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Argomenti di diritto processuale civile (Paolo Biavati), Dispense di Diritto Processuale Civile

Capitolo I (La struttura fondamentale del processo)

Tipologia: Dispense

2020/2021

In vendita dal 20/10/2021

MattiaAntonio.Salerno
MattiaAntonio.Salerno 🇮🇹

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Scarica Argomenti di diritto processuale civile (Paolo Biavati) e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! CAPITOLO | LA STRUTTURA FONDAMENTALE DEL PROCESSO. 1. Introduzione. Criteri di metodo. La nozione di processo. Le fonti e la storia recente del processo civile. UNA NOZIONE ESSENZIALE DI PROCESSO. Secondo una nozione provvisoria, il processo potrebbe essere descritto come una serie di atti e comportamenti, mediante i quali due o più parti sottopongono una controversia alla decisione di un terzo imparziale, ossia il giudice. Il processo serve a risolvere una controversia che non sia stata o non possa essere risolta attraverso un accordo tra le parti, e per la quale la parte lesa non voglia rinunciare ad una tutela giudiziaria. Nel processo andrà accertato il fatto e applicato il diritto mediante un iter al quale danno vita le due parti e il giudice. Va subito precisato che oggi sono molto forti le opinioni che ritengono che la soluzione della controversia possa avvenire anche (o forse meglio) senza e al di fuori del processo. Di qui, spiccate tendenze verso forme alternative alla giurisdizione. Tuttavia, è bene chiarire, che è preferibile la prospettiva (confortata dall'art. 24 Cost.), secondo cui è la giurisdizione dello Stato la via ordinaria per la risoluzione dei conflitti. Il potere politico ha il preciso compito di assicurare al cittadino una giustizia efficiente, lasciando libero, al contempo, in una società pluralista, di perseguire il proprio interesse anche attraverso modalità non giurisdizionali Vi sono due modi fondamentali di considerare il processo. Ciascuno dei due attinge ad un certo fondo di verità. Da un lato il processo può essere visto come “cosa delle parti”, mentre dall'altro come “cosa del giudice”. Nel primo senso il processo è visto come una gara o gioco tra le parti in cui il giudice si limita a registrare chi dei due abbia la meglio e chi perda. Il primo modello richiama storicamente il liberalismo classico, e vede il giudice in una posizione di assoluta neutralità, con il solo scopo di definire la lite raggiungendo un equilibrio. Nel secondo modello il giudice deve invece ricercare attivamente una giusta soluzione (naturalmente applicando le norme vigenti in quel dato momento), e non è in questo caso assolutamente neutrale, in quanto egli sarà in qualche misura schierato in modo preferenziale per la parte che risulta portatrice di un interesse meritevole di maggiore tutela. Le regole procedurali sono costantemente alla ricerca di un equilibrio tra l’imparzialità del giudice e l'ottenimento di una giusta decisione. L'obiettivo del processo è risolvere la controversia secondo verità e giustizia, e dunque, se si tiene a mente questo fine, non è appagante l’idea che sia giusta una decisione che semplicemente ha seguito l’iter procedurale corretto. Il rapporto tra processo e decisione è infatti un rapporto di mezzo e fine, ossia il processo è uno strumento per l'attuazione dei diritti. Ora è necessario sottolineare due aspetti. In primo luogo, bisogna ribadire che è giusta la sentenza che, sulla base degli elementi a disposizione, ha applicato correttamente il diritto sostanziale. In secondo luogo, è importante sottolineare anche il fatto che il processo NON ricerca una verità assoluta, ma giunge ad un’approssimazione possibile secondo dati limiti ditempo e di mezzi probatori, e per questo motivo vi possono essere errori umani riguardo alla giustizia (tuttavia, il processo deve attendere all’effettività della tutela). LE FONTI DEL DIRITTO PROCESSUALE CIVILE. Per quanto riguarda le fonti, il diritto processuale civile è regolato principalmente dal codice di procedura civile, approvato il 28 ottobre 1940 ed entrato in vigore il 21 aprile 1942. Il codice è comporto da quattro libri, dedicati alle 1. Disposizioni generali 2. Processo di convinzione 3. Processo di esecuzione 4. Procedimenti speciali Vi rientrano, inoltre, le disposizioni di attuazione, spesso rilevanti per il funzionamento pratico dell'attività giudiziaria. La completezza del codice del 1942 non ebbe, tuttavia, lunga durata, infatti venne modificato, attraverso una legge, già nel 1950, e a questa modifica ne seguirono numerose altre negli anni a venire: si possono ricordare la riforma del processo del lavoro del 1973, le due novelle in tema di arbitrato del 1983 e 1994, la legge di riforma del diritto internazionale processuale del 1995. Inoltre alcune sentenze della Corte costituzionale hanno parzialmente modificato la struttura del codice. Tra le revisioni, una molto importante è quella operata dalla /egge n. 353 del 26 novembre 1990 entrata in vigore nel 1995: questa legge cercò di rispondere alla più rilevante delle sfide del processo civile, ossia i tempi eccessivamente lunghi dei processi, che rischiavano di vanificarne l’effettività della tutela. Questa riforma non ha tuttavia avuto pienamente successo, infatti il d.lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003 ha introdotto uno specifico rito per le controversie in materia societaria, e inoltre nel dell'imputato. La riserva di legge processuale assume un rilievo anche nell'ambito della CEDU. Infatti, pur non essendo rintracciabile una disposizione precisa al riguardo, secondo l'interpretazione della Corte EU, il principio di legalità del diritto processuale civile è un principio generale del diritto. Il secondo comma dell'a 111 afferma invece che "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale, e la legge ne assicura la ragionevole durata". Il profilo della ragionevole durata eleva al piano costituzionale il criterio di un'estensione temporale del processo che non ne pregiudichi l'effettività. Con l'elevazione a rango costituzionale della ragionevole durata del processo, quindi si impone una lettura delle norme, in caso di dubbio, secondo un senso che dia luogo ad un miglioramento complessivo del sistema di giustizia e non ad un suo appesantimento. Infatti, la ragionevole durata NON va riferita soltanto al singolo processo, e quindi, all'interesse del singolo ad ottenere una pronuncia senza attendere anni: ma significa soprattutto un equilibrio tra le risorse complessive del sistema, che non permette di sprecare la giurisdizione, e il tempo che può essere dedicato ad un singolo giudizio. Le ricadute sono notevoli (come vedremo), ora basta segnalare che /a ragionevole durata si pone alla stregua di un orientamento ermeneutico di rilevanza costituzionale. Nell’art. 111 vengono anche elencati quelli che sono gli elementi essenziali che il processo deve sempre presentare, ossia: 1. Principio del contraddittorio 2. Parità tra le parti 3. Terzietà ed imparzialità del giudice Ora bisogna stabilire se, fra i principi fondamentali del processo, vi sia una gerarchia. Il problema si pone soprattutto nel rapporto tra giusto processo e diritto di difesa da un lato, e ragionevole durata dall'altro. È da preferire un processo breve ma non "giusto" o un processo giusto e dettagliato, ma troppo lungo? Se si ritiene che ragionevole durata e diritto di difesa siano due concetti omologhi ma opposti, allora si deve finire con il concludere che il giusto processo e il diritto di difesa devono prevalere, e che in qualche modo la ragionevole durata è un principio di rango inferiore. Se si ritiene però che ragionevole durata e diritto di difesa non siano nozioni omologhe, ma la prima sia predicabile rispetto al sistema nel complesso, e la seconda rispetto al singolo processo, allora si perviene ad una conclusione differente. La ragionevole durata è infatti anche, e forse soprattutto, ragionevole impiego di risorse in relazione al processo, e se viene riletto il secondo comma dell'art. 111 in quest'ottica, si conclude che "il discrimine per una più o meno intensa applicazione del principio della ragionevole durata, in rapporto al diritto di difesa, va collocato in relazione al piano del maggiore o minore impiego di risorse giudiziarie che ne viene in gioco". In realtà il principio di ragionevole durata non è mai in contrasto con il ragionevole esercizio del diritto di difesa: se si guarda alla pratica, ci si accorge che nei contrasti tra questi due principi spesso la ragionevole durata prevale perché si è scontrata con un esercizio non ragionevole ed abusivo del diritto di difesa, mentre in altri casi il diritto di difesa prevale perché, anche se vi fosse un ritardo nell’emanazione della decisione, questo non comporterebbe un aggravio di risorse per il sistema. Nell’art. 111 altri due commi molto importanti per il diritto processuale civile sono il sesto, in cui si impone che tutti i provvedimenti giurisdizionali siano motivati, e il settimo, che dispone che contro le sentenze (e i provvedimenti sulla libertà personale) vi sia sempre la possibilità di ricorso in cassazione per violazione della legge. ALTRE NORME COSTITUZIONALI. All’art. 113 si dispone il principio della tutela ordinaria contro la pubblica amministrazione, e si vuole con questo principio sia indicare il fatto che il cittadino davanti allo Stato-giurisdizione ha diritto di difendersi anche contro lo Stato amministrazione, e in secondo luogo si vuole chiarire che lo Stato-amministrazione non ha, a priori, un giudice speciale per le sue controversie, ma è sottoposto alle regole comuni. Nella Costituzione, inoltre, si trovano diversi articoli nei quali si garantisce l'indipendenza dei giudici (artt. 101, 104, 108.1). Per garantire l'indipendenza dei giudici è fondamentale il Consiglio superiore della magistratura, che è l'organo di autogoverno dell'ordinamento giudiziario italiano. LE FONTI DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA. L'inserimento dell'Italia nell'Unione europea impone anche di considerare l'influenza dell'ordinamento dell'Unione sul diritto processuale civile. Il punto fondamentale da sottolineare è che l'ordinamento italiano è distinto, ma non separato, da quello europeo, e quest'ultimo prevale sul nostro, e le sue fonti hanno efficacia immediata (ovviamente secondo modalità diverse) in virtù del rinvio operato dall'art. 11 Cost. In particolare: ® Art. 81 TFUE: promuove la progressiva compatibilità tra gli ordinamenti processuali nell'Unione europea, e infatti al primo comma si legge che "l'Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l'adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri". Ai fini del paragrafo 1, il PEe il CONSIGLIO, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano in particolare se necessario al buon funzionamento del mercato interno, misure volte a garantire: a) il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali; b) la notificazione transazionale degli atti giudiziari ed extragiudiziali; c) la compatibilità delle regole applicabili negli stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione; d) la cooperazione nell'assunzione di mezzi di prova; e) un accesso effettivo alla giustizia; f) l'eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri; g) lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie; h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari. e Art. 4TFUE: /a materia di cooperazione giudiziaria civile viene inclusa nei settori di competenza concorrente dell’Ue e degli Stati nazionali. Inoltre, nel rapporto