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Argentero, Cortese. Psicologia del lavoro, Sintesi del corso di Psicologia del Lavoro

Riassunto di tutti i capitoli esclusi il capitolo 1 e 13

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 01/03/2022

chiaravilardo
chiaravilardo 🇮🇹

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Scarica Argentero, Cortese. Psicologia del lavoro e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! PSICOLOGIA DEL LAVORO CAP 2 – METODI E TECNICHE DI RICERCA IN PSICOLOGIA DEL LAVORO La psicologia del lavoro e delle organizzazioni si basa sullo studio dei comportamenti delle persone nei contesti lavorativi e nello svolgimento delle diverse attività professionali, tenendo conto delle diverse condotte lavorative, dei processi psicologici e psicosociali che le sottendono e delle forme di interazione che si instaurano tra le persone e il loro ambiente lavorativo. Sebbene quindi si caratterizzi come una disciplina fortemente centrata sul proprio specifico oggetto di studio, essa utilizza spesso molti approcci metodologici, modelli e teorie della psicologia e li applica all’ambiente del lavoro, con la duplice finalità di promuovere, da un lato, il benessere delle persone che lavorano e, dall’altro, di favorire il massimo vantaggio per l’organizzazione. Comprendere quindi le dinamiche che caratterizzano individuo e organizzazione rappresenta quindi lo scopo dell’attività di ricerca, che deve far fronte a diverse difficoltà legate soprattutto alla complessità dell’oggetto d’indagine. Inoltre, la ricerca è importante anche per impostare pratiche gestionali su basi sicure: ad esempio adottare procedure di selezione innovative o verificare l’efficacia dei programmi formativi intrapresi. Essendo una disciplina che studia il comportamento umano è legata ad altre aree della psicologia. IL PROCESSO DI RICERCA EMPIRICA Sebbene ogni progetto di ricerca possa considerarsi unico e specifico, tutte le ricerche condividono l’obiettivo di far comprendere i fenomeni organizzativi e hanno in comune alcune fasi fondamentali. Ogni ricerca è caratterizzata da un obiettivo che può essere il più delle volte formulato in termini di ipotesi. Il processo di ricerca è sostanzialmente una procedura che si articola in cinque fasi principali: 1. Domanda di ricerca 2. Disegno della ricerca 3. Misurazione delle variabili 4. Analisi dei dati 5. Conclusioni della ricerca LA FORMULAZIONE DELLA DOMANDA DI RICERCA Le domande di ricerca si basano sulla conoscenza esistente del problema: letteratura, esperienze relative al tema oggetto di studio, personali intuizioni, oppure su teorie già note. Una teoria è un assunto che ha la funzione di spiegare le relazioni tra i fenomeni di interesse. I ricercatori possono formulare una teoria che spieghi i motivi per cui si verificano specifici comportamenti. La sequenza che inizia con la raccolta dei dati e conduce all’elaborazione della teoria viene definita “metodo induttivo”, che si contrappone al “metodo deduttivo” in base al quale il ricercatore prima elabora una teoria e poi la mette alla prova raccogliendo e analizzando i dati. La ricerca può essere applicata e pura. La ricerca pura (o di base) comporta l'elaborazione e la verifica di teorie ed ipotesi che troveranno applicazione in futuro, quindi non ha un’immediata utilità per risolvere problematiche contingenti. La ricerca applicata nasce invece dall’esigenza di risolvere i problemi emersi sul campo e che richiedono soluzioni concrete e utili. La ricerca-intervento (o ricerca- azione) è un processo di indagine che si propone di contribuire al cambiamento del sistema lavorativo e valorizzare le potenzialità dei membri mediante il loro coinvolgimento diretto insieme al ricercatore. Le informazioni riguardo l'oggetto di studio vengono raccolte empiricamente e interpretate dagli stessi individui sui quali si vuole indagare in modo che acquisiscano maggiore consapevolezza delle problematiche relativa al proprio contesto organizzativo e progettare interventi specifici. Uno studio condotto in ambito organizzativo è generalmente basato su un’intenzione esplicita o su una specifica domanda di ricerca. La domanda tipica è un’affermazione dell’esistenza di una relazione fra due o più variabili (es.: “Qual’é la relazione fra soddisfazione lavorativa e turnover?”). Spesso gli studi sono disegnati anche per mettere alla prova specifiche ipotesi derivate da ricerche e teorie precedenti (studi esplicativi). Tuttavia, spesso il ricercatore 1 non ha un’ipotesi precisa, soprattutto se sta svolgendo uno studio esplorativo. Esistono anche studi descrittivi nei quali le ipotesi precedenti non sono formulate e messe alla prova; tali studi sono finalizzati principalmente a raccogliere osservazioni che potranno servire come punto di partenza per nuove ricerche o per sviluppo di nuove teorie. Sia la ricerca applicata sia quella di base necessitano di entrambe le tipologie di studi: i dati descrittivi forniscono materiale grezzo per le teorie e le teorie forniscono la base per successive ricerche. Gli studi descrittivi forniscono informazioni su quello che è successo, mentre gli studi esplicativi spiegano perché o come è successo. In sintesi, la domanda di ricerca viene quindi indagata utilizzando metodologie e metodi. Il metodo può essere definito come la tecnica o lo strumento di ricerca utilizzato per raccogliere dati, mentre la metodologia si riferisce alla “filosofia” del processo di ricerca. IL DISEGNO DI RICERCA Un disegno di ricerca è un piano per condurre uno studio. La scelta del metodo dipende dalla natura del problema ha studiato. Nessuna strategia può essere definita la migliore. Spesso il problema può essere studiato nel contesto in cui si manifesta spontaneamente; altri fenomeni non necessitano di essere indagati nell’ambiente naturale, in quanto si presume che essi siano indipendenti dal contesto in cui si manifestano. Le strategie di ricerca possono essere paragonate secondo diverse dimensioni ma in particolare due di loro rivestono un ruolo fondamentale:  Il livello di naturalità del setting di ricerca,  Il grado di controllo sulla conduzione dello studio Entrambi influenzano sia la validità interna che la validità esterna della ricerca. La validità interna si riferisce al grado in cui i risultati ottenuti possono essere attribuiti alle variabili investigate piuttosto che ad altri fattori. La validità esterna si riferisce al grado in cui i risultati su un certo gruppo di soggetti possono essere estesi e quindi generalizzati ad altri contesti.  DISEGNI SPERIMENTALI E QUASI SPERIMENTALI Ciò che distingue un esperimento da altri tipi di disegno è che l’assegnazione dei partecipanti alla differenti condizioni della variabile indipendente è casuale. Gli esperimenti di laboratorio sono condotti in ambienti predisposti o artificiali, a differenza degli ambienti organizzativi che si creano naturalmente. Un esperimento di laboratorio ben disegnato includerà alcune condizioni presenti nel contesto naturale, e ometterà quelle che potrebbero non essere presenti. Un quasi esperimento è uno studio che si avvicina a un esperimento, ma non ha una vera assegnazione casuale dei partecipanti ai livelli della variabile indipendente. Questo è il tipico caso delle situazioni lavorative in cui i soggetti non possono essere collocati nelle varie condizioni di trattamento per varie ragioni pratiche e organizzative. Una specifica situazione quasi-sperimentale è quella dei disegni con gruppo non equivalente in cui non c’è processo di assegnazione casuale, ma i partecipanti si trovano in differenti condizioni di trattamento in seguito ad altre ragioni. È possibile avere un disegno con un gruppo non equivalente nel quale non è avvenuta alcuna manipolazione, nel caso in cui il ricercatore trovi che certi gruppi di persone rientrano in una determinata categoria (per esempio, soggetti che hanno volontariamente seguito un programma di addestramento, da contrapporre a coloro che non l’hanno seguito). Altri disegni quasi sperimentali implicano la valutazione delle stesse variabili ripetutamente nel corso del tempo. Il più semplice è il disegno di gruppo singolo pre test-post test in cui i partecipanti sono valutati sia prima sia dopo il manifestarsi di un certo evento. Tale disegno può essere un esperimento vero e proprio nel momento in cui i soggetti sono assegnati casualmente alle condizioni, mentre è un quasi esperimento se presenta differenti condizioni ma manca l'assegnazione casuale. Questo disegno lascia però aperte molte alternative possibili per spiegare i risultati. Il disegno multi-gruppo è funzionale alla soluzione di questo problema in quanto prevede un gruppo di controllo sul quale si verificano le stesse condizioni di partenza. Lo scopo di molti ricercatori è trarre conclusioni 2 - Modelli di equazioni strutturali. Detti anche SEM, sono una tecnica statistica di analisi multivariata che permette la specificazione a priori di un insieme di relazioni tra variabili che sarebbe atteso se un certo flusso causale fosse vero. I dati raccolti consentono di determinare quanto il modello ipotizzato si adatti alla realtà osservata. - Modello lineare gerarchico. Quando si raccolgono i dati sul campo, spesso si trovano soggetti già inseriti in una gerarchia di categorie o gruppi. E i diversi livelli gerarchici possono avere effetti sulle variabili. Il modello lineare gerarchico permette di effettuare l’analisi simultanea di livelli multipli, scomponendo gli effetti statistici nei livelli individuali, contrapposti a quelli più alti. [Evitando cosi il bias di aggregazione (mescolare più livelli)] Per quanto riguarda l’elaborazione dei dati qualitativi, possono essere invece citate come esempi l’analisi del contenuto e l’analisi delle corrispondenze. - Analisi del Contenuto. è una tecnica di ricerca per la descrizione oggettiva, sistematica e quantitativa del contenuto manifesto della comunicazione. Lo scopo fondamentale è considerare un documento verbale e trasformarlo in dati quantitativi. - Analisi delle Corrispondenze. Lo scopo è studiare i legami tra le modalità di due o più caratteri di classificazione qualitativi, rilevanti per identificare le possibili associazioni tra le caratteristiche analizzate. CONCLUSIONI DELLA RICERCA Una delle più importanti questioni nella conduzione della ricerca riguarda il livello di generalizzazione delle conclusioni tratte, ovvero la misura in cui tali conclusioni possono essere estese alla popolazione oggetto di studio. Le ricerche di laboratorio sono a volte considerate come più scientifiche e rigorose (hanno cioè una validità interna superiore), mentre le ricerche sul campo sono maggiormente rappresentative delle reali condizioni di lavoro. La ricerca non consiste in un processo isolato: ogni studio si innesta e prosegue a partire dalle conclusioni tratte da una ricerca precedente; e può pertanto indirizzare le ricerche future. PROBLEMI LEGATI ALL’INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI Una delle principali caratteristiche della ricerca in psicologia del lavoro è il fatto che le sue conclusioni sono fondate sui dati. Il processo di selezione delle variabili, la scelta della loro operazionalizzazione cioè l’interpretazione dei risultati rappresentano un compito assai complesso, che può presentare diverse difficoltà. LA CAUSALITA’ Sebbene sia possibile studiare la relazione tra variabili, rimane spesso difficoltoso pronunciarsi sulla causalità delle relazioni. La definizione di causalità include i concetti di asimmetria e legame diretto. La relazione è asimmetrica in quando una variazione di X produce una variazione di Y ma non viceversa. Questo concetto implica che la causa precede l’effetto nel tempo. Il concetto di legame diretto si riferisce invece al fatto che il variare dell’una è dovuto al variare dell'altra variabile. La difficoltà nello stabilire la causalità può essere dovuta a diversi motivi, il più importante dei quali riguarda il fatto che può esistere un gran numero di cause che non possono essere controllate. Molto spesso capita che una terza variabile (Z) influenzi la relazione tra due variabili (X e Y) secondo una varietà di situazioni che si verificano frequentemente: a) Variabile interveniente. La relazione tra X e Y è “mediata” dalla variabile Z (relazione indiretta). Questa influenza “interveniente” può essere identificata calcolando la correlazione parziale tra X e Y tenendo Z costante. b) Elemento di una catena causale. La terza variabile Z è inserita in un processo di “causazione reciproca”. 5 c) Variabile antecedente. Questo modello, spesso utilizzato, è fonte di possibili errori in quanto la covariazione osservata tra X e Y è solo apparente, essendo provocata da Z che agisce causalmente su entrambe le variabili. Z è legata causalmente a X e Y. Se quindi Z rimane costante, sparisce anche la covariazione tra X e Y. d) Variabile moderatrice. La relazione tra X e Y varia a seconda del valore assunto da Z. TIPI DI ERRORI É possibili commettere errori nella spiegazione dei risultati ottenuti, e quindi nelle conclusioni cui una ricerca può condurre. I principali errori sono riconducibili a quattro categorie fondamentali: a) Errori dovuti a una scorretta operazionalizzazione dei concetti: cioè le misure non sono sufficientemente oggettive e affidabili, oppure i concetti esaminati non sono adeguatamente misurati dagli strumenti scelti. Si tratta di un problema di validità di costrutto. b) Errori nell’analisi statistica dei dati. Possono essere classificati in due tipologie: 1. Errori del primo tipo (ipotesi nulla rifiutata erroneamente, cioè l’esistenza del fenomeno è erroneamente provata, dovuto a una grande quantità di variabili). 2. Errori del secondo tipo (si conclude che il fenomeno non esiste quando è reale, dovuto all'utilizzo di campioni troppo ristretti). c) Errori dovuti a insufficiente validità interna. Quando i risultati non possono essere realmente attribuiti ai fattori ritenuti responsabili. Effetti che incidono sulla validità interna sono: effetto storia, maturazione, selezione, mortalità. d) Errori dovuti all’inappropriata generalizzazione dei risultati, ovvero a variabilità esterna. RICERCA E PROBLEMI ETICI Da tempo sono stati istituiti alcuni vincoli importanti riferiti agli aspetti etici e di privacy. Un primo principio da osservare è la salvaguardia del benessere delle persone che partecipano allo studio. Bisogna prevedere gli effetti dannosi (psicologici e fisici) che potrebbe provocare la ricerca, nessuno può essere costretto a parteciparvi. I codici etici sono creati per tutelare i diritti dei soggetti. I ricercatori dovrebbero occuparsi degli aspetti sociali ed etici non solo durante la ricerca ma anche una volta che essa sia conclusa, dovrebbero proteggere l'identità dei partecipanti In modo che non ci siano ritorsioni nei confronti delle persone che affermano qualcosa di non gradito ai loro superiori. Lo psicologo, lavorando all’interno o per una data organizzazione, ha quindi il dovere di prendere in considerazione sia il benessere dell’individuo sia le necessità organizzative. Un ulteriore principio etico riguarda il “consenso informato”, ovvero il fatto che i soggetti devono essere informati sulla natura e sugli scopi dello studio prima di parteciparvi. Infine è opportuno che ai partecipanti venga fornito un feedback sui risultati ottenuti e sulle iniziative aziendali che da essi possono scaturire. CAP 3 – AMBIENTE E SICUREZZA SUL LAVORO SALUTE E SICUREZZA Telelavoro è parte integrante della vita di ciascun individuo, è mezzo di sostentamento e di soddisfazione dei bisogni di autorealizzazione ed espressione di sé. Nonostante l'innovazione tecnologica abbia migliorato le condizioni di lavoro e fornito il cambiamento, il fattore umano rimane l'elemento fondamentale di ciascuna attività lavorativa e determinante per il successo di un'organizzazione. Nonostante ciò sono ancora insufficienti le azioni messe in atto per garantire la sicurezza dei lavoratori. Sono ancora milioni gli infortuni e le morti di persone a causa di incidenti sul lavoro o malattie professionali. LA NORMATIVA ITALIANA IN MATERIA DI SICUREZZA In Italia nel 1994 è stata introdotta la Legge 626 che definisce nuove figure professionali di prevenzione, nuove responsabilità e una specifica valutazione dei rischi. I principali aspetti introdotti da questa legge sono: 6  Valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro;  Obbligo di avere un RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) che valuta i rischi.  