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ARISTOTELE VITA E OPERE, Dispense di Filosofia

DISPENSE DELLA PROFESSORESSA DATE

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 31/05/2024

rosaria-mongiana
rosaria-mongiana 🇦🇺

8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica ARISTOTELE VITA E OPERE e più Dispense in PDF di Filosofia solo su Docsity! Aristotele: la riscoperta del mondo concreto capitolo9 722 LA CLASSIFICAZIONE ARISTOTELICA DELLE SCIENZE | DEFINIZIONE | SCIENZE | FINALITÀ scienze teoretiche riflettono inmodo - fisica il conoscere fine a sé stesso teorico sulla realtà - metafisica - matematica scienze pratiche descrivono e orientano - etica l'agire pratico (individuale l'azione - politica e socio-politico) scienze produttive descrivono e orientano tecniche e arti (come la | la produzione di oggetti o poietiche la produzione retorica e la poetica) materiali o di opere d'arte 2 La metafisica Nell'ordinamento delle opere di Aristotele effettuato da Andronico, la metafisica viene dopo la logica e la fisica: si mettono innanzitutto a punto gli strumenti dell'indagine, di cui si occupa la logica; poi si applicano a ciò che esiste nel mondo in cui viviamo, di cui si occupa la fisica; infine si estendono i risultati a ciò che esiste in generale, e si arriva così alla metafisica. Tuttavia, se si vuole valorizzare non tanto il procedimento quanto l'esito complessivo della ricerca, allora è preferibile un altro ordinamento, tale per cui si parte da ciò che, alla luce dell'indagine, risulta fondamentale. E poiché per Aristotele il pensiero e il linguaggio rispecchiano l'essere, è dall'essere (dominio della metafisica) che occorre partire, non dal pensiero e dal linguaggio (dominio della logica). Considereremo pertanto innanzitutto la metafisica, che si occupa di tutto ciò che è; poi la logica, che ci spiega come possiamo pensare, conoscere ed esprimere tutto ciò che è; infine la fisica, che restringe il campo a ciò che esiste nel mondo in cui viviamo. La metafisica mostra a sua volta un'articolazione interna che procede dal quadro più ampio agli aspetti più specifici: ® innanzitutto la metafisica come teoria dell'essere, che si interroga su che cosa c'è, e su che cosa significa, in generale, che qualcosa è; ® poila metafisica come teoria della sostanza, che si chiede come è fatto ciò che è; ® quindi la metafisica come teoria delle cause, che considera che cosa fa sì che qual- cosa sia; ® infine la metafisica come teologia, che considera la più perfetta delle cose che esi- stono: il divino inteso come primo motore immobile. LA METAFISICA COME TEORIA DELL'ESSERE I L'ontologia AI centro della filosofia di Aristotele c'è una ricerca il più possibile ampia e profonda su tutto quello che in qualche modo è, cioè sull'essere. Su Aristotele definisce tale ricerca «filosofia prima», e la caratterizza nei termini seguenti: hh Questa scienza non s'identifica con nessuna delle cosiddette scienze particolari, giacché nessuna delle altre ha come suo universale oggetto d'indagine l'essere in quanto essere, ma ciascuna di esse ritaglia per proprio conto una qualche parte dell'essere e ne studia gli attributi. (Metafisica, IV,1,1003a) Nella visione di Aristotele, la matematica si occupa dell'essere dei numeri, la geome- tria dell'essere delle figure, la fisica dell'essere del cosmo, la biologia dell'essere degli or- ganismi viventi. Invece la filosofia prima concerne l'essere in generale; è dunque «pri- ma» nel senso che essa si occupa della nozione su cui si basano tutte le altre scienze: la nozione di “essere”. L'indagine sull'essere, impostata già nella prima opera dell’Organon, le Categorie, si di- spiega in tutta la sua imponenza nei quattordici libri della Metafisica. Il titolo Metafisica deriva dal fatto che questi libri, nell'ordinamento complessivo degli scritti aristotelici rea- lizzato da Andronico di Rodi, vengono dopo la Fisica (meté in greco significa per l'appunto “dopo”, “oltre”); tuttavia l'etimologia della parola “metafisica” può suggerire anche che l’opera tratta dell'essere in quanto tale, spingendosi “oltre” l'essere del mondo in cui vivia- mo, di cui tratta la Fisica. La scienza teoretica che Aristotele chiama «filosofia