tra norme europee e diritti nazionali vige la regola dell'autonomia procedurale, il che significa che sussiste piena libertà per i legislatori interni di modellare le regole di procedura civile e i rispettivi ordinamenti giudiziari. Questa autonomia deve tuttavia tenere conto della supremazia del diritto europeo, e deve essere dunque strutturata in modo tale da assicurare una tutela effettiva ed adeguata ai diritti che discendono dal sistema europeo (e dunque le norme nazionali vanno sottoposte ad un test di compatibilità con lo standard europeo minimo di tutela, e devono rispettare i criteri europei di equivalenza ed effettività). Inoltre, va tenuto in considerazione, il rilevante impatto delle Sentenze della Corte di giustizia. Infatti esse vengono considerate fonte del diritto processuale anche interno. AI riguardo, è opportuno ricordare che la Corte di giustizia è l'organo posto al vertice del giudiziario europeo e ha compiti interpretativi di enorme rilievo. Il diritto europeo è infatti sempre più importante all’interno della materia del diritto processuale, e infatti il diritto europeo come contenuto di un moderno studio del diritto processuale non viene riferito tanto ai profili strettamente applicativi, ma al modo di essere di un diritto che si muove su tre direttrici, ossia "i grandi principi e valori di fondo, le norme a carattere regolamentare che dettano una disciplina hic et nunc, e la giurisprudenza che colma lacune, integra il sistema e promuove lo sviluppo dell'ordinamento. È in questo modo che opera il diritto dell'Ue, e a questo schema si stanno progressivamente adattando anche i diritti nazionali, compreso il diritto processuale civile. Come già ricordato, questi obiettivi della giurisdizione contengono tutti una verità, ma presi singolarmente non sono completi, e dunque è preferibile affermare che la giurisdizione (ossia il potere decisorio che lo Stato affida giudice) abbia una pluralità di scopi, alcuni dei quali vengono in ogni caso realizzati. Vi è inoltre un più moderno approccio al problema, che dona alla giurisdizione un significato nuovo: la funzione giurisdizionale diventa così la PRESTAZIONE DI UN SERVIZIO PUBBLICO, con il contenuto di risolvere controversie, applicando la legge italiana, in alcune materie a favore di tutti i consociati, e in altre a favore soltanto di chi se ne voglia avvalere. Quindi essa può essere paragonata ad uno dei tanti servizi che lo stato appresta, indifferentemente a favore dei suoi cittadini. Così la giurisdizione può essere valutata anche in rapporto all'efficienza dei suoi risultati. In ogni caso è certo che l’attività giurisdizionale ha carattere strumentale e sostituivo, ed il fine della giurisdizione non è quello di realizzarsi, ma piuttosto quello di raggiungere uno scopo che sta al di fuori di essa: come il processo è uno strumento, la giurisdizione è un potere strumentale. È molto importante questo punto. Dire che il Il processo è uno strumento significa affermare che la finalità del processo e della giurisdizione civile consiste nella realizzazione di obiettivi di giustizia sostanziale. La giurisdizione, poi, ha carattere sostituivo: ciò vuol dire che quando sorge un conflitto tra due soggetti, il soggetto leso non può farsi giustizia da solo, ma deve ricorrere alla giurisdizione, la quale sostituisce sé stessa alla vittima nel fare giustizia, e sostituisce l'adempimento coattivo a quello spontaneo. GIURISDIZIONE, GIUSTIZIA E VERITÀ. La giurisdizione, si sforza ma NON tenta di risolvere in modo assoluto le controversie secondo giustizia e verità, infatti l’obiettivo è quello di dirimere le controversie anche accettando la permanenza di pronunce non conformi al diritto (es. art. 363 c.p.c.) o fondate su falsi presupposti di fatto (es. art. 2738 c.c.). Secondo l’articolo 363 c.p.c. Quando le parti NON hanno proposto ricorso in cassazione nei termini di legge o vi hanno rinunciato, o quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile, il procuratore generale presso la Corte di cassazione può chiedere che la Corte enunci nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi. Il presidente della Cassazione, al quale viene rivolta la richiesta del procuratore generale, può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione sia particolarmente importante. La pronuncia della Corte (ED è QUESTO L'ASPETTO CHE CI INTERESSA), tuttavia, evidenzia un grave errore in diritto, ma non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito, il quale continua ad essere vincolante per le parti. Secondo l’art. 2738 c.c., nel caso in cui il processo sia stato deciso da un giuramento, il quale risulti poi falso a seguito di un accertamento effettuato in sede penale, la decisione della sentenza non può comunque essere rivista, e la parte lesa può soltanto domandare il risarcimento dei danni. Ancora una volta, dunque, viene accertato che la sentenza sia ingiusta, ma non si procede ad una sua modifica o rimozione: apre soltanto la strada ad una reintegrazione patrimoniale del danneggiato. Il diritto processuale, come si può vedere anche attraverso questi due articolo, è attraversato dallo scontro tra esigenze di verità ed esigenze di certezza. In linea di massima il sistema si preoccupa maggiormente della certezza (e i due articoli menzionati confermano questo atteggiamento), ma sono comunque presenti spinte verso una maggiore tutela della verità. GIURISDIZIONE CONTENZIOSA E VOLONTARIA. L'attività giurisdizionale si può dividere in due segmenti: * Giurisdizione contenziosa: la quale si occupa di risolvere conflitti; * Giurisdizione volontaria: si occupa di integrare, completare e controllare i poteri mancanti a dati soggetti dell’ordinamento. La giurisdizione volontaria è un'attività sostanzialmente amministrativa, che viene affidata al giudice per ragioni storiche e che potrebbe essere anche demandata ad uffici pubblici non giurisdizionali. Inoltre, nella giurisdizione volontaria, a differenza di quella contenziosa, NON vi è la domanda di un soggetto contro un altro individuo, ma vi è un solo interesse che il giudice è chiamato a proteggere. Un esempio che può essere fatto è quello dell'art. 320, comma 3, del codice civile, in cui si dispone che i genitori non possono alienare o ipotecare i beni immobili pervenuti al figlio minore a qualsiasi titolo, né compiere altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, se non dopo avere ottenuto l'autorizzazione del giudice tutelare. In questo caso, dunque, i genitori ricorrono al giudice NON perché vogliono una condanna nei confronti dei figli, ma solo perché vogliono ottenere il permesso di compiere un atto a vantaggio del proprio figlio, e dunque l'interesse non è di chi ha fatto domanda, ma è del figlio. Un'ulteriore differenza tra giurisdizione contenziosa e volontaria sta nel fatto che /a prima nel suo profilo di cognizione tende ad un accertamento, mentre la giurisdizione volontaria contribuisce soprattutto a costituire rapporti. L'autorizzazione del giudice tutelare, nell'esempio, è un elemento che forma la fattispecie dell'alienazione del bene immobile. L'accertamento si muove verso una dimensione di stabilità, che si realizza pienamente nel giudicato, mentre la giurisdizione volontaria dà vita ad un provvedimento dato in relazione allo stato delle cose (rebus sic stantibus) e, inoltre, come ogni atto amministrativo, è revocabile e modificabile. 4. La struttura della giurisdizione contenziosa. La giurisdizione contenziosa si divide a sua volta in giurisdizione di cognizione, esecutiva, e cautelare. LA GIURISDIZIONE DI COGNIZIONE. La giurisdizione di cognizione tende ad affermare un giudizio di conformità del fatto concreto rispetto alla fattispecie legale astratta. Il giudizio è un'attività della mente umana, che si compie comunemente e che porta a confrontare un dato di esperienza con un canone valutativo: si pensi ad un giudizio morale, estetico, pratico. Qui il canone è la norma e il giudizio ha carattere giuridico. Questo giudizio prende il nome di ACCERTAMENTO. Attraverso il contraddittorio delle parti, il giudice terzo imparziale determina, e dunque accerta, i rapporti tra le parti, e l’accertamento che ne risulta ha tendenzialmente efficacia stabile, e si ha il cosiddetto giudicato sostanziale. Nella controversia giudiziaria, ciascuna delle parti, propone al terzo che giudica una propria visione della vicenda: afferma l'esistenza di determinati fatti e a questi fatti offre una determinata valutazione in diritto. Queste ricostruzioni sono, in tutto o in parte, necessariamente confliggenti visto che, se non lo fossero, non vi sarebbe la lite. Ora, l'ordinamento risolve il caso nell’ambito di una previsione normativa generale ed astratta, ossia è necessario verificare (accertare) come quella lite determinata e concreta si inquadri all’interno di una fattispecie generale e astratta prevista dalla norma. L'attività del giudice di cognizione è dunque un'attività intellettuale che porta all'emanazione di un giudizio, risultato di un confronto tra la fattispecie concreta e il dato normativo. Un esempio. Secondo l'art. 2377 c.c. Sono impugnabili, in presenza di determinati requisiti, le delibere di assemblee di società per azioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto. Se l'attore A impugna la delibera della società B, occorre verificare (e cioè accertare) se Il potere giurisdizionale viene inoltre esercitato da giudici ordinari e speciali, e si ha così la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione speciale: * Giurisdizione ordinaria: è esercitata dai giudici ordinari, ossia quelli identificati dalla normativa sull'ordinamento giudiziario, e riguarda la generalità delle controversie. La giurisdizione ordinaria ha una connotazione pienamente unitaria, infatti l'art. 1 della legge sull'ordinamento giudiziario elenca gli organi cui essa è affidata senza distinzione tra civile e penale (è la legge che precisa poi se un organo ha competenza solo civile o penale, ma solitamente gli organi giudiziari ordinari hanno entrambe le competenze, civile e penale). * Giurisdizioni speciali: che riguardano determinate categorie di controversie, vengono in parte individuate dalla Costituzione all'art. 103, e sono: — Giurisdizione amministrativa; — Giurisdizione contabile; — Giurisdizione militare. La Costituzione, dunque, elenca queste tre giurisdizioni e vieta l'istituzione di nuovi giudici speciali, e impone inoltre la revisione degli altri organi speciali di giurisdizione già esistenti. In realtà, quelle appena elencate non esauriscono il novero delle giurisdizioni speciali. Si pensi ad esempio alla giurisdizione tributaria, preesistente alla Costituzione e non revisionata tempestivamente come avrebbe dovuto essere, ma più volte modificata e razionalizzata; questa in attuazione della Costituzione è stata operata con il consenso della Corte costituzionale e un'adesione politica unanime, e va ricordato che ciò ebbe comunque buoni risultati pratici. Un altro settore di rilievo è quello della giurisdizione del tribunale superiore delle acque (i tribunali territoriali delle acque sono invece giudici ordinari). Ora, bisogna sottolineare come il principio della separazione dei poteri è stato implicitamente messo in crisi dalla presenza di organi amministrativi che esercitano attività giurisdizionali, organi giurisdizionali con funzioni amministrative, e organi a carattere misto. In questo ambito sono interessanti le autorità amministrative indipendenti, le quali sono organi statali amministrativi, ma del tutto svincolati dalla pubblica amministrazione e