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ARISTOTELE LIBRO I DELLA METAFISICA, Sintesi del corso di Filosofia

RIASSUNTO DEL PRIMO LIBRO DELLA METAFISICA DI ARISTOTELE, COMPRENDE ANCHE LA PARAFRASI

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica ARISTOTELE LIBRO I DELLA METAFISICA e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! ARISTOTELE LIBRO PRIMO DELLA METAFISICA INTRODUZIONE La Metafisica è l’opera in cui si trova esposta quella che lui chiamava la filosofia prima, cioè la scienza che ricerca i principi primi e le cause prime dell’essere in quanto essere. Il titolo non risale ad Aristotele. Il nome metafisica nasce dalla posizione che queste opere vengono ad occupare, ovvero subito dopo le opere di fisica, poiché le cause prime di cui essa espone la ricerca, sono cause anzitutto della natura e come tali sono oggetto della fisica. Solo dopo aver constatato l’insufficienza della fisica a trattarne compiutamente, secondo Aristotele è necessario passare ad una scienza ulteriore, ovvero alla metafisica. Ciò, perché, in base alla dottrina aristotelica, la conoscenza deve andare da ciò che è più chiaro per noi (ovvero il mondo dell’esperienza sensibile) a ciò che essendo al di là dell’esperienza, è meno chiaro per noi, vale a dire i principi, ovvero le cause prime. Quindi oltre che “dopo la fisica” il termine metafisica significa “oltre la fisica” L’ambito di indagine della scienza delle cause prime è l’essere in quanto essere, che comprende anche gli enti non sensibili. È perciò una ontologia. Ma anche una teologia. È perché una onto- teologia, cioè identifica l’essere in quanto essere con dio. Fa coincidere appunto dio con la causa. Siccome l’ambito di indagine della filosofia prima trascende la natura andando a sfociare anche nel divino, egli chiamò questa scienza anche “teologia”. La Metafisica è costituita da 14 libri. La Metafisica è costituita da 14 libri • I primi tre libri sono introduttivi • Il libro IV dell’essere in quanto essere e delle sue proprietà • Il libro VI dell’essere come accidente • Il libro VII e nell’ VIII dell’essere secondo le categorie • Il libro IX dell’essere secondo la potenza e l’atto • Il libro X dell’uno • Negli ultimi tre libri delle sostanze sovrasensibili (quali esistono e quali non esistono) E’ impossibile stabilire quando la Metafisica fu scritta, probabilmente i vari libri che la costituiscono risalgono a periodi differenti. Il libro primo è diviso in due parti: la prima è una discussione sulla natura della sapienza, la seconda è una verifica storica della validità della dottrina dei quattro generi di cause. La sapienza nel linguaggio comune è il gradino più alto della conoscenza. Ci sono vari gradi di conoscenza: 1)la sensazione; 2) la memoria; 3) l’esperienza; 4) l’arte 5) la scienza. La sapienza è superiore, cioè quella che conosce di più. La sapienza è scienza rispetto alle cause prime, cioè quelle cause da cui dipendono tutte le altre. La sapienza non è una scienza produttiva ma teoretica perché nasce dalla meraviglia. Capitolo 1 La sapienza come scienza, ovvero come conoscenza di cause e di principi. L’uomo aspira per sua natura al sapere, come sta a dimostrare l’amore che egli manifesta per i sensi in particolar modo la vista. Noi infatti preferiamo la vista a tutte le altre sensazioni poiché più di ogni altra ci fa acquistare conoscenza e ci rivela una molteplicità di differenze. La sensazione rappresenta il grado più basso di conoscenza, ad essa è superiore la memoria, che conserva il ricordo, cioè l’immagine di ciò che si è percepito, e a questa è superiore l’esperienza, raccolta di molti ricordi. L’esperienza, tuttavia, si limita al particolare, al “che”: solo l’arte e la scienza conoscono l’universale, il perché, la causa. La sapienza è una scienza teoretica che si occupa di cause e principi e costituisce il livello di conoscenza