prima» è stata ribattezzata nei secoli successivi proprio con il nome metafisica, termine che si usa ancora oggi per indi- care le ricerche filosofiche sull'essere. La metafisica aristotelica è, nella sua impostazione fondamentale, un tentativo sistematico di rispondere tanto alla domanda: “che cosa c'è, che cosa esiste?” quanto all’interrogativo “che cosa significa che qualcosa è?” Così caratterizzata, la metafisica si può definire anche come una ontologia. I L'essere e il verbo essere Aristotele imposta la ricerca sull'essere analizzando le opinioni più autorevoli (éndora) dei pensatori che lo hanno preceduto. Egli le critica evidenziando i problemi (aporini) che le affliggono e il loro conflitto con le apparenze (phainomena); insiste soprattutto sul fatto che queste teorie si rivelano inadeguate per spiegare come normalmente pensiamo alla realtà, e come la esprimiamo nel linguaggio. Per Aristotele, la conformità con gli usi linguistici è un aspetto importante nella valu- tazione di una teoria filosofica. Secondo un'ipotesi di ricerca introdotta nelle Categorie e poi sviluppata nella Metafisica, il linguaggio tende a rispecchiare la realtà, per cui in- terrogarci sulle cose di cui parliamo ci aiuta a stabilire quali cose esistono. In quest'ottica, il fatto che l'essere sia la più fondamentale delle nozioni filosofiche è rispecchiato dal ruolo cruciale che il verbo “essere” svolge nel nostro linguaggio, permettendoci di collegare tra loro gli altri termini (funzione copulativa) e descrivere quello che esiste IONI IMMA IICNN |M ARIA srt SAI AAA Iii RR n Essico metafisica (dal greco metà tà physiké, letteral- ne di Andronico di Rodi), e la definisce «filosofia filosofico mente “dopo” o “oltre la fisica”) l'ambito filosofi- prima». co di indagine di ciò che "va oltre" la dimensione immediatamente sensibile della realtà, per co- glierne gli aspetti più essenziali. Aristotele non usa questo termine (che risale alla classificazio- ontologia (dalgreco dn, éntos, “essere”, e [dgos, teoria") riflessione che riguarda l'essere in quanto tale, il sua modo di esistere ceo 6:21 PM Aristotele: la riscoperta del mondo concreto capitolo 9 /#z22e2? I Sostanze e accidenti L'esito finale del “gioco” dei dieci contenitori ci suggerisce che le dieci categorie non sono tutte sullo stesso piano. La prima, la sostanza, è molto più importante delle altre nove, che in ragione del loro carattere subordinato si possono raggruppare in un'unica macro- categoria, quella degli accidenti. Per Aristotele, sono sostanze tutte le cose che hanno un'esistenza autonoma e una propria individualità, ad esempio gli organismi viventi come gli animali o gli alberi oppure gli artefatti come le case o i tavoli. Gli accidenti, invece, esistono soltanto in riferimento alla sostanza, come sue caratteristiche: se non ci fosse quella sostanza, non ci sarebbero nemmeno quegli accidenti. Ad esempio, se sparisse questo particolare cavallo sparirebbe anche il suo correre, mentre questo stesso cavallo continuerebbe a esistere anche se smet- tesse di correre. Al limite, potremmo perfino immaginare un universo in cui l’unica cosa che esiste è questo cavallo, ma non un universo in cui esiste soltanto il correre. SMLTNM PTT HLA VO n ANA Ann tn vv nn sostanza (dal greco hypokéimenon, in latino accidente (dalgreco symbebekés, “cio che accade substantia, dal verbo sub-stare, “stare sotto") è insieme [a un accadimento principale]”, tradotto in “ciò che sta sotto”, nel senso che è basilare. Per latino con àccidens, participio presente di accidere, Aristotele è ciò che ha un'esistenza propria, esi- “accadere”) una determinazione o una qualità che ste in sé e per sé, in modo autonomo. non può esistere senza il soggetto cui appartiene e che non è necessaria alla definizione della sostanza. nn ninni lessico filosofico 23 40. sezione? \ L'ETÀ CLASSICA La sostanza è dunque ciò a cui in ultima analisi ci riferiamo quando parliamo di ciò che esiste. L'indagine sull'essere giunge così a un punto fondamentale: l'essere è innan- zitutto sostanza; gli altri modi dell'essere sono soltanto accidenti della sostanza. La do- manda ontologica fondamentale “che cosa significa che qualcosa è?” trova finalmente risposta: quando diciamo