dal potere esecutivo. Questi organi, tra i quali vi sono tra gli altri l'autorità garante per la concorrenza e il mercato e l'autorità garante della privacy, rientrano nelle categorie sopra citate in quanto essi, pur essendo organi amministrativi, possiedono anche compiti di controllo e garanzia con poteri decisori. La maggior parte della dottrina tende a considerare il carattere di queste autorità come NON giurisdizionale, e questo soprattutto perché NON presenta il profilo della piena terzietà (le autorità indipendenti, infatti, risolvono un conflitto tendendo all'obiettivo che è stato loro affidato). Questa soluzione è accoglibile, ma essa suppone poi che vi sia un pieno controllo giurisdizionale di merito sulle deliberazioni delle authorities che incidano su diritti soggettivi. In questa materia hanno giurisdizione esclusiva i giudici amministrativi, ai quali va però imputata l'attitudine ad esercitare un controllo debole che tende ai soli profili di legittimità, e ciò induce ad ipotizzare la soluzione di affidare invece il controllo ai giudici ordinari. Si fa comunque strada la tendenza a ritenere che anche nei procedimenti di fronte alle autorità indipendenti debbano trovare applicazione le garanzie della difesa e del contraddittorio. In realtà tutti gli organi investiti di un potere decisorio, siano essi giurisdizionali o amministrativi, devono rispettare le regole dell’equo processo, e la decisione dovrebbe essere sempre soggetta ad un controllo di merito da parte di un giudice ordinario; solo in questo modo si avrebbe una risposta rispettosa del senso delle norme costituzionali. I CRITERI DI RIPARTO DELLE CONTROVERSIE FRA GIURISDIZIONE ORDINARIA E SPECIALI. È la legge ad attribuire il potere giurisdizionale su una certa controversia alla giurisdizione ordinaria o alle giurisdizioni speciali, e infatti non si può liberamente scegliere tra esse, e nemmeno cumularne più di una (se il potere è dato ad una giurisdizione esso è affidato a questa soltanto, e non anche ad altre). Gli eventuali contrasti danno luogo ad una questione di giurisdizione o di giurisdizione- competenza. Il sistema dei controlli di giurisdizione fa parte del diritto processuale, ora basti ricordare le 2 regole essenziali. Prima di tutto e va ricordato che è i/ giudice che deve stabilire (anche d'ufficio) se egli ha o no giurisdizione, e la risposta finale proviene poi dalla Corte di Cassazione, alla quale la questione può pervenire in 3 mo 1. attraverso le vie ordinarie di impugnazione della decisione sulla giurisdizione; 2. con un ricorso preventivo prima che il giudice abbia statuito sul merito in primo grado (art. 41 c.p.c.) 3. con la sollevazione di un conflitto positivo o negativo di giurisdizione (art. 362 c.p.c.). Rimane da accennare il riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali, e in particolare la giurisdizione amministrativa ( vale a dire i tribunali amministrativi regionali în primo grado e Consiglio di Stato in secondo). La materia è stata più volte innovata, fino alla razionalizzazione del d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010, ossia del cosiddetto codice del processo amministrativo, il quale è stato poi più volte modificato. Ne esce così un complesso incrocio fra due diversi criteri: da un lato, quello della natura della situazione soggettiva tutelata (diritti soggettivi al giudice ordinario e interessi legittimi a quello amministrativo) e dall'altro il criterio delle materie affidate in esclusiva all'autorità giudiziaria ordinaria (es. rapporti di lavoro di pubblico impiego) o al giudice amministrativo (es. servizi pubblici, urbanistica). Il criterio della natura della situazione soggettiva tutelata viene utilizzato soltanto nella ripartizione tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, e risente della struttura storica del problema: infatti l’attività riconducibile al potere esecutivo era una volta sottratta al controllo del giudice, mentre vi è stata progressivamente sottoposta, ma davanti ad un giudice speciale e soltanto per giudicare la correttezza formale, e non per entrare nel merito delle scelte dell'esecutivo. All'art. 103.1 Cost. si è difatti stabilito che gli organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi, e viene anche prevista la possibilità per la legge di indicare le materie nelle quali i giudici amministrativi possano occuparsi anche di diritti soggettivi. Recentemente l’assetto è però venuto a spostarsi sul secondo criterio, ossia quello della materia, e si parla in questi casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (esclusiva perché comprende l’intera materia), la quale ha ricevuto negli ultimi anni un forte incremento. L'art. 7 del codice del processo amministrativo stabilisce che “vengano devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nei casi stabiliti dalla legge, diritti soggettivi, riguardanti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, o riguardanti atti, accordi o comportamenti riconducibili all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”. La giurisdizione amministrativa si articola poi in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito: * Giurisdizione generale di legittimità: in questo caso il giudice amministrativo si occupa delle controversie relative ad atti, provvedimenti od omissioni delle p.a., comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. * Giurisdizione esclusiva: si occupa anche, invece, di controversie su diritti soggettivi, estese al profilo risarcitorio, ed indicate - in maniera tuttavia non esaustiva, dall’art. 133 del codice del processo amministrativo (es. controversie sui pubblici servizi, sull’affidamento di lavori pubblici, sull’espropriazione per pubblica utilità, ecc.). * Giurisdizione con cognizione estesa al merito: con la quale il giudice può non soltanto annullare atti illegittimi, ma anche sostituirsi all’amministrazione adottando un nuovo atto o modificando e riformando quello impugnato. La suddivisione dei compiti tra le altre giurisdizioni speciali, invece, non conosce il criterio della distinzione delle posizioni soggettive, ma SOLO il criterio della materia: alla giurisdizione contabile sono attribuite le materie della contabilità pubblica, della responsabilità erariale e di In ogni caso è ragionevole che vengano organizzate strutture giudiziarie che, per la formazione dei giudici o per l'affiancamento ad essi di esperti qualificati, possano garantire anche una maggiore capacità di percepire la fattualità tecnica della controversia. Questa è la logica del giudice specializzato, ossia un giudice ordinario che non incontra i limiti costituzionali dei giudici speciali e straordinari. La possibilità di istituire presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie (anche con la partecipazione di persone che non appartengono alla magistratura) viene prevista dal secondo comma dell’art. 102 Cost. e contribuisce, inoltre, all’applicazione del principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione della giustizi La specializzazione può innanzitutto essere attuata all’interno degli organi giudiziari ordinari (ad es. il tribunale civile) destinando alcuni magistrati ad occuparsi più stabilmente di determinate controversie, ed un esempio ne sono le sezioni specializzate in materia di impresa (es. le sezioni specializzate per la materia della proprietà industriale e intellettuale, oggi trasformate in materia di impresa), e nella materia del lavoro nelle sezioni di lavoro. Importante da notare è il fatto che queste sono sezioni specializzate, ma esse applicano il rito ordinario, e NON un rito speciale. In altri casi si cerca invece di puntare all'obiettivo della specializzazione con la tecnica di una composizione modificata dell'organismo giudiziario, ossia affiancando ai giudici dei membri non togati che abbiano specifiche competenze in un determinato settore (es. tribunali regionali delle acque pubbliche in cui la sezione disegnata di corte d'appello è integrata da tre esperti, iscritti nell'albo degli ingegneri e nominati con decreto del ministro della giustizia, in materia agraria dove abbiamo periti agrari o dottori in scienze agrarie, agrotecnici e geometri e per le sezioni d'appello unicamente dottori di scienza agrarie, o il tribunale per i minorenni in cui abbiamo un uomo e una donna benemeriti dell'assistenza sociale scelti fra i cultori di biologia, psicologia per renderlo più adatto a fronteggiare il problemi del mondo giovanile). La specializzazione del giudice, nonostante essa sia un modo ragionevole di approcciarsi ai problemi della giustizia, rischia tuttavia di essere messa in atto in modo inefficace, dovuto allo scontro tra l'esigenza di efficienza tecnica e organizzativa, da un lato, e la struttura burocratica del reclutamento e della progressione in carriera: e Quando la specializzazione viene perseguita assegnando stabilmente i magistrati a determinate funzioni, il punto critico è quello della formazione e dell’aggiornamento, molti degli aspetti dei quali vengono lasciati all'impegno dei singoli magistrato. e Quando la specializzazione viene invece operata attraverso l'integrazione di componenti laici si aprono delicati problemi sotto il profilo delle modalità di scelta dei membri scelti dei membri tecnici, poiché si devono sia scegliere persone di sicura competenza tecnica, sia evitare che i giudici non professionali si trovino più vicini ad una delle parti, poiché ciò andrebbe contro l’imparzialità. LIMITI ESTERNI ALLA GIURISDIZIONE DELLO STATO. Poiché nessuna giurisdizione è universale, rispetto ad ognuna di esse si pone il problema dei limiti della giurisdizione, e non intesi soltanto come limiti interni, ma anche come limiti esterni: 1. posti dal rapporto con le giurisdizioni straniere; 2. dal rapporto con ordinamenti particolari; 3. dal rapporto con l'autonomia privata (ad esempio nel caso dell’arbitrato). Esistono inoltre limiti nei confronti di altri poteri dello Stato (ossia il conflitto di attribuzioni, il quale riguarda il diritto costituzionale perché si colloca sul piano del bilanciamento fra i diversi poteri dello Stato) o della stessa non giuridicità del conflitto, e in questi casi si parla di difetto assoluto di giurisdizione, poiché nessun giudice ha il potere di statuire, e la domanda risulta infondata poiché non sussiste alcuna ragione di diritto (il giudice avrebbe il dovere di respingerla). Un esempio: Se A chiede che la propria fidanzata B che lo ha lasciato, sia condannata a riprendere il rapporto, la domanda non potrà essere accolta, né dal giudice ordinario, né dal giudice speciale, in quanto totalmente estranea alla tutela di un diritto o anche solo di un interesse legittimo. 