirarsi dal mondo. “Dei placebere” -> l’unica cosa che conta è desiderare di essere graditi a Dio. Come si fa? Si abbandona la città e i suoi valori. Bisogna ritirarsi dal mondo, andarsene dalla società civile, ripudiarne i valori culturali, etici. Sapientemente ignoranti: la vera sapienza viene da Dio, dalla scrittura. Si propone un modello alternativo (no vivere decelerati) al percorso formativo classico. 2. Conversatus -> si parla della vita monastica In questa parte Gregorio cita i testimoni. In ogni opera una regola del genere letterario è citare le fonti. Gerarchia del valore delle fonti è che tu puoi parlare di ciò di cui sei stato testimone. Gregorio magno scrive nel 1594, non può aver visto Benedetto. Di conseguenza, siccome succede spesso che l’autore non conosca la persona di cui scrive, bisogna aver conosciuto qualcuno che l’ha visto, pena la perdita di valore del testo. Gregorio quindi, fedele a questo genere, scrive citando per nome i testimoni che hanno conosciuto Benedetto e da cui ha appreso a sua volta quello di cui va a scrivere. Non sono testimoni qualunque, ma sono il frutto dell’opera del personaggio di cui scrive, sono i suoi discepoli diretti , coloro che hanno garantito la trasmissione del carisma di Benedetto attraverso l’istituzione di una tradizione della vita monastica -> gli abati del monastero di Montecassino (che lo riguarda) e quelli del monastero presso il Laterano. Nell’alto medioevo il servizio della basilica (principali basiliche della cristianità) era garantito dai monaci (c’era sempre un monastero vicino le principali basiliche romane, servito dai monaci che i occupavano del servizio alla basilica) si occupavano della garanzia del servizio liturgico (anche dal punto di vista tecnico in quanto vi erano bianco e nero si conforma agli usi della terra santa a cui provenivamo, ma certamente molto criticata). La disputa riguardante il più giusto ed esatto modello dell’abito accompagna la storia monastica sin dal primo medioevo: nel dissertare su quale dovesse essere il taglio corretto dell’abito, ci si richiama sempre ai testi fondanti. -> ricerca di qualcosa di simile al momento originario, alla vita di Gesù e alla vita apostolica. Dunque uno dei testi fondanti nel monachesimo occidentale, è la Regula di Benedecti. Benedetto è conosciuto quasi esclusivamente dalla testimonianza che ci fa di lui Gregorio Magno nel secondo libro dei Dialogi. L’unica altra testimonianza che abbiamo è la che gli è stata attribuita, la Regula Benedicti, che insieme alla Regola del maestro è la più seguita dal monachesimo occidentale composta fine del 5 e inizio 6 secolo.   Il movimento monastico nasce come violenta reazione a una condizione di insoddisfazione con i valori del mondo. Si sente l’esigenza di una vita perfetta, più aderente ai valori cristiani, spesso però quest’idea finiva nello scacco perché non esisteva una vera e propria regola. La regola di Benedetto si impone per la sua conoscenza antropologica, conosce il limite degli uomini e non li spinge oltre, e permette quindi una vita monastica con un giusto alternarsi di preghiera, lavoro e riposo, rendendola un modello che si impone in occidente. NON è L’UNICA REGOLA CHE VIENE SCRITTA IN OCCIDENTE, in ORIENTE molte altre tra cui quella più seguita è quella di Basilio. IN OCCIDENTE non è solo il monachesimo Benedettino l’unica forma di monachesimo è però quello che poi si impone. Ma quando si impone la regola benedettina? Nel IX sec. Prima era solo uno dei modelli praticati in occidente. Diventa il monachesimo per eccellenza perché la corte carolingia che compie un profondo sforzo di uniformizzazione dei costumi religiosi dei sudditi dell’impero sceglie la regola di benedetto proprio per la sua misura (chiamata da Benedetto discretio = misura, equilibrio). Quindi in virtù della sua Discretio la regola benedettina viene scelta dai carolingi come la regola di riferimento per tutti coloro che vogliono intraprendere la vita monastica. Particolare un intellettuale: Benedetto di Aniane, dal monastero da cui proveniva, che tra 816 e 817 attraverso dei capitolari (leggi) stabilisce che la regola che va seguita per fare la vita monastica è quella di Benedetto di Norcia. Fino a quel momento il monachesimo benedettino è quindi solo una forma tra le tante. Quindi noi conosciamo benedetto dalla sua regola, dalle sue fondazioni monastiche e dalla testimonianza fondamentale di Gregorio Magno che in qualche modo inventa e fa diventare di dominio pubblico questo testo e la vita di quest’uomo. Nel mondo monastico la regola di benedetto rimane uno dei punti fondamentali. La regola di benedetto come abbiamo detto è sapiente, ha un segno antropologico perché questa regola si guarda bene dallo specificare come ci si deve vestire, si limita a dare indicazioni di massima perché il monachesimo può essere di varie regioni e dunque non si può dare esattamente una ricetta uguale per tutti , deve prevalere il buonsenso.    