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Il mercato dell'arte: caratteristiche, fattori determinanti e analisi, Schemi e mappe concettuali di Storia Contemporanea

Una panoramica del mercato dell'arte, spiegando come funziona, i fattori determinanti per gli investitori e i collezionisti, le differenze rispetto ai mercati finanziari tradizionali e le analisi che si avvalgono per valutare il rendimento degli investimenti in arte. Il documento illustra anche il ruolo dei vari attori del mercato, come artisti, dealer, gallerie, musei, critici e collezionisti, e fornisce informazioni su come valutare l'autenticità delle opere d'arte.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 18/03/2024

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Scarica Il mercato dell'arte: caratteristiche, fattori determinanti e analisi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Riassunti art market Articolo 1 Beltratti Pochi sono gli investitori, tanti i presunti speculatori. 3 categorie: collezionisti, investitori e speculatori  Collezionisti: Negli anni ’90 c’erano molte collezioni private nate per essere lasciate ai posteri musealizzate. Negli ultimi 40 anni i collezionisti sono andati sparendo. Il collezionista era convinto di aver acquistato qualcosa che diventerà importante nella storia dell’arte, oggi pensa che l’aumento del prezzo sia già un segno dell’importanza dell’artista.  Investitori: Gli investitori un tempo erano inesistenti, ora sono moltissimi, concentrati nei fondi d’investimento in arte o lavorano come supporto alle gallerie (come il banchiere con Ruel) che dividono al 50% il ricavato. Nel secondo caso la galleria ha assoluta libertà, l’investitore è come se comprasse dei titoli e guadagnasse sul rendimento.  Speculatori: marginale nell’ ‘800, oggi la più numerosa. Coloro che erano collezionisti ora vogliono essere speculatori. Questo per via della simmetria delle informazioni, ogni collezionista pensa di poter ricoprire un ruolo che non gli compete. Sono persone non tracciabili, senza uno studio o una partita iva. Si appoggiano a delle gallerie, prestanome, fanno vedere i dipinti in luoghi affittati e di fortuna. Tentano di fare autonomamente le stime, o pensano di poter comprare a poco e vendere a molto. 1 Rendimenti dell’arte inferiori al tasso di rendimento di altre attività finanziarie Di solito è direttamente proporzionale al tasso di rendimento e utilità del bene, ma in arte è vero il contrario. Il principio sopra dipende dall’opera, dall’artista, periodo ecc. 2 Altri impieghi Cioè altri tipi di investimenti. Mercato dell’arte è un mercato rischioso, soprattutto per chi non è esperto, per cui gli investitori spesso lo evitano e preferiscono altri campi. È un concetto che ora va rivisto, dopo il fallimento di campi come i titoli bancari. 3 Un aumento di reddito può comportare un aumento d’investimento in arte Rispetto al contesto storico – sociale in cui ci si trova. 4 Opere rarefatte Non funziona per l’arte perché oggetti rarefatti, rari. Pur avendo molte persone disposte a investire possono non esserlo perché manca l’oggetto. Nell’arte contemporanea semplicemente si sposta l’attenzione su un altro oggetto. 5 Diminuzione del benessere dei collezionisti Benessere criterio economico legato a quanto il proprietario possa fruire del bene. Le opere spesso vanno a un museo per qualche mese ecc e per l’economista questo inficia al benessere, mentre per lo storico questo è frutto di maggior benessere. Con la globalizzazione c’è stato un aumento delle risorse finanziarie e l’affacciarsi di imprese e investitori con intenti speculativi. È possibile applicare le regole dell’economia all’arte, come le leggi della domanda e dell’offerta. Il prezzo tuttavia ha fluttuazioni non prevedibili perché non legate a elementi oggettivi, come ad esempio il costo di produzione. Propone un modello per spiegare perché il rendimento delle opere d’arte è sempre inferiore a quello delle altre attività finanziarie. Se il tasso di rendimento è superiore a quello d’interesse la domanda di opere d’arte aumenta facendo aumentare il prezzo. Ma ciò è impossibile, tranne nel rendimento ex post Articolo 2 Jensen This painting sells Duret, difesa dell’Impressionismo, che deve la sua fortuna prima agli scrittori, poi agli amateur. Questi non seguono la moda, né il parere delle accademie. Duret è il primo a valutare il valore delle opere sulla base del mercato e non dell’accademia, che pretendeva di mantenere il patronato tradizionale sull’arte anche davanti al crescere del mercato. L’apparente distacco dell’accademia, cui il Salon era solo la mostra annuale, crea da un lato l’immagine del genio escluso e incompreso, dall’altro si traduce in realtà in una attenta attenzione da parte del Salon ai gusti del pubblico nel consegnare premi. Il Salon era lo stesso che derideva le esposizioni pubbliche annuali commerciali e fingeva di agire al di sopra dell’interesse per il denaro. Contrappone quindi i raffinati conoscitori al generalizzato pubblico del Salon. Es. catalogo mostra retrospettiva Van Gogh, il critico accusa Bouguereau di essere corrotto dal mercato. L’artista risponde dicendo di esserne vittima e cambia stile. Nuova borghesia del commercio e dell’industria, dipende dall’opinione pubblica poiché non potevano accedere come gli aristocratici ai dettami dei conoscitori: si dirigono allora sui quadri più sensazionali, gli