Obbligo di avere un Servizio di Prevenzione e Protezione (attua le misure di prevenzione e protezione volte a ridurre al minimo la probabilità di danni)  Obbligo di avere un RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) che puo essere anche il datore di lavoro stesso ma con una formazione specifica. La nozione di salute, che corrisponde non solo all'assenza di malattia o di infermità ma anche al benessere fisico, mentale e sociale, richiede al datore di lavoro e a tutta la restante organizzazione di orientare attività, competenze strumenti per la sicurezza sul lavoro in modo innovativo. I rischi di natura psicologica hanno avuto pieno riconoscimento, in particolare lo stress da lavoro viene definito come una condizione di malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali che sono causa di forti pressioni che riducono l'efficacia sul lavoro e arrivano a causare problemi di salute. L’ERGONOMIA E LA SICUREZZA SUL LAVORO ERGONOMIA E FATTORI UMANI L’ergonomia è una disciplina che si basa sull'esperienza e la conoscenza attraverso la ricerca scientifica condotta in laboratorio, sul campo e attraverso il lavoro pratico svolto in organizzazioni in collaborazione con dirigenti ed esperti. L'ergonomia aumenta la sicurezza, la salute e il benessere, l'efficienza, la produttività e la competitività dell'organizzazione. Il principale proposito dell’ergonomia è la progettazione. Gli ergonomi contribuiscono alla progettazione valutazione di mansioni, attività, prodotti, ambienti e sistemi al fine di renderli compatibili con i bisogni, abilità e limitazione dell'essere umano. È un approccio definito da tre principi fondamentali: globalità degli intenti, interdisciplinarità degli interventi e partecipazione dei lavoratori. INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI Dagli anni ’60 sono stati studiati e analizzati i fattori nocivi dell’ambiente di lavoro: - Generici: luce, rumore, temperatura, ventilazione, umidità - Tipici della Produzione: polveri, gas, vapori, fumi, radiazioni - Fatica fisica e psicofisica: ritmi eccessivi, monotonia, ripetitività, posizioni disagevoli, ansia, frustrazione, responsabilità, stress, orari, lavoro a turni Art. 2 del testo unico 1124/65: “L’infortunio è l’evento avvenuto per causa violenta (La causa violenta viene identificata in un fattore esterno improvviso e imprevisto e in modo rapido e intenso provo con effetto lesivo) in occasione di lavoro (rapporto di causa ed effetto che vi è tra l’attività di lavoro e l’incidente), da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che comporti astensione dal lavoro per più di 3 gg”. (Sotto ai 3 gg non vengono considerati infortuni). Vengono definiti incidenti sul lavoro anche quelli che non provocando lesioni alle persone causano danni materiali (in inglese  injury: incidente che provoca lesione / accident: incidente senza lesioni). La malattia professionale viene definita come un evento dannoso che incide sulla capacità lavorativa della persona ed è causata della prestazione lavorativa. L’assicurazione per gli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali è gestita dall’INAIL (istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) che ha il compito di garantire le prestazioni sanitarie relative alle prime cure, prestazioni economiche e forniture di apparecchi di protesi. L’ERRORE UMANO COME CAUSA DI INCIDENTI SUL LAVORO Le circostanze in cui accadono gli incidenti presentano alcuni elementi comuni come condizioni lavorative di illegalità in cui non vengono rispettate le regole e organizzazione del lavoro priva di sicurezza fin dalla sua progettazione. Non a caso il legame tra l'organizzazione e la sicurezza di un'impresa è stata affrontato solamente intorno agli anni 80 del secolo scorso. Ma soprattutto nell'analisi di grandi incidenti tecnologici ha permesso di individuare alcune ipotesi sulle loro cause 7 superiori. Questi disturbi sono determinati da quattro fattori di rischio: la forza richiesta per eseguire il compito, la postura tenuta nell'esecuzione del compito, la ripetitività dei gesti lavorativi, l'inadeguato rilassamento dei segmenti muscolo scheletrici coinvolti nell'esecuzione del compito lavorativo. IL SOLLEVAMENTO MANUALE DEI CARICHI La legge 626/94 definisce la movimentazione manuale dei carichi che possono comportare rischi di lesione dorso-lombari ed indica un limite del peso sollevabile del lavoratore di 30 kg per gli uomini e 20 kg per le donne che se superati possono causare un rischio fisico. Il rischio deve essere valutato anche in riferimento ad altri elementi come: le caratteristiche del carico, le posizioni di sollevamento, lo sforzo fisico eccessivo e le caratteristiche dell'ambiente (presenza di scale, pavimenti scivolosi). LE POSTURE FISSE PROLUNGATE La postura è l'insieme e la sequenza di comportamenti che il corpo assume durante un'attività lavorativa. Una postura di lavoro mantenuta costante nel tempo viene definita fissa mentre se frequentemente modificata viene chiamata dinamica. Le attività di lavoro che implicano fissità posturale sono più soggette a disturbi muscoloscheletrici. LA RIPETITIVITA’ Un altro fattore di rischio è la ripetitività dei gesti necessarie a svolgere le mansioni. Più è elevata la frequenza dei movimenti tanto più rapida è la successione di contrazioni e rilassamenti muscolari. Essendo brevi risultano insufficienti a consentire il recupero funzionale delle strutture coinvolte nel gesto. Più forza si impiega più lungo dovrà essere il tempo di recupero. I metodi per valutare i rischi relativi alla ripetitività si rifanno alla biomeccanica che verifica la sostenibilità del rischio e definisce i valori limite. LA FATICA MENTALE La fatica mentale è una diminuzione reversibile delle prestazioni e delle funzioni dell'organismo legata a una diminuzione della soddisfazione per il lavoro e a un aumento dello sforzo per svolgere il lavoro. Dunque è un abbassamento dell'energia psichica necessaria per compiere un'azione. Successivamente è stata associata a un problema relativo all'attenzione o a deficit cognitivi nel gestire la richiesta di un compito. Un altro problema è la multidisciplinarietà del concetto che rende difficile il confronto eziologico e lo studio delle cause. L’ISO (International standard Organization) ha fissato l'obiettivo di creare un lessico comune in questo ambito. Il concetto di fatica mentale va distinto da quello di carico mentale. il carico mentale è la quantità di lavoro con impegno mentale che il lavoratore deve svolgere (es sovraccarico mentale o Sotto carico mentale) e che può determinare uno stato di fatica mentale. -stressor: agenda che causa lo stress -stress: somma di tutte le influenze che provengono da fonti esterne e interferiscono con la persona fino a condizionarla mentalmente e fisicamente -distress: fallimento adattivo della risposta -eustress: energia ben utilizzata -strain: sforzo psicologico e psicofisiologico di un individuo a fronte di un'alta domanda ambientale, effetto immediato dello stress mentale vissuto dall'individuo La fatica male nasce dall'interazione fra i requisiti di un compito di lavoro, le circostanze in cui è effettuato e le abilità, i comportamenti e le percezioni dell'operatore. I principi del modello di causa-effetto sono stati esposti nello stimulus-organism-reaction-model in cui la fatica mentale è un alternazione temporanea dell'efficacia funzionale mentale e fisica che dipende dall'intensità, durata e andamento temporale dello strain mentale. La fatica mentale si manifesta attraverso stanchezza, rapporti meno favorevoli tra prestazione e sforzo, tipo e frequenza di errori e da precondizioni individuali. 10 MISURAZIONE DELLA FATICA MENTALE Nel Draft ISO è contenuta una delle prime proposte volte a misurare la fatica mentale e le sue conseguenze. Essa si basa su 4 criteri di valutazione: - Soggettivi: fammi riferimento all'uso di questionari di autovalutazione dei sintomi della fatica (test di memoria, metodo del doppio compito, test di reattività e di capacità di mantenere la concentrazione, sulla frequenza dei cambiamenti posturali, sui segnali di noia, e sul livello di performance) - Comportamentali: metodo del doppio compito. frequenza dei cambiamenti posturali indicatori di noia - fisiologici: valutano altri indicatori di fatica come frequenza critica di fusione della luce intermittente, ritmi cerebrali, frequenza cardiaca, funzionalità dell'apparato visivo, pressione arteriosa, frequenza respiratoria, tensione muscolare - biochimici: il carico di lavoro mentale può alterare parametri biochimici (i livelli ormonali) attraverso cambiamenti dal livello di uropepsina nelle urine e di catecolammine nel sangue. Una volta individuate le caratteristiche del sistema da indagare e analizzare i bisogni dei lavoratori è possibile adottare le modalità valutative più opportune. LA VALUTAZIONE DELLO STRESS Lo stress sul posto di lavoro è riconducibile al contratto di lavoro, all'irregolarità e flessibilità degli orari di lavoro, all'insicurezza del posto di lavoro e all'intensificazione ecco della forza lavoro. I principali fattori attraverso i quali è possibile individuare un problema di stress correlato al lavoro sono: - le caratteristiche dell’organizzazione e dei processi di lavoro (Pianificazione dell'orario di lavoro, grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte del lavoro e capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro) - le condizioni e l'ambiente di lavoro - la comunicazione - i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di una mancanza di aiuto) Alcune misure per la riduzione del rischio sono: - migliorare la gestione e la comunicazione, al fine di chiarire gli obiettivi e il ruolo di ciascun lavoratore e assicurare un sostegno adeguato - Migliorare l'organizzazione, i processi, le condizioni e l'ambiente di lavoro - potenziare la formazione dei dirigenti e dei lavoratori per migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione delle possibili cause e del modo in cui affrontare lo stress. - Migliorare l'informazione e la consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti in conformità ai contratti di lavoro Lo stress da lavoro non è sempre causato dal lavoro stesso, può essere indotto da fattori esterni all'ambiente di lavoro ciò conduce a cambiamenti nel comportamento e alla riduzione dell'efficacia sul lavoro. In questo caso il datore di lavoro può intervenire nell'ambiente di lavoro ma non sulla sfera privata del lavoratore. Riguardo l'identificazione delle fonti di stress molti approcci metodologici fanno riferimento a due tipologie di fattori: - fattori oggettivi legati all'ambiente e alle condizioni di lavoro: esposizione a rumore, a vibrazioni, al calore, a sostanze pericolose, la ripetitività delle manzioni - fattori di natura psicosociale che possono essere suddivisi in: organizzazione ai processi di lavoro; la comunicazione; i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali al lavoro) Le valutazioni dei fattori oggettivi vengono fatte attraverso specifiche checklist (attraverso cui valutare indicatori quali infortuni, assenza per malattia) mentre la valutazione dei fattori 11 psicosociali si basano su un'analisi delle percezioni del lavoratore riferita alla propria esperienza lavorativa e possiamo utilizzare due metodi: -il metodo quantitativo: basato su strumenti quali questionari -il metodo qualitativo: che adotta strumenti quali interviste, focus Group o l'osservazione partecipante “La guida sullo stress legato all'attività lavorativa” redatta dalla commissione europea fornisce alcuni esempi di azioni che possono essere messe in atto nei confronti dell'organizzazione del lavoro al fine di prevenire o ridurre lo stress: - Orario di lavoro: va organizzato in modo da evitare conflitti con esigenze e responsabilità extralavorative. Gli orari dei turni a rotazione devono essere stabiliti e prevedibili - partecipazione e controllo: i lavoratori devono partecipare alla decisione o alle scelte che hanno ripercussioni sul lavoro - quantità di lavoro assegnato: gli incarichi devono essere compatibili con le capacità e le risorse del lavoratore che devono prevedere la possibilità di recupero dopo l'esecuzione - contenuto delle mansioni: le mansioni devono essere stimolanti e devono fornire l'opportunità di esercitare le proprie competenze - i ruoli: vanno definiti con chiarezza - ambiente sociale: deve essere presente l’interazione sociale, sostegno emotivo e sociale fra i collaboratori - prospettive future: bisogna ridurre le incertezze per quanto riguarda la sicurezza del posto di lavoro CAP 4 – LE DIFFERENZE INDIVIDUALI LE DIFFERENZE INDIVIDUALI E LA PSICOLOGIA DEL LAVORO Oggetto di questo capitolo è esaminare come le differenze individuali possano esercitare un’influenza sui comportamenti che le persone manifestano nel corso della loro esperienza professionale. L’inizio dell’interesse per lo studio scientifico delle differenze tra gli individui può essere attribuito a Wilhelm Wundt, i cui sforzi furono principalmente rivolti a individuare i principi generali in grado di spiegare il comportamento umano. Successivamente James Cattell e Francis Galton hanno centrato la loro attenzione sulla valutazione delle differenze individuali, prendendo in considerazione le qualità e le caratteristiche dell’individuo determinanti per il comportamento. La psicologia del lavoro si è spesso servita degli studi condotti in questo ambito differenziale, partendo dal presupposto che le differenze individuali possono essere utilizzate per prevedere esiti lavorativi importanti, quali il successo nella professione e soddisfazione lavorativa. Un primo attributo individuale studiato e misurato in ambito organizzativo è quello dell’abilità cognitiva, tramite la quale le persone acquisiscono conoscenze e risolvono problemi. Inizialmente tale fattore fu definito fattore “g”, abilità mentale generale (Spearman). Successivamente l’interesse degli psicologi si è spostato anche sulla valutazione di altre variabili soggettive, quali la personalità, le conoscenze acquisite, gli interessi e le reazioni emotive. Risulta più utile poter misurare una serie più ampia di attributi anziché un unico fattore di intelligenza generale. Tali caratteristiche sono classificate in modo diverso da vari autori. Una classificazione completa ed esaustiva delle caratteristiche in base alle quali le persone si differenziano è quella proposta da Landy e Conte, Murphy, Guion: secondo cui le differenze individuali utili per la comprensione del comportamento lavorativo sono - abilità cognitive e psicomotorie; - personalità; - interessi; - valori. 