massimo finora individuato. Capitolo 2 I caratteri della sapienza, conoscenza delle cause prime, e la filosofia come ricerca di essa. La sapienza ha per oggetto le realtà più universali (le cause prime), le più difficili, è la più rigorosa, consente di insegnare meglio, è desiderabile per se stessa ed è degna di comandare: ma ciò è possibile solo se i principi e le cause di cui essa è a conoscenza sono quelli primi, cioè quelli che non derivano da altri. Per scoprire quali sono questi principi e queste cause prime, secondo Aristotele è necessario mettere al vaglio le concezioni che si hanno a riguardo di chi dia il sapiente. Comunemente sono sei le opinioni che si hanno sul sapiente e che indicano delle sue caratteristiche specifiche: 1. Il sapiente conosce scientificamente tutte le cose, ma non ciascuna di esse individualmente Conoscere tutto non significa avere conoscenza di una causa qualsiasi, perché questa potrebbe a sua volta avere una causa superiore. Dunque, la causa che si conosce non deve avere altro al di sopra di sé, cioè deve essere la più alta, la più universale, la prima cosicché conoscendo questa si conoscono tutte le cose. 2. Conosce le cose più difficili, ossia quelle più lontane dai sensi Se dunque la sapienza conosce tutto è perché conosce le cause prime le quali sono fra le cause più intellegibili ma anche le più lontane dalla realtà sensibile. 3. Conosce le cause con più rigore La sapienza è la scienza più rigorosa perché si occupa dei principi primi, i quali sono in numero inferiore rispetto a quelli presupposti dalle altre scienze, in quanto ogni causa di livello superiore è principio unificatore di una molteplicità di cause di livello inferiore. 4. Sa insegnare meglio le cause La sapienza è in grado di insegnare in misura massima perché il saper insegnare dipende dalla conoscenza delle cause e le cause che la sapienza conosce sono quelle prime 5. La scienza che ha il fine in sè stessa è più sapienza di quella che è scelta perché ha il fine in altro La sapienza è desiderata per se stessa. Chi persegue il conoscere fine a se stesso sceglie la scienza più alta, perché essa ha per oggetto ciò che è più conoscibile, cioè più intellegibile (più chiaro in sé, anche se più difficile e oscuro per noi) che è tale perché da esso dipende la conoscenza di tutte le Capitolo 6 La funzione materiale e la scoperta della funzione formale delle cause prime nei pricnipi posti dai filosofi contemporanei. In alcuni dei principi posti da Platone, tanto nell’ambito della dottrina delle idee, quanto nell’ambito della dottrina dei principi, è possibile riconoscere in modo finalmente chiaro anche la quarta funzione delle cause prime, ossia quella formale. Tale funzione è infatti attribuibile, nella prima dottrina, alle idee, e nella seconda all’Uno. Che rapporto esiste fra un’idea e l’oggetto fisico che essa descrive? Esempio: un albero esiste in natura solo perché in parallelo esiste l’idea di albero (che potremo chiamare alberità), che gli trasmette l’esistenza. Inoltre sempre grazie all’idea di alberità siamo in grado di conoscere tutti i singoli alberi che esistono in natura. Le idee quindi sono sia il fondamento ontologico delle cose, cioè fanno in modo che le cose possa essere, sia il fondamento gnoseologico, cioè fanno in modo che le cose possano essere conosciute. Il problema è che le idee così come presentate nei dialoghi non hanno nessuna giustificazione, Platone non spiega né come fanno ad essere tante né come ciascuna di esse possa essere distinta da altre. Per dissolvere questi dubbi bisogna ricorrere alle dottrine non scritte: le idee sono molteplici perché su di esse agisce un principio, chiamato DIADE, che fa si che gli oggetti siano replicabili all’infinito, ciascuna idea ha una forma specifica che la distingue dalle altre per l’azione di un principio, l’UNO, che pone un freno al delirio moltiplicatore