6. L'azione in generale. TUTELA DELLE PARTI E ISTANZE SOCIALI DI GIUSTIZIA. La controversia esistente tra le parti diventa una lite giudiziaria quando una di esse la porta dinanzi al giudice. Va notato che ogni conflitto suppone una limitazione o diminuzione dei diritti di una parte a causa di un comportamento altrui, ma NON ogni diminuzione di diritti legittima il ricorso al giudice (ad esempio non è tutelabile giudizialmente un danno patrimoniale di dimensioni troppo modeste). Oltre alla non tutelabilità, la parte deve comunque valutare da sé quanto sia importante l'interesse leso, le probabilità di vincere in giudizio, e il rapporto di costi-benefici tra l’azione giudiziaria e il risultato auspicato, ed è in questa fase che l'ordinamento auspica l'intervento di organismi in grado di favorire la conciliazione e la mediazione tra le parti, in modo da evitare il ricorso a giustizia. Esistono quattro istanze sociali nel mondo odierno connesse al processo: La prima è quella di una GIUSTIZIA RAPIDA. È un dato di fatto che la vita dei processi è troppo prolungata per i tempi di decisione del mondo economico e imprenditoriale. Il mercato e i suoi interessi viaggiano ad una velocità troppo forte perché il processo civile riesca a seguirla. Questo è anche uno dei motivi per cui gli investitori stranieri non investono nel nostro Paese. Viene in secondo luogo un BISOGNO DI INFORMAZIONE E DI TRASPARENZA. Un terzo profilo è quello DELLA SCARSITA' DELLE RISORSE. Nelle società moderne la domanda di servizi e di welfare si traduce in richieste pressanti di spesa pubblica in settori come le infrastrutture, la sanità, le pensioni. La forza politica e sociale dei gruppi che appoggiano queste richieste finisce per mettere inevitabilmente in secondo piano settori come quello della giustizia e specialmente della giustizia civile. Ne segue che occorre rispondere ad una domanda di giustizia rapida e trasparente senza poter contare sulle risorse, umane ed economiche che sarebbero necessarie. Ma la quarta delle domande sociali è la più drammatica e supera le tre precedenti, di cui è a suo modo conseguenza. Si tratta di ciò che si può definire la FUGA DAL PROCESSO. Vale a dire, l'idea che il processo sia comunque un male da evitare e che agli inevitabili conflitti si debbano trovare soluzioni di tipo diverso e alternativo. LA DOMANDA GIUDIZIALE. La parte che si rivolge al giudice gli chiede di dirimere la controversia in senso a sé favorevole e sfavorevole alla controparte. Essa è la domanda giudiziale è dunque ciò che si chiede al giudice contro qualcuno (un provvedimento o un bene). Vi sono, tuttavia, altri ambiti del diritto nei quali si può chiede un’utilità a proprio vantaggio senza che vi sia un detrimento per altri (ad esempio richiesta del passaporto), mentre nel diritto processuale civile il conflitto tra le parti suppone sempre che la vittoria di uno sia la sconfitta di un altro, infatti nella giurisdizione contenziosa NON si può chiedere al giudice un intervento “neutrale”. Per quanto riguarda la terminologia, la parte che propone la domanda si definisce attore, e la parte contro cui essa viene proposta si definisce convenuto. Il potere di proporre la domanda giudiziale è, invece, l’azione, ossia il potere delle parti corrispondente al potere di giurisdizione del giudice. Il fondamento di questo potere sono l’art. 24 Cost. e l'art. 2907 c.c., secondo cui “alla tutela giurisdizionale dei diritti provveda l’autorità giudiziaria su domanda di parti 0, quando la legge lo dispone, su istanza del pubblico ministero o d'ufficio”. LA NATURA DELL’AZIONE. L’ABUSO DEL PROCESSO. L'azione può essere vista come: * Diritto potestativo pubblico: ogni cittadino, in quanto tale, ha diritto di convenire in giudizio un altro cittadino ed ha il diritto che la sua causa venga ascoltata da un giudice, l'esigenza di raggiungere la verità e la giustizia. Questa difficoltà è legata al fatto che la “collaborazione delle parti con il giudice” (di cui si è spesso parlato in dottrina ai fini di un interesse superiore della giustizia) non possa comunque indurre le parti a perseguire un fine che non siano i propri interessi, e al fatto, inoltre, che vi sia necessariamente una certa disuguaglianza tra le parti, anche solo perché i difensori sono differenti e uno sarà più abile dell’altro. Il vero problema è quello di ridurre i casi in cui le regole di procedura, volte a garantire un leale confronto in contraddittorio tra le parti, possano diventare ragione di vittoria di una di esse. Ad esempio non è fruttuoso che una domanda sia respinta per mere ragioni di incompetenza o di carenza di giurisdizione, senza che sia consentito alla parte di riproporla, senza pregiudizio alcuno per il diritto sostanziale fatto valere, dinanzi all'autorità competente; ovvero, che non si possa rimediare ad un errore formale di una notificazione. DIRITTI INDIVIDUALI E COLLETTIVI. L'azione è tradizionalmente concepita come modo di tutela di diritti individuali. In realtà, la moderna sensibilità giuridica ha fatto nascere forme di tutela diverse da quella per i diritti individuali: * Tutela degli interessi diffusi: quelli per i quali non si possa distinguere un soggetto che ne sia portatore esclusivo, come per l’ambiente; * Tutela degli interessi collettivi: quelli comuni ad una pluralità di soggetti potenzialmente definibile. Il problema in questi due casi è individuare un ente che rappresenti questi interessi e che abbia dunque la legittimazione a difenderli in giudizio. 7. Presupposti processuali, condizioni dell'azione, decisione nel merito. PRESUPPOSTI PROCESSUALI. Nell’esaminare la domanda il giudice deve verificare che sussistano una serie progressiva di requisiti, e potrà accogliere la domanda solo nel caso in cui sussistano tutti questi requisiti. Il giudice deve dunque verificare, in questo ordine, che sussistano i presupposti processuali, delle condizioni dell’azione, e infine, del diritto fatto valere. | presupposti processuali sono i requisiti che devono sussistere perché il giudice possa validamente decidere. La loro mancanza impedisce al giudice di decidere sulla domanda. Questo NON significa, si badi bene, che non vi sarà una decisione, ma soltanto che quella decisione darà atto dell'impossibilità del giudice di pronunciarsi (ossia, come meglio vedremo una decisione di rito, che non entra nel merito). | presupposti vanno verificati al momento di inizio del processo (art. 5 c.p.c.) ovvero al momento in cui viene compiuto un atto carente di requisiti. | presupposti possono inoltre distinguersi in: * Presupposti di esistenza del processo: riguardano la regolare instaurazione del giudizio; * Presupposti di validità del processo: che riguardano il corretto svolgimento del giudizio. Tra i presupposti processuali si trovano, ad esempio, la sussistenza della competenza del giudice o la regolare instaurazione del contraddittorio. LE CONDIZIONI DELL'AZIONE. Le condizioni dell’azione sono invece i requ iti che devono sussistere perché il giudice possa validamente decidere nel merito come proposto nella domanda: vale a dire, esaminare la questione sul piano del diritto sostanziale e accertare chi, fra le parti in lite, abbia ragione. Come accade per la mancanza dei presupposti, anche quando mancano le condizioni dell'azione il giudice non può decidere sul merito, ma potrà soltanto prendere una decisione di rito: ma non perché le condizioni formali-processuali non siano rispettate, ma perché la modalità della domanda non permettono di farlo. Le condizioni dell’azione, che vanno verificate al momento della decisione, si dividono in: 1. Legittimazione ad agire e contraddire: che consiste nella corrispondenza tra la situazione del rapporto sostanziale e quella del rapporto processuale; la domanda deve dunque essere: — presentata da chi vanta la titolarità di un diritto leso (legittimazione attiva) — presentata nei confronti di chi ha posto in essere la condotta ritenuta lesiva (legittimazione passiva); 2. Interesse adagire: ossia un reale interesse ad agire da parte dell'attore, che sussiste solo quando l'accoglimento della domanda abbia potenzialmente l’effetto di dare all'attore un beneficio concreto. Vi è interesse ad agire, quindi, quando vi è una lesione effettiva e quando il provvedimento richiesto al giudice è in grado di provi rimedio (al riguardo /’art. 100 c.p.c. dispone che “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa, occorre avervi interesse”). Il punto dell'interesse è centrale nella dinamica del processo. In primo luogo, esso significa che chi si rivolge al giudice o chi si difende deve potersi prefigurare un’utilità maggiore o diversa da quella che potrebbe ottenere non agendo o non difendendosi. In secondo luogo l’interesse ad agire significa che la tutela giurisdizionale NON viene accordata a chiunque, ma soltanto a coloro che ne possano trarre una reale reintegrazione dei propri diritti. L'ESISTENZA DEL DIRITTO. L'ultimo requisito per l'accoglimento della domanda è l’esistenza del diritto fatto valere dall'attore, ed è, inoltre, il requisito principale: se esso manca, si potrà avere un accertamento, ma che non soddisfa le pretese dell'attore. L’attore, infatti, per ottenere un giudizio a sé favorevole, deve contare sull'esistenza dei presupposti processuali, delle condizioni dell’azione, e dell’esistenza del diritto nel merito. Al convenuto, invece, basta convincere il giudice della non sussistenza di uno solo di questi elementi per ottenere una decisione che non accoglierà la domanda dell'attore o che non gli darà ragione. Ma questi due tipi di decisione sono profondamente diversi, poiché nel primo caso la domanda è viziata, ma potrà essere riproposta adeguatamente, mentre nel secondo caso la pretesa dell'attore verrà definitivamente respinta. LE QUESTIONI E L'ORDINE LOGICO DELLA DECISIONE. DECISIONI DI RITO E DECISIONI DI MERITO. La materia oggetto della controversia può comprendere numerose questioni. Per “questione” si intende, ogni punto di fatto o di diritto, rispetto al quale le parti o il giudice siano di opinione difforme e che quindi va risolto in modo autoritativo. Nel decidere una controversia il giudice è solitamente chiamato ad analizzare diverse questioni secondo un ordine logico preciso: deve innanzitutto stabilire se può decidere o no, poi accertare che vi siano le condizioni dell’azione, e infine prendere in considerazione il merito. Tuttavia, non è detto che venga sempre seguito questo ordine logico, infatti potrebbero NON esservi questioni sui presupposti processuali e sulle condizioni dell'azione, ma potrebbero esservi soltanto questioni di merito. Se, tuttavia, esse vi sono, bisogna stabilire quali questioni siano pregiudiziali e preliminari, ossia quelle che vadano esaminate e decise (per antecedenza logica o fattuale) prima di altre. Non tutti i processi, dunque, si concludono con una decisione di merito. Alcuni non giungono ad alcun provvedimento giudiziale. Altri si fermano ad una pronuncia che rileva la mancanza di un presupposto processuale o di una condizione dell'azione. Si parla, in proposito, di una decisione di rito, le quali NON raggiungono l’obiettivo della tutela giurisdizionale, e quindi si fermano ad uno stato del ragionamento del giudice anteriore al punto della soluzione della lite. Sono decisioni che non risolvono la controversia e preludono ad una nuova fase processuale, questa volta rispettosa delle condizioni di legge. In qualche modo, esse, rappresentano una sconfitta per il sistema ed è quindi necessario, in forza del principio costituzionale della ragionevole durata, limitarne per quanto possibile l'impatto. L’attività tipica del giudice della cognizione è un giudizio di conformità tra il fatto concreto e la fattispecie astratta, che si attua mediante un sillogismo. Il sillogismo del giudice parte dalla premessa maggiore (in diritto: quindi l'individuazione della fattispecie e della norma da applicare), passa alla premessa minore (in fatto: quindi, la verifica di ciò che è accaduto), e trae poi la sintesi conclusiva, che è il giudizio (quindi, l'inserimento del fatto concreto all'interno della fattispecie astratta). Il giudizio, se concerne il merito, darà vita all'accertamento. Così, fra le stesse parti e in relazione allo stesso oggetto possono sussistere controversie e quindi azioni diverse (per esempio, azione di rivendica e possessoria). L'individuazione della causa petendi funziona in modo differente per i diritti relativi e quelli assoluti: * Diritti relativi: infatti per i primi ad ogni fatto costitutivo corrisponde un diverso diritto, cd. eterodeterminazione della domanda; * Diritti assoluti: il diritto è sempre lo stesso anche quando vi sono più eventi lesivi, cd. autodeterminazione della domanda. Ad esempio se si verificano più fatti illeciti che provocano danni successivi alla stessa persona. Ogni fatto-evento è suscettibile di un'autonoma azione risarcitoria; l'accertamento di un fatto non comporta l'accertamento degli altri; l'accertamento della sussistenza o dell'insussistenza, di un fatto non comporta l'insussistenza o la sussistenza degli altri. La domanda giudiziale concerne quel fatto (o quei fatti) di cui si vuole ottenere il risarcimento: spetta a chi agisce determinare, per così dire, dall'esterno il contenuto della domanda. Per questo si parla di eterodeterminazione. Se invece si vuole, ad esempio, ottenere l'accertamento del diritto di proprietà su un bene, la domanda si estenderà a tutti i possibili modi di acquisto della proprietà, e il contenuto della domanda è per questo determinato dall'interno (domanda autodeterminata) e non dall’esterno, come avviene nel caso precedente. L'accertamento e il giudicato si riferiscono ad una determinata azione, e dunque a quel rapporto fatto- norma e a quei fatti, dunque altri fatti permettono di riproporre la domanda se danno luogo ad un rapporto giuridico diverso, mentre non lo permettono se rientrano nello stesso rapporto. LITISPENDENZA, CONTINENZA, CONNESSIONE. Si è in presenza di litispendenza quando si hanno azioni identiche, di connessione quando si hanno azioni con alcuni elementi in comune, e di continenza quando si hanno azioni che hanno in comune alcuni elementi e un elemento diverso che, per una di esse, ricomprende quello corrispondente dell'altra. La connessione, inoltre, può essere: e Soggettiva: quando l'elemento comunque sono soltanto le parti; e Oggettiva: quando sono comuni l'oggetto e il titolo (entrambi o solo uno di essi. e Propria: quandovi è un elemento in comune; + Impropria: quando due azioni totalmente diverse devono però essere risolte in base alle medesime regole di diritto. Litispendenza, connessione e continenza rientrano nell’ambito dei presupposti processuali e vengono regolati dagli artt. 39 e 40 c.p.c.. Il sistema ha a questo proposito l’obiettivo di fare in modo che su una data domanda o azione vi sia una sola pronuncia giurisdizionale. In linea generale l'ordinamento in caso di litispendenza lascia in vita una sola azione sopprimendo le altre, mentre in caso di connessione cerca di favorire la trattazione delle varie azioni in un solo alveo processuale. 9. Le azioni di cognizione. L’ACCERTAMENTO COME OGGETTO DELLE AZIONI DI COGNIZIONE. Alla tripartizione delle tipologie di giurisdizione corrisponde un'analoga tripartizione sotto il profilo dell’azione. Le azioni di cognizione tendono tutte ad un ACCERTAMENTO, ossia un giudizio che attesti il confronto tra la situazione concreta in cui l'attore si trova e di cui lamenta qualche aspetto di antigiuridicità, con le norme positive. All'esito di questo confronto sta un giudizio, che per l'autorità di chi lo compie (il giudice, in nome del popolo), diventa la verità di legge su quella situazione e, quindi, l'accertamento vincolante. L'accertamento solitamente però non basta a garantire la tutela domandata, poiché occorre che ad esso acceda una clausola di condanna o che da esso conseguano effetti costitutivi. Si distinguono in questo modo azioni di mero accertamento, di condanna e costitutive. LE AZIONI DI MERO ACCERTAMENTO Le azioni di mero accertamento sono quelle in cui la pronuncia del giudice ha l'efficacia di tutelare l'interesse leso. Qui l'attore si trova, generalmente, in una situazione di materiale godimento, minacciata dalla pretesa altrui. La pronuncia di solito serve a confermare la legittimità della situazione, in sé già soddisfacente. Un esempio è l’azione confessoria servitutis, con la quale un soggetto, che gode di una servitù di passaggio sul fondo di un altro soggetto e che da quest’ultimo gli viene contestata, richiede un accertamento giudiziale (quindi di una servitù che è già esistente). La dottrina ha per tempo dubitato dell’ammissibilità delle azioni di mero accertamento, poiché manca l'interesse ad agire, in quanto si deve confermare una situazione già presente, e dunque di rado viene reintegrato un diritto leso. Non vi è interessa, ad esempio, quando la domanda è in definitiva fine a se stessa (/e c.d. Azioni di ittanza). Nell'esempio precedente, si potrebbe ritenere esistente l'interessa ad agire di A se B, mentre A sta cercando di vendere il proprio fondo a C, informasse quest'ultimo dei dubbi sull'effettiva esistenza della servitù. C potrebbe essere indotto ad abbandonare l'affare oppure a proporre un prezzo minore. Di qui, l'interesse concreto di A ad ottenere un accertamento sul punto. Un aspetto della tutela di mero accertamento è anche quello dell'accertamento negativo del preteso diritto della controparte. Di fronte alla domanda dell'attore, il convenuto può limitare il proprio interesse al mero non accoglimento al mero NON accoglimento di quella domanda, per qualunque ragione ciò avvenga, anche se di natura prettamente processuale di rito; può, però, anche avere l'interesse ad ottenere un accertamento della non esistenza del diritto vantato, per conseguire su questo punto il giudicato e quindi la certezza che la domanda non sarà più riproposta. LE AZIONI DI CONDANNA. All’accertamento, molto spesso, si affianca una domanda di condanna nei confronti del convenuto (a un dare, a un fare, a un lasciar fare, a un non fare) e si hanno in questo caso le azioni di condanna. Le azioni di condanna sono molto frequenti: vi rientrano, fra le altre, tutte le situazioni in cui l'attore chiede il pagamento di una somma o la consegna di un bene. Presupposto di queste azioni è il fatto che l’attore non abbia la materiale disponibilità del bene o dell’opera che gli deve essere prestata dal convenuto, e per la quale non basta l'affermazione dell’esistenza del suo diritto, ma gli occorre che l'ordinamento, attraverso il giudice, emani un comando concreto a carico della controparte. Alla pronuncia di condanna, se la parte condannata non adempie, segue un'esecuzione forzata, e questa è fondamentale perché altrimenti la parte vincitrice, pur avendo vinto in giudizio, NON otterrebbe la reintegrazione del suo diritto. Un punto più delicato è invece quello delle azioni speciali di condanna. Si discute innanzitutto sull’ammissibilità di una domanda di condanna generica (e cioè sull'an È quindi possibile dare una nozione di processo più articolata di quella utilizzata finora. Si può dire che il processo civile è un metodo per la risoluzione delle controversie civili che ne prevede la decisione da parte di un organo giurisdizionale, in posizione di terzietà e di imparzialità, con l'osservanza delle opportune garanzie e in un tempo ragionevole. Il singolo processo è quello che nasce con l'instaurazione della lite davanti all'organo giurisdizionale e che viene concretamente individuato dalle parti coinvolte e dalle domanda proposte. 10. La difesa del convenuto. Le eccezioni. Le domande riconvenzionali. Il principio di non contestazione. LA POSIZIONE DEL CONVENUTO. Di fronte alla domanda giudiziale il convenuto si può difendere in vari modi, connotati da una diversa intensità. 1. può limitarsi alla mera negazione del fatto; 2. egli può svolgere obiezioni in diritto, ossia affermare che il fatto sussiste, ma che la conseguenza giuridica trattata non sia esatta; 3. può contestare la sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione, in modo da impedire la realizzazione dell’iter dimostrativo che spetta all'attore compiere, infatti l'attore, per ottenere una pronuncia favorevole di merito e conseguire così il bene della vita auspicato, deve realizzare tutti i presupposti processuali e le condizioni dell'azione e, poi, raggiungere una valutazione di fatto e di diritto conforme alla sua domanda. Ma al convenuto basta, invece, ostacolare l'attore su un punto soltanto di questo percorso, perché la domanda dell'avversario venga respinta. 4. può anche dire, rispetto al fatto costitutivo, che esso sussiste, ma che accanto ad esso vi sono anche altri fatti, impeditivi, modificativi o estintivi, a causa dei quali il fatto complessivo risulta diverso rispetto a quello rappresentato dall'attore: questo è il concetto di eccezione. ECCEZIONE. Il convenuto può introdurre nel processo nuovi fatti che contrastano la domanda dell’attore sul piano della causa petendi, rendendo inapplicabile la norma che l'attore pretenderebbe di applicare Con eccezione si indica spesso QUALUNQUE difesa del convenuto, ma in senso proprio essa indica soltanto le deduzioni di fatti nuovi che alterano il quadro prospettato dall'attore. In senso strettissimo, inoltre, si parla di eccezione quando i fatti allegati dipendono in senso giuridico dal convenuto. Nel significato di difesa attiva si distingue tra eccezioni di rito ed eccezioni di merito: e Eccezionidi rito: il convenuto contrasta qualcuno dei requisiti che devono sussistere per la legittima decisione del giudice; * Eccezioni di merito: affronta le difese dell’attore direttamente sul piano dell’esistenza del diritto. Un'altra importante distinzione è quella fra le eccezioni che possono essere sollevate solo su istanza di parte e le eccezioni rilevabili d'ufficio. La rilevabilità d’ufficio delle eccezioni si deve coordinare con il principio della disponibilità della materia del contendere in capo alle parti, che comporta che normalmente siano soltanto le parti a decidere su cosa litigare e su quali questioni confrontarsi. All’interno del perimetro della materia del contendere fissato dalle parti vi sono però profili così importanti che la legge ne impone la considerazione almeno da parte del giudice, non potendolo imporre alle parti. DOMANDA RICONVENZIONALE. Il convenuto può infine passare al contrattacco e proporre a sua volta una domanda contro l'attore, e questa prende il nome di domanda riconvenzionale. Si pensi ad un contratto di appalto, in cui l'appaltante cita in giudizio l'appaltatore per ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento, ritenendo che l'appaltatore stia lavorando male e senza rispettare i termini di consegna delle opere. L'appaltatore oltre a difendersi contestando le affermazioni dell'attore, potrà a sua volta chiedere al giudice il pagamento delle proprie spettanze. Il convenuto potrebbe anche proporre la propria domanda in un giudizio autonomo, ma può avere un interesse nel proporre una domanda riconvenzionale per mostrare al giudice l'atteggiamento antigiuridico dell'attore, così da difendersi e al tempo stesso ottenere un vantaggio. Ne segue che le due azioni, ossia la domanda principale dell’attore e la domanda riconvenzionale del convenuto, per essere trattate nello stesso processo, devo avere un legame di connessione per il titolo o per l'oggetto, come disposto dall'art. 36 c.p.c. La giurisprudenza ammette in realtà che possa essere proposta dal convenuto una domanda riconvenzionale non altrimenti connesso per il titolo o per l'oggetto a nessuna delle domande dell'attore, purché ne venga rispettata la competenza per materia, valore e territorio dell'organo giudiziario adito dall'attore (in virtù del principio di economia processuale). OGGETTO DEL PROCESSO E MATERIA DEL CONTENDERE. L'oggetto del processo è dato dalla domanda dell'attore, dalle eccezioni e domande riconvenzionali del convenuto, e dalle eccezioni e domande riconvenzionali