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Aristotele: Vita, Filosofia e Opere, Appunti di Greco

Storia della FilosofiaFilosofia antica greca

Aristotele, nato a Stagira (Macedonia) nel 384 a.C., si forma presso la scuola di Platone a Atene. Successivamente, diventa maestro di Alessandro Magno. Aristotele apre una scuola a Atene, chiamata 'scuola per uomini e natura', dove insegnava filosofia e altre scienze. Egli distingueva due tipi di corsi: quelli riservati ai suoi studenti e quelli aperti a persone esterne. Aristotele è noto per i suoi scritti su fisica, psicologia, metafisica, etica e politica. In 'La Poetica', egli discute sulla tragedia e sulla sua funzione di catarsi. Aristotele si è occupato di risolvere il limite implicito nella filosofia di Platone, riguardo al primato del mondo intelligibile rispetto a quello sensibile.

Cosa imparerai

  • Che tipo di scuola apre Aristotele ad Atene?
  • Che argomenti tratta Aristotele nelle sue opere?
  • Come Aristotele ha risolto il limite implicito nella filosofia di Platone?
  • Come Aristotele si è occupato della tragedia?
  • Che tipo di corsi teneva Aristotele nella sua scuola?

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 26/04/2022

gaia-pedatella
gaia-pedatella 🇮🇹

4.6

(7)

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Aristotele: Vita, Filosofia e Opere e più Appunti in PDF di Greco solo su Docsity! Aristotele La vita Nasce a Stagira, località che si trovava in Macedonia, nel 384 a.C. Nel 367 a.C. si reca ad Atene e lì a modo di conoscere e seguire le lezioni di Isocrate e Platone. Diventa molto importante come studente all’interno dell’accademia platonica. Alla morte di Platone, però, Aristotele non viene scelto come suo successore alla guida di questa scuola perché con il passare degli anni la sua filosofia si allontana da quella del maestro. In questi anni, infatti, Aristotele lascia Atene e fa vari viaggi, ad esempio va a Mitilene dove studia biologia marina; ritorna in Macedonia per molto tempo e ha la possibilità (per lui fondamentale) di diventare precettore personale del figlio di Filippo II, Alessandro Magno (diventa il suo maestro). L’amore da parte di Alessandro per la cultura greca e in particolar modo per la cultura ateniese deriva dagli insegnamenti e dalla passione che Aristotele gli ha trasmesso. Nel 335 a.C. Aristotele ritorna ad Atene e apre una scuola che venne chiamata in due modi: sia Liceo, dal nome del luogo dove si trovava (tempio di Apollo Liceo), sia Perìpato (porticato) perché la maggior parte delle lezioni si svolgevano all’aperto in un porticato che si trovava vicino al tempio di Apollo. Era una scuola dove non si studiava solo filosofia, ma tutte le scienze che avevano a che fare con l’uomo e la natura; era una scuola che rispecchiava tutti i molteplici interessi di Aristotele. Muore nel 322 a.C. in Eubea. Gli scritti esoterici Noi sappiamo che Aristotele nella sua scuola teneva due tipi di corsi: alcuni rivolti ai suoi studenti, altri erano rivolti (quando la scuola era chiusa) a persone esterne, che andavano ad ascoltare una conferenza. Quindi i corsi erano come una sorta di conferenze in cui Aristotele divulgava il proprio sapere. Aristotele considerato come l’inventore della divulgazione. Questi due corsi prendono due nomi diversi: ci sono i corsi esoterici (ἔσω, = dentro), che sono le lezioni rivolte a chi era dentro la scuola; ci sono i corsi essoterici (ἔξω = fuori) erano i corsi divulgativi, lezioni rivolte alle persone non iscritte alla scuola. Sulla base di questi due corsi che lui teneva, ha lasciato degli scritti con argomenti diversi. Gli scritti esoterici erano scritti sottoforma di appunti, riflettevano l’insegnamento di scuola, non vennero pubblicati, perché destinati alla scuola stessa: composti in una forma poco elaborata, erano talvolta poco