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Art. 19 : ieri, oggi, domani?É questo l'int, Dispense di Diritto del Lavoro

evoluzione della rappresentatività sindacale: art. 19.

Tipologia: Dispense

2013/2014

Caricato il 29/06/2014

rossella200
rossella200 🇮🇹

5

(4)

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Art. 19 : ieri, oggi, domani?É questo l'int e più Dispense in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! Art. 19 : ieri, oggi, domani? É questo l'interrogativo riecheggiato fra i giuristi e risultante quanto mai attuale a seguito della pronuncia del giudice di Modena sui ricorsi ad opera della Fiom e da cui risalire l'escursus di uno dei pilastri più discussi dello Statuto dei lavoratori, nella cui struttura si impernea all'interno del Titolo terzo a sostegno e promozione dell'attività sindacale. Per la prima volta, infatti, un giudice dispone la trasmissione degli atti del conflitto tra Fiom e Fiat alla Corte costituzionale, dichiarando “rilevante e non manifestatamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, dello Statuto dei lavoratori “per contrasto con gli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione medesima. In molti avevano sollevato obiezioni circa la costituzionalità dell'art.19 rispetto all'art.39 ed all'art.3: l'attribuzione di determinati diritti alle sole confederazioni o a sindacati che avessero stipulato contratti collettivi nazionali o provinciali, infatti, sembrava violare la libertà sindacale attribuita dall'art.39 ed il principio di eguaglianza, previsto all'interno dell'art.3. L’art. 19 dello Statuto dei lavoratori garantisce la presenza del sindacato nei luoghi di lavoro mediante la possibilità di costituire Rappresentanze sindacali aziendali (RSA). Le RSA possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori, ma esclusivamente nell’ambito di organizzazioni sindacali aventi determinati requisiti. Nel suo testo originario, le RSA potevano essere costituite nell’ambito: 1.delle associazioni aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; 2.delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette Confederazioni, che fossero firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva. La norma privilegiava dunque il sindacato confederale (Cgil, Cisl e Uil), considerato per definizione “maggiormente rappresentativo”, rispetto alle altre associazioni sindacali aventi una struttura organizzativa soltanto di categoria. Il difetto di una dimensione intercategoriale, e la conseguente mancanza dell’aspirazione ad interpretare le istanze della generalità dei lavoratori, era infatti reputata dal legislatore del 1970 un limite alla rappresentatività delle associazioni cosiddette “autonome”, le quali, per accedere alla legislazione promozionale, dovevano essere firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva. La norma nel contempo manifestava un assoluto sfavore verso il sindacalismo meramente interno, e ciò in quanto la semplice sottoscrizione di un contratto aziendale non era considerato un requisito sufficiente per costituire le RSA. Negli anni successivi, la formulazione della norma fu oggetto di critiche sempre più insistenti provenienti da vari fronti, sino a che, nel 1995, l’art. 19 dello Statuto venne sottoposto a referendum parzialmente abrogativo. In esito alla consultazione popolare, furono emanati i d.p.r. n. 312 e n. 313 del 28.07.1995, cosicché il testo attualmente vigente del primo comma dell’art. 19 dello Statuto è il seguente: “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva”. In altre parole, è scomparso ogni riferimento alla maggior rappresentatività delle Confederazioni, e le RSA possono ora essere costituite nell’ambito di qualunque organizzazione sindacale, purché firmataria di un contratto collettivo, di qualunque livello (e dunque anche aziendale), applicato nell’unità produttiva. Modifica L’articolo 19 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori) La nozione di sindacato maggiormente rappresentativo viene introdotta dall’art. 19 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori): soltanto i sindacati in possesso dei requisiti di cui all’art. 19 (tra cui, appunto, la maggiore rappresentatività) hanno la possibilità di costituire le RSA (Rappresentanze Sindacali Aziendali, che possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori nelle imprese industriali e commerciali con più di 15 dipendenti in ciascuna unità produttiva, oppure nell’ambito dello stesso comune. Il limite numerico nelle imprese del settore agricolo è di almeno 6 dipendenti, nonché di fruire dei conseguenti diritti di cui al titolo III della Legge 300/1970 (il diritto di associazione ex art. 20, il diritto di indire referendum al di fuori dell’orario di lavoro ex. art. 21, il diritto alle specifiche tutele previste per i lavoratori facenti parte delle rappresentanze sindacali aziendali ex. art. 22, il diritto alla fruizione di "permessi sindacali" retribuiti e non retribuiti ex. art. 23 e 24, il diritto delle rappresentanze ad avere a disposizione una bacheca o spazio murale per lo svolgimento dell’attività sindacale ex art. 25, il diritto di raccogliere contributi e di proselitismo ex art. 26, il diritto all’uso di appositi locali aziendali per le riunioni sindacali in aziende con almeno 200 dipendenti ex art. 27). E’ evidente come il riconoscimento di tali diritti solo ad alcune organizzazioni sindacali (più precisamente a quelle in possesso dei requisiti di cui al citato art. 19) abbia posto il problema di una sua compatibilità con l’art. 39 comma 1 della Costituzione, che invece prevede un diritto incondizionato di organizzazione sindacale. La Corte Costituzionale, con le sentenze n. 54 del 1974, n. 334 del 1988 e n. 30 del 1990, ha affermato la legittimità della selezione dei sindacati rappresentativi, a cui attribuire diritti e prerogative ulteriori rispetto quelli attribuiti a tutte le organizzazioni sindacali, se tale selezione ha luogo in virtù di elementi giustificativi rispondenti a criteri di ragionevolezza. Il criterio della rappresentatività, come strumento selettivo, secondo l’orientamento della Corte, è quello che il legislatore ritiene più idoneo a favorire l’aggregazione e il coordinamento “degli interessi dei vari gruppi professionali, di sintesi delle varie istanze rivendicative e di raccordi con lavoratori non occupati”, e quindi permettere “l’ordinato svolgimento del conflitto sociale”. L’art. 19 dello Statuto dei lavoratori non fornisce alcuna indicazione utile alla definizione del sindacato maggiormente rappresentativo, limitandosi a disporre (prima della parziale abrogazione) che le RSA possono essere costituite, tra l’altro, nell’ambito delle “associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”. Era dunque inevitabile che la definizione del sindacato maggiormente rappresentativo fosse demandata alla giurisprudenza, le cui pronunce sul punto sono numerose. In un primo momento, la giurisprudenza indicava come decisivo per la soluzione del problema lo strumento del fatto notorio ex art. 115, co. 2 cpc (Pret. Massa 02/08/1971, FI, 1972, I, 250; Pret. Forlì 22/12/1972, FI, 1973, I, 3473; Trib. Massa 15/01/1974, RDL, 1974, II, 143; in senso contrario vedi Pret. Taranto 13/09/1976, LPO, 1977, 134). In altre parole, in una situazione storica caratterizzata dalla preponderante e quasi indiscussa adesione dei lavoratori alle tre storiche confederazioni sindacali (CGIL, CISL e UIL), era considerato, appunto, fatto notorio che questi sindacati fossero maggiormente rappresentativi. Altre sentenze dello stesso periodo però facevano riferimento al dato numerico di iscritti, considerando tuttavia non sufficiente tale dato se considerato da solo (C.Stato sez. VI 24/06/1975, n. 191, MGL, 1975, 417 e T.A.R. Lazio 05/04/1978, MGL, 1978, 692). Successivamente, la giurisprudenza ha tentato di dare sistematicità ai criteri adottati tenendo conto, oltre al numero di iscritti, anche della consistenza associativa su tutto l’arco delle categorie (o buona parte di esse), nonché della diffusione territoriale (Cass. 03/11/1976 n. 3993; Cass. 29/10/1981, n. 5664; Cass. 22/09/1978, n. 4270; Cass. 05/06/1981, n. 3653). La Corte Costituzionale, con la sentenza del 06/03/1974 n. 54, ha sottolineato l’importanza dell’effettività della rappresentatività, avendo come parametro la capacità rappresentativa o esponenziale della confederazione, prescindendo dal livello territoriale ed essendo sufficiente una considerevole dimensione (si veda anche Cass. 18/02/1985, n. 1418). A partire dagli anni 80, è stata attribuita specifica rilevanza alla partecipazione dell’organizzazione sindacale alla stipula dei contratti collettivi, in combinato con il principio della capacità rappresentativa, affermando così un nuovo principio cui anche la dottrina avrebbe aderito (Cass. 01/03/1986; Cass. 17/03/1986, n. 1820; Cass. 10/07/1991, n. 7622). A tale orientamento della Cassazione si sono poi affiancate anche diverse pronunce nel merito, rendendo quindi ormai definitiva la scelta giurisprudenziale (nonché dottrinale) di appoggiare tale nuovo orientamento. Talora si è addirittura giunti ad affermare che la semplice sottoscrizione era sufficiente ad indicare un elevato indice di rappresentatività, anche se tale conclusione è stata presto smentita dalla stessa giurisprudenza di merito (Pret. Torino 08/10/1971, NGL, 1971, 963; contra Trib. Genova 24/10/1980, SGL, 1982, 3; Pret. Roma 15/02/1984, GSGL, 1984, 6). Seguendo queste ultime indicazioni, nella sentenza del 30/3/98 n. 3341 (pres. Pontrandolfi, est. Miani sindacato maggiormente rappresentativo, dopo aver regolarmente partecipato ai tavoli di trattativa, decide liberamente di non firmare un accordo considerato dannoso. Ma questo non può tradursi in una «diminuzione» della sua capacità di rappresentare i lavoratori. Nemmeno la Fiat, infatti, contesta alla Fiom di essere molto rappresentativa. In altre parole, la «stipula del contratto collettivo applicato nell'unità produttiva» non può più essere il« prisma esclusivo» per individuare la «maggiore rappresentività»; l'art. 19, oggi, assume dunque «un significato incompatibile con il dato costituzionale». Ovvero con la libertà sindacale. «Nell'attuale condizione di rottura dell'unità sindacale - dice la sentenza - il criterio selettivo di cui all'art. 19, imperniato sul dato formale della sottoscrizione del contratto e sganciato da qualsiasi raccordo con la misura del consenso dei rappresentati, mostra tutti i suoi limiti di ragionevolezza e miopia». Non c'è mai stata in Italia una legge che regoli la «rappresentanza sindacale», anche per scelta miope della stessa Cgil. Questa vicenda mostra che è assolutamente urgente. pena l'esplosione delle relazioni industriali. da "il manifesto" Fiat-Fiom, lo scontro finisce in Corte costituzionale giugno 4, 2012 E’ molto importante la sentenza emessa oggi dal Tribunale di Modena a firma del giudice Carla Pontario. Per la prima volta, infatti, un giudice dispone la trasmissione degli atti del conflitto tra Fiom e Fiat alla Corte costituzionale, dichiarando “rilevante e non manifestatamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, dello Statuto dei lavoratori “per contrasto con gli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione medesima. Per questa ragione, la sentenza viene notificata, oltre che alle parti, al Presidente del Consiglio e ai presidenti delle due Camere. Insomma, sarà l’alta Corte a pronunciarsi su un nodo apparentemente di natura giuridico-formale ma in realtà sintesi dell’attuale rapporto conflittuale sul piano sindacale e, in ultima analisi, sul piano dei rapporti di classe. La sentenza del giudice di Modena, infatti, accoglie l’obiezione principale mossa dalla Fiom che ha citato in giudizio la Fiat per comportamento antisindacale (ex art- 28 della Legge 300/70, lo Statuto dei lavoratori) e cioè che la clausola di “maggiore rappresentatività” stabilita dallo stesso Statuto (all’articolo 19, appunto) come frutto del voto referendario del 1995 stride con le libertà e Share this: •Twitter2 l’agibilità che la Costituzione assegna al sindacato. E il giudice, con delle motivazioni “storico-giuridiche” le da ragione cercando di collegare il diritto, e la sua forma, al contesto storico in cui questo si esplicita. La maggiore rappresentatività come sancita dall’articolo 19 – che stabilisce questa definizione per i sindacati firmatari di accordi collettivi – deve tenere conto di un contesto, quello del 1995-’96, l’anno del referendum, in cui Cgil, Cisl e Uil firmavano tutti gli accordi. Negli ultimi anni, invece, la pratica dell’unità sindacale è stata rotta e, anche per effetto della nuova politica sindacale della Fiat – uscita da Confindustria, accordi separati, etc. – si è verificata per la prima volta l’esclusione dalle prerogative sindacali del più grande sindacato italiano, la Cgil. Secondo il giudice, quindi, l’articolo 19 non è più “dotato di ragionevolezza” e soprattutto non fonda più la rappresentatività sindacale che non può essere agganciata alla mera sottoscrizione di contratti, nazionali o meno, quanto “alla partecipazione alla procedura di contrattazione” e alla capacità di “rappresentazione di interessi la più ampia possibile”.La vcenda, spiega quindi il giudice, va rivista alla luce dei cambiamenti di politica aziendale e di rapporti tra le parti sociali. E va rivista con un intervento diretto della Corte Costituzionale che, a questo punto, è chiamata a pronunciarsi, visto che è un giudice a ricorrervi. Difficile immaginare che Sergio Marchionne, quando ha cominciato la sua sfida con la Fiom, potesse prevedere di finire alla Corte costituzionale. Ma è quello che è successo. 