che qualcosa è facciamo riferimento a una sostanza ed even- tualmente le attribuiamo certe caratteristiche. I Addio alle idee La teoria aristotelica della sostanza segna un radicale cambiamento di prospettiva ri- spetto alla filosofia platonica. Per Platone la modalità primaria di esistenza è quella astratta delle idee, di cui gli individui concreti che incontriamo nel nostro mondo sono soltanto imitazioni imperfette. Invece per Aristotele a esistere in senso primario so- no proprio gli individui concreti (le sostanze individuali, come il gatto che vedo accuc- ciato sulla poltrona) con le loro caratteristiche peculiari (gli accidenti individuali, come il particolare bianco del manto di quel gatto). Le idee esistono soltanto in quanto realizzate dagli individui (idee come sostanze universali, ad esempio il gatto) o dalle loro caratteri- stiche peculiari (idee come accidenti universali, ad esempio il bianco). Il mondo di Aristotele è innanzitutto un mondo di individui, non di idee; queste ultime esistono unicamente come universali, nella misura in cui sono realizzate da qual- cosa di individuale. Se invece vogliamo considerare le idee come realtà a sé stanti, allora «possiamo dare un addio alle idee, poiché non si tratta che di suoni privi di riferimento» (Analitici secondi, II, 83a). LA METAFISICA COME TEORIA DELLA SOSTANZA I Materia e forma Posto che il livello fondamentale dell'essere è quello della sostanza individuale, per stabili- re compiutamente che cosa significa che qualcosa è — obiettivo prioritario della metafisica —, occorre stabilire come è fatta la sostanza. Aristotele caratterizza la sostanza individuale come un sìnolo — cioè una combinazione inestricabile, un tutt'uno — di materia e forma. La materia è il supporto che rende possibile l’esistenza di una certa sostanza; la forma è ciò che rende una certa sostanza quello che essa effettivamente è. Una sostanza inizia a esistere quando si ha l'acquisizione di una peculiare forma da parte di una materia, e finisce di esistere quando quella materia perde quella peculiare forma: è infatti la forma che tiene assieme la materia impedendole di disgregarsi disfacendo la sostanza. Per precisare la distinzione tra materia e forma Aristotele suggerisce di considerare il lavoro degli artigiani. Prendiamo ad esempio un vasaio: l'argilla che egli lavora è la ma- teria grezza; il vaso che si genera al termine del suo lavoro è la materia cui è stata data forma. Quando la materia grezza acquisisce la forma, il vaso come sostanza inizia a esi- stere. D'altra parte, se questo vaso a un certo momento cade a terra finendo in mille pezzi, esso perde la sua forma, e finisce di esistere; la sua materia, l'argilla, permane tuttavia nella molteplicità dei cocci. FFC OTT OAV I n sìnolo (dal greco synalon, composto da syn, origine iltermine indicava la legna del bosco, in- Hlotoli “insieme”, e hdlos, “tutto") unità indissolubile di tesa come il materiale più usato per costruire. Losotico materia e forma che costituisce ogni sostanza A È È % individuale. forma (in greco morphé, ma anche éidos) l'ele- mento caratterizzante, che definisce che cos'è materia (in greco hyle, in latino materia) l'ele- una sostanza specifica; nelle sostanze individua- mento indeterminato, il materiale passivo che li ciò che viene determinato e organizzato in viene specificato e determinato dalla forma. In. modo peculiare dalla forma è la materia. titti natanti lessico filosofico causa (in greco sition) ciò che spiega il perché di una certa sostanza. Poiché la spiegazione del perché può evidenziare diversi aspetti, Aristotele distingue quattro tipi di cause: a) causa efficiente (chi ha prodotto quella sostanza); b) causa materiale (di quale materia è fatata una sostanza); c) causa formale (da quale forma è costituita una sostanza); d) causa finale (lo scopo per cui è stata prodotta). SCHEMA AUDIOVISIVO La dottrina delle quattro cause (nre i lessico filosofico entelechìa (in greco entelékheia, da en télei ékheîn, "essere giunto al proprio fine, essere compiuto") il termine si riferisce al fatto che la sostanza è pienamente tale soltanto quando realizza il fine che le è proprio. LA METAFISICA COME TEORIA DELLE CAUSE I Le quattro cause Perché