artisti più premiati, narrativamente sentimentali e tecnicamente fotografici. Per Duret quindi il rifiuto non è universale, ma l’occhio del conoscitore, dell’amateur, poteva riconoscere la vera grandezza dell’artista. Lo step successivo del modernismo sarà quello di dire che ciò che è moderno o avanguardia è completamente non commerciale. L’accademia ai tempi era un sistema imperante in tutta Europa, che monopolizzava il mercato e che dava legittimità, supporto economico e possibilità di carriera ai suoi membri. A Parigi nel diciottesimo secolo influenzava anche soggetti, stili e misure delle opere al Salon, fissa degli standard estetici. Le medaglie vinte segnavano l’ascesa dell’artista nel sistema. Questo sistema ha avuto la sua apoteosi alla metà del diciannovesimo, ironicamente con l’emergere dell’arte moderna. Alcuni artisti, detti Salonkunstler, erano a loro agio nel sistema accademico e aiutavano a perpetrarne le regole. Vivevano anche molto a lungo, come Gerome. D’altro canto, il sistema accademico subiva i colpi del mondo dell’arte parigino. La prima critica è che il Salon non era in grado di gestire un crescente numero di artisti, aumentando la disparità di numero tra questi e l’elite, gli artisti celebri esposti che avevano vinto medaglie. Non c’erano abbastanza premi e commissioni per mantenersi, e gli artisti creano allora delle organizzazioni per conto loro, opposte al Salon dagli anni ’30 e ’40 dell’800, come l’angloamericana Art union. Francia, Associazione di pittori di storia e di genere, scultori, incisori, architetti e disegnatori, scoraggiati dal sistema accademico centralizzato francese. I loro effetti e visibilità non vanno molto oltre il 1848, in generale. Il Salon diede anche vita a una pratica normativa della critica d’arte, per cui gli scrittori dovevano determinare qualità e gusto. Tuttavia col tempo lo standard cominciò a uscire dal controllo degli accademici. All’ esposizione del 1855 i critici parlano di declino della tradizione francese. In particolare Eitelberger nota che la pittura storica abbandona l’idea di lasciare un messaggio morale e diventa una ripresa della vita quotidiana nel passato. Per gli spettacoli, il teatro ecc le caratteristiche qualitative (chi si esibisce, cosa dice la critica …) determinano spesso il prezzo. Si distingue tra la domanda per ciò che è immediatamente fruibile (musica pop) e la cultura definita alta (opera). Per i secondi c’è una minore elasticità sul prezzo, per cui la qualità dell’esibizione è decisiva. Alcune arti performative possono essere associate a uno stato sociale e l’incremento del consumo delle arti quando avviene per un lungo periodo è legato all’educazione: mediamente il pubblico delle arti performative ha una istruzione alta. Moore, elasticità di prezzo della domanda per Broadway Felton, elasticità nelle maggiori orchestre americane e compagnie di balletto e opera Throsby, nel teatro, domanda inelastica sul biglietto ma elastica sulle aspettative riguardo la qualità Di solito c’è maggiore elasticità negli spettacoli singoli, ma non è una regola. Inoltre valutare la qualità può diventare problematico. Elasticità della domanda: Quando una variazione del prezzo dell'1% genera una variazione della quantità domandata superiore all'1% ha luogo una domanda elastica rispetto al prezzo. Quando una variazione del prezzo dell'1% genera una variazione della quantità domandata inferiore all'1% ha luogo una domanda rigida rispetto al prezzo. Frey On the rate of return in the art market Risultati di …sono che il guadagno sui dipinti è più basso degli investimenti finanziari e con un rischio più alto. Dati: le analisi coinvolgono soprattutto i dati delle case d’asta perché sono più facili da reperire, ignorando altri tipi di vendita. Inoltre è un prezzo riferito ai dealer, poiché i collezionisti comprano a prezzi più alti e vendono a prezzi più bassi Costi di transizione: molti studi non guardano ai prezzi più alti alle aste e ai costi aggiuntivi, come l’assicurazione, perché variano molto a seconda del paese, casa d’asta, individuo ecc Tasse: nessuno studio prende seriamente in considerazione la detassazione possibile investendo in arte, misura presente in molti paesi. Anche queste però cambiano da paese a periodo Comparazione con gli asset finanziari: quasi tutti gli studi fanno comparazioni superficiali, in cui gli altri investimenti rispetto a quelli in arte non sono chiari. Comportamento nel mercato dell’arte Una delle più importanti caratteristiche del mercato dell’arte sono le anomalie comportamentali rispetto ad esempio all’assioma di comportamento razionale di von Neuman – Morgenstern. È stato dimostrato che irrazionalità come gennaio, vacanze, Natale sono rilevanti per il mercato finanziario. Viste le difficoltà elencate sopra riguardo i dati è difficile stabilire l’utilità di questo effetto per il mercato dell’arte, ma c’è motivo di pensare che le anomalie funzionino ancora di più rispetto al mercato finanziario. 1. Molti collezionisti non sono orientati al profitto e per questo sono più inclini al comportamento anomali, così come al endowment effect (l’oggetto posseduto è valutato più di quello non posseduto), the opportunity cost effect e il sunk cost effect (importanza dello sforzo passato a costruire la collezione). Anche gli ggetti regalati da persone care sono valutati di più. 2. Anche le collezioni delle aziende sono solo apparentemente rivolte al profitto, poiché vengono chiuse in sale a uso dei top manager. 