1. Premessa e delimitazione dell’analisi Nell’economia del volume in cui si inserisce questo commento, un contributo sull’art. 19 dello Statuto prospetta comprensibili difficoltà di circoscrivere l’indagine, in ragione del fatto che non solo si ha riguardo ad una delle norme più significative della legge del 1970, ma che, soprattutto, la norma disciplina un istituto (per meglio dire un “organismo”), cheha costituito un pezzo essenziale della storia sindacale e delle relazioni industriali del nostro paese e le cui vicende sono indissolubilmente intrecciate con altri istituti (ed organismi) e problematiche: basti pensare in generale al tema della (maggiore) rappresentatività sindacale o, più in particolare, alle rappresentanze sindacali unitarie (da ora RSU), affiancatesi dai primi anni ’90 alle rappresentanze sindacali aziendali (da ora RSA). Se poi si considera anche che l’art. 19 St. lav., come noto, ha subito una importante modifica nel 1995, a seguito dell’esito positivo del referendum all’epoca proposto, si può comprendere la difficoltà di racchiudere in poche pagine un commento alla norma che non rischi di essere dispersivo e superficiale, in considerazione dei tanti nodi che la disciplina delle RSA ed il funzionamento delle stesse presentano, con riferimento all’ordinamento giuridico statale ed all’“ordinamento intersindacale”. Pertanto, si ritiene opportuno circoscrivere i confini di questo contributo, che si intende limitare al nucleo normativo dell’art. 19 St. lav., considerandone: l’evoluzione rispetto alla originaria disciplina del 1970 e la sua implementazione nel diritto vivente, alla luce degli orientamenti della dottrina e giurisprudenziali. Con l’obiettivo di verificare il grado di coerenza di tale evoluzione rispetto alla ratio sottesa alla disciplina del 1970, e di valutare il grado maggiore o minore di attualità e rilevanza della norma nel contesto giussindacale e delle relazioni industriali, in considerazione, evidentemente, del decisivo evento della riforma contrattuale della rappresentanza sui luoghi di lavoro, avutosi nel 1993 con la nascita della RSU. L’art. 19 St. lav. “ieri”: contenuti e ratio della originaria disciplina delle RSA 2. Nel ripercorrere l’evoluzione della disciplina delle RSA, è opportuno partire dalla osservazione, rilevante ai fini di una migliore comprensione delle dinamiche legislative ed in genere regolative delle rappresentanze aziendali, che,come tutta la materia “sindacale”, si tratta di un’area particolarmente “sensibile” rispetto all’intervento del legislatore, in ragione della storica diffidenza fondata su più o meno condivisibili ragioni di tutela della libertà sindacale e di prevalenza dell’autonomia sindacale (collettiva) rispetto alla regolazione eteronoma. Da qui, per certi versi, l’affermarsi di un circuito “vizioso” che, a partire dalla mancata attuazione dell’art. 39 Cost., nei commi successivi al primo, ha determinato il progressivo consolidarsi di regole (prassi) autonomamente determinate dagli attori sindacali, con una sostanziale formazione extralegislativa dell’“ordinamento intersindacale”, che a sua volta ha reso meno “necessaria”, e sicuramente più complicata, la produzione di regole legislative condivise, in grado di impattare in maniera non traumatica sulla concreta realtà delle relazioni sindacali. Di tutto ciò è chiara espressione proprio l’art. 19 St. lav. Infatti, nel complessivo impianto della legge 20 maggio 1970 n. 300, l’art. 19 si segnala per contenere il primo intervento legislativo sulle rappresentanze nei luoghi di lavoro. Ma, come è noto, e per ricorrere alle parole di chi ha avuto un ruolo decisivo nell’elaborazione del testo legislativo, è “una normativa che, però, è di sostegno della presenza e dell’attività sindacale, non di regolamentazione della rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro”. Ciò, oltre che per ragioni di carattere sistematico, di coerenza con l’intero progetto legislativo, anche per motivi di compatibilità con il generale assetto “anomico”, sopra ricordato, delle relazioni industriali, ed, in particolare, con l’assetto delle relazioni, e delle rappresentanze, sindacali nei luoghi di lavoro, all’epoca esistente. Per le ragioni appena ricordate, dunque, il legislatore del 1970, nel regolare (sostenere) la presenza sindacale sui luoghi di lavoro, “decide di non decidere” circa il più elastici. Quanto al requisito dell’iniziativa, vero è che dunque l’iniziativa spetta ai lavoratori, ma la libertà concessa (voluta) dal legislatore ha condotto a ritenere congrui i più svariati comportamenti (e manifestazioni di volontà), non necessariamente formali ed espliciti, consentendo anche la semplice richiesta/delega alle organizzazioni sindacali o la “ratifica” del- .Ampi margini di elasticità/discrezionalità sono stati riconosciuti poi alle modalità del raccordo con le organizzazioni sindacali, relativamente al quale vengono praticamente ammesse tutte le forme di “riconoscimento” da parte del sindacato della struttura rappresentativa costituita/avviata su iniziativa dei lavoratori; con l’unica, ovvia, condizione, che il “riconoscimento” avvenga da parte di una struttura sindacale a carattere “associativo”, con esclusione di forme organizzative diverse (coalizioni spontanee, occasionali, ecc.). Il carattere “associativo” delle RSA viene poi confermato anche dall’affermazione della “necessarietà” del riconoscimento sindacale, e dunque della impossibilità di costituire la RSA in caso di rifiuto da parte dell’associazione si. Ancora, anticipando come detto la pronuncia della Corte cost. nel 1990, censura, per violazione dell’art. 17 St. (sindacati di comodo) con la possibilità di riconoscimento da parte del datore di lavoro, in via pattizia, della “qualità” di RSA, ai fini del godimento dei diritti sindacali. Infine, o innanzitutto, funzionali al disegno ed alla sua implementazione sono risultati anche i criteri giurisprudenziali di individuazione dei sindacati legittimati a costituire RSA (per l’esattezza nell’ambito dei quali costituire le RSA) secondo i due criteri di c.d. rappresentatività “storica” di cui alla lettera a) e “tecnica” (sub b): nel primo caso, parametri come la diffusione su tutto il territorio nazionale, la equilibrata presenza nelle diverse categorie, l’effettiva azione sindacale (e più in concreto contrattuale), ovviamente erano sintonici rispetto alla primazia dei sindacati confederali storici; nel secondo caso, qualche spazio in più lasciava il criterio della stipulazione di contratti nazionali o provinciali, dunque con esclusione dei contratti di livello aziendale (ossia del livello potenzialmente più “sganciabile” rispetto al controllo delle principali centrali sindacali), criterio peraltro rafforzato dall’orientamento prevalente volto a privilegiare l’effettiva partecipazione all’attività contrattuale, escludendo la rilevanza anche di una mera successiva adesione a contratti negoziati e conclusi da altri; posizione che sarà ripresa anche con maggior efficacia in sede di valutazione dei requisiti ex art. 19 St. lav. dopo la sua modifica referendaria. !!!!! Tutto ciò, in estrema sintesi, conduceva a risultati diametralmente opposti a quelli voluti dal legislatore dello Statuto: l’art. 19 non costituiva più lo strumento giuridico, nelle mani del sindacato confederale, per saldare le fratture tra lavoratori e sindacati nei luoghi di lavoro, quanto al contrario lo strumento di legittimazione della separazione tra Consigli di fabbrica “eletti ed abbandonati”, e svuotati di reale capacità di rappresentanza ed azione, ed RSA quali mere articolazioni organizzative delle diverse sigle sindacali; con le conseguenti ripercussioni anche sui meccanismi contrattuali a livello aziendale. L’art. 19, in definitiva, rivela la vera debolezza del progetto statutario: quella cioè di essere sbilanciato sul versante del sostegno del sindacato (confederale) in azienda e della tutela di questi nei confronti del datore di lavoro; obliterando però di mettere a fuoco e considerare l’altra faccia della luna, più nascosta ma non meno importante, quella cioè di “sostenere” anche i lavoratori nei confronti di un ingiustificato “strapotere” dei sindacati stessi. Dalla seconda metà degli ’80 si consolida dunque il dibattito critico, da allora invero mai cessato, sulla esigenza di rivedere, in generale, il meccanismo selettivo della “maggiore rappresentatività”, ed in particolare, e per quanto qui interessa, i criteri regolativi ai fini della costituzione delle rappresentanze sui luoghi di lavoro. La stessa Corte costituzionale, che nelle sue pronunce, sopra ricordate, degli anni ‘70, aveva sostanzialmente a sua volta “sostenuto” la normativa “di sostegno”, nel 1990 segnala la ormai ineludibile esigenza di elaborare “(…) nuove regole ispirate alla valorizzazione dell’effettivo consenso come metro di democrazia anche nell’ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato. !!!!!!4. Effetti del referendum del giugno 1995. Affrontando il problema dell’ammissione alle trattative per i sindacati maggiormente rappresentativi, bisogna soffermarsi sul concetto di maggiore rappresentatività così come si è venuto a definire dopo i referendum del giugno 1995. Il referendum ha abrogato la lettera A) dell’art.19 dello statuto, escludendo il criterio della maggiore rappresentatività per la formazione di R.S.A., e ha lasciato come unico requisito per la formazione di queste l’essere costituite nell’ambito di sindacati firmatari di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva. Il concetto di maggiore rappresentatività comunque è andato mutando nel corso degli anni, attraverso varie pronunzie giurisprudenziali. Inizialmente si voleva privilegiare i sindacati confederali e nazionali, che si pensava avessero da una parte il consenso della maggior parte dei lavoratori e dall’altra fossero comunque ritenuti affidabili dalle controparti datoriali; affidabilità che si rafforzava con il sempre maggiore riconoscimento del ruolo istituzionale che andavano acquisendo. Secondo parte della dottrina, gli indici elaborati dalla giurisprudenza, per stabilire la rappresentatività di un sindacato (intercategorialità, pluricategorialità, nazionalità) in realtà non servono a misurare la rappresentanza effettiva delle organizzazioni sindacali, ma a verificare soprattutto l’esistenza del requisito confederale delle stesse. Comunque la Corte Costituzionale con la sentenza n. 54/74 ha precisato che il criterio di m.r. può essere raggiunto da qualsiasi formazione politica: queste interpretazioni giurisprudenziali e soprattutto l’entrata in crisi della politica unitaria delle tre confederazioni maggiori, portarono all’incrinarsi della “diga” della m.r.. Con la crescita sempre maggiore di nuove realtà sindacali, numerosi giudici del lavoro presero atto che molte di queste formazioni ormai rispondevano ai criteri di m.r., togliendo così il monopolio alla “triplice”. Uno dei parametri più significativi dovuto alla giurisprudenza di legittimità è quello “dell’attività di autotutela condotta con continuità, sistematicità ed equilibrata diffusione” per provare il quale erano sufficienti la sottoscrizione per adesione dei contratti collettivi, il consistente numero degli affiliati o il ricorso ad azioni di tutela e di lotta sindacale. Quindi dagli anni ‘80, diverse formazioni sindacali extraconfederali si videro riconoscere la possibilità di accedere alla legislazione di sostegno, prevista dal Titolo III dello statuto dei lavoratori, poichè ritenute in possesso dei requisiti necessari. Dopo il voto referendario si è posto il problema se il concetto di m.r. fosse stato completamente cancellato, lasciando come unico criterio di selezione la firma di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva. Nel precedente numero abbiamo richiamato la sentenza della Corte Costituzionale del dicembre 1995 n. 492, che ha ribadito l’importanza del concetto di m.r. . I dubbi di costituzionalità della nuova disciplina dell’art.19 e la sentenza n. 244/1996 della Corte Costituzionale. Alcuni Pretori hanno ritenuto che il nuovo testo dell’art.19 potesse essere anticostituzionale. Per il Pretore di Milano esiste una netta discrepanza tra il nuovo art.19 e quanto affermato con la sentenza n. 30 del 1990, con la quale la Corte Costituzionale ribadiva il necessario completarsi dei due requisiti per avere un modello conforme alla Costituzione e che un eventuale correttivo legislativo, non potesse essere certo trovato nell’espansione del potere di accreditamento del datore di lavoro. Quindi considera intaccata la libertà sindacale alla luce dell’art.39 Cost., in quanto “un sindacato, per essere veramente libero e per poter svolgere la sua funzione non deve essere gravato dalla necessità di stipulare accordi e di ricercare un consenso non solo dei lavoratori, ma anche dei datori di lavoro”. Per dare risposta ai quesiti posti dai Pretori, la Corte Costituzionale con la sentenza del luglio 1996, n. 244, ha affermato che la questione della costituzionalità del nuovo testo dell’art.19 è priva di fondamento e ha negato, in contrasto con altre precedenti pronunzie, che con la nuova normativa si priverebbe il sindacato dell’autonomia del proprio riconoscimento. Non c’è per la Corte violazione dell’art.39 Cost., in quanto le norme di sostegno all’attività sindacale, sono qualcosa di diverso dalle norme sulla libertà sindacale (garantita dall’art.14 dello statuto); per accedere ad esse sono leciti “criteri scelti discrezionalmente nei limiti della razionalità”. Sulla Gazzetta Ufficiale del 13 dicembre 1995 è stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale n. 492 del 1995. Questa pronunzia del giudice di legittimità costituzionale costituisce un autorevole intervento sulla materia relativa al