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Argomenti di Storia Moderna, Appunti di Storia Moderna

Riassunti dei principali argomenti di Storia Moderna

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 23/09/2023

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Scarica Argomenti di Storia Moderna e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! ENCOMIENDA: L'encomienda fu una istituzione giuridica e socio-economica spagnola vigente fin dal medioevo e introdotta nelle colonie d’America all’indomani della Conquista nel XVI secolo. Fu la prima base per la formazione di proprietà latifondistiche. Con l’encomienda de indios in nome del re venivano affidati (encomendar significa appunto affidare) a un colono spagnolo, definito conquistador, un certo numero di indios tramite un’operazione definita repartimiento,, ai quali egli si impegnava ad insegnare le verità della religione; in cambio poteva richiedere le più svariate prestazioni di lavoro: da quelle agricole, a quelle artigiane, alla massacrante fatica nelle miniere. Le terre degli indios furono quindi divise tra i conquistadores, o tra coloro che potevano vantare d’essere loro discendenti. Il rapporto costruito dall’encomienda non era originariamente basato sulla terra, per se poi con la parola encomienda si associò terra di spagnoli e lavoro indio. Si deve riconoscere che il lavoro estorto agli indios era un lavoro forzato, obbligatorio e non era ceduto solo in cambio dell’istruzione religiosa. Il problema che dunque si pone è se sia possibile identificare l’encomienda come un’istituzione di stampo feudale. Essa venne infatti riconosciuta dai giuristi spagnoli come una forma, magari imperfetta e singolare, di feudo. Gli indios oltre a dover lavorare e a non poter accedere liberamente al mercato del lavoro, non erano salariati, perché tutta la vasta gamma di mansioni che venivano imposte, entravano in un circolo di economia naturale; il dominio si basava sugli uomini, sui villaggi e sulle loro rendite tributarie; le terre che venivano fatte lavorare erano di proprietà dei coloni non per acquisto, ma per conquista, ovvero per dono del sovrano; infine gli encomenderos in cambio (come l’antico feudatario in Europa) erano tenuti a prestare servizio militare per la corona difendendo i villaggi affidatigli, insegnando agli indiani gli usi civili e i principi della religione cattolica e proteggendo e mantenendo sul ricavato il clero missionario. In un primo tempo, al momento dell’insediamento nelle isole caraibiche questa struttura prese la forma i schiavitù che era considerata in sostanza legittima. Gli indios erano riconosciuti sudditi diretti del re. Anche se l’encomienda assicurò una rapida e totale sottomissione dei popoli conquistati, essa degenerò ben presto in clamorosi episodi di maltrattamento, torture e riduzioni in schiavitù. La scoperta dell’argento in Bolivia spinse a utilizzare in maniera massiccia le popolazioni locali nei micidiali cicli produttivi della miniera. Gli effetti di questo sfruttamento, che sconvolgeva la civiltà locale distruggendo villaggi, famiglie, tradizioni di vita, furono tragici. Con le leggi di Burgos pur accettando l’encomienda, Ferdinando il Cattolico sottolineò la dipendenza degli indios dalla corona e promulgò una serie di disposizioni che avrebbero dovuto limitare le vessazioni. Le Leggi di Burgos segnalarono la terribile gravità del problema. La questione fu di nuovo affrontata da Carlo V, il quale, proprio quando Cortès consolidava la conquista del Messico, meditò di abolire l’encomienda. CORTES: Cortès illustrò al proprio imperatore perché era diventato impossibile rinunciare all’encomienda in quanto ormai l’istituzione era divenuta più forte della volontà degli uomini. Cortès, titolare di enormi encominedas, faceva osservare sia che questa era l’aspettativa dei coloni sia che in Messico la possibilità di impiantare l’encomienda era più facile che altrove, perché gli indios erano numerosissimi. La risposta a queste pretese fu data da Carlo V con le Nuove Leggi. E’ chiaro il nesso tra pretesa difesa degli indios ed effettivo attacco agli encomenderos. Le Nuove Leggi ribadirono la priorità della finalità cristiana dell’imperialismo spagnolo, la proibizione della riduzione in schiavitù degli indigeni, riaffermando la centralità del potere regio. Si proibiva la concessione di nuove encomiendas e l’ereditarietà degli encomenderos. Queste disposizioni, però, non ebbero molta valenza e non vennero messe in pratica. La fine dell’encomienda fu dovuta invece ad un diverso fattore: il crollo demografico della popolazione indigena. Le cause di