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Aristotele, vita e opere, Appunti di Storia della filosofia antica

La vita e le opere di Aristotele, uno dei padri del pensiero filosofico occidentale. Si descrivono le scienze teoretiche e poietiche, la sua attività di insegnamento e la fondazione del Liceo. Si parla anche dell'influenza della sua filosofia nel linguaggio comune e della sua terminologia. Si discute se la filosofia aristotelica fosse o meno riconducibile ad un sistema.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 23/02/2023

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Scarica Aristotele, vita e opere e più Appunti in PDF di Storia della filosofia antica solo su Docsity! ARISTOTELE Aristotele nacque a Stagira nel 384 a.C. o 383 a.C. e morì a Calcide nel 322 a.C Nel 367 si recò ad Atene per entrare nell’Accademia di Platone, dove rimase vent’anni, svolgendo anche attività d’insegnamento, sino alla morte del maestro. Dopo aver abbandonato la scuola abbandona anche la città e si reca ad Asso, sotto la protezione del tiranno di Atarneo e poi a Mitilene dove approfondisce gli studi di biologia. Ѐ necessario supporre che Aristotele avesse delle relazioni personali con circoli filomacedoni. Nel 357 a.C. i rapporti tra Filippo II di Macedonia e la polis di Atene erano molto tesi. All’epoca Atene era divisa in 2 schieramenti: - uno degli intellettuali il quale era filomacedone - i detentori del potere politico erano divisi a sua volta in due gruppi, di cui uno fortemente contro la Macedonia. Filippo II nel 349 a.C. aveva conquistato Olinto sostenuta da Atene e ciò aveva comportato un aumento delle tensioni, fino alla salita al potere nel 347 a.C. di Demostene a capo del partito interventista contro Filippo II. Aristotele ad Atene era considerato uno straniero, inoltre era conosciuto per intrattenere dei contatti con i macedoni tra cui Ermia. Successivamente si trasferisce a Mitilene, dove inizia la collaborazione con Teofrasto fino al 343 a.C., quando fu invitato da Filippo II ad educare il figlio Alessandro. Tornato ad Atene nel 334 a.C. riprende le ricerche con Teofrasto e fonda il Liceo, il ginnasio pubblico in cui teneva le sue lezioni. Il Liceo fu così chiamato in onore di Apollo Licio, ma è conosciuto anche come Peripato, da peripatos, ossia passeggio, in quanto la scuola è formata da un edificio e un giardino dove svolgeva le sue lezioni passeggiando. In seguito alla morte di Alessandro, Demostene fu richiamato dall’esilio e la situazione ad Atene divenne molto problematica per il filosofo, il quale ricevette anche una accusa di empietà. Insieme a Platone e a Socrate viene considerato uno dei padri del pensiero filosofico occidentale. In modo inconsapevole la filosofia aristotelica con la sua terminologia rimane presente nel linguaggio comune. L’influenza di Aristotele è stata tale che quasi ha ostacolato il progresso del pensiero, come in riferimento a Galileo Galilei le cui scoperte in ambito astronomico furono messe in discussione a causa del principio di autorità del Filosofo. Si è a lungo discusso se la filosofia aristotelica fosse o meno riconducibile ad un sistema. L’immagine di un Aristotele ferreamente sistematico è il risultato del lavoro con cui gli editori antichi organizzarono l’insieme dei suoi scritti. Tuttavia, Aristotele stesso riconosce l’esistenza di scienze diverse secondo gli oggetti propri di ciascuna. In generale, egli distingue 2 grandi classi di scienze: a. scienze teoretiche → hanno come oggetto il necessario, ovvero ciò che non può essere diverso da com’è; si tratta di ambiti caratterizzati da una regolarità totale o con scarse eccezioni, infatti si distinguono da ciò che è accidentale, ossia non avviene né sempre né per lo più allo stesso modo. Allo stesso modo essa non si occupa di ciò che è individuale. Il fine delle scienze teoretiche è la verità, perciò hanno come scopo la conoscenza disinteressata della realtà e utilizzano come metodo quello dimostrativo. Rientrano in questa categoria : - metafisica/ontologia → studia l’essere in quanto essere. - fisica; - matematica; b. scienze poietiche/pratiche→ hanno come oggetto il possibile, indagano l’agire in ambito individuale o collettivo; utilizzano come metodo quello non dimostrativo, valido per lo più. Questa è la caratteristica propria dell’azione e della produzione di oggetti. Esse infatti possono avvenire o non avvenire, aver luogo in un modo oppure in un altro. A loro volta, azione e produzione si distinguono per il fatto che: - la praxis ha il proprio fine in se stessa, ossia nell’esecuzione dell’azione stessa; - la poiesis ha il suo fine fuori di sé, ossia nell’oggetto che