riconoscimento dei diritti alle rappresentanze sindacali aziendali e sulla nozione di maggiore rappresentatività delle associazioni sindacali. Pur non intervenendo direttamente sulla nuova formulazione dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, la sentenza della Corte richiama il principio della “maggiore rappresentatività”: criterio “da accertarsi non una volta per tutte, ma in modo da consentire una periodica verifica, tenuto conto del suo mutevole grado di effettività”. Afferma infatti la Corte che “fra gli indici di rappresentatività il dato quantitativo, costituito dalla misura di adesione formale al sindacato, ha una grande rilevanza, ma non possono carattere generale, la possibilità di verifica dell’effettiva e concreta rappresentatività del sindacato che rivendica la possibilità di costituzione della rappresentanza sindacale aziendale, e quindi l’accesso alla tutela privilegiata. Deve discendere da tale indicazione la conseguenza per cui se la rappresentatività è evidente, in ragione del consenso proveniente da parte dei lavoratori, la mancata stipulazione del contratto collettivo non può costituire impedimento alla legittimazione alla costituzione della r.s.a.. Possiamo a questo punto, per una più completa descrizione dei riflessi in giurisprudenza del risultato referendario, richiamare alcuni passaggi dell’ordinanza con cui il Pretore di Milano, Dott. Curcio, in una causa promossa dalla F.M.L.U. contro la Fiat Auto, rimette (cosi come hanno fatto altri magistrati del lavoro) gli atti alla Corte Costituzionale, dichiarando non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori nella parte in cui attribuisce la possibilità di costituire le r.s.a. alle sole organizzazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi. Afferma il Pretore che “in particolare con la sentenza 30/90, la corte indicava con chiarezza che un correttivo al logoramento del modello statutario non poteva essere ricercato solo nell’espansione attraverso lo strumento negoziale del potere di accreditamento della controparte imprenditoriale il quale può non offrire garanzie di espressione della rappresentatività reale. Con il nuovo testo dell’art. 19 il modello ritenuto conforme alla Costituzione è venuto meno, rimanendo unico il requisito dello strumento negoziale e, dunque, dell’accreditamento da parte datoriale per il riconoscimento della rappresentatività. Il sindacato non ha più l’autonomia del proprio riconoscimento.” E si richiama ancora la sentenza n. 30 del 1990, nel passo in cui la Corte Costituzionale metteva in guardia dal favorire l’espansione del criterio dell’accreditamento datoriale, sostenendo che “sarebbe in tal modo consentito all’imprenditore di influire sulla libera dialettica sindacale in azienda sfavorendo quelle organizzazioni che perseguono una politica rivendicativa a lui meno gradita.” Afferma il Pretore: “Il sindacato, dunque, per essere veramente libero e per svolgere la sua funzione non deve essere gravato dalla necessità di stipulare accordi e di ricercare un consenso non solo dei lavoratori, ma anche dei datori di lavoro. Peraltro, la cancellazione di ogni norma che consente al datore di lavoro di ingerirsi nella dinamica interna delle associazioni sindacali, cercando direttamente o indirettamente il loro consenso, è per il nostro legislatore un preciso obbligo, che trova fonte, sebbene remota, ma certo ancora vincolante, nella ratifica della convenzione Oil che, all’art. 2, fa obbligo ad ogni ordinamento statale di fornire ai sindacati adeguata protezione contro tutti gli atti di ingerenza della controparte. Ma l’attuale art. 19 non appare contrastare solo con l’art. 39, bensì anche con l’art. 3 Cost. perchè si introduce la possibilità di costituire rappresentanze a favore di organizzazioni sindacali prive di qualsiasi effettiva rappresentatività, sia all’esterno che all’interno dell’azienda, sol che siano firmatarie di contratti collettivi e di negarla ad organizzazione che pur rappresentative, sia esternamente che nell’ambito aziendale, non abbiano sottoscritto alcun accordo.” Articolo 19 e rappresentanza: Fabbrica Italiana Relazioni Industriali di Emmanuele Massagli L’originale formulazione dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori relativo alla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali (RSA), individuava, come soggetti titolari dei diritti sindacali, le RSA costituite ad iniziativa dei lavoratori nell’ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale e delle associazioni sindacali che fossero firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva. Non fosse intervenuta alcuna innovazione al testo, la dichiarata intenzione delle newco create da Fiat di escludere la Fiom dalle rappresentanze aziendali, perché non firmataria del contratto collettivo applicato, sarebbe illegittima, essendo la Cgil confederazione maggiormente rappresentativa sul piano nazionale. Ma la formulazione vigente dell’articolo 19 non coincide con il dettato del 1970. In seguito ai due referendum abrogativi indetti nel 1995 su iniziativa di una variegata compagine della sinistra radicale (uno respinto, l’altro accolto) è stato abrogato l’intero primo comma lett. a dell’articolo e le parole «non affiliate alle predette confederazioni» e «nazionali o provinciali» della lett. b. Di conseguenza la norma oggi si limita a dire che le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite nell’ambito delle sole associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nella unità produttiva. Le differenze con quanto formalizzato venticinque anni prima non sono di poco conto. L’esito negativo della prima domanda del referendum (che avrebbe potuto concedere i diritti sindacali a tutte le RSA costituite dai lavoratori) ha confermato la necessità di selezionare i sindacati titolari dei diritti formalizzati nello Statuto: si tratta di un’esigenza non soddisfatta e quindi ancora attuale, connessa alle tante proposte, in ambito sindacale e politico, di strumenti di misurazione della rappresentanza. L’esito positivo del secondo quesito (che conteneva le novità poi accolte) ha fatto sì che i sindacati di riferimento fossero tutti quelli firmatari dei contratti collettivi applicati, indipendentemente dal livello (è ora considerato anche il solo accordo aziendale). Si tratta di un totale ribaltamento della norma: quello che prima era criterio residuale (lett. b) è diventato unico parametro. Probabilmente gli stessi promotori di quel referendum sottovalutarono le conseguenze di un risultato di questo genere: la norma, di fatto, è diventata più restrittiva per quanto riguarda il rapporto dei sindacati con l’esterno, ma contemporaneamente più debole nella selezione delle rappresentanze interne, che non devono più essere firmatarie anche di contratti nazionali o provinciali. In sintesi: ora il sindacato che non ha stipulato un contratto collettivo applicato nel sito produttivo è escluso dalle RSA, anche qualora fosse il principale sindacato del settore (prima “protetto” dall’area privilegiata garantita dalla lett. a e, indirettamente, dall’inciso della lett. b). Questa è la lettura della norma che sta operando la Fiat escludendo dalle RSA la Fiom, non firmataria dei nuovi contratti collettivi che si applicheranno a Mirafiori e Pomigliano. Invero, perché concretamente potesse farsi forte dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, la nuova Joint Venture Fiat-Chrysler di Torino ha dovuto compiere un altro atto clamoroso, quanto doveroso rispetto al fine perseguito. La nuova azienda ha scelto di non aderire a Confindustria per essere libera rispetto al contratto nazionale dei metalmeccanici e, ancor più, perché non le si 2 applicasse il protocollo del 1993, nel quale le parti sociali hanno anticipatamente neutralizzato gli effetti della norma successiva concordando la creazione delle RSU (diverso è stato l’evolversi della situazione a Pomigliano: Fabbrica Italia è rientrata in Federmeccanica a seguito della modifica del Ccnl, non sottoscritta dalla Fiom). Le RSU (nel solo settore privato) sono l’esito del processo di riforma della rappresentanza innescatosi a seguito, soprattutto, della crisi dei consigli di fabbrica. Sono disciplinate dall’intesa quadro tra Cgil, Cisl e Uil sulle Rappresentanze sindacali unitarie del 1 marzo 1991, formalizzate nel protocollo tra governo e parti sociali del 23 luglio 1993 (c.d. protocollo Ciampi) e regolate da un accordo Confindustria, Cgil, Cisl e Uil del dicembre 1993. A differenza delle RSA, la composizione delle RSU deriva per due terzi da elezione e per un terzo da designazione o elezione da parte delle organizzazioni stipulanti il Ccnl in proporzione ai voti ottenuti. L’intento esplicito dei firmatari fu di assicurare il necessario raccordo tra le organizzazioni stipulanti i contratti nazionali e le rappresentanze aziendali, ovvero il contrario della direzione scelta da chi ha votato il referendum del 1995. Il protocollo Ciampi ha così avuto il merito per quindici anni di placare il potenziale dibattito sugli effetti delle modifiche referendarie, ma non ha risolto le incognite, che ora emergono in tutta la loro complessità. Tornando all’oggi, per quanto vi sia nella discussione attuale una ampia condivisione circa la legittimità costituzionale di quanto sta avvenendo, non mancano voci critiche e considerazioni giuridiche contrarie, in particolar modo a riguardo dell’esclusione della Fiom dalle RSA. Appare strategicamente poco comprensibile il battagliero approccio del maggiore sindacato metalmeccanico: la “controffensiva” è basata su ripetuti appelli che denunciano la violazione dei diritti dei lavoratori e preannunciano futuri ricorsi in via giudiziaria. A questo proposito vale la pena ricordare il principio affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 54/1974 a proposito dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. La Corte concluse che la selezione tra sindacati non viola l’articolo 39 della Costituzione, ma ha il solo scopo di individuare i titolari dei diritti previsti nel titolo III, senza limitare le libertà sindacali dei lavoratori e la possibilità di costituire associazioni sindacali come garantito dall’articolo 14 dello stesso Statuto. Nel caso specifico, il sindacato non sottoscrittore può rappresentare i lavoratori solo per i loro diritti (stabiliti dallo Statuto), ma non per la contestazione del contratto a cui non ha aderito. Per quanto delicata politicamente, appare questa una conseguenza di buon senso, coerente con la logica dello scambio contrattuale. Tuttavia anche se si giungesse alla certezza unanime che le novità, contenute nei due accordi esaminati non infrangono i diritti costituzionalmente garantiti né percorrono strade vietate dal diritto del lavoro e dal sistema delle relazioni sindacali, non si potrebbe fuggire una valutazione sul tema della rappresentatività e quindi sulla possibilità di concludere contratti (anche aziendali) efficaci e vincolanti per tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro adesione sindacale e/o dalla adesione del proprio sindacato al contratto collettivo. E questo è effettivamente l’argomento di maggior la S.p.a. Marcofil, iscritta al n. 1063 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34 bis dell'anno 1985. Visti gli atti di costituzione del Sindacato Nazionale Quadri Industria, della S.p.a. Oto Melara e dell'I.N.P.S. nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; uditi gli avv.ti Giuseppe Pera per il Sindacato Nazionale Quadri Industria, Gino Sacerdoti per l'I.N.P.S. e gli avv.ti dello Stato Oscar Fiumara e Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato in diritto l.-Le questioni riguardano la stessa materia e possono pertanto essere decise con unica sentenza. 2. - Il Pretore di La Spezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, lettera a), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) per contrasto con l'art. 39, primo e terzo (rectiusquarto) comma, Cost. Nell'ordinanza di rimessione - come detto in narrativa- si sostiene che la norma costituzionale tutela la libertà sindacale in un sistema fondato sul sindacato nazionale di categoria e sul principio di proporzionalità, laddove la norma impugnata privilegia-ai fini della costituzione di rappresentanze sindacali aziendali nelle singole unita produttive-le associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La struttura confederale, così presa in considerazione dal legislatore, sarebbe quella che possiede una rappresentatività storica, che si fonda cioé sulla realtà sociologica del sindacalismo: il che porta ad escludere la possibilità che l'adesione di un sindacato-come quello ricorrente- a confederazioni monocategoriali quali la Confederquadri, possa consentire allo stesso di costituire una rappresentanza sindacale aziendale, pur essendo sicuramente-sindacato e confederazione- maggiormente rappresentativi della categoria dei quadri. Nè, ad avviso del giudice a quo, la possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali potrebbe ritenersi assicurata ad associazioni portatrici di mera rappresentatività tecnica dalla lett. b) del medesimo art. 19, in quanto il conseguimento del requisito, ivi previsto, della stipulazione di un contratto collettivo nazionale o provinciale applicabile all'unita produttiva sarebbe pur sempre sostanzialmente rimesso alla volontà delle controparti. 