questa tragedia furono economiche e sociali: la guerra, il lavoro, la destrutturazione della società india. Ma un altro potente fattore di mortalità furono le malattie. Gli europei erano fisicamente un potenziale fattore di morte, perché alle loro malattie gli indios non potevano opporre nessuna immunizzazione. Il vaiolo, il tifo, il morbillo furono tra le più distruttive malattie del mondo indio. In questo scambio di malattie pare che gli europei contrassero a loro volta l’infezione della sifilide che in Europa divenne una piaga drammatica. L’encomienda produsse miseria ed assoggettamento per gli indios SCOPERTA O CONQUISTA DEL NUOVO MONDO. QUALE TI AFFASCINA MAGGIORMENTE? Gli scontri, le battaglie, le vittorie, le conquiste degli spagnoli da un lato; lo sterminio, la violenza spaventosa dello sfruttamento dall’altro: la storiografia sembra essere condannata a una visione dualista della Conquista. Negli ultimi vent’anni si è venuta affermando una visione differente della Conquista, che la ricostruisce come un sistema. Per un venticinquennio, nell’interesse della corona spagnola prevalsero i viaggi di esplorazione costiera, pur se, le primitiva forme di insediamento spagnolo nelle isole caraibiche ebbero enorme importanza per il prosieguo della colonizzazione. Ci si rese conto che i modi fino ad allora seguiti avevano provocato la distruzione del mondo indigeno e che dunque erano stati di danno anche per la corona. Nella Conquista la scoperta di nuove terre determinò i modi o la variazione delle modalità di sfruttamento di altri territori; lo sfruttamento e lo spostamento di masse d’uomini causarono la morte o la miseria, o la ricchezza di altri gruppi; la lotta dei coloni contro il potere centrale promosse la creazione di nuove città, nuove istituzioni e nuove forme di pensiero. L’instabilità politica e sociale, la miseria delle masse dei paesi dell’America centrale e meridionale vengono sempre contrapposte alla ricchezza materiale e civile dell’America settentrionale e dell’Europa. In questo secolo la fine dei grandi imperi coloniali ha imposto la consapevolezza che lo sfruttamento coloniale, protetto da un’ideologia del progresso non aveva prodotto altro che miseria, corruzione e dipendenza. La sensazione della perdita di centralità dell’Europa e quindi la fine dell’universalismo dei suoi valori hanno spinto a riconsiderare quella che era parsa una pagina gloriosa della storia europea. Si è assistito a una condanna della storia del colonialismo. Non fu più considerata una scoperta, ma conquista dell’America. Secondo altre correnti minoritarie della storiografia contemporanea, l'espressione "scoperta delle Americhe", usata per designare il fenomeno della colonizzazione europea delle Americhe, non dovrebbe più essere utilizzata : secondo i sostenitori di tale tesi, la vera scoperta fu effettuata dalle prime popolazioni che arrivarono a piedi durante l'ultima glaciazione. Per questi motivi, i sostenitori di tale tesi preferiscono parlare di "conquista delle Americhe", ponendo così l'accento sulle violenze commesse dai Conquistadores nel cosiddetto "Nuovo mondo" e soprattutto dai coloni inglesi in America Settentrionale, che hanno portato i nativi a vivere in riserve. SCOPERTA AMERICA: Entrambi traevano giuste conclusioni da premesse sbagliate, ossia l’assenza di una massa terrestre nel Mar Atlantico. Il navigatore genovese, Colombo, partì dalle Canarie, isole spagnole nell'Oceano Atlantico al largo dell'Africa, nell'agosto del 1492 con tre navi: la Niña, la Pinta e la Santa Maria. Il 12 ottobre del 1492 raggiunse un'isola dell'arcipelago di Bahama, da lui chiamata San Salvador, dopo due mesi di navigazione pensando di essere arrivato in Cina toccò invece Cuba. La seconda spedizione fu di proporzioni più grandi: 1500 uomini (tra cui non nobili ma cavalieri che non avevano titoli nobiliari, borghesi, artigiani, contadini), 17 navi. In comune avevano il miraggio dell’oro. Colombo torna a casa con un carico di schiavi. Nel 1498 avvenne una terza spedizione con solo 6 navi e Colombo tornò con oro, perle e preziosi. Raggiunse il Messico, le coste dell’America Latina. A Santo Domingo, disordini, violenze, epidemie resero difficile l’amministrazione di Colombo. Nel 1500 fu accusato di corruzione. Isabella lo liberò affidandogli un’ultima spedizione nel 1502. Costeggia le Honduras ma arenatosi deve ritornare in Spagna dove muore nel 1506. Colombo voleva trovare nuove vie di commercio e, cosciente del fatto che ve ne fosse bisogno, voleva diffondere la scoperta: è questo che fa di lui, uomo del medioevo, il simbolo delle nuove avventure. La storia moderna