essa produce. Rientrano in questa categoria: - etica; - politica; - arti belle; - tecniche; All’epoca del suo soggiorno nell’Accademia Aristotele insegnò e compose i suoi primi scritti. Un buon numero di questi dovette avere forma dialogica, ma con qualche innovazione rispetto al modello platonico: talvolta, per esempio, compariva Aristotele stesso in scena a trarre le proprie conclusioni. Lo stile di questi scritti, destinati a un pubblico più ampio di quello della scuola, era ammirato nell’antichità; tuttavia essi sono andati perduti. Di alcuni abbiamo soltanto il titolo e scarsi frammenti. Nonostante ciò, sono pervenute le opere di scuola, frutto di appunti. Gli scritti aristotelici si dividono in: - scritti «esoterici o acroamatici» → destinati all’ascolto, appunti delle lezioni (Organon, Fisica, Metafisica, Opere morali, Politica, Retorica, Poetica) - scritti «essoterici» → destinati al di fuori della scuola, alla pubblicazione (Protreptico, Grillo, Sulla filosofia) I suoi scritti furono lasciati in eredità all’allievo Teofrasto, il quale a sua volta li trasmise a Neleo, ma i suoi eredi successivi li depositarono in una cantina, dove le disinteressata, che ha per oggetto le cause prime di tutte le cose. Solo con la scienza vera e propria si realizza la scoperta del perché. Per poter ricercare questo sapere disinteressato occorre la scholé, ossia il ‘tempo libero’ da ogni attività lavorativa o pubblica. Il luogo autentico in cui questo sapere può essere perseguito è la scuola dei filosofi. Tutti gli uomini aspirano a conoscere, ma soltanto i filosofi realizzano in senso pieno questo fine inscritto nella natura dell’uomo. L’impulso che avvia alla ricerca della conoscenza è indicato da Aristotele, sulla scia di Platone, nella meraviglia, che genera l’interrogazione sul perché le cose siano o avvengano nel modo in cui sono e avvengono. Essa dà quindi avvio a una ricerca volta a trovare la risposta a questa domanda, risposta che consiste appunto nella scoperta delle cause, la quale fa cessare la meraviglia iniziale. Aristotele, come Platone, ritiene che la natura non sia di per sé sufficiente a spiegare la problematicità del reale e quindi la causa della natura va ricercata in una realtà soprasensibile. Secondo Platone la causa corrisponde alle idee, mentre secondo Aristotele corrisponde al motore immobile. 🔸ORGANON: Il termine Organon non è aristotelico. Esso fu adoperato per la prima volta da Alessandro di Afrodisia per designare la logica, e in seguito, a partire dal VI secolo d.C., per denominare l’insieme degli scritti aristotelici relativi a tale argomento. Secondo un'interpretazione largamente diffusa, il titolo Organon, che etimologicamente significa "strumento" (di ricerca), servirebbe a sottolineare la funzione propedeutica o introduttiva della logica, intesa appunto come strumento di cui si avvalgono tutte le scienze. Lo scopo di Andronico da Rodi era quello di riunire gli scritti aristotelici di contenuto affine. Per quanto riguarda queste opere, emerge che: - nelle Categorie vengono trattati i termini singoli; - nel De interpretatione si tratta la proposizione semplice (cioè di una combinazione di termini); - negli Analitici primi si tratta del sillogismo e del ragionamento conclusivo; - negli Analitici secondi è presente la teoria della dimostrazione in particolare del “sillogismo dimostrativo”; - nei Topici si parla della dialettica; - negli Elenchi Sofistici smaschera le argomentazioni dei sofisti. Nella classificazione aristotelica delle scienze non trova posto la logica, poiché essa ha per oggetto la forma comune di tutte le scienze, cioè il procedimento dimostrativo, o le varie modalità di ragionamento di cui esse si avvalgono. Inoltre, il termine "logica" in Aristotele ha un significato diverso rispetto a quello odierno e significa che qualcosa viene discusso dal punto di vista linguistico-formale, infatti, per Aristotele, la scienza trova la sua espressione nel linguaggio e precisamente in discorsi. Gli ingredienti minimi dei discorsi sono i termini (nomi e verbi) mediante i quali si indicano le cose. 