più che raccolte di appunti. L’Aristotele che noi conosciamo è quello, in gran parte, degli scritti esoterici, ovvero gli scritti della storia. Essi, infatti, vennero lasciati ad un suo discepolo principale che era Teofrasto. È stato quest’ultimo, poi, che li ha resi pubblici. Degli altri scritti ci sono arrivate pochissime testimonianze e l’unico che è praticamente intero è la Costituzione degli Ateniesi. In realtà, però, non si è neanche sicuri che quell’opera l’abbia scritta veramente Aristotele. Rispetto alle altre sue opere, il linguaggio utilizzato risulta molto più complesso. Scritti di etica Negli scritti di etica, Aristotele parte dal presupposto che ogni essere vivente compie delle azioni per un fine ben preciso. Al di là di questo scopo di ogni singolo essere vivente, esiste un bene sommo al quale tendono tutte le azioni. Questo bene sommo, secondo Aristotele, è la felicità. La felicità per un essere razionale, come l’uomo, non può prescindere dall’intelligenza. Solo in questa maniera, chi ricerca la felicità con la ragione e intelligenza, ottiene la virtù, è una persona virtuosa. Questa virtù si divide in due tipi di attività:  vi è la virtù chiamata etica, quella che riesce a controllare gli impulsi più basilari e quindi dettati dai sensi, quella che determina i buoni costumi, il buon modo di comportarsi. Comprende il coraggio, la temperanza, la generosità.  vi è la virtù dianoetica, cioè quella intellettiva che ha a che fare di più con l’intelletto che con la ragione, è proprio l’esercizio della ragione, è la forma più alta di virtù perché praticarla conduce alla felicità, si praticano l’arte, la scienza, si diventa sapienti. È quella più caratteristica e più propria dell’uomo. Scritti di politica Ne “La Politica” Aristotele definisce l’uomo un animale politico, cioè “un animale nato per vivere in una polis”, un uomo che non può stare solo ma che deve stare insieme ai suoi simili. È per natura portato a socializzare. In questo scritto Aristotele esamina tutte le forme di governo partendo da quelle considerate positive (monarchia, aristocrazia e democrazia) per arrivare a quelle negative: la monarchia può degenerare in tirannide, l’aristocrazia può degenerare in oligarchia e la democrazia che può degenerare in oclocrazia (governo della massa, folla). Queste degenerazioni si hanno quando non si ottiene più come bene ultimo il sommo bene, cioè la felicità. Quando si perde di vista il sommo bene di un’intera comunità, le forme di governo possono degenerare. Secondo Aristotele, la miglior forma di governo è una forma mista tra oligarchia e democrazia. È con Aristotele che nasce il concetto di costituzione mista che poi verrà ripresa da Polibio. Riguardo alla struttura sociale dello Stato, Aristotele propone una base censitaria moderata, in cui le cariche siano elettive e non sorteggiate. Per la composizione di questo trattato, Aristotele si era preparato descrivendo le costituzioni di 158 città della Grecia: di questi saggi preliminari si è salvata solo la Costituzione degli Ateniesi. Retorica ed estetica “La retorica” è suddivisa in 3 libri. In questi 3 libri, nel primo, Aristotele, parla dei tre tipi di retorica: epidittica, giudiziaria e deliberativa. Essi si distinguono a seconda che il destinatario sia un semplice ascoltatore, oppure un giudice che deve pronunciarsi sulle cose passate (nel caso di un processo) o su quelle future (e in tal caso sarà un’assemblea deliberativa che deve decidere cosa fare).Quella giudiziaria è rivolta al tribunale, dove c’è un giudice che deve decidere; la deliberativa è quella rivolta in assemblea in cui le persone devono decidere determinate scelte e leggi e infine l’epidittica è quella in cui si deve lodare qualcuno. Nel secondo libro Aristotele spiega che siccome il fine dell’orazione è quello di persuadere il proprio