riconosce in Cristoforo Colombo il suo eroe fondatore. Colombo insieme all’Umanesimo, riapre la storia umana alla positività della vita. Si dissolvono i confini del mondo medievale e ai valori dell’ascesi e della rinuncia di sostituiscono quelli della libertà e della felicità. Egli rappresenta proprio il momento di trapasso da un’epoca all’altra. TRATTATO DI TORDESILLAS: Il trattato di Tordesillas, firmato nel 1494, divise il mondo al di fuori dell'Europa in un duopolio esclusivo tra e le due potenze impegnate nelle esplorazioni, l'Impero spagnolo e l'Impero portoghese. I portoghesi, sin dalla metà del Quattrocento, si erano rivolti al papa per ricevere l’autorizzazione della conquista dei territori africani. Gli spagnoli vollero riequilibrare la situazione, non contestando l’autorità del papa, ma chiedendo anch’essi pari diritti. Il papa Alessandro VI Borgia emise tre bolle in ci si indicava un meridiano, del tutto arbitrario, all’incirca al largo delle isole di Capo Verde: le terre poste a occidente di questo meridiano sarebbero state spagnole, quelle a oriente portoghesi. In tal modo la navigazione atlantica veniva assegnata alla Spagna , quella africana al Portogallo . Nel 1494 Spagna e Portogallo mettendo in pratica questa bolla con il trattato di Tordesillas decisero che il punto di intersezione del meridiano con l’America stava alla foce del Rio delle Amazzoni . Inconsapevolmente gli spagnoli donarono il Brasile ai rivali portoghesi . L’episodio illustra bene la mentalità coloniale europea. INDIOS: La scoperta dell’America e degli Americani portò al contatto con un mondo completamente estraneo. Quando gli spagnoli vi giunsero per la prima volta, quel continente che nemmeno doveva esistere risultava abitato da uomini e donne di cui si poteva addirittura dubitare che fossero umani. Anche da questo punto di vista l’esperienza americana fu contrassegnata da una differenza radicale rispetto alle scoperte che la precedettero e a quelle che la seguirono perché gli inglesi e i francesi avrebbero già posseduto nuove coordinate entro cui orientarsi in un universo ormai meno ignoto. L’America dell’epoca di Colombo era popolata da più civiltà indigene, il cui sviluppo era però molto diseguale. La profonda differenza di religioni può essere forse semplificata definendole come forme di politeismo, con una grandissima varietà di miti e culti. In molte aree, il modo di procurarsi il sostentamento era basato sulla caccia a sulla pesca, affiancate da una ridotta attività di orticoltura, per lo più affidata alle donne; per la coltivazione del mais non si richiedevano più di due-tre mesi di lavoro all’anno. In altre zone, l’agricoltura si era sviluppata notevolmente ricorrendo, come tra gli Incas, anche a sofisticate tecniche di irrigazione. Si può parlare di civiltà del bronzo, ma la lavorazione del ferro era comunque ignota. Anche l’addomesticamento degli animali era assai ridotto. Presso le popolazioni di raccoglitori o cacciatori non esisteva lo Stato, ma erano le relazioni di parentela a costituire la trama connettiva; le famiglie, che avevano confini assai estesi ed incerti, si riunivano per la caccia o per andare in guerra contro un altro gruppo; quando questi gruppi si erano uniti in tribù, le tribù stringevano poi alleanze. Queste tribù avevano un capo, carica talora anche ereditaria. Altrove si erano formati Stati di una certa potenza, come quello dei Maya che includevano popolazioni diverse, tanto da poter essere definiti imperi, come nel caso degli Incas e degli Aztechi. In entrambi era presente una rigida gerarchia sociale, cui corrispondeva una precisa funzione politica; in alto, attorno alla figura del sovrano, adorata come divinità, si era formata un’aristocrazia che tendeva a chiudersi e a isolarsi. Capaci di vaste conquiste militari, i due imperi produssero forme di urbanizzazione. L’impero azteco era una società con una vera a propria struttura statuale, il potere politico che sovrintendeva alla difesa e alla conquista militare, ai rapporti commerciali con altre popolazioni, alla cura dell’agricoltura, alla creazione di infrastrutture. Gli aztechi avevano conquistato le terre che corrispondono al Messico. Anche il mondo Inca possedeva una struttura statuale e forme economiche di tipo centralizzato. Ciò anche grazie alla presenza di un’eccellente struttura amministrativa che comunicava ed elaborava statistiche e informazioni che servivano a regolare i commerci, a dirigere le attività agricole, a progettare opere pubbliche come acquedotti e strade. Tutta la popolazione era stata divisa in gruppi crescenti, secondo il sistema decimale. La terra