2.l. - La questione non é fondata. Esaminando, innanzitutto, la censura prospettata in riferimento al quarto comma dell'art. 39 Cost., é agevole osservare che tale disposizione, peraltro inattuata, configura un modello di selezione della rappresentanza sindacale che ha come suo necessario presupposto la registrazione dei sindacati ed é strettamente funzionale all'obiettivo, allora divisato, di pervenire alla stipulazione di contratti collettivi dotati di efficacia erga omnes. A tale finalità si ricollega, da un lato l'adozione del principio proporzionalistico, come congegno idoneo alla costituzione di una rappresentanza unitaria formalmente investita del potere di concludere un contratto dotato di tale particolare forza giuridica; dall'altro, l'individuazione del livello categoriale come momento organizzativo coerente con l'area di operatività della contrattazione collettiva. Non si tratta però, certamente, di un modello esclusivo, che altrimenti la disposizione in esame si porrebbe in insanabile contraddizione col principio generale di libertà dell'organizzazione sindacale sancito dal primo comma dello stesso art. 39; e dunque, al di fuori di tale logica funzionale, il legislatore e libero, quando dispone in ordine ad un contesto operativo del tutto diverso-quello dei sindacati ammessi a legittimare nel proprio ambito organismi di rappresentanza aziendale-, di adottare criteri selettivi ed individuare momenti organizzativi che ritenga più appropriati a tal fine, quali, appunto, quelli della maggiore rappresentatività e del livello confederale di aggregazione. 2.2.-Del pari non fondata é poi la questione in quanto riferita al principio di libertà sindacale sancito dal primo comma dell'art. 39 Cost. Sotto questo profilo, il giudice a quo non contesta nè la legittimità dell'adozione di un criterio selettivo, nè che questo venga dalla norma impugnata individuato nella <maggiore rappresentatività> del sindacato; ritiene, però, che esso avrebbe dovuto, per rispettare il disposto costituzionale, essere riferito ad un diverso ambito di organizzazione del sindacato, e cioé quello della categoria anzi che della confederazione. L'esame di questa specifica censura richiede, peraltro, che la norma impugnata non sia considerata isolatamente, ma vista nel contesto delle altre disposizioni dettate nello Statuto a tutela della libertà e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro. Innanzitutto, lo Statuto pone le basilari condizioni atte a garantire in concreto tali diritti stabilendo, all 'art . 14 , la piena libertà dei lavoratori <di costituire associazioni sindaca li, di aderirvi e di svolgere attività sindacale> ed assicurando` a tali associazioni, ed alle relative rappresentanze, sia la tutela contro atti discriminatori, anche sotto forma di trattamenti economici collettivi, sia l'attività di proselitismo e collettaggionell'impresa (artt. 15, 16, 26), sia la facoltà di avvalersi di altri importanti diritti di esercizio collettivo, quali quelli sanciti dagli artt. 9 e 11. Inoltre, la garanzia del libero sviluppo di una normale dialettica sindacale e assicurata dallo Statuto, non solo attraverso il divieto dei sindacati di comodo (art. 17), ma anche e soprattutto attraverso il fondamentale strumento di repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro previsto dall'art. 28, il cui impiego presuppone una dimensione organizzativa-quella nazionale-che, per non essere legata nè ad un'aggregazione a livello confederale- intercategoriale, nè alla stipulazione di contratti collettivi, consente concreti spazi di operatività anche alle organizzazioni che dissentono dalle politiche sindacali maggioritarie perseguite a quel livello. 2.3.-Questa Corte, d'altra parte, ha già ritenuto, nella sentenza n. 54 del 1974, che il criterio di selezione della <maggiore rappresentatività> é razionale in quanto coerente alle esigenze di equilibrio e funzionalità connesse alla specifica area di intervento in cui la disposizione impugnata é destinata ad operare. E' chiaro, innanzitutto, che un meccanismo selettivo di sostegno qualificato dall'azione sindacale nei luoghi di lavoro deve non solo rifiutare logiche puramente aziendalistiche, estranee al ruolo a questa assegnato dalla Costituzione, ma evitare sia i pericoli di eccessiva frammentazione della rappresentanza sindacale segnalati nella citata sentenza, sia un'incidenza nella sfera dell'imprenditore dei diritti ad essa concessi (di assemblea, a permessi retribuiti, ecc.) non proporzionata alle esigenze di efficace esercizio di questi. Ma soprattutto, l'efficienza rappresentativa assicurata dal criterio di selezione in discorso si appalesa funzionale al carattere indivisibile degli interessi dei lavoratori che tali rappresentanze sono chiamate a tutelare ed idonea a dar vita ad organismi sufficientemente stabili ai fini di un proficuo confronto con le parti imprenditoriali. L'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale ha d'altra parte condotto da tempo all'individuazione di un complesso di indici sufficientemente precisi - ricordati dal giudice a quo (cfr. narrativa in fatto)-che consentono all'interprete -a prescindere da elencazioni legislative dettate ad altri fini - di verificare nei singoli casi concreti la sussistenza del requisito della <maggiore rappresentatività> misurandola sull'effettività di questa e non su assunzioni aprioristiche: e ciò convalida l'opinione già espressa da questa Corte nel 1974 e condivisa dal giudice di legittimità, secondo cui la formula legislativa prescrive una valutazione non comparativa ma rafforzativa della rappresentatività e delinea una categoria aperta, cui può accedere ogni organizzazione sindacale che raggiunga la consistenza e possieda le caratteristiche evidenziate dagli elementi sintomatici sopra richiamati. 2.4.-Passando ora all'esame, sulla scorta delle suesposte premesse, della norma specificamente censurata, deve, innanzitutto sottolinearsi che il legislatore statutario ha avuto cura, nel formularla, di salvaguardare la libertà di organizzazione sindacale sotto un duplice profilo. In primo luogo, ha garantito che le rappresentanze aziendali siano genuina espressione dei lavoratori ivi occupati (e non dei soli iscritti alle associazioni sindacali), prescrivendo che esse si costituiscano su iniziativa dei medesimi, e non di strutture esterne. In secondo luogo, stabilendo che tali rappresentanze si formino <nell'ambito> delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, ha adottato un criterio di raccordo tra organismo aziendale e struttura confederale notevolmente elastico, che-in quanto non deve necessariamente tradursi in un collegamento di tipo strettamente organico- associativo - consente al primo sufficienti margini di determinazione autonoma. D'altra parte, la rigida contrapposizione tra confederazione e sindacato di categoria che il giudice a quo pretende di instaurare e solo in parte esatta, dato che, sul piano organizzativo, il collegamento che la disposizione impugnata configura in via prioritaria e appunto quello tra rappresentanze aziendali e associazioni sindacali di categoria. La contrapposizione, invece, attiene al momento selettivo e qualificativo di queste, ed e espressa nel più importante indice di identificazione della limitare il servizio di trattenuta ai sindacati aderenti alle confederazioni rappresentate nel CNEL, in quanto fondata su razionali presupposti obiettivi, non viola perciò il principio di uguaglianza. Tanto meno, poi, può dirsi nella specie violata la libertà sindacale delle associazioni che, non essendo fornite dei prescritti requisiti di rappresentatività, non fruiscono di tale più agevole sistema di provvista e riscossione di mezzi finanziari. La norma impugnata, invero, non incide ne sul diritto dei lavoratori disoccupati di versare contributi a tali associazioni meno rappresentative, ne sul diritto di queste di acquisirli, sia pure con modalità diverse; e ciò é sufficiente, nella particolare fattispecie qui esaminata, a garantire ad esse la libertà sindacale. 4. -Con l'ordinanza del 26 settembre 1982 indicata in epigrafe (r.o. n. 785/82), il Pretore di Roma dubita, in riferimento agli artt. 3, 2i e 25, primo comma Cost., della legittimità costituzionale degli artt. 28 e 37 della medesima legge n. 300 del 1970, in quanto tali norme prevedono, in caso di condotta antisindacale plurioffensiva degli enti pubblici economici - cioé incidente anche sui diritti dei dipendenti -che possono essere aditi tanto il giudice ordinario (dall'organizzazione sindacale) che quello amministrativo (dal dipendente), e perciò comportano che possano essere pronunciate decisioni reciprocamente incompatibili. La medesima questione di legittimità costituzionale del citato art. 28, a suo tempo sollevata dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, é stata, con la sentenza n. 169 del 1982, dichiarata inammissibile in quanto fondata su due contrapposte interpretazioni di tale norma , tali da rendere ancipiti le ordinanze di rimessione; e manifestamente inammissibile é stata poi dichiarata la medesima questione, sollevata dalle stesse Sezioni Unite con ordinanza del 6 ottobre 1981 (ord. n. 210 del 1982). Poichè il Pretore di Roma si é limitato a riprodurre quest'ultima ordinanza, trascrivendone letteralmente il contenuto, anche sulla questione così sollevata deve rendersi una pronuncia di manifesta inammissibilità. 5.-Come specificato in narrativa, il Pretore di Legnano ha sollevato, con l'ordinanza indicata in epigrafe (r.o. 1063/84), due distinte questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 28 St. lav. Con la prima, egli assume che tale disposizione violerebbe, in modo surrettizio, i commi secondo, terzo e quarto dell'art. 39 Cost. in quanto, a suo avviso, attribuisce ai sindacati la legittimazione processuale a tutelare diritti dei lavoratori, nonostante che la rappresentanza istituzionale di interessi altrui presupponga, in base ai suddetti disposti costituzionali, il possesso di requisiti formali (registrazione) e sostanziali (ordinamento interno a base democratica) di cui gli organismi abilitati col ricorso ex art. 28 sono sprovvisti. Lo strumento processuale previsto da tale norma consente agli <organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse> di richiedere al pretore la cessazione, e la rimozione degli effetti, di comportamenti del datore di lavoro <diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonchè del diritto di sciopero>. Trattasi, quindi -come già precisato nella sentenza n. 54 del 1974-di uno strumento posto a tutela di interessi collettivi dei quali il sindacato e titolare e gestore autonomo, e con il quale esso non agisce in rappresentanza dei lavoratori colpiti dai suddetti comportamenti, tant'é che può esperire il ricorso anche in caso di inerzia o contraria volontà di questi. Di conseguenza, la questione, in quanto basata su un presupposto erroneo, deve essere dichiarata non fondata. Alla medesima conclusione deve pervenirsi in ordine alla seconda questione, prospettata in via subordinata, con la quale il giudice a quo assume che l'art. 28, conferendo la legittimazione ad esperire la speciale procedura ivi prevista alle sole associazioni sindacali <nazionali>, contrasti con gli artt. 39, primo comma e 3 Cost. in quanto porrebbe con ciò un requisito-quello appunto, della <nazionalità>-non verificabile e la cui introduzione comporterebbe disparità di trattamento tra i sindacati. Quanto al primo profilo, basta richiamare quanto già detto (par. 2.3.) a proposito degli indici di identificazione del sindacato maggiormente rappresentativo sul piano nazionale, per escludere, a fortiori, che non sia dato all'interprete di accertare, con i comuni mezzi di prova, il carattere nazionale o meno del sindacato. Quanto al secondo motivo di censura, e innanzitutto da rilevare-come già questa Corte fece nella sentenza n. 54 del 1974-che l'art. 28 non limita l'organizzazione o l'attività dei sindacati da esso esclusi ne li priva di alcuno degli strumenti di tutela, sostanziale o processuale, di cui già fruiscono (cfr., in particolare, l'art. 16 St. lav.); introduce, invece, un nuovo e diverso mezzo processuale riservato a soggetti collettivi particolarmente qualificati, individuati attraverso non un modello, ma una dimensione organizzativa (quella nazionale) assunta come indice e garanzia di un adeguato livello di rappresentatività: idonea, cioé, a consentire la selezione, tra i tanti possibili, dell'interesse collettivo rilevante da porre a base del conflitto con la parte imprenditoriale introdotto con l'incisivo strumento processuale in questione. Con una scelta analoga a quella fatta con l'art. 19- ma qui adottando un criterio selettivo meno rigoroso-il legislatore, in altri termini, ha inteso, da un lato, evitare le conseguenze che all'attività aziendale deriverebbero <da una pletora indiscriminata di ricorsi> (sent. n. 54 del 1974); dal l'altro, assicurare che l'individuazione dell'interesse collettivo da ritenere leso dalla condotta imprenditoriale sia frutto di una sintesi interpretativa che, in quanto operata da soggetti rappresentativi di larghi strati di lavoratori, sia razionalmente funzionale, e non controproducente, rispetto all'obiettivo di un reale rafforzamento delle loro posizioni nel conflitto industriale, che con la norma impugnata il legislatore ha avuto di mira. Questa é quindi, in definitiva, frutto del medesimo indirizzo che ha ispirato la formulazione dell'art. 19 (cfr. supra, par. 2.4.): e deve quindi ritenersi immune da censure, per le stesse ragioni già evidenziate a tal proposito. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, lett. a), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei diritti dei lavoratori), in riferimento all'art. 39 Cost., sollevata dal Pretore di La Spezia con ordinanza del 15 luglio 1981 (r.o. 699/81); b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 27 dicembre 1973, n. 852, in riferimento agli artt. 3 e 39, primo comma, Cost., sollevata dal Pretore di Roma con ordinanza del 9 ottobre 1979 (r.o. 52/80); c) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 37 della predetta legge n. 300 del 1970, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25, primo comma, Cost., sollevata dal Pretore di Roma con ordinanza del 26 settembre 1982 (r.o. 785/82); d) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 28 della legge n. 300 del 1970, in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., sollevate dal Pretore di Legnano con ordinanza del 7 luglio 1984 (r.o. 1063/84). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/03/88. Francesco SAJA, PRESIDENTE Ugo SPAGNOLI, REDATTORE Depositata in cancelleria il 24 Marzo 1988. SENTENZA N. 54 ANNO 1974 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO A CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori Giudici: Prof. Francesco Paolo BONIFACIO Dott. Giuseppe VERZÌ Avv. Giovanni Battista BENEDETTI Dott. Luigi OGGIONI Dott. Angelo DE MARCO Avv. Ercole ROCCHETTI Prof. Enzo CAPALOZZA Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI Prof. Vezio CRISAFULLI Dott. Nicola REALE Prof. Paolo ROSSI Una situazione del genere, oltreché in contrasto con la Costituzione, sarebbe anche priva di realismo in quanto tenderebbe a bloccare il processo di associazione sindacale intorno ad alcune organizzazioni esistenti, laddove la natura fluida e multiforme dell'attività stessa, per la sua essenza, si sottrarrebbe continuamente agli schemi precostituiti, superandoli nella ricerca di forme nuove per contenuto, strumenti di lotta, ricerca del consenso ed identificazione degli obiettivi. 2. - L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. É intervenuto dinanzi alla Corte costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. L'Avvocatura deduce la infondatezza della proposta questione: la piena libertà di organizzazione sindacale, proclamata dal primo comma dell'art. 39 Cost., sarebbe assicurata dal titolo II della stessa legge n. 300 del 1970 e particolarmente dall'art. 14, per il quale il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, é garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro. La sola limitazione del principio così affermato sarebbe costituita dall'art. 17 che fa divieto ai datori di lavoro di costituire o sostenere sindacati di comodo: ma é troppo evidente che con esso non si é violata la libertà di organizzazione sindacale intendendosi invece assicurare il sostanziale esercizio di tale diritto di libertà. La norma impugnata non costituirebbe un limite all'esercizio della libertà di organizzazione sindacale assicurata dall'art. 14; essa, come risulterebbe dalla sua collocazione e formulazione letterale e come fu precisato dal Ministro del lavoro in sede di dibattito parlamentare, non escluderebbe il diritto dei lavoratori di costituire altri tipi di organizzazioni sindacali rappresentative, elaborate sulla base di modelli diversi da quello indicato dall'art. 19, limitandosi a disporre che alcune agevolazioni previste dal titolo III della legge siano applicabili non a tutte le organizzazioni sindacali comunque costituite nell'ambito della azienda, ma ad alcune soltanto di quelle organizzazioni, scelte dal legislatore in considerazione della loro rappresentatività, anche extraziendale. Simile scelta resterebbe giustificata (in riferimento all'art. 3 Cost.) da un duplice ordine di ragioni. Da un lato occorreva evitare il verificarsi di situazioni abnormi: al fine di godere di permessi retribuiti sarebbe stato agevole costituire sindacati inconsistenti, che non avrebbero avuto le caratteristiche dei sindacati di comodo del datore di lavoro di cui all'art. 17, ma quella, insolita, dei sindacati di comodo di alcuni dirigenti autodesignati al fine di godere di particolari benefici. Il che non avrebbe favorito, ma anzi avrebbe ostacolato, l'efficace esercizio dell'attività sindacale nell'azienda. D'altra parte ragioni di equilibrio richiedevano che gli obblighi giuridici imposti al datore di lavoro dal titolo III della legge fossero giustificati dalla reale forza ed efficienza sindacale delle organizzazioni a vantaggio delle quali detti obblighi sono stabiliti. Il criterio utilizzato dal legislatore per operare la scelta in parola sarebbe in tutto ragionevole e proporzionato agli scopi che si intendevano perseguire, essendosi proceduto con un duplice criterio: mediante il riferimento alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, che costituiscono un fenomeno reale da cui il diritto non può prescindere senza abdicare alla sua essenziale funzione di recezione di dati della realtà entro un ordinamento; mediante il riferimento al più sicuro fra ogni ipotizzabile indice di rappresentatività aziendale, costituito dalla partecipazione alla contrattazione sindacale applicata nella unità produttiva. Una normativa meccanicamente livellatrice delle organizzazioni sindacali avrebbe prospettato ben più reali motivi di contrasto con la Carta costituzionale. Infatti sarebbe chiaro che l'art. 39 della Costituzione non deve essere letto avulso dai principi di base del nostro ordinamento costituzionale e soprattutto dal principio democratico rappresentativo, come fu ricordato dal Ministro del lavoro nel corso del dibattito parlamentare. Se da tale principio discende il diritto di tutti i cittadini di svolgere attività sindacale, "sia costituendo le relative associazioni, sia compiendo opera di proselitismo, sia, infine, nelle stesse militando" non sarebbe invece esatto che siffatti diritti siano stati negati ai lavoratori che aderiscono alle associazioni sindacali non riconducibili alla previsione dell'art. 19 della legge n. 300. Garanzia idonea in tal senso sarebbe fornita dal più volte ricordato art. 14 e sarebbe vero soltanto che il medesimo diritto può dai lavoratori che hanno costituito le rappresentanze sindacali aziendali in virtù dell'art. 19 esercitarsi in un quadro di ulteriori specifiche garanzie, pienamente giustificate dall'essere tali lavoratori espressione di associazioni sindacali che costituiscono la parte largamente maggioritaria della organizzazione professionale. Né, infine, la norma potrebbe considerarsi rivolta ad una cristallizzazione della situazione sindacale in atto poiché il fenomeno dell'associazionismo sindacale si imporrebbe per forza propria al rispetto dei datori di lavoro che, nel loro stesso interesse, non rifiutano mai di trattare con gruppi organizzati dotati di un indice reale di rappresentatività. Sicché, per la via costituita dalla futura contrattazione sindacale a livello nazionale e provinciale potranno, ai sensi della lett. b dell'art. 19, enuclearsi nuovi gruppi nel cui ambito avverrà la costituzione di nuove rappresentanze sindacali aziendali. 3. - Analoga questione di legittimità costituzionale dell'intero art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, é stata sollevata dal pretore di Roma, con ordinanza emessa il 4 agosto 1971, nel procedimento vertente tra la CNISIA (Confederazione nazionale d'Intesa sindacale tra ingegneri e architetti) e la s.p.a Selenia, in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione. Secondo il pretore, nella regolamentazione della vita del sindacato, in quanto estrinsecazione della libertà di cui all'articolo 39, deve essere tenuto presente il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3. L'art. 19 dello Statuto dei lavoratori non pare che si sia tenuto nell'alveo dei principi costituzionali sopra richiamati. Attribuendo infatti la possibilità di costituire in ogni unità produttiva rappresentanze sindacali aziendali soltanto alle associazioni aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (o a quelle non affiliate alle predette Confederazioni che siano firmatarie di contratti applicati nell'unità produttiva) opera una delimitazione chiaramente discriminatoria soprattutto se si tiene conto che a dette rappresentanze sono attribuiti diritti e poteri nell'ambito del posto di lavoro (artt. 20, 23, 27 ecc.) che rendono quanto mal incisiva la loro azione e quindi il loro peso nella dialettica dei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori. Con l'attribuzione ai sindacati maggiormente rappresentativi del potere di costituire rappresentanze sindacali aziendali e quindi di darsi una struttura particolare nell'ambito della unità produttiva, si opererebbe invece a priori e in radice una discriminazione che pone le altre associazioni sindacali in posizione di inferiorità e ne fa come un genere differente. Diverso sarebbe stato se, nel libero confronto tra tutte le associazioni sorte ex art. 14, si fossero attribuite alla maggioranza, di volta in volta o per determinati periodi, i poteri e le prerogative di cui agli artt. 20, 23, 27 ecc. della legge. In altre parole il criterio maggioritario, perfettamente aderente ai principi democratici che informano il nostro sistema istituzionale, potrebbe valere sul piano dell'agire, non su quello dell'essere; su questo ultimo tutte le associazioni sindacali dovrebbero avere gli stessi diritti e gli stessi poteri. Solo sul piano degli effetti e dopo il confronto tra pari, potrà valere la maggiore o minore rappresentatività. L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Nessuno si é costituito dinanzi alla Corte costituzionale. 4. - Identica questione in ordine all'art. 19 della legge n. 300 del 1970 é stata promossa dal pretore di Torino, con ordinanza emessa l'8 ottobre 1971, nel procedimento vertente tra la FAISA (Federazione autonoma italiana sindacati autoferrotranvieri) e l'ATM (Azienda tranvie municipali), in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione. Anche in questo procedimento nessuno si é costituito dinanzi alla Corte costituzionale. 5. - Ancora il pretore di Torino, con ordinanza emessa il 26 febbraio 1972, nel procedimento vertente tra l'Unione provinciale del lavoro della CISNAL, il sindacato provinciale autoferrotranvieri aderente alla CISNAL e l'ATM, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 lett. a dello Statuto dei lavoratori, in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione. Ha ritenuto che la possibilità di creare le rappresentanze sindacali aziendali, organi di concreta esplicazione di attività sindacale all'interno dell'azienda, sarebbe di fatto inibita alle associazioni sindacali aderenti alle confederazioni minori, vanificando il principio di libertà di costituzione di associazioni sindacali, di adesione alle medesime e di svolgimento della correlativa attività, di cui all'art. 14 stessa legge. Il che sembrerebbeconfliggere con la libertà di organizzazione sindacale di cui all'art. 39, primo comma, della Costituzione e col principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Nessuno si é costituito dinanzi alla Corte costituzionale. 6. - Nel corso del giudizio, ex art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, proposto da Gallo Alfonso nella qualità di segretario provinciale della FILLEA - CGIL nei confronti di Palomba Francesco, contitolare della società Fratelli Palomba, per ottenere la cessazione del comportamento antisindacale e l'immediata reintegrazione nel posto di lavoro di tal Vincenzo Aprea, il pretore di Pompei, con ordinanza emessa il 7 luglio 1971, ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale del citato art. 28, nella parte in cui attribuisce ad associazioni sindacali non riconosciute e Parimenti, si dovrebbe escludere l'irrazionalità e arbitrarietà del trattamento preferenziale, riservato alle associazioni sindacali nazionali, mediante la procedura speciale di cui all'art. 28. Quest'ultima appare destinata ad assumere, nella complessa problematica delle relazioni industriali, un'importanza del massimo rilievo. Ciò considerato, il legislatore ordinario ne avrebbe circoscritto l'accesso ai soli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali, perché ha ritenuto che soltanto queste ultime siano in grado di apprezzare ponderatamente l'opportunità di ricorrere ad una procedura, il cui esito é suscettibile di influenzare incisivamente lo svolgimento dei rapporti inerenti all'esercizio dell'azione sindacale. Si tratta - a conferma della razionalità della soluzione prescelta - dello svolgimento coerente di una linea che costituisce l'impronta costante della legge n. 300, per cui il legislatore, quando ha ritenuto di dover fornire all'azione sindacale particolari garanzie, alle quali corrisponde l'imposizione di situazioni giuridiche particolarmente onerose a carico del datore di lavoro, ha adottato opportuni criteri di contemperamento dei contrapposti interessi, con il riservare tali garanzie agli organismi sindacali qualificati dalla loro maggiore idoneità al conseguimento dei loro istituzionali fini di tutela del lavoro. 8. - Questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 veniva sollevata dal pretore di Bressanone nel procedimento vertente tra il sindacato autonomo alto - atesino e la ditta Gruenig, con ordinanza emessa il 4 ottobre 1971. Assume il pretore che la rivendicata sostanziale autonomia del sindacato ricorrente rispetto alle associazioni sindacali nazionali, la quale in sostanza pone un problema di legittimazione rispetto all'art. 28 citato, lo ha indotto a sollevare d'ufficio la questione di legittimità costituzionale della norma con riferimento al principio di uguaglianza garantito dall'art. 3 della Costituzione. Essa si prospetta sotto il profilo che l'azione prevista da detta disposizione di legge, sebbene rimessa all'impulso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali, sarebbe, nondimeno, volta, in realtà, a proteggere il diritto di sciopero, di libertà e attività sindacale di ciascun singolo lavoratore. Infatti, pur essendo stato respinto nel corso dell'iter parlamentare, un emendamento diretto a legittimare il lavoratore a tale azione, ciò avvenne sul rilievo delle difficoltà nelle quali si trovano i singoli in casi siffatti. Muovendo, dunque, da queste considerazioni il giudice a quo prospetta il dubbio in ordine alla sussistenza di un contrasto fra la norma ed il principio di uguaglianza riconosciuto costituzionalmente a tutti i cittadini (art. 3), giacché l'art. 28 finisce in tal modo per salvaguardare la libertà di sciopero e sindacale soltanto di quanti aderiscono ai sindacati di carattere nazionale ossia più rappresentativi, con ingiustificata esclusione da siffatta forma di tutela dei lavoratori riuniti in forme di associazionismo minoritarie o, comunque, territorialmente circoscritte. Né i dubbi in ordine al prospettato contrasto con l'art. 3 della Costituzione appaiono venir meno anche qualora volesse ritenersi che beneficiari diretti del procedimento disciplinato dall'art. 28, siano le organizzazioni sindacali. La libertà sindacale riconosciuta dal primo comma dell'art. 39 della Costituzione trova infatti la sua più significativa espressione nel legittimo fenomeno del pluralismo sindacale. L'attribuzione, di conseguenza, dell'esercizio dell'azione prevista dalla norma in esame soltanto alle associazioni di lavoratori aventi carattere nazionale sembra, pertanto, alterare quella doverosa uguaglianza di trattamento di fronte alla legge cui ogni sindacato vanta diritto, limitando nei confronti delle associazioni meno rappresentative questa particolare tutela giurisdizionale configurata in modo da garantirne l 'effettivo esercizio e il libero sviluppo in ossequio al dettato costituzionale. L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Nessuno si é costituito dinanzi alla Corte costituzionale. 9. - Altre questioni di legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge n. 300 citata sono state sollevate con due ordinanze emesse il 20 settembre 1971 dal pretore di Padova nei procedimenti civili vertenti tra il Sindacato autonomo SALTAE e l'Hotel Universal di Abano Terme e tra il medesimo Sindacato e l'Hotel Trieste ed altri alberghi di Abano Terme. Al giudice a quo sorge il dubbio che la norma sia in contrasto con gli artt. 2, 24, primo comma, e 39 della Costituzione. Infatti all'art. 2, la Costituzione riconosce i diritti inviolabili del cittadino sia come singolo sia nelle formazioni sociali e all'art. 39 riconosce che le formazioni sociali nell'ambito del lavoro, quali i sindacati, sono libere. Ora, attribuendo l'art. 28, così come interpretato, la potestà di agire soltanto ad alcuni sindacati, soltanto cioè ai sindacati a base nazionale, si stabilirebbe una particolare tutela giuridica solo per alcune formazioni sociali nell'ambito del lavoro, escludendone altre, violando così in primo luogo gli artt. 2 e 39 della Costituzione. Infatti, poiché la libertà delle organizzazioni sindacali é data allo scopo di far "svolgere liberamente la personalità" del lavoratore, escludendo dalla particolare tutela giuridica alcune organizzazioni sindacali, si condizionerebbe il diritto del lavoratore di scegliere liberamente l'appartenenza alla formazione sociale nel lavoro ove meglio si esplica la propria personalità. Inoltre, poiché nell'art. 39 Cost., considerato nella sua interezza, risiede la garanzia costituzionale oltre che della libertà anche dell'autonomia collettiva delle associazioni sindacali, risulterebbero violati pure tali principi dato che si obbligherebbe alcuni sindacati non a base nazionale e pur tuttavia portatori di interessi collettivi settoriali, come nella specie il SALTAE che ha stipulato un contratto a carattere locale con gli albergatori, ad "affiliarsi" alle organizzazioni sindacali a carattere nazionale per avere la tutela giuridica della propria attività sindacale in funzione della propria capacità contrattuale ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori, attribuendo quindi di fatto e di diritto una rappresentanza legale di tutti i lavoratori alle organizzazioni nazionali. Inoltre, parrebbe violato anche l'art. 24, primo comma, della Costituzione, perché non tutti potrebbero agire in giudizio a difesa di un diritto proprio del sindacato. Sarebbe evidente che il "tutti" dell'art. 24 si riferisce a tutti i soggetti giuridici e quindi alle persone fisiche, alle persone giuridiche e agli altri soggetti di diritto quali le associazioni non riconosciute, persone esistenti come soggetto, in quanto hanno un'organizzazione e quindi un certo carattere unitario ed una certa autonomia rispetto agli associati, com'é il caso del sindacato ricorrente che in data 10 ottobre 1970 ha stipulato un contratto collettivo integrativo locale con gli albergatori. In questo giudizio nessuno si é costituito dinanzi alla Corte costituzionale. 10. - Anche il tribunale di Pavia, con ordinanza emessa il 17 febbraio 1972, nel procedimento vertente tra la società Korting italiana contro Formisano Michele ed altri, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 Statuto dei lavoratori in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 39, primo comma, della Costituzione. Il giudice a quo motiva il dubbio di costituzionalità, osservando che dalla legge n. 300 del 1970 é riconosciuto a tutti i lavoratori, in linea di principio, il diritto di azione sindacale nei luoghi di lavoro (art. 14), ma solo coloro che fanno capo a determinate organizzazioni sindacali hanno prerogative, poteri e protezione legale (artt. 19, 20, 21), mentre solo gli apparati sindacali esterni hanno la legittimazione esclusiva in ordine allo speciale procedimento pretorile (art. 28). Appare, dunque, fondato il sospetto che, sia rispetto al principio dell'uguaglianza, estensibile a tutte le formazioni sociali (art. 3, primo comma, Cost.), sia rispetto al principio della libertà sindacale (art. 39, primo comma, Cost.) il citato art. 28, nella sua rigida formulazione, si ponga in aperto contrasto. Il medesimo precetto, inoltre, imponendo la mediazione del sindacato, rischierebbe poi di compromettere anche il principio della effettività della tutela dei lavoratori ricavabile dall'art. 3, secondo comma, Cost. e sarebbe giustificato solo da preoccupazioni pratico - politiche di carattere contingente del tutto estranee alla ratio della norma processuale. L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Si sono costituiti i ricorrenti, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonio Vitali e Leopoldo Jacobelli, insistendo per la dichiarazione di illegittimità della disposizione denunziata. 11. - Sotto profili in parte diversi dai precedenti, il pretore di Trinitapoli, con ordinanza emessa il 22 luglio 1972, nel procedimento civile vertente tra la Camera del lavoro provinciale di Foggia ed altri contro l'Azienda agricola De Martino Norante Luciano e Giulio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del più volte citato art. 28. Nel procedimento previsto dalla norma denunciata, il giudice a quo ravvisa una violazione del principio di eguaglianza in riferimento a quattro aspetti. Lamenta, in primo luogo, la disparità di trattamento tra datori di lavoro e lavoratori, poiché questi ultimi ed i sindacati che "li spalleggiano" avrebbero in forza dell'art. 28 in esame una valida, efficace, tempestiva, immediata difesa dei propri interessi, mentre il datore di lavoro personalmente e singolarmente considerato deve ricorrere, di fronte a qualche incrinatura del rapporto causata dal lavoratore, o ad azioni penali, inefficaci a riportare l'equilibrio con prontezza nella azienda, o ad azioni civili, lunghe e dispendiose, e dall'esito decisamente incerto. D'altra parte, le associazioni imprenditoriali o, comunque, di categoria, cui appartiene il datore di lavoro, sarebbero - al contrario delle associazioni sindacali che sostengono i lavoratori - decisamente prive di ogni potere di azione. L'eguaglianza di tutti i cittadini o dei gruppi di cittadini, di fronte alla lesione dello stesso bene giuridico quale é il rapporto di lavoro, non sarebbe più realizzata, perché l'art. 28 attribuisce poteri di azione solo ai lavoratori ed alle loro associazioni sindacali, e nessun potere ai datori di lavoro ed alle loro organizzazioni di sostegno. Considerato in diritto 1. - I dodici giudizi di cui alle ordinanze dei giudici a quo vanno riuniti e decisi con un'unica sentenza, stante che sollevano analoghe e in parte connesse questioni di legittimità costituzionale in ordine ad articoli della medesima legge. 2. - Le questioni sollevate dalle suddette ordinanze vanno distinte in due gruppi. Nel primo di questi si assume l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 della legge n. 300 del 1970 in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione per avere attribuito il potere di costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale e non ad ogni associazione sindacale ovvero alle maggioranze esistenti sul luogo di lavoro (pretore di Roma, ordinanza 4 agosto 1971; pretore di Torino, ordinanza 8 ottobre 1971), nonché per avere sancito una posizione di preminenza delle associazioni centrali sindacali più forti, cristallizzando intorno a queste il processo di associazione sindacale e per avere così vanificato il principio di libertà di cui all'art. 14 della legge n. 300 del 1970 (pretore di Milano, ordinanza 14 novembre 1970; pretore di Torino, ordinanza 26 febbraio 1972). Il secondo gruppo di questioni si appunta sull'asserita illegittimità dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 in riferimento all'art. 3 della Costituzione: a) per la disparità di trattamento che crea tra datori di lavoro e lavoratori sia sul piano processuale che sostanziale; b) per la particolare efficienza del provvedimento; c) per la specialità della procedura e l'indeterminatezza dei legittimati; d) per il fatto che il provvedimento é fornito di clausola esecutiva (pretore di Trinitapoli, ordinanza 22 luglio 1972); in riferimento agli artt. 2, primo comma, 3, primo e secondo comma, 24, primo comma, e 39 della Costituzione per aver legittimato ad esperire il procedimento previsto dall'art. 28 della legge n. 300 del 1970, soltanto gli organismi locali delle associazioni nazionali che vi abbiano interesse e non i singoli lavoratori, le altre associazioni sindacali ed in particolare quelle previste dall'art. 19 (pretore di Bressanone, ordinanza 4 ottobre 1971; pretore di Padova, ordinanze 20 settembre 1971; tribunale di Pavia, ordinanza 17 febbraio 1972; pretore di Trinitapoli, ordinanza 22 luglio 1972; pretore di Oristano, ordinanza 10 novembre 1972; tribunale di Milano, ordinanza 21 febbraio 1973); in riferimento agli artt. 39 e 24 in quanto conferisce rilevanza soltanto agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali e in quanto legittima ad esperire il procedimento di cui al citato art. 28 associazioni non riconosciute e pertanto prive di personalità giuridica (pretore di Pompei, ordinanza 7 luglio 1971); in riferimento all'art. 40 della Costituzione per avere tutelato lo sciopero prima della regolamentazione di questo (pretore di Trinitapoli, ordinanza 22 luglio 1972). 3.- Non fondate sono le questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine all'art. 19 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione. La legge citata, garantendo all'art. 14, in conformità del precetto di cui all'art. 39 della Costituzione, a tutti i lavoratori il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, stabilisce che determinate funzioni, inerenti alla rappresentanza sindacale aziendale, particolarmente incisive nella vita e nell'attività dell'unità produttiva, siano affidate dagli stessi prestatori d'opera a quei sindacati che conseguano i requisiti che la legge reputa necessari per lo svolgimento di tali funzioni. Di conseguenza, l'art. 19, stabilendo che ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva possano essere costituite rappresentanze sindacali aziendali, indica che questa costituzione facoltativa deve essere compiuta nell'ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale oppure nell'ambito delle associazioni sindacali non affiliate alle predette confederazioni che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unità produttiva. Con ciò il legislatore, mentre riconosce a coloro che siano lavoratori in un'unità produttiva il potere di costituire per loro esclusiva volontaria iniziativa rappresentanze sindacali nella medesima unità, nello stesso tempo, indicando i requisiti che devono avere le associazioni nel cui ambito può essere concretamente conferita la rappresentanza sindacale, ha operato una scelta razionale e consapevole, tenendo presenti gli scopi che si propone la legge n. 300 del 1970. Ha infatti voluto evitare che singoli individui o piccoli gruppi isolati di lavoratori, costituiti in sindacati non aventi requisiti per attuare una effettiva rappresentanza aziendale possano pretendere di espletare tale funzione compiendo indiscriminatamente nell'ambito dell'azienda attività non idonee e non operanti per i lavoratori e possano così dar vita ad un numero imprevedibile di organismi, ciascuno rappresentante pochi lavoratori, organismi i quali, interferendo nella vita dell'azienda a difesa di interessi individuali i più diversi ed anche a contrasto fra loro, abbiano il potere di pretendere l'applicazione di norme che hanno fini assai più vasti, compromettendo o quanto meno ostacolando l'operosità aziendale, quella dell'imprenditore ed anche la realizzazione degli interessi collettivi degli stessi lavoratori. 