3. I musei sono compratori rilevanti. L’amministrazione qui ha molte restrizioni, come l’impossibilità di vendere o di usare i soldi raccolti per altri scopi che non siano l’acquisto dell’opera per cui li hanno raccolti. Per questo chi vende a un museo guadagna di più. L’incompletezza del mercato dell’arte, in parte instituzionalmente indotta rende importanti le differenze di possibilità di sfruttare gli sbilanci, creando grandi perdite o grandi guadagni. L’arte è anche un bene di consumo, ha un guadagno fisico. Fattori determinanti per chi decide di vendere o mantenere un’opera d’arte:  Change in risk, gli speculatori lasciano il mercato quando il rischio aumenta, i collezionisti sono meno attenti  Change in cost di nuovo, ha effetti sugli speculatori  Cambio inaspettato di tasse, per cui gli speculatori si muovono su altri mercati. Pe collezionisti cambia se le tasse sono sul possesso o sulla vendita.  Cambio di genere e gusto, cosa che influenza meno i musei e molto i collezionisti Non esiste un mercato per affittare l’arte. Di solito si danno spiegazioni riguardanti il costo della transazione, il rischio di possedere qualcosa per poco tempo (si fa una assicurazione e via) ecc. in realtà c’è l’ownership effect, cioè il benefit extra del possedere un oggetto per via della sua aura. I musei scambiano solo le opere e i galleristi sono a volte così appassionati da comportarsi come collezionisti. Un altro sistema per calcolare il guadagno fisico di un’opera sono gli incassi dei musei, per cui o si analizza le discriminanti per cui si sceglie di comprare una determinata opera o perché il pubblico va in un determinato museo. Il valore economico delle opere d’arte Forte, Mantovani Stabilire gli indici dei prezzi dei beni artistici è complicato perché i loro valori su mercati dissimili spesso variano e perché non danno un rendimento in denaro, o se questo succede come nei musei è un aspetto secondario. Le variazioni date dalle qualità intrinseche di ogni opera danno vautazioni molto diverse. Marketing art matrix, distingue gli artisti come Star, blue chips, question, portafoglio e dog. Valore alto varianza alta: star Valore alto varianza bassa: blue chips Valore basso varianza alta: question Valore basso varianza bassa: portafogli e dog Sarebbe un errore pensare che in un mercato globale come quello attuale anche il mercato dell’arte sia uguale ovunque e questo perché ci sono stati liberisti e stati vincolisti. I paesi che sono stati produttori di arte in passato sono tendenzialmente vincolisti, anche se il resto della loro economia è liberista, o viceversa come il Giappone, dove la domanda attuale è maggiore della produzione passata. Il vincolismo segmenta i mercati e frena l’innovazione. I mercati liberisti vendono più opere, essendo un mercato ricco e in cui si punta molto sul marketing. Sulle quotazioni incidono anche le politiche sull’arte, per via degli sgravi fiscali. I fattori che generano i valori economici dei beni artistici sono complessi. Tra questi vi è sicuramente la reputazione di un artista, da cui vengono le questioni di autenticità. La reputazione non è casuale, anche se non assicura qualità oggettive dell’opera o che non vengano da valori estetici. Poi ci sono i fattori culturali che indirizzano e influenzano i giudizi della critica, come nel caso di Rembrandt. Molte analisi hanno messo in relazione i cicli d’arte con quelli della borsa. Anche in altri ambiti emergono le star, che in arte sono i record d’asta o superstar, ma in questo ultimo campo sono determinanti la selettività delle informazioni e il fatto che i beni artistici siano usufruiti da una molteplicità di soggetti. Il fattore informazione dunque sollecita la domanda ed è importante dell’attribuzione di valore economico a opere e autori già riconosciuti. Indice di diffusione, dovrebbe comprendere fattori come cataloghi e mostre internazionali Conclusione: converrebbe all’ Italia fare mostre internazionali dei suoi artisti e cedere all’ estero delle opere nei depositi e utilizzare il denaro per la conservazione. Un lavoro di autenticazione per gli artisti importanti potrebbe essere utile. Presenting strategies in the American Gilded age: one case study Whitmore I collezionisti americani della gilded age usavano le opere per decorare la casa. Quando la collezione arrivava a una cinquantina di pezzi, però, sentivano il bisogno di esibirli in uno spazio apposito, per cui riempivano le stanze. Uno dei più grandi collezionisti privati dell’epoca fu Thomas Walker. All’inizio aveva allestito le sale pubbliche e private della sua casa a Minneapolis, ma nel 1880 fece costruire una piccola galleria in aggiunta alla sua casa, allargata di molto nei primi del ‘900 e nel 1913. Uno spazio enorme (più grande della casa) che andava oltre la galleria privata, arredato e confortevole per i visitatori. Aveva infatti sedie e divanetti davanti le opere importanti, tappeti orientali, sculture su tavolinetti, giade cinesi in teche di vetro. Non si considerava l’idea moderna di separare pittura e scultura, arte occidentale e orientale. La disposizione riprendeva essenzialmente quella dei Salon francesi e comprendeva un catalogo. La galleria era aperta gratuitamente tutti i giorni tranne la domenica e i festivi. Per questi collezionisti l’illuminazione era molto importante e di solito