di ogni villaggio apparteneva alla comunità, che poi la assegnava alle famiglie, controllava la redistribuzione dei prodotti; un’altra parte era dell’Inca e veniva per lui lavorata dalla comunità. Il mondo precolombiano era articolato, oltre che nei due imperi messicano e peruano, su due grandi popoli cacciatori, entrambi già noti a Colombo: da una parte i Taino, dall’altra i Caniba che gli spagnoli poi chiamarono Caribi o Cannibali. La colonizzazione spagnola appiattì tutte queste diverse forme di civilizzazione che si trovò dinanzi. Molte, anzi la maggior parte, scomparvero; altre trovarono una forma di sofferta integrazione. Tecniche e strumenti della Conquista: La superiorità militare spagnola era indubbia e consisteva nel possesso delle armi da fuoco e in quelle di acciaio. Gli indios non possedevano che frecce archi e scudi.. Ma grande importanza ebbero i cavalli. I cavalli facilitarono gli spostamenti oltre che dei soldati, dei rifornimenti; atterrirono gli indios, che non ne avevano mai visti. A conferma di questo tipo di superiorità, si può notare che gli spagnoli riportarono schiaccianti vittorie, ma avevano di fronte imperi ed eserciti ben organizzati; quando invece dovettero fronteggiare situazioni di guerriglia, come i Maya o nel Cile, la loro superiorità venne meno e gli indios si mostrarono anche capaci di adoperare prontamente le armi europee. Lo strumento di tutti i conquistadores fu la piccola compagine militare, la banda, anche quando erano ufficialmente incaricati della scoperta. Questo tipo di spedizione militare era diffuso nella Spagna del tardo medioevo. Forte ma rozza era la gerarchia interna, salda la coesione, incarnata dal valore e dalla credibilità del capo, che doveva allo stesso tempo contenere e soddisfare le attese dei suoi compagni. Il passo successivo, una volta che il gruppo aveva conquistato un territorio e sottomesso gli indios, consisteva nel creare le istituzioni necessarie. Al desiderio di avventura subentrava quello di ammassare ricchezze. Questa ricerca di ricchezza dominò tutti i contatti tra gli spagnoli e gli indios. Quando gli spagnoli arrivarono in America non furono gruppi legati da un’ideologia, ma avventurieri che, spinti dalle mutate condizioni della Spagna, speravano di fare fortuna per poi esibirla nella madrepatria. L’ossessione dell’oro era quindi furia di arricchimento veloce, mescolato al senso di rischio e di pericolo. Non sempre però la conquista fu facile. Terminate le conquiste morivano anche venti spagnoli al giorno, in Costarica vi furono casi di cannibalismo tra spagnoli. Ma queste difficoltà non sorsero soltanto per la resistenza degli Indios. Erano difficoltà inerente al modo della conquista stessa. Due misure, prese dagli spagnoli, sono rivelatrici del meccanismo che la guidò. Da una parte, il controllo dell’oro e delle ricchezze catturate. La conquista aveva anche questa finalità e il mondo indio doveva fornire anche un altro di questi beni essenziali: gli schiavi. D’altra parte, la presenza del prete: appena si incontravano gruppi di indios, questi pronunciava una sorta di arringa nella quale spiegava che il papa aveva autorizzato il re di Spagna a conquistare quelle terre per diffondere il Vangelo e li esortava a sottomettersi al nuovo potere. Nei casi di incomprensione o resistenza si applicava la clausola che prevedeva l’immediata rappresaglia. La violenza militare è connessa nello spirito della Conquista, così come lo erano nello spirito e nell’ideologia della Spagna cinquecentesca. Con la forza si stravolsero il modo di vita, gli usi sociali di quelle popolazioni. Condannati a dare quel che possedevano e a lavorare per soddisfare l’avidità dei conquistatori, gli indios si trovarono a vivere in un mondo che non era più loro: cancellati o stravolti i loro gruppi sociali e familiari originari, la lingua, le gerarchie, le credenze; ritmi e tempi di lavoro per loro impossibili; spostamenti di masse d’uomini dai propri insediamenti per lavorare in zone ritenute più utili. La loro morte, ricercata con suicidi di interi gruppi, fu inevitabile: ma non fu uno sterminio consapevole, bensì una conseguenza di questo sistema. Si piò dire che questo sistema di sfruttamento produsse, la miseria degli indios e per renderla funzionale all’arricchimento dei coloni fu necessaria la Chiesa. Il controllo sulle popolazioni si tramutò in partecipazione attiva al commercio degli schiavi. All’interno della Chiesa si levarono non poche voci di critica e di denuncia degli orrori della civilizzazione. Fin dal secondo decennio del 500 ci si rese conto sia dei costi umani, sia della falsità