Leggiamo L’abito dei monaci da classroom: Regola di Benedetto, cap. LV “Gli abiti e le calzature dei monaci Tutta la vita del monastero ruota attorno al fulcro che è l’abate. È colui che misura, attraverso la sua discretio, tutto ciò che concerne la vita sia spirituale che materiale dei monaci. Ci dice che bastano una tonaca e una cocolla (protegge dalla pioggia e dal sole, non vi erano ombrelli, si può sfilate.). Benedetto dice che bisogna accontentarsi dell’abito che si trova a buon mercato, purché non sia eccentrico (i soldi non si sprecano, ma servono per fare attività caritativa). L’abate deve però stare attento alla misura degli abiti (deve vigilare): non devono essere troppo corti (altrimenti il monaco fa ridere e perde la sua dignità). Gli abiti vecchi vanno distribuiti ai poveri. Quando i monaci viaggiano devono avere un abito più appropriato. Unitamente alla discretio benedettina protagonista assoluta è la humilitas, la virtù cardine del monachesimo che rimane una pietra miliare nell’universo valoriale del monachesimo.   Nel pieno medioevo l’esperienza degli abiti monastici viene espressa in un passo della Cronaca di Ottone di Frisinga, abate cistercense (prima metà XII sec quindi da poco formata la congregazione cistercense). È anche vescovo di Freising, è lo zio di Federico Barbarossa. Si forma alla curia imperiale, strettamente connesso con la corte imperiale, scrive vari testi tra i più celebri c’è la Chronica.   Leggiamo sempre dallo stesso testo la parte di Ottone: Ottone di Frisinga, Cronica (traduzione di Claudio Cantarella) Attraverso questa descrizione l’autore ci mette in luce l’argomento ossia che l’abito esprime gli ideali che rappresentano. Quindi l’abito esprime gli ideali della comunità che lo confeziona.  Es. Utilizzare il colore BIANCO = rifarsi alla chiesa delle origini, alla PUREZZA mentre un colore SCURO fa riferimento al disprezzo verso il mondo, a vivere una vita concentrata in Dio. ad es. a una tradizione come l'ermetismo di Sant'Antonio. Abito del monaco -> metro di giudizio. Ottone ci parla delle maniche del monaco, che devono essere ampie in modo da ricordare un ANGELO quando ci si mette in preghiera. L’angelicità della vita monastica è rappresentata dalla foggia dell’abito, che chiama in causa un altro elemento molto importante: la rilevanza del colore. Il professore ci suggerisce da questo punto di vista gli studi di Michel Pastoureau, in particolare Medioevo Simbolico, dove si parla anche della storia dei colori. C’è anche il libro Storia del Blu, ha scritto poi la storia di tutti i colori. I benedettini non avevano un colore preciso, la tonalità del tessuto doveva essere grezza, semplice, principalmente bruna e soprattutto non tinta perché l’abito tinto costa di più. Inoltre, la tinta artificiale è simbolo di meno puro. fondamentale dell’abbigliamento perché copre la persona, la ripara . È il simbolo della tradizione. Es. Il poeta Elia nel momento in cui assurge al cielo viene rapito vivo da un carro di fuoco e trainato in cielo, Elia lascia il suo mantello al suo discepolo Eliseo e in questo gesto simbolico si raffigura il passaggio della tradizione. Ha quindi una valenza simbolica molto importante. Qui non si tratta di un mantello monastico, però richiama la funzione universale, sacerdotale e sacrale dell’abate di Cluny. Il sommo sacerdote era l’unico che poteva entrare nel Sancta Sanctorum e compiere delle celebrazioni solitarie una volta l’anno. In occidente questo viene ripreso dai papi che riprenderanno questa tradizione -> Giovedì Santo in una cappella specifica. La simbolica di questo tipo di mantelli, i tintinnabula, vengono riprese dalla figura di Aronne. Non è un simbolismo adottato solo dai monaci: c’è il caso dell’incoronazione imperiale di Ottone nel 962 in cui Ottone indossa un mantello che raffigura tutto il mondo. Attraverso il dono del mantello quindi Guglielmo il conquistatore intende celebrare la potenza folgorante e sacrale di colui che rappresenta nel mondo la seconda potenza sacerdotale della cristianità, in concorrenza con quella pontificia.   