interlocutore, l’oratore deve avere ben presenti tre principi: prima di tutto il proprio carattere, che Aristotele definisce ethos, quindi la propria capacità di coinvolgere le persone; le reazioni emotive delle proprie parole da parte del pubblico (pathos) e infine deve considerare l’argomento del discorso, quindi il logos. Nel terzo libro si parla in maniera più approfondita dello stile e dei mezzi stilistici, quindi le varie figure retoriche. Il recupero della realtà sensibile Per questo Aristotele, nella Metafisica, ha voluto recuperare la realtà sensibile facendo della sostanza degli enti una sintesi di materia e forma. Nelle altre sue opere ha trattato a lungo problemi di fisica, di biologia, e anche questioni relative alla vita associata degli uomini (politica) e alla comunicazione (retorica e poetica). Così egli ha considerato per primo la filosofia come un sistema scientifico e si è posto il problema di una concezione organica del sapere, articolato in varie branche, ma in una prospettiva unitaria. Ha così organizzato il sapere a partire da rilievi empirici, come nei trattati di fisica, biologia ed anche nella scienza politica, che parte dall’analisi delle costituzioni storiche delle diverse comunità. La filosofia: sistema organico e scientifico Mentre per Platone “fare filosofia” è una ricerca continua e mai definita della verità, per Aristotele la filosofia costituisce un sistema organico, che si basa su una dottrina dell’essere in quanto essere (filosofia prima) e affronta analiticamente le varie forme in cui l’essere si realizza, in natura come nella vita associata degli uomini, nei loro comportamenti e nelle manifestazioni della loro attività spirituale. I suoi allievi hanno proseguito l’impulso da lui dato alla scuola, affrontando problemi di fisica e di biologia, di geografia e di antropologia, di retorica, di poesia e di musica. Per secoli la storia della filosofia si è divisa tra seguaci dell’indirizzo idealistico di Platone e di quello, più realistico, di Aristotele: nel corso dell’antichità e del Medioevo ci sono stati periodi di prevalenza dell’una e dell’altra tendenza. La lingua e lo stile Aristotele è stato il creatore della prosa scientifica greca. Negli scritti che pubblicò, ma che non ci sono giunti, pare che si sia progressivamente allontanato dalla prosa enfatica di Isocrate per raggiungere una prosa asciutta ed essenziale, come quella della Costituzione degli Ateniesi. Negli scritti dedicati alla scuola, che noi possediamo, la sua scrittura è spesso scabra, talora piena di ellissi, abbonda di tecnicismi, che dovevano però essere evidenti ai destinatari. LA COSTITUZIONE DI CLISTENE Brano tratto dalla Costituzione degli ateniesi. Contiene un excursus su come si arriva alla democrazia, fino a mettere in evidenza le caratteristiche di quella di Pericle. TRADUZIONE [21.1] Per questi motivi il partito democratico si fidava di Clistene. Allora messosi a capo del partito popolare, nel quarto anno dopo la cacciata dei tiranni, sotto l'arcontato di Isagora, per prima cosa suddivise tutti in dieci tribù anzichè in quattro, volendo mescolare affinchè rendesse partecipi della vita politica la maggior parte di loro; da ciò fu detto di non fare ricerche riguardo alle tribù nei confronti di coloro che volevano indagare sulla stirpe. Caratteri della commedia di Menandro I caratteri della commedia di Menandro mettono in evidenza il cambiamento della cultura di questo periodo ad Atene che non si sente più al centro dell’universo culturale dell’epoca. Nella commedia di Menandro vediamo tutte quelle caratteristiche che saranno tipiche della letteratura dell’età ellenistica. Non ci sono riferimenti alla realtà politica, questo però non vuol dire che la commedia di Menandro non sia interessata alla realtà, ma ad un altro tipo di realtà. In particolar modo quella più umana, della