🔹Le Categorie: Le Categorie sono il primo trattato delle opere di logica dell’Organon. Quest’opera apre il corpus aristotelico perché la dottrina esposta in questo scritto torna continuamente nelle opere successive che vi fanno riferimento. Il titolo in realtà non è attestato in Aristotele, in quanto lui si riferisce alle forme della predicazione. L’opera contiene un’analisi della singola parola in quanto supporto di determinazioni concettuali e delle funzioni semantiche dei diversi tipi di parole. Socrate cercava la definizione, la risposta alla domanda “che cos’è?” e aveva posto le basi per la determinazione del contenuto e dei concetti, un lavoro d’interesse per tutta la filosofia antica e su cui fa leva la teoria aristotelica. Le categorie rappresentano le caratteristiche e strutturali dell’essere, ovvero i predicati. Possono, quindi, essere considerate come classi delle sue qualità più generali. Ci sono 10 categorie: (1) sostanza, (2) qualità, (3) quantità, (4) relazione, (5) luogo, (6) tempo, (7) agire, (8) patire, (9) stato, (10) situazione. Per Aristotele la sostanza rappresenta l’essere, l’ente vero e proprio, e le altre categorie ne costituiscono i modi, i suoi aspetti particolari che, di conseguenza, presuppongono la sostanza stessa. Grazie a ciò, possiamo considerare la sostanza come un “polo unificatore”, un centro di riferimento per le altre categorie. In questo modo, l’essere non ha né un unico significato, né molteplici differenti tra loro, non è quindi né univoco, né equivoco, ha perciò una molteplicità di significati uniti da un comune riferimento alla sostanza. Aristotele si differenzia da Platone in quanto quest’ultimo rinvia gli aspetti degli enti alle idee. Ogni sostanza è un sinolo, ovvero un’unione indissolubile di forma e materia: la materia non sussiste senza la forma e, viceversa, la forma non sussiste senza la materia. La forma è la natura intima, l’essenza e la struttura necessaria, ovvero ciò che fa sì che una cosa sia quello che è. La materia, invece, è l'elemento plasmato dalla forma. Essa rappresenta il “materiale ricettivo”, il materiale indeterminato che grazie alla forma prende una struttura specifica. Nello scritto sulle Categorie, Aristotele distingue: - la sostanza prima → che non può mai essere predicata di un’altra sostanza né esistere in un’altra sostanza. - le sostanze seconde → ossia le specie e i generi che possono essere predicate delle sostanze prime. Secondo Aristotele, Platone aveva commesso l’errore di attribuire esistenza autonoma ai predicati, ossia alle qualità, alle quantità e anche alle sostanze seconde, che in realtà esistono soltanto in riferimento a sostanze individuali. Nella Metafisica non compare la distinzione tra sostanze prime e sostanze seconde NOTA BENE: Mettendo l’accento sulla necessità di trovare la definizione dei termini, Socrate e i sofisti hanno avuto il grande merito di capire l’importanza del significato delle parole. Dall’interesse per la discussione si sviluppò la disputa eristica, cioè la degenerazione dell’antica sofistica, portata alle estreme conseguenze. Eristica è il nome con cui si identifica l’ultima fase della sofistica, in cui la fiducia nella capacità soggettiva della persuasione assunse l’aspetto della spavalderia confutatoria. L’eristica, ancor più della sofistica, mirava solo allo scopo della vittoria sull’avversario, qualunque fosse la tesi difesa da quest’ultimo. La dialettica seriamente coltivata fu una grande conquista perché portò a distinguere il criterio di verità. Platone fece del problema una questione ontologica con la dottrina delle idee, criticata da Aristotele per aver negato l’universale e averlo separato dalle cose. Per Aristotele, infatti esiste l’universale, esiste l’uno sopra i molti (ma non esiste l’uno al di sopra dei molti inteso come separato, come in Platone). 🔹De Interpretatione: All’interno dell’opera, Aristotele distingue: - i suoni da cui le parole sono composte; - l’affezione dell’anima; - l’oggetto indicato con l’emissione dei suoni. Mentre i suoni e le parole possono variare, le affezioni dell’anima sono identiche per tutti gli uomini, perché identico è l’oggetto che le produce. Il rapporto tra le affezioni dell’anima e l’oggetto è naturale e non può essere modificato ad arbitrio, mentre il rapporto tra il suono verbale e l’affezione dell’anima è variabile e, quindi, puramente convenzionale (nel senso che si potrebbe anche decidere di usare altri suoni per indicare quel determinato oggetto). La condizione essenziale è però che questi altri suoni rinviino sempre all’oggetto corrispondente (ossia suscitino in colui che li ode l’immagine di tale oggetto). Soggetto e verbo, singolarmente presi, non sono di per sé né veri né falsi. Ciò che può essere vera o falsa è la loro connessione. Ma i discorsi, che fanno impiego dei termini, sono di vari tipi: ci sono preghiere, domande, comandi e così via; questi però non entrano a costituire il corpo di una scienza. Allora, la scienza è costituita di proposizioni, nelle quali i termini sono connessi in modo da dar luogo a verità o falsità: sono le proposizioni apofantiche o dichiarative, le quali affermano o negano qualcosa di qualcosa e proprio per questo sono suscettibili di essere vere o false. La