Torniamo alla polemica tra Bernardo e i cluniacensi: riguarda la tinta e le stoffe che si usano per gli abiti. Dall’abate Pietro il Venerabile, abate di Cluny tra il 1122 e il 1126, sappiamo che gli affondi polemici di S. Bernardo avevano ottenuto un risultato. Provocano una reazione da parte dei monaci di Cluny, è lo stesso Pietro Venerabile ricorda ai cistercensi della loro stessa scelta per quanto riguarda l’abito, fornendogli contemporaneamente una spiegazione sul perché la scelta del colore dell’abito benedettino volgeva verso le tonalità scure e non bianche (come per i cistercensi).  Leggiamo l’ultimo dei testi presenti nel file classroom: Il colore nero era ritenuto il colore più umile, l’umiltà è una delle virtù fondamentali del mondo monastico. Quindi l’abito bianco è ritenuto stravagante in quanto non è in sintonia con il modo di pensare di un monaco, perché deve l’uso dell’abito nero rispecchia la vita del monaco ossia una vita di penitenza e non di gioia. A volte però deve intervenire per vietare l’uso di stoffe troppo costose da parte dei monaci. Sinodo del 972, 150 anni prima del tempo in cui scrive Pietro, si registra una condanna per i monaci che, come le meretrici, si affannarono a indossare abiti dai colori distinti a seconda delle (divinità?) che ricoprivano invece di indossare abiti di colore scuro. Mito della purezza evangelica delle origini: una costante nella storia del cristianesimo, ecclesiae primitivae formae. La santità di un monastero viene fatta dalla sua efficacia -> sono i monaci a “creare l’economia”. Dignità della veste -> dignità dei monaci che la indossano.   > IDENTITA’ ASSOLUTA DELL’ABITO MONASTICO, ideologica, spirituale, teologica (maniche che rappresentano i serafini) < Il rapporto tra vestiario e religiosi è ricco di implicazioni perché l’abbigliamento è un sistema di segni. È un linguaggio che comunica. Referente stretto di questo linguaggio che viene attivato dall’abbigliamento è il corpo e, di conseguenza, il gesto -> il vestiario è evidenziatore del corpo e del gesto. Il corpo è quindi non solo un dato naturale biologicamente determinato, bensì è anche un prodotto culturale che varia a seconda del contesto sociale di riferimento. “Il corpo è il primo e il più naturale strumento dell’uomo, o più esattamente, il più naturale oggetto tecnico e allo stesso tempo mezzo tecnico dell’uomo è il suo corpo”. Sulle modalità di utilizzo del corpo influiscono sia l’habitus (come il corpo viene ricoperto) sia l’educazione, le scienze umane si concentrano sugli aspetti e le pratiche sociali che modellano il corpo -> questo aspetto significa socializzare il corpo, ovvero renderlo conforme a un modello di una determinata società. Qui parliamo del modello monastico medievale che svolge la funzione di rappresentare gli ideali della comunità monastica.   Lezione 7 17.10.2023 Il monachesimo La centralità del corpo nel mondo medievale cristiano era intrecciata con la centralità degli abbigliamenti e dei gesti. (ed era strettamente legata al contesto culturale e religioso di quell’epoca). Si innesca così un rapporto corpo-abbigliamento-società. Questa connessione va oltre la semplice opposizione al corpo nudo; piuttosto, gli abiti conferiscono un senso, un limite e un linguaggio al corpo, attrarre l’attenzione sugli individui e diventare un modo attraverso cui essi si relazionano al contesto sociale e attira su di sé uno sguardo. L'abbigliamento, insieme al gesto e ad altri elementi esteriori, diventa parte integrante di questo rapporto corpo-società. Non è semplicemente una questione di coprire il corpo nudo, ma assume un significato simbolico più profondo. L'abbigliamento diventa un linguaggio attraverso il quale l'individuo comunica la propria identità , la propria posizione sociale e la propria relazione con il divino. Questo legame tra corpo e abbigliamento crea una dinamica in cui gli indumenti diventano segni distintivi dell'essere e riflettono l'habitus, cioè un insieme di pratiche, abitudini e disposizioni che incarnano la tradizione