proposte a sua volta dall’attore (reconventio reconventionis), con l'aggiunta dell’apporto di eventuali terzi. Inoltre, anche il giudice può contribuire alla definizione di ciò che deve essere deciso, non per mezzo di autonome domande, ma per mezzo delle eccezioni proponibili d'ufficio. STRATEGIA DIFENSIVA DEL CONVENUTO. IL PRINCIPIO DI NON CONTESTAZIONE. Il convenuto sceglie tra le modalità di difesa in base alle circostanze e soprattutto alla prognosi che egli può fare sull’assolvimento dell'onere probatorio a carico dell'attore. Inoltre, le norme positive (art. 167 c.p.c. e art 416 c.p.c.) impongono al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda e di proporre eventuali eccezioni di rito o di merito non rilevabili d'ufficio (a pena di decadenza). L’art. 115 comma 1 c.p.c. dispone anche che “il giudice ponga a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”. Riguardo a quest’ultimo punto si nota dunque il principio di non contestazione, che significa che se una delle parti racconta un fatto e l’altra parte non lo contesta o non propone una versione dei fatti incompatibile con quella dell’altra parte, allora il giudice non deve compiere alcuna indagine, e ritiene per confermata quella circostanza. Questo principio è una conseguenza del criterio di economia processuale combinato con la responsabilità delle parti e la loro autonomia nella gestione del contenzioso (se le parti non contestano, allora su quel punto non vi è contenzioso, e dunque il giudice non è chiamato a pronunciarsi sulla verità o meno di quel fatto). Il principio di non contestazione opera, tuttavia, soltanto a condizione che: * la parte interessata a negare un fatto sia attivamente presente nel processo; e sia in grado di avere un’opinione sulla verità del fatto che decide di non contestare. 11. La disponibilità della tutela giurisdizionale. Il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato. LA DISPONIBILITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE. Data una controversia e una lesione di una posizione soggettiva, la parte può decidere di richiedere la tutela giurisdizionale oppure di rinunciare alla pretesa, scegliere una forma di risoluzione non giudiziale, ecc. La tutela giurisdizionale, infatti, nel nostro sistema è disponibile, e questo significa che il soggetto interessato può agire o non agire, e, dopo avere agito, può disporre del diritto sostanziale e/o dell’azione. Il principio della domanda viene sancito dall’art. 2907 c.c., in base al quale “i/ processo inizia accertare l'evidente inesistenza della pretesa di A. In questi casi, in coerenza con il dettato costituzionale della ragionevole durata del processo, si reputa corretto che il giudice decida nel merito, mentre la questione a monte resta assorbita. Inoltre, il giudice NON può introdurre nel processo elementi di fatto diversi da quelli che le parti gli propongono, ma, poiché conosce il diritto, può qualificare le domande in modo diverso e deve anche verificare le domande e le eccezioni delle parti e respingere quelle non conformi alle fattispecie legali designate dalle norme (e ciò NON rappresenta un vizio di ultrapetizione). Un punto delicato (su cui si tornerà più avanti) è quelle delle eccezioni rilevabili d'ufficio, infatti il giudice può porle a fondamento della sua decisione, ma questo potere va coordinato con il monopolio delle parti nella determinazione della materia del contendere. PROCESSO CIVILE E GESTIONE DEGLI INTERESSI. Il giudice deve sempre più, oltre che applicare le norme e esercitare la giurisdizione, svolgere anche un’atti attiva di gestione della lite attraverso la ponderazione degli interessi. Vi è inoltre un incremento di forme di processualizzazione dell'operato della p.a., con l'inserimento di elementi di trasparenza, informazione e ascolto degli interessati. In questo modo il metodo amministrativo e quello giurisdizionale tendono ad avvicinarsi, ma tra la decisione amministrativa e la decisione giudiziaria vi è sempre una differenza data dalla mancanza, nella decisione a mministrativa, di terzietà del decidente e di parità di posizioni giuridiche fra i contendenti. La tendenza ad avvicinare sempre di più il metodo procedurale, accentuata ancora di più dal contributo della normazione europea (nonostante l’art. 6 Cedu e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue), è destinata a veicolare anche la sostanza della decisione, infatti in entrambi i casi il giudice in vista di un interesse superiore, bilanciando opportunamente gli interessi particolari, seguendo un procedimento che consenta a tutti i portatori di interesse di fare sentire la loro voce, prende la decisione secondo lui migliore. Bisogna tuttavia fare attenzione a fare in modo che la sovrapposizione non si risolva in un impoverimento della tutela. 12. Il principio del contraddittorio. LA NOZIONE DI CONTRADDITTORIO. Il principio del contraddittorio è un elemento cardine di ogni sistema processuale di cognizione (e, con qualche limitazione, anche cautelare e di esecuzione). Innanzitutto l'essenza del contraddittorio comporta che i/ giudice NON possa decidere se non avendo ascoltato tutte le parti e che ciascuna parte sia posta in condizione di poter contrastare le tesi delle altre. Il principio del contraddittorio è intrinseco nel processo, in quanto quest’ultimo ha sempre una struttura dialettica, nella quale vi è un conflitto tra più parti su una controversia (la quale, per natura, è incerta, altrimenti non vi sarebbe conflitto e di conseguenza processo). Si può quindi dire che il contraddittorio sia un aspetto irrinunciabile del processo, e che lo sarebbe anche se, per assurdo, le norme non lo tutelassero. Il legislatore di oggi può optare per governare date situazioni senza il processo, ma se sceglie il processo, deve consentire uno spazio pieno all'operatività del contraddittorio, senza remore e senza esitazioni. La nozione di contraddittorio sembra sovrapporsi a quella di diritto di difesa. Tuttavia, la differenza tra contraddittorio e diritto di difesa è il fatto che i/ diritto di difesa attiene alla sostanza, mentre il principio del contraddittorio attiene al metodo. Il diritto di difesa suppone che ogni parte possa incidere effettivamente sul convincimento del giudice e il contraddittorio è il modo in cui ciò si realizza. Inoltre, il principio del contraddittorio si connette al principio dell'uguaglianza tra le parti e l'uguaglianza di esse davanti al giudice. Le parti sono uguali, hanno uguali diritti e devono essere poste in condizione di fronteggiarsi in modo equilibrato. LE BASI NORMATIVE DEL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO. Le norme fondamentali cui si riconnette il principio del contraddittorio sono: e Art. 24 Cost.: che garantisce il diritto alla difesa; * Art. 111 Cost.: che stabilisce quali sono le caratteristiche essenziali del processo; e Art. 101c.p.c.: al cui primo comma si dispone che, “salvo che la legge disponga diversamente, il giudice non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale la domanda è stata proposta non è stata regolarmente citata e/o non è comparsa”; * Art. 6 Cedu: rubricato “diritto ad un processo equo” (ossia equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, di fronte ad un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione dei diritti e doveri di carattere civile di ogni persona, e della fondatezza di ogni accusa penale ad essa rivolta), analogamente a quanto garantito dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. NUCLEO ESSENZIALE DEL CONTRADDITTORIO. A partire dagli anni ’60-’70 la Corte costituzionale ha riletto le norme vigenti alla luce dell’art. 24 Cost. Ad esempio la Corte ha ritenuto legittimo che il legislatore diversifichi l'intensità delle modalità della difesa a seconda del tipo di processo, purché vi sia però un nucleo irrinunciabile del diritto di difesa costituito dall’assistenza di un difensore tecnico, il diritto di provare fatti, e il principio di contraddittorio, nel senso che ogni atto del giudice deve passare attraverso il reciproco controllo delle parti. Inoltre, bisogna esaminare il rapporto tra l'art. 24 e art. 111 Cost., nel senso che bisogna capire se l'art. 111 abbia aggiunto qualcosa a ciò che l'elaborazione della Consulta aveva fissato. Sembra si possa dire che l’art. 111 incide essenzialmente sul processo penale, ma non aggiunge nulla all'ampliamento delle tutele conseguita con l'applicazione dell’art. 24 Cost. (mentre l’art. 111 apporta un diverso contributo innovativo sul terreno della ragionevole durata del processo). IL CONTRADDITTORIO FRA PARTI E GIUDICE. La moderna coscienza giuridica si è posta il problema di garantire il contraddittorio sia tra le parti, sia tra le parti e il giudice nelle decisioni di terza via o a sorpresa, ossia quelle nelle quali, dopo che le parti hanno proposto due percorsi differenti, il giudice decide di seguirne un terzo, o di sollevare d'ufficio una data questione, che lo porta ad optare per una terza soluzione. Ad esempio l'attore propone al caso la soluzione A e il convenuto la soluzione B. il giudice invece segue un proprio percorso, oppure solleva d'ufficio una determinata questione, che lo porta ad optare per la soluzione C. In questi casi, le parti possono discutere con il giudice il punto prima della decisione, infatti l'art. 101 comma2 c.p.c. (introdotto nel 2009), stabilisce che, “se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione sollevata d'ufficio, il giudice non può decidere da solo, ma deve prima garantire alle parti la possibilità di depositare scritti difensivi con osservazioni su quella questione”. All'art. 384 comma 3 c.p.c viene stabilito anche che “/a Cassazione, se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio e non fatta oggetto di motivi o difese presentai dalle parti, non può decidere subito, ma deve riservare la decisione, dando da 20a 60 giorni al p.m. e alle parti per depositare in cancelleria osservazioni sulla questione”. LIMITI ALL’OPERATIVITÀ DEL CONTRADDITTORIO. Il processo comprende il contraddittorio in ogni sua parte, ma vi sono in concreto alcune eccezioni alla piena operatività del principio del contraddittorio, la cui legittimità viene oggi posta in discussione alla luce dell'art. 111 Cost. Ad esempio all'art. 669-sexies c.p.c. si consente (in ambito di procedimento uniforme in materia cautelare), che il giudice emetta senza contraddittorio un provvedimento cautelare di durata non superiore a 15 giorni: infatti, il giudice deve fissare un'udienza da tenersi entro 15 giorni, nella quale in contraddittorio, può confermare o revocare il provvedimento. Inoltre, all'art. 633 ss. c.p.c. si dispone che nel procedimento di ingiunzione o monitorio, il giudice decida sulla domanda dell’attore senza sentire la controparte, ma va comunque notato che il provvedimento, se favorevole all’attore, acquista efficacia piena solo se entro un certo termine dalla notifica la controparte non si oppone (e dunque il contraddittorio è eventuale e differito). Scegliere un processo più caratterizzato nell'uno o nell'altro senso dipende da una scelta politica: il principio dispositivo è coerente con l'idea del processo come gioco fra le parti, mentre il principio inquisitorio è in linea con l'idea del processo che deve dare ragione a chi ce l'ha. L’attività di ricerca delle prove si scontra però con alcune difficoltà od ostacoli materiali che ne limitano l’efficacia, come lo scorrere del tempo, che influisce negativamente sulla memoria e sulle tracce, la mancanza di collaborazione da parte di terzi che detengono fonti di prova, e le limitazioni ai poteri del giudice. L'ordinamento cerca spesso di superare questi ostacoli attraverso delle presunzioni, ossia considerando vere alcune circostanze quando la parte che doveva cooperare o accertarle si rifiuta di farlo. L'obiettivo dell'ordinamento non è comunque in assoluto il raggiungimento della verità, ma piuttosto la determinazione della certezza del rapporto. IL LIBERO CONVINCIMENTO DEL GIUDICE E LE PRESUNZIONI. Una volta raccolto il materiale istruttorio, si tratta di vedere come il giudice lo deve valutare. Il convincimento del giudice sulla verità dei fatti può formarsi secondo due diversi modelli: 1. Valutazione predeterminata del materiale istruttorio acquisito: è un metodo molto verificabile ma rozzo, perché presuppone criteri automatici di valutazione; 2. Valutazione libera del materiale istruttorio acquisito: ossia il criterio del libero convincimento e apprezzamento. L'art. 116 c.p.c. dispone che “normalmente il giudice decida sui fatti secondo il suo libero convincimento, e deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento salvo che la legge disponga altrimenti” ossia tranne che nei casi di c.d. prove legali”. Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parte gli danno in sede di interrogatorio libero, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinato e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo. Questo metodo può certo creare degli errori, ma essi possono essere corretti in appello, mentre irrimediabili sarebbero le ingessature causate da automatismi rigidi (ad esempio, se due testimoni affermano la stessa cosa, ciò significa che è vera). Consiste in una valutazione razionale, la quale presuppone una serie di passaggi logici di cui il giudice deve dare conto nella sua motivazione. Il giudice può inoltre servirsi di presunzioni, ossia utilizzare un meccanismo logico che da un fatto noto di livello inferiore fa dedurre un fatto ignoto. Le presunzioni NON sono mezzi di prova (nel senso che non sono modalità autonome di approccio ai fatti) né prove, ma sono soltanto un ragionamento induttivo. Le presunzioni si distinguono in: * Presunzioni semplici: quando il ragionamento induttivo viene svolto dal giudice sulla base di comuni criteri di razionalità. Le presunzioni semplici possono essere ammesse dal giudice solo se gravi, precise e concordanti, sulla base dell’art. 2729 c.c. + Presunzionilegali: quando il “ un fatto x ricollega un fatto y ragionamento” viene svolto dalla legge, ossia la legge ad L’art. 116 c.p.c. menziona invece gli argomenti di prova, diversi dalle presunzioni perché queste ultime consentono al giudice di decidere il caso, mentre gli argomenti servono solo a corroborare una valutazione, che si deve fondare su basi più solide. LE PROVE LEGALI. Il principio del libero convincimento presenta però alcune deroghe: * Prove legali: sono le prove la cui valutazione da parte del giudice è predeterminata, e più precisamente sono il giuramento, la confessione, l'atto pubblico e la scrittura privata autenticata. e Presunzioni legali: ossia, come detto, da una premessa si trae per legge una certa conseguenza. Le presunzioni legali si distinguono poi in: Presunzioni iuris et de iure: che non ammettono prova contraria. Presunzioni iuris tantum: che ammettono la prova contraria. 14. Impulso di parte e impulso d'ufficio. La direzione del processo. L'IMPULSO DI PARTE. Agli occhi di un osservatore esterno, il processo appare come una successioni di atti scritti ed udienze, vale a dire di incontri tra le parti e il giudice. Per quanto riguarda la determinazione della successione delle fasi del processo, vi può essere lo “schema” dell’iniziativa di parte, o quello dell'impulso del giudice. Il processo civile italiano, escluso quello di fronte alla Cassazione, è retto dal principio dell’impulso di parte, e ciò significa che è quest’ultima ad avere l’onere costante di mantenere in vita il processo (e ciò è coerente con il monopolio della tutela giurisdizionale in capo alle parti). Le applicazioni del principio dell'impulso di parte sono molteplici. Si può affermare che ad ogni snodo del procedimento le parti siano chiamate a confermare la loro volontà di andare avatni, ponendo in essere attività specifiche. Il processo, infatti, si estingue ex art. 306 c.p.c. per rinuncia agli atti del giudizio (ossia quando le parti decidono di porre fine alla lite), ma può anche estinguersi ex art. 307 e 309 c.p.c. quando le parti non continuano ad esercitare attività di impulso, come scegliere di non presentarsi in udienza, od omettere certi atti. Più precisamente: se nessuna delle parti si presenta all'udienza, il giudice fissa una seconda udienza; ove le parti non si presentino nemmeno alla seconda udienza la causa viene cancellata dal ruolo e il processo si estingue immediatamente. Bisogna dare un'occhiata all’istituto della riassunzione del processo in base al quale, in dipendenza da vari eventi procedurali, occorre talvolta che la parte chieda nuovamente al giudice di prendere in esame la trattazione del procedimento, dando così nuovo impulso a due processo già esistente. Il processo davanti alla Corte di cassazione è retto, invece, dall’impulso d'ufficio, e ciò significa che una volta proposto il ricorso, il processo prosegue fino alla sentenza, a meno che le parti non rinuncino. DIREZIONE DEL PROCESSO E CASE MANAGEMENT. In base all'art. 127 c.p.c., “la direzione del processo spetta al giudice”, ed è dunque lui soltanto a dettare i tempi e imprimere l'orientamento della trattazione, decidere se effettuare l’attività istruttoria, avviare o no la causa in decisione, decidere su tutta o parte della materia del contendere, fissare le udienze, ecc. Ovviamente, il giudice applicherà le norme di procedura, me le norme gli fissano solo limiti esterni. È sempre più accentuata, inoltre, la tendenza a fare del giudice una sorta di manager della giustizia. L'espressione anglosassone “Case management” sta a significare non soltanto trattazione del processo, ma anche capacità di stabilire quanto tempo, energie e attenzioni si possono dedicare ad un singolo giudizio, in rapporto agli altri giudizi che devono ancora essere decisi, sapendo che vale per tutti il criterio costituzionale della ragionevole durata. Va detto, però, che il magistrato non riceve alcuna formazione in un questo senso. È un giurista che apprende in pratica come gestirsi, riuscendosi più o meno efficacemente in base alle sue qualità personali. Vale inoltre il criterio dell'economia processuale, ossia la tendenza ad evitare inutili duplicazioni di attività e a favorire la semplificazione. IL PROCESSO A STRUTTURA ELASTICA. Rispetto al potere di direzione del processo si configurano due modelli: * Processo astruttura rigida: caratterizza la maggior parte del sistema italiano; * Processo astruttura elastica: la struttura elastica del processo significa che in determinate fasi processuali il giudice può imboccare una fra più strade differenti (tutte predeterminate)a seconda delle esigenze del caso concreto. processo attraverso la dematerializzazione degli atti. In modo telematico si possono oggi attuare le comunicazioni tra giudice e parti o tra le parti, presentare atti giudiziari, emettere provvedimenti giurisdizionali, consultare lo stato dei procedimenti, o anche pagare le spese giudiziali. Queste operazioni sono comunque destinate ad essere implementate nel tempo, fino ad arrivare al cosiddetto processo paper-less (il cui punto di partenza è stata l'accettazione della validità del documento informatico e delle condizioni di sicurezza che lo devono accompagnare, ossia le firme elettroniche). Le trasmissioni elettroniche si basano sulla posta elettronica certificata (pec), ovvero su una tecnologia in grado di garantire aspetti che venivano un tempo demandati esclusivamente ad epicentri di pubblica fede, come l’ufficiale giudiziario per il procedimento di notificazione oppure il servizio postale per le spedizioni raccomandate. L’introduzione delle modalità informatiche fa cambiare la forma espressiva e la velocità delle comunicazioni, ma non incide sulla struttura del processo, infatti rimangono saldi i suoi punti essenziali, come il contraddittorio, la ragionevole durata, il diritto di difesa, l’imparzialità del giudice, ecc. PUBBLICITÀ E TRASPARENZA. La giurisdizione, sulla base dell'art. 101 Cost., “viene esercitata in nome del popolo”, e dunque la sua modalità di esercizio devono avere pubbli : le udienze, ad esempio, sono pubbliche, pena la nullità, e sono invece a porte chiuse solo per ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume; anche le sentenze, inoltre, sono pubbliche. Vi è inoltre il profilo della trasparenza, che significa che il cittadino non giurista deve essere in grado di comprendere cosa sta accadendo nel processo, problema che si presenta a livello di: 1. Comprensione linguistica: problema che riguarda i processi transnazionali, le minoranze linguistiche, ma anche le minoranze etniche e i gruppi di immigrazione; 2. Comunicazione delle nozioni giuridiche; 3. Rapportitra il giudice e le parti: tende ad escludere ogni forma di decisione a sorpresa, o comunque ogni decisione non oggetto di dibattito giudiziario. Si è verificata un'evoluzione e un rafforzamento in tal senso sia negli ordinamenti germanici, sia in quelli latini. 4. Informazione diretta al cittadino: o permettere la partecipazione al processo, come in caso dell'art. 163 comma 2 n. 7 c.p.c., che comporta un avviso al destinatario della notifica circa gli effetti della sua contumacia, o come anche l’impiego di modelli prestampati nei regolamenti europei, che consentono spesso a cittadino/impresa di svolgere attività senza necessariamente essere aiutati da un avvocato. L’intero sistema europeo è incentrato su questa operazione informativa, di cui è cardine la decisione del 28 maggio 2001 istitutiva della rete giudiziaria, il cui scopo è quello di mettere a disposizione degli utenti una notevole mole di notizie e dati. 16._Jl giudicato. Introduzione. IL GIUDICATO COME OBIETTIVO DEL PROCESSO DI COGNIZIONE. L'obiettivo del processo di cognizione consiste nel formarsi di un accertamento sulla controversia, ossia si deve conoscere in modo certo la risposta che l'ordinamento dà alla lite. Il giudicato è l'accertamento stabile e definitivo che si ha al termine del processo di cognizione. Gnoseologicamente, non vi è motivo per essere certi che la decisione del secondo giudice sia meglio della prima, o che dopo tra giudizi si arrivi all'esito preferibile. Semplicemente è l'ordinamento che in un certo momento storico annette stabilità all'accertamento ottenuto secondo certe modalità e non altre. Va ricordato e sottolineato che l’esercizio dell'attività giurisdizionale si può dare una volta soltanto per una certa controversia, sulla base del principio ne bis in idem. GIUDICATO IN SENSO FORMALE E SOSTANZIALE. Il giudicato ha due significati, ossia il giudicato in senso sostanziale e quello in senso formale: * Giudicato formale riguarda l’incontrovertibilità di ciò che è stato deciso, e ne consegue dunque il divieto di ripetere l'accertamento e il giudizio sulla stessa causa, in correlazione con il principio per il quale l'ordinamento prevede una tipologia chiusa di mezzi di impugnazione. In base all'art. 324 c.p.c. “ È passata in giudicato formale la sentenza che non è più attaccabile con i mezzi di impugnazione ordinari (regolamento di competenza, appello, ricorso per cassazione e revocazione ordinaria), perché già esperiti o non più esperibili”. * Giudicato sostanziale: viene invece disciplinato