12 le competenze e gli obiettivi personali. Generalmente il self concept si mantiene fisso e stabile in quando l'immagine che sia di se rimane tale. - Locus of Control (LOC), che fa riferimento al fatto che persone diverse percepiscono di possedere un diverso grado di controllo sulle situazioni. Coloro che possiedono un LOC esterno ritengono di avere uno scarso controllo sugli eventi, i quali sarebbero dominati da leggi esterne quali il fato o il caso. Coloro che invece possiedono un LOC interno attribuiscono a sé, alle proprie capacità sia i successi sia i fallimenti (sono più autonome). - Self Monitoring, si riferisce al grado in cui le persone riescono a controllare il modo in cui si presentano agli altri. Tale caratteristica si riferisce a quanto una persona è in grado di osservare il proprio comportamento autoespressivo e a quanto riesce ad adattarlo alle diverse situazioni. - Autostima, definibile come l’opinione sviluppata dall’individuo sul proprio valore in base a una complessiva valutazione di sé. Più semplicemente è il grado di fiducia che le persone hanno in se stesse e nelle proprie capacità. - Autoefficacia, definibile come la convinzione che il soggetto ha in merito alle proprie possibilità di riuscita in determinati compiti. Secondo Gist l'autoefficacia deriva dall'acquisizione graduale, mediante dell'esperienza, di capacità cognitive, sociali e linguistiche. In ambito lavorativo, tale costrutto riveste un’importanza notevole a causa del suo stretto legame con la performance: si tratta di una relazione di tipo ciclico che può, da una parte condurre al successo, dall’altra al fallimento (un basso livello di autoefficacia porta al fallimento). - Personalità di Tipo A e di Tipo B, riferibili a due tipologie opposte di personalità. Gli individui con personalità di Tipo A sono competitivi, fortemente motivati al successo e impazienti. I soggetti con personalità di Tipo B, al contrario, sono tendenzialmente più rilassati e hanno un approccio più semplice ai problemi della vita. Il Tipo A può risultare ideale quando è necessario raggiungere obiettivi specifici in tempi brevi, ma non è adatto quando è richiesta una continua e prolungata interazione con altre persone: entrano più spesso del Tipo B in conflitto con colleghi e collaboratori. Tipicamente, il Tipo A raggiunge più elevati standard di performance se opera autonomamente e se i compiti assegnati non sono molto a lungo termine o, comunque, prevedono obiettivi intermedi. - Bisogno di riuscita, di affiliazione e di potere, tre tratti presenti in ogni persona ma in misura diversa, e individuati da McClelland come importanti fattori motivanti. È chiaro come questi tre bisogni così diversi e caratterizzati, possano essere richiesti in misura diversa dalle varie attività professionali e costituiscano importanti elementi per la determinazione delle prestazioni lavorative nelle diverse mansioni. - Proattività, tendenza a ricercare attivamente i cambiamenti, a pianificare il futuro e a perseverare di fronte agli ostacoli. Gli individui proattivi tendono a cercare ambienti lavorativi stimolanti, sono in grado di esercitare un controllo intenso come la capacità di prendere attivamente decisioni al lavoro. GLI INTERESSI Lo studio degli interessi professionali non ha ricevuto da parte degli psicologi la medesima attenzione dedicata allo studio della personalità, in quanto gli psicologi hanno ritenuto che gli interessi non siano predittori della performance lavorativa. Mentre oggi sia la personalità che gli interessi vengono riconosciuti come predittori significativi del comportamento lavorativo. Gli interessi determinano la scelta del lavoro e la personalità influenza i comportamenti individuali dopo la scelta dell'occupazione. Gli interessi professionali sono differenze individuali relativamente stabili che riguardano le preferenze per determinate attività lavorative che 15 influenzano le scelte e i comportamenti lavorativi attraverso processi di tipo motivazionale. tre caratteristiche fondamentali degli interessi professionali sono: - gli interessi professionali hanno un'importante componente disposizionale: sono stabili nel tempo rispetto alla personalità e il periodo con il quale essi risultano più modificabili è l'infanzia e la prima adolescenza. Possono essere, almeno in parte, modificati dalle esperienze di vita lavorativa. - gli interessi professionali sono espressi in forma di preferenze: sono preferenze per lo svolgimento di determinate attività - gli interessi professionali riflettono l'identità personale: Sono influenzati da comuni processi di sviluppo e socializzazione che contribuiscono a formare l'identità lavorativa Se una persona svolge un lavoro non conforme ai propri interessi è più probabile che ottenga livelli di prestazione scarsi rispetto a quelli che potrebbe potenzialmente raggiungere svolgendo un lavoro percepito come più interessante. In quest’area, un modello che ha ottenuto un’ampia diffusione è quello di Holland, denominato RIASEC, che individua sei tipologie principali di interessi: realistici, intellettuali, artistici, sociali, intraprendenti e convenzionali.  la persona con alti interessi realistici è tendenzialmente conformista, onesta, materialista, pragmatica e persistente;  quella con interessi di tipo intellettuale è analitica, cauta, critica, curiosa, precisa, razionale;  i soggetti con interessi artistici sono disordinati, emotivi, espressivi, idealisti, impulsivi, intuitivi, anticonformisti;  la persona con alti interessi sociali è cooperativa, amichevole, generosa, empatica, sensibile, comprensiva;  quella con spiccati interessi di tipo intraprendente tende ad essere avventurosa, esibizionista, ambiziosa, energetica, ottimista;  le persone con interessi di tipo convenzionale sono generalmente conformiste, coscienziose, metodiche, efficienti, rigide, obbedienti, prudenti. Strong Sviluppa lo Strong Vocational Interests Blank, un questionario per valutare gli interessi professionali che è stato successivamente revisionato assieme a Campbell. Il principio base di questo strumento sta nel fatto che ogni occupazione corrisponde uno specifico pattern d'interessi. Secondo strong è possibile differenziare le persone impegnate in una specifica occupazione da quelle che ne svolgono un'altra proprio sulla base degli interessi. Kuder è noto per aver ideato negli anni Trenta uno fra i più diffusi strumenti per la valutazione degli interessi in campo professionale, il Kuder Preference Record-Vocational. Secondo l’autore, ogni persona manifesta un interesse prevalente per attività che possono essere così caratterizzate: lavori all’aperto, tecnici, di contabilità, scientifici, basati sulla persuasione, artistici, letterari, musicali, di servizio sociale e d’ufficio. Risulta particolarmente utili nell’ambito dell’orientamento professionale, poiché nel momento in cui un soggetto ottiene un punteggio elevato in una delle 10 categorie elencate è possibile restringere il campo di indagine alle attività incluse in quell’aria. I VALORI I valori possono essere definiti come ciò che le persone ritengono debba essere soddisfatto in risposta al ruolo lavorativo ricoperto e quindi contribuiscono a spiegare cosa motiva le persone verso il raggiungimento di obiettivi ritenuti importanti. I valori si formano come prodotto di apprendimenti e di esperienze di vita all’interno del contesto culturale di appartenenza. Il che equivale a dire che il set di valori che ciascun individuo possiede è unico e irripetibile. Man mano che si matura i valori diventano sempre più stabili. Rokeach, sostiene la possibilità di suddividere i valori in due categorie principali, ciascuno dei quali ne contiene 18 specifici:  valori terminali, che riflettono la preferenza per determinati obiettivi finali da raggiungere nel corso della vita (vita confortevole, felicità, riconoscimento sociale); 16  valori strumentali, che costituiscono i mezzi attraverso cui le persone conseguono gli obiettivi terminali (mente aperta, coraggio nell’affermare le proprie idee, essere razionali). Allport individua sei categorie: valori teoretici (interesse per il ragionamento), valore economici, valori estetici, valori sociali, valori politici, valori religiosi. Una suddivisione importante è quella tra valori intrinseci che si riferiscono al lavoro in sé e valori estrinseci che si riferiscono a fattori esterni al lavoro o ciò che da questo può derivare (es un'elevata retribuzione). Un concetto particolarmente importante in ambito organizzativo è la congruenza: quando le persone sono chiamate a collaborare con colleghi aventi valori simili, esprimono emozioni positive. Al contrario quando i valori differiscono si genera una situazione di incongruenza. Inoltre numerose ricerche hanno evidenziato che quando le persone hanno l’opportunità di svolgere lavori allineati con i propri valori e quando condividono questi ultimi con i propri responsabili sono in grado in incrementare significativamente la produttività aziendale. Dunque i valori sono elementi funzionali al conseguimento dei risultati organizzativi. Il Super’s work values inventory è un questionario che serve per valutare i valori ed è costituito da 72 item raggruppati in 12 scale che valutano i seguenti valori: riuscita, colleghi, creatività, retribuzione, indipendenza, stile di vita, Sfida, Prestigio e sicurezza. Gli item sono valutati su scala likert a 5 punti (1= per niente importante 5= essenziale). Sono stati individuati ulteriori aspetti soggettivi in grado di incidere sui comportamenti e sui risultati lavorativi: la conoscenza, l'esperienza, le competenze, intelligenza emotiva e la tendenza ad essere soggetti adattatori e innovatori. CONCLUSIONI La presenza di differenze individuali nelle persone che operano in un contesto lavorativo pone il problema di come poter comprendere e valorizzare le diversità degli individui al fine di creare un ambiente in cui ciascuno possa sentirsi accettato e apprezzato. É necessario che il management comprenda e valorizzi le differenze individuali, che possono essere misurate attraverso diversi tipi di strumenti, fra cui principalmente le interviste e i test. La misurazione delle differenze individuali in azienda rende possibile impostare piani di intervento, che consentano alle persone di crescere personalmente e professionalmente e quindi di incrementare anche la produttività e la competitività organizzativa. CAP 5 – LA COMPETENZA PERCHE’ PREOCCUPARSI DELLA COMPETENZA? La competenza delle persone è un asset fondamentale del successo delle organizzazioni. LA COMPETENZA A VIVERE La competenza è innanzitutto “competenza a vivere” cioè un fenomeno complesso, globale dell’abilità cognitiva e affettiva che ci consente di essere e stare al mondo, di trovare il nostro posto e fare il nostro cammino nella vita. La competenza vivere è polimorfica, cioè a differenti forme, è contemporaneamente intrapsichica, cioè inscritta nella configurazione di vita e nel mondo interno della persona, e interpersonale cioè co-costruita con l'ambiente relazionale sociale. è un fenomeno multidimensionale: cognitivo e affettivo; è Dinamica e continuamente cangiante: fluida, plastica, articolata secondo la persona. Essa ha origine con la vita intrauterina, tutti sviluppiamo una competenza a vivere, ma ciascuno è competente a modo suo. Essa è una struttura ed è un processo: la struttura della competenza ne definisce i processi di utilizzo e sviluppo, ed essi cambiano la struttura della competenza stessa. LA COMPETENZA E’ UNA “STRUTTURA” La struttura della competenza è lo schema guida ed è riconducibile a due differenti aree: una è la capacità di produzione (componente semiotica), interpretazione dai segni e simboli (ermeneutica) e la capacità di raccontare (narrazione). Attraverso l'uso del linguaggio e la costruzione dei significati vi è la possibilità di sviluppare competenze e di produrre conoscenza su di sè e sul 17 Il contributo di Lanzara consente di ripercorrere il ragionamento sulla competenza ad agire e di introdurre il tema dell’incertezza e del cambiamento. “La competenza è l’esistenza di una capacità che attribuiamo all’attore e un fenomeno di integrazione del comportamento con i dati e i requisiti dell’ambiente del compito”. Con questa definizione l’autore tiene conto contemporaneamente sia delle capacità interne dell’attore, sia del fenomeno che mette in relazione i processi cognitivi e gli atti di comportamento con l’ambiente. È orientato a individuare e comprendere se e come le rappresentazioni vengono effettivamente attivate, qual è la loro funzione nella produzione di attività pratiche. Per designare le abilità cognitive inscritte nelle attività pratiche Lanzara adotta il termine mente in azione, anziché prendere le abilità cognitive (funzioni mentali) e separarle dalla sfera dell'azione viene studiata la competenza pratica. Egli si basa sul concetto di programma per l'azione, capacità negativa e sensibilità al contesto, sostenendo sempre il versante sociale che la caratterizza. Le interazioni tra soggetti e ambiente avvengono mediante programmi per l'azione e meta progetti che forniscono le regole per la progettazione di azioni in determinate situazioni. I programmi si basano sulla cultura e su sistemi sociali. La competenza può essere così definita come una particolare modalità di accoppiamento con il contesto, come una forma di integrazione fra l’agire e il mondo in cui esso si manifesta. Diventa così cruciale la flessibilità dei programmi d’azioni e la capacità di modificare rapidamente il nostro corso di azioni e decisioni sulla base della situazione contingente. Questo richiede capacità di osservazione riflessiva, doti di “immaginazione e disponibilità ad affrontare il rischio”. La competenza quindi, nella sua concezione più attuale, si esprime nella capacità di andare oltre il noto, sostare nell’incertezza per promuovere una possibilità per il nuovo ed esplorare l’ignoto. Lanzara la definisce Capacità Negativa (Negative Capability) esprimendo così “la possibilità di conservare un’esistenza dove ogni possibilità di esistenza sembra essere negata, accettando di rendersi vulnerabili agli eventi e facendo della propria vulnerabilità una leva d’azione”. La capacità di sperimentare è un’azione che nasce dal vuoto, dalla perdita di senso e di ordine e punta a generare mondi possibili. Le competenze non sono solo di origine cognitivo, ma sono riconoscibili e riproducibili solo all'interno di un sistema di relazioni e di pratiche socialmente e culturalmente riconosciute. La costruzione della competenza è un insieme e inestricabilmente apprendimento individuale e apprendimento culturale i cui materiali sono le aspettative, i valori e i giudizi normativi su ciò che si pensa sia moralmente utile o giusto, socialmente buono o accettabile, meritevole di riconoscimento e ricompensa nelle situazioni in cui si opera. LE COMPETENZE PER I PROCESSI ORGANIZZATIVI LE COMPETENZE PROFESSIONALI: I MODELLI La competenza professionale e manageriale è la competenza a vivere che si confronta con sistemi sociali organizzati, le organizzazioni. Essa è in parte tacita e in parte esplicita (Polany), ha differenti gradi di consapevolezza e riflessività (Schon), ci consente di affrontare il contesto con differenti gradi di sensibilità, capacità di produrre e realizzare piani d'azione, diversa capacità di tollerare l'incertezza (Lanzara). MODELLI DI COMPETENZA… IN TEORIA La proposta di Boyatzis è diventata una sorta di minimo comun denominatore, di dizionario condiviso, grazie al quale la comunità di professionisti della funzione del personale e di società di consulenza organizzativa trovano un modo di intendersi quando dialogano circa la competenza. Esso rientra nel novero di una scuola di pensiero, inaugurata da McClelland, che focalizza il ragionamento sul soggetto, e in particolare sulle sue caratteristiche, in relazione alla possibilità di ottenere prestazioni eccellenti. Boyatzis considera la competenza una caratteristica (tratto, abilità) della persona che determina una prestazione lavorativa efficace. Queste caratteristiche non sono direttamente osservabili, la competenza può manifestarsi in tante forme di comportamenti o azioni, a seconda del compito da svolgere. 20 Il modello di Boyatzis ha due dimensioni che distinguono differenti tipi e livelli di competenza.  Una prima dimensione descrive i tipi di competenze, associati a diversi aspetti del comportamento umano e della capacità delle persone in grado di spiegare le azioni e i comportamenti. Questa lista di capacità include 21 tipi di caratteristiche (es. Accurata autovalutazione, Interessa per le relazioni, Capacità di diagnosi, Percezione degli obiettivi, Adattabilità ed energia, ecc.)  