della Diade. Ricorrendo al solito esempio dell’albero: il fatto che dal tronco principale si separi un tronco più piccolo, che dal ramo sbocci yn rametto ancora più piccolo e così via via ll’infinito, dipende dal principio della Diade; nello stesso tempo, il principio dell’Uno fa si che ad ogni livello l’oggetto che si replica abbia una forma specifica, cioè quella dell’albero originale. In questa concezione dualistica, l’UNO svolge, usando una terminologia aristotelica, il ruolo di causa formale: è ciò infatti che dà forma e dà un’identità alle cose, mentre la Diade si può riconoscere nella causa materiale del reale, ossia come una materia soprasensibile che consente alla forma di moltiplicarsi. Attraverso il riconoscimento nell’UNO della causa formale, si giunge alla conclusione che la sapienza è conoscenza non solo della causa prima materiale, motrice, finale, ma anche della causa prima formale. Capitolo 7 I quattro principi di cause prime oggetto della sapienza come risultato dell’indagine sui principi posti dai filosofi precedenti e contemporanei. Le cause prime che la sapienza conosce sono di tipo, materiale, motore, formale e finale. Con le indagini finora condotte riguardo a quale funzione causale sia possibile attribuire ai principi posti dagli altri filosofi, Aristotele dichiara di aver ottenuto la conferma che in tali principi sono riconducibili tutti i quattro tipi di cause distinti nella Fisica, ossia materiale, finale, motrice e formale. La prima funzione delle cause prime che Aristotele esamina è quella materiale. Questa è facilmente riconducibile in molti dei principi posti dagli altri filosofi (l’acqua di Talete, il fuoco di Eraclito, l’aria di Anassimene, i quattro elementi di Empedocle). Per quanto riguarda la funzione motrice delle cause prime, che qui Aristotele indica come quella da cui trae origine il movimento egli cita come esempi i principi costituiti da Amicizia e Contesa (Empedocle), l’Intelletto (Anassagora). Per quanto riguarda invece la funzione formale delle cause prime, qui chiamata essenza o sostanza, Aristotele può portare come esempio solo i principi posti da Platone. Nessuno degli altri filosofi, ha parlato in maniera chiara di tale funzione. Il cammino di Aristotele attraverso i principi degli altri filosofi, da questo punto di vista è giunto al termine: le cause prime di cui si occupa la sapienza sono la causa prima materiale, la causa prima motrice, la causa prima formale e la causa prima finale. Aristotele è già riuscito a stabilire, aiutandosi con le dottrine dei predecessori, quali sono le cause prime di cui si occupa la sapienza. Capitolo 8 La critica ai principi posti dai predecessori. Dopo aver esaminato le varie teorie ecco che Aristotele inizia a criticare i principi posti dagli altri filosofi. Prima muove una critica nei confronti dei principi corporei (acqua, fuoco, terra, aria), successivamente verso i principi incorporei (i pitagorici) Per quanto riguarda i principi corporei (Talete, Anassimene, Anassimandro), Aristotele afferma che questi filosofi : • ammettono un causa materiale (acqua, aria, fuoco) solo per i corpi e non anche per le cose incorporee • eliminano la causa del mutamento • non dicono nulla sulla causa formale • scelgono con leggerezza l’elemento che deve fungere da principio Una semplice causa materiale, che non solo si riferisce solo alle cose corporee non può bastare afferma Aristotele. Essa si rivela insufficiente perché non spiega il mutamento delle cose. Dunque una causa unica, materiale e corporea non può essere il principio della realtà, perché non la spiega interamente. Anche coloro che molteplici principi come causa materiale cadono nell’errore. Questi elementi infatti non rimangono sempre ciascuno uguale a se stesso, essi si trasformano l’uno nell’altro. Aristotele ora passa a criticare la seconda concezione dei principi, opposta