classe di proposizioni apofantiche può essere suddivisa secondo la quantità in: - proposizioni universali → nelle quali di tutti i soggetti si afferma o si nega qualcosa; - proposizioni particolari → nelle si afferma o si nega qualcosa soltanto per qualche soggetto. Aristotele, in base alla posizione che il termine medio (M) può assumere nelle premesse, dimostra che ogni sillogismo rientra nelle tre figure del seguente schema: - PM, MS → PS - MP, MP → PS - PM, SM → PS La combinazione complessiva di S-M-P può dare 16 possibili coppie di premesse, ma solo alcune di queste producono una conclusione, ossia implicano logicamente una terza proposizione. Se le premesse sono vere, anche la conclusione è necessariamente vera. Proprietà del sillogismo è, infatti, la trasmissione della verità dalle premesse alla conclusione. In Aristotele si hanno 3 tipi di sillogismo: - il sillogismo scientifico dimostrativo che parte da premesse vere; - il sillogismo dialettico che ha come punti di partenza degli endoxa, premesse ritenute valide dalla maggior parte di coloro che si occupano di quel problema; - il sillogismo sofistico o eristico, diviso a sua volta in due: - il primo tipo: un ragionamento che arriva a una conclusione vera ma è un sillogismo solo in apparenza; - paralogismo: un ragionamento sbagliato, che verte su un soggetto che rientra in una scienza particolare ma non usa i principi di quella scienza. 🔹Analitici secondi: Nell’opera, Aristotele si occupa in modo particolare del sillogismo scientifico, il quale è lo strumento principale della scienza: in questo senso la scienza si configura come dimostrazione. Ciò che distingue le dimostrazioni dalle altre inferenze è che le loro premesse debbono appunto essere non solo prime, più note e anteriori rispetto alla conseguenza, ma anche vere, necessarie e universali. Molte premesse di determinati sillogismi sono, a loro volta, conclusioni di altri sillogismi, perciò occorre uno strumento diverso dalla dimostrazione. A questa funzione presiede l’intelletto, il quale è una disposizione non innata, ma acquisibile con l’esercizio, a cogliere le definizione delle proposizioni esistenziali e gli assiomi logici per via induttiva. Aristotele distingue 2 tipi di princìpi: - i princìpi propri di ogni singola scienza → in questi include le ipotesi (intese come assunzioni di esistenza degli enti di cui si occupa), le definizioni e i postulati. Le definizioni consistono nell’individuazione del genere più ampio nel quale rientra l’oggetto da definire e della differenza che lo distingue dagli altri oggetti rientranti nello stesso genere. - i princìpi comuni a ogni scienza → detti anche assiomi, hanno un carattere di autoevidenza, non richiedono di essere dimostrati. Ciascuna scienza li utilizza in relazione agli oggetti specifici di sua competenza. Con la distinzione tra princìpi propri e princìpi comuni, Aristotele riconosce la relativa autonomia di ogni singola scienza. In tal modo, egli rifiuta l’idea di un’unica scienza universale. Uno dei più celebri princìpi da cui nessuna scienza può prescindere è il principio di non contraddizione. Infatti, altri temi trattati all’interno dell’opera sono: - la contraddizione → fa parte degli opposti. Nel libro I, al capitolo II viene definita come «antitesi che per sé esclude ogni elemento intermedio», quindi non si ha un elemento intermedio tra due termini contraddittori. - la contrarietà → viene definita come «quel tipo di opposizione che intercorre tra termini che all’interno dello stesso genere sono tra loro massimamente distanti». - la correlazione → avviene tra termini che si richiamano l’un l’altro. - il possesso-privazione → secondo cui si dice che «una cosa x possiede o risulta priva della qualità y». Il passaggio tra un opposto e l’altro è ciò che dà luogo al mutamento che avviene dagli opposti o dagli stadi intermedi a questi, ma non avviene tra opposti qualsiasi, ma solo nell’ambito dei contrari. 🔹Topici: Nella ricerca del sapere gli uomini partono dagli oggetti sensibili per pervenire all’universale, quindi, ciò che è vero in tutti i casi. Ma in questo itinerario conoscitivo è importante la raccolta dei dati e delle osservazioni disponibili che Aristotele designa con il termine phainòmena, che significa letteralmente ‘le cose che appaiono’. Essi comprendono sia le informazioni ottenute attraverso l’osservazione diretta, sia le opinioni correnti e quelle avanzate dai competenti. Ai suoi occhi la conoscenza è una sorta di processo collettivo, nel quale si trovano coinvolti gli uomini del passato e del presente, di conseguenza, occorre anche sapere che cosa è stato scritto su quell’argomento. Ciò comporta una fiducia nello scritto, maggiore di quella nutrita da Platone, e genera la necessità di costruire una biblioteca del sapere e degli errori. Con Aristotele i libri diventano un ingrediente essenziale della ricerca; tuttavia, occorre affiancare la discussione. Infatti, Aristotele recupera l’importanza della dialettica, la quale non è da intendersi platonicamente come la forma più alta di sapere (che per Aristotele consiste invece nella dimostrazione), ma come la tecnica di discussione delle opinioni sostenute dagli uomini. 