la sostanza che è in potenza nella materia si realizzi in atto occorre che alla ma- teria sia conferita una forma; per spiegare come questo avvenga, Aristotele introduce le nozioni di causa e fine. La causa è l’azione che interviene concretamente sulla materia per attribuirle la for- ma; il fine è al tempo stesso ciò che guida questa azione e ciò verso cui questa stessa azione tende. Affinché l'argilla si trasformi in vaso occorre l'intervento manuale del va- saio che la modelli e la cuocia con l'obiettivo di conferirle la funzione di recipiente. Più in generale, perché la materia prenda una nuova forma generando una nuova sostanza, occorre una causa che agisca sulla materia in vista di un certo fine. Materia, forma, causa e fine sono le quattro nozioni che Aristotele ritiene necessarie per spiegare esaurientemente l'essere di qualsiasi sostanza. A questo proposito si parla anche di “dottrina delle quattro cause”: è causa tutto ciò che rende ragione di come e per- ché una certa sostanza esista. Si tratta, dunque, di quattro fondamentali fattori esplicativi: 1. la causa efficiente (0 causa motrice): ciò che dà inizio all'esistenza di una sostanza; 2. la causa materiale: la materia di cui una certa sostanza è fatta; 3. la causa formale: la forma di cui una sostanza è provvista e che la rende ciò che è; 4. la causa finale: il fine a cui una certa sostanza tende. La dottrina si può formulare anche in termini di quattro domande alle quali occorre dare risposta per spiegare l'essere di una determinata sostanza: “chi l’ha fatta?” (causa efficiente), “di che cosa è fatta?” (causa materiale), “come è fatta?” (causa formale), “perché è stata fatta?” (causa finale). Questo schema esplicativo suona convincente nel caso di prodotti artificiali come un vaso o un tavolo, ma sembra più difficile da applicare a organismi viventi come gli animali o le piante. Aristotele ritiene tuttavia che funzioni anche in questo caso: la causa efficiente di un singolo cane è l’attività riproduttiva dei suoi genitori; la causa materiale è “l'impasto” di ma- teriali organici di cui il cane è costituito; la causa formale è quella particolare organizzazione di materiali organici che fa sì che questo cucciolo sia un cane; la causa finale è la realizzazione compiuta dell'essenza canina che il cucciolo conseguirà quando sarà divenuto adulto. I La priorità di forma e fine Fra le quattro cause, risultano prioritarie la causa formale e la causa finale. La causa ma- teriale e la causa efficiente sono soltanto i mezzi concreti attraverso i quali si attualizza una certa forma e si compie un certo fine: un certo vaso avrebbe potuto essere realizzato anche a partire da un pezzo di argilla diverso, o per mano di un vasaio diverso, ma se quel vaso non avesse quella particolare forma e se non soddisfacesse quel suo particolare fine, esso non sarebbe la sostanza che attualmente è. La priorità delle nozioni di atto, forma e fine si dispiega pienamente nella caratterizza- zione aristotelica della sostanza come entelechìa. Questa parola è la contrazione dell’e- spressione greca en télei ékhein, che significa “trovarsi nello stato di realizzazione del pro- prio fine”. Ciò vuol dire che una sostanza è compiutamente in atto, e dunque ha una certa forma ed esiste a pieno titolo, soltanto a partire dal momento in cui essa realizza piena- mente il fine che è le proprio: un vaso sarà compiutamente in atto soltanto dopo i pro- cessi di tornitura e cottura che gli permetteranno di realizzare pienamente la sua funzione di recipiente; una pianta, un animale o un uomo saranno compiutamente tali soltanto quando nel loro sviluppo avranno realizzato l'essenza che li contraddistingue. LA METAFISICA COME TEOLOGIA I Le sostanze soprasensibili Come abbiamo visto, la sostanza è sinolo di materia e forma, ma ciò che la rende vera- mente tale è la forma; la sostanza può essere sia in potenza sia in atto, ma esiste com- piutamente soltanto quando è in atto. La sostanza inizia a esistere per effetto di una causa efficiente ma esiste compiutamente soltanto quando realizza il fine che le è pro- prio. In questa caratterizzazione della sostanza, che culmina nella nozione di entele- chìa, l'atto risulta dunque più fondamentale