alla precedente, per cui questi sono principi non dei corpi ma di ciò che è incorporeo. Quattro sono le critiche che Aristotele rivolge ai principi dei pitagorici: • I principi dei pitagorici sono meno familiari rispetto a quelli dei filosofi precedenti, in quanto non sono tratti dal mondo sensibile, ma sono superiori. Benché i principi dei pitagorici siano superiori agli altri, consentano una ricerca intorno ad una realtà di tipo più elevato rispetto a quella sensibile, tuttavia i pitagorici utilizzano questi principi solo per il sensibile, ritenendo che gli enti siano solo sensibili. • Anche ammesso che in principi posti dai pitagorici possano essere adatti alla realtà sensibile in che modo il sostrato costituito da pari e dispari, limitato e illimiatato possa essere la causa del movimento e come i numeri possano essere causa della generazione e della corruzione delle cose. • Anche ammesso che i principi pitagorici possano spiegare la proprietà delle cose sensibili costituita dalla grandezza, non si vede come essi possano spiegare anche le loro proprietà, ad esempio il peso. • L’ambiguità del rapporto instaurato dai pitagorici tra i numeri che sono causa delle cose e i numeri che sono le cose stesse. Capitolo 9 La critica ai principi posti dai filosofi contemporanei. In Platone il mondo delle idee costituisce un’inutile moltiplicazione delle realtà da spiegare. Le idee, infatti in quanto cause, dovrebbero fungere da principio unificatore di una molteplicità, e dunque essere in numero minore rispetto a ciò che spiegano. Invece le idee, sono almeno tante quanti sono i sensibili, ma poiché le cose sensibili sono esattamente ciò che doveva essere spiegato, l’aver introdotto principi esplicativi che sono altrettanto numerosi è stata un’operazione del tutto inutile. Riguardo ai numeri, non si capisce quale funzione causale essi possano svolgere. Le grandezze geometriche non sono idee, non sono enti intermedi, e non sono nemmeno numeri. Riguardo ai principi primi, non sono tali né la diade indefinita che funge da causa materiale, né l’Uno che funge da causa formale. Degli altri due tipi di cause prime, ossia la motrice e la finale, i platonici non se ne sono nemmeno preoccupati. Capitolo 10 Osservazioni conclusive. Le cause di cui si occupa la sapienza sono dei tipi di quelle distinte in ambito fisico. PARAFRASI CAPITOLI Noi notiamo che i quattro elementi nascono l’uno dall’altro in modo che lo stesso corpo non permane sempre fuoco o terra. In linea generale chi parla così sicuramente sopprime l’alterazione. In realtà è assurdo asserire che in principio tutte le cose erano mescolate. Ciò presupporrebbe che le cose stesse esistessero precedentemente come non mescolate, e perché per natura non accade che una cosa qualsiasi si metta fortuitamente con una cosa qualsiasi. Secondo Anassagora i principi sono l’Uno e l’Altro, cioè quello che noi identifichiamo con l’indefinito prima che questo sia definito o partecipi di una qualche forma. Ma questi filosofi trattano con familiarità solo il problema della generazione, della corruzione e del movimento. Quelli che invece dicono che ci sono enti sia sensibili sia non-sensibili è ovvio che essi conducano la loro indagine su entrambi. È il caso di trattenersi più a lungo con costoro. I cosiddetti pitagorici fanno uso di principi e di elementi meno familiari a quelli posti dai naturalisti. Ma non di meno essi discutono e trattano in ogni caso della natura; essi infatti parlano della generazione del cielo, e verso il cielo esauriscono i principi e le cause. Tuttavia essi non dicono nulla sul modo in cui possa esserci il movimento, ponendo come sostrato il limite e l’illimitato, il dispari e il pari, né chiariscono come mai sia possibile che, senza movimento e cangiamento, si verifichino la generazione e la corruzione o le attività dei corpi che si spostano attraverso il cielo. 