socioculturale nella quale l’individuo è immerso. Quindi gli abiti che si decidono di adottare producono un immediato impatto. -> nel contesto della santità, questo concetto si riflette nell’abbigliamento dei viri dei, non sfugge a questa dinamica, e spesso ne costituisce un esempio di reazione palese. Prendendo ad esempio gli Anacoreti (chi rifugge da qualsiasi contatto coi propri simili) i padri del deserto, che fanno dell’essere nudi e dall’indossare abiti di rozze pelli il modo di rappresentare il loro essere, la loro deviazione dalle norme sociali convenzionali e di simboleggiare la loro dedicazione alla spiritualità. L’abbigliamento è quindi un marcatore sociale e culturale che va oltre la sua funzione pratica di coprire il corpo, un fattore di distinzione immediata, ma può divenire anche un fattore stigmatizzante, ovvero qualcosa che crea uno stereotipo negativo nei confronti di determinati gruppi di individui in base al loro modo di vestire. La società può interpretare l’abbigliamento con una serie di stereotipi che attingono dalla cultura di riferimento (quando osserviamo le scelte di abbigliamento di una persona, la società tende a interpretare tali scelte attraverso filtri culturali e sociali, che possono portare alla formazione di stereotipi). Goffman (sociologo canadese del 20 secolo) dice che c’è un particolare rapporto tra l’attributo (vestito) e lo stereotipo, che produce discredito nei confronti di colui che ne è portatore (dice che c’è un legame tra gli attributi come il vestire e la formazione di steriotipi, che a loro volta possono portare al discredito sociale), come nell’esempio dei lebbrosi: devono vestirsi in un determinato modo per distinguersi, devono far presente la loro esistenza, ciò fa scattare stereotipi negativi. Lo stesso vale per i diversi di ogni tipo, che sono marcati con vesti e colori che li individuano immediatamente come marginali. Anche le prostitute: si devono vestire di rosso, così vengono immediatamente marcate come qualcosa da cui bisogna tenersi in disparte.   L’abbigliamento è un attributo marcante che spesso viene associato a stigmatizzazione, ma spesso funziona anche da auto stigmatizzazione per chi vuole porsi ai margini della società, climatologi -> c’è stata una piccola glaciazione, lo sappiamo confrontando questa e altre fonti. Qui il povero non è semplicemente il pauper, povero di denaro, vuol dire anche sventurato, gli manca qualunque tipo di fortuna. In latino viene utilizzata la parola misericordia (atto di carità). Non aveva altro oltre la clamide (divisa militare), si era già spogliato di tutti gli elementi della sua divisa. Viene chiamato SUO povero -> ogni cristiano aspetta (la sua opera di carita), ha un valore simbolico. Il valore simbolico potrebbe derivare dalla promozione di principi cristiani di amore, compassione e cura per gli altri, riflettendo la predicazione di Gesù sull'amore del prossimo. Viene deriso perché indossa vesti mutilate. Qualunque tipo di descrizione di santità deve conformarsi a una tradizione: qui è implicito, ma fa riferimento al modello del samaritano. Ridere: atteggiamento scomposto che turba l’anima , non troveremo mai un santo rider e; quindi, gli stolti qui ridono perché ha deturpato la sua divisa. Ancora oggi fare una cosa del genere (tagliare strappare la divisa ufficiale) è una colpa grave perché sminuisce l’istituzione militare. Altri invece capiscono -> atteggiamento dei santi che cristianizzano la gente - intento parenetico del testo. Martino si spoglia di tutto -> si spoglia della veste di soldato romano per diventare cristiano. La notte seguente vede Cristo vestito dalla parte di clamide che aveva rescisso il giorno prima. Altro intervento topico: spesso le azioni dei santi sono accompagnate da visioni di Cristo o della Vergine che confermano l’azione del santo come giusta. Qui la ‘’visione’’ ha la funzione di spiegare bene cosa significa il gesto di Martino -> Cristo spiega che è stato vestito da un Catecumeno, che Martino è un catecumeno, non un cristiano fatto e finito col battesimo (ovvero un individuo che sta seguendo un percorso di preparazione al battesimo cristiano). La forma dialogica è scelta di proposito da molti agiografi (es. Anche Gregorio Magno) perché permette di tornare, attraverso domande, di spiegare meglio ciò che si vuole spiegare ai lettori. È uno stratagemma