Una seconda dimensione del modello descrive il livello di ciascuna competenza. Le motivazioni, i tratti, l’immagine di sé, i ruoli sociali e le abilità sono ritenuti essenziali per eseguire un lavoro o svolgere un’attività. Boyatzis ipotizza tra questi costrutti, la persona e il contesto una particolare dinamica delle interazioni dei livelli nei termini della rappresentazione dei campi di forze. L’interazione tra la persona e il suo ambiente risulta quindi dall’azione o dal comportamento. Il modello di Spencer e Spencer non si discosta tanto da quello da quello di Boyatzis. La differenza sta nella distinzione tra: competenza di base cioè caratteristiche essenziali che ciascuno deve necessariamente possedere per essere minimamente efficace in un lavoro ma non distinguono le migliori performance da chi produce risultati nella media, mentre le competenze distintive segnano la differenza tra i lavoratori medi e quelli eccellenti. Inoltre per Spencer e Spencer una caratteristica non è una competenza se non assume un significato nel mondo reale, cioè nel contesto organizzativo e quindi non può essere utilizzata per valutare le persone. Le Boterf nella sua proposta del modello tripartito ritiene la competenza un insieme, riconosciuto e provato delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti mobilitati e combinati in maniera pertinente in un contesto dato. la competenza non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità) ma nell'attivazione da parte dell’individuo delle risorse stesse (sapere, saper fare, saper apprendere, saper agire, voler agire) in modo efficace, cioè nell'azione. Questo modello sottolinea la caratteristica della conoscenza come processo più che come struttura (a differenza di Boyatzis e Spencer e Spencer). Per Le Boterf la competenza comprende due componenti principali: la disponibilità di combinare un insieme di risorse e la capacità di mobilitare le risorse attivamente e creativamente in modo funzionale al contesto. La prima componente cioè la disponibilità è legata alla volontà e alla motivazione di una persona a combinare un insieme di risorse come conoscenze (il sapere), capacità o abilità (il saper fare), atteggiamenti (il saper essere). La seconda componente è l'attivazione, la mobilitazione cioè la capacità di fare ricorso, utilizzare e combinare creativamente le risorse disponibili in modo adeguato ai contesti e alle situazioni (Interpretare e dotare di senso eventi e situazioni). MODELLO DI COMPETENZE… IN PRATICA Un modello di competenze scelto e definito in un'organizzazione sulla base dei suoi valori descrive le qualità professionale e manageriale richieste a tutte le persone, quelle competenze che si devono possedere per operare in uno specifico ambiente organizzativo. Per definire e nominare le abilità cognitive e affettive occorre rinunciare al linguaggio che esprime processi o funzioni mentali e sociali, per ricondurli alla sfera delle azioni. L'azione professionale diventa l'unità di analisi e l'attenzione si sposta dalle capacità cognitive e affettive ai processi relazionali e organizzativi attraverso i quali le competenze vengono espresse ed utilizzate. Il modello di competenze descrive la competenza professionale espressa nel linguaggio proprio dei processi, dei valori e della cultura di un'organizzazione (gergo tipico di un’organizzazione) e dunque non usa un linguaggio generale. Questa competenza professionale orienta e rende più consapevole l'apprendimento e lo sviluppo individuale. Questo modello ha scopi molto pratici, orientati all'azione e non si ferma ad un esercizio accademico. I profili professionali sono l'insieme di competenze richieste per svolgere una certa attività e ricoprire un particolare ruolo. Attraverso queste competenze si creano degli strumenti per la valutazione delle performance. In un modello di competenza sono presenti: -Aree di competenza (es logico-strategica, gestionale, relazionale) 21 -voci di competenza (es organizzazione, comunicazione, decisione) -indicatori osservabili (es espone in modo logico e coordinato) IL PROCESSO DI VALORIZZAZIONE DELLA COMPETENZA PROFESSIONALE E MANAGERIALE Il processo di valorizzazione delle persone dell'organizzazione (risorsa primaria dell’azione) comprende differenti sotto processi: gestione chance management, sviluppo. LA VALORIZZAZIONE DELLE COMPETENZE COME PROCESSO Come processo perché il processo è finalizzato a ricercare, valutare, sviluppare competenza, a creare valore per il singolo, i gruppi, l’insieme. COMPETENZA E VALUTAZIONE Valutazione significa letteralmente -> dar la valuta, stimare. Essa viene vista come una minaccia all'autostima e al riconoscimento, come un ostacolo per accedere al sistema premiante, ciò accade per via di cattive esperienze nella vita (per esempio nella vita scolastica). Essa è in realtà orientata verso la ricerca e la promozione del valore rappresentato dalle persone, dal loro potenziale ed alle loro performance, ha cambiato metodi, strumenti, cultura, prospettiva poiché il suo obiettivo è la formazione. La valutazione è il processo che promuove e garantisce la valorizzazione. La valutazione fornisce un quadro delle competenze delle persone grazie alle quali si possono avviare degli interventi mirati e specifici per la loro crescita. I dati della valutazione della performance del potenziale compongono una mappa che si declina in: formazione, change management, compensation, selezione. Riprendendo l'assunto secondo il quale le competenze professionali sono caratteristiche sottostanti l'azione che emergono in una performance rendendola più o meno efficace è importante dire che una caratteristica può portare a diverse azioni. L'azione ha origine a partire da una richiesta e allo stesso modo i risultati di un'azione sono correlati alle richieste e al setting nel quale questa viene condotta. Per valutare la competenza dobbiamo determinare quale processo cognitivo o relazionale osserviamo (es la comunicazione), operazionalizzarlo in una sequenza di indicatori (es ascolta senza interrompere), che identifichino e corrispondano alle caratteristiche sottese. Quindi la competenza è descritta con indicatori e azioni che osserviamo mentre il legame tra azione e competenza lo creiamo attraverso l'interpretazione. COMPETENZA E FORMAZIONE la formazione è un progetto fondamentale nel processo di valorizzazione delle persone che bontà a sviluppare competenza. La formazione consente di elaborare La propria esperienza per costruire e modificare le mappe e i processi della competenza. L'apprendimento del professionista/manager non è semplice memorizzazione di informazioni ma è un processo attivo di costruzione di significato e trasformazione cognitiva di tutto ciò che la persona ha compreso. La competenza non va insegnata ma è costruita dal soggetto stesso grazie la relazione con il mondo sociale. Apprendere dall'esperienza significa fare delle Sensemaking cioè costruire il significato, parlare della realtà come se non fosse qualcosa di dato. CAP 6 – LA MOTIVAZIONE La motivazione rappresenta una delle aree di intervento più sfidanti per coloro che si occupano di gestione delle risorse umane e di sviluppo organizzativo. CHE COS’E’ LA MOTIVAZIONE Il termine motivazione rimanda l'insieme dei processi psicologici alla base delle azioni volontarie dirette verso un obiettivo. Vari autori al termine motivazione danno diverse interpretazioni. Molti sono concordi nell'individuare un campo semantico in cui la motivazione è concepita come un'energia che alimenta i comportamenti e li orienta verso una meta, e può essere analizzata in termini di attivazione (avvio del comportamento), direzione (obiettivo a cui si rivolge), intensità (forza dell'investimento energetico) e persistenza (disponibilità a insistere nel tentativo di 22 La più significativa ricaduta operativa della teoria del goal setting di Locke, si può ritrovare nel sostegno offerto alla formula della “gestione per obiettivi” (Management by Objectives). LA SELF-EFFICACY DI BANDURA Secondo la teoria sociale cognitiva di bandura le persone sono in grado di produrre idee e ipotesi, di progettare percorsi innovativi, prevedere i risultati che si possono ottenere, codificare ed elaborare la propria esperienza. In questa teoria gli individui mettono in atto dei comportamenti in relazione agli obiettivi. Bandura definisce l'autoefficacia come una credenza nei confronti delle proprie capacità di aumentare i livelli di motivazione, attivare risorse cognitive ed eseguire azioni per raggiungere gli obiettivi. Le principali fonti dell'autoefficacia sono: - esperienza pregressa, cioè la quantità di successo o fallimento - l'esperienza vicariante, la quantità e la qualità di apprendimento attraverso l'osservazione e l'imitazione di altre persone - la capacità immaginativa, prefigurare obiettivi e conseguenze legate alle loro azioni e decisioni - persuasione verbale messe in atto da persone significative - presenza di stati fisiologici ed emozionali positivi e facilitanti l'impiego in un compito MOTIVAZIONE E PERSONALITA’ Alcuni autori hanno analizzato l’interazione tra i livelli di motivazione al lavoro e le loro caratteristiche di personalità. Già nel 1944 Sears sosteneva l’utilità di considerare alcune caratteristiche di personalità come predittori del livello di motivazione manifestato dall’individuo nel contesto lavorativo. Studi simili si rifanno all’influenza del Locus of Control e nei recenti studi di Latham che invitano a riconoscere l’influenza che i fattori interni dell’individuo (cioè personalità) esercitano sulla motivazione al lavoro. Non per questo, il legame tra motivazione e personalità va assunto come deterministico. A tal proposito Latham segnala che: 1) Non sempre i tratti di personalità predicono il comportamento in situazioni significative; 2) Più spesso accade che i tratti di personalità si manifestino in situazioni poco strutturate. In altri termini, se è vero che una buona indagine di personalità può rivelarsi utile a prevedere il potenziale motivazionale, l’effettiva realizzazione di questo potenziale è fortemente legata alle caratteristiche del lavoro e del contesto in sé. SVILUPPI RECENTI : -WORK ENGAGEMENT Il Job Demands-Resources Model analizza i diversi esiti che derivano dall'intreccio tra caratteristiche positive e negative che qualificano il lavoro dagli individui. Tra questi e il work engagement cioè uno stato mentale collegato al lavoro, caratterizzato da vigore (alti livelli di energia resilienza), dedizione e assorbimento (coinvolgimento positivo). Al polo opposto del work management vi è il burnout caratterizzato da un senso di esaurimento psicologico e di distacco dall'esperienza lavorativa. Il work engagement esercita un'influenza positiva sulla salute e sulle prestazioni dei lavoratori (salute fisica, migliori relazioni, migliori risultati aziendali, comportamenti di cittadinanza organizzativa, soddisfazione dei clienti). Il JD-R Model ha il merito di inquadrare i processi motivazionali che qualificano l'esperienza lavorativa di un individuo, esso consente di comprendere come uno stesso individuo posso esprimere un livello di investimento motivazionale mutevole nel corso della propria vita lavorativa. -FLOW AT WORK Le esperienze flow riguardano lo studio degli stati ad alta intensità motivazionale. Il flow è uno stato di consapevolezza in cui gli individui sono totalmente immersi e concentrati nelle attività che svolgono, durante il quale provano piacere e hanno il piano controllo della situazione. Alla base dell'esperienza flow vi è un equilibrio tra sfida e abilità. Le prime ricerche si sono focalizzate in ambito sportivo e artistico ma l'esperienza flow si verifica anche nelle situazioni di lavoro. Il flow at work è caratterizzato da: 25 - assorbimento, stato di profonda concentrazione e non accorgersi di ciò che ci circonda e del tempo - il piacere lavorativo, giudizio positivo sull’attività di lavoro - la motivazione intrinseca al lavoro, svolgimento di un’attività lavorativa con l'intento di sperimentare piacere e soddisfazione. Gli Individui che possono sperimentare il flow at work sono quelle che hanno elevate abilità professionali, hanno a disposizione risorse lavorative (supporto dei capi e colleghi, autonomia lavorativa ecc). La possibilità di sperimentare il flow at work può condurre a una riduzione della percezione di malessere psicofisico, prevenire l’esaurimento e potenziare le successive prestazioni lavorative. COUNTERPRODUCTIVE WORKPLACE BEHAVIORS Di comportamenti controproduttivi sono le azioni che il lavoratore mette in atto al fine di danneggiare l'organizzazione i responsabili, i colleghi e i clienti. Possono essere espliciti (furto di risorse) e coperti (non seguire le istruzioni, lavorare con scarsa cura). Questi comportamenti esprimono non tanto demotivazione ma motivazione a danneggiare. COME MOTIVARE Vi sono alcuni autori che si sono impegnati per mettere a punto delle classificazioni di “buone pratiche” organizzative e gestionali indirizzate a sostenere e promuovere la motivazione. PROGETTAZIONE DEL LAVORO La progettazione del lavoro si basa sulla convinzione che sia il lavoro in sé l’elemento chiave che influenza la motivazione degli individui. Già Herzberg aveva evidenziato quanto il potenziale di motivazione potesse venire limitato a causa degli errori di progettazione dei compiti lavorativi (parcellizzazione delle attività del Taylorismo). Insieme ad altri autori (Argyris) quindi propone di riprogettare le attività lavorative seguendo tre principali strategie: 1) il job enlargement: un’integrazione “orizzontale”, attribuzione di più compiti con contenuti professionali differenti; 2) il job enrichment: un’integrazione “verticale”, mediante l’acquisizione di responsabilità rispetto al compito in precedenza attribuito ad un livello gerarchico superiore; 3) la job rotation: un’integrazione “per fasi successive”, che si realizza mediante l’assegnazione a posizioni organizzative differenti. Successivamente Hackman e Oldham hanno proposto il Job Characteristics Model, secondo cui i fattori intrinseci motivanti sono costituiti dal significato del lavoro, dalla responsabilità, e dalla conoscenza dei risultati. Le attività assegnate a una posizione organizzativa devono essere riprogettate in questo modo:  combinare i compiti (originandone uno più complesso);  organizzare unità di lavoro naturali (non frammentare le attività);  stabilire una relazione con i clienti (percepire l’utilità del lavoro);  attribuire responsabilità personali;  incrementare la discrezionalità (attribuire agli individui decisionali);  aprire diversi canali di feedback; Un più recente filone di ricerche sul tema del job design mette a fuoco gli aspetti legati all’organizzazione del tempo lavorativo, definendo alcuni dispositivi in grado di sollecitare il potenziale di motivazione intrinseca presente nelle attività, quali la settimana di lavoro compressa, l’orario flessibile, il job sharing e il telelavoro (che modalità riducono il conflitto lavoro-famiglia e lavoro-vita personale). IL MANAGEMENT BY OBJECTIVES Il Management by Objectives (MBO) è un sistema che implica la puntuale definizione degli obiettivi affidati a ciascun attore organizzativo, unita a un attento monitoraggio e sistematica valutazione. Tale formula, proposta da Drucker, ha trovato ampia applicazione, grazie alla possibilità di legarsi a politiche di compensation che a fianco della retribuzione fissa prevedono 26 una quota di retribuzione variabile legata alla misura in cui vengono raggiunti gli obiettivi. I passaggi da compiere per attuare una politica di MBO:  l’individuazione condivisa degli obiettivi;  la specificazione in termini misurabili del risultato atteso;  l’assegnazione di un traguardo temporale;  il monitoraggio a intervalli regolari dei risultati raggiunti. Esistono inoltre due principali classi di obiettivi: gli obiettivi di contributo e gli obiettivi di competenza. I primi hanno a che fare con le prestazioni che il collaboratore deve fornire e possono riguardare sia il risultato ottenuto che le prestazioni sia le modalità di svolgimento, mentre i secondi riguardano l’acquisizione di conoscenze e capacità importanti per raggiungere gli obiettivi di contributo. GIUSTIZIA ORGANIZZATIVA La teoria di Adams ha favorito lo sviluppo sul tema della giustizia organizzativa, che si propone di promuovere la percezione di equità all’interno dei contesti di lavoro. Il senso di giustizia si articola in 3 componenti:  giustizia distributiva: l’equità con cui le ricompense vengono assegnate;  giustizia procedurale: il processo mediante il quale tali ricompense vengono assegnate;  giustizia interazionale: la qualità della relazione tra coloro che hanno funzioni di controllo e valutazione (il management) e coloro che vengono controllati e valutati (i collaboratori). La giustizia interazionale è articolata in giustizia interpersonale e giustizia informazionale: la prima si riferisce agli aspetti appena menzionati e la seconda riguarda l'adeguatezza delle spiegazioni offerte in termini di tempestività, specificità e veridicità. Studi meta-analitici hanno evidenziato come le tre forme di giustizia siano correlate positivamente con la motivazione, e negativamente con l’intenzione di lasciare l’azienda e il turn-over. PARTECIPAZIONE Un’ulteriore leva motivazionale da considerare è la partecipazione. Già negli anni ’60 MacGregor aveva rivolto a un’intera generazione di manager l’invito di abbandonare la “filosofia X”, secondo cui gli esseri umani sono fondamentalmente indolenti e dunque bisognosi di direzione e controllo, a favore di una “filosofia Y”, che assume che le persone siano orientate alla crescita, all’assunzione di responsabilità e al lavoro. In altre parole passare da uno stile gestionale “autoritario” a uno stile “partecipativo”. A partire dalla proposta di McGregor, il concetto di partecipazione ha conosciuto un ampio sviluppo e viene attualmente considerato un imprescindibile strumento a sostegno della motivazione. Vi sono differenti aree in cui è possibile realizzare una più alta partecipazione:  la trasformazione degli obiettivi generali in obiettivi specifici;  la presa di decisione;  l’individuazione, l’analisi e soluzione dei problemi;  la definizione di valori e politiche aziendali;  l’attuazione e il monitoraggio degli interventi di cambiamento;  il controllo sulle risorse (strumenti, budget, consulenti). Lo stile gestionale partecipativo migliora le prestazioni e la produttività, aumenta la qualità e l'attenzione del cliente e diminuisce la competitività negativa. Alcune forme di partecipazione sono: i circoli di qualità (per discutere problemi di qualità relativi al processo in questione) e gruppi di lavoro autogestiti (sono in grado di prendere decisioni autonomamente). Negli ultimi anni il tema della partecipazione si è legato a quello dell’empowerment. Questo termine, che in precedenza veniva utilizzato per indicare la delega di autorità e responsabilità dai capi ai collaboratori, è ora sinonimo di un orientamento gestionale volto a valorizzare le risorse umane dell’organizzazione, consentendo loro di avere una reale influenza sui processi e sui contesti di lavoro. LA RICERCA PER LA DIAGNOSI E L’INTERVENTO ORGANIZZATIVO Le organizzazioni spesso realizzano interventi finalizzati alla promozione della motivazione, ma non effettuano una diagnosi preliminare del proprio “profilo motivazionale”. Questo per la tendenza a giustificarsi con una presunta difficoltà nel mettere a punto indicatori del livello di motivazione. Ci sono in realtà diversi costrutti che offrono una definizione operativa della motivazione tra cui il Job involvement che indica “l’attaccamento al proprio lavoro” o “il grado con cui un individuo si 27 significato del lavoro, responsabilità, conoscenza dei risultati, i quali a loro volta, producono risultati in termini di soddisfazione, motivazione ed efficacia. I collegamenti tra dimensione del lavoro e stati psicologici e tra stati psicologici e risultati sono moderati dal bisogno di crescere di ciascun lavoratore. Quando gli stati psicologici sono tutti presenti si sviluppa maggiore soddisfazione lavorativa. Il potenziale motivazionale (MPS: motivating potential score) è calcolato facendo la media tra identità del compito, varietà e impotenza, x autonomia e x feedback. MODELLI DISPOSIZIONALI Molti autori hanno individuato correlazioni significative tra alcuni tratti di personalità (come l’estroversione e la coscienziosità) e la soddisfazione lavorativa. Secondo Judge, Locke, Ducham e Kluger un’influenza sulla soddisfazione lavorativa e sulla vita in generale è esercitata dalla Core Self-Evaluation (CSE), costrutto personale determinato da autoefficacia, autostima, assenza di pessimismo e locus of control interno. Successivamente il CSE è stato messo in relazione con le caratteristiche dell’obiettivo lavorativo. Più recentemente si è riscontrata un'associazione tra il livello di soddisfazione lavorativa e la struttura di personalità utilizzando il modello big five e quello della personalità di tipo A e di tipo B. MODELLI BASATI SULLE EMOZIONI Vi sono anche studi che si propongono di considerare l’aspetto emotivo insito nel costrutto. L’Affective Events Theory, di Weiss e Cropanzano pone per esempio l’accento sull’influenza esercitata dagli eventi quotidiani sulle emozioni che accompagnano la soddisfazione/insoddisfazione. I risultati delle ricerche ispirate a questa teoria (in genere usano metodi qualitativi, narrazione o diari) evidenziano come gli eventi negativi abbiano effetti superiori rispetto agli eventi positivi, producendo uno stato di insoddisfazione che è all’origine dei comportamenti controproducenti. Come evidenziano Judge e collaboratori, un comportamento controproducente deriva con maggior probabilità da uno stato emotivo ostile piuttosto che da caratteristiche disposizionali. Per contro, le esperienze positive riducono la sensazione di fatica aumentando la sensazione generale di benessere psicologico, producendo soddisfazione. ANTECEDENTI E CONSEGUENZE DELLA SODDISFAZIONE LAVORATIVA GLI ANTECEDENTI (ciò che influenza la soddisfazione lavorativa) Gli antecedenti della soddisfazione lavorativa possono essere classificati in due principali categorie: - Caratteristiche del lavoro: La teoria più diffusa è quella del “Modello delle caratteristiche del lavoro” di Hackman e Oldham, ma molti altri autori si sono occupati di questo tema. Per esempio Peters e O’Connor hanno proposto un modello generale che individua otto condizioni, chiamate costrittività organizzative, in grado di interferire con le prestazioni che risultano collegate alla soddisfazione lavorativa (mancanza informazioni, inadeguatezza strumenti, insufficienza risorse, tempi troppo stretti, ecc). Altri hanno indagato aspetti più specifici, come: ambiguità/conflitto di ruolo, il carico di lavoro, controllo/libertà sul proprio lavoro, orari, conflitto lavoro-famiglia, relazione con superiori e colleghi. Non sembra essere determinante della soddisfazione lavorativa aspetti come l’ammontare della retribuzione, il lavoro notturno, il genere e l’età. Riguardo l'orientamento sessuale si è evidenziato che gli omosessuali che rendono noto il proprio orientamento all'interno del contesto di lavoro sviluppano maggiore soddisfazione lavorativa - Caratteristiche individuali: Ricerche di Arvey, Bouchard, Segal e Abraham condotte su coppie di gemelli hanno evidenziato come il 30% della varianza della soddisfazione lavorativa possa essere spiegato da fattori genetici. I tratti ritenuti maggiormente legati alla soddisfazione lavorativa sono il Locus of Control e l’affettività negativa. Più precisamente: Locus of control interno = più alta soddisfazione, mentre Alta affettività negativa (emozioni negative) = più bassa soddisfazione. LE CONSEGUENZE (esiti) 30 La prima conseguenza della soddisfazione lavorativa indagata sperimentalmente è stata la prestazione. Troviamo anche ricerche all’opposto, relative ai comportamenti di ritiro: assenteismo, turnover e comportamenti controproducenti. In realtà per quanto riguarda l’assenteismo sono state trovate poche correlazioni. Discorso differente per quanto riguarda il turnover. Inoltre risulta ancora più elevata la correlazione tra soddisfazione e intenzione di lasciare il lavoro. Più elevata perché naturalmente non sempre si riesce a concretizzare l’intenzione in reale turnover. Altre ricerche hanno indagato i rapporti del costrutto con i comportamenti di cittadinanza organizzativa (OCB), che non hanno però evidenziato particolare correlazione. Diverso il discorso nei confronti dell’opposto, i comportamenti controproducenti, che invece sono risultati correlati negativamente con la soddisfazione per il lavoro. Tra gli esiti della soddisfazione lavorativa possiamo annoverare anche il burnout, la salute e il benessere psicologico. - il Burnout è uno stato di sofferenza psicologica che si manifesta come senso di esaurimento, depersonalizzazione e ridotta efficacia personale. Le singole dimensioni del burnout correlano in modo diverso con la soddisfazione: -50 per l’esaurimento emotivo, -33 per la depersonalizzazione e -28 per l’efficacia personale. - Salute: Palmore ha suggerito che l’insoddisfazione lavorativa determina una minor prospettiva di vita, trovando correlazione con manifestazioni di malessere, come mal di testa e problemi di stomaco. - Benessere psicologico: la soddisfazione lavorativa risulta correlata positivamente con esso, e negativamente con ansia e depressione. Infine citiamo alcuni studi che si sono occupati della relazione tra soddisfazione lavorativa e soddisfazione di vita generale (life satisfaction). Le ipotesi hanno considerato 3 alternative: 1. Compensation: ciò che viene vissuto nell’ambiente lavorativo compensa ciò che è esterno ad esso; 2. Spillover: ciò che accade in un ambiente si riversa nell’altro; 3. Segmentation: tra i due aspetti non vi è legame. Judge e Watanabe hanno trovato verificato valido soprattutto il modello Spillover, a seguire la Segmentation e infine Compensation. STRUMENTI PER MISURARE LA SODDISFAZIONE LAVORATIVA Il livello di soddisfazione percepita dallo stesso individuo può variare nel corso della vita professionale in funzione dei differenti contesti di lavoro (mansioni svolte, politiche, regole, supervisori, colleghi, ecc.). Fondamentale risulta disporre di adeguati strumenti di rilevazione della soddisfazione sia di tipo generale che di tipo specifico, poiché gli individui “possono essere soddisfatti di un aspetto e allo stesso tempo insoddisfatti di un altro aspetto”. Le ricerche sul campo si avvalgono principalmente di strumenti quantitativi cioè i questionari ma vi sono studi di tipo esplorativo che utilizzano un approccio qualitativo attraverso interviste e focus group cioè osservazioni dirette nei contesti di lavoro. ESEMPI DI QUESTIONARI Vi sono strumenti di tipo monodimensionale capaci di misurare la soddisfazione complessiva e strumenti di tipo multidimensionale in grado di individuare il livello di soddisfazione per ciascuna delle componenti in cui si articola la soddisfazione stessa che si dividono in strumenti generalistici (per misurare qualunque attività di lavoro) e dedicati (per misurare specifica attività). Tra gli strumenti monodimensionali il più noto è il job in general scale (18 item), mentre tra quelli multidimensionali generalistici ritroviamo il job satisfasction survery (36 item)che comprende 9 sottoscale; e il job descriptive Index (72 item) composto da 5 fattori. Tra gli strumenti dedicati vi è la McCloskey/Muller satisfaction scale (31 item) articolata in 8 sottoscale. Tra gli adattamenti italiani vi è occupational stress indicator che valuta la carriera, il lavoro in sé, l'impostazione e la struttura organizzativa, i processi organizzativi e le relazioni interpersonali; e l’index of work satisfaction per l'analisi della soddisfazione lavorativa del personale infermieristico. MISURE ANALITICHE E MISURE GENERALI 31 L’utilizzo dei questionari analitici porta a una soddisfazione lavorativa globale che viene ottenuta sommando i punteggi delle differenti sottoscale (misura composta della soddisfazione generale). Questo secondo alcuni errato in quanto i questionari specifici possono omettere delle componenti di soddisfazione importanti per l'individuo e includere comportamenti non significativi e inoltre la somma aritmetica dei punteggi può non cogliere le modalità dagli individui nel valutare la propria soddisfazione in termini generali. Quindi per misurare la soddisfazione generale è più utile uno strumento specificamente dedicato piuttosto che una misura composta. NUOVE FRONTIERE DELLA RICERCA LAVORATORI INTERINALI E SODDISFAZIONE LAVORATIVA Il lavoro Interinale anche definito somministrazione (conosciuto come "lavoro in affitto") consiste nella possibilità per un’azienda di utilizzare manodopera senza doverla assumere direttamente, bensì servendosi di apposite agenzie che si occupano di porre temporaneamente i lavoratori nelle imprese che ne fanno richiesta. Da una ricerca condotta in Orlanda si evince una sostanziale scelta volontaria del lavoro somministrato vissuto come un'opportunità per aumentare la propria professionalità. i ricercatori non hanno riscontrato differenze significative di soddisfazione tra i lavoratori a tempo indeterminato e lavoratori temporanei, ciò è stato spiegato con gli orientamenti gestionali delle aziende che prevedono modalità di gestione analoghe per tutti i lavoratori, per non creare discriminazioni e iniquità per chi svolge un lavoro somministrato e chi è dipendente diretto. È importante distinguere tra lavoratori temporanei volontari e involontaria: chi sceglie di fare un lavoro somministrato prova più soddisfazione rispetto a chi considera il lavoro somministrato un ripiego. Nel contesto italiano, diversamente dallo studio condotto in orlanda, la soddisfazione lavorativa è determinata soprattutto dal legame di fiducia tra lavoratore e società di appartenenza, cioè l'azienda, e non dalle caratteristiche dell'azienda in cui viene presentata la propria attività lavorativa. La fiducia e la soddisfazione per l'operato dell'azienda interinale condiziona anche le opinioni che i lavoratori hanno verso il lavoro somministrato in generale. PERSONALE INFERMIERISTICO E SODDISFAZIONE LAVORATIVA Uno dei principali problemi che le organizzazioni sanitarie si trovano attualmente è rappresentato dalla carenza di personale infermieristico, quindi le organizzazioni sanitarie sono sfidate a sviluppare la loro attività sia nei confronti del personale infermieristico già in servizio sia nei confronti del personale infermieristico disponibile sul mercato del lavoro. Negli ultimi anni sono state condotte numerose ricerche per comprendere le ragioni dell'uscita volontaria del personale infermieristico dalle organizzazioni sanitarie, individuare i rischi e le tecniche per contrastare questo fenomeno. L’Health Care Advisory Board considera la soddisfazione lavorativa il primo fattore causa del turnover nell'ambito delle professioni infermieristica. lo studio nurses’ early exit study (NEXT) ha evidenziato come il livello della soddisfazione lavorativa e l'intenzione di abbandonare la professione abbiano una correlazione negativa. Lo studio di Cortese ha individuato 5 principali contenuti della soddisfazione lavorativa: 1. caratteristiche delle attività di lavoro: esempio varietà dei compiti svolti; 2. relazioni con i colleghi: aiuto reciproco; 3. responsabilizzazione, autonomia e crescita professionale: delegare la responsabilità più ampie; 4. relazione con i pazienti e le famiglie: attestazioni di fiducia; 5. relazione con il coordinatore: supporto nei momenti di difficoltà; CAP 8 – IL BENESSERE LAVORATIVO IL MODELLO JOB DEMANDS-RESOURCES Il job demands-resources model (cap 6) è il più importante riferimento teorico per l’analisi dai vissuti di benessere e di sofferenza psicologica che hanno origine nei contesti di lavoro. Questo modello è nato con l'obiettivo di superare gli approcci precedenti. È popolare per la sua flessibilità, 32 come una vera e propria dipendenza “buona”. Il workholism può determinarsi a partire dal contesto lavorativo. Per esempio nel modello richieste-risorse si è evidenziato come le richieste possono favorire lo sviluppo della dipendenza da lavoro mentre le risorse possono moderare tale effetto. Ma altro fattore che influisce sono le caratteristiche personali come la motivazione alla realizzazione, il perfezionismo, l'autoefficacia. A lungo andare il fenomeno del workholism può portare a conseguenze negative sia per il lavoratore che per l'organizzazione poiché la dipendenza dal lavoro determina minori opportunità di recovery, stress e burnout, assenteismo, conflitti lavoro-famiglia, elevate percentuali di divorzi e separazioni per via della bassa qualità delle relazioni. Dunque è importante avviare interventi per prevenire questa dipendenza come la presa di consapevolezza dell'esistenza di questo fenomeno, delle sue cause e conseguenze negative; promuovere stili di vita equilibrati e il rispetto dei confini tra lavoro e vita