9. La critica ai principi posti dai contemporanei (parafrasi) Ora Aristotele passa alla critica dei principi sempre incorporei posti dai platonici, alla quale dedica l’intero capitolo. Legenda: • A,B,C i tre gruppi tematici a cui sono riconducibili le diverse critiche • 1,2,3 ecc le critiche relative a ciascun gruppo • a,b,c le eventuali argomentazioni individuabili all’interno di ciascuna critica • i,ii le due fasi di una medesima argomentazione A)le critiche alle idee B)le critiche ai numeri sia matematici che ideali, nonché alle grandezze ideali C)le critiche ai principi 1) la prima critica è rivolta all’incapacità delle idee di spiegare la realtà. Le idee infatti, in quanto cause, dovrebbero fungere da principio unificatore di una molteplicità, e dunque essere in numero minore rispetto a ciò che spiegano. Invece le idee, nella dottrina platonica, sono almeno tante quanti sono i sensibili, ma poiché i sensibili sono esattamente ciò che doveva essere spiegato, l’aver introdotto principi esplicativi che sono altrettanto numerosi è stata un’operazione del tutto inutile. 2)la seconda critica sono i quattro gruppi di “argomenti” a) le idee, essendo universali e immobili, non possono essere enti sensibili, ma ciò non significa che debba essere un’entità separata b)il cosiddetto “argomento dell’uno sui molti”, cioè che certi gruppi di individui hanno in comune un certo carattere, ma ciò, secondo Aristotele, non dimostra che quel carattere è un’idea ma solo che è un predicato comune a più individui della stessa specie. Lo stesso argomento d’altronde prova anche troppo, in quanto condurrebbe ad ammettere l’esistenza di idee delle negazioni. c)possiamo pensare qualcosa anche dopo che questa si è corrotta. Ma ciò non significa che esistono le idee, bensì solo che le nozioni esistenti nella mente, a differenza delle sensibili che si corrompono, sono incorruttibili ed eterne. d) gli argomenti più rigorosi dimostrano troppo, perché i platonici li usano per dimostrare l’esistenza di idee, le quali in base alle loro stesse dottrine, non dovrebbero essere ammesse. i) ebbene alcuni tra gli argomenti più rigorosi vengono utilizzati dai platonici per dimostrare che vi sono idee dei relativi. Per Aristotele invece, anche ammesso che vi esistano le idee, non è possibile che esistano idee di questo tipo. Se ifnatti si tiene ferma la distinzione tra ciò che è per sé e ciò che è relativo ad altro, ammesso dallo stesso Platone e la si applica alla distinzione tra sensibili e idee, si può constatare come in realtà i sensibili, essendo immagini delle idee ed “essendo” solo per partecipazione ad esse, ne dipendano totalmente e in questo senso sono ”relativi”, precisamente relativi alle idee. Le idee, a loro volta, non dipendono da altro, ossia sussistono di per sé, ed in tal senso sono “ciò che è per sé”. Sostenere allora che anche dei relativi vi sono idee, significa cadere in una manifesta contraddizione. ii) l’argomento del “terzo uomo” considera le idee come enti per sé. Ad esempio, degli uomini sensibili vi è una sola idea di uomo, la quale ha la stessa natura di “uomo”, cioè è un “secondo uomo”. Allora è necessario che vi sia un altro predicato comune agli uomini sensibili e all’idea-uomo, il quale sarà nuovamente idea, e dunque “uomo” anch’esso. Questa ulteriore idea è il “terzo uomo”, dopo l’uomo sensibile e la precedente idea-uomo. E ancora sarà necessario introdurre una nuova idea e così all’infinito. Il risultato è ovvio: invece di trovare l’unità della molteplicità per spiegare la molteplicità stessa, si moltiplicano all’infinito gli enti da spiegare. tali argomenti rendono incompatibili la dottrina delle idee e quella dei principi: da essi risulta che la diade la quale dovrebbe essere il principio, non è più prima, ma sono primi i numeri, e ciò che è per sé diventa subordinato a ciò che è relativo, il che è manifestamente