4. - La razionalità della scelta compiuta dal legislatore nella sfera della sua discrezionalità per il soddisfacimento di reali esigenze economico - sociali risulta evidente, esaminando i due requisiti alternativi richiesti dall'art. 19 perché nell'ambito di associazioni sindacali possa essere conferita, ad esclusiva iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, rappresentanza sindacale aziendale. Col primo di questi requisiti, cioè l'aderenza dell'associazione "alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale", il legislatore ha indicato un criterio valutativo, la cui esistenza é verificabile in ogni momento. Tale criterio non si riferisce ad una comparazione fra le varie confederazioni nazionali, sibbene ad una "effettività" - che può essere sempre conseguita da ogni confederazione sindacale - della loro forza rappresentativa, così dovendosi interpretare la norma in base ad una valutazione del sistema nel quale essa si inserisce e che é caratterizzato, appunto, dall'evidente intento di circoscrivere le rappresentanze aziendali in un ambito nel quale ai poteri ad esse riconosciuti faccia riscontro un'effettiva capacità di rappresentanza degli interessi sindacali. Questo criterio risulta del resto già adottato nella attuazione dell'art. 99 della Costituzione con la legge 5 gennaio 1957, n. 33, e in particolare con l'art. 2 e con il d.l. 3 febbraio 1970, n. 7, convertito nella legge 11 marzo 1970, n. 83, ed in particolare con l'art. 2. Pertanto la facoltà riconosciuta ai lavoratori in ogni unità produttiva di costituire rappresentanze aziendali può essere esercitata nell'ambito di ogni associazione aderente ad una confederazione che abbia raggiunto una reale effettività rappresentativa sul piano nazionale. A questo criterio il legislatore ne ha aggiunto alternativamente un altro, basato sul riferimento preciso ed oggettivo ad un fatto specifico, la cui realizzazione é aperta ad ogni singola associazione sindacale, cioè l'aver firmato contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro, applicati nell'unità produttiva. Trattasi quindi di scelta consapevole del legislatore non censurabile da questa Corte, scelta che non limita la libertà sindacale garantita dall'art. 39 della Costituzione ed attuata dall'art. 14 della legge n. 300 del 1970. L'art. 19 della medesima legge non contrasta con il precedente art. 14 tenendo anche conto che le associazioni sindacali costituite in base a questo ultimo godono dei diritti previsti dagli artt. 15, 16, 18 della medesima legge. Né é da accogliersi l'affermazione del pretore di Roma, che con la normativa dell'art. 19 "il momento genetico delle rappresentanze sindacali aziendali qualifica e insieme trasforma le associazioni che ne possono beneficiare in associazioni diverse dalle altre e contro le altre operando una metamorfosi di qualità che incide decisamente sulla libertà e sull'uguaglianza sancite dagli artt. 3 e 39 della Carta costituzionale". Basta infatti osservare che l'art. 19 assicura ai lavoratori in ogni unità produttiva la piena facoltà di costituire a loro esclusiva iniziativa rappresentanze aziendali, esercitando nel conferimento di tale rappresentanza il diritto di libera scelta nell'ambito delle associazioni che possono concretamente attuare questa funzione. Tali sono infatti quelle che abbiano conseguito i requisiti oggettivi che il legislatore ritiene necessari per adempiere alla rappresentanza aziendale: indicando tali requisiti, particolarmente significativi della forza rappresentativa, non si opera alcuna discriminazione fra le associazioni sindacali anche in quanto i requisiti stessi non sono attribuibili né dal legislatore né da altre autorità né possono sorgere arbitrariamente o artificialmente, ma sono sempre direttamente conseguibili e realizzabili da ogni associazione sindacale soltanto per fatto proprio o in base a propri atti concreti e sono oggettivamente accertabili dal giudice ove sorgano controversie la cui decisione richieda la valutazione della legittima costituzione di una concreta rappresentanza sindacale. Non sussiste pertanto la diversità e la metamorfosi rilevate dal pretore di Roma, trattandosi di associazioni che beneficiano degli stessi diritti riconosciuti a tutte le altre dallo Statuto dei lavoratori, ma nell'ambito delle quali, in quanto esista attualmente uno dei requisiti enunciati, può essere conferita facoltativamente, per esclusiva iniziativa e libera scelta dei lavoratori, la rappresentanza di cui all'art. 19. La legittima discrezionalità della scelta operata dal legislatore nell'indicazione dei criteri qualificanti le associazioni nel cui ambito può esercitarsi la facoltà dei lavoratori di costituire rappresentanza sindacale aziendale, é confermata dallo stesso rilievo del pretore di Roma, il quale, rendendosi conto degli "effetti gravissimi che una paventata atomizzazione sindacale può originare in termini economico - sociali" e pertanto, implicitamente, della necessità di attribuire soltanto a determinate associazioni le funzioni di cui agli artt. 20, 23, 27 ecc. della legge n. 300 del 1970, procedimento ivi previsto solo gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali e non i singoli lavoratori, le altre associazioni sindacali e le rappresentanze sindacali aziendali. Lo speciale procedimento introdotto dall'art. 28 non modifica né restringe o limita in alcun modo le tutele già assicurate dalle leggi e dallo stesso Statuto dei lavoratori ai diritti dei lavoratori, dei datori di lavoro e delle associazioni sindacali, ma, come si é detto, é diretto a reprimere in via di urgenza e provvisoriamente comportamenti diretti contro l'attività e la libertà sindacale. É evidente pertanto la razionalità della norma, la quale attribuisce questo mezzo di per se stesso efficace, ad organizzazioni responsabili che abbiano un'effettiva rappresentatività nel campo del lavoro e possano operare consapevolmente delle scelte concrete, valutando, in vista di interessi di categorie lavorative e non limitandosi a casi isolati e alla protezione di interessi soggettivi di singoli lavoratori, protetti questi dalle norme comuni spettanti ad ogni individuo, l'opportunità di ricorrere alla speciale procedura prevista dall'art. 28. La stessa intitolazione della norma: "repressione di condotta antisindacale", indica che la condotta del datore di lavoro prevista da questa norma non può essere identificata con quella violatrice di meri interessi patrimoniali o morali di singoli individui, ma deve estrinsecarsi in atti diretti ed idonei a colpire o ad impedire o a limitare l'esercizio della libertà o lo svolgimento dell'attività sindacale e pertanto gli interessi collettivi di una larga sfera di lavoratori. La valutazione di tali atti al fine di promuovere la procedura prevista dall'art. 28 é quindi razionalmente affidata dal legislatore agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, i quali meglio d'ogni altro sono in grado di ricorrervi fondatamente e tempestivamente. L'art. 28, legittimando al ricorso gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali "che vi abbiano interesse" specifica senz'altro come gli interessi che la procedura prevista intende proteggere siano quelli connessi a tali associazioni, i quali trascendono quelli soggettivi dei singoli individui. La volontà del legislatore di distinguere gli interessi collettivi dei lavoratori da quelli dei singoli colpiti risulta tanto più evidente in quanto gli organismi indicati dall'art. 28 sono legittimati al ricorso indipendentemente dalla volontà individuale dei colpiti, i quali dispongono di mezzi processuali a difesa dei loro interessi. Pertanto la scelta operata dal legislatore nella sfera della sua discrezionalità appare del tutto razionale e rispondente alla realtà delle cose, allo scopo che si prefigge raggiungere e all'interesse della collettività. La razionalità di tale scelta é fra l'altro confermata dalla considerazione che se ogni singolo lavoratore o qualsiasi associazione sindacale fossero legittimati al ricorso ex art. 28, la situazione che ne deriverebbe sarebbe tale da compromettere l'attività dell'azienda, da ledere la produttività di questa e da ostacolare se non paralizzare l'azione direttiva dell'imprenditore. Fra l'altro condurrebbe inevitabilmente a prospettare ogni contrasto, anche di natura meramente patrimoniale, fra lavoratore e datore di lavoro come condotta antisindacale di quest'ultimo, dando vita ad una pletora indiscriminata di ricorsi. 9. - Non sussiste nemmeno il contrasto denunziato dal pretore di Padova fra il predetto art. 28 e l'art. 2 della Costituzione, in quanto il primo, legittimando organismi sindacali aventi determinati requisiti oggettivi a proporre il ricorso ex art. 28, non colpisce in alcun modo né limita i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità. Né sussiste il contrasto denunziato dal medesimo pretore fra l'art. 24 della Costituzione e l'art. 28 della legge n. 300 del 1970 in quanto questo non ha in alcun modo soppresso o limitato i mezzi di tutela assicurati al singolo e ad altre associazioni per la difesa dei propri diritti e interessi legittimi, ma ha solo introdotto un nuovo mezzo processuale per tutelare in via di urgenza interessi che trascendono quelli del singolo e che si aggiunge ai mezzi di tutela individuali, attribuendone l'esercizio a determinati organismi che il legislatore, nella sua legittima e insindacabile discrezionalità, ritiene idonei ad espletare tale funzione. 10. - Non sussiste il contrasto denunziato dal pretore di Bressanone fra l'art. 3, primo comma, della Costituzione e l'inciso "su ricorso delle associazioni nazionali che vi abbiano interesse" dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 in quanto alla legittimazione al ricorso di cui al detto articolo degli "organismi locali delle associazioni nazionali che vi abbiano interesse" e non di altre organizzazioni sindacali corrisponde a situazioni oggettivamente diverse in cui versano i primi aventi determinati requisiti rispetto alle seconde che di tali requisiti sono sfornite ed é pertanto pienamente giustificata sul piano razionale. Per i medesimi motivi é da escludere il contrasto denunziato dal tribunale di Pavia e dai pretori di Oristano e di Pompei fra l'art. 28 della citata legge e l'art. 3 della Costituzione. Il conferimento agli organismi indicati nell'art. 28 e non ad altri della legittimazione ad esperire lo speciale ricorso rientra nella sfera della discrezionalità del legislatore e non é costituzionalmente sindacabile da questa Corte. 11. - Insussistente é anche, per i motivi in precedenza illustrati, la pretesa violazione denunziata dal pretore di Padova dell'art. 39 della Costituzione, in quanto, come già esposto, l'art. 28 non limita l'organizzazione o l'attività dei sindacati, ma legittima, in coerenza con l'ultimo comma del medesimo art. 39, i sindacati che hanno, in base a requisiti oggettivi indicati dal legislatore, incisività rappresentativa, ad agire con la procedura ex art. 28 per la repressione di atti lesivi di interessi collettivi sindacali. 12. - Non é parimenti da accogliersi la denunzia di incostituzionalità mossa dal pretore di Pompei nei confronti dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 in riferimento agli artt. 24 e 39 della Costituzione per avere concesso ad associazioni sindacali non registrate, senza il riconoscimento della loro personalità giuridica, un diritto di ricorso al giudice. L'infondatezza della questione risulta dalla disposizione dell'art. 36 del codice civile, pienamente applicabile alle associazioni sindacali, il quale prescrive che le associazioni non riconosciute come persone giuridiche possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo gli accordi degli associati, é conferita la presidenza o la direzione. 13. - Infondata é anche la questione sollevata dal pretore di Trinitapoli, il quale denunzia l'incostituzionalità dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 in quanto in contrasto con l'art.40 della Costituzione. L'infondatezza di tale denunzia appare evidente, richiamando le sentenze di questa Corte n. 123 del 1962, n. 141 del 1967 e quella recente n. 1 del 1974, affermanti che il diritto di sciopero é operante nell'ordinamento indipendentemente dall'emanazione di norme legislative che, in base al disposto dell'art. 40 della Costituzione possono legittimamente segnarne i limiti, e che la legge n. 300 del 1970 nulla aggiunge e nulla toglie all'enunciazione di questi criteri generali fissati dalla Corte. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione, e dell'art. 28 della medesima legge, in riferimento agli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 24, 39 e 40 della Costituzione, sollevate dai giudici a quo con le ordinanze di cui in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1974 Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI. Arduino SALUSTRI - Cancelliere Depositata in cancelleria il 6 marzo 1974. SENTENZA N.30 ANNO 1990 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori Giudici: Prof. Francesco SAJA Presidente Prof. Giovanni CONSO Prof. Ettore GALLO Dott. Aldo CORASANITI Prof. Giuseppe BORZELLINO Dott. Francesco GRECO Prof. Renato DELL'ANDRO Prof. Gabriele PESCATORE preclusa la possibilità di pervenire ai livelli di rappresentatività che consentirebbero l'accesso ex lege alla legislazione di sostegno. Se, invero, essi sono privati dal potere di costituire propri organismi in azienda e destinati a vedersi sempre annullato qualsiasi riconoscimento o spazio già ottenuto in virtù di accordo o prassi uniforme, si da luogo ad una sorta di "Pietrificazione dello status quo" e, ignorando le mutevoli realtà aziendali, si preclude l'accesso alla legislazione di sostegno ad organizzazioni che siano magari presenti in azienda in forme maggioritarie e non necessariamente di comodo, che tali dovrebbero però essere sempre ritenute, indipendentemente dalla prova della volontà di sostegno antisindacale dell'imprenditore. Ad avviso del Tribunale sarebbe, inoltre, violato l'art. 3, secondo comma, Cost., in quanto "se é legittimo riconoscere per legge particolari prerogative a chi ha raggiunto effettivi livelli di rappresentatività alla stregua dei requisiti di cui all'art. 19, non possono tollerarsi discriminazioni tra organizzazioni sindacali quanto all'esistenza e all'esercizio della propria attività". 