privata; inoltre bisogna saper riconoscere i comportamenti workholic e avviare consulenze psicologiche, psicoterapia o corsi di formazione per ridurli. L’INSICUREZZA LAVORATIVA Il concetto di insicurezza lavorativa fa riferimento alla preoccupazione relativa alla continuità del proprio lavoro, alla paura di restare disoccupati. L'indefinitezza dell'origine dell'insicurezza lavorativa e la complessità delle attuali dinamiche lavorative rende difficile individuare e utilizzare strategie di coping efficaci. l'insicurezza lavorativa può portare conseguenze negative come la riduzione della soddisfazione lavorativa, della salute psicologica e fisica, della prestazione. Essa può associarsi all’intenzione di turnover e all'esaurimento emotivo, dimensione centrale nella sindrome di burnout. L’insicurezza lavorativa può anche spingere le persone a impegnarsi di più per convincere i datori di lavoro della loro importanza per l'organizzazione. La relazione tra insicurezza lavorativa ed esiti sembra dipendere dal genere e dal contesto culturale. IL BENESSERE DEI LAVORATORI “ANZIANI” Il rapido aumento della percentuale di lavoratori anziani, nel corso del tempo, sta aggravando lo spostamento dalle fasce d'età verso quelle più mature. Il concetto di lavoratore anziano può variare rispetto ai contesti organizzativi e alle culture di appartenenza. Inoltre vi sono un insieme di fattori che possono modificare la definizione di lavoratore anziano come stereotipi e norme sociali legate all'età pensionabile. Si è dimostrato che il processo di invecchiamento varia considerevolmente da persona a persona (Cambiamenti fisici, cognitivi, di personalità). L'invecchiamento porta a un declino di alcune abilità come quelle fisiologiche e fisiche (es decadimento uditivo, muscolare). È importante precisare che non vi è relazione tra invecchiamento e percezione di malattia, però gli anziani hanno bisogno un periodo di recovery generalmente più lungo. Anche le abilità cognitive con l'avanzare dell'età declinano: Diminuisce l'intelligenza fluida (memoria) ma aumenta la l'intelligenza cristallizzata (conoscenze e saggezza). Per questo motivo all'interno dei luoghi di lavoro le performance dei lavoratori anziani è spesso ancora adeguata, per cui è importante che gli anziani vengano valorizzati in quei compiti che richiedono un'intelligenza cristallizzata. Nonostante i tratti di personalità siano ritenuti stabili nel ciclo di vita recenti ricerche hanno evidenziato che alcuni di questi contenuti nel big five possono variare con l'età adulta (coscienziosità e amicalità, si riduce il nevroticismo). Sono numerosi i fattori in grado di influenzare il benessere del lavoratore anziano. Un clima organizzativo positivo può ridurre il desiderio di andare in pensione e incrementare la salute del lavoratore anziano. I lavoratori anziani sono spesso oggetto di stereotipi e comportamenti discriminatori come assegnazione non equa di compiti, minor accesso a iniziative di formazione, scoraggiamento e demotivazione. Un altro fattore che può influenzare il benessere dell'anziano è il job design che permette di valorizzare e ottimizzare gli effetti che le differenze individuali possono avere nella relazione tra caratteristiche del lavoro e attitudine del lavoro. Gli studi condotti sul job design hanno l'obiettivo di analizzare le caratteristiche del lavoro che si 35 adattano di più al profilo dell' anziano e promuovere così compiti che ne favoriscono la soddisfazione lavorativa, la motivazione e il benessere. AGE MANAGEMENT E INTERVENTI A SUPPORTO DEI LAVORATORI ANZIANI Nonostante gli anziani siano orientati verso l'uscita del mondo del lavoro è utile per le organizzazioni continuare a sostenere la loro employability (Occupabilità). Il termine age management fa riferimento alle possibili azioni e interventi attraverso cui le risorse umane vengono gestite dall'organizzazione, con una particolare attenzione sull'età. Le good practices in age management sono misure volte all'abbattimento delle barriere di età e alla valorizzazione delle differenze intergenerazionali: formazione specifica al fine di adattare le risorse dei senior alle richieste lavorative, il job design orientato ad accrescere autonomia e competenze, creazione di team di lavoro intergenerazionali che riducono stereotipi e discriminazioni, lavoro part-time e programmi di mentoring (tutoraggio). Gli interventi più apprezzati sono quelli relativi alla formazione in quanto i lavoratori anziani sono ancora disposti ad investire nella propria crescita e sulla propria formazione professionale, sebbene la motivazione ad apprendere declini con l'età gli effetti di training non diminuiscono con gli anni. IL RIENTRO A LAVORO Il tema del rientro al lavoro (return to work) e della promozione dell'occupabilità ha riscontrato una crescente attenzione in molti contesti. Le persone si allontanano dal lavoro a causa di malattie, disabilità e infortuni. La comparsa di patologie come diabete, sclerosi multipla, epilessia, malattie mentali, cardiovascolari, respiratorie ecc comporta un allontanamento necessario per cure e riabilitazione che non implica necessariamente la perdita delle capacità lavorative. Il reinserimento professionale può essere vissuto come un periodo emotivamente stressante in quanto bisogna sapersi adattare al cambiamento in relazione alla propria condizione. Alcuni pazienti sviluppano ansia e depressione nel periodo post operatorio per via della difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti che la malattia richiede. Ma nonostante ciò alcuni studi rilevano elevati livelli di soddisfazione lavorativa nelle persone che rientrano a lavoro in seguito a riabilitazioni con delle limitazioni. Il reinserimento lavorativo riguarda anche casi come maternità, ristrutturazioni aziendali e cassa integrazione. Le cosiddette fasce deboli della popolazione (giovani, lavoratori con più di 50 anni e neo madri) sono maggiormente a rischio di disoccupazione. Il licenziamento può avere un forte impatto negativo sulla salute e sul benessere della persona a livello fisico, psicologico e sociale (depressione, bassa autostima, sfiducia, insoddisfazione). Studi hanno dimostrato che maggiore è il periodo di assenza dal lavoro per malattia e minore sarà la probabilità che la persona ritorni effettivamente al lavoro. Dunque è importante identificare i fattori che ostacolano e facilitano il reinserimento lavorativo. Il rientro al lavoro è influenzato da fattori di tipo sociodemografico (età), clinico (malattie cure), psicologico (depressione), e organizzativo (soddisfazione, stress). Gli interventi hanno l'obiettivo di facilitare il reinserimento ed evitare la perdita del lavoro: monitoraggio sistematico delle essenze per individuare le persone a rischio, contatto regolare tra il datore di lavoro e la persona assente per mantenere vivo il legame e l'interesse, adattamento in base alle limitazioni prescritte dal medico (orario, lavoro da casa). IL WELFARE E IL WELLNESS ORGANIZZATIVO Le iniziative di welfare e wellness sono spesso relative a soluzioni contrattuali/formali o iniziative che favoriscono la conciliazione tra lavoro e famiglia (orari, luogo di lavoro, asili nido in azienda). Rientrano nelle soluzioni di welfare e wellness anche alcuni servizi economici come contributi aggiuntivi che l'azienda dà attraverso buoni e convenzioni per attività di svago o servizi socio sanitari rivolti anche ai loro familiari. Inoltre vi sono servizi legata all'informazione e alla formazione rivolti soprattutto a chi ha ruoli di responsabilità. CAP 9 – I RISCHI PSICOSOCIALI 36 LAVORO E BENESSERE Storicamente l’interesse al rapporto tra lavoro e benessere si è basato sullo studio dei fattori di rischio di tipo fisico, chimico e biologico in grado di provocare danni alla salute dei lavoratori. É solo di recente che è stata posta attenzione alle variabili che possono incidere sullo stato di benessere psicologico quali, in particolare lo stress occupazionale, la sindrome del burnout e il fenomeno del mobbing. Cox e Griffiths hanno definito i rischi psicosociali, da un lato, come il risultato degli aspetti di progettazione e gestione del lavoro che causano danni di natura psicologica, sociale e fisica, e dall'altro come particolari dinamiche relazionali fra colleghi. L’interesse per lo studio del benessere in campo lavorativo, affrontato da una prospettiva psicologica e sociale, deriva soprattutto dalla consapevolezza che se persone che “si sentono bene”, oltre a manifestare benefici in termini di salute e longevità, lavorano in modo più produttivo, incrementando così il livello del “benessere organizzativo”. È stata proposta una nuova materia “psicologia della salute organizzativa” che si occupa dello studio degli aspetti organizzativi orientati al miglioramento del benessere fisico, psicologico e sociale. LO STRESS OCCUPAZIONALE PRINCIPALI MODELLI TEORICI L’origine etimologica del termine “stress” fa riferimento agli effetti subiti dai materiali metallurgici sottoposti a forte pressione. Il primo studioso ad aver introdotto il concetto di stress applicato agli esseri viventi è stato Hans Selye. Egli parte da un modello chiamato response-base in cui identifica lo stress come risposta fisiologica aspecifica dell’organismo nei confronti di diverse tipologie di stimoli ambientali. Il limite è appunto il riferirsi alla sola risposta dell’organismo non approfondendo il fenomeno nel suo complesso. I limiti di questa prospettiva hanno spinto i ricercatori a formulare un secondo modello, definito Stimulus-based basato solo sull’analisi degli stimoli presenti sul luogo di lavoro. Un ulteriore sviluppo riguarda l’approccio “interattivo”: stimulus/response relationship, il cui focus è riferito all’interazione tra stimoli ambientali e risposte individuali. Il più attuale e completo modello sullo stress è quello “transazionale” Transactional approach che suggerisce come lo stress non sia identificabile attraverso elementi parziali, ma sia il risultato di un processo costante e continuo di scambio e interazione tra individuo e ambiente. Il modello si focalizza sugli stili di coping (insieme di sforzi cognitivi e comportamentali per gestire le richieste provenienti dall'ambiente) in risposta agli stimoli ambientali (->porta all’adattamento). Gli studiosi che hanno aderito al modello transazionale dello stress, hanno chiarito inoltre la distinzione tra stress e i concetti a esso correlati: Stress = intero processo transazionale; Stressor = le situazioni stimolo; Strain = le risposte fisiologiche, psicologiche e comportamentali agli stressor STRESSOR ORGANIZZATIVI Inizialmente la ricerche si focalizza sugli stressor di natura fisica che incidono sul benessere e sulla produttività delle persone: rumore, temperatura, scarsa illuminazione, turni. Successivamente sono stati considerati anche le caratteristiche delle attività lavorative, i ruoli organizzativi, le relazioni interpersonali, lo sviluppo di carriera e la relazione fra lavoro e vita privata. Alcuni aspetti connessi al ruolo organizzativo: ambiguità di ruolo, conflitto di ruolo (più ruoli ricoperti dal soggetto), sovraccarico lavorativo, scarsa qualità delle relazioni interpersonali. Anche lo stile di leadership quando è orientato esclusivamente al compito o eccessivamente punitivo oppure caratterizzato da un comportamento di tipo lassez-faire (lasciate fare), può essere causa di strain psicologico. Un forte supporto sociale all'interno dell'organizzazione può alleviare la prestazione di disagio (la relazione stressor-strain). EFFETTI DELLO STRESS Stress occupazionale è in grado di produrre effetti negativi a breve e a lungo termine sia sugli individui sia sulle organizzazioni: a livello individuale si hanno conseguenze sul piano fisiologico, 37 grado di reagire adeguatamente, può sviluppare disturbi psicosomatici e dell’umore e danni psicofisici. Mobbing al lavoro significa molestare, offendere, escludere socialmente o influenzare negativamente. Caratteristiche principali del fenomeno sono: frequenza (minimo ½ volte a sett), durata (minimo 1 anno), ostilità e squilibrio di potere. Leymann ha identificato 4 fasi del fenomeno: 1) conflitto quotidiano, 2) inizio del mobbing, 3) errori e abusi da parte delle risorse umane, 4) esclusione dal mondo del lavoro. Ege ha aggiunto a questo modello una pre-fase definita “condizione zero”, cioè uno stato di conflittualità fisiologica tipica del nostro paese (predominare sugli altri). Sono tre le dimensioni culturali più significative: la distanza di potere (mobber e vittima) -> le culture caratterizzata da una bassa distanza di potere risultano più protette; le culture basate sulla mascolinalità o femminilità; sull'individualismo o sul collettivismo. METODOLOGIE DI VALUTAZIONE Gli approcci di misurazione del mobbing si distinguono in 3 principali categorie: 1. Metodi “interni”, focalizzati sull’autopercezione (questionari, interviste, focus group) 2. Metodi “esterni”, riferiti al contesto nel quale si sviluppa la condizione di mobbing (osservazione del lavoratore, raccolta di informazioni con interviste o questionari, registrazioni audio e video) 3. Metodi “integrati”, che si avvalgono di approcci sia interni che esterni. [Vengono generalmente privilegiati i metodi autovalutativi come il questionario di autopercezione del mobbing finalizzato alla misurazione delle percezioni soggettive riferite sia le caratteristiche del contesto lavorativo sia alle percezioni personali connesse alla situazione di lavoro] ANTECEDENTI INDIVIDUALI, SOCIALI E ORGANIZZATIVE Gli studi che hanno indagato le cause del mobbing hanno consentito di formulare le seguenti tre principali ipotesi esplicative: 1. Ipotesi disposizionale, ovvero le caratteristiche di personalità della vittima e dell’aggressore. I tratti personologici tipici della vittima sono Nevroticismo, impulsività, affettività negativa (emozioni negative), bassa amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva e autostima e sono maggiormente donne anziane, mentre il mobber tende a essere di genere maschile, conduce un'attività stressante con elevato carico di lavoro e bassa autonomia e vive spesso in una situazione di insicurezza lavorativa, bassa autostima, invidia 2. Ipotesi sociale, natura del gruppo di lavoro: es la globalizzazione implica la presenza diversità (etnia ed età) nel contesto organizzativo che può facilitare l'aggressività oppure gruppi caratterizzati da scarsa autonomia. Il mobbing si riconduce a fattori tipicamente organizzativi come: gli stili di leadership e di gestione delle risorse umane, il clima e la cultura organizzativa, le politiche organizzative (che stabiliscono quali sono i comportamenti considerati accettabili e quali no all'interno dell'organizzazione). 