dell’evangelizzazione condotta. (Las casas e gesuiti P.37) EPOPEA DEI RUFFO: PERSONAGGI: Pietro: Il più importante rappresentante della famiglia fu lo zio Pietro, il quale riuscì a ricoprire importanti cariche che lo portarono ai massimi livelli della gerarchia vicina a Federico II. Pietro non trascurò di mantenere i rapporti a livello locale, elargendo cariche e benefici. Fu vicario imperiale in Calabria e fu tra i testimoni che firmarono il testamento dell’imperatore. La storia dei Ruffo di Sicilia prende le mosse dal trasferimento a Messina del barone di Bagnara, Carlo Ruffo, abile politico e uomo d’affari appartenente a una tra le prime famiglie di feudatari del Meridione. Carlo incrementa il suo patrimonio con abili operazioni finanziarie e, grazie alle proprie doti e alla protezione del principe Carlo Spinelli, suo parente, acquisisce il titolo di duca. Carlo fu considerato tra i fondatori a Messina dell’ordine militare dei Cavalieri della Stella e nella città acquista un ruolo di prestigio anche grazie al matrimonio con la nobile Antonia Spadafora, con la quale avrà sei figli. Matrimonio che diede inizio in Sicilia al nuovo lignaggio nell’ultimo decennio del XVI secolo. La città dello stretto è il centro delle attività della famiglia con il commercio della seta e soprattutto della neve, una merce di lussi. I Ruffo di Calabria erano già riusciti ad occupare un ruolo di primo piano in seno all’aristocrazia calabrese grazie all’appoggio di Federico II. A quel periodo risale infatti il trasferimento di alcuni membri della famiglia in Sicilia. La famiglia era organizzata in un ampio sistema di lignaggio, divisa nelle linee di Catanzaro, Montalto, Sinopoli, Bovalino e Bodolato. L’ampliamento dei feudi della famiglia fu legato a due fattori fondamentali interdipendenti, l’appoggio della corona e la sperimentata fedeltà alla dinastia regnante unita alla capacità burocratico-militare dei più influenti membri della famiglia, sulla scia del loro capostipite Pietro. L’aumento dei possedimenti feudali fece in modo che fosse evitato il declino economico, la divisione in più rami scongiurò il pericolo dell’estinzione. Fu messa in atto una precisa strategia matrimoniale per cui tutti i maschi si sposavano per evitare la possibilità che non ci fossero eredi. Giuseppe Caridi ha individuato nel comportamento dei Ruffo un elemento anticipatore rispetto a quello che le altre famiglie avrebbero messo in atto più tardi, cioè la richiesta del consenso regio alla divisione dei feudi per consolidarli e tutelarli dal pericolo della devoluzione regia. In certi casi la diversa collocazione politica dei rami di una stessa famiglia si rivelerà proficua perché la casata riusciva a ridistribuire i feudi salvati dalla confisca che colpiva uno dei rami. Antonia Spatafora: Inizio Al pari di altre straordinarie donne-matriarca studiate dalla storiografia negli ultimi decenni, Antonia svolge un ruolo essenziale all’interno della famiglia. Per cinquant’anni sarà lei a decider con forza e capacità non comuni dei destini del suo casato. Alla morte di Carlo, fu la moglie Antonia a prendere le redini dei suoi affari: si iscrive alle matricole dell’Arte della seta a Napoli, fatto che le permette di continuare a gestire il commercio della seta. Ma la duchessa sceglie di ritornare nella sua città d’origine, Messina, dove evidentemente può continuare a gestire le sue attività. Alla fine dello stesso anno nasce postumo Antonio, il prediletto di Antonia e futuro principe di Scaletta. Se la vedovanza avesse colpito una donna del popolo, probabilmente sarebbe rimasta accanto ai parenti del marito bisognosa della loro protezione. Ma Antonia non è una donna qualunque, è una ricca aristocratica, Spatafora per nascita e duchessa di Bagnara per matrimonio e dal marito ha ottenuto anche la tutela dei figli. La sua forza risiede proprio nella sua posizione di ricca vedova, tutrice dei figli minori, e nel contempo nel carattere e nelle qualità che possiede. Saranno queste che le consentiranno di progettare i destini della famiglia e di realizzarli Progetta il futuro dei propri figli e in particolare, cinque anni dopo la morte del marito, ottiene in moglie per il primogenito Francesco, Imara, figlia secondogenita del principe di Scilla, matrimonio che si rivelerà vantaggioso per i duchi di Bagnara. Pietro sposerà Agata Balsamo erede del visconte di Francavilla e dà così vita ad unh nuovo ramo. La duchessa sceglie delle ereditiere per i figli cadetti, avviandoli verso la carriera e collocandoli in posizioni strategicamente funzionali ai suoi progetti. Antonio: Infine, prepara un destino di gloria e ricchezza