🔸RETORICA: La retorica è distinta dalla dialettica, in quanto le argomentazioni e i discorsi possono essere pronunciati con finalità diverse, per esempio per convincere degli ascoltatori, indipendentemente dalla verità o falsità di ciò che viene detto. Nell’opera distingue tra: - oratoria deliberativa → ha lo scopo di indurre a prendere determinate decisioni nei consessi politici e quindi riguarda il futuro; - oratoria giudiziaria → consistente nel difendere o accusare un imputato nei processi e mira quindi a convincere che un fatto del passato non è stato commesso da un certo individuo; - oratoria epidittica → il cui obiettivo è lodare o biasimare qualcuno o qualcosa e riguarda dunque il presente. Aristotele individua come strumenti tecnici: - la capacità suscitare emozioni negli ascoltatori; - la capacità di costruire argomentazioni. 🔸FISICA La fisica studia “ciò che è”, in quanto suscettibile di movimento e mutamento. In particolare, essa studia gli enti naturali. Introducendo la fisica tra le scienze, Aristotele si allontana dalla prospettiva platonica, che aveva negato la possibilità di una conoscenza autentica degli oggetti del mondo sensibile. Una proprietà fondamentale delle sostanze è di essere soggette a mutamento. L’esistenza del mutamento è data all’osservazione e non richiede una dimostrazione. Aristotele distingue, infatti, 4 tipi di mutamento: 1. il mutamento sostanziale → come il nascere e perire; 2. il mutamento qualitativo → come assumere un colore o raffreddarsi; 3. il mutamento quantitativo → ossia aumentare e diminuire; 4. il mutamento di luogo → ossia il movimento locale. Il mutamento e il movimento richiedono 3 condizioni: - un soggetto o sostrato del mutamento; - l’assenza di una certa proprietà prima del mutamento; - la proprietà acquisita dal sostrato a conclusione del mutamento. In particolare, il mutamento sostanziale richiede la materia come soggetto e la forma come principio di determinazione di tale materia. Nel libro I della Fisica egli afferma «i contrari sono i principi del divenire» in quanto non derivano l’uno dall’altro, ma posseggono già le caratteristiche definitive: una cosa determinata deriva da una altrettanto determinata e nulla diviene a caso da un ente qualsiasi, a meno che questo non avvenga in maniera totalmente accidentale. I contrari sono i termini estremi tra i quali avviene il mutamento ma non sono i contrari a mutare, in quanto deve esserci un terzo termine che si trasforma, ovvero la materia. Quando avviene un cambiamento non c’è un passaggio tra essere-non essere, ma un passaggio tra un tipo di essere e un altro, ossia una trasformazione interna tra potenza e atto (la dottrina si trova nel capitolo V del libro I della Fisica). La materia è potenza, infatti può ricevere o meno una determinata forma, tuttavia, non può ricevere qualsiasi forma, per esempio la ghianda può diventare o non diventare quercia, ma non può diventare un faggio. Quando la materia riceve una determinata forma, passa all’atto. In questo senso il mutamento può essere definito come attualizzazione di ciò che è in potenza. La potenza rappresenta la possibilità della materia di assumere una forma, mentre l’atto è la realizzazione di tale processo. 🔹LIBRO XI: Nella prima parte (capitoli 1-8) si riassumono i primi quattro libri, nella seconda parte (ultimi 4 capitoli) si riportano degli estratti della Fisica (libri III e IV). 🔹LIBRO XII: Nella prima parte riprende la Fisica, parlando della sostanza sensibile (capitoli 2-5), mentre nella seconda tratta della sostanza soprasensibile (capitoli 6-10). Nel XII libro della Metafisica, Aristotele distingue 3 generi di sostanze: 1. le sostanze sensibili corruttibili; 2. le sostanze sensibili eterne (incorruttibili); 3. le sostanze soprasensibili immateriali ed eterne (55 motori immobili); La materia, la forma e la privazione sono principi delle sostanze sensibili perché hanno sia materia, sia forma, sia privazione e la causa efficiente, ossia un principio estrinseco esterno. Aristotele sostiene che i principi sono diversi per le diverse cose, mentre sono identici per analogia, ossia nel rapporto che ciascuno ha con la cosa di