vita quotidiana, quella del rapporto padre-figlio, quella del rapporto tra vecchi e giovani, delle relazioni inter familiari che vede protagonisti la classe sociale media e soprattutto è una commedia che ha come ambientazione Atene e la sua vita quotidiana, mentre è più marginale la vita della campagna. Ne esce una descrizione di un’Atene che ha una realtà complessa perché è un periodo in cui fiorivano le scuole di filosofia dove si approfondiva l’aspetto umano come ricercare la felicità o come vivere meglio. Quello che si percepiva nel quotidiano non era più soltanto un grande interesse politico, anche perché, non essendoci più quella democrazia attiva di Pericle, la partecipazione attiva alla politica era venuta a meno, ora è più una partecipazione economica. Queste commedie di Menandro presentano queste nuove tematiche e poi persistono anche i miti tradizionali. Ci sono le figure degli Dei con Zeus e i suoi amori, la parodia di certi caratteri antropici. Menandro costituisce la commedia nuova. Si parla di commedia antica, di mezzo e nuova.  Commedia antica: parte dalle origini e vede il massimo esponente in Aristotele  Commedia di mezzo: è un tentativo di passare dal teatro aristofaneo a sperimentare nuove idee e mode. Non ci sono rimasti molti reperti proprio perché è stata schiacciata da grandi autori come Aristofane e Menandro. Indipendentemente da questa fase si può già vedere come si cambi il modo di fare le commedie già dalle ultime di Aristofane molto simili a quelle di Menandro. Il Pluto ad esempio, scritta confinando nel quarto secolo, ha delle caratteristiche completamente diverse perché non abbiamo più la parodia di quell’autore, non si hanno gare per capire chi è il più bravo, ma il Pluto indica la ricchezza. La commedia ha come protagonisti la ricchezza e la povertà dall’altra e tutto ciò che questo comporta nella realtà quotidiana. È un mettere l’accento su questioni economiche, sociali e morali. È un unicum all’interno delle commedie di Aristofane, tutte proiettate su altre tematiche. Il Pluto pone l’attenzione sulle differenze sociali delle persone. Questa potrebbe benissimo essere una commedia di Menandro questo perché con Aristofane si assiste già ad un desiderio di riflettere sulla condizione intima dell’uomo che non vivere prendendo in giro gli altri. Fortuna di Menandro Menandro è stato molto amato ad Atene e non solo. Ci sono rimasti molti papiri e questo vuol dire che le sue opere sono state riscritte molte volte nella biblioteca di Alessandria, nel corso dei secoli successivi. Questo perché appunto essendo cambiata l’epoca e avendo il desiderio di riflettere filosoficamente su sé stessi e sulle proprie esigenze, Menandro faceva sorridere e presentava questi problemi in chiave ironica e divertente facendo riflettere su queste problematiche. È piaciuto molto meno nel Medioevo bizantino non per il contenuto ma per ragioni linguistiche. Menandro scriveva soprattutto in quella che era la koinè di Alessandro Magno, ovvero dialetto attico ma che si mescolava con le lingue di quel mondo orientale che Alessandro stava conquistando. Quindi nel Medioevo bizantino, dove si considerava la lingua attica l’espressione più autentica del mondo greco, Menandro è stato considerato troppo diverso. Personaggi delle commedie Le commedie che ci sono arrivate più importanti sono il Misantropo, la Fanciulla Tosata, lo Scudo, gli Epitrepontes. Tutte le commedie hanno un punto in comune: tutti i personaggi cercano una legge che sia morale o scritta, che possa aiutarli a trovare una convivenza civile. Il problema per tutti questi personaggi è riuscire a trovare il modo di vivere felicemente e riuscire a convivere in maniera civile con i vicini, con le altre persone e classi sociali della città. Un problema di convivenza civile è anche quello dato dal rapporto tra i padri e i