per l’ultimogenito Antonio, il prediletto al quale la duchessa gli procurerà in moglie un’altra ereditiera, Alfonsina Gotto. Ad Antonio, che acquisirà il titolo di Principe della Scaletta andrà l’eredità della famiglia. Antonio e la madre vivono a Messina nel grande palazzo che, con il suo splendore, deve rappresentare il nuovo lignaggio siciliano della famiglia. Ben presto cresce il suo ruolo nel panorama politico e culturale messinese. Grazie alle sue doti e alle opportunità che gli provengono dall’appartenere ad una potente rete di famiglie di cui rappresenta l’anello più forte, Antonio si costruisce un’immagine di decoro e di prestigio. Alle doti intellettuali egli accompagna un gusto raffinato e l’ambizione di esercitare un ruolo di primo piano. Anche Antonio si dedica al commercio e viene inserito in città, diventa senatore ma soprattutto Antonio Ruffo è stato uno dei più grandi e importanti collezionisti d’Italia per influenza della madre e anche del fratello Flavio così come la galleria Ruffo che è stata unica a Messina. . Legame con Giovan Battista Raggi, un ricco finanziere e collezionista genovese. Un grande contributo è arrivato dalla scoperta nel 1916 di un lungo articolo dell’erede Vincenzo Ruffo che ha riportato documenti inediti sul patrimonio e sui contatti della famiglia con i grandi artisti dell’epoca capaci di creare un importante e straordinaria rete. Si tratta di un inventario che comprende quattro settori di argenti, gioielli, quadri e mobili per un totale di oltre 750 pezzi, ma ha avuto un ruolo importante anche Agostino Scilla, pittore, filosofo , scienziato che ha suggerito ed ispirato la cultura artistica di Antonio Ruffo. L’eccezionale collezione però resterà integra fino al 1710 poi le rotte ereditarie ma soprattutto il terremoto del 1783 e l’incendio della villa di Cazi porteranno alla sua dispersione. Antonio: Antonio ribalta la sua posizione iniziale di cadetto grazie alla predilezione della madre Antonia e agli appoggi della potente rete di legami familiari ed economici di cui può disporre sulle due sponde dello Stretto tra il Regno di Napoli e quello di Sicilia; il principe e la sua discendenza costituiscono la propaggine più importante dei Ruffo in Sicilia e occupano la posizione di maggior prestigio nella gerarchia sociale di Messina, la città che Antonia e poi il figlio hanno scelto come luogo di affermazione del proprio rango. Nasce così per crescere in rapido ed esteso sviluppo la fortuna di Antonio. Antonio Ruffo della Scaletta accumula un notevole patrimonio. Al centro la commercializzazione della seta; in quest’attività egli opera come procuratore di Giovan Battista Raggi, appartenente al grande mondo imprenditoriale e finanziario. Il principe, definito ‘inquieto custode di una grande ricchezza’, è uno straordinario personaggio in cui si coniugano prudenza in politica, abilità negli affari, notevole ricchezza, grande passione per l’arte, la grande pittura di cui è intenditore e collezionista. Per tutto ciò si avvale della vasta rete di familiari, parenti, amici e perfino di religiosi con cui fa affari mentre contatta i maggiori artisti; acquista opere d’arte per formare la sua straordinaria pinacoteca, mantiene con gli artisti un carteggio che lo mostre un uomo di raffinatissima cultura e gusto, un collezionista, un mecenate. Antonio non trascura il proprio tornaconto finanziario nell’acquisto di un’opera d’arte o di un oggetto raro, consapevole che si tratti di un investimento. Giacomo Ruffo: Ad assicurare la continuità dinastica nel ramo dei visconti di Francavilla sarà invece il nipote Giacomo, allievo e discepolo di Giovanni Alfonso Borelli e Marcello Malpighi, Giacomo certo non dispone dell’imponente patrimonio dello zio Antonio, principe della Scaletta, ma ne condivide in maniera originale i profondi e molteplici interessi scientifici, infatti fu un intellettuale e un grande scienziato curioso di leggere, nel ‘gran libro della Natura’ ogni espressione di arte e di scienza. L’attività scientifica si accompagnerà nel visconte di Francavilla al progressivo avvicinamento alle posizioni politiche antispagnole e all’abilità in campo economico e finanziario. I Ruffo di Sicilia e di Bagnara parteciparono, con altri feudatari e con banchieri genovesi, a speculazioni finanziarie condotte mediante transazioni feudali, intervenendo così attivamente sul mercato dei feudi. Il barone di Bagnara, Giacomo, decise di investire in una nuova operazione il ricavato e incaricò il cugino Giovan Battista Ruffo di comprare beni stabili o rendite annuali. Gli acquisti dei feudi con il patto di ricompra permisero ai Ruffo di