cui risulta essere principio: i principi sono diversi per ciascun individuo, ma ciascuno è dotato di una materia e di una forma. La dottrina dell’analogia dell’essere è stata a lungo attribuita ad Aristotele, ma si tratta di un concetto sbagliato: in Aristotele l’essere non è analogo per la definizione stessa di analogia, ovvero l’identità di rapporto tra termini diversi secondo cui si dice che A : B = C : D. Tra i significati dell’essere si ha un rapporto di “pros hen”, ovvero in relazione a uno. I principi di materia, forma, privazione e causa-effetto, secondo Aristotele, non sono sufficienti a spiegare l’intera realtà. Inoltre, le sostanze soprasensibili costituiscono i principi ultimi ma non gli unici. Nella formulazione della concezione dell’universo, Aristotele si basa sui sistemi astronomici di Eudosso e Callippo di cui si ha notizia al capitolo VIII e nel commentario di Simplicio al De caelo. L’apparato concettuale delle 4 cause spiega i fenomeni riguardanti l’ambito del cosmo. Aristotele distingue 2 zone dell’universo: 1. il mondo celeste percorso dal movimento degli astri; 2. il mondo sublunare nel quale è situata la terra. Le sostanze del mondo sublunare sono costituite dai 4 elementi, dei quali tutti gli altri sono composti, ossia: terra, acqua, aria, fuoco. Ciascuno di essi è caratterizzato dal possesso di due delle quattro qualità base: - da una qualità attiva (caldo o freddo); - una qualità passiva (secco o umido). Grazie al possesso di tali qualità gli elementi sono suscettibili di trasformarsi l’uno nell’altro. Secondo la teoria dei luoghi naturali, ogni elemento si muove per propria natura in una direzione determinata dal suo peso; ciascuno di essi ha dunque un proprio luogo naturale, verso il quale tende. Ogni moto si compie in un luogo e in un tempo. Tra il luogo che contiene e il corpo che vi è contenuto non si frappone alcun vuoto. Inoltre, il tempo non può propriamente essere percepito senza percezione del moto: l’istante non è un periodo di tempo, ma soltanto il limite tra due periodi, ossia il prima e il poi, i quali sono percepiti come successione temporale in connessione al prima e al dopo del movimento. E il termine di riferimento, l’unità di misura sarà costituita dal moto circolare dei corpi celesti. Come questo è eterno (non nel senso di atemporale, ma nel senso di non avere né inizio né fine) allo stesso modo si può dire eterno il tempo, senza inizio né fine. La sequenza degli elementi – determinata in base al luogo naturale che essi tendono a occupare in virtù del rispettivo peso – è: terra, acqua, aria, fuoco. Una delle conseguenze più significative di questa concezione aristotelica è il geocentrismo: la terra, in quanto corpo più pesante, occupa il centro dell’universo. Al di sopra del mondo terrestre vi sono la luna, il sole, i pianeti, le stelle fisse (o primo cielo). Per spiegare le loro posizioni e i loro movimenti Aristotele riprende dottrine avanzate al suo tempo da Eudosso e da Callippo. Secondo la tradizione, infatti, Eudosso sarebbe stato il primo tra i greci ad occuparsi di quali movimenti regolari e ordinati bisognasse ammettere al fine di salvare i fenomeni. Nel sistema astronomico di Eudosso questi corpi celesti sono legati a una serie di sfere concentriche, che si muovono circolarmente e costantemente intorno alla terra in corrispondenza dell’equatore. Affinché i movimenti irregolari fossero ricondotti a moti uniformi, Eudosso ammise 4 sfere per ciascuno dei pianeti. Callippo aumentò il numero delle sfere nel sistema astronomico, fino ad Aristotele che ne ammette 55. Eudosso e Callippo riconoscevano sistemi di sfere indipendenti per ciascun pianeta, mentre Aristotele ammette un unico cielo. Ne deriva che ogni sistema di sfere risente dell’influenza del sistema di sfere al cui interno si trova. Il movimento circolare è eterno, così come sono eterne le specie vegetali e animali che lo popolano. Il sole e il calore che da esso promana garantiscono l’eterna riproduzione di tali specie. Processi di generazione e corruzione sono propri soltanto delle singole sostanze del mondo sublunare, le quali sono suscettibili di muoversi secondo una pluralità di moti anche contrari tra loro. Il moto circolare, invece, non ha contrari ed è proprio delle sostanze incorruttibili, ossia dei corpi celesti. Questi, dunque, non possono essere composti degli stessi elementi che formano le sostanze del mondo sublunare, altrimenti sarebbero soggetti alla corruzione, di conseguenza vi è un quinto elemento che li costituisce, ossia l’etere. Il mondo è eterno, non ha inizio né fine, ma non è infinito spazialmente, perché in uno spazio infinito non potrebbe esservi centro; né