della potenza, la forma più fondamentale della materia e la causa finale più fondamentale della causa efficiente. Partendo da questi presupposti, nella parte conclusiva della Metafisica, Aristotele si chiede se possano esserci sostanze dispensate da una fase di esistenza in potenza, dal possesso di una materia e dal legame con una causa efficiente. Si tratterebbe di sostanze che, in quanto prive di materia, non potrebbero venire percepite con i sensi (sostanze soprasensibili); esisterebbero esclusivamente in atto, esprimendo compiutamente la pro- pria forma e realizzando perfettamente il proprio fine. Nel quadro della metafisica aristo- telica, tali sostanze sono concepibili, ma, a differenza delle idee platoniche, non sono degli universali che possono manifestarsi in vari individui, bensì individui a sé stanti. Se le sostanze soprasensibili non esistessero, la metafisica si ridurrebbe alla fisica, cioè allo studio delle sostanze fisiche, quelle composte di materia e forma: «Se non si ammette l'esistenza di alcun'altra sostanza al di fuori di quelle naturalmente composte, la fisica allora dovrebbe essere la scienza prima» (VI, 1, 1026a). Tuttavia, secondo Ari- stotele, la fisica non basta a sé stessa. Il suo ragionamento è il seguente. Tutto quello che si muove è stato mosso da qual- cosa, dunque ogni movimento deve avere una causa, ma ogni causa è a sua volta l’effet- to di un’altra causa, e così la catena delle spiegazioni rischia di non concludersi mai. Poiché non è logicamente sostenibile il regresso all'infinito, deve esistere una sostanza “speciale”: un “motore immobile”, che muova senza essere mosso. Il motore immobile mette fine a questa catena apparentemente interminabile perché, in quanto “motore”, agisce come causa, ma, in quanto “immobile”, non è a sua volta l’effetto di un'altra cau- sa: nulla l’ha mai mosso, lo muove, lo muoverà o potrà mai muoverlo, eppure esso rende possibili imovimenti di tutte le altre cose. Dato che il motore immobile non può essere mosso, esso è completamente immuta- bile, dunque non esiste in potenza (altrimenti potrebbe mutare) ma soltanto in atto; inol- tre non esiste come materia (altrimenti esisterebbe anche in potenza) ma soltanto come forma; si tratta pertanto di una sostanza soprasensibile. Aristotele caratterizza il mo- tore immobile nei termini seguenti: «una sostanza eterna e immobile e separata dalle sostanze percepibili; [...] una sostanza che non può avere grandezza alcuna, essendo priva di parti e indivisibile» (XII, 7, 1073a). In quanto sostanza senza materia, il motore immobile è forma pura, atto puro. Ma un atto puro, senza materia né potenza, e quindi FARE pel CAPIRE * Prova a spiegare con la dottrina delle quattro cause che cos'è la Tour Eiffel. lessico filosofico motore immobile la causa prima, che dà origine a ogni movimento senza muoversi a sua volta; è quindi immutabile, e come tale atto e forma pura, priva di potenza e di materia. sostanza soprasensibile sostanza immateriale, non oggetto di percezione sensibile, perché dotata soltanto di forma e non di materia. lessico filosofico teologia (dal greco théos, “dio”, e légos, "discorso") la scienza che si occupa di Dio e del divino. > testo 2 p. 283 ESERCIZI Bea senza possibilità di mutamento, non è altro che puro pensiero. Di tutte le cose di cui abbiamo esperienza nel mondo, il nostro pensiero (che ci appare come atto puro, senza materia alcuna) è l'unica che ci permetta in qualche modo di intuire in che cosa possa consistere l’attività del motore immobile. Tuttavia il nostro pensiero dipende da fattori esterni, ad esempio dalle cose che vediamo o sentiamo, mentre il pensiero del motore immobile è completamente indipendente da tutte le altre cose; in tal senso Aristotele caratterizza il motore immobile come «pensiero-che-pensa-sé-stesso» (XII, 9, 10752). I Dall'ontologia alla teologia In quanto atto puro e pensiero puro, il motore immobile gode dell'esistenza propria di una di- vinità, uno stato di perfezione che Aristotele descrive nei termini seguenti: «Se, pertanto, Dio è sempre in quello stato di beatitudine in cui noi veniamo a trovarci solo talvolta, un tale stato è meraviglioso; e se la beatitudine di Dio è ancora maggiore, essa è oggetto