figli, che rappresentano due generazioni differenti con esigenze differenti. I padri sono generalmente dei misantropi brontoloni che non vogliono avere nulla a che vedere con il resto della società, che hanno paura di perdere i propri averi, mentre i figli sono quelli che contestano i valori di questi padri provando a vivere una vita differente, liberi di innamorarsi anche di chi non è adatto a loro. Spesso riescono a dimostrare ai padri che invece non bisogna aver paura. Nelle commedie di Menandro l’uomo è al centro di tutto quanto: si può parlare di humanitas come in Terenzio. C’è una commedia nella quale il protagonista dice che non c’è nulla di umano, che abbia a che fare con l’uomo che sia estraneo a lui. Quindi io sono un uomo e devo prendermi cura di tutto ciò che fa parte dell’umanità. Il rendersi conto che si fa parte di questo genere umano e bisogna entrare a contatto con tutto ciò che ha a che vedere con l’umano. Questa identica cosa vale qualche secolo prima in Grecia. Si parla di filantropia cioè di amore per tutto ciò che è uomo. Anche i comportamenti dei protagonisti che all’inizio sono convinti di determinate idee finiscono per cambiare, per essere sconvolti dalla riflessione su nuove idee dell’umanità. Nel Misantropo il protagonista, che si chiama Cnemone, si accorge che fino a quel momento in cui lui ha tenuto distante le persone, in quanto misantropo, tra cui il figlio perché non era d’accordo con le sue idee. Si rende conto che ha sbagliato perché prima o poi ognuno ha bisogno degli altri e quindi conviene essere più tolleranti. Sono personaggi che per qualche motivo soffrono e tutta la sofferenza è espressa con battute in chiave ironica e Menandro è stato anche accusato di aver banalizzato quella sofferenza che Eschilo chiamava mazos. Questi personaggi che arrivano al punto di soffrire e stare male, solo lì capiscono che devono cambiare. In realtà Menandro è il figlio di quella società Ateniese in cui nelle scuole si dibatteva su come essere felice e su come vivere meglio e di conseguenza le sue commedie non vogliono essere una banalizzazione, ma vogliono riflettere un qualche cosa che era sentito molto nel profondo. Così come sentita era l’idea che l’uomo poteva darsi tanto da fare ma c’era la sorte che interveniva e quindi niente di nuovo rispetto ai quei tempi. Nelle commedie di Menandro la tuke è una protagonista che molto spesso aiuta a risolvere situazioni che sembrano irrisolvibili poi arriva un colpo di fortuna che fa capire tante cose e sconvolge molte situazioni. Funzione del lieto fine Tutte le commedie nascono da una problematica che può essere quella di non riuscire a capire il figlio, voler sposare una fanciulla già promessa... Alla fine c’è sempre il lieto fine non perché essendo una commedia non ci debbano essere tragedie, ma soprattutto perché questo lieto fine vuole mettere in evidenza che in tutto c’è un lato positivo e che bisogna vivere cercando sempre l’humanitas per tirare fuori da sé stessi il lato migliore della natura umana. Struttura della commedia menandrea Da un punto di vista strutturale la commedia di Menandro non ha la parodo, l’agone e la parabasi. Generalmente è divisa in 5 atti separati da una specie di intermezzo musicale e non c’è il coro, è quasi del tutto assente. È presente un prologo informativo come nelle tragedie di Euripide perché a volte venivano un po’ snaturati i miti oppure si sceglievano versioni meno conosciute e il prologo serviva per far homini deus est, si suum officium sciat”. Questa affermazione già contiene il nesso tra humanitas e officium, poi alla base del De officiis di Cicerone, ma anche l’apertura dell’uomo verso la divinità, poi ripreso da Plinio il Vecchio. Nonostante la produzione di Cecilio Stazio sia ormai quasi del tutto perduta, la sua lezione fu probabilmente importante poiché sarà poi ritenuto