avevano un lucernario (la luce costava molto) e dell’illuminazione artificiale. Non c’era flessibilità di design e una giornata nuvolosa comprometteva di molto la visita. Nella galleria di Walker degli apparecchi sospesi lungo le sale sopperivano i momenti di scarsa luce naturale e delle lampade movibili. Nella collezione Hill si usava invece un baldacchino sotto i pannelli del lucernario legato a una piattaforma in quercia con le luci artificiali??? A Chicago i Palmer usarono un sistema a baldacchino simile per filtrare la luce del lucernario con un sistema di luci regolabili tramite il riflettore attaccato agli infissi. Siccome seguivano lo stile dei Salon, si focalizzavano più sulla quantità di opere che sulla qualità, con evidenti ripercussioni sulla fruizione. Lo stesso nella Walker, dove c’erano tre o quattro livelli di dipinti, raggruppati col suo curatore in gruppi stilistici (es. scuola di Barbizon), o artisti individuali. Doveva essere un tour visivo nella storia dell’arte, fatto per l’edificazione culturale di un vasto pubblico. Era una public private gallery. Uno degli strumenti che Walker usava per presentare la collezione era il catalogo stampato. Il primo risale al 1902, poi di nuovo nel 1907. Iniziava con una lista di artisti rappresentati cui seguivano “alcuni commenti lasciati volontariamente dai visitatori” per poi seguire col catalogo vero e proprio. dealer non mercanteggiavano, non facevano aspettare per il pagamento, e avevano un buon effetto in termini di crescita del prezzo e reputazione. Lettera di Joseph Paton a G del 1958. L’artista definisce dolorosa la pratica della vendita diretta, identificando il dealer come uno schermo tra l’artista e il mercato. In più gli chiede consiglio per stabilire il prezzo dei quadri di cui il dealer non trarrà profitto, trattandolo come un consulente esperto (e G rifiutò, indicando così i limiti del mestiere). I dealer insomma si dovevano difendere su due fronti: da una parte dall’accusa di frode e sfruttamento, affermandosi come rispettabili uomini d’affari, dall’altra dalla logica per cui il valore estetico dipende da quello economico, sviluppando un linguaggio professionale, da esperti e disinteressati. I decenni ’50 e ’60 iniziarono a vedere una importante specializzazione del mercato, per cui ogni galleria si concentrava su un periodo. G faceva anche mostre internazionali, come quella degli artisti inglesi a Parigi e una serie di mostre negli Stati Uniti. Avevano una funzione sia di estendere il mercato che di legittimare la posizione ottenuta. L’ossessione di G era di stabilire un ruolo del dealer distinto dallo speculatore, posizionando se stesso come un disinteressato promotore di arte. Il nome della galleria fa riferimento a una identità nazionale, anche quando il pubblico andava frammentandosi: è un riferimento alla moda e l’interesse del tempo di comparare le scuole nazionali Art banking: le caratteristiche del mercato dell’arte Fiz/Mojana Mercato in espansione ma ancora limitato. I clienti voglio fare un buon investimento e far parte di un club elitario. Per le sue caratteristiche di infungibilità, improduttività e incomparabilità il mercato dell’arte non rientrerà mai nei “mercati perfetti”. Fattori oggettivi nella determinazione del prezzo:  Ruolo dell’artista nell’ambito della storia dell’arte  Notorietà internazionale dell’artista  Sicurezza dell’autenticità  Presenza dell’opera su pubblicazioni specializzate/cataloghi generali  Curriculum espositivo  Qualità dell’opera all’interno della produzione dell’artista  La rarefazione delle opere  Periodo d’esecuzione  Dimensione  Tecnica  Stato di conservazione  Piacevolezza Non sempre è facile accertarsi di queste informazioni, soprattutto per quanto riguarda l’autenticità e il certificato di autenticità ha valore solo se rilasciato dall’esperto accreditato per quell’artista. Prezzo massimo per le opere del periodo di maggiore innovazione stilistica. Importante è anche la diffusione internazionale e le questioni legislative. Fattori indotti  Influenza di mode e contesto culturale  Ruolo del museo  Coinvolgimento in mostre collettive internazionali di grande richiamo (biennale, Kassel) e fiere (Basilea)  Ruolo della galleria  Ruolo della casa d’asta  Ruolo del critico  Ruolo del curatore museale  Ruolo del collezionista  Acquisizioni pubbliche  Media Il valore culturale deve trovare conferma nel sistema dell’arte. Attualmente il sistema si è ampliato molto oltre il critico e la galleria e collezionista, museo e casa d’aste hanno un peso. I luoghi pubblici collaborano con imprenditori e mercanti per promuovere giovani artisti internazionali, i musei condizionano i gusti dei collezionisti. Il mercato è lo specchio dell’intero meccanismo: ogni acquisizione, mostra o monografia ha delle ripercussioni sui prezzi. Tuttavia per molti fenomeni commerciali con crescite esponenziali il futuro non è sempre assicurato e dei ridimensionamenti sono sempre possibili. Una ricerca del Censis lo definisce un mercato “opaco”, anche se ora con la rete ci sono più informazioni cui si può accedere. Il mercato dell’arte si muove secondo parametri propri: in generale, l’arte antica è un investimento conservativo con una rivalutazione costante ma limitata. Man a mano che ci si avvicina all’arte contemporanea il rischio aumenta insieme alla possibilità di guadagni consistenti. Il primo Novecento è comunque storicizzato e difficilmente varia, mentre il secondo ‘900 può variare molto. Il mercato dell’arte contemporanea favorisce chi è attento alle gallerie e ai musei di tendenza. La scelta dell’autore, il timing dell’acquisto, autenticità e canale utilizzato fanno la fortuna dell’investitore. Rispetto alle azioni l’arte ha il plusvalore estetico, non si pagano tasse sul capital gain sulle opere e ci sono diverse detrazioni possibili sugli investimenti. Un ostacolo invece è l’iva, il 20% del valore dell’opera applicata al differenziale tra prezzo di acquisto e vendita. Non esiste quindi un parametro oggettivo per dire quanto rende l’arte.  