retorico per spiegare la perfezione di Martino. Cristo richiama il brano evangelico con cui è conforme Martino, è sempre conforme alle scritture l’atteggiamento del Santo. L’abito accomuna il povero e Cristo -> non si vergogna di mostrarsi con la clamide divisa. Martino accorse all’età di 18 anni a battezzarsi, senza rinunciare a essere un soldato per due anni. -> Sulpicio conosceva bene Martino, è una vita scritta quando ancora non era morto, e quindi deve conciliare una domanda che poteva sorgere al lettore sul perché non abbia abbandonato la milizia. La clamide diventa una delle più importanti reliquie della cristianità e della dinastia franca. I passanti tirano dritto di fronte le condizioni del povero perché sono sordi rispetto le sue condizioni, mentre Martino viene colto da un raptus e ha necessità di aiutarlo. Questa rinuncia rappresenta una sorta di iniziazione, che non può che porsi di fronte al mondo nella sua mera nudità, senza nessun orpello che lo determini: è una condizione che gli permette di distaccarsi da tutto ciò che rappresenta la mondanità, così da rapportarsi al divino. Vir deo plenus: Martino è pieno di Dio ed è per questo che può operare quell’azione. Fontaine, l’editore francese, commenta che è un’indicazione precisa e quasi tecnica da parte di Sulpicio, ispirazione data a Martino da parte di una grazia particolare. Come se fosse gestito dall’esterno compie quest’azione che è altissima, divide gli astanti in due partiti, tra chi lo deride e chi diviene consapevole della portata del gesto -> valenza cristica del comportamento di Martino, così evidente da venire esplicitata nella citazione del passo di Matteo. Come Cristo, Martino è segno di contraddizione, chi lo trova ridicolo per l’abito lacerato e chi immediatamente ne fa tesoro e rimpiange di non aver fatto nulla di simile. La derisione è interessante perché mette in evidenza lo stigma della diversità in cui il santo sceglie di trovarsi. Viene rappresentato un modo di vestirsi fuori dalla norma, il santo con l’atteggiamento e l’abbigliamento deforme dal solito diventa deforme dalla società. Martino contrappone all’habitus romano un disprezzo di sé, è una scelta orientata all’azione santificante della grazia. Si spoglia del mantello per il prossimo, gesto che sancisce con Martino e Sulpicio Severo l’istituzionalizzazione di un nuovo modello di comportamento, ovvero quello cristiano . QUINDI, in sintesi, il gesto di Martino di Tours nel spogliarsi del mantello per il prossimo non solo rappresenta un atto di generosità, ma diventa anche un mezzo attraverso il quale il santo sfida le convenzioni sociali, adotta una diversa modalità di vestire, e contribuisce a istituzionalizzare un nuovo modello di comportamento basato sui principi cristiani. -> L’abito diventa un mezzo di espressione per significare la Caritas , un NUOVO CONCETTO PORTATO DAI CRISTIANI , SPIAZZANTE PER LA SOCIETÀ ROMANA. Il gesto di spogliarsi rappresenta l’azione di passare la tensione da sé all’altro (Martino cerca di attenuare il disagio dell’altro attraverso un gesto concreto di generosità), è il precetto evangelico di amare il prossimo come sé stessi (Matteo). <-  Il gesto di spogliarsi è più di un atto fisico, rappresenta un’azione simbolica, diventa un modo tangibile di condividere ciò che si ha con chi è nel bisogno. In sintesi, il gesto di spogliarsi di Martino di Tours è interpretato come un modo di mettere in pratica il comandamento evangelico di amare il prossimo come sé stessi. Attraverso questo atto di condivisione e generosità, Martino dimostra la sua dedizione a trasferire la tensione dalle proprie necessità agli altri, seguendo l'insegnamento di Gesù di amore e cura reciproca. Sull’abito si costruisce il rito di passaggio da una condizione all’altra (di una conversione spirituale), è il caso di Martino, ma anche di Francesco che attraverso il trattamento del proprio vestiario, simboleggiano la trasformazione spirituale. È il modo in cui si tratta il proprio vestiario a gestire la propria conversione tra uno stato all’altro. Attraverso l’atto di spogliarsi si può riappropriare di sé (atto di spogliarsi po' rappresentare una rinascita e un nuovo inizio . Questo gesto simbolico e concreto, rappresenta il rifiuto delle convenzioni sociali e la volontà di iniziare da capo). Bisogna spogliarsi di tutte le convenzioni sociali per