superiore a Plauto e da Orazio apprezzato. Il contributo decisivo all’elaborazione di humanitas spetta alla generazione di Terenzio, che nelle sue commedie mette in scena vicende familiari basate sul contrasto dei sentimenti e sul problema di incomunicabilità tra le persone. In Terenzio l’idea di humanitas appare pienamente formata. L’aggettivo humanus esprime già le sfere semantiche privilegiate del concetto di humanitas nei secoli successivi. Nell’Andria, humanitas viene intesa come benevolenza ma anche come dovere, negli Adelphoe invece è legata al senso della moderazione e della fragilità e possibilità di sbagliare, proprie della condizione umana. In Terenzio si trova una perfetta sintesi del concetto di humanitas espressa nella famosa massima dell’Heautontiorumenos: homo sum, humani nihil a me alienum puto. La humanitas è qui espressa come un valore universale e onnicomprensivo, l’uomo si interessa ai problemi altrui con solidarietà e condivisione. L’UMANESIMO CICERONIANO Le prime attestazioni di uso della parola humanitas risalgono al I secolo a.C. ma in quantità inferiore rispetto al largo utilizzo che ne fece Cicerone, sicuramente l’autore che contribuì più di tutti nell’elaborazione del concetto, al punto che si potrebbe parlare di humanitas ciceroniana. A Cicerone si deve lo sviluppo del significato di humanitas, come cultura enciclopedica ma non solo. Nella concezione ciceroniana, l’oratore si caratterizza per la vasta cultura, aperta a tutte le discipline, e deve essere esperto in tutto ciò che riguarda l’uomo. A Cicerone si deve l’idea che lo studio letterario non è inutile o fine a se stesso, servirà invece a formare un’etica che possa rendere migliore il cittadino; egli fu colui che riprese e approfondì il significato di humanitas come sintesi dei valori morali tradizionali. Per Cicerone la humanitas è il principio morale oggettivo in contrapposizione all’utile personale da cui nasce il dovere. Così la humanitas si lega al valore romano della pietas, coppia di concetti spesso rievocati insieme da Cicerone. Il contributo ciceroniano più importante è l’aver trovato nella humanitas la natura umana universale. L’espressione “natura hominum” compare per la prima volta in Terenzio e sarà ripresa trenta volte da Cicerone. Nel De finibus, Cicerone riassume il concetto affermando che il punto estremo del bene per l’uomo è “vivere secondo una natura umana che sia perfettamente realizzata e non soffra di alcuna mancanza”. Cicerone afferma anche la comunità e uguaglianza degli uomini, che formano un unico “genus”. In Cicerone è già presente il concetto caro all’età umanistica di studia humanitatis ma non quello di res publica litteraria. Nell’orazione Pro Archia si ritrova un concetto che prefigura tale ideale, tanto da diventare uno dei testi più cari agli umanisti. In questa orazione Cicerone afferma che il poeta Archia avrebbe avuto diritto alla cittadinanza romana per il fatto di essere un poeta, che inoltre aveva anche cantato le glorie di Roma. La letteratura e la poesia sono l’essenza della humanitas e ogni comunità dovrebbe essere onorata di accogliere un poeta. Il ragionamento non va oltre, non esprime una res publica litteraria, una comunità universali di dotti, perché per la civiltà romana la res publica si identificava con il mondo civilizzato. Gli antichi riconoscevano l’esistenza di saggi anche al di fuori del loro mondo ma non li consideravano parte di una stessa comunità intellettuale. La humanitas distingueva le province romane dal resto del mondo. Un saggio doveva essere cittadino romano, tutto il mondo civilizzato doveva identificarsi con Roma. L’ideale romano della humanitas, anche se più aperto della paideia greca, poteva convivere con i peggiori pregiudizi, come quelli nei confronti degli ebrei.
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