2.- Nei giudizi dinanzi alla Corte si sono costituiti, a mezzo dell'avv. Crugnola, gli attori nei procedimenti a quibus Maestri Dario e Portigliotti Giampiero, i quali, nell'atto di costituzione e in una memoria aggiunta, hanno svolto argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle contenute nell'ordinanza di rimessione. La difesa insiste, in particolare, sul carattere definitorio e non permissivo dell'art. 19 St. e sottolinea che il riconoscimento di determinati spazi di agibilità sindacale, quali i permessi, era già avvenuto in alcuni casi prima dello Statuto, si é realizzato in via di fatto anche dopo ed ha fonte autonoma rispetto allo Statuto medesimo, in quanto discende da accordi generali o particolari originati dal concreto operare dell'organizzazione sindacale. Se si nega validità ai riconoscimenti e spazi già ottenuti dalle organizzazioni non rientranti nel modello dell'art. 19, esse non solo non godono del trattamento privilegiato di quelle che vi rientrano, ma sono specificamente contrastate e si nega di fatto il loro diritto all'esistenza ed allo svolgimento della propria attività. Altro infatti é sancire una disuguaglianza delle posizioni di partenza, attribuendo un privilegio alle organizzazioni ivi contemplate e con ciò alterando la libera concorrenza tra sindacati; altro é argomentarne il totale "blocco" di tale concorrenza, mediante l'immobilizzazione, e quindi l'esclusione, proprio di quei sindacati che, pur partendo da posizioni svantaggiate, riescano ad emergere costringendo il datore al riconoscimento contrattuale. Quanto, poi, all'art. 17 St., la difesa sottolinea che elemento costitutivo della fattispecie ivi vietata é la prova della volontà di sostegno antisindacale dell'imprenditore, che non può perciò essere presunta. A ritenere altrimenti, si giungerebbe al paradosso "per cui il coronamento contrattuale della lotta di un sindacato per l'equiparazione ai sindacati privilegiati dalla legge dovrebbe essere considerato come indice sicuro della sua funzione "di comodo" ". La difesa nega inoltre che vi fossero nella specie elementi idonei a qualificare come "di comodo" il sindacato in questione, e sostiene che se l'art. 17 St. fosse interpretato nel senso di imporre al datore di lavoro di negare spazi di agibilità sindacale a soggetti diversi da quelli di cui all'art. 19 esso si porrebbe in contrasto con l'art. 39 Cost. La difesa richiama infine alcune convenzioni internazionali in tema di libertà sindacale (Convenzioni O.I.L. nn. 87 e 98, recepite con legge 23 marzo 1958, n. 367; Convenzione europea dei diritti dell'uomo, art. 11; Carta sociale europea, ratificata con legge 3 luglio 1965, n. 929, arti. 5 e 6; Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali dell'O.N.U., ratificato con legge 25 ottobre 1977, n. 881, art. 8) per desumerne che il divieto per alcune organizzazioni sindacali di ottenere spazi e riconoscimenti si porrebbe in contrasto con tali fonti normative internazionali, con conseguente possibile violazione anche degli arti. 10 e 35 Cost. 3.- L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri in entrambi i giudizi con memorie identiche, sostiene innanzitutto che la questione sarebbe inammissibile, in quanto sollevata rispetto ad una regola - quella risultante dal principio di diritto enunciato dalla Cassazione - cui il giudice di rinvio é tenuto ad uniformarsi. Pur dando atto del contrario orientamento di questa Corte (sent. n. 138 del 1977), l'Avvocatura ne sollecita una revisione, argomentando dal fatto che il principio di diritto non può essere messo in discussione dal giudice di rinvio, neanche per dubitare della sua validità costituzionale, in quanto rispetto al rapporto in causa si é su di esso formato il giudicato. La questione, secondo l'Avvocatura, é comunque infondata nel merito. Da un lato, infatti, la preclusione alla costituzione di rappresentanze sindacali aziendali da parte delle associazioni non rispondenti ai requisiti in cui all'art. 19 St. sarebbe già stata ritenuta legittima da questa Corte (sent. n. 54 del 1974); dall'altro, l'inibizione per queste a giovarsi delle misure di sostegno specificate nel titolo III dello Statuto, anche se ottenutepattiziamente, non menomerebbe la loro libertà di azione sindacale. La possibilità di accesso al livello di rappresentatività voluto dall'art. 19 dipenderebbe infatti non dalla fruizione di tali misure, ma dalla capacità dell'organizzazione di rendersi interprete, in modo serio e credibile, degli interessi della categoria rappresentata e di accrescere così le adesioni, fino a risultare un valido interlocutore nella contrattazione collettiva. Considerato in diritto 1.-I procedimenti hanno ad oggetto la medesima questione di legittimità costituzionale degli artt. 17, 19 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), sollevata in riferimento agli artt. 39 e 3, secondo comma Cost. dal Tribunale di Como con due ordinanze distinte ma di identico tenore. t perciò evidente l'opportunità della loro riunione. 2.-L'Avvocatura dello Stato ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità della questione, in quanto sollevata dal predetto Tribunale, quale giudice di rinvio, nei confronti della norma risultante dal principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione. A suo avviso, dal fatto che questi è tenuto ad uniformarsi a detto principio (art. 384 c.p.c.) discende che, rispetto al rapporto in causa, si formi sul punto il giudicato e che perciò esso non possa essere messo in discussione neanche per dubitare della sua validità costituzionale. Tale eccezione va disattesa, in quanto contrasta col consolidato indirizzo di questa Corte - più volte manifestato sia esplicitamente che in modo implicito (cfr. ad es. le sentt. nn. 138 del 1977, 11 del 1981, 21 del 1982, 2 e 345 del 1987)-rispetto al quale l'Avvocatura non adduce argomenti nuovi. Essa, in effetti, suppone una confusione tra i distinti profili dell'interpretazione della norma-rispetto alla quale il giudice di rinvio è vincolato - e della sua legittimità costituzionale. Il giudizio in proposito è riservato a questa Corte e non può ritenersi assorbito nella valutazione compiuta sul piano ermeneutico dal giudice della nomofilachia. E poichè la norma-così come interpretata-deve ancora ricevere applicazione nella fase di rinvio, il precludere che su di essa vengano prospettate questioni di legittimità costituzionale comporterebbe un'indubbia violazione delle disposizioni regolanti la materia (artt. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953), dato che queste non contengono al riguardo alcuna specifica limitazione. 3. -Con le due sentenze, di tenore identico (Sez. lav., nn. 783 e 1913 del 1986) dalle quali i giudizi di rinvio traggono origine, la Corte di cassazione ha statuito la nullità, per illiceità dell'oggetto, delle pattuizioniconcernenti la concessione di permessi retribuiti a dirigenti di rappresentanze sindacali aziendali non rientranti tra quelle definite nell'art. 19 St. lav., e cioé costituite al di fuori dell'ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale o delle associazioni comunque firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unità produttiva. Il giudice a quo dubita che tale norma-che la Corte di cassazione ricava dagli artt. 17, 19 e 23 dello Statuto - contrasti con gli artt. 39 e 3, secondo comma, Cost., assumendo che essa-in quanto preclude a tali organizzazioni la possibilità di accedere di fatto ai livelli di rappresentatività che, ai sensi del devono dimostrare di possedere. Al di fuori della rappresentatività generale presupposta nella lett. a), la lett. b) dell'art. 19 appresta un congegno di verifica empirica della rappresentatività nel singolo contesto produttivo, misurandola sull'efficienza contrattuale dimostrata almeno a livello locale, attraverso la partecipazione al la negoziazione ed alla stipula di contratti collettivi provinciali. Nel fissare a tale livello -extra-aziendale-la soglia minima della rappresentatività, il legislatore ha tra l'altro inteso evitare, o quanto meno contenere, i pregiudizi che alla libertà ed autonomia della dialettica sindacale, all'eguaglianza tra le varie organizzazioni ed all'autenticità del pluralismo sindacale possono derivare dal potere di accreditamento della controparte imprenditoriale. Rispetto a tali pericoli, l'accesso pattizio alle misure di sostegno non offre alcuna garanzia oggettivamente verificabile, in quanto è strutturalmente legato al solo potere di accreditamento dell'imprenditore. Il patto, infatti, non presuppone di per sè alcuna soglia minima di rappresentatività dell'organizzazione che ne sia beneficiaria, pur al livello meramente aziendale, sicchè può avvantaggiare sindacati di scarsa consistenza e correlativa mente alterare la parità di trattamento rispetto ad organizzazioni dotate di rappresentatività anche maggiore presenti in azienda. Pur al di fuori dell'ipotesi di sostegno al sindacato <di comodo> (art. 17), sarebbe in tal modo consentito all'imprenditore di influire sulla libera dialettica sindacale in azienda, favorendo quelle organizzazioni che perseguono una politica rivendicativa a lui meno sgradita. Questa Corte, d'altra parte, ha già ripetutamente sottolineato (sentt. nn. 54 del 1974 e 334 del 1988) la razionalità di una scelta legislativa caratterizzata dal ricorso a tecniche incentivanti idonee ad impedire un'eccessiva dispersione e frammentazione dell'azione dell'autotutela ed a favorire una sintesi degli interessi non circoscritta alle logiche particolaristiche di piccoli gruppi di lavoratori. É palese che la possibilità di estensione pattizia delle misure di sostegno si porrebbe in contraddizione con tale logica: sia perchè favorirebbe processi di frammentazione della rappresentanza potenzialmente pregiudizievoli alla stessa efficacia dell'azione sindacale; sia perchè rafforzerebbe il potere di pressione di cui ristretti gruppi professionali fruiscono in ragione della loro particolare collocazione nel processo produttivo e potrebbe più in generale incentivare quella segmentazione esasperata dell'azione sindacale che la Corte, nelle citate sentenze, ha ritenuto contraria agli interessi generali e specificamente a quelli dei lavoratori. Il divieto delle pattuizioni in discorso è perciò coerente non solo alla logica ispiratrice dell'art. 19, ma anche ai motivi in base ai quali la Corte ha ritenuto tale disposizione conforme ai principi costituzionali qui invocati. 6. - Le ragioni che spinsero il legislatore del 1970 a scoraggiare la proliferazione di microorganizzazioni sindacali ed a favorire, secondo un'ottica solidaristica, la rappresentazione di interessi non confinati nell'ambito delle singole imprese o di gruppi ristretti sono tuttora in larga misura valide. La Corte è tuttavia ben consapevole che, anche a causa delle incisive trasformazioni verificatesi nel sistema produttivo, si è prodotta in anni recenti una forte divaricazione e diversificazione degli interessi, fonte di più accentuata conflittualità; e che anche in ragione di ciò- nonchè delle complesse problematiche che il movimento sindacale si è perciò trovato a dover affrontare- è andata progressivamente attenuandosi l'idoneità del modello disegnato nell'art. 19 a rispecchiare l'effettività della rappresentatività. Prendere atto di ciò non significa, però ritenere che l'idoneo correttivo al logoramento di quel modello consista nell'espansione, attraverso lo strumento negoziale, del potere di accreditamento della controparte imprenditoriale, che per quanto si è detto può non offrire garanzie di espressione della rappresentatività reale. Si tratta, invece, di dettare nuove regole idonee ad inverare, nella mutata situazione, i principi di libertà e di pluralismo sindacale additati dal primo comma dell'art. 39 Cost.; prevedendo, da un lato, strumenti di verifica dell'effettiva rappresentatività delle associazioni, ivi comprese quelle di cui all'art. 19 dello Statuto; dall'altro la possibilità che le misure di sostegno -pur senza obliterare le già evidenziate esigenze solidaristiche-siano attribuite anche ad associazioni estranee a quelle richiamate in tale norma, che attraverso una concreta, genuina ed incisiva azione sindacale pervengano a significativi livelli di reale consenso. Non spetta a questa Corte individuare gli indici di rappresentatività, i modi di verifica del consenso, l'ambito in cui questa deve essere effettuata, i criteri di proporzionalità della rappresentanza e gli strumenti di salvaguardia degli obiettivi solidaristici ed equalitari propri del sindacato; ma essa non può mancare di segnalare che l'apprestamento di tali nuove regole-ispirate alla valorizzazione dell'effettivo consenso come metro di democrazia anche nell'ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato -è ormai necessario per garantire una più piena attuazione, in materia, dei principi costituzionali. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 19, 17 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) sollevata in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost. dal Tribunale di Como con le ordinanze indicate in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/01/90. Francesco SAJA, PRESIDENTE Ugo SPAGNOLI, REDATTORE Depositata in cancelleria il 26 Gennaio 1990.
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