i mondi sono molteplici o addirittura infiniti, come avevano preteso gli atomisti. Per dimostrare l’unicità del mondo Aristotele fa uso di una dimostrazione per assurdo: se esistesse un ipotetico secondo mondo, esso sarebbe costituito dagli stessi elementi costitutivi del nostro; ma in base alla dottrina dei luoghi naturali, ciascun elemento tenderebbe al proprio luogo e quindi la terra di questo secondo universo tenderebbe a ricongiungersi con la terra del nostro universo e così tutti gli altri elementi; pertanto, l’universo non può che essere unico. Per Aristotele il carattere finito dell’universo è contrassegno anche della sua perfezione. Egli si trova però di fronte al problema di spiegare la continuità e l’eternità dei moti celesti e lo affronta anche nel libro VIII della Fisica: come ogni movimento, anche quello dei corpi celesti richiede una causa e se questa causa a sua volta si muove, ne richiede una a sua volta, ma poiché non si può regredire all’infinito, occorre trovare una causa prima di esso. Perciò, è necessario ammettere l’esistenza di un primo motore immobile e, quindi, non mosso da altro. Questo motore immobile è identificato da Aristotele con la divinità. Il motore immobile è anche atto puro; esso non può essere potenza, perché la potenza comporta la possibilità di due contrari; infatti, se il primo motore fosse in potenza, potrebbe muovere e non muovere; ma allora resterebbe inesplicato il movimento continuo dei corpi celesti. Dunque, esso è sempre atto puro, ossia privo di potenzialità. Il primo motore immobile muove direttamente il primo cielo, il quale dà movimento a tutte le altre sostanze. Il motore immobile muove il primo cielo di movimento sia eterno sia uniforme, ossia il movimento più perfetto, sempre uguale a se stesso, nel quale non si distingue un punto di inizio e un punto finale. 🔹LIBRO XIII e XIV: contengono la critica alle Idee, ai numeri ideali, agli enti matematici. 🔸POLITICA: Questa regolarità caratterizza anche il mondo degli esseri viventi. Per spiegare i fenomeni naturali occorre allora individuare il tèlos, il bene perseguito dalla natura nelle sue operazioni. Ciò non significa che la natura sia concepita da Aristotele come un agente razionale guidato da intenzioni, com’era il demiurgo del Timeo platonico. In generale, Aristotele sostiene che ogni specie ha il proprio fine in se stessa, tende a riprodursi eternamente attraverso gli individui che la costituiscono e che sono invece soggetti al perire. Gli esseri viventi sono totalità organiche, ossia totalità che risultano non dalla semplice somma di parti, ma dall’integrazione fra queste parti, che non possono esistere e svolgere le loro funzioni indipendentemente dal tutto di cui sono parti (organi). L’uomo è il più intelligente tra gli animali non perché ha le mani – come aveva detto Anassagora –, ma ha le mani perché è il più intelligente. Non sono cioè gli organi a causare la nascita di determinate funzioni, bensì sono le funzioni proprie della natura di ciascuna specie a richiedere determinati organi per poter essere adeguatamente svolte. Ciò non significa che la natura raggiunga sempre questi fini, come mostrano casi, anche se rari, di generazioni mostruose. Inoltre la natura talvolta dà anche luogo a produzioni che risultano prive di un fine (per esempio, per lui lo erano la bile e la milza). La stessa generazione di esseri viventi di sesso femminile è considerata da Aristotele puramente strumentale in vista della generazione di esseri di sesso La virtù dell’anima specificamente umana è quella di dominare gli impulsi e le tendenze, ed è detta virtù etica. L’anima puramente razionale ha come sua virtù quella dianoetica. La giustizia è compresa in ogni virtù . Nei libri VIII e IX dell’Etica Nicomachea Aristotele afferma che vi è un legame tra virtù e felicità. Egli sostiene che l’amicizia si ha in vista di 3 cose: utile, piacere e il buono. La vera amicizia è quella nella quale l’amico è amato per se stesso e che è fondata sulla virtù e sulla ricerca del bene per l’amico. Le forme inferiori di amicizia sono quelle nelle quali l’amico è amato soltanto per l’utilità o il piacere che se ne può trarre. Queste tipologie sono instabili ed illusorie, sono strumentalizzate ai vantaggi che offrono. La vera amicizia, invece, è tra uomini virtuosi, a motivo della virtù stessa ed è necessaria al conseguimento della felicità (dopotutto l’uomo è nato per vivere in società). 🔸DE ANIMA Il De anima è un’opera scritta in stile “perfetto”. Nell’opera richiama il concetto dell’anima e sostiene che essa è causa prima di tutti i fenomeni studiati nelle sue opere di biologia (in un passo del De caelo, più precisamente nel II libro al capitolo XII, Aristotele sostiene che l’attività degli astri è quasi come quella degli animali e delle piante). Ciò che caratterizza un essere vivente è la presenza in esso di qualcosa che lo animi e gli dia vita. 