Il mercato dell’arte segue l’andamento dell’economia mondiale  La tendenza al rialzo è generalmente preceduta da grandi record di esemplari storici  Andamento degli scambi è influenzato dal costo del denaro  I prezzi si formano in rapporto ad alcune variabili come la produzione industriale e il tasso interbancario a breve Le analisi si avvalgono di banche dati con le aggiudicazioni d’asta. Baumol e Goetzman hanno seguito il metodo della doppia vendita valutando i prezzi fatti da una sola opera tutte le volte che va in asta. Stein invece ha preferito il dipinto medio, Candela il metodo del dipinto rappresentativo in cui si prende un campione. Infine il metodo del testimone privilegiato con dipinti e maestri selezionati. I risultati variano a seconda dei parametri, tra il 10% annuo al 1.5%. Frey e Pommerehne hanno analisi statisticamente importanti, ma con parametri in anni troppo ampli considerando che il mercato negli ultimi anni è cambiato molto. A livello europeo, secondo l’analisi di Mantovani, i sintomi di recessione si sentono sul mercato azionario 12 mesi prima di quello dell’arte. Gli indici dei prezzi del mercato dell’arte consentono di valutare le oscillazioni medie dei prezzi, di studiare le tendenze di lungo periodo e di confrontare questo mercato con quelli azionari. Ma calcolarlo non è facile e nessuno è oggetto di rilevazioni sistematiche …lista indici La valutazione di un portafoglio richiede indici specifici dei diversi segmenti (arte antica, moderna ecc) scuole o correnti. Sono comunque indici occasionali insomma, che non valutano completamente la performance di un artista, una valutazione complessiva di un’opera deve tener conto di: prezzo medio di opere equivalenti, ampiezza del suo mercato e liquidità delle sue opere. L’art advisor è una figura che è emersa di recente come arbitro del sistema che fornisce valutazioni imparziali tra domanda e offerta. Risponde all’esigenza di trasparenza. Prende in considerazione diversi oggetti artistici. Il suo compito è: conoscere la storia di un dipinto, darne una corretta valutazione commerciale, giungere alla certezza attributiva, ampliare una collezione, restaurare, provvedere all’inventario delle opere, suggerimenti su assicurazione e trasporto, dire quando investire e disinvestire. Lista banche… Conclusione: il mercato dell’arte non è omologabile ad altri e segue le proprie regole. Malgrado la crescita degli ultimi anni, è opportuno approcciarsi quando si prevede una rivalutazione dei beni nel medio – lungo termine. Confrontare gli indici di mercato a quelli azionari è rischioso. Ciò che piace è proprio la complessità del settore. Painting and numbers: latina American auctuions Campos Interpretazione lancastriana è la più in voga attualmente, identifica le caratteristiche formale dell’opera come determinanti nell’attribuzione del prezzo. Tuttavia i database delle aste non hanno le informazioni pre – asta. Molte infatti mettono i cataloghi solo online, dando informazioni generali e ritenendo che quelle più dettagliate siano una spesa di tempo eccessiva. Abbiamo osservato che: 1. Fattori come mezzo e forma sono determinanti per il prezzo 2. Molte analisi sulle aste credono al “masterpiece effect” cioè che i prezzi maggiori di ogni artista influenzino quelli normali 3. Non tutti i lotti alle aste vengono venduti 4. “declining price anomaly” declino dei prezzi al procedere dell’asta Tuttavia le nostre scoperte sono: 1. Reputazione dell’artista e provenienza sono molto più significative nella determinazione del prezzo delle caratteristiche formali 2. Contrario di ricerche precedenti, l’opinione degli esperti è limitata nel predire il prezzo di vendita 3. Il masterpiece effect non vale per i dati sudamericani, come invece fa il “declining price anomaly” Siccome l’opera può essere rivenduta più volte, il suo prezzo può salire nel tempo. Il mercato si divide in primario (gallerie, fiere, mostre collettive, piccoli mercanti e compratori privati), secondario (in grandi metropoli, artisti affermati, dealer, collezionisti che fanno passare le opere prese nel primario al secondario) e internazionale. Gerard – Varet interpretano il passaggio da un mercato all’altro in di costruzione della reputazione. Primario: limitato numero di compratori, alto grado d’incertezza circa la qualità, mercato locale Internazionale: risolti i problemi d’informazioni il numero di compratori diventa molto alto, c’è più liquidità e meno volatilità. di lusso e spazi divisi tra quelli per visionare gli articoli e quelli per la vendita. Dovevano attrarre clientela ricca. Centrale era l’importanza dell’apparato finanziario, guidato da banche e compagnie assicurative e finanziarie, che si concluse solo nel 1929. Tuttavia, era una economia volatile. La Great exhibition del 1851 ha