di meraviglia ancora più grande. Ma Dio è appunto in tale stato! Ed è sua proprietà la vita, perché l'atto dell’intel- letto è vita, ed egli è appunto quest’atto, e l'atto divino, nella sua essenza, è vita ottima ed eterna. Noi affermiamo allora che Dio è un essere vivente, sicché a Dio appartengono vita e durata continua ed eterna: tutto questo, appunto, è Dio!» (Metafisica, XII, 7, 1072b). Il motore immobile si rivela essere Dio, e così la metafisica aristotelica, che era comin- ciata come un’ontologia, cioè come una ricerca su che cosa esiste, sfocia in una teologia, cioè in uno studio dell'essere di Dio (in greco theds), l'essere supremo, che è indipendente da tutte le altre cose e da cui tutte le altre cose dipendono. Ogni cosa dipende da Dio per quanto riguarda il suo movimento. Secondo Aristotele, Dio non ha creato il mondo, che invece è eterno come lo è Dio stesso; l’attività di Dio non è creatrice ma motrice: egli, in quanto motore immobile, fa muovere tutte le cose del mondo senza muoversi esso stesso. Dal momento che Dio è una sostanza soprasensibile, il modo in cui egli fa muovere le cose non può essere il modo della causa efficiente (che comporta un contatto materiale, come quando un calcio fa muovere un pallone). Dio agisce invece come fine, come causa finale, nello stesso modo in cui la persona amata attrae l'amante e determina le sue azio- ni, ponendosi come l'oggetto d'amore verso cui tendere. FARE pet CAPIRE * Fai un elenco delle caratteristiche del Dio aristotelico, inteso come sostanza sopra- sensibile e motore immobile. LA METAFISICA E L'EDIFICIO DEL SAPERE La metafisica è la pietra angolare di tutto l’edificio aristotelico del sapere, la pietra che sorregge l’intera costruzione. Due sono le ragioni di questa priorità. Da una parte, la metafisica come teoria dell'essere, con le sue distinzioni tra so- stanza e accidente, individuale e universale, sta alla base della logica, intesa sia come teoria del pensiero sia come teoria della conoscenza, in particolar modo della conoscenza scientifica (in tal senso la logica si identifica con l’epistemologia). Dall'altra, la metafisica come teoria della sostanza, teoria delle cause e teologia — con le sue distinzioni tra materia e forma, potenza e atto, cause e fine, e l’individuazio- ne della causa prima del movimento, il motore immobile — sta alla base della fisica, intesa come teoria della natura in generale; della fisica fa parte la teoria della vita, che è la combinazione di biologia e psicologia. I Giudizi e proposizioni Posto che i concetti sono gli elementi fondamentali del pensiero, l’attività del pensare consiste innanzitutto nella formulazione di giudizi che connettono concetti. Questi giu- dizi dal punto di vista linguistico si esprimono in proposizioni che mettono in relazione termini corrispondenti ai concetti costitutivi dei giudizi. Più specificamente, un giudizio è formato da un soggetto (il concetto che rappresen- ta la cosa cui si attribuisce una certa caratteristica) e da un predicato (il concetto che rappresenta quella caratteristica). Questa struttura si ripropone nelle proposizioni, con ‘un primo termine che svolge il ruolo di soggetto e un secondo termine che svolge il ruo- lo di predicato: ad esempio, nella proposizione “Socrate è ateniese”, il termine “Socrate” rappresenta il soggetto e il termine “ateniese” il predicato. In quanto espressioni di giudizi, le proposizioni possono essere vere o false. Se io dico semplicemente “Socrate”, sto dicendo qualcosa che di per sé non è né vero né falso; il termine “Socrate” diventa vero oppure falso a seconda di come lo compongo con altri termini, formando proposizioni. Le proposizioni sono vere se congiungono linguistica- mente termini riferiti a cose che sono congiunte nella realtà; ad esempio “Socrate è un uomo” è vera perché la sostanza individuale cui si riferisce “Socrate” è realmente con- giunta con la sostanza universale cui si riferisce “uomo”. Ma le proposizioni sono vere anche se separano linguisticamente termini riferiti a cose che sono separate nella realtà; ad esempio “Socrate non è biondo” è vera perché la sostanza cui si riferisce “Socrate” è realmente separata dall’accidente cui si riferisce “biondo”. Aristotele