Bagnara di accumulare risorse ed effettuare operazioni che preludevano agli acquisti definitivi degli anni seguenti quando la crisi finanziaria che colpì gran parte della feudalità napoletana avrebbe condotto alle alienazioni dei feudi a vantaggio di coloro che, come i Ruffo, erano riusciti ad avere ampie disponibilità pecuniarie. Il barone di Bagnara riuscì anche a mettere in opera una rete economica di operazioni commerciali e creditizie in Sicilia, in vari centri. Quando Giacomo morì lasciò il figlio Carlo appena quindicenne. Le vicende di duchi di Bagnara proseguiranno in Calabria con Carlo e poi , alla sua morte con il suo primogenito Francesco, mentre da quella data in poi la sua vedova Antonia e gli altri figli si stabiliranno in Sicilia. Fine Ruffo: La rivolta spagnola segna il futuro della famiglia, il ramo di Francavilla dalla parte dei rivoltosi si estingue quando Carlo sarà mandato in esilio e i suoi beni vengono confiscati mentre Antonio di Scaletta riuscirà a salvare il suo patrimonio prima che i suoi figli Placido e Anna lo disperderanno. Grandi personaggi hanno scritto la storia dei Ruffo, la loro vicenda con le sue peculiarità va incardinata in quel percorso privilegiato di studio dei casati nobiliari, considerata essenziale per interpretare i processi storici e i meccanismi delle società in cui agirono, spaziando dalla pratica nobiliare all’attività economica. L’eredità dei Ruffo è quella di una classe dirigente e politica che certamente gestiva il potere però era anche una classe dirigente di altissimo livello ed europea. RIFORMA PROTESTANTE E LA SUA DIFFUSIONE: Fin dal tardo medioevo la Chiesa era stata percorsa da critiche e da tentativi di riforma. Le critiche furono rivolte al papato che si era impegnato a rafforzare il suo potere politico attraverso una serie di concordati con alcuni Stati italiani ed europei. Il papato ottenne un notevole potere di controllo ecclesiastico e Roma si trovò al centro di una rete di interessi politici, religiosi e finanziari. protezione della razza umana, unica ragione per cui gli uomini non sono riusciti a distruggersi gli uni con gli altri; dall’altra in quella della doppia predestinazione, dottrina che Calvino riprendeva da Agostino, secondo cui Dio non concede a tutta l’umanità corrotta e impotente la propria grazia, ma soltanto ad alcuni. Secondo tale dottrina, Dio sceglie fin dall’inizio chi salvare e chi condannare. L’uomo non sa se è salvo o condannato; per scoprirlo deve provare a vivere per Dio, cioè con una coscienza di sé e di Dio stesso, con una conseguente disciplina rigida di vita. Chi è stato scelto da Dio per essere salvato, nella vita quotidiana produce delle opere buone (successo personale, complimento del proprio dovere, lavoro ben eseguito) le quali sono allora segno di salvezza stabilita. La teoria della predestinazione produsse alta coscienza di responsabilità, operosità, impegno creativo nella Chiesa e nella società civile. Non si tratta di una fede spirituale, come quella di Lutero, ma piuttosto pratica. DIFFERENZA CON LUTERO: Calvino fu anche un pensatore politico perché a differenza di Lutero, volle riformare anche quella che in termini ancora medievali veniva definita la società cristiana. Neppure in Calvino si ritrovano i principi di una società moderna: l’autorità politica è voluta da Dio e ad essa si deve obbedienza. L’uomo di Calvino vive nel mondo, obbedisce alle leggi e ai magistrati, ma per vocazione, cioè per volontà di Dio, può essere anche principe o magistrato. Il concetto di vocazione in Calvino assume un significato non soltanto passivo, di obbedienza a Dio, ma anche attivo. L’uomo è chiamato ad agire a gloria di Dio per testimoniare la propria vocazione e la propria elezione e per istaurare il suo regno. Calvino ideò, inoltre, un ordinamento della Chiesa fondato su quattro ministeri: i pastori che avrebbero predicato, i dottori in teologia, gli anziani, i diaconi che avrebbero curato l’assistenza ai più deboli. L’originalità di Calvino stava soprattutto nell’aver ideato un organismo, il concistoro, formato da pastori e magistrati, che doveva sovrintendere alla disciplina ecclesiastica e fare uso della scomunica contro chi avesse comportamenti e idee non conformi. Un difficile e anche precario equilibrio veniva stabilito in questo modo tra autorità spirituale e temporale. Lutero aveva separato i regni mentre Calvino cercava un equilibrio in modo che i ministri del culto giurassero fedeltà alle leggi e alle magistrature e viceversa anche i governanti avrebbero dovuto operare per difendere la Chiesa. CONCLUSIONE CALVINISMO: Il calvinismo ebbe un’influenza