dall'art. 2909 c.c, dove si dispone che “l'accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa”. Il giudicato sostanziale è dunque /a CONCRETIZZAZIONE della norma generale e astratta, ossia il comando dato dal giudice nel caso concreto. Dalla norma (generale, di codice) che sancisce la responsabilità patrimoniale del debitore, si passa alla norma (concreta, contenuta nell'accertamento) che impone ad A di pagare la somma X a B. Per questo non è sbagliato dire che il giudicato sostanziale è “la legge del caso concreto”, e prevale dunque anche sugli eventuali mutamenti legislativi, poiché prevalgono le ragioni di certezza; a questa regola sfugge solo la rara eccezione di una legge successiva che espressamente disponga la perdita di efficacia dei giudicati formati secondo la disciplina precedente. A passare in giudicato NON è la sentenza, ma l'accertamento contenuto in essa, infatti la sentenza può anche pronunciarsi solo su profili diversi dal merito, come ad esempio i presupposti processuali, e ciò significato che tutte le sentenze possono passare formalmente in giudicato, ma non tutte danno luogo a giudicato sostanziale, perché non contengono tutte un accertamento di merito (non si forma giudicato sostanziale dove non si ha un accertamento tendenzialmente stabile). Si è detto che costituiscono ostacolo per il giudicato formale la proponibilità delle impugnazioni ordinarie. Invece le impugnazioni straordinarie possono essere, invece, proposte anche contro le sentenze passate in giudicato formale e contenti un accertamento passato in giudicato sostanziale, poiché vi sono casi in cui il mantenimento della certezza comporta un’ingiustizia così forte da risultare intollerabile. In questi casi, peraltro eccezionali, è possibile la caducazione del giudicato. | mezzi di impugnazione straordinaria sono la revocazione straordinaria, la quale è collegata ad ipotesi gravissime di ingiustizia sostanziale (si pensi al dolo del giudice, con una violazione clamorosa del dovere di imparzialità), e l'opposizione di terzo, che si ha quando la sentenza ha leso un diritto soggettivo del terzo che non ha partecipato al giudizio, in contrasto con il principio del contraddittorio. GIUDICATO E GIURISDIZIONE ESECUTIVA E CAUTELARE. Il giudicato è il risultato del processo di cognizione, mentre il processo di esecuzione e quello cautelare NON hanno come esito un accertamento definitivo, e non si può quindi parlare di giudicato, ma solo di giurisdizione. Il processo cautelare porta ad un provvedimento provvisorio, mentre il processo esecutivo non porta ad un accertamento ed ha effetti giuridicamente fondati, ma_materiali, mentre il giudicato non ha mai conseguenze materiali dirette. 17. I limiti soggettivi del giudicato. EFFICACIA SOGGETTIVA DEL GIUDICATO. Il giudicato sostanziale ha limiti soggettivi ed oggettivi, e nel primo caso il problema è quello di stabilire nei confronti di chi abbia efficacia il giudicato sostanziale, ossia verso chi sia rivolto il comando. Il già citato art. 2909 c.c. dispone che “l'accertamento della sentenza passata in giudicato ha efficacia tra le parti, i loro eredi e aventi causa” IL punto fondamentale è che il giudicato si forma e si esplicita fra le parti del rapporto sostanziale, a prescindere da chi abbia agito nel processo. Effetti riflessi ossia le situazioni di vantaggio o svantaggio fattuale che ricadono sul terzo come conseguenza del giudicato tra altri soggetti. Ancora una volta, si assiste ad un diverso modo di operare fra diritti assoluti e diritti obbligatori. In particolare, nei diritti obbligatori, l'accertamento del rapporto può comportare conseguenza patrimoniali anche su soggetti che a quel rapporto erano estranei. Ad esempio la sentenza che condanna un soggetto a pagare il suo creditore con tutto il suo patrimonio priva gli altri creditori del pagamento. Normalmente gli effetti riflessi non ricevono tutela, ma l'ordinamento prevede almeno un caso di emersione degli interessi colpiti, infatti l'art. 404 comma? c.p.c. dispone “che l'opposizione di terzo revocatoria consente al terzo di mettere in discussione sentenze passate in giudicato che hanno su di lui un riflesso negativo qualora siano l’effetto di frode a suo danno”. Nel caso di sentenza che pregiudica i diritti di un terzo non intervenuto nel processo, l'accertamento contenuto in essa ha effetto vincolante limitato alle parti del processo, e non è opponibile al terzo, in quanto la sentenza non si è pronunciata sul suo diritto. Il terzo pregiudicato nel suo diritto può sia esercitare un'azione di mero accertamento del suo diritto, sia agire ex art. 404.1 c.p.c. con opposizione di terzo semplice. Efficacia ultra partes della sentenza o di estensione degli effetti del giudicato, infatti vi sono casi in cui il giudicato tra le parti espande necessariamente i suoi effetti oltre le parti del rapporto (come nel caso in cui una persona impugna una delibera assembleare di una società e ne ottiene l'annullamento, coinvolgendo così anche altre persone che, in quanto soci, vengono coinvolti dal nuovo assetto). Vi sono poi casi in cui l'ordinamento permette un'estensione anomala del giudicato: come nel caso dell'art. 1306 c.c., che prevede che “/a sentenza pronunciata tra il creditore e uno dei debitori in solido o tra il debitore e uno dei creditori in solido non ha effetto contro gli altri debitori o creditori” (e fin qui si tratta di una normale applicazione delle regole sui limiti soggettivi del giudicato); oltre a questo, il comma 2 dispone però anche che “gli altri debitori possono opporla al creditore, se non è fondata su ragioni personali del condebitore”. Gli altri debitori dunque sceglieranno di avvalersene se è ad essi favorevole, ossia se la decisione ha respinto la domanda del creditore o ne ha ridotto l'ammontare tanto da renderla conveniente. Analogamente, gli altri creditori possono fare valere la sentenza contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi. Ne segue che il giudicato qui si estende soggettivamente oltre le parti, a seconda dell'esito della causa. Questo fenomeno è però da NON confondersi con il litisconsorzio necessario, nel quale più soggetti sono necessariamente parte di un processo, in quanto parti del rapporto sostanziale, e dunque se questi soggetti non sono stati coinvolti, il processo non può essere deciso, e se via una decisione, essa dev'essere considerata inesistente. Nell’efficacia ultra partes invece, i terzi possono legittimamente restare fuori dal processo e la sentenza è data correttamente non nei loro confronti, ma essi ne ricevono comunque gli effetti. * Efficacia erga omnes del giudicato: nei rapporti di status si intende che il giudicato del processo tra due parti ha però effetti che si impongono a tutti i cittadini (se un figlio viene riconosciuto come tale dal padre, questo vale anche nei confronti dei terzi, ossia per le persone e gli istituti che frequenterà, per i rapporti ereditari con gli altri, ecc.). Queste conclusioni vanno poste a confronto con le norme costituzionali sul processo, e dunque in particolare con l’art. 111 Cost., che afferma i principi del contraddittorio e del giusto processo come condizione per l'esercizio legittimo della giurisdizione. I limiti del giudicato hanno valenza costituzionale, nel senso che di norma il giudicato non può avere efficacia se non tra le parti del contraddittorio e che ogni estensione deve essere interpretata in modo restrittivo. 18. / limiti oggettivi del giudicato. OGGETTO DEL GIUDICATO. Il problema dei limiti oggettivi del giudicato riguarda quale materia oggetto di controversia debba ritenersi definitivamente accertata. Questo aspetto è di notevole importanza sotto il profilo dell'attività del giudice. Può accadere, infatti, che la parte insoddisfatta dell'esito riproponga la stessa domanda, chiedendo un secondo (inammissibile) giudizio da parrà del giudice sulla stessa controversia, e l’altra parte solleverà dunque l’eccezione di cosa giudicata; la parte istante potrebbe allora replicare che quell’aspetto non era invece stato effettivamente deciso, e sarà il giudice a stabilire i limiti oggettivi del primo giudicato, ricavando così ciò su cui si può ancora dare un giudizio. Il punto di partenza è costituito dall’individuazione del profilo oggettivo dell’azione, dato dal petitum e dalla causa petendi. Chi propone la domanda tende ad accertare una certa situazione il giudicato, tendenzialmente, il giudicato si forma sull’oggetto della domanda, e bisogna quindi individuare il fatto costitutivo e i fatti lesivi, posti a fondamento della domanda. Mentre nei diritti obbligatori il fatto costitutivo e il fatto lesivo coincidono, nei diritti assoluti una pluralità di fatti lesivi mette in gioco un solo diritto, e dunque gli effetti del giudicato saranno molto diversi. Se A chiede accertarsi il suo diritto di proprietà sul fondo F nei confronti di B (ad es. assumendo di averlo acquistato) e la sua domanda viene respinta con sentenza passata in giudicato, resta asseverato che, per i fatti anteriori alla denuncia, il proprietario del fondo F è B non A. qualora più tardi A affermasse di non aver acquistato, ma di aver usucapito il fondo F, non potrebbe conseguire una seconda pronuncia, perchè è già passato in giudicato l'accertamento del diritto di proprietà in capo a B. Si dice che il giudicato copre il dedotto e il deducibile nel senso che comprende i fatti lesivi specificati e quelli anteriori che avrebbero potuto essere introdotti in causa e non lo sono stati, (ma non il non deducibile, ad esempio i fatti successivi). GIUDICATO IMPLICITO E GIUDICATO ESTERNO. Il giudice, per giungere alla decisione, deve compiere dei passaggi logici e affrontare determinati aspetti, anche implicitamente. La definizione, con forza di giudicato, di un certo punto suppone anche la definizione dei punti pregiudiziali, anche se non espressamente discussi, e dunque si parla di giudicato implicito e di. giudicato esterno. * Giudicato implicito: si parla di giudicato implicito per affermare che il giudicato copre non solo l'oggetto diretto della pronuncia, ma anche tutto ciò che ne è il fondamento logico-giuridico, anche se non viene discusso in causa. Il giudicato implicito è una costruzione giurisprudenziale, rispetto alla quale la dottrina dato una lettura parzialmente diversa. Infatti si è rilevato che le questioni pregiudiziali di merito sono coperte dal giudicato solo se per legge o volontà delle parti il giudice vi abbia esteso la sua diretta cognizione. Un'altra parte della dottrina pensa invece che sia sempre e comunque coperta la pregiudizialità logica che comprende tutte le questioni, la soluzione delle quali in modo non coerente con la decisione sul merito ne avrebbe impedito la pronuncia. La prima tesi è però quella preferibile, nel senso che l'estensione implicita del giudicato si deve coordinare con tutto ciò che rappresenta la volontà delle parti di litigare su una certa questione e non su altre, volontà espressa dai principi del monopolio della tutela giurisdizionale, del contraddittorio, della trasparenza e della gestione degli interessi. * Giudicato esterno: si intende la decisione, emessa dal giudice con forza di giudicato nella causa x, che fissa in modo stabile l'accertamento su alcuni elementi della controversia sottoposta al giudice nella successiva causa y. Le sentenze dei giudici di merito (ad es., penali o amministrativi) passate in giudicato che abbiano statuito su profili sostanziali della controversia, sono suscettibili di acquistare autorità di giudicato
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