precisa che non tutte le combinazioni di termini producono proposizioni, cioè frasi che risultano vere oppure false: ad esempio la frase esortativa “Cercate di andare d'ac- cordo” non è né vera né falsa. Lo stesso vale per le frasi dei racconti di finzione, ad esempio quelle che si trovano nei poemi epici, nelle tragedie e nelle commedie. Oggetto dell'Òrganon sono soltanto le frasi assertive, cioè quelle che possono essere vere o false, che dicono qual- cosa della realtà, e pertanto sono alla base della conoscenza e della scienza. Queste frasi, che vengono chiamate anche apofantiche, asseriscono come la cosa è o non è. FARE * Fornisci l'esempio di altre modalità espressive (oltre a quella esortativa citata nel testo) - invito, preghiera, comando... — in cui i termini non costituiscano una proposizione vera o APIRE falsa. I Tipi di proposizioni Le frasi assertive o apofantiche, vale a dire le proposizioni, si distinguono in base alla qualità e alla quantità. Secondo la qualità possono essere affermative o negative: sono affermative se attribuiscono un predicato a un soggetto (“Socrate è un uomo”, “Socrate è sferico”); sono negative se escludono che un predicato possa essere attribuito a un sog- getto (“Socrate ron è un uomo”, “Socrate non è sferico”). In base alla quantità le propo- sizioni possono essere singolari, particolari e universali: sono singolari se il soggetto è un individuo singolo, come nel caso di “Socrate è un uomo”, “Socrate non è un uomo”; sono particolari se il soggetto è costituito da uno o più individui di una certa classe, come nel caso di “Alcuni uomini sono valorosi”, “Alcuni uomini non sono valorosi”; sono universali se il soggetto è universale, cioè indica la totalità degli individui di una deter- minata classe, come nel caso “Tutti gli uomini sono mortali”, “Nessun uomo è mortale”. lessico filosofico frase apofantica (dal greco apophainein, “mostrare’, “dichiarare”, “asserire’) un enunciato linguistico di senso compiuto, che può essere vero o falso. La frase apofantica esprime un giudizio, cioè un'operazione mentale che attribuisce o nega una caratteristica a un soggetto. + Come si può osservare, le proposizioni possono essere caratterizzate dall'uso di di- versi quantificatori, cioè quelle parti del discorso che precisano a quanti individui è at- tribuito un predicato: le proposizioni universali ricorrono a quantificatori universali, no 4 yo 4, come “tutti”, “ogni”, “nessuno”; le proposizioni particolari ricorrono a quantificatori so 4 ‘ms esistenziali come “alcuni”, “molti”, “pochi”. Combinando tra loro la quantità e la qualità, le diverse tipologie delle proposizioni risultano pertanto essere le seguenti: QUANTITÀ QUALITÀ ESEMPIO affermativa “Tutti gli uomini sono mortali” universale Fr T _ negativa “Nessun uomo è mortale” affermativa “Qualche uomo è biondo" particolare negativa “Qualche uomo non è biondo” affermativa “Socrate è biondo" singolare T negativa “Socrate non è biondo" ® Relazioni tra proposizioni La logica aristotelica individua le relazioni reciproche tra le proposizioni universali e particolari (nelle quali vengono fatte rientrare le singolari), che i filosofi medievali han- no sintetizzato in uno schema in cui le diverse proposizioni vengono designate attraver- so le vocali dei verbi latini adfirmo (“io affermo”) e nego: ® lalettera A è attribuita alle proposizioni universali affermative; ® lalettera I è attribuita alle proposizioni particolari affermative; ® lalettera E è attribuita alle proposizioni universali negative; ® lalettera O è attribuita alle proposizioni particolari negative. Lo schema che ne deriva — detto “quadrato logico” o “degli opposti” — è il seguente: Universale affermativa a 4 contrarie + E Universale negativa (tutti gli uomini sono biondi) Ra p (nessun uomo è biondo) sub-alterne sub-alterne Particolare affermativa ria Particolare negativa (qualche uomo è biondo) 14 » 0 (qualche uomo non è biondo) IMMA ZOIMA TATA il cho quantificatore il termine è stato introdotto menti individuati; il quantificatore “esistenziale” Filenofice rellambnodella iGgica alla fine dell'ottscento, è Indica ché flielis' caraltenistica è possedits è indicare quella parte del discorso che spiega a non posseduta