assurdo. Ma i numeri sono sempre numeri di qualcosa, mentre la diade è per sé: dunque anche ciò che è relativo diventa anteriore a ciò che è per sé. Poi c’è l’errata introduzione delle idee anche di ciò che non è sostanza. Le idee dunque devono essere partecipate dai sensibili in quanto sono per sé, ossia sostanze. Dunque le idee sono sostanze. Ma se le idee sono il predicato universale dei sensibili, deve esistere qualcosa di comune fra le idee e i sensibili, e cioè l’essenza delle idee e delle cose di cui esse partecipano è la stessa: se dunque sono sostanze le idee, sono sostanze anche i sensibili, cosa che i platonici negavano. Se ancora i platonici non ammettessero che idee e sensibili hanno un’essenza in comune, ne deriverebbe che essi sono omonimi, cioè avrebbero in comune solo il nome. Ma allora non ci sarebbe più partecipazione tra idee e cose. a) Le idee non svolgono la funzione di causa motrice, in quanto non sono causa dei mutamenti e movimenti dei sensibili. Non svolgono nemmeno la funzione di causa formale, cioè non sono causa dell’essere dei sensibili, perché per poterlo fare dovrebbero essere dentro le cose di cui sono causa. b) la figura del Demiurgo è dunque per Aristotele priva di valore. Ad esempio possono esistere due uomini che si somigliano molto, ma ciò non significa che l’uno debba essere modello e l’altro copia. Se una cosa possiede più caratteri, e se questi sono le idee nel senso del modello, allora la stessa cosa verrà a partecipare di due idee e ad avere più modelli. Le stesse idee hanno dei caratteri, e se questi vengono intesi come modelli, allora le idee saranno insieme modelli, rispetto ai sensibili, ma anche copie, rispetto ad altre idee. 1) In quale modo i numeri possono essere considerati cause una volta stabilito che le idee sono appunto numeri? Anzitutto se i numeri sono causa delle cose nel senso che anche queste sono numeri, comunque non si comprende quale rapporto causale vi sia tra gli uni e le altre. In secondo luogo, se si ritiene che i sensibili non siano proprio numeri, ma rapporti tra numeri (come l’armonia), allora vi devono essere degli elementi materiali, o comunque in generale un sostrato, tra i quali intercorre tale rapporto. Allora ciò significa che anche le idee sono rapporti tra numeri. BUCO STRANO 1) In primo luogo i platonici non hanno detto nulla della causa motrice. In secondo luogo, ritenendo di parlare della sostanza come causa formale degli enti, in realtà essi la separano da ciò di cui è causa. In terzo luogo le idee non hanno nulla a che fare con la funzione finale della causa. L’amare conclusione di Aristotele è che i Platonici hanno ridotto la filosofia a matematica. 2) La diade indefinita secondo Aristotele ha un carattere troppo matematico ossia ha dei caratteri di un ente che è quantità, piuttosto che quelli di un ente che è sostanza, quale dovrebbe invece essere per poter svolgere il ruolo di sostrato materiale. Essendo costituita di grande e piccolo, la diade si presenta come un predicato della sostanza e della materia, piuttosto che come sostanza e materia essa stessa. 3) I Platonici intendono dimostrare che tutte le cose sono uno, ossia secondo Aristotele che tutte le cose sono riconducibili all’uno come alla loro causa formale prima, facendo valere il procedimento dell’ectesi. L’ectesi consiste nel porre il predicato comune ad una molteplicità di cose come esistente al di fuori di esse. Non si riesce a dimostrare che tutte le cose hanno come forma l’uno, ma tutt’al più che vi è un uno in sé, cioè un uno come sostanza. 4) Poiché infatti le grandezze ideali non sono numeri, e poiché i platonici ritenevano che i numeri fossero idee, esse non possono essere idee. Non possono nemmeno essere enti intermedi, perché anche questi sono numeri; né essere sensibili, perché questi sono corruttibili.
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