🔺L’anima costituisce la forma e il corpo la materia. Questo perché, per Aristotele, l’anima è una sostanza, ma non nel senso di materia, bensì in quello di forma. In questo senso egli definisce l’anima come entelechìa (atto perfetto) di un corpo naturale che ha la vita in potenza. Non ogni corpo ha la vita in potenza: basti pensare alle pietre o ai metalli; solo un corpo organico, ossia un corpo dotato di organi, cioè di strumenti in grado di svolgere certe funzioni, può avere la vita in potenza. L’anima, dunque, non è altro che l’attualizzazione delle funzioni potenziali che caratterizzano tale corpo. Essa non è una parte o un pezzo dell’essere vivente. Aristotele non condivide la concezione platonica dell’anima e del corpo come entità separate: di fatto esse costituiscono un insieme unitario e l’anima non può esistere indipendentemente dal corpo. Diversamente da Platone, egli non concepisce l’anima come un insieme di parti, bensì come un insieme di funzioni, distinte in 3 livelli: 1. funzione nutritiva e riproduttiva → che è propria anche delle piante; 2. funzione sensitiva → che è propria soltanto degli animali (uomo incluso) e si esplica mediante i cinque sensi. I movimenti prodotti dalle percezioni attraverso il sangue raggiungono il cuore che costituisce il centro delle funzioni. Aristotele non attribuisce dunque alcuna funzione centrale al cervello, che serve solo a raffreddare il calore cardiaco. 3. funzione intellettiva → che ha soltanto l’uomo. Essa consente di giudicare il vero e il falso, ciò che è desiderabile e ciò che non lo è. Aristotele sembra sostenere anche la tesi dell’immortalità dell’anima, la quale per essere tale deve essere indipendente dal corpo (per Platone questo concetto non è un problema). Aristotele sembra giustificare l'immortalità dell'anima attraverso il concetto di eredità, attraverso cui viene trasmessa la forma e la madre trasmette anche la materia. 🔸POLITICA L’uomo non è un essere autosufficiente e non è in grado di sopravvivere se vive isolato, soprattutto non è in tal caso in grado di vivere bene. Di qui scaturisce la tesi che l’uomo è «per natura un animale politico». Ciò significa che è costitutivo della natura dell’uomo il vivere all’interno di quella forma di organizzazione sociale e politica che è la polis. Solo entro la polis l’uomo può realizzare pienamente la propria natura. Anche altri animali, come le formiche o le api, conducono una vita di gruppo, ma solo l’uomo ha la percezione di ciò che è bene e male. La polis non è una costruzione artificiale, ossia il risultato di un patto o un accordo tra uomini. È piuttosto una formazione naturale intrinsecamente legata alla natura dell’uomo. Le poleis sono diverse dal concetto di città odierna: sono più estese e indipendenti dallo Stato. Vi è una critica a Platone per quanto riguarda il concetto di bene: Aristotele critica l’astrattezza di Platone e l’unicità troppo rigida, sostenendo che per il maestro il bene è un’idea che non è realizzabile sul piano pratico. Il bene singolo aristotelico si identifica con il bene della comunità. L’oggetto di cui tratta l’opera è la politica della polis e il rapporto tra politica e storia reale. Nel concetto libro I della Politica, la politica viene definita come scienza politica (ne parla anche nell’Etica Nicomachea) perché ogni scienza tende al bene. La politica è una scienza dominante (architettonica) perché non è subordinata alle altre, inoltre è una scienza/filosofia pratica. 🔸POETICA: Anche la poesia in senso stretto è per Aristotele un tipo di produzione, finalizzato a produrre forme. Per Aristotele le produzioni poetiche sono, come già aveva sostenuto Platone, una forma di imitazione. L’imitazione costituisce una delle prime sorgenti di conoscenza delle cose ed è al tempo stesso fonte di piacere. Nello sviluppo delle forme della poesia la tragedia rappresenta il compimento. Contrariamente a quanto aveva pensato Platone, l’effetto non è l’incremento incontrollato di tali passioni, bensì la catarsi dell’anima da esse. Lo spettatore, diventa capace di evitare una totale identificazione con i personaggi e con i loro eventuali errori. La poesia non va dunque incontro a una svalutazione, anzi agli occhi di Aristotele è addirittura superiore alla storia: “la poesia è qualcosa di più losoco e di più elevato della storia; la poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare”.
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