3.Ipotesi situazionale, scorretta organizzazione dell’attività lavorativa es compiti frammentati e ripetitivi che possono creare a frustrazione o strutture che incoraggiano la competitività tra lavoratori. CONSEGUENZE L’esposizione prolungata a comportamenti aggressivi, oltre a danneggiare in lavoratore a livello fisiologico e psicologico, comporta anche una serie di effetti negativi a livello professionale e organizzativo. Riguardo le conseguenze individuali, può portare ad ansia e depressione, disturbi del sonno e dell'umore, può presentarsi un’ ipertrofica percezione di ingiustizia e sentimenti cronici d’insicurezza e pericolo fino ad arrivare al suicidio. oltre al singolo il mobbing può avere ricadute anche sul gruppo di lavoro per cui i membri sono più tolleranti nei confronti di comportamenti prevaricatori e illeciti. I lavoratori che assistono a fenomeni di mobbing anche se non sono direttamente interessati tendono a schierarsi dalla parte del mobber per timore di diventare vittime. Per quanto riguarda le conseguenze organizzative è da segnalare come il mobbing possa avere ripercussioni sull’intera organizzazione e incrementare fenomeni di 40 assenteismo, turnover, diminuzione della produttività e della soddisfazione, più intenzione di lasciare il lavoro e aumento dei costi dell'assistenza medica e legale. INTERVENTI Le risorse umane devono cogliere i segnali, le cause e le conseguenze riconducibili al mobbing, valutare la situazione e attuare terapie di supporto psicologico o forme di consulenza. Gli interventi a livello di gruppo sono: il conflict management con lo scopo di gestire il conflitto attraverso l'identificazione e la mediazione delle situazioni critiche , il Mobbing-Group o MGroup che consiste in un training specifico finalizzato a favorire l'acquisizione di competenze di gestione dei conflitti. A Livello organizzativo gli interventi hanno l'obiettivo di istituire chiare politiche aziendali anti-mobbing, promuovere attività d’informazione/formazione sul fenomeno e miglioramento dell'organizzazione del lavoro. Recentemente sono stati istituiti comitati anti- mobbing interni che svolgano attività di valutazione, prevenzione e intervento. LO STALKING DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE Lo stalking rappresenta una forma di aggressione messa in atto da un persecutore che irrompe in maniera ripetitiva, indesiderata e distruttiva nella vita privata di un altro individuo con gravi conseguenze fisiche e psicologiche. La maggior parte di questi comportamenti è messa in atto da parte del partner o ex partner di sesso maschile a causa di un abbandono, di amore respinto oppure di divorzio/separazione. i comportamenti più diffusi sono telefonate, email, regali, appostamenti, minacce e aggressioni fisiche o sessuali. riguardo la vittima ma la maggior parte sono donne che percepiscono questi comportamenti come spiacevoli, disturbanti, lesivi e inquietanti a cui seguono cambiamenti nella vita quotidiana (es cambio di numero, abitazione) da cui ne derivano disturbi di tipo fisico (del sonno) e psicologico (ansia, depressione). Questo fenomeno si differenzia da altri comportamenti violenti per la durata e le ripetizioni dei comportamenti e per il timore per la propria e altrui incolumità. LO STALKING OCCUPAZIONALE Lo stalking occupazionale è una molestia sul posto di lavoro che invade la sfera privata della vittima. Le professioni più a rischio sono quelle sanitarie poiché per es gli infermieri grano in contatto con i bisogni profondi di aiuto delle persone e lo stalking può essere una ricerca di attenzione. L’esperienza di vittimizzazione fa percepire maggiormente insicuro il posto di lavoro e la strategia per fronteggiare questa situazione è quella di un maggiore distacco emotivo a svantaggio della qualità della relazione medico-paziente. INTERVENTO Gli interventi a favore della vittima sono di tipo legale, comportamentale, clinico-educativo. Questi interventi sono orientati in base al contesto delle relazioni degli attori coinvolti, alla motivazione dello stalking, alla relazione che c'è tra la vittima e lo stalker e il profilo psicopatologico dello stalker. Riguardo l'intervento legale si fa riferimento a leggi che tutelano le vittime, per es la denuncia è uno strumento che può interrompere la campagna di stalking e il rischio di comportamenti violenti. L’intervento comportamentale fa riferimento ad azioni adottate per difendersi come fuga, evitamento (porta alla modifica delle abitudini di vita es percorso casa- lavoro), risposta fisica e verbale non confrontativa, resistenza oppositiva fisica, sottomissione. Diventa utile avvisare la sede di lavoro di essere vittima di stalking in modo che i colleghi siano allertati su eventuali visite o richieste di informazioni. La pratica educativo-clinica è indicata per reiterare i comportamenti, individuando gli aspetti patologici della relazione con l'altro. IL BURNOUT (crisi tra l’individuo e il proprio lavoro) INTRODUZIONE 41 Agli inizi del 900 Kraepelin mise in evidenza come le condizioni di vita professionale degli operatori del settore psichiatrico potessero comportare conseguenze negative sull'attività e il benessere delle persone (esaurimento). Negli anni Trenta nei contesti sportivi il termine burnout viene usato per indicare un atleta che dopo vari successi manifestava un calo del proprio rendimento. Si iniziò a considerare il burnout anche nel contesto sociosanitario a partire Freudenberger che rilevò una forma di esaurimento tra i volontari delle strutture sanitarie. È possibile rintracciare due orientamenti di studio che identificano il fenomeno come una situazione di stato oppure come una situazione di processo. 1. Definizioni di stato: si focalizzano sui sintomi del burnout e prevedono: a. Esaurimento emotivo (essere emotivamente sovraccarico) b. Depersonalizzazione (distacco da parte dell’operatore, arrivano quasi a ignorare l'aspetto umano e l'identità personale che principalmente è attuata dai professionisti dell'aiuto per proteggere se stessi dalle emozioni negative). Borgogni e collab. hanno introdotto il concetto di strain relazionale cioè una specifica reazione manifestata in seguito a relazioni interpersonali impegnative e pressanti per cui la persona sviluppa un atteggiamento di distacco emotivo e cognitivo. A differenza della depersonalizzazione lo strainer razionale insorge come risposta a tutte le relazioni sul luogo di lavoro e si manifesta come un atteggiamento di distacco ma è privo però della componente di deumanizzazione, tipica invece della depersonalizzazione. c. Ridotta realizzazione professionale (cioè la percezione di possedere ridotte competenze lavorative). 2. Definizioni di processo: descrivono le frasi attraverso cui il burnout si sviluppa. Uno dei modelli più riconosciuti (Brodsky) ne individua 4 fasi: 1. Entusiasmo idealistico (aspettative di successo) 2. Stagnazione (risultati impegno incerti) 3. Frustrazione (sentimenti di impotenza) 4. Apatia (totale chiusura, perdita desiderio aiutare gli altri). Il Burnout è una sindrome tipica soprattutto dai professionisti d'aiuto. Il disagio si manifesta quando la persona si rende conto di non avere le risorse per affrontare le richieste provenienti dal lavoro svolto. Conservation of resources theory (COR): più affrontare le richieste interpersonali le persone tentano di proteggere le proprie risorse sviluppando talora il Burnout. Secondo questa teoria da un lato le relazioni interpersonali sono un'importante risorsa personale ma dall'altro possono essere una potenziale fonte di stress e portare a una perdita di risorse. DAL BURNOUT ALL’ENGAGEMENT Successivamente il burnout non venne più considerato solo come aspetto patologico, avente effetti negativi ma la relazione psicologica di un individuo con il proprio lavoro venne concettualizzata come un continuum fra l'esperienza negativa del burnout e il suo polo opposto positivo cioè l'engagement. L'engagement è definito come uno stato energetico di coinvolgimento e identificazione della persona nei confronti del proprio lavoro che incrementa l'efficacia personale. Nel continuum bornout-engagement è possibile identificare tre dimensioni bipolari: inserimento emotivo-energia, cinismo-coinvolgimento, inefficacia-efficacia. Il continuum burnout- engagement va ad eliminare o ridurre il malessere causato dal burnout attraverso incremento dell'energia, del coinvolgimento e dell'efficacia. CAUSE DI INSORGENZA DEL BURNOUT Tra le cause si possono individuare: - Fattori individuali per cui le persone rispondono in modo diverso ai fattori stressanti per caratteristiche di personalità, valori, motivazioni e stili di vita. -Fattori organizzativi: riguardo i fattori organizzativi Leiter e Maslach hanno individuato sei principali aree di vita lavorativa che possono incidere sui livelli di burnout -> carico di lavoro, controllo (autonomia), riconoscimento economico e sociale, integrazione sociale (relazione con capi, colleghi), equità riguardo le decisioni da prendere, valori (intesi come a livello di congruenza tra valori individuali e organizzativi). EFFETTI DEL BURNOUT 42 riferisce alla consapevolezza del lavoratore di non attenersi alle norme e alle procedure organizzative e sociali e alla consapevolezza che quel comportamento potrà arrecare danni. Non tutti i comportamenti controproduttivi possono essere intenzionali. Kolloway e coll. considerano i comportamenti controproduttivi come una forma di protesta in cui individui e gruppi cercano di modificare una situazione di ingiustizia. Skarlicki e Folger hanno introdotto la nozione di comportamenti negativi riferendosi ad azioni messe in atto in risposta a un'ingiustizia organizzativa con lo scopo di punire il responsabile e sono intenzionali a produrre un danno. I comportamenti devianti (volontari) sono distinti dall'aggressione o dalla ritorsione in quanto sono generalmente meno espliciti i motivi sottostanti. Sono state identificate diverse tipologie di comportamenti controproduttivi: quelli attivi come l'aggressione e il furto, quelli passivi cioè non attenersi di proposito a istruzioni e non essere consapevoli dello svolgimento scorretto del proprio lavoro. Robbinson e Bennett classificano i comportamenti contro produttivi lungo due assi: target (organizzativo vs individuale) e gravità del comportamento (grave vs marginale). Identificano quattro gruppi di comportamenti controproduttivi: production deviance (Organizzativi marginali -> Pendersi pausa più lunga del dovuto o lavorare lentamente in modo intenzionale), property deviance (Organizzativi gravi-> sabotaggio, furto di attrezzature), political deviance (interpersonali marginali-> diffondere pettegolezzi, incolpare altri) e Personal aggression (interpersonali gravi -> molestie sessuali, abusi verbali). Spector individua 5 categorie: abuso dell'altro -> forme dirette o indirette di aggressione nei confronti di un collega (forme dirette di aggressione fisica tendono a essere infrequenti mentre forme dirette di aggressione verbale e forme indirette di aggressione tendono ad essere più frequenti), devianza produttiva (comportamenti passivi) -> il lavoratore sceglie intenzionalmente di non eseguire efficacemente e correttamente un compito, sabotaggio (comportamenti attivi) -> attiva manomissione o consapevole danneggiamento di una proprietà dell'organizzazione, furto -> da parte dei lavoratori è considerato una forma di aggressione contro l’organizzazione, i comportamenti di ritiro o whithdrawal -> situazioni in cui la qualità di tempo dedicato al lavoro viene ridotta rispetto a quando richiesto dall'organizzazione (assenza, ritardi, andarsene prima dal lavoro e prendersi più pause). COSA SPINGE UN LAVORATORE A METTERE IN ATTO UN COMPORTAMENTO CONTROPRODUTTIVO? I comportamenti aggressivi sono spesso considerati il frutto di emozioni negative come rabbia, frustrazione oppure come risposta a condizioni ambientarli e lavorative. Vengono identificati due motivi di base: Ostile e strumentale. L'aggressione ostile (definita calda) è chiamata affettiva, impulsiva o reattiva e fa riferimento a quell'insieme di comportamenti aggressivi di natura impulsiva e non pianificati, ha origine dalla rabbia e ha l'obiettivo di danneggiare e fare male alla vittima (es forme di abuso). L'aggressione strumentale (definita fredda) viene definita proattivo e ha l'obiettivo di ottenere qualche beneficio personale attraverso il danneggiamento della vittima (per es il furto). Secondo alcuni autori i comportamenti controproduttivi possono avere motivazioni prosociali (Possono fornire aiuto e supporto). Secondo lo stressor-emotion model (Spector e Fox) la messa in atto di comportamenti controproduttivi deriva sia da elementi del contesto organizzativo che da meccanismi emotivi e cognitivi individuali. Gli eventi organizzativi frustranti possono considerarsi stressor lavorativi che potrebbero condurre a una reazione emotiva negativa la quale indurrebbe la messa in atto di comportamenti controproduttivi. Dunque gli stressor danno l'avvio a comportamenti contro produttivi attraverso l’arousal delle emozioni negative. Gli elementi costitutivi di questo modello sono: un ambiente lavorativo caratterizzato da forti stressor che interferiscono con performance come conflitti, ingiustizie ecc.; la percezione del lavoratore di tali situazioni come stressanti; l'esperienza di emozioni negative come reazioni a tale percezione; e la messa in atto di comportamenti contro produttivi. [I fattori di personalità influiscono perché sono 45 in grado di modulare la risposta emotiva e comportamentale.] I comportamenti controproduttivi sono funzionali per l'individuo che li mette in atto per gestire la situazione stressante e disfunzionali per l'intera organizzazione che viene danneggiata. I comportamenti controproduttivi sono influenzati da vincoli organizzativi (come indisponibilità di risorse) e dal carico di lavoro. I comportamenti controproducenti possono anche derivare dall'aver subito comportamenti aggressivi a lavoro (questo viene considerato una forma di comportamento controaggressivo) ma non sono necessariamente diretti verso la persona responsabile delle aggressioni ma verso altri, finendo per riprodurre le spesse sofferenze. Un'ulteriore causa di comportamenti aggressivi di cui sono vittime i lavoratori possono essere i clienti (maleducati), oppure i capi/supervisori che trattano ingiustamente il lavoratore, che di conseguenza è portato a reagire aggressivamente contro l'organizzazione ma mai contro i capi per timore di ulteriori ritorsioni. Uno stile di leadership che può portare a comportamenti controproduttivi è lo stile di leadership ostile/abusante cioè oppositivo e non supportivo. IL RUOLO DEL DISIMPEGNO MORALE Nei comportamenti strumentali è necessario analizzare il ruolo dei meccanismi cognitivi di giustificazione per cogliere la componente di intenzionalità. I meccanismi di disimpegno morale descritti nella teoria social-cognitiva di Bandura spiegano come le persone possono mettere in atto comportamenti in contrasto con i propri standard morali ed etici senza riconoscerne l'incoerenza e riducendo i sentimenti di colpa, rimorso ed imbarazzo. L’adozione di specifici standard morali non va per forza ad autoregolare la condotta. Ricerche hanno evidenziato il ruolo del disimpegno morale all'interno del modello stressor-Emotion, mostrando come affinché si attui una risposta controproduttiva all'attivazione emotiva negativa sia necessario che vengano attivati meccanismi di disimpegno morale. Quindi la messa in atto di comportamenti controproduttivi è possibile solo dopo una temporanea disattivazione del proprio controllo morale grazie ai meccanismi di disimpegno morale. IL RUOLO DELLE CARATTERISTICHE DI PERSONALITA’ La personalità e vari fattori individuali possono sostenere o contrastare comportamenti controproduttivi. I 5 GRANDI FATTORI DI PERSONALITA’ (coscienziosità, energia, amicalità, stabilità emotiva e apertura mentale). Gli individui coscienziosi sono descritti come persone serie, affidabili che rispettano le regole e che cercano di utilizzare al meglio le proprie risorse per raggiungere gli obiettivi. Le persone amicali sono descritte come sensibili ai bisogni degli altri mentre le persone ad alta Stabilità emotiva sono descritti come rilassati, sicuri, pazienti e tendono ad avere bisogno di meno tempo ed energie per regolare le loro emozioni e hanno maggiore capacità nel saper usare al meglio le risorse. Tutte queste caratteristiche portano a una bassa probabilità di comportamenti controproduttivi. INTEGRITA’ L'integrità è un altro fattore che è influenza le condotte devianti e antisociali. i test di integrità sono stati utilizzati nei processi di selezione del personale per identificare ed escludere candidati che sono al rischio di condotte controproduttive. Le persone con punteggi elevati nei test di integrità sono più produttive, fanno meno essenze e mettono in atto meno comportamenti controproduttivi. OTTIMISMO, LOCUS OF CONTROL E PERCEZIONE DI AUTOEFFICACIA Ottimismo, locus of control percezione di autoefficacia sono altre caratteristiche di personalità che influenzano i comportamenti contro produttivi. le persone che hanno un orientamento positivo verso il futuro e si sentono più capaci di gestire l'attività lavorativa e tendono meno a comportamenti contro produttivi. i lavoratori con un locus of control esterno cioè che tendono ad 46 attribuire le cause degli eventi a fattori esterni sono quelli che mettono in atto più frequentemente comportamenti contro produttivi. L’autoefficacia influenza il modo in cui lavoratori gestiscono le situazioni lavorative riconosciute come difficili e minacciose