segnato l’apogeo della crescita industriale inglese e già nel 1857 si ha la prima crisi commerciale globale. L’economia inglese del periodo fu quindi segnata da grandi crescite e altrettanto grandi cadute, per cui ci fu molta speculazione, anche nell’arte. Nella prima metà del secolo c’ è una grande quantità di opere create, esibite e vendute. Royal academy of arts, anche se tecnicamente non era un ente pubblico arrivò ad assumere un ruolo centrale nel sistema e a rappresentare l’arte inglese all’estero. L’esposizione estiva veniva usata per giudicare lo stato di salute dell’arte del paese. Prima esposizione nel 1769. Riceveva un supporto solo indiretto da parte del governo, a livello economico, a differenza di quella francese. L’ambiguità tra pubblico e privato si rifletteva sulle opere. Gli artisti inviavano anche il prezzo e gli interessati potevano fare richiesta per conoscerlo. L’Accademia non accettava depositi né commissioni, ma lasciava sul catalogo i contatti dell’artista, in modo che il commercio fosse quasi invisibile. Successivamente si cominciò a mettere un pallino rosso sulle opere vendute. Spesso in competizione con l’Accademia c’erano altre associazioni di artisti, come la Society of British artist, o altre specializzate sulla tecnica (watercolour societies) sono un effetto della professionalizzazione del ruolo dell’artista e della crescita del mercato. Si differenziano dall’Accademia per la politica di libero accesso all’associazione e per lo spiccato intento di vendita. In questo periodo si crearono metodi di vendita più creativi. Anche gli artisti da soli, ad esempio, organizzavano mostre del loro lavoro, usando a volte i loro stessi studio. Dall’altro lato c’erano le grandi esposizioni private, come la Crystal palace picture gallery. Alla fine del diciannovesimo anche i negozi di mobili iniziarono a esporre. Da un lato contrastavano con l’idea di professionalizzazione dell’artista, dall’altro si uniformavano alle gallerie in materia di catalogo, disposizione delle opere ecc. Questo è il periodo di affermazione anche delle case d’asta, come Christie e Manson and Woods. Avevano il patrocinio sia delle elite sia dei dealer. Al contesto londinese non si applicava poi la classica divisione tra mercato primario e secondario, cioè i mercanti vendevano sia artisti viventi sia opere già uscite sul mercato e le case vendevano artisti viventi. Le vendite all’asta erano anche riportate sui giornali. I dealer operavano in diversi modi. Molti aprivano una loro galleria, di solito nel west end, vicino ai negozi di moda. Nel periodo tra le guerre divennero centri per la diffusione delle avanguardie. Molti dealer avevano iniziato con la vendita delle stampe, sponsorizzando e commissionando opere che avrebbero dato poi agli incisori. Tra il ‘700 e la prima metà dell’’80 furono emanati dei copyright act per proteggere prima i libri, poi le stampe e infine le opere. Tuttavia ci volle del tempo perché fosse internazionale e non esteso solo al suolo inglese, cosa che causò critiche di galleristi ed artisti. Carriera di William Powell Frith, esempio di come gli artisti potevano muoversi nel sistema. Dipinge Life at the seaside nel 1854, sperimentando un tema della vita moderna ed ebbe successo. Il dealer stimò un quadro a 4,500 sterline e gli diede il diritto di esibire l’opera all’Accademia prima, diritto che l’artista rifiutò in cambio di altri soldi, contando di farne di più invece con l’incisore. La difficoltà nello studiare la storia del mercato sta nella difficoltà a reperire informazioni. I mercanti difficilmente dicevano quanto avevano pagato per un’opera e gli stock book restano proprietà della galleria, gelosamente custoditi. Quelli di pubblico dominio, ad esempio sono quelli di Goupil e di Arthur Tooth & sons. La difficoltà sta anche nell’interpretare dati così vari. Collegando le fonti si possono seguire i percorsi di ogni opera, per ogni proprietario che ha avuto, cambiando numero d’inventario e posto. Se per i libri di Ar è difficile capire il percorso dell’opera, per G è più facile, ma meno capire la situazione complessiva annuale. Rue Laffitte: looking at and buying contemporary art in mid – nineteenth century Paris Nel secondo impero Parigi era diventata una città di spettacoli, in cui il flaneur definiva un nuovo modo di relazionarsi allo spazio urbano tramite il consumo visivo. Già dal 1830 – 40 tuttavia la trasformazione era iniziata, con quartieri residenziali, strade asfaltate. Le moderne gallerie d’arte sono nate proprio tra i nuovi passages e centri commerciali della città. Guatier in l’Artiste parla di 5 o sei negozi che espongono una selezione di dipinti sempre nuova, illuminata da potenti riflettori. In molti testi dell’epoca infatti le gallerie sembrano essere viste come uno degli elementi della nuova Parigi capitalista e moderna, in cui l’arte è un oggetto di moda e lusso come altri. Quale era quindi il ruolo dei dealer nel definire il gusto? La borghesia non era un gruppo unito, con una grande differenza tra l’alta borghesia, una media borghesia di professionisti e una più bassa che viveva di un salario fisso. Ssensier lavorava al ministero dell’interno, collezionista e promotore della scuola di Barbizon. Per persone come lui comprare arte significava partecipare pienamente alla cultura del consumo: per i dealer, voleva dire nuove opportunità. Questi compratori infatti potevano non aver