sul mondo moderno che va al di la dello spirito del capitalismo. Divenne una confessione religiosa internazionale che cercò non di adattarsi alla società, ma di darle una forma nuova. Il calvinismo diverrà un movimento internazionale e in molti casi rivoluzionario. La dottrina della predestinazione divenne una forza di coesione e di resistenza per tutti coloro che in Europa e nelle Americhe costituirono chiese di perseguitati. Il calvinismo dopo Calvino non si limitò a riprenderne l’eredità, ma fu un fenomeno dinamico e creativo, non solo sensibile alle influenze di altri autori riformati, ma anche adattabile a differenti situazioni sociali e politiche. LUTERO E CALVINO: Tratti comuni: - Rifiuto di ogni autorità assoluta. - Coscienza individuale come fondamento della vita di ogni uomo. - Non consideravano il Papa legittimo arbitro in ambito di fede e giusto interprete della parola di Dio. - Libero esame delle scritture. CRISI DEL 600: Il termine crisi è stato utilizzato nell’età medievale per designare, agli inizi del XIV secolo, l’esaurimento del ruolo universalistico del papato di Roma e, allo stesso tempo, per indicare il declino di alcune società urbane in seguito al cambio di congiuntura segnati dalla grande epidemia di peste che devastò l’Europa. Nello studio delle società ottocentesche e novecentesche l’utilizzazione della categoria di crisi è divenuta più ricorrente, tanto nella storia politica che nella storia economica. Gli economisti, già dal secolo passato avevano cominciato ad indagare sulla natura delle fluttuazioni economiche e avevano ipotizzato che a fasi espansive, di crescita della produzione e dei prezzi, seguissero fasi di recessione produttiva e di prezzi stagnanti. Applicata in un primo tempo all’andamento dell’economia del XIX secolo, questa idea della congiuntura ciclica è stata poi allargata alla storia precedente. Si è ipotizzato un andamento secolare del ciclo economico, caratterizzato da movimenti di lungo periodo, al cui interno a una fase di espansione sarebbe poi seguita una fase di contrazione o stagnazione. Entro l’arco di ciascuna di queste fasi si producevano, a intervalli non sempre regolari, cicli venticinquennali in cui i caratteri della fase venivano ad accelerarsi o frenarsi. In questa prospettiva, le crisi venivano pensate come un elemento fisiologico della vita economica. Se i contemporanei avevano una propria idea della crisi, intesa essenzialmente come alterazione della costituzione politica, gli storici del Novecento hanno di molto allargato il significato di questo concetto. Nel corso del secolo, la riflessione sulla crisi è venuta identificandosi con quella sul Seicento. Per la storiografia di orientamento marxista, la crisi del Seicento è stata la levatrice dello sviluppo capitalistico perché ha creato le condizioni dell’affermazione di una classe per l’epoca rivoluzionaria, la borghesia. Questa classe avrebbe spezzato i residui del sistema feudale, creando le condizioni per l’affermazione di un nuovo modo di produzione, quello capitalistico. La crisi del 600, causata anche dalle guerre precedenti, fu una crisi demografica, agricola e di produzione. Hobsbown, storico marxista, si proponeva di mostrare come l’economia europea avesse attraversato una crisi generale che segna l’ultima fase del passaggio dal sistema feudale all’economia capitalistica. La crisi del 600 si distinguerebbe dalle precedenti in quanto porta al superamento porta al superamento degli ostacoli passati, fino al pieno sviluppo del capitalismo. Hobsbawn riconosceva l’ampiezza dell’espansione economica cinquecentesca e si domandava come mai non avesse condotto alla direttamente alla rivoluzione industriale. La risposta è che la divisione sociale del lavoro non era ancora stata spinta al massimo, la forza lavoro nel settore industriale era ancora minore rispetto a quella agricola, la quota di produzione del mercato internazionale era ancora troppo modesta: mancava una produzione di massa. Per Hobsbown la prospettiva dell’espansione capitalistica era limitata dalla prevalenza della struttura feudale della società, dal predominante settore rurale o da altre strutture che immobilizzavano la forza lavoro, il potenziale surplus (prodotto che la proprietà estrae dai coltivatori e destina agli investimenti produttivi o ai consumi di lusso) e la domanda dei beni prodotti in base al sistema capitalistico. Hobsbown conclude che la crisi secentesca aveva ribaltato antiche gerarchie economiche e prodotto le condizioni che permisero l’affermazione del modello inglese di industrializzazione.
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