soltanto da alcuni elementi (l'ag- “quanti” individui si riferisce il predicato. Il quan- gettivo si riferisce al fatto che comporta l'"esi- tificatore “universale” indica che una caratteri- stenza” di uno o più individui di cui si predica una stica appartiene o non appartiene a tutti gli ele- certa caratteristica). tant tun nni Data un'universale affermativa come “Tutti gli uomini sono biondi”, si definisce con- traria la corrispondente universale negativa “Nessun uomo è biondo”. Due proposizioni contrarie sono tali per cui esse non possono essere entrambe vere, ma possono essere entrambe false (nel nostro esempio, “Tutti gli uomini sono biondi” e “Nessun uomo è biondo” sono effettivamente entrambe false). Ogni proposizione universale è poi legata a una corrispondente proposizione partico- lare che si definisce la sua subalterna. Ad esempio, “Tutti gli uomini sono biondi” ha per subalterna “Qualche uomo è biondo”, e “Nessun uomo è biondo” ha per subalterna “Qualche uomo non è biondo”. Una proposizione universale e la sua subalterna partico- lare sono tali per cui se fosse vera la prima allora sarebbe vera anche la seconda. Due proposizioni particolari come “Qualche uomo è biondo” e “Qualche uomo non è biondo”, essendo subalterne di due universali contrarie, si dicono subcontrarie. Esse sono tali per cui possono risultare entrambe vere (e nell'esempio fatto effettivamente lo sono) ma non entrambe false. Questo quadro generale di relazioni tra proposizioni si completa mediante la relazio- ne “diagonale” che lega un'universale affermativa come “Tutti gli uomini sono biondi” alla corrispondente particolare negativa “Qualche uomo non è biondo”; e simmetrica- mente lega un'universale negativa come “Nessun uomo è biondo” alla corrispondente particolare affermativa “Qualche uomo è biondo”. Una proposizione universale e una proposizione particolare legate in uno di questi due modi si dicono contraddittorie e sono tali per cui non possono risultare entrambe vere e nemmeno entrambe false. Ad esempio, nella contraddizione fra “Tutti gli uomini sono biondi” e “Qualche uomo non è biondo”, la prima risulta falsa e la seconda vera; e lo stesso accade nella contraddizione fra “Nessun uomo è biondo” e “Qualche uomo è biondo”. I Il principio di non contraddizione Come abbiamo appena visto, date due proposizioni contraddittorie, è impossibile che siano entrambe vere ed è impossibile che siano entrambe false: questa è la formulazione in termini logici del principio di non contraddizione, che Aristotele considera la legge fondamentale del pensiero e del linguaggio. Due proposizioni si contraddicono se una attribuisce a un soggetto un predicato e l’altra nega allo stesso soggetto — nelle stesse circostanze — quello stesso predicato; dunque il principio di non contraddizione sancisce l'impossibilità che un certo soggetto — nelle stesse circostanze — abbia e non abbia un certo predicato. Al principio logico di non contraddizione corrisponde il principio ontolo- gico di non contraddizione, il quale è la legge fondamentale dell'essere, quella che sta- bilisce l'impossibilità per una certa sostanza — nelle stesse circostanze — di avere e non avere un certo accidente. Ad esempio Socrate non può — nelle stesse circostanze — essere e non essere barbuto: questa è la ragione ultima per cui, sul piano logico, le proposizioni “Socrate è barbuto” e “Socrate non è barbuto” non possono essere simultaneamente vere, e nemmeno simultaneamente false. ‘principio di non contraddizione il supremo prin- di non contraddizione) e a una certa sostanza, nelle cipio del pensiero, del linguaggio e dell'essere, per medesime circostanze, non può essere insieme at- cui a un certo soggetto non può essere insieme at- tribuita e negata una certa caratteristica (principio tribuito e negato un certo predicato (principio logico ontologico di non contraddizione) FARE pei CAPIRE * Scegli una proposizione qualsiasi (ad esempio “Tutte le mele sono rosse”) e individua la sua contraria, contraddittoria, subalterna. FARE pel CAPIRE * Propo esempio di contraddizione reale (ontologica) e trasformala in contraddizione logica (“è vero che..."). lessico filosofico
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