trovato quello che cercavano nel Salon e la galleria allora si poneva come alternativa all’esposizione ufficiale, minandone l’autorità. Negli anni ’30 le gallerie si spostarono dal quartiere dell’accademia di belle arti per mettersi in quello della Borsa, dove rue Laffitte divenne presto una strada famosa per le gallerie. Era una strada legata alla finanza, a istituzioni culturali come il giornale Carjat e una strada in cui le donne andavano già a comprare cappelli e vestiti. Nel 1808 vi era nato Napoleone III. Nel giro di un decennio passa dall’essere descritta come una strada tranquilla a strada – museo. Negli anni ’30 il pubblico che preferiva paesaggi, scene di genere e nature morte non poteva trovarne nei Salon quindi poteva o rivolgersi direttamente agli artisti o andare in un negozio di articoli di lusso, in cui si poteva sia comprare che affittare opere. Nel diciannovesimo secolo era d’uso affittarli, ma già sul finire del secolo si fece strada l’idea che l’acquisto era invece un segnale di successo per il compratore. La più antica galleria della strada era quella di Adolphe Beugniet, aperta nel 1842. Il successo delle gallerie conferma che il Salon non poteva più detenere il primato. Astruc scrive del Salon del 1860 dicendo che piuttosto era meglio andare nel boulevard des italiens per vedere un salon più intimo, silenzioso e con migliori condizioni visive. Parlava della galleria Louis Martinet. Martinet scelse una forma ibrida, tra la galleria e la sala espositiva, per cui guadagnava sia dalle vendite che dalle quote partecipative. Trasformò la galleria in un luogo d’incontro e cercò di rendere gli artisti imprenditori di se stessi. Le gallerie rispetto al Salon ribaltarono l’equazione commerciale/ non commerciale a loro favore ponendosi come esempio di eleganza, promotori di qualità e di una esperienza che iniziava già camminando pe la strada. Negli anni ’50 si affacciarono anche nuovi collezionisti, troppo timidi sia per il Salon che per l’asta, per i quali la figura del dealer era rassicurante che l’introduceva nel mondo dell’arte. Anche se questi collezionisti permettevano a molti più artisti a Parigi di sopravvivere, i loro gusti erano oggetto di scherno da parte della critica, che credeva che così l’arte sarebbe degenerata in arredamento. Effettivamente gli artisti dovevano adattarsi al nuovo gusto. Theophile Gautier identifica una sorta di Rue Laffitte school guardando lungo i negozi della strada, un’arte fatta per vendere e compiacere l’occhio. Inoltre la moda era dettata appunto dalla moda della stagione. Questo costringeva ad adattarsi al gusto popolare. Si vendevano molte opere di “genere minore” come disegni o acquerelli a prezzi contenuti. Baudelaire li chiama the Couture school e dice di un artista come Besson che risultava meno accattivante nel Salon rispetto a quando era esposto dietro una vetrina. Emergono i middle class painting, cioè opere di piccolo medio formato con paesaggi o nature morte, scene orientaliste ecc . Thomson The professionalization of art dealing in an expanding field Se da un lato la nascita della professione del dealer segue la strada di altre professioni nella fine dell’ ‘800, basate sul riconoscimento dello status di esperto, dall’ altro gli art dealers non hanno mai creato un curriculum formale o una procedura d’esame per diventare tali. L’unico controllo era il mercato stesso che valutava i risultati del loro lavoro. Thomson appartiene a quella generazione di dealer pionieri del settore, come Gambart, che videro contemporaneamente la nascita della storia dell’arte nelle università. Tuttavia la critica d’arte, la storia dell’arte e l’art dealing erano campi nebulosi e non ben definiti. La confusione era presente soprattutto per l’arte contemporanea, dove Thomson operava. Nel 1885 era manager alla Goupil gallery a Londra. Due anni dopo era partner alla Thomas agnew & sons. Poi alla French gallery. Nel 1918 apre la Barbizon house. Pond e Smith, si rifanno agli scritti di Richardson sulla connoiseurship. Smith in particolare adotta la strategia del catalogo ragionato, identificando i lavori di attribuzione certa. Gambart invece organizzava mostre periodiche accompagnate da catalogo. Grazie a queste operazioni i dealer lentamente guadagnarono il rispetto della critica e il riconoscimento del pubblico, insieme ai profitti, malgrado lo stigma di essere propensi alla frode. Le mostre organizzate inoltre davano l’idea di seguire i protocolli delle vecchie e legittimate società d’esposizione. Gambart, per esempio, emulò i cataloghi pubblicati dalla Royal academy per l’esposizione annuale e alla fine del catalogo aggiungeva una lista di artisti detti committee in modo che la mostra sembrasse organizzata da loro. Lui si poneva come manager (Fletcher). Thomson anche si occupava di arte contemporanea, ma si pose egli stesso come esperto più che manager, puntando più sulla biografia dell’artista che sulla connoiseurship. Il fiorire delle riviste fece nascere la figura del critico e giornali come Art journal (1839 – 1912) e Magazine of art (1878 – 1904). I dealer diedero loro altre fonti di guadagno commissionando loro saggi all’interno dei cataloghi. Ruskin primo insegnate di arte alla oxford university nel 1869, l’architetto Wyatt alla Cambridge. Il successore di quest’ ultimo è Colvin nel 1873 passando come altri per la critica d’arte. Divenne direttore del Fitzwilliam museum