ricominciare da un nuovo inizio, così avviene il passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo. (Uomo nuovo = cristo = nuova umanità) QUINDI: l'atto di spogliarsi e la gestione del vestiario diventano strumenti attraverso i quali esprimere e vivere il cambiamento interiore. L’abito costituisce l’interfaccia tra l’interiore dell’essere e la sua esistenza esterna. Riceve il mantello di Elia come eredità profetica. Nella narrazione biblica, il mantello rappresenta il potere e l'autorità profetica, e il fatto che Eliseo lo riceve simboleggia la continuazione del ministero profetico da parte di Eliseo. Eliseo riceve in eredità il mantello, lo raccoglie e non gli viene posto sulle spalle, è un’azione consapevole. Diventa a sua volta un anello della tradizione. un’azione consapevole e significativo, rappresentativo della sua accettazione del ruolo profetico ereditato da Elia. Il mantello diventa così un simbolo di continuità nella tradizione profetica. Il mantello di Elia apre un diverso immaginario che tutto il medioevo connette a santità e abbigliamento. nel corso della storia, il mantello di Elia potrebbe essere diventato un oggetto di venerazione o un simbolo di santità. Il mantello è il tipico indumento del profeta.   Descrizione dei vestiti di Elia: è descritto come un uomo che portava un rivestimento di peli e una fascia (un grembiule) di pelle attorno ai fianchi. Ricorda San Giovanni Battista, che si rifà esplicitamente a Elia, Elia è figura di San Giovanni Battista. L’evangelista Marco lo descrive come vestito di pelliccia di cammello e con una cintura di cuoio attorno ai fianchi, lo stesso evangelista Marco mette in collegamento la missione di Giovanni e quella di Elia, e aggiunge che si nutriva di locuste e piante selvatiche. Siamo al modello a cui si ispirano generazioni di monaci, uomini di Dio, che si conformeranno al loro modello sia nell’abbigliamento che al regime alimentare. Regime alimentare e vestiario sono i due codici più veloci con cui ci possiamo identificar e. Anche il regime alimentare descrive ciò che si è. In questo senso il nudo e crudo, il selvatico, è in netta opposizione con ciò che è vestito e cotto, urbano. Nudo versus vestito, crudo versus cotto, urbano versus selvatico, sono delle categorie antinomiche (contraddittorie) che hanno eco profonda nella letteratura cristiana normativa e agiografica, in cui la rappresentazione dei santi asceti sul modello di elia e San Giovanni Battista è un topos, una costante. La rappresentazione di figure ascetiche o sante nude può simboleggiare la rinuncia ai beni materiali e l'accettazione della povertà spirituale. Sono due condizioni principali dell’essere cristiano. QUINDI: Queste contrapposizioni riflettono spesso la tensione tra il sacro e il profano, la rinuncia e il mondo materiale, che sono temi ricorrenti nella letteratura cristiana, in particolare nella rappresentazione agiografica dei santi asceti. Queste figure agiscono come modelli di virtù e devozione, mostrando un cammino spirituale che spesso si allontana dalle convenzioni del mondo.   Testi normativi per eccellenza sono le regole, nella regola di Benedetto ci sono descrizioni molto precise sul regime alimentare, sulle modalità, quantità, orari, fondamentali per il modo di vivere . Problema del nutrimento (il problema etico legato al nutrimento e all'atto di uccidere per procurarsi il cibo è stato oggetto di riflessione in molte tradizioni culturali e religiose) -> uccidere per nutrirsi -> tradizione ebraica kosher, puoi mangiare la carne solo se hai tolto tutto il sangue e l’hai fatto tornare alla terra. (poiché il sangue è considerato la vita, e consumarlo è vietato). La tradizione kosher fornisce una guida etica per il consumo di carne, cercando di minimizzare la sofferenza degli animali e stabilendo regole precise per garantire che il processo di macellazione sia il più umano possibile. Il CRISTIANESIMO su questo ha una posizione differente, il cristianesimo è ecumenico per definizione e non può puntualizzare troppo sulla tradizione alimentare. Il messaggio cristiano è universalista, estendendosi a tutte le persone, indipendentemente dalle loro tradizioni alimentari o culturali. Vorrei chiarire che il termine "ecumenico" in riferimento al cristianesimo si riferisce generalmente agli sforzi di promuovere l'unità tra le diverse confessioni