e le persone che sanno gestire i compiti e le emozioni provano meno emozioni negative e mettono in atto o meno comportamenti controproduttivi. MACCHIAVELLISMO, NARCISISMO E PSICOPATIA Gli individui Machiavellici sono meno vincolati dal desiderio di eseguire le richieste normative, hanno la tendenza ad essere cinici e manipolativi. Un maggiore machiavellismo porta a maggiore probabilità di Comportamenti contro produttivi, a vendicarsi di un torto subito, a mentire anche ai propri amici. Le persone narcisiste sono più frequentemente ostili e aggressive soprattutto se viene minacciato il loro ego, per loro gli standard comuni non si applicano a loro stessi e questo porta un aumento di comportamenti controproduttivi come frode, bullismo e aggressione. La psicopatia è associata a varie forme di criminalità come molestia sessuale, stupro ed omicidio. Questi lavoratori non sono empatici ed affettivi e sono disinteressati dagli obblighi sociali. AFFETTIVITA’ NEGATIVA, RABBIA E ANSIA DI TRATTO Affettività negativa porta a provare stress e disagio in diverse situazioni, ruminare sugli errori, provare emozioni negative, vedere tutto negativo e di conseguenza mettere in atto comportamenti aggressivi. Le persone con livelli elevati di rabbia percepiscono tutto più negativamente mettono in atto comportamenti come sbattere porte, utilizzare sarcasmo e ferire altre persone. Mentre elevati punteggi d'ansia portano a maggiore frustrazione, insoddisfazione, stati affettivi che predispongono più facilmente la messa in atto di comportamenti controproduttivi. INTERAZIONE PERSONA-AMBIENTE Oltre ai fattori di personalità le caratteristiche dell'ambiente possono influenzare il comportamento. Non tutti gli individui però rispondono allo stesso modo alle stesse condizioni contestuali ->per esempio gli stressor hanno un effetto maggiore tra le persone con alta affettività negatività piuttosto che quelle con bassa affettività negativa. IL RUOLO DEL CONTROLLO Il modello stressor-emotion prevede flusso che va dall'ambiente ai comportamenti attraverso la risposta emotiva negativa. Ma ci sono diversi fattori che possono mitigare la risposta emotiva e controproduttiva come il ruolo del controllo. Un lavoratore che è orientato ad arrabbiarsi non necessariamente esplode in ogni situazione, perché subentra l'autocontrollo cioè la capacità di gestire i propri stati emotivi e inibire una reazione impulsiva o aggressiva nei confronti di una provocazione o una situazione frustrante. Inoltre si è dimostrato come la convinzione di autoefficacia lavorativa e autoefficacia emotiva cioè la capacità di gestire le proprie attività professionali ed emozioni negative tende a ridurre la percezione degli stressor lavorativi e risposte emotive negative e quindi sarà bassa la probabilità di comportamenti controproduttivi. [Il comportamento controproduttivo è un sintomo di disfunzionalità del sistema organizzativo] CAP 11 – LA CARRIERA GLI STUDI PSICOLOGICI SULLA CARRIERA Nel senso comune del termine, la carriera è la carriera lavorativa o professionale: un percorso a gradini, marcato da indicatori evidenti quali i livelli di inquadramento, la collocazione nella linea gerarchica, gli ambiti di responsabilità attribuiti. Form e Miller definiscono l'occupational career pattern come la sequenza e la durata delle posizioni lavorative occupate dagli individui, una scala di promozioni. Col tempo l’interesse si sposta sul rapporto individuo-organizzazione, volgendo l’attenzione al momento della scelta professionale e al processo di mutuo adattamento tra la persona e l’organizzazione. Holland studia la congruenza tra il tipo di personalità e il tipo di 47 (pensionamento). Oltre ai tratti di personalità anche i livelli di abilità adattive fanno fronte alla transizione di ruolo e la self-efficacy Adegua i propri progetti di carriera sulla base di ostacoli. IL BUON ADATTAMENTO TRA PERSONA E AMBIENTE La teoria di Holland dei tipi di personalità e degli ambienti lavorativi si è sviluppata nell’arco di cinquant’anni e ha esercitato un’enorme influenza nella pratica dell’orientamento professionale. L’assunto implicito della teoria di Holland è che le scelte di carriera sono espressione della personalità individuale e che le persone che operano in un medesimo contesto professionale hanno strutture di personalità simili. L’autore descrive sei tipi di personalità che possono essere dominanti o secondari: 1) Realistica 2) Intellettuale o investigativa 3) Artistica 4) Sociale 5) Imprenditoriale 6) Convenzionale. Ogni individuo non corrisponde a un tipo “puro” ma può avere un tipo dominante e tipi secondari. Tipi di personalità vanno a determinare il tipo di ambiente di lavoro. Il grado di congruenza tra i tipi di personalità e i tipi di ambienti va a predire le scelte professionali, la persistenza o il turnover in un ambiente del lavoro, la soddisfazione e il successo professionale di un individuo in un dato contesto. La Teoria di adattamento del lavoro (TWA, Theory of Work Adjustment) di Dawis e Lofquist, è simile a quella di Holland (filone person- environment fit) ma più interessata ai processi di adattamento dell’individuo sul luogo del lavoro. Primo assunto della teoria è che il soggetto tende a mantenere una relazione armoniosa tra le proprie esigenze e il proprio lavoro sia in termini di registro delle abilità (abilità che l’individuo possiede e che sono richieste dall’organizzazione) che di registro dei valori (insieme di bisogni che ha l’individuo e che l’organizzazione può soddisfare). La corrispondenza tra abilità possedute e quelle richieste genera la satisfactoriness (soddisfazione organizzativa, sulla base della quale gli individui possono essere promossi, trasferiti o licenziati). La corrispondenza fra i valori dell’individuo e le risposte dell’organizzazione genera una soddisfazione individuale, sulla base della quale gli individui decideranno se restare o licenziarsi. La non corrispondenza tra sé e l’ambiente di lavoro può portare il soggetto a modificare se stesso oppure l’ambiente in modo da adattarsi prima di decidere di cambiare lavoro. LE ANCORE DI CARRIERA Nell’ambito degli studi sulle carriere nelle organizzazioni, fondamentale è il contributo di Schein, che descrive la carriera come un processo di socializzazione caratterizzato dall’influenza reciproca tra individuo e organizzazione. Il concetto di ancore di carriera rimanda gli aspetti centrali del sé a cui la persona non rinuncerà nei casi di difficili scelte o di transazioni di ruolo. È un insieme di auto- percezioni basate sui successi lavorativi e sul feedback di terzi, che l’individuo ha rispetto a talenti, motivazioni, bisogni, interessi e basati sull’incontro tra sé e l’organizzazione. Nei primi studi in proposito, Schein definisce 5 àncore di carriera:  Competenza manageriale  Competenza tecnica  Sicurezza e stabilità  Creatività e intraprendenza  Autonomia e indipendenza. Successivamente, DeLong individua altre 3 ancore di carriera: identità (prestigio), servizio (aiuto agli altri) e varietà (molteplici cambiamenti). Il contributo di Schein vuole porre l’attenzione sugli aspetti dinamici e di interazione tra individuo e organizzazione, cogliendo l’incontro tra le aspettative individuali e le opportunità e i vincoli organizzativi. Le ancore di carriera sono state utilizzate in molti contributi di ricerca con l'obiettivo di individuare i profili in grado di descrivere le diverse concezioni di carriera. NUOVI SCENARI E NUOVE SFIDE Tradizionalmente la carriera era descritta come una progressione lineare di responsabilità lavorative che si svolgeva all’interno di pochi, se non di un unico, contesti organizzativi. Negli anni 90 si diffondono molti contributi teorici in cui si evidenzia la necessità di oltrepassare questa concezione di carriera e di proporre una nuova definizione in grado di considerare la carriera come un concetto dinamico e multidimensionale. La nuova concezione di carriera si rifà all'acquisizione di abilità ed esperienze che derivano dall'appartenenza a un'organizzazione che evolve in direzioni inattese e non lineari. La carriera senza confini cioè la boundaryless career caratterizza le nuove 50 organizzazioni. Riguardo a ciò si può fare riferimento ai “successi psicologici”, agli obiettivi personali raggiunti piuttosto che quelli convenzionalmente imposti da terzi (genitori, pari, organizzazioni, società in generale). Inoltre le crescenti richieste legate ai nuovi criteri per fare carriera possono entrare in conflitto con gli obblighi famigliari, domestici e civili, generando un senso di sovraccarico e conflitto di ruolo. Le organizzazioni inoltre non sono più in grado di sviluppare la carriera dell’individuo, pertanto l’individuo si deve arrangiare a crescere autonomamente con la conseguente scarsa identificazione con l’organizzazione di appartenenza. Questo focus sull’individuo è particolarmente evidenziato quando si parla di protean career, termine associato a quello di boundaryless career. La protean career è una carriera polimorfica, cioè che può assumere diversi aspetti. È un processo gestito dalla persona e non dall'organizzazione e che comprende diverse esperienze che la persona fa nei vari settori occupazionali. Secondo la protean career per raggiungere il successo psicologico si deve abbandonare la classica definizione di carriera che prevede la suddivisione tra il lavoro pagato e i compiti di cura invece i due domini di vita devono unirsi. Le scelte di carriera dell'individuo e la sua autorealizzazione sono gli elementi di integrazione e unificazione della propria vita. [Non si può prevedere come la carriera cambierà nei prossimi anni perché lo scenario socio economico è caratterizzato da incertezza, dinamismo e complessità] CAP 12 – I VALORI PERSONALI NEI CONTESTI ORGANIZZATIVI VALORI COME CREDENZE Allport parte dalla concezione di valore come credenza che l'individuo possiede riguardo ciò che preferisce e presuppone che le persone agiscono in base alla preferenza verso qualcosa. Ogni comportamento può essere classificato come:  Teorico (orientato alla ricerca della verità)  Economico (utilità)  Estetico  Sociale  Politico (potere)  Religioso. I values test rilevano i singoli valori in diversa misura e i risultati servono per comprendere le scelte quotidiane del soggetto. I valori vengono intesi come elementi stabili. I cambiamenti che intervengono attraverso le esperienze personali, sociali e culturali non solo generano differenze individuali nel sistema di valori ma creano anche modificazioni all'interno della stabilità. [ i valori sono determinanti degli atteggiamenti; si distinguono dalle norme sociali poiché più personali e più interni mentre le norme sociali si riferiscono ai modi di comportarsi in specifiche situazioni, provengono dall'esterno e si aderisce con il consenso; Gli interessi sono una conseguenza dei valori. I sistemi di valori si distinguono dagli orientamenti valoriali, i primi sono posti su di un continuum tra due poli e i secondi sono descritti attraverso la presenza/assenza di alcuni fattori.] attraverso lo strumento value survey si possono distinguere valori finali (vita confortevole, eccitante, sicurezza, libertà, felicità ecc) e valori strumentali (l’essere ambizioso, tollerante, capace, allegro, utile, onesto, intelligente ecc.). Secondo questa teoria gli antecedenti dei valori personali sono rintracciabili nella cultura, nella società, nelle istituzioni e nella personalità mentre le conseguenze dei valori si manifestano in fenomeni osservabili nel comportamento. VALORI COME OBIETTIVI Super descrive i valori non più come sistemi di credenze, ma come obiettivi che l'individuo intende raggiungere. Egli distingue i valori dai bisogni e dall'interesse: i bisogni sono le necessità, i valori sono il risultato di un'interazione con l'ambiente -> si stabiliscono gli obiettivi che le persone desidero raggiungere per soddisfare i propri bisogni e gli interessi sono le attività che le persone realizzano per raggiungere i propri valori e quindi soddisfare i bisogni. Per capire perché le persone agiscono si guardano i bisogni; per capire cosa le persone cerchino per soddisfare i propri bisogni si guardano i valori; per capire come le persone intendono comportarsi per raggiungere gli obiettivi ci si riferisce agli interessi. VALORI COME STATI DESIDERABILI 51 Secondo Schwartz i valori sono stati desiderabili, obiettivi, scopi o comportamenti applicati come standard normativi per agire, strutturandosi in relazioni conflittuali. La conflittualità riguarda i bisogni dell'esistenza umana, le ci principali dimensioni vengono evidenziate attraverso 2 tensioni bipolari (apertura al cambiamento VS conservativismo, e autoaffermazione VS autotrascendenza). L’autore individua 10 tipi motivazionali di valori che vengono rappresentati nel modello della struttura dei valori universali: L'apertura al cambiamento è composta da stimolazione e auto direzione, l’auto-trascendenza da universalismo e benevolenza, il conservativismo da conformismo, tradizione e sicurezza, l’autoaffermazione da potere, successo ed edonismo. Vi è una compatibilità tra i valori adiacenti mentre emergono conflitti tra le direzioni opposte. MODELLI DI RELAZIONE TRA VALORI E VALORI LAVORATIVI Possiamo distinguere tra valori generali e alcuni valori specifici come i valori lavorativi. Possiamo ipotizzare che i valori lavorativi siano la sorgente dei valori generali o che i valori generali generino i valori lavorativi. VALORI LAVORATIVI COME INDIPENDENTI I valori generali e i valori lavorativi sono spesso studiati in modo indipendente. Tre sfaccettature secondo cui i valori sono distinti sono: - la modalità-> i valori materiali hanno conseguenze pratiche e sui risultati, i valori affettivi riguardano i sentimenti e quelli cognitivi sono relativi alle opinioni e credenze che riguardano il mondo esterno; - il focus -> l'attenzione nei valori concentrati è centrata su un tema molto specifico mentre per i valori diffusi può riferirsi a un tema generale; - le aree della vita -> l'area specifica del lavoro e la più ampia area della vita in generale. Tale approccio porta a descrivere i valori lavorativi come una specifica area all'interno dei valori generali rilevabile e misurabile mantenendo la struttura relativa alla modalità e al focus. VALORI LAVORATIVI COME ORIGINE L’acculturazione psicologica fa riferimento al cambiamento che gli individui attuano nel comportamento e nei tratti interiori grazie all'esperienza. L'esperienza professionale che le persone svolgono nelle diverse organizzazioni fornisce il formarsi dei valori lavorativi e quindi l'individuo apprende le norme di comportamento, gli atteggiamenti e i valori. la socializzazione organizzativa fa riferimento agli elementi, che gli individui si trovano ad apprendere come prezzo di appartenenza, come valori, norme e modelli di comportamento. L'adozione dei valori lavorativi appresi nell'organizzazione può modificare la struttura dei valori generali degli individui. VALORI LAVORATIVI COME INTERRELATI Roe e Ester propongono un modello in cui si evidenziano le connessioni di valori tra società, gruppo e individuo. Per ogni livello si prevedono legami tra i valori generali (obiettivi della vita), valori lavorativi (risultati del lavoro) e l’attività lavorativa (ruolo). [vi è un rapporto di relazione reciproca traduci questi elementi]. VALORI LAVORATIVI COME CORRELATI Secondo Schwartz il lavoro correla positivamente con le società in cui valori di supremazia e di gerarchia sono importanti, mentre l'importanza del lavoro è minore dove prevalgono i valori di autonomia affettiva, eguaglianza e conformità. I valori lavorativi si riferiscono a fini o ricompense che le persone cercano di raggiungere attraverso il lavoro. Quindi essi sono utilizzati dalle persone come principi guida relativi alla valutazione dei ritardi, al contesto e alla decisione; sono riferiti alle situazioni lavorative e quindi più specifici dei valori generali; sono le richieste che le persone fanno verso il lavoro in generale; e sono anche le rappresentazioni verbali delle esigenze di un individuo o di un gruppo. ORIENTAMENTI VALORIALI E TIPI 52
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