e assunse Waldstein. Gli storici tedeschi ammiravano molto la scuola tedesca. Thomson malgrado mancasse dell’educazione universitaria, fu in grado di dare vita alla moderna storia dell’arte. Aveva lavorato come imbianchino a Edimburgo, come editor e critico a Londra, infine Goupil. Pubblicò una serie di articoli chiamati La scuola di Barbizon, ognuno su un diverso artista. Quella di Corot è interessante perché mostra la storia della sua vita e l’apprezzamento del suo lavoro alla luce nazionalistica del progresso del paesaggio francese come risposta a Constable. Lo descrisse in modo che fosse piacevole per il pubblico borghese, il ragazzo della porta accanto. La stessa strategia fu adottata da Sensier nella sua biografia di Millet. fiere e biennali in queste nazioni è stata un successo e ha incoraggiato artisti e gallerie straniere a parteciparvi. Ma sono celebrazione di un’arte senza confini nazionali o mostrano il gusto dell’arte indigena? Il caso dell’India Non è un mercato mondiale come la Cina, ma ha avuto una rapida espansione del ceto medio e dell’elite urbana che ha influenzato il mercato dell’arte. Tra il 97 e il 2008 il mercato dell’arte contemporanea è cresciuto in numero di pezzi e prezzi pagati per artisti indiani, concentrandosi in Delhi e Mumbai. È notevole visto che prima delle riforme politiche degli anni ’90 non c’era nemmeno un mercato contemporaneo. Le loro opere sono circolate nel sistema internazionale, come quando nel 2000 Sotheby’s vendette la collezione degli Herwitz a New York. Da lì in poi ci sono state aste regolari per l’arte indiana a Londra e New York. Mumbai, case d’asta Saffronart e Osian. Veicolo per il mercato secondario in India. S ha adottato un modello occidentale, ma innovativo negli sforzi di marketing. Sono stati dei pionieri nella vendita telematica. Tuttavia l’India è stata colpita dalla crisi del 2008 e la crescita in questi anni è stata più modesta, non aiutata da un governo quasi assente che non governa il mercato. Per questo ci sono state molte iniziative private, come nuovi musei e una biennale a Cochin. Nel 2009 India art fair a South Dehli fine gen inizi feb. Prima fiera d’arte nel 1967 a Cologne, nel 1969 Art Basel. Nel 75 Tefaf. Sono diventate eventi imperdibili per curatori, critici e collezionisti, con grandi numeri di visitatori (3 milioni nel 2011). La concentrazione di gallerie ha fatto sì che si scambiassero informazioni e testassero il mercato su cosa vendere. Per chi compra, è la possibilità di vedere moltissimi lavori senza viaggiare. Per gli artisti è uno strumento di crescita nella loro carriera. India art fair 2008 34 gallerie e 6.000 visitatori 2013 96 gallerie e 128.000 visitatori Gli spazi espositivi sono organizzati come in altre arti del mondo, con un modello white cube e solo poche gallerie hanno messo i prezzi alle pareti. Puntini rossi indicavano i lavori già venduti, in 9 gallerie di cui 7 europee, le altre usano rimpiazzare i lavori venduti con opere simili. Questo crea delle differenze col catalogo. Il numero di opere esposte andava da un one solo show alle 128 della Dehli art gallery. Alcune gallerie occupavano più di un lotto. Chiaramente le città più rappresentate sono Dehli e Mumbai, con il vantaggio di Dehli di non avere costi di trasporto. Il 40% delle gallerie è straniera, perlopiù europee e qualcuna da paesi come Argentina e Israele. Sono molte se si pensa che quelle indiane occuparono uno spazio extra rispetto a quello che necessitavano. Questo perché con la crisi gli europei cercavano nuovi mercati all’estero. Tuttavia, una tassa d’importazione al 35% favorisce gli artisti locali. Sui 530 artisti l’11% non è vivente e perlopiù è considerato old master (come Dalì). Molti artisti indiani erano presenti in più di una galleria, il che vuol dire che non è comune fare contratti di esclusività. In India domina il paesaggio, ma la fiera non mostra grande diversità, poiché il 77% degli artisti p indiano, americano, francese e tedesco. E non è sorprendente che il lavoro di artisti stranieri fosse rappresentato da gallerie della stessa area geografica. Nel database sono riportati gli artisti che compaiono in più booths, ma rimpiazzando i lavori nei vari giorni si crea una discrepanza tra ciò che è scritto e ciò che è esposto. Quasi la metà dei lavori esposti sono dipinti, da molto economici a mezzo milione di dollari. I mixed media ben rappresentati con un 16%. A volte temi occidentali erano elaborati con materiali indigeni. (Chandler) Stampe e disegni, 5/10%. Disegno di un cavallo di Husain per 94.000ca La fotografia meno presente, soprattutto se comparata alla popolarità in occidente. 7% Lo stesso la scultura, in piccoli pezzi. Apprezzate dal pubblico ma difficili da vendere sono le installazioni. Il loro successo è dovuto ad artisti come Gupta e Kallat. L’artigianato indiano era poco rappresentato, di solito prodotto da artisti anonimi. Dunque l’arte indiana tende a combinare indigeno con straniero e per quanto la pittura sia dominante c’è una buona sperimentazione sui mixed media. Indian modernist movement, dall’indipendenza nel 1947. Prima risentivano molto dell’influenza dell’arte europea del ‘900, poi lottano per uno stile proprio, che è comunque una commistione. Si può affermare che la diaspora di artisti indiani in posti come New York abbia aumentato la richiesta di questi artisti.
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