cristiane. Tuttavia, questo non implica automaticamente una posizione specifica sulle pratiche alimentari. Pietro -> caduta del banchetto del cielo -> ognuno mangi secondo la propria tradizione. Nuovo Testamento, in cui l'apostolo Pietro ha una visione che coinvolge un lenzuolo pieno di animali considerati impuri secondo la legge ebraica. Questo episodio è narrato in Atti degli Apostoli, nel capitolo 10. In questa visione, Pietro sente una voce che gli dice di uccidere e mangiare gli animali presenti nel lenzuolo, ma Pietro esita poiché molti di quegli animali erano considerati impuri secondo la legge ebraica. La risposta della voce è significativa. Dice: "Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamare comune" Ma all'interno del cristianesimo ci sono gruppi specifici, come monaci ed eremiti, per i quali le pratiche alimentari sono fondamentali e possono essere strettamente legate a principi etici e ideologici. Quindi non è così per tutti i gruppi di cristiani, per monaci ed eremiti ciò che mangi è fondamentale per la propria ideologia; quindi, monaci ed eremiti non mangiano carne. Non ci si può nutrire uccidendo. Levi Strauss parla di categorie dicotomiche -> crudo-cotto natura- cultura.   Lezione 7 18.10.2023 Discorso sul vestiario e sugli alimenti sull’auto-santità. La santità non è mai casuale dato che il santo sceglie un modo di vivere: dal pastore di anime che guida la comunità ovvero il vescovo e il monaco asceta. Quest’ultimo usava come modelli per lo stile di vita e per le fonti agiografiche sant’Elia che si vestiva di peli di cammello con un sottile grembiule o san Giovanni Battista che si cibava solo di locuste e miele selvatico. Il monaco asceta sceglie una vita di ritiro, rinuncia e disciplina spirituale. Attraverso la preghiera, la meditazione, e talvolta attraverso pratiche ascetiche come il digiuno o la vita di isolamento , il monaco cerca di avvicinarsi a Dio e raggiungere la santità. La sua vita è caratterizzata da un impegno radicale a seguire Cristo e a vivere in conformità con i valori del Vangelo. La santità del vescovo può emergere attraverso la sua dedizione al bene comune della comunità e la cura delle anime sotto la sua responsabilità. sua santità per reincarnarsi 25 , così come Francesco si sveste per seguire Cristo dicendo di seguire nudi Cristo nudo). Dunque, Francesco cerca di emulare la povertà e la rinuncia di Cristo. Francesco, seguendo il Vangelo in modo letterale , cercò di imitare la vita di Cristo in tutti gli aspetti, compreso il rifiuto delle ricchezze materiali. Cosi si assiste al fenomeno del, seguire nudi Cristo nudo” che comporta uno spogliarsi non solo dei propri valori identitari legati all’estrazione sociale, alla formazione culturale, ai legami parentali, ma anche letteralmente dei vestiti, in una perfetta coincidenza tra abiti e habitus, e vivere nudi, come nel caso della tradizione dei sette eremiti, che si aggiravano perennemente nudi, nascosti agli occhi di tutti, tra le pendici boscose del Monte Athos. Avviene la coincidenza tra abito (rappresenta il vestiario specifico dei monaci) e habitus (riflette lo stile di vita, la mentalità e le abitudini di una comunità monastica - aspetto dello spazio sociale): come nella tradizione dei sette eremiti nudi nascosti alle pendici del monte Athos26 (il prof non ha raccontato il contesto, li ha solo nominati così).  I protagonisti dell’agiografia italo-greca del sud italia , come san Fantino o san Nilo, anche se fondano, dirigono e vivono in cenobi, restano sempre convinti della superiorità dell’ esikia. Monachesimo cenobita (opposto all’eremita termine che sta per indicare che non sono singoli ma vivono in gruppo vita monastica in cui i monaci o le monache vivono insieme in comunità sotto una regola comune o un'organizzazione gerarchica). La nudità è un connotato marcante come nel caso di san Fantino il Giovane, che diceva di preferire “le fiere agli uomini” in riferimento alla natura, rimane per diciotto anni nudo in seguito al disfacimento della sua ruvida veste. 25 Questo concetto teologico si basa sull'insegnamento biblico espresso nella Lettera agli Filippesi (Filippesi 2:7), dove si afferma che Cristo "svuotò se stesso, assumendo la forma di servo". 26 Monte Athos è noto per ospitare monasteri e comunità monastiche ortodosse. Tra i suoi seguaci abbiamo San Niceforo nudo, la nudità diviene il tratto caratterizzante di San Niceforo detto appunto il nudo. Molti non si tagliano i capelli, barba e le unghie S. Onofrio e S. Pietro l’Athonita, presentati come due vecchi coperti solo dalla loro lunga barba e dai capelli. Tutto ciò per essere coerenti con l’adesione alla natura tanto da “vivere al pascolo”. Vi è, anche in questo tipo di eremitismo estremo, uno stretto rapporto, una rispondenza tra l’abbigliamento e il regime alimentare. Alla selvatichezza del vivere nudi si accompagna, infatti, assai spesso un altro elemento di ascesi assoluta rappresentato dal „vivere al pascolo”; i boskoi in greco, cioè gli eremiti che pascolano, in latino pabulantes, si cibano di frutti spontanei, miele e radici e come Giovanni Battista che si nutriva solo di miele e locuste , non come un degradamento bestiale dell’uomo, ma in rapporto e in rimando allo stato di perfezione e innocenza originaria edenica. Se non tutti sono nudi sicuramente SONO TUTTI SCALZI ovvero praticano la gimnopedia (peraltro è una pratica ascetica che era conosciuta e praticata anche presso l’eremitismo latino) per esempio a Fonte Avellana e ai testi di Pier Damiani, come gli eremiti di Pier Damiani (monaco benedettino che diverrà anche dottore della chiesa (XI sec) della zona di Avellino. Comunità di Fonte Avellana adottò gli insegnamenti di Pier Damiani e abbracciò uno stile di vita basato sulla povertà, l'obbedienza e la preghiera. Fonte Avellana è un monastero benedettino situato nelle Marche, vicino a Cagli. Fu fondato nel X secolo ed è noto per la sua associazione con Pier Damiani e la sua comunità monastica. Pier Damiani fu coinvolto nella riforma della vita monastica e svolse un ruolo significativo nella storia di Fonte Avellana. Egli promosse uno stile di vita ascetico e penitenziale, cercando di riformare la vita monastica secondo gli ideali di povertà e disciplina. Come gli eremiti di Pier Damiani (monaco benedettino che diverrà anche dottore della chiesa (XI sec) della zona di Avellino. Erano soliti indossare delle corazze dette LORICHE come abito penitenziale, Erano soliti indossare delle corazze dette loriche come abito penitenziale, come SAN DOMENICO IL LORICATO che costringeva il suo corpo in questa corazza di ferro. come San Domenico il Loricato che costringeva il suo corpo in questa corazza di ferro. Dominic Loricatus, è una figura di ascetismo cristiano del XII secolo associato a pratiche penitenziali estreme. La caratteristica principale di San Domenico il Loricato era il suo uso di una corazza di ferro o lorica. Questa lorica era un indumento di ferro o di materiale simile che si indossava direttamente sulla pelle e che poteva essere adattato a coprire diverse parti del corpo. L'uso di una lorica di ferro era una forma estrema di mortificazione del corpo, concepita per infliggere dolore e sofferenza fisica come mezzo di penitenza. San Domenico il Loricato riteneva che queste pratiche estreme fossero necessarie per redimersi dai peccati e resistere alle tentazioni del mondo. La penitenza attraverso la sofferenza fisica era vista come un modo di purificare l'anima. Altre forme di PENITENZA ESTREMA in occidente: 1. i DENDRITI (Eremiti sugli Alberi) ovvero eremitiche si rifugiavano sugli alberi (simile agli stiliti in oriente) sceglievano di vivere su alberi come atto di mortificazione del corpo e ritiro dal mondo. La scelta di vivere sugli alberi potrebbe riflettere il simbolismo dell'ascensione spirituale, separando il corpo dal suolo terreno e cercando una connessione più diretta con il divino. 2. gli ISOFOROSI (???) che costringevano il corpo con il ferro. Questo potrebbe includere l'uso di catene, cinture o altri dispositivi di ferro, forse indossati direttamente sulla pelle. Santi Italogreci (X-XI sec): San Fantino e San Nilo, anche se fondano, dirigono e vivono in cenobi Quest’ultimo viene a Roma nel X secolo che grazie alla concessione del papa, fonda l’abbazia di Grottaferrata, morendo nel 1004. Anche se vivono in cenobi, vivono nell’esichia (ricerca della pace nel creato, come gli asceti). Monachesimo cenobita (opposto all’eremita termine che sta per indicare che non sono singoli